RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 262 - Testo della trasmissione di martedì 19  settembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Telegramma di cordoglio di Benedetto XVI per la morte di Suor Leonella Sgorbati, “barbaramente uccisa” in Somalia domenica scorsa. Il sangue della religiosa, afferma il Papa, faccia germogliare la fraternità tra i popoli, nel rispetto reciproco delle convinzioni religiose. Intervista con Davide Bernocchi e Giuseppina Sgorbati

           

All’ONU di Ginevra, mons. Tomasi, Osservatore della Santa Sede, interviene sulle parole del Papa a Ratisbona: quello del Pontefice, afferma, è un rinnovato impegno al dialogo tra le religioni e il rifiuto della violenza da parte di tutti i credenti. Ai nostri microfoni, i commenti di Andrea Riccardi ed Ernesto Galli della Loggia

 

Lettera di Benedetto XVI al cardinale Edmund Casimir Szoka

 

“Un impeto di solidarietà in aiuto ai Paesi meno sviluppati”: di questo ha bisogno il mondo. E’ l’accorato appello, lanciato ieri all’ONU dall’arcivescovo Celestino Migliore

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

I vescovi italiani esprimono la loro totale vicinanza e solidarietà al Papa, dopo gli atti intimidatori e le inqualificabili minacce in seguito al suo discorso di Ratisbona: così il cardinale  Camillo Ruini in apertura del Consiglio permanente della CEI

 

CHIESA E SOCIETA’:

Fissata per dopodomani, 21 settembre, la fucilazione dei tre cattolici indonesiani, la cui esecuzione era stata rinviata dopo gli interventi della comunità internazionale e del Papa

 

Arrestato in Pakistan un giovane cristiano con l’accusa di offese all’islam. Il giovane, responsabile di un furto, rischia  l’ergastolo in base alla controversa legge sulla blasfemia

Si celebrano oggi i 160 anni dell’apparizione mariana a La Salette, quando la Vergine affidò a due piccoli mandriani francesi un messaggio per la conversione e la salvezza del mondo

 

Nel giorno della festa di San Gennaro, si è rinnovato l’evento della liquefazione del sangue del patrono di Napoli. Durante la Messa, il cardinale Sepe ha invitato a pregare per il Papa

 

Allarme dell’UNESCO per i danni provocati dal recente conflitto tra Israele e gli hezbollah in alcuni siti archeologici libanesi, dichiarati patrimonio dell’umanità

Cresce il numero delle vittime delle mine terrestri, mentre si riducono i fondi per i programmi di sminamento. Così il rapporto del “Landmine Monitor Report 2006”

24 ORE NEL MONDO:

In Ungheria, scontri di piazza nella notte dopo che il premier ha ammesso di aver mentito sui risultati ottenuti dal governo negli ultimi due anni

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

19 settembre 2006

 

 

IL DOLORE DI BENEDETTO XVI PER LA MORTE DI SUOR LEONELLA SGORBATI, BARBARAMENTE UCCISA IN SOMALIA DOMENICA SCORSA.

IL SANGUE DELLA RELIGIOSA, AFFERMA IL PAPA, FACCIA GERMOGLIARE

 LA FRATERNITA TRA I POPOLI, NEL RISPETTO RECIPROCO

DELLE CONVINZIONI RELIGIOSE

- Intervista con Davide Bernocchi e Giuseppina Sgorbati -

 

Il Papa ha espresso il suo profondo dolore per la morte di suor Leonella Sgorbati, “barbaramente uccisa” domenica scorsa a Mogadiscio. In un telegramma inviato a suo nome dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone a madre Gabriella Bono, superiora generale delle Missionarie della Consolata,  cui apparteneva la religiosa italiana, Benedetto XVI, ricordando che la suora “svolgeva con gioia un’apprezzata opera al servizio delle popolazioni somale, specialmente in favore della vita nascente e nell’ambito della formazione sanitaria”, ha ribadito la “ferma deplorazione per ogni forma di violenza”. Ha quindi auspicato che il “sangue versato da una così fedele discepola del Vangelo diventi seme di speranza per costruire un’autentica fraternità tra i popoli nel rispetto reciproco delle convinzioni religiose di ciascuno”.

 

I funerali di suor Leonella si terranno giovedì nella chiesa della Consolata a Nairobi, in Kenya. La cerimonia sarà officiata da mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio. Suor Leonella - lo ricordiamo - gestiva una scuola per infermieri nell’ospedale pediatrico ‘Sos Kindergarten’ della capitale somala. Due uomini hanno aperto il fuoco contro di lei a pochi metri dall’istituto. Prima di spegnersi, ha raccontato una consorella, suor Leonella ha ripetuto per tre volte la parola “perdono”. Ma come vivono queste ore gli abitanti di Mogadiscio e gli altri assistenti umanitari che operano in Somalia? Giada Aquilino lo ha chiesto a Davide Bernocchi, direttore di Caritas Somalia, che ben conosceva suor Leonella:

 

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R. – La popolazione di Mogadisico piange suor Leonella perché le suore sono amate dai poveri e dalle persone che vengono aiutate gratuitamente dall’ospedale “Sos”. Gli operatori umanitari a Mogadiscio sono rarissimi: possiamo dire che le suore sono l’unica presenza stabile. Anche nel resto del Centro-Sud Somalia gli operatori umanitari non sono numerosi. Si vive in un clima teso, in cui bisogna sempre avere una grande attenzione per la sicurezza. Le suore, per esempio, a Mogadiscio non possono uscire dal complesso di “Sos” e io stesso, quando mi muovo in Somalia, ho comunque bisogno di una scorta armata.

 

D. – Perché gli operatori umanitari non sono così presenti in Somalia?

 

R. – Bisogna fare una distinzione, nel senso che nel Nord della Somalia, la presenza di entità semi-statali, che garantiscono una certa sicurezza, permettono anche una presenza di operatori umanitari; mentre nel Centro-Sud Somalia, dove le istituzioni statali mancano completamente - e quindi il livello della sicurezza è da 16 anni a questa parte pessimo - anche la presenza delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie è veramente rarissima.

 

D. – Che difficoltà ci sono sul terreno?

 

R. – In Somalia mancano tutte le strutture: niente scuole, niente ospedali, sostanzialmente si opera in una terra di nessuno.

 

D. – La Caritas ancora piange la dottoressa Fumagalli, uccisa nel ’95, sempre in Somalia. Lei, come suor Leonella e gli altri religiosi assassinati, cosa hanno lasciato al Paese africano?

 

R. – Credo molto. In particolare, lo vedo personalmente con il lavoro fatto da suor Leonella, la quale soltanto pochi mesi fa aveva trasferito da noi uno dei primi studenti diplomatisi alla sua scuola. Questo ragazzo, da Baidoa, dove adesso opera per noi in un dispensario, mi ha detto: “io, non appena ho sentito la notizia dell’assassinio di suor Leonella, ho pensato di correre a Mogadiscio per dare il mio ultimo saluto al corpo di quella che per me è stata come una vera madre; ma poi ho pensato che avrei onorato maggiormente la memoria di suor Leonella rimanendo al servizio dei malati a Baidoa”. Ecco: credo che questa sia una testimonianza di umanità che rispecchia il seme d’amore gettato nel cuore di questo ragazzo proprio da suor Leonella.

