RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 256  - Testo della trasmissione di mercoledì 13  settembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Giornata dedicata agli affetti familiari e ai ricordi per Benedetto XVI, che nel pomeriggio visiterà la tomba dei propri cari e la casa in cui ha alloggiato durante la docenza universitaria. Stamane ha inaugurato un nuovo organo nella vecchia cappella di Ratisbona: con noi padre Federico Lombardi e Margit Klier

 

Il cordoglio del Pontefice per la morte del re di Tonga

 

L’anno prossimo il Papa si recherà a Pavia per pregare nella Basilica dove sono custodite le reliquie di Sant’Agostino

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Partita la campagna mondiale di “Save the children” per portare a scuola gli oltre 100 milioni di bambini che non hanno accesso all’istruzione: ce ne parlano Valerio Neri e Carlotta Sami

 

  La manifestazione “Il grido degli esclusi” chiede al governo del Brasile condizioni di vita dignitose per chi vive ai margini della società: intervista con il vescovo Demétrio Luiz Valentini

 

In corso la 61.ma edizione della Sagra musicale umbra, dedicata al “Suono dello spirito”

 

CHIESA E SOCIETA’:

Il messaggio del Papa al II Congresso latinoamericano e caraibico sulla Dottrina sociale della Chiesa, in corso  a Città del Messico

 

Secondo l’organizzazione Human Rights Watch, la Libia è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani ai danni dei migranti

 

L’ONU ha annunciato l’arrivo in Costa d’Avorio di esperti per stabilire cause e responsabilità della crisi dei rifiuti tossici scaricati lo scorso mese di agosto nel porto di Abidjan

 

Secondo una ricerca dell'Istituto nazionale tumori Regina Elena si aprono nuove prospettive per la cura del cancro

 

24 ORE NEL MONDO:

Morte a Baghdad almeno 28 persone in tre attentati. Sempre nella capitale irachena, trovati 60 cadaveri

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

13 settembre 2006

 

GIORNATA DEDICATA AGLI AFFETTI FAMILIARI, PER BENEDETTO XVI,

CHE HA INAUGURATO UN NUOVO ORGANO NELLA VECCHIA CAPPELLA DI RATISBONA.

NEL POMERIGGIO, LA VISITA DEL PAPA SULLA TOMBA DEI PROPRI CARI E AL PAESE

DI PENTLING, DOVE ALLOGGIO’ DURANTE LA DOCENZA UNIVERSITARIA.

VASTA ECO MEDIATICA ALLE PAROLE DEL PONTEFICE DEDICATE IERI AL DIALOGO

CON L’ISLAM E AL CONFRONTO TRA SCIENZA E FEDE

- Intervista con padre Federico Lombardi -

 

Una giornata di impegni più leggeri, per lasciare spazio ai ricordi e agli affetti personali, dopo l’intensa serie di appuntamenti e di interventi che hanno cadenzato le precedenti 24 ore. Per Benedetto XVI, la seconda mattinata trascorsa oggi a Ratisbona - penultima del suo viaggio apostolico - ha avuto un solo momento pubblico: l’inaugurazione del nuovo organo della Alte Kapelle, antichissimo luogo di culto che custodisce una immagine miracolosa della Vergine, attribuita all’evangelista Luca. L’occasione ha permesso al Pontefice di legare in una stessa similitudine la musica sacra e la vita della Chiesa, nella quale – ha affermato - bisogna sempre ritrovare “l’accordo nella lode di Dio e nell’amore fraterno”. Per i particolari, la linea al nostro inviato in Germania, Paolo Ondarza.

 

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“Nella Chiesa, nella varietà dei doni e dei carismi, dobbiamo trovare mediante la comunione nella fede sempre di nuovo l’accordo nella lode di Dio e nell’amore fraterno”. Ha pronunciato queste parole Benedetto XVI inaugurando il nuovo organo della Alte Kapelle di Ratisbona, una delle chiese più antiche della diocesi. Un’esortazione alla comunità cristiana affinché, attraverso l’immagine dell’orga-no, in cui “una mano esperta riporta le disarmonie alla retta consonanza”, impari l’armonia e la comunione. Concetto, questo, ribadito anche nella preghiera di benedizione:

 

Wie die vielen Pfeifen sich in einem Klang vereinen, …

“Come le tante canne si uniscono in un solo suono,

così unisci, ti preghiamo,

tutti i membri della Chiesa

in amore fraterno.

 

Perché cantiamo un giorno

insieme con tutti gli angeli e i santi

alla tua gloria

il canto di lode eterna”.

“Il Papa ha ricordato anche l’importanza della musica sacra nella liturgia. Citando la Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II, ha detto:

 

Der mit dem Wort verbundene gottesdienstliche Gesang ein notwendiger …

 “Il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne”, non un “abbellimento del culto”, né “un’aggiunta che incornicia e rende piacevole la liturgia”.

 

Il canto e la musica costituiscono “un modo importante di partecipazione attiva all’evento cultuale”. “L’organo, re degli strumenti musicali, perché riprende tutti i suoni della creazione – ha concluso il Papa – dà risonanza alla pienezza dei sentimenti umani”.