 

D. – Quale sarà, da oggi in poi, l’impegno della Caritas in Somalia?

 

R. – La Caritas, così come le suore e le altre organizzazioni, intende continuare il proprio servizio a favore del popolo somalo, sapendo che la situazione è molto difficile. Ovviamente, anche in Somalia l’attuale realtà internazionale contribuisce ad alzare il livello di tensione. Però, credo sia nostro dovere continuare a rimanere, come servizio di amore nei confronti di quanti hanno bisogno, fino a quando questo non diventerà impossibile.

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Ma ascoltiamo la testimonianza di Giuseppina Sgorbati, sorella della religiosa uccisa: Fabio Colagrande le ha chiesto se suor Leonella, al secolo Rosa, si rendeva conto del pericolo che correva …

 

 

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R. – Penso di sì, anche se a me diceva che certamente non c’erano pericoli perché “se la pallottola viene a me – diceva -  se il Buon Dio l’ha destinata a me, la prendo io, se no non la prenderò”: questo mi diceva quando  le chiedevo di stare attenta.

 

D. – Sua sorella Rosa era contenta di essere arrivata in Somalia?

 

R. – Lei era contenta di andare in missione in Somalia per far studiare questi ragazzi, che non avevano un avvenire; ne ha aiutati tanti, collocandoli nei diversi ospedali e dando loro un lavoro.

 

D. – Quindi, voleva proseguire la sua missione a Mogadiscio perché sapeva che ce n’era bisogno?

 

R. – Ce n’era bisogno, sì,  altrimenti non sarebbe partita.

 

D. – Qual era  il senso profondo della vocazione che l’aveva portata in Africa e la faceva restare lì nonostante i grandi pericoli…

 

R. – Il bene che lei voleva alla gente. Voleva il bene della gente e sapeva che se uno non studia, non può andare avanti. Lei voleva bene a tutti e voleva che tutti andassero avanti, che studiassero, perché così avrebbero potuto capire le cose.

 

D. – Rosa ha perdonato la mano che l’ha colpita…

 

R. – Sì, è un dono che mi ha fatto mia sorella: ha perdonato perché sicuramente pensava che il suo assassino non sapeva quello che faceva.

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UN DISORSO CHE, NEL NOME DELLA FEDE E DELLA RAGIONE,

VUOLE FAVORIRE IL DIALOGO TRA LE RELIGIONI E RIBADISCE IL RIFIUTO

DELLA VIOLENZA NEL NOME DI DIO: COSI’ MONS. SILVANO MARIA TOMASI,

OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE ALL’ONU DI GINEVRA,

SULLA LECTIO MAGISTRALIS  DI BENEDETTO XVI A RATISBONA

- Con noi il prof. Andrea Riccardi e il prof. Ernesto Galli della Loggia -

 

Al centro del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona c’è un rinnovato impegno al dialogo tra le religioni e il rifiuto della violenza, un rifiuto che tutti i credenti, cristiani compresi, devono fare proprio. E’ quanto sottolineato ieri dall’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa all’Ufficio ONU di Ginevra, in occasione del suo intervento alla seconda sessione del Consiglio sui Diritti Umani. Un intervento tutto dedicato alla lectio magistralis di Benedetto XVI su fede e ragione. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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         Il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona va “collocato nella giusta prospettiva in uno spirito di pacifico e costruttivo dialogo”. E’ il richiamo di mons. Silvano Maria Tomasi che ha voluto ribadire il vero significato dell’intervento del Papa a Ratisbona. “Riconoscendo gli aspetti positivi della modernità”, ha affermato il presule, il Papa vuole “allargare l’orizzonte della ragione affinché includa la dimensione della religione, e di qui, iniziare un dialogo universale basato sulla ragione”. E ciò, ha detto ancora, “in vista della difesa del valore di umanità delle culture religiose, incluso l’islam”. Si è poi soffermato sulla citazione fatta dal Papa dell’imperatore bizantino, ribadendo che il proposito del Santo Padre era quello di sottolineare che “la violenza è sempre irragionevole” e “incompatibile con la natura di Dio”. E questo vale per “tutti i credenti, Cristiani e Musulmani” compresi. D’altro canto, l’osservatore vaticano ha ricordato che il Papa ha confermato che la parte della citazione riguardante l’Islam non esprime “in alcun modo i suoi pensieri personali”. Mons. Tomasi ha anche aggiunto che il testo del Papa “va letto nella sua interezza”. E’ sorprendente, ha constatato, “che le manifestazioni siano iniziate perfino prima che il discorso fosse tradotto in una lingua comprensibile alle persone che manifestavano”. Manifestazioni che si basavano “solo su titoli fuorvianti apparsi sui media” che devono dunque “assumersi la loro responsabilità”. Il cammino da percorrere, è stata l’esortazione del presule, richiede una maggiore “conoscenza delle altre fedi e culture”. Ha così invitato gli uomini di buona volontà a lavorare “per un genuino dialogo e un futuro di pace”.

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Anche oggi si registrano reazioni contrastanti nel mondo islamico alle parole del Papa, mentre il discorso all’Università di Ratisbona viene ritenuto “molto positivo” in una prospettiva di “dialogo” dal primate della Comunione anglicana, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams. Dal canto suo, il presidente iraniano Ahmadinejad ha riconosciuto che le parole del Papa sono “state male interpretate”, ribadendo di rispettare il Pontefice. Intanto, c’è attesa a Roma per l’incontro in Campidoglio, oggi pomeriggio, in cui saranno presenti il cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni e l'imam della Moschea di Roma Sami Salem. All’evento prenderà parte anche il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, il prof. Andrea Riccardi, che intervistato da Fabio Colagrande si sofferma sul ruolo dei media nella cattiva interpretazione del testo pronunciato dal Santo Padre:

 

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R. – I messaggi diventano slogan, diventano caricature e rimbalzano qua e là. Ero a Parigi, un gruppo di giornalisti turchi mi è venuto incontro, dicendomi: “Il Papa ha detto che….”. Io ho risposto, avendo il testo in mano, “Il Papa non ha detto….”. Ma loro, “No, no il Papa l’ha detto. Non importa il suo testo. Ormai tutti dicono questo, le agenzie, etc.”. Quando, in realtà, pochi giorni prima il Papa, nel messaggio che ci ha inviato ad Assisi, per i 20 anni della preghiera di Assisi che noi abbiamo celebrato, prendeva posizione molto chiaramente a favore del dialogo. Peraltro, anche quello è un messaggio che nei media è stata caricaturizzato, perché il Papa ha detto “no” al sincretismo e si è detto: “Vedete, Benedetto XVI ha detto “no” al sincretismo a differenza del suo predecessore”. Falso, giacché tutti i messaggi di Giovanni Paolo II, come è ovvio, erano dialogo “sì” e sincretismo “no”! C’è poi il fatto che il mondo islamico vive quello che uno studioso chiama un malessere profondo e quindi è estremamente infiammabile.

 

D. – Come ritessere un po’ questo tessuto del dialogo?

 

R. – Io credo che c’è anzitutto un dialogo che è il contatto quotidiano. Si rischia ora di perdere i contatti in questo nostro mondo. Bisogna individuare nel mondo sunnita quali sono i leader ed avere il coraggio di parlare e di tenere dei contatti forti e personali. Questo a me sembra il primo punto. Io penso che l’atteggiamento della Chiesa cattolica è oggi estremamente importante per il mondo musulmano, anche se il mondo musulmano – confuso e sbattuto – può essere alla ricerca di un nemico che gli dà senso.

 

D. – Prof. Riccardi, un commento ricorrente, però, in queste ore è la mancanza di un interlocutore, almeno un’apparente mancanza di interlocutori moderati da parte del variegato mondo islamico, di qualcuno che in qualche modo si distacchi da queste proteste?

 

R. – Io non ho mai creduto a questo discorso dei moderati e dei non moderati. Noi ci troviamo davanti un fatto che non possiamo determinare: che è un mondo religioso, quale è l’Islam, un mondo con forti conflitti interni (pensiamo a quello fra sciiti e sunniti), un mondo che noi rappresentiamo in maniera caricaturale come un mondo omogeneo, ma che non è omogeneo e questo perché ci sono gli Islam delle diverse nazioni, c’è un Islam più spirituale, ci sono tanti Islam. E’ un mondo di più di un miliardo di persone ed è quindi un mondo variegato. Penso che dobbiamo trovare gli interlocutori possibili. Nel dipingere un Islam tutto uguale noi facciamo il gioco di Bin Laden che dice: “Il mondo musulmano è unito”; ma il mondo musulmano io non dico che è disunito, ma sicuramente è complesso.

 

D. – Alcuni esponenti del mondo islamico hanno detto che Benedetto XVI ha interrotto quella strada di dialogo tra cristiani e musulmani voluta da Giovanni Paolo II. Un suo commento…

 

R. – Io nego questo e credo che questo “giochetto” che si sta facendo, contrapponendo Benedetto XVI a Giovanni Paolo II, è un “giochetto” ridicolo che si è fatto ogni volta. Ricorda che all’inizio del Pontificato di Giovanni Paolo II si diceva: “E’ arrivato il restauratore a chiudere le cose che Paolo VI aveva aperto”. E’ un “giochetto” mediatico, che non serve a niente e che, però, in questo mondo globalizzato e davanti a queste crisi può essere anche pericoloso. Benedetto XVI si muove in questa linea di dialogo. Naturalmente si muove con la sua sensibilità che è quella di un uomo diverso da Giovanni Paolo II, ma poi non tanto diverso. C’era, al limite, più differenza tra Paolo VI e Giovanni Paolo II.

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Intanto, ci si interroga non solo sulle reazioni nel mondo islamico, ma anche in Occidente. Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio Internazionale cardinale Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa ha dichiarato all’agenzia SIR che ha “stupito il silenzio di capi di Stato e di intellettuali delle nazioni democratiche che nel cattolicesimo e nel cristianesimo trovano uno degli elementi fondamentali della propria civiltà”. L’Occidente, ha proseguito, “non ha trovato il coraggio, a parte qualche caso isolato, di difendere la libertà di espressione che ormai esso non nega più a nessuno”. Proprio su questo aspetto della vicenda, Alessandro Gisotti ha intervistato lo storico Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere della Sera:

 

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R. – Sono in pochi indignati perché da molto tempo l’Occidente è abituato al criterio dei due pesi e due misure. Noi siamo sempre portati, ormai da molti decenni, ad avere un atteggiamento di timidezza, di subalternità quasi, nei confronti di tutte le posizioni che si esprimono contro qualcosa che riguardi l’Occidente. Credo che ci sia questa sorta di “cultura del rimorso”, mal riposta, molto spesso, che soprattutto non dovrebbe mai portare ad accettare manifestazioni di violenza e di aggressività.

 

D. – Come lei ben ricorda, in un ormai celebre discorso l’allora cardinale Joseph Ratzinger disse che “l’Occidente quasi odia se stesso” …

 

R. – Sì, le cose che dicevo prima si possono riassumere in questa felice sintesi, sì. L’Occidente odia se stesso, soprattutto gli ambienti intellettuali, giornalistici dell’Occidente sembrano aver perso qualsiasi consapevolezza dell’importanza storica anche positiva della propria tradizione, della propria storia. Ed è molto significativo che oggi sia il Papa a dovere in qualche modo ricordare, per esempio, con questo eccezionale – misuro la parola – penso che si tratti veramente di un eccezionale discorso, come quello appunto fatto all’Università di Ratisbona, in cui ha secondo me compiuto la grandissima operazione storico-culturale di ricollocare con forza il cristianesimo nelle sue origini, per l’appunto europeo-occidentali.

 

D. – Si può dire, dunque, che in questo momento di debolezza, forse la Chiesa, il Papa – e questo Papa in particolare – sono troppo forti e quindi danno fastidio?

 

R. – Non credo che sia una questione di forza, ma una questione di qualità e contenuto del messaggio. E il messaggio che oggi viene dal Papa è un messaggio che si colloca in una posizione fortemente anti-conformista rispetto a quella che è la vulgata generale della cultura media europea, e quindi essa non può che suscitare opposizione e fraintendimento da parte di persone che molto spesso, si capisce, non si sono curate neanche di leggerlo il discorso che poi accusano …

 

D. – Le ‘lectio magistralis’ del Papa a Ratisbona è stata – come il titolo stesso del testo afferma, ma che ovviamente ben pochi ricordano – un’appassionata difesa della ragione. Non le sembra che in questo si sia persa anche un’occasione per ragionare?

 

R. – , sì, mi pare chiaro che sia così come lei dice. L’occasione innanzitutto di ragionare, di riflettere, di meditare su cose importanti che riguardano il passato di noi tutti credenti e non credenti e che quindi avrebbero meritato una ben maggiore attenzione rispetto a quella che gli è stata data.

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LETTERA DI BENEDETTO XVI AL CARDINALE EDMUND CASIMIR SZOKA

 

Benedetto XVI esprime il suo “vivo ringraziamento per la fedeltà e la competenza”  con cui il cardinale Edmund Casimir Szoka, arcivescovo emerito di Detroit, ha operato negli Stati Uniti d'America e al servizio della Chiesa Universale.  In una lettera con data 15 settembre, giorno in cui l’arcivescovo Giovanni Lajolo è subentrato al porporato nelle funzioni di presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e di presidente del Governatorato del Vaticano, il Papa  sottolinea come il cardinale Szoka in  differenti campi abbia operato “con passione e senza risparmiare energie e tempo”. “Sono certo – ha aggiunto - che con uguale disponibilità continuerà, anche in futuro, a lavorare per la Chiesa e per la Santa Sede. Le sono per questo riconoscente, mentre Le confermo la mia stima e il mio affetto perché Le siano di sostegno ed infondano nel suo animo gioia e serenità”.