 

Si è trattato dell’unico discorso pronunciato in questa giornata all’insegna dei ricordi privati per Benedetto XVI in Baviera. Prima di recarsi alla Alte Kapelle, Benedetto XVI, trascorsa la notte al seminario maggiore di Ratisbona, ha celebrato la Messa e pregato la Liturgia delle Ore in privato nella cappella dell’istituto insieme con il fratello, mons. Georg Ratzinger, quindi ha avuto una serie di colloqui privati con familiari e amici. Dopo un nuovo bagno di folla, in cui il Papa si è intrattenuto con la gente accarezzando alcuni bambini, il pranzo a casa di mons. Georg Ratzinger, a Ratisbona. Nel pomeriggio, prima la visita al cimitero di Ziegetsdorf sulle tombe dei genitori e della sorella Maria, poi il tempo restante nella casa privata di Benedetto XVI a Pentling, a 4 km da Ratisbona. Il tutto sotto un cielo azzurro e un clima davvero splendido, che, va sottolineato, ha accompagnato il Papa nel corso di tutto questo viaggio.

 

Dalla Baviera, Paolo Ondarza, Radio Vaticana.

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Una località più piccola della Città del Vaticano – appena 32 Kmq. – abitata da qualche centinaio di persone. E’ questa la realtà di Pentling, piccolo paese a pochi chilometri da Ratisbona, che ospitò l’allora prof. Ratzinger, negli anni Settanta. Come accennato, Benedetto XVI vi tornerà in visita tra poco più di un’ora e, insieme con il fratello, si tratterrà per cena nella sua vecchia casa, prima di ritornare al Seminario maggiore di Ratisbona. Grande, evidentemente, l’attesa per la ridotta popolazione locale in vista dell’incontro con l’antico concittadino, come racconta Margit Klier, un’insegnante di Pentling, intervistata da Paolo Ondarza:

 

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R. – Il mio ricordo è quello di quando il prof. Ratzinger abitava a Pentling. Ha sempre celebrato la Messa qui e non ha mai vissuto in modo appariscente.

 

D. – Quindi, una persona anche riservata e cordiale…

 

R. – Sì, molto cordiale.

 

D. – Benedetto XVI trascorrerà il pomeriggio lì a Peintling. Per la gente questo che cosa vuol dire?

 

R. – Che lui apprezza molto questo paese. Per noi è una grande cosa, veramente un grande onore.

 

D. – Lei sa che il Papa continua a ricevere notizie da Peintling ogni mese. Infatti, arriva in Vaticano il bollettino…

 

R. – Sì, senza dubbio, perché siamo stati ad un’udienza privata e lui sapeva tutto di noi, anche le più piccole notizie.

 

D. – Questa chiaramente è una cosa che le farà molto piacere…

 

R. – Sì!

 

D. - La commuove?

 

R. – Sì, molto.

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Ben diversa, per il Papa, era stata la giornata di ieri, durante la quale Benedetto XVI aveva dapprima incontrato i rappresentanti del mondo accademico e della scienza nella “sua” Università di un tempo, quindi le delegazioni luterana e ortodossa nel corso di una cerimonia ecumenica nel duomo di Ratisbona. Nei due interventi, densi e complessi, il Papa ha affrontato il tema del confronto possibile tra fede e ragione e del dialogo con l’islam, mettendo in guardia, da un lato, sulle derive di un razionalismo che tende ad escludere Dio, e dall’altro di una fede imposta con la violenza, “in contrasto con la natura di Dio e dell’anima”. Il racconto dei due eventi nel servizio del nostro inviato in Baviera, Paolo Ondarza:

 

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Fede e ragione al centro del discorso del Papa al mondo accademico dell’Università di Ratisbona. Qui, il cardinale Joseph Ratzinger fu titolare della cattedra di dogmatica e storia del dogma, ricoprendo anche l’incarico di vicerettore. Nel mondo occidentale – ha detto Benedetto XVI - domina largamente l’opinione che “soltanto il tipo di certezza derivante da matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità”. Ma, ha sottolineato, “un tale metodo esclude il problema Dio, facendolo apparire come ascientifico o pre-scientifico”.

 

“E’ l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché, allora – ha continuato – gli interrogativi propriamente umani, della religione e dell’etica, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla ‘scienza’ e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo”. “In questo modo – ha spiegato Benedetto XVI – l‘ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità personale”.  Agli accademici di Ratisbona il Papa ha detto ancora:

 

Eine Vernunft, die dem Göttlichen gegenüber taub ist und Religion …

“Una ragione che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture”.

Ma la moderna ragione, propria delle scienze naturali, – ha constatato Benedetto XVI – porta in sé un interrogativo che la trascende: essa deve accettare la struttura razionale della materia come un dato di fatto”. La domanda sul perché di questo dato di fatto – ha proseguito il Papa – esiste e deve essere affidata alla filosofia e alla teologia:

 

Der Westen ist seit langem von dieser Abneigung gegen die …

“L’Occidente è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così può subire solo un grande danno”.

 

“Questo tentativo di critica della ragione moderna – ha detto il Papa – non include assolutamente l’opinione che ora si debba tornare indietro, a prima dell’illuminismo: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che lo spirito moderno ha aperto all’uomo”. Importante, dunque, allargare la ragione perché – ha continuato Benedetto XVI – con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e ci chiediamo come possiamo dominarle”: “Ci riusciamo solo se fede e ragione si ritrovano unite in modo nuovo”. Si tratta di “un incontro che ha creato l’Europa e rimane il suo fondamento”. “Solo nell’incontro tra fede e ragione è possibile un vero dialogo delle culture e delle religioni, di cui abbiamo urgente bisogno”. In questo dialogo possono emergere diversità profonde. Benedetto XVI ne ha citato un esempio all’inizio della sua lezione, parlando di un colloquio nel XIV secolo tra l’impe-ratore bizantino e un colto persiano musulmano. Il loro confronto si focalizza sul rapporto tra religione e violenza, e sul significato della trascendenza di Dio e la diffusione pacifica della fede. Ma nonostante le differenze che ne emergono, il Papa ha invitato il mondo occidentale ad “ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana”, che costituiscono una fonte di conoscenza. Rifiutare  questa fonte significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere.