 

 

“UN IMPETO DI SOLIDARIETÀ IN AIUTO AI PAESI MENO SVILUPPATI”:

DI QUESTO HA BISOGNO IL MONDO. E’ L’ACCORATO APPELLO,

LANCIATO IERI ALL’ONU, DALL’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

 

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“L’inarrestabile fuga di masse di popolazioni dalle regioni impoverite verso le aree sviluppate del mondo ha portato i gravi problemi dei Paesi in via di sviluppo – che un tempo erano una realtà accademica e distante – a bussare letteralmente alle porte degli Stati ricchi”. Cosi l’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede, presso le Nazioni Unite, è entrato nel vivo del dibattito, aperto ieri nel Palazzo di Vetro a New York, per valutare gli obiettivi raggiunti dal Programma ONU per i Paesi meno sviluppati, previsto tra il 2001 e il 2010, giunti dunque a metà strada di un percorso, che non ha sortito i risultati sperati, come hanno commentato le Nazioni partner.

 

E’ generale convinzione “che la recente crescita” in questi Paesi “rimane estremamente vulnerabile, poiché poggia quasi interamante sull’esportazione di materiali grezzi, soprattutto petrolio, e non ha prodotto progresso globale nella riduzione della povertà o nell’incremento del benessere umano”. Questo “relativo e fragile miglioramento” - ha aggiunto l’arcivescovo Migliore – “non deve distrarre dal prendere in seria considerazione i gravi problemi sottesi, finora irrisolti, o indurci a perdere di vista la loro drammatica urgenza”. Il presente dato economico dovrebbe essere letto anche alla luce di altre gravi realtà come la guerra – che affligge un significativo numero di Paesi in via di sviluppo – il degrado ecologico e la desertificazione, il persistente numero di bambini malnutriti e il continuo flagello dell’Aids, della malaria, della tubercolosi e di molte altre malattie associate alla povertà”.

 

Da qui “il pressante imperativo morale di una solidarietà economica verso i Paesi poveri, basata sull’unità del genere umano e sull’eguale dignità di tutte le persone”, ha ammonito il presule: “noi oggi siamo di fronte all’urgente missione di rimediare una situazione che, in assenza di soluzioni che siano effettive, giuste e rispettose dei diritti umani, continuerà a causare un intollerabile danno nei Paesi in via di sviluppo e inevitabilmente porterà uno stato di permanente instabilità nel tessuto sociale delle Nazioni sviluppate”. “Il mondo ha bisogno oggi di un impeto di solidarietà”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Le parole del Santo Padre al cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato.

 

Il telegramma di cordoglio di Benedetto XVI per la suora assassinata a Mogadiscio.

 

Servizio estero - Nucleare: l'Iran ribadisce che non sospenderà per due mesi il processo di arricchimento dell'uranio.

 

Servizio culturale - Un articolo di Pasquale Tuscano dal titolo “Luigi Albertini ‘ritratto’ da Corrado Alvaro”: un'opera da non trascurare dello scrittore calabrese.

Per l’”Osservatore libri” un articolo di Armando Rigobello dal titolo “Il male: un abuso di quel bene che è la libertà”: un saggio di Claudio Ciancio inquadra il dibattito sul tema dall'800 ai nostri giorni.

 

Servizio italiano - In rilievo il ragguaglio sul tragico crollo di una palazzina a Milano.  

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

19 settembre 2006

 

 

I VESCOVI ITALIANI ESPRIMONO LA LORO TOTALE VICINANZA E SOLIDARIETA’

 AL PAPA, DOPO GLI ATTI INTIMIDATORI E LE INQUALIFICABILI MINACCE

IN SEGUITO AL SUO DISCORSO DI RATISBONA: COSI’ IL CARDINALE RUINI

IN APERTURA DEL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI

 

“Totale vicinanza e solidarietà” a Benedetto XVI è giunta ieri pomeriggio dalla Conferenza episcopale italiana in occasione dell’apertura dei lavori del Consiglio permanente. Il cardinale Camillo Ruini, presidente della CEI, in un intervento a tutto campo, ha affrontato la questione del discorso del Papa a Ratisbona e il nodo delle minacce di parte del mondo islamico. Tra i temi toccati dal porporato anche le recenti crisi internazionali e l’attualità politica italiana. Il servizio è di Sergio Centofanti.

 

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Sorpresa e dolore” per il modo in cui le affermazioni di Benedetto XVI contenute nella sua lezione pronunciata presso l’Università di Ratisbona “siano state equivocate a tal punto da essere interpretate come un’offesa alla religione islamica”. Il cardinale Ruini manifesta nella sua prolusione la “totale vicinanza e solidarietà” della Chiesa italiana al Papa e condanna gli “atti intimidatori” e le “inqualificabili minacce” provenienti da una parte del mondo islamico, fino – ha aggiunto – a fornire forse “il pretesto per l’abominevole assassinio di suor Leonella” a Mogadiscio. Il contenuto del discorso del Papa, sottolinea il porporato, era diretto a “favorire un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo – aveva detto Benedetto XVI nel discorso a Ratisbona – di cui abbiamo un urgente bisogno”. “Deploriamo invece – ha proseguito il porporato -  quelle interpretazioni, che non mancano anche nel nostro Paese, le quali attribuiscono al Santo Padre responsabilità che assolutamente non ha o errori che non ha commesso e tendono a colpire la sua persona e il suo ministero”.

 

Il cardinale Ruini ha poi parlato della situazione della Chiesa in Italia in vista del Convegno ecclesiale nazionale che si terrà a Verona il prossimo ottobre: ha rilevato i passi in avanti nella “capacità di incidenza” della Chiesa a livello di “cultura pubblica … nonostante il persistere di una diffusa mentalità soggettivistica e l’aggravarsi della deriva etica” nonché “il radicalizzarsi di posizioni laiciste, che però – proprio nella loro aggressività – non esprimono certo l’animo popolare e vengono vigorosamente contraddette da altre voci ‘laiche’ consapevoli del contributo che la fede cristiana può recare al bene dell’Italia”. Senza tralasciare – spiega ancora il porporato – “la costante insidia di una secolarizzazione interna della Chiesa” che “non deve sorprenderci” perché “il peccato e l’umana debolezza accompagnano sempre il cammino della Chiesa nella storia”.

 

Sul fronte internazionale il cardinale Ruini ha espresso le proprie preoccupazioni per la questione mediorientale, ha parlato delle “inacettabili minacce” da parte dell’Iran “contro l’esistenza stessa dello Stato di Israele” e dei pericoli che la Somalia possa diventare “una nuova fonte di terrorismo”; si è riferito quindi alla ripresa della guerra nello Sri Lanka e al “tragico conflitto” nel Darfur dove non si riesce “a porre fine a un’oppressione e a una volontà di sterminio dietro le quali si celano assai probabilmente anche concreti interessi economici”, mentre speranze di pace vengono dalla Repubblica Democratica del Congo e dall’Uganda.  Particolare preoccupazione il cardinale Ruini ha espresso per le “violazioni della libertà religiosa che continuano a perpetrarsi in molte parti del mondo e le discriminazioni e le violenze, fino a vere e proprie persecuzioni” di cui sono fatti oggetto molti cristiani. Il porporato ricorda l’arresto nei giorni scorsi di un altro vescovo in Cina. 

 

Passando alla situazione italiana, in vista della prossima legge finanziaria, il cardinale Ruini ha auspicato una particolare attenzione alle politiche fiscali in favore dei giovani, della famiglia e del Mezzogiorno. Il porporato ha quindi espresso “la più ferma deplorazione” per la decisione del Consiglio dei ministri dell’Unione Europea di prevedere finanziamenti comunitari che agevoleranno le ricerche sulle cellule staminali embrionali, con la conseguente soppressione di embrioni umani. Deplorazione volta anche verso quelle iniziative del governo italiano “che hanno reso possibile quella decisione”. Positiva la riflessione del cardinale Ruini sul recente indulto, mentre profondo dolore è stato espresso per le tragedie del mare che colpiscono tanti clandestini e per le vittime degli incidenti sul lavoro. Sul fronte dell’immigrazione il porporato invita a politiche fondate sul rispetto dei diritti umani sottolineando la “necessità imprescindibile di realizzare una vera integrazione, con le regole e i processi di sviluppo che essa richiede, evitando la prospettiva ingannevole e gravida di rischi, di un multiculturalismo che fa crescere comunità separate e chiuse in se stesse”.

 

Al termine della prolusione il presidente della CEI ha voluto ricordare la figura della giornalista e scrittrice Oriana Fallaci, che – ha detto – “è stata al centro di accese controversie ma che ha dato una grande testimonianza di coraggio, di forza morale, di ingegno e di qualità letterarie, finalmente di amore per l’Italia”.

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CHIESA E SOCIETA’

19 settembre 2006

 

 

FISSATA PER DOPODOMANI, 21 SETTEMBRE, LA FUCILAZIONE DEI TRE CATTOLICI

INDONESIANI, LA CUI ESECUZIONE ERA STATA RINVIATA DOPO GLI INTERVENTI

DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE E DEL PAPA. I TRE ERANO STATI CONDANNATI

A MORTE PER UN MASSACRO DI MUSULMANI AVVENUTO NEL 2000,

MA SULLA SENTENZA PESANO FORTI DUBBI

 

PALU. = Non sembrano esserci più speranze per Fabianus Tibo, Dominggus da Silva e Marinus Riwa, i tre cattolici condannati a morte in Indonesia, nelle Sulawesi centrali: saranno giustiziati il prossimo 21 settembre. La decisione, riferisce AsiaNews, è arrivata al termine di un incontro a porte chiuse tra il generale maggiore Arif Budi Sampurno, capo regionale dell’esercito per la provincia di Sulawesi, Badrotin Haiti, capo della polizia delle Sulawesi centrali, e Mannan SH, procuratore capo provinciale. Oggi Stephen Rening SH, coordinatore del PADMA - il gruppo di avvocati che difende i tre - ha confermato la notizia, spiegando che Tibo, da Silva e Riwa, detenuti nel carcere di Petobo, hanno già ricevuto la comunicazione ufficiale della loro fucilazione, fissata per dopodomani a Palu. Il legale ha tuttavia aggiunto che i familiari dei tre, originari della zona a maggioranza cristiana di Tentenna e Poso, non sono ancora a conoscenza della decisione delle autorità. In viaggio per Palu si sono messi sia il legale sia padre Norbert Bethan SVD, anch’egli membro del PADMA, mentre a Poso sono state innalzate le misure di sicurezza, in previsione delle due grandi manifestazioni organizzate per protestare contro l’esecuzione capitale. Il generale Sampruno, comandante dell’esercito nelle Sulawesi, ritiene che l’esecuzione vada portata a termine come stabilito. “Lasciate che venga eseguito il verdetto, che ha le sue basi legali”, ha detto il generale alla stampa. “Tibo e compagni”, come da tempo sono chiamati i tre cattolici, dovevano essere giustiziati già lo scorso 12 agosto perché giudicati responsabili del massacro di 200 musulmani a Poso, durante gli scontri interreligiosi del 2000. Il rinvio dell’esecuzione è coinciso con l’attenzione internazionale suscitata da questo caso, per il quale anche Benedetto XVI si era mosso invocando un gesto di clemenza. Il processo che li ha giudicati colpevoli, sostengono in molti, sarebbe stato viziato da procedure illegali. (A.D.C.)

 

 

ARRESTATO IN PAKISTAN UN GIOVANE CRISTIANO C

ON L’ACCUSA DI OFFESE ALL’ISLAM.

IL GIOVANE, RESPONSABILE DI UN FURTO, RISCHIA INVECE L’ERGASTOLO

IN BASE ALLA CONTROVERSA LEGGE SULLA BLASFEMIA

 

FAISALABAD. = Dall’Indonesia al Pakistan, dove un semplice caso di furto si è trasformato nell’ennesima denuncia di blasfemia ai danni di un giovane cristiano. Shahid Masih, 17 anni, ora è in custodia cautelare a Faisalabad, dove non riceve visite neppure dalla famiglia, terrorizzata dalle possibili ritorsioni dei fondamentalisti islamici. Il ragazzo, riferisce ancora AsiaNews, è stato arrestato lo scorso 11 settembre insieme con un compagno musulmano, Muhammad Ghaffar, per aver strappato pagine dal tafseer, un libro che spiega i versi del Corano. I due sono accusati di aver violato la sezione 295 B del Codice penale, meglio conosciuta come Legge sulla blasfemia, che prevede l’ergastolo per chi dissacra il Corano. A denunciare alla polizia i giovani è stato Arshad Masood, il dottore di una clinica vicina all’abitazione del cristiano. Secondo il medico, i due avrebbero agito di notte, in sua assenza, stracciando il volume che lui teneva per studio nella sua clinica. Il caso, afferma AsiaNews, parrebbe invece un nuovo abuso di una legge, di cui da anni nel Paese si chiede l’abrogazione. Ad AsiaNews, la madre di Shahid, Alice Munawar, racconta che 15 giorni prima il dottor Masood aveva avvertito il fratello maggiore di Shahid del furto di alcuni medicinali avvenuto nella sua clinica e del fatto che era ben intenzionato a trovare i colpevoli. Il 10 settembre - continua la donna -  quattro uomini della polizia sono venuti a cercare Shahid, che non era in casa, affermando che Masood lo aveva denunciato per blasfemia. “Abbiamo ammesso che nostro figlio fa uso di droghe – ha detto Alice – ma per il resto non ha nulla a che fare con questioni religiose”. Anche Ejaz Ghauri, presidente della Human Dvelopment Net (HDN), sostiene l’infondatezza delle accuse. Per due giorni l’uomo ha visitato la famiglia e i parenti di Shahid Masih per ricostruire i fatti. Secondo Ghauri, si tratta di un semplice caso di furto (i due avrebbero rubato i medicinali con cui drogarsi), “ma non vi sono tracce di una premeditata volontà di offendere l’Islam”. A difendere Shahid sarà l’avvocato cattolico Khalil Tahir, presidente dell’Adal Trust, una ong di Faisalabad. Si tratta dello stesso legale che ha combattuto per la causa del cattolico Javed Anjum, ucciso nel 2004. Del suo omicidio, due religiosi islamici erano stati condannati nel marzo scorso all’ergastolo. (A.D.C.)