 

In serata, i Vespri ecumenici  nel Duomo di Ratisbona. Alla celebrazione hanno partecipato il vescovo luterano, Johannes Friedrich, il metropolita ortodosso Augustinos e il vescovo evangelico luterano, Weiss. Presente anche una delegazione ebraica, guidata dal presidente del Comitato ebraico bavarese, Schuster. Benedetto XVI ha ricordato il dialogo teologico sul tema della koinonia, che fra pochi giorni riprenderà a Belgrado, esprimendo l’auspicio che “la comunione col Dio vivente che unisce i cristiani si approfondisca fino all’unità piena”. Il Papa inoltre si è detto “lieto” dell’adesione da parte del “Consiglio mondiale delle Chiese metodiste” alla dichiarazione sulla giustificazione:

 

In der Zeit der multireligiösen Begegnungen sind wir leicht versucht, …

“Nell’epoca degli incontri multireligiosi - ha detto Benedetto XVI - siamo facilmente tentati di attenuare la confessione centrale in Gesù Cristo, Figlio di Dio, o addirittura di nasconderla. Ma con ciò non rendiamo un servizio all'incontro, né al dialogo”.

 

Da qui, il Papa ha sottolineato l’importanza di “porre in discussione in modo completo e non soltanto frammentario la nostra immagine di Dio”. “Nella comune confessione in Cristo Gesù – ha concluso – non esiste alcuna divisione tra noi. Vogliamo pregare, affinché questo fondamento comune si rafforzi sempre di più”.

 

Da Monaco di Baviera, Paolo Ondarza, Radio Vaticana.

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Le parole del Papa, riprese e diffuse dai media in tutto il mondo, hanno avuto una vastissima eco. Diverse, ovviamente, sono state le accentazioni e l’enfasi attribuite da cronisti e commentatori ai temi del dialogo con l’islam e con il mondo scientifico e intellettuale. In proposito, ecco il commento del nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, raggiunto telefonicamente a Ratisbona da Massimiliano Menichetti:

 

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R. – Certamente, il Papa ha fatto una vera e forte lezione accademica: ma è una lezione accademica di un Papa, e di un Papa teologo. Egli ha difeso con coraggio e chiarezza l’armonia tra la fede e la ragione, anzi, la necessità vicendevole della fede e della ragione, proprio per il bene dell’umanità di oggi: una idea di ragione ridotta semplicemente ai criteri delle scienze naturali o del positivismo non può rispondere alle grandi necessità dell’uomo di oggi, ai grandi interrogativi che rimangono sempre fondamentali per l’umanità: il “da dove veniamo”, “dove andiamo”, come dominare la potenza della tecnica che sta crescendo nelle nostre mani. Ecco, ci vuole un’idea di ragione ampia, in cui anche il contributo della fede, il dialogo tra la fede e la ragione, abbiano un posto essenziale.

 

D. – Citando un discorso su islam e cristianesimo dell’imperatore bizantino Emanuele II Paleologo, il Papa ha rimarcato che la violenza è in contrasto con la natura di Dio e dell’anima. Possiamo approfondire questo passaggio?

 

R. – Direi che certamente è un punto di partenza importante di questo discorso, ma non è la meta del discorso. E’, in un certo senso, quasi un esempio, quello del problema della religione e della violenza, a partire dal quale il Papa dimostra la necessità della ragione sia per lo sviluppo retto della teologia, sia per una adeguata idea di Dio. Ma non è che la meta del discorso fosse affrontare il problema dell’uso violento della religione. Questo – mi sembra – è un esempio, sia pure importante, per muovere su un discorso di carattere molto più ampio che è appunto quello del rapporto tra la fede e la ragione, dell’importanza della teologia, della dignità della teologia come scienza, del suo diritto e della sua necessità nell’universitas del sapere.

 

D. – In questo senso, il Papa ha parlato anche di dialogo tra culture e religioni…

 

R. – Esattamente. Il Papa mette chiaramente in rilievo come proprio questa visione più ampia della ragione, che tiene conto anche della dimensione religiosa del rapporto con Dio e della tradizione della fede, sia essenziale per renderci capaci di incontrarci, di dialogare con le altre religioni. Invece, una cultura che emargina la dimensione religiosa dalla dignità di sapere non è capace di incontrare le altre grandi culture in cui la dimensione religiosa è essenziale.

D. – Nel tema del dialogo tra le religioni e del dialogo tra religione e fede, l’ultimo invito di Benedetto XVI è stato quello ad aprirsi: il coraggio di aprirsi all’ampiezza della religione, cioè di una fede che abbracci quindi anche la ragione…

 

R. – Sì, il coraggio dell’ampiezza della ragione, certo. La ragione, appunto, che non va limitata in nessun modo a dei criteri puramente matematico-scientifici o sperimentali: per quanto questi siano essenziali, non ti danno l’ampiezza di tutta la realtà e di tutta la realtà umana, della realtà in senso ampio. Bisogna considerare “ragione” anche l’attività che riflette metodicamente, profondamente e seriamente sulle grandi domande dell’uomo, e dunque: da dove viene, dove va e qual è il suo rapporto con Dio.