 

 

SI CELEBRANO OGGI I 160 ANNI DELL’APPARIZIONE MARIANA A LA SALETTE,

QUANDO LA VERGINE AFFIDO’ A DUE PICCOLI MANDRIANI FRANCESI

UN MESSAGGIO PER LA CONVERSIONE E LA SALVEZZA DEL MONDO

 

ROMA. = I due mandriani sono in realtà due adolescenti e i versanti del monte Planeau, sul quale stanno pascolando le loro mucche, invitano al riposo sotto il bel sole di fine settembre piuttosto che alla noia della guardia alla mandria. Così, quando al loro risveglio, scoprono con timore che le mucche incustodite si sono allontanate, non sognano neppure che l’inizio della ricerca li porterà a vivere un’esperienza straordinaria. Inizia così – 160 anni fa, il 19 settembre 1846 - la vicenda di Mélanie Calvat, 15 anni, e Maxim Giraud, 11 anni, due ragazzini conosciutisi sugli alpeggi francesi de La Salette, entrambi nati nel villaggio di Corps. Non sanno né leggere, né scrivere, non hanno nozioni di catechismo e non sanno dare alcuna spiegazione del globo di fuoco che notano ad un tratto su un cumulo di pietre, dopo aver radunate le loro bestie. Nel globo (“come se il sole fosse caduto lì”, spiegherà poi la ragazza, Mélanie) appare una donna, la testa tra le mani, i gomiti sulle ginocchia, molto triste, che li invita ad avvicinarsi senza paura. A loro, la Bella Signora, che appare luminosamente vestita come una donna del popolo, affida un messaggio che invita sostanzialmente alla conversione del mondo. Interrogati più volte, la loro storia convince infine la Chiesa della straordinarietà della visione mariana. Cinque anni dopo, il vescovo di Grenoble la dichiara ufficialmente tale in un Decreto e l’anno dopo, 1852, annuncia la costruzione di un Santuario sul luogo dell’apparizione e la fondazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette. A loro, durante l’udienza concessa nel Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II ricordò quanto scrisse in occasione del 150.mo anniversario dell’apparizione, in una lettera al vescovo di Grenoble, mojns. Dufaux: “La Salette è un messaggio di speranza, poiché la nostra speranza è sostenuta dall'intercessione di colei che è la Madre degli uomini”.  (A.D.C.)

 

 

NEL GIORNO DELLA FESTA DI S. GENNARO, SI E’ RINNOVATO L’EVENTO

DELLA LIQUEFAZIONE DEL SANGUE DEL PATRONO DI NAPOLI. DURANTE LA MESSA,

IL CARDINALE SEPE HA INVITATO A PREGARE PER IL PAPA, IN RELAZIONE ALLA VICENDA DELLE REAZIONI ISLAMICHE AL RECENTE DISCORSO DEL PAPA A RATISBONA

 

NAPOLI. = “Il sangue di San Gennaro sta iniziando a sciogliersi”. Con queste parole il cardinale arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, ha comunicato, visibilmente commosso, alle 9.20 di stamattina, l’inizio dell’evento che si ripete ogni anno il 19 settembre, festa di S. Gennaro. Alle 9.35, il duca Giovanni Pignatelli della Deputazione di San Gennaro, ha sventolato il fazzoletto bianco dando cosi' l'annuncio ai fedeli dell'avvenuta liquefazione del sangue del Santo Patrono di Napoli. Le campane della cattedrale, affollata da migliaia di fedeli - tra cui le massime autorità civili della regione – hanno cominciato a suonare a distesa, accompagnate dal tradizionale sparo di fuochi di artificio sul sagrato. Per la prima volta dalla sua nomina, il cardinale Sepe ha presieduto i riti nel giorno della festa più sentita dai napoletani. Novità anche nella cattedrale, nella quale due maxi schermi hanno consentito ai fedeli stipati nelle navate laterali di seguire la cerimonia, trasmessa per la prima volta in diretta da una televisione locale. La liquefazione del sangue del Patrono di Napoli si verifica abitualmente tre volte l'anno: il 19 settembre, anniversario del martirio di San Gennaro, avvenuto nel 305 d.C. presso la solfatara di Pozzuoli, il sabato antecedente la prima domenica di maggio, anniversario della traslazione della salma dall'Agro Marciano alle attuali catacombe ed il 16 dicembre - ma più raramente - anniversario di una terribile eruzione del Vesuvio avvenuta nel 1600. Durante l’omelia, il cardinale Sepe, riferendosi alla vicenda delle reazioni islamiche alle parole di Benedetto XVI, ha tra l’altro invitato i credenti a pregare per il Papa e a ricordare, ha detto, che siamo annunciatori della parola del Signore anche quando “la nostra parola viene tacciata e male interpretata". Un lungo applauso ha sottolineato questa affermazione e, dopo l’annuncio della liquefazione del sangue, dalla navata centrale si è levato per due volte un grido solitario di “Viva il Papa”, anch’esso salutato da applausi. (A.D.C.)

 

 

ALLARME DELL’UNESCO PER I DANNI PROVOCATI DAL RECENTE CONFLITTO

TRA ISRAELE E GLI HEZBOLLAH IN ALCUNI SITI ARCHEOLOGICI LIBANESI,

DICHIARATI PATRIMONIO DELL’UMANITA’

- A cura di Francesca Pierantozzi -

 

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PARIGI. = Tre importanti siti archeologici in Libano, dichiarati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità, si trovano in urgente necessità di restauro dopo un mese di guerra tra Israele e Hezbollah. A denunciarlo, ieri, è stata la stessa agenzia delle Nazioni Unite. Secondo il suo rapporto sui danni provocati dal conflitto, è stato soprattutto il porto dell’antica Byblos, inscritto al patrimonio mondiale dell’umanità, a subire più gravemente le conseguenze del conflitto. Il sito è stato ricoperto da una marea nera di carburante, che si è riversato in mare dopo il bombardamento di una centrale elettrica. Ora, le antiche pietre del porto rischiano di essere danneggiate irrimediabilmente, se non si interverrà entro l’inverno. L’operazione di ripulitura potrà essere fatta esclusivamente a mano per un costo complessivo – stimato dall’UNESCO – di 100 mila dollari. Meno drammatica invece la situazione di siti archeologici di Balbet e Tyro, che secondo il Rapporto non avrebbero subito danni importanti, anche se occorrerà intervenire su alcuni affreschi romani e svariate fessure sul Tempio di Giove. La vice direttrice dell’UNESCO per la Cultura, Françoise Rivière, ha tenuto a sottolineare che è tutta la vita culturale che ha bisogno di essere rilanciata in Libano. “Molti Festival sono stati interrotti dalle bombe”, ha detto la signora Rivière. “Una delle cose che l’UNESCO vorrebbe fare – ha aggiunto – è mostrare che la cultura è indispensabile anche per la assicurare la coesione”.