 

D. – Attraverso la televisione, abbiamo notato una grande attenzione da parte del consesso degli scienziati, un grande apprezzamento. E’ stato realmente così?

 

R. – Certamente. E’ stata anche una prova della grandissima qualità intellettuale e culturale dell’insegnamento del Papa, che si è dimostrato una personalità di altissimo livello nella cultura, con la sua capacità di affrontare temi molto impegnativi con grande chiarezza e grande capacità di sintesi. In questo discorso, noi abbiamo veramente percorso un po’ la storia del rapporto tra ragione e fede: dall’Antico Testamento al rapporto tra la razionalità greca e la cultura biblica - sia nell’Antico Testamento, e ancora, la Traduzione dei Settanta, sia poi nel Nuovo Testamento… E poi, in un certo senso, abbiamo percorso anche la storia della teologia, dai Padri alla Riforma, a Kant, al tempo moderno… Davvero, nel giro di poche decine di minuti il Papa ha saputo darci una grandissima panoramica di storia della cultura e di storia della cultura teologica, riportandola all’attualità. Con dei riferimenti molto concreti: per esempio, alle radici cristiane dell’Europa, alla cultura europea e alla missione che la cultura europea dovrebbe continuare a svolgere.

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IL CORDOGLIO DEL PAPA PER LA SCOMPARSA DEL RE DI TONGA,

TAUFA’AHAU TUPOU IV, LA CUI SALMA HA FATTO RIENTRO OGGI

NELLA CAPITALE DEL PICCOLO STATO-ARCIPELAGO DEL PACIFICO,

IN ATTESA DEL FUNERALE PREVISTO MARTEDI’ 19 SETTEMBRE

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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“Il dono divino della consolazione e della pace” possa scendere sul Regno di Tonga. L’invocazione di Benedetto XVI nel telegramma di cordoglio per la morte - domenica scorsa - del Re Taufa’ahau Tupou IV, spentosi all’età di 88 anni, dopo 41 anni di reggenza del piccolo Stato-arcipelago del Pacifico. Rivolto al figlio dello scomparso, alla famiglia reale e a tutto il popolo di Tonga, il Santo Padre assicura le sue preghiere e la sua partecipazione spirituale al lutto nazionale, raccomandando lo scomparso sovrano “all’amorevole misericordia dell’Onnipotente Dio”.

        

Proprio oggi la salma di Tupou IV ha fatto rientro in patria, dalla città neozelandese di Auckland, dove il longevo sovrano era ricoverato da diversi mesi in ospedale, e dove ieri migliaia di tongani – circa 40 mila che vivono in nuova Zelanda - hanno portato l’estremo saluto al defunto Re. Ad accoglierlo nella capitale Nuku’alofa un lungo corteo funebre, in un clima di commozione, in attesa dei solenni funerali di Stato previsti martedì prossimo 19 settembre. Sul trono di Tonga sale il principe Tupouto’a, 58 enne celibe, che ha già prestato giuramento al Parlamento lunedì scorso, ma che sarà incoronato - con il nome di Taufa’ahau Tupou V - tra circa un anno, concluso il periodo di lutto.

 

Il piccolo Regno tongano, già protettorato britannico, indipendente dal 1970, conta circa 100 mila abitanti, ed è retto da una monarchia costituzionale, che assicura al Re poteri estesi sul patrimonio e sulle istituzioni dello Stato, compresa la nomina dei ministri di Gabinetto; poteri contestati lo scorso anno da circa 10 mila manifestanti scesi in piazza per chiedere la democrazia e la nazionalizzazione dei beni di pubblica utilità.

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BENEDETTO XVI VISITERA’ PAVIA NEL 2007:

IN QUELL’OCCASIONE PREGHERA’ NELLA BASILICA DOVE SONO CUSTODITE

DALL’VIII SECOLO LE RELIQUIE  DI SANT’AGOSTINO

 

Benedetto XVI compirà un viaggio a Pavia nel corso del 2007. In quell’occasione il Papa visiterà la Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro: qui pregherà davanti all’Arca marmorea di Sant’Agostino in cui sono custodite le reliquie del vescovo d’Ippona, fatte pervenire dal re longobardo Liutprando nell’VIII secolo. Sant’Agostino è uno dei Padri della Chiesa più citati da Benedetto XVI, che nel 1953 divenne dottore in teologia con la tesi “Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant’Agostino”.

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Il viaggio apostolico di Bendetto XVI in Germania. I servizi dell’inviato Giampaolo Mattei. La rassegna della stampa internazionale.

 

Servizio estero - Siria: gli USA ringraziano Damasco per aver sventato l’attacco all’ambasciata.

 

Servizio culturale - Un articolo di Roberto Morozzo Della Rocca dal titolo “Il processo ‘pilotato’ contro un vescovo tedesco nell’Italia della ‘Grande Guerra’”: un libro sulla vicenda di mons. Giuseppe B. Doebbing.

 

Servizio italiano - Economia; Telecom: l’irritazione del governo. Preoccupa la sorte di Tim.

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OGGI IN PRIMO PIANO

13 settembre 2006

 

 

PARTITA LA CAMPAGNA MONDIALE DI “SAVE THE CHILDREN

PER PORTARE A SCUOLA GLI OLTRE 100 MILIONI DI BAMBINI

CHE NON HANNO ACCESSO ALL’ISTRUZIONE

- Interviste con Valerio Neri e Carlotta Sami -

 

La promessa dei leader del mondo di garantire l’accesso all’istruzione a tutti i bambini che ancora non la ricevono entro il 2015 rischia di non essere mantenuta. Nel mondo sono 115 milioni i bambini che non vanno a scuola. Per ridare un futuro a questi bambini, Save the Children ha lanciato ieri la campagna “Riscriviamo il futuro”.  Sugli obiettivi di questa campagna ci parla Carlotta Sami, direttore dei programmi di Save the Children Italia, al microfono di Elisabetta Rovis:

 

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R. – Save the Children lancia questo grande movimento mondiale per portare nei prossimi cinque anni 8 milioni di bambini e bambine all’educazione. Sono bambini che vivono in Paesi in guerra e sono quelli che più spesso sono vittime non solo di violenza ma del fatto che non hanno nessun accesso alla scuola.

 

D. – Qual è l’importanza di tenere aperta una scuola durante una guerra?

 

R. – Nell’immediato, quando una guerra scoppia, innanzitutto educazione è protezione: sono spazi sicuri, dove i bambini possono stare, possono passare del tempo, esprimere loro stessi. Nel lungo periodo, è ricostruzione della società, per dare ai bambini capacità, abilità e opportunità per diventare cittadini consapevoli.

 

D. – La crisi nella scuola, nei Paesi in guerra, dipende dai pochi aiuti che arrivano dalla comunità internazionale: i 30 Paesi attualmente in guerra hanno infatti ricevuto solo un terzo degli otto miliardi e mezzo di dollari destinati agli aiuti per l’istruzione nei Paesi poveri. Ascoltiamo Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia:

 

R. – Questa campagna cerca di rompere un circolo vizioso che si sta creando. Che cosa succede? Che i grandi aiuti allo sviluppo per l’educazione di tutto il mondo arrivano molto scarsi, in poca quantità, nei Paesi che si trovano in guerra oppure sono instabili politicamente, perché quei governi non offrono garanzie ai donatori per questi fondi. Questo però fa sì che 43 milioni di bambini al mondo, oggi, non solo non hanno nessuna forma di scolarizzazione, né possono difendersi dalla guerra, rischiando anche di finire come ‘bambini-soldato’, ma non hanno alcuna speranza per il futuro, finita la guerra, di rifar partire la propria vita. Quindi, questa grande campagna vuole portare a scuola nei prossimi cinque anni otto milioni di bambini e generare soprattutto un movimento internazionale, che aiuti a sbloccare questo circolo vizioso degli aiuti internazionali portando a scuola anche tutti gli altri.

 

D. – In quali Paesi si concentrerà l’azione di Save the Children?

 

R. – I Paesi sono circa 20, diciamone alcuni: Nepal, Libano, Uganda, Congo, Afghanistan, Sudan … tutti Paesi mediamente instabili, con guerriglia interna.

 

D. – Quali sono le principali difficoltà che incontra chi cerca di fare scuola in un Paese in guerra?

 

R. – Fare educazione in un Paese in guerra è sempre molto difficile, perché il governo locale non ha nessuna intenzione di dedicare risorse all’educazione ma le storna sulla guerra. Quindi, forse il problema numero uno sarà quello di collaborare correttamente con i governi locali per riuscire a farli essere credibili verso i grandi donatori occidentali, per metterli in condizioni di ricevere fondi da destinare realmente all’educazione e non invece portarli sulla guerra.

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“IL GRIDO DEGLI ESCLUSI” CHIEDE AL GOVERNO DEL BRASILE

CONDIZIONI DI VITA DIGNITOSE PER CHI VIVE AI MARGINI DELLA SOCIETA’:

CELEBRATA NEL PAESE LATINOAMERICANO L’ANNUALE MANIFESTAZIONE

NEL GIORNO DELLA FESTA DELL’INDIPENDENZA

- Intervista con il vescovo Demetrio Luiz Valentini -

 

“Nella forza dell’indignazione, semi di trasformazione”: hanno scelto un titolo provocatorio gli organizzatori della manifestazione “Grido degli esclusi”, che ogni anno viene celebrata in Brasile in coincidenza con la festa dell’indipendenza. Il titolo dell’edizione 2006, svoltasi nei giorni scorsi, esprime i sentimenti dei milioni di cittadini socialmente emarginati che invocano cambiamenti nelle politiche governative: ad esempio, una riforma agraria di ampio respiro e strategie abitative che pongano fine alla proliferazione delle favelas. O ancora, l’accesso all’istruzione, alle strutture sanitarie e ad un lavoro degno per i più svantaggiati. Al grido degli esclusi si unisce la voce della Chiesa cattolica brasiliana: nel corso della manifestazione, una celebrazione eucaristica nel Santuario nazionale di Nostra Signora Aparecida ha concluso il Pellegrinaggio nazionale dei lavoratori. Su questo importante appuntamento, Raimundo De Lima ha sentito il vescovo di Jales, Demétrio Luiz Valentini:

 