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CRESCE IL NUMERO DELLE VITTIME DELLE MINE TERRESTRI, AUMENTA LA SUPERFICIE DELLE AREE BONIFICATE, MENTRE SI RIDUCONO I FONDI PER I PROGRAMMI

DI SMINAMENTO.  E’ IL BILANCIO DEL “LANDMINE MONITOR REPORT 2006”, L’OTTAVO RAPPORTO DELLA CAMPAGNA INTERNAZIONALE PER LA MESSA AL BANDO DELLE MINE

 

GINEVRA. = Tra le 15 e le 20 mila persone ogni anno continuano ad essere ferite ed uccise, mentre calano i fondi per la “mine action” internazionale. Questo è, in sintesi, quanto emerge dall’ottavo Rapporto della Campagna internazionale per la messa al bando delle mine, pubblicato in concomitanza della settima riunione degli Stati che aderiscono al Trattato per la messa al bando delle mine, che inizia oggi e terminerà il 22 settembre nella città di Ginevra, in Svizzera. Scopo dell’incontro è fare il punto sull’attuazione degli obblighi imposti dal Trattato: bonifica delle aree minate, alla distruzione degli stoccaggi e all’assistenza delle vittime. Secondo il Rapporto, nel 2005 sono state rimosse circa 470.000 mine terrestri, per un area pari alle dimensioni della città di New York. Si tratta della più grande bonifica dal 1980. Tuttavia il numero delle persone ferite è aumentato del 11%, rispetto all’anno precedente. Ciò è dovuto all’intensificarsi dei conflitti in Myanmar, Ciad, Colombia e Pakistan e al fatto che, in molti Paesi, i programmi per la bonifica dei territori non sono in linea con le scadenze. In definitiva, però, se si escludono Myanmar, Nepal e Russia, dal Rapporto si evince che l’uso di mine terrestri continua a decrescere in tutti i Paesi del mondo. Il documento, infine, pone l’accento sulla drastica riduzione dei fondi dedicati al programma Mine Action. Nel 2005 il totale dei fondi raccolti registra una riduzione di circa 23 milioni di dollari. (M.G.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

19 settembre 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Marco Guerra -

 

Grande attesa a New York per gli interventi, previsti nel pomeriggio, del presidente americano, George Bush, e del capo di Stato iraniano, Mahmoud Ahmadinejad nell’ambito della 61.ma Assemblea generale dell’ONU. La riunione è incentrata, soprattutto, sul programma nucleare iraniano. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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La crisi iraniana ha cominciato a dominare l’Assemblea generale dell’ONU, anche prima degli interventi dei capi di Stato e di governo, che cominciano oggi con i discorsi del segretario generale, Kofi Annan, e del presidente americano, George Bush. Ieri il presidente francese, Jacques Chirac, ha detto che non vuole le sanzioni, almeno in questa fase in cui si può ancora trovare una soluzione diplomatica. Il capo dell’Eliseo spera ancora nel dialogo, nonostante Teheran abbia dato risposte ambigue al pacchetto di incentivi offerti dall’Unione Europea in cambio della sospensione dell’arricchimento dell’uranio. I negoziati devono continuare in un clima costruttivo, secondo Chirac, che ha proposto un compromesso: durante i colloqui, il Consiglio di Sicurezza deve evitare di discutere le sanzioni e la Repubblica islamica deve rinunciare alle sue attività nucleari. Dall’inizio della crisi, questa è la prima volta che un leader occidentale non indica la sospensione dell’arricchimento come la pre-condizione per trattare. Una linea potenzialmente in contrasto con gli Stati Uniti che, invece, spingono affinché l’ONU discuta le sanzioni e chiedono che l’Iran interrompa i suoi programmi atomici prima di avviare il negoziato. Anche Roma è scettica sulle sanzioni, che costerebbero molto alle aziende italiane impegnate nella Repubblica islamica. Ieri, a margine dell’Assemblea ONU, si è discusso di Iraq e Kofi Annan ha detto che il Paese corre un grande rischio di guerra civile. Durante l’Assemblea, si parlerà anche della missione di pace in Libano, ma anche della riforma del Consiglio di sicurezza, su cui l’Italia spinge per l’idea del seggio europeo. Sul tavolo, poi, la successione ad Annan, che a dicembre concluderà il suo mandato: al momento, il candidato proposto dalla Corea del Sud, il ministro degli Esteri Ban Ki-moon, è quello che ha ottenuto più consensi.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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“L’Iraq rischia di sprofondare nella guerra civile”. Lo ha detto il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, dopo una riunione straordinaria sulla situazione in Iraq, alla quale hanno partecipato a New York il presidente iracheno. Jalal Talabani e il segretario di Stato americano. Condoleezza Rice. “Se i dirigenti iracheni - ha precisato Annan - possono rispondere ai bisogni e agli interessi comuni di tutti gli iracheni, allora la speranza di pace e di prosperità può essere realizzabile”. Ma “se le privazioni e le violenze perdurano, lo stato iracheno - ha aggiunto - corre il grave pericolo di trovarsi nel mezzo di una vasta guerra civile”. E in Iraq, intanto, proiettili di mortaio hanno colpito, senza fortunatamente causare vittime, le sedi dei consolati di Gran Bretagna e Iran. Ieri, in diversi attacchi della guerriglia, sono morte oltre 60 persone.

 

In Afghanistan, i talebani hanno annunciato di aver ucciso l’ostaggio turco rapito lo scorso 28 agosto nella turbolenta provincia meridionale di Helmand. I guerriglieri avevano chiesto nei giorni scorsi all’agenzia di costruzioni per la quale lavorava l’ingegnere di lasciare l’Afghanistan.

 

“E’ stato arrestato nello Yemen un terrorista importante che pianificava operazioni contro interessi americani”. Lo ha reso noto, stamani, il presidente yemenita in una conferenza stampa alla vigilia delle elezioni presidenziali e municipali. Il capo di Stato ha precisato che l’uomo fermato è una “guardia del corpo del candidato della coalizione dell’opposizione”.

 

Australia e Giappone hanno annunciato, oggi, nuove sanzioni contro la Corea del Nord, allo scopo di tagliare i rifornimenti finanziari al programma nucleare di Pyongyang. Il ministro degli Esteri australiano ha riferito che le sanzioni riguardano 12 società che sostengono il governo nordcoreano per finanziare lo sviluppo di armi nucleari. Tokyo ha congelato, inoltre, le rimesse finanziarie dal Giappone verso diversi enti nordcoreani. Queste sanzioni si aggiungono a quelle già adottate dagli Stati Uniti e costituiscono, secondo molti osservatori, un duro monito al regime della Corea del Nord che, dopo la crisi missilistica dello scorso luglio, si è trovato ancor più isolato sul piano diplomatico internazionale.  