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R. – Questa è una sfida centrale: l’esclusione sociale. Nel contesto dell’economia di oggi, nelle difficoltà che abbiamo è molto importante pensare ad una patria per tutti superando, perciò, tutti i motivi di esclusione sociale, politica ed economica. Prima di tutto, siamo consapevoli delle denunce di corruzione politica. Bisogna riconoscere, infatti, che esiste ancora e molte ne sono state le manifestazioni, soprattutto l’anno scorso. Questo ha provocato la disillusione, in un primo momento, e poi l’indignazione. Vediamo come positiva l’indignazione e per questo abbiamo scelto come tema di quest’anno: “Nella forza dell’indignazione, semi di trasformazione”. Vogliamo invitare i cittadini a trasformare in bene la loro indignazione, di fronte a tanti fatti di corruzione, soprattutto per non votare nelle prossime elezioni quanti hanno partecipato alla corruzione politica. E’ un invito a superare la disillusione politica, a riappropriarsi delle proprie responsabilità politiche e a tradurle concretamente nelle prossime elezioni, votando coscientemente per i candidati che si pensa e si crede siano degni di rappresentare la comunità civile.

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MELODIE DI BEETHOVEN PER L’APERTURA DELLA 61.MA EDIZIONE

DELLA SAGRA MUSICALE UMBRA, DEDICATA AL “SUONO DELLO SPIRITO”

 

Un ponte tra le diverse forme di spiritualità testimoniate dalla musica nella storia: “Suono dello Spirito” è il tema scelto per il cartellone della 61.ma Sagra musicale umbra, in corso al Teatro Morlacchi di Perugia. La manifestazione si era aperta con un concerto beethoveniano, diretto da Myung-Whun Chung e rappresenta un vero e proprio viaggio nelle tante ed originali tradizioni musicali classiche e popolari, alla ricerca del sacro. Il servizio di Luca Pellegrini.

 

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La Sagra musicale umbra continua anche quest’anno ad esplorare quell’anelito alla spiritualità che accompagna l’uomo e le sue creazioni artistiche, nello scorrere della storia e del tempo. E motivi di interesse il cartellone ne presenta moltissimi, riconoscendo innanzitutto come i segnali di trascendenza nella musica oltrepassino davvero i confini geografici e culturali, spaziando fra epoche e civiltà. Espressioni di aspirazione al sacro che si ritrovano, ad esempio, nella severa lezione di Bach e nel variegato repertorio napoletano del XVI secolo, interpretato con correttezza filologica dalla Cappella della Pietà de’ Turchini e Antonio Florio, oppure nei “ponti sacri” immaginati dai King’s Singers che intoneranno, il 17 settembre, i “Salmi di David” nelle diverse tradizioni religiose monoteistiche. Per toccare, poi, il patrimonio del folklore egiziano, con la presenza dei Dervisci Volteggianti “Al Tannura” e, a seguire, la bella voce della celebre cantante israeliana Noa. Una sorta di particolare spiritualità il direttore artistico della Sagra, Aldo Bennici, la scopre anche nella creatività dei giovanissimi dodicenni Mozart, cui offre un particolare omaggio, rappresentando “Bastiano e Bastiana” di Wolfgang Amadeus Mozart e i “Due pedagoghi” di Felix Mendelssohn. Infine, una prima esecuzione assoluta, il 20 settembre, all’Auditorium San Domenico di Foligno, con uno spettacolo ricavato dal “Memoriale” della Beata Angela da Foligno, dal titolo “Amor non conosciuto”, su musica di Silvia Colasanti e testi di Enzo Siciliano.

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CHIESA E SOCIETA’

13 settembre 2006

 

 

“l’approfondimento del Magistero sociale è un’autentica priorità pastorale E DEVE SERVIRE alla formazione delle coscienze”. così benedetto xvi ai partecipanti del II Congresso latinoamericano e caraibico

sulla Dottrina sociale della Chiesa, in corso a Città del Messico

- A cura di Luis Badilla -

 

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CITTA’ DEL MESSICO. = Nel suo telegramma, letto ai partecipanti dal nunzio apostolico mons. Bertello, Benedetto XVI sottolinea il ruolo centrale dei laici e afferma che essi “fedeli alla loro missione nella Chiesa e nel mondo saranno fermento della società ordinando tutte le cose temporali in modo che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo” (Lumen Gentium, 31). Nel suo intervento di apertura, il cardinale di Tegucigalpa (Honduras), l’arcivescovo Oscar Rodríguez Maradiaga, presidente del Dipartimento Giustizia e Solidarietà del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM), ha sottolineato che la regione latinoamericana e caraibica è una delle più svantaggiate del mondo e oggi deve guardare in faccia, con coraggio e speranza, ai suoi molti problemi tra i quali la corruzione, la povertà e i flussi migratori incontrollabili. Questo – ha ribadito l’arcivescovo honduregno – costituisce una “gigantesca sfida per la Chiesa” che è chiamata ad intensificare il “suo dialogo con gli ambienti politici” proprio per dare un contributo insostituibile “alla luce della Dottrina sociale che mette al centro di ogni cosa l’uomo e la sua dignità”. Dal canto suo il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace, pur non trascurando i segnali di speranza del continente Latinoamericano e Caraibico, ha segnalato tra gli altri aspetti la mancanza di un’autentica libertà religiosa, le enormi disuguaglianze sociali, il narcotraffico, la violenza. Il porporato ha quindi rilevato la necessità per tutti i cristiani di una collaborazione attiva alla costruzione della comunità politica e della democrazia in conformità alle esigenze del rispetto della dignità umana. Ed infine ha evidenziato l’esigenza di una buona relazione con la natura, nella concezione del problema ecologico come problema etico, al di là di ogni prospettiva ideologica e di ogni indiscriminata sottomissione della natura alla tecnica.

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la libia è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani

ai danni dei migranti. la denuncia è dell’organizzazione

HUMAN RIGHTS WATCH, che punta il dito anche contro l’italia

 

ROMA. = “Il governo libico sottopone migranti, richiedenti asilo e rifugiati a gravi abusi dei diritti umani, tra cui percosse, arresti arbitrari e rimpatri forzati”. E’ la denuncia dell’organizzazione umanitaria statunitense Human Rights Watch contenuta in un rapporto dal titolo “Arginare i flussi: abusi contro migranti, richiedenti asilo e rifugiati”. Nelle 135 pagine, lo studio documenta le modalità con cui le autorità libiche hanno proceduto all’arresto arbitrario di stranieri privi di documenti, rimpatriandoli poi con la forza in Paesi a rischio di persecuzione e tortura, come Eritrea o Somalia. Secondo dati ufficiali forniti dalla Libia, dal 2003 al 2005 sono stati rimpatriati 145mila stranieri. “La Libia non è un Paese sicuro per i migranti – ha affermato Bill Frelick, di Human Rights Watch -. L’Unione Europea sta lavorando con la Libia per impedire a queste persone di raggiungere l’Europa, piuttosto che assisterle fornendo loro protezione”.  Il rapporto punta il dito anche contro l’Italia, che, tra il 2004 e il 2005, “ha violato ampiamente il diritto internazionale”, con l’espulsione verso la Libia di più di 2.800 migranti, “compresi molto probabilmente rifugiati e altre persone che necessitavano di protezione internazionale”. Tra le accuse all’Italia anche il divieto a Human Rights Watch di accedere al Centro di prima accoglienza (CPT) di Lampedusa lo scorso anno. In questo quadro sono però giudicate positivamente le iniziative dell’attuale governo italiano di concedere, alle organizzazioni per i diritti umani, l’autorizzazione per entrare nella struttura di Lampedusa e la formazione di una Commissione d’inchiesta sulle condizioni di questi Centri. “Ora il governo deve assicurare, per chiunque giunga in Italia o sia intercettato in mare – ha precisato Frelick –, la concreta opportunità di presentare domanda d’asilo”. Intanto, mentre in Italia si discute sulla possibilità di cambiare la legge sull’immigrazione, ieri il Viminale ha decretato l’invio di uomini in Libia con lo scopo di collaborare con le autorità locali per bloccare la partenza dei migranti. Da parte sua il Consiglio italiano per i rifugiati (CIR) ha giudicato “molto allarmanti” le informazioni contenute nel rapporto chiedendo alla Libia di “porre fine agli abusi” e di aderire alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Il CIR ha chiesto inoltre all’Unione europea di “adoperarsi affinché il rispetto dei diritti umani sia precondizione per ogni forma di cooperazione con la Libia”. Sul versante spagnolo, infine, c’è da segnalare un accordo siglato ieri dal governo di Madrid con la Mauritania per fronteggiare in maniera congiunta il fenomeno migratorio verso le Canarie. Prevista in particolare l’estradizione o il rimpatrio di criminali, l’assistenza giudiziaria e la lotta contro i trafficanti di esseri umani. Accordi analoghi sono stati raggiunti la scorsa settimana anche con il Senegal. (E.B.)

 

 

l’onu ha annunciato l’arrivo in costa d’avorio di esperti per stabilire cause e responsabilità della crisi dei rifiuti tossici scaricati lo scorso mese di agosto nel porto di Abidjan. inviate anche scorte di medicinali

 

Abidjan. = In costa d’Avorio continua l’emergenza per le esalazioni dei rifiuti tossici scaricati illegalmente nel porto di Abidjan, la capitale economica del Paese, le scorse settimane. Il bilancio parla di 6 morti e 15 mila intossicati. Fonti della Chiesa locale, citate dall’agenzia Fides, precisano che “ogni giorno vengono scoperti nuovi depositi di liquami maleodoranti” e che in diverse zone della città l’aria resta irrespirabile. In questo quadro l’ONU, che intende stabilire le responsabilità dell’accaduto, ieri ha annunciato la partenza della macchina dei soccorsi per far fonte all’emergenza sanitaria. In particolare l’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) invieranno degli esperti ad Abidjan. “Si tratterà in un primo tempo di delimitare e vietare l’accesso alle zone inquinate, dove ieri - ha deplorato la portavoce dell'OCHA Elysabeth Byrs - sono stati ancora visti bambini giocare”. L’acqua – ha aggiunto - controllata quotidianamente, non risulta inquinata. L’OMS, che insieme all’UNICEF ha già inviato farmaci per un totale di 50mila dollari, si è impegnata ad affiancare le autorità locali a valutare l’impatto sanitario a breve e lungo termine. Da parte sua la presidenza ivoriana ha decretato la costruzione di un bunker per lo stoccaggio del materiale tossico e ha fatto sapere che 36 centri sanitari e due cliniche mobili sono a disposizione della popolazione. Per gli intossicati tutte le cure saranno completamente gratuite. Le fonti dell’agenzia Fides parlano anche di speculazioni politiche. “La gente – precisano - si chiede soprattutto perché questa crisi ecologica sia scoppiata in questo momento, dopo l’annuncio del rinvio delle elezioni del 31 ottobre e con il dialogo tra le parti politiche che si è di nuovo arenato. È solo una coincidenza o vi è stata una manovra di qualcuno?”. Sul piano politico, infine, dopo le dimissioni del governo, la scorsa settimana, si attende la formazione di un nuovo esecutivo. Non è chiaro per il momento se si tratterà di un semplice rimpasto oppure se si formerà un gabinetto del tutto nuovo. In ogni caso, nonostante gli sforzi dell’Unione Africana – concludono – “la crisi ivoriana rimane bloccata sulla questione del disarmo delle milizie che controllano il nord del Paese e sulla preparazione delle liste elettorali”. (E. B.)