 

Le forze armate israeliane si apprestano a completare il loro ritiro dal Libano meridionale entro venerdì prossimo, quando inizierà il Capodanno ebraico. Lo ha detto alla commissione parlamentare per gli Affari esteri il capo di Stato maggiore israeliano. Il portavoce del ministero degli Esteri dello Stato ebraico ha rivelato, intanto, che Israele è pronto a liberare alcuni prigionieri palestinesi in cambio del rilascio del caporale Gilad Shalit, rapito lo scorso 25 giugno a Gaza.

 

In Marocco, la polizia prosegue l’inchiesta sull’omicidio di Alessandro Missir, funzionario italiano della Commissione Europea, e di sua moglie uccisi domenica scorsa a Rabat. Sulle dinamiche dell’omicidio - che occupa oggi molto spazio sulle testate della stampa marocchina - restano ancora molti dettagli da chiarire. Tra gli inquirenti, sembra comunque prevalere l’ipotesi di una rapina. Secondo le prime informazioni, infatti, il responsabile del duplice omicidio sarebbe un uomo che avrebbe assassinato i due coniugi durante un tentativo di furto.

 

In Ungheria, almeno 150 persone sono rimaste ferite in seguito a scontri scoppiati, nella notte, durante manifestazioni di protesta contro il premier socialista, Ferenc Gyurcsani. I disordini sono avvenuti dopo l’ammissione, da parte del primo ministro ungherese, di aver mentito sull’operato del governo al fine di vincere le elezioni di aprile. Il nostro servizio:

 

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L’Ungheria, poche settimane prima del cinquantesimo anniversario della sanguinosa rivolta antisovietica iniziata il 23 ottobre del 1956, è stata scossa nelle ultime ore da dure manifestazioni di protesta. Si tratta dei primi violenti scontri dopo la rivoluzione pacifica dell’autunno del 1989, che portò alla caduta del regime comunista. L’ondata di proteste è stata alimentata da alcune dichiarazioni rilasciate ieri dal premier che ha ammesso di aver deliberatamente mentito sui risultati ottenuti negli ultimi due anni dal governo. La sua ammissione è stata anche preceduta dalla diffusione, domenica scorsa su Internet, di un nastro audio nel quale il primo ministro dichiara in un discorso, pronunciato a maggio, di aver mentito sul suo operato e su quello del governo di Budapest. Alle sue dichiarazioni sono seguite le dure proteste di migliaia di dimostranti, che hanno tentato di irrompere ieri nella sede della televisione di Stato per leggere un loro appello. Ma sono subito intervenuti reparti di polizia in tenuta antisommossa e negli scontri, caratterizzati da un fitto lancio di sassi e lacrimogeni, sono rimasti feriti almeno 100 agenti e 50 dimostranti. La polizia ha anche arrestato almeno 8 persone. La situazione a Budapest sembra adesso tornata alla calma, anche se almeno 500 persone si sono riunite poco fa davanti al Parlamento. E la tensione sale anche negli ambienti politici ungheresi: il premier ha già dichiarato di non pensare alle dimissioni aggiungendo che “la protesta di piazza non è una soluzione ma causa di crisi e conflitti”. L’opposizione di centrodestra ha chiesto, infine, le sue dimissioni e annunciato di voler boicottare i lavori parlamentari di oggi.

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In Somalia, fonti della presidenza hanno rivelato che ci sarebbe Al Qaeda dietro il fallito attentato di ieri contro il presidente ad interim somalo a Baidoa, città a sud ovest del Paese africano che ospita le istituzioni di transizione. Nell’attacco sono morte 11 persone, tra le quali il fratello del capo di Stato. La Somalia si conferma, dunque, luogo di reclutamento per la rete terroristica guidata da Osama Bin Laden. E’ quanto conferma, al microfono di Salvatore Sabatino, il direttore della rivista “Nigrizia”, padre Carmine Curci:

 

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R. – La Somalia, storicamente – possiamo dire – ha accolto nel suo territorio campi di addestramento dei terroristi. Non è quindi una novità che continuino ad esserci delle forze presenti. L’altro elemento, che è difficile comprendere in questo momento, è come vi possa essere un controllo sulle Corti islamiche, anche su tutto il territorio. Quello che preoccupa è che la situazione è ad alto rischio, in Somalia. Quindi, l’attentato fa presumere ancora che le forze terroristiche di Al Qaeda siano molto presenti. Hanno anche la capacità di arrivare a compiere un attentato contro il presidente. La comunità internazionale sta cercando ancora di comprendere cosa stia realmente succedendo in Somalia e con quali interlocutori poter entrare in dialogo.

 

D. – La svolta musulmana della Somalia, con il potere in mano alle Corti islamiche, può di fatto cambiare, secondo lei, i già fragili equilibri africani?

 

R. – Il Paese era stanco dei soldati e della guerra, quindi, hanno trovato l’occasione di queste Corti islamiche per riportare un po’ d’ordine. Bisogna capire se all’interno di queste forze islamiche possa avere più forza la parte moderata. Ed in questo momento le formazioni moderate sembrano in grande difficoltà. C’è il timore che le forze all’interno delle Corti islamiche, quelle più radicali e fondamentaliste, possano in una maniera o in un’altra, assumere sempre più potere. Questo creerebbe non solo a Mogadiscio, ma in tante altre parti della Somalia, una situazione di altissima tensione.

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Le indagini delle autorità ivoriane, nell’ambito dell’inchiesta sui rifiuti tossici scaricati da una nave ad Abidjan che ha provocato finora 7 morti e migliaia di intossicati, hanno portato all’arresto di due dirigenti francesi della multinazionale “Trafigura Ltd”. Secondo quanto riferito dall’agenzia missionaria MISNA, la polizia ivoriana non ha ancora precisato i capi d’accusa contro i due dirigenti che, precedentemente, erano stati interrogati come persone informate dei fatti. Fino ad oggi, sono state arrestate otto persone, tra cui gli amministratori di una società ivoriana alla quale la “Trafigura Ltd” aveva delegato le operazioni di smaltimento di rifiuti contenenti scarti tossici.

 

I terroristi di Al Qaeda si starebbero introducendo in Europa attraverso le rotte migratorie clandestine verso le Canarie. Lo ha detto oggi il segretario generale della Confederazione spagnola di polizia (CEP). A far scattare l’allarme della polizia iberica è stato l’arresto di 50 pachistani a 70 chilometri da Dakar, sospettati di appartenere alla rete terroristica. Secondo le autorità del Senegal, i presunti terroristi stavano per raggiungere l’arcipelago spagnolo. Il segretario generale del CEP ha anche aggiunto che la polizia, nelle Canarie, non è preparata per far fronte a questa minaccia e ha giudicato insufficiente l’invio di altri 450 agenti, annunciato ieri dal governo.

 

 

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