 

 

SVELATO IL MECCANISMO DI RESISTENZA DEI TUMORI ALLA CHEMIOTERAPIA.

SECONDO UNA RICERCA DELL'ISTITUTO NAZIONALE TUMORI REGINA ELENA

SI APRONO NUOVE PROSPETTIVE PER LA CURA DEL CANCRO

 

ROMA. = I ricercatori dell'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena-IRE hanno scoperto il meccanismo di proliferazione di alcune cellule tumorali in risposta ai trattamenti chemioterapici. La scoperta ruota intorno all’azione di una proteina, la p53 mutata, presente in più della metà dei tumori umani. La p53 non solo aiuta il tumore a resistere alla chemioterapia, ma svolge un’attività di ‘guadagno di funzione’: ovvero fa sì che la chemio diventi un vero e proprio stimolo propulsore alla crescita tumorale. Gli scienziati del Regina Elena hanno identificato i meccanismi che stanno alla base di questo ‘guadagno di fuzione’, scoprendo che la capacità della p53 di indurre ad una proliferazione delle cellule tumorali è dovuta alla sua integrazione con un'altra proteina cellulare, la NF-Y, un regolatore del ciclo cellulare. La cooperazione tra le due proteine aiuta le cellule a resistere alla chemioterapia. La scoperta consentirà dunque di aggirare il trucco delle cellule malate e di attaccarle con nuove armi, ma anche di individuare terapie personalizzate che, prima di somministrare la chemioterapia, determinino con esattezza quali pazienti ne trarranno benefici e quali no. (M.G.)

  

 

 

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24 ORE NEL MONDO

13 settembre 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Marco Guerra -

 

 

In Iraq, tre ordigni sono esplosi a Baghdad provocando la morte di almeno 28 persone. L’episodio più grave è avvenuto in una strada affollata della capitale, dove è esplosa un’autobomba al passaggio di una pattuglia della polizia. Un secondo ordigno è stato innescato all’arrivo dei soccorritori, portando a 20 il numero dei morti di questo duplice attentato. Altre otto persone sono rimaste uccise nella parte orientale della capitale per l’esplosione di un’autobomba. Sempre a Baghdad, la polizia ha rinvenuto i corpi senza vita, con segni di tortura, di almeno 60 persone. Secondo un recente rapporto dell’ONU, sono circa 100 i morti al giorno in Iraq a causa della guerra civile sotterranea che coinvolge soprattutto sciiti e sunniti.

 

Orrore e profonda inquietudine in Turchia per l’attentato dinamitardo compiuto, ieri, nella città curda di Diyarbakir, nei pressi di una fermata di autobus vicina ad un parco giochi per bambini. L’attentato, che ha provocato almeno 11 morti tra i quali 6 bambini, non è stato ancora rivendicato. Si tratta dell’ultimo di una drammatica serie di attacchi che hanno insanguinato la Turchia negli ultimi giorni. Molti osservatori ritengono che dietro queste azioni terroristiche ci sia la mano del sedicente gruppo dei “Falchi per la liberazione del Kurdistan” che chiedono la separazione della regione curda dalla Turchia.

 

E’ morto in ospedale, a causa delle gravi ferite riportate nello scontro a fuoco con le Forze speciali siriane, anche il quarto assalitore che ieri aveva attaccato l’ambasciata degli Stati Uniti a Damasco insieme con tre complici. Nell’azione, oltre agli attentatori - tutti siriani - era rimasto ucciso anche un agente. Le autorità siriane non hanno rilasciato informazioni sull’identità dei terroristi. Secondo fonti di stampa, si tratta di militanti integralisti islamici.

 

Esattamente un anno fa, terminava il disimpegno di Israele dalla Striscia di Gaza. La decisione dello Stato ebraico, purtroppo, non ha portato ad alcun allentamento delle tensioni tra Israele ed il governo del movimento radicale di Hamas. Sono continuati, quasi giornalmente, i raid israeliani e i lanci di razzi palestinesi. Sui motivi della mancata distensione nell’area, Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di Janichi Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente:

 

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R. – Credo che sia stato senz’altro importante quel ritiro, perché ha dimostrato che delle colonie possono essere evacuate, affrontando anche dure resistenze interne. Tuttavia, il carattere unilaterale di quel ritiro non ha impegnato la controparte a rispettare la tregua e a non compiere attacchi. Su questo si è basato Hamas per continuare a lanciare razzi sul territorio israeliano. Si è trattato, dunque, di un abbandono che non si è tramutato in pace.

 

D. – L’annunciato varo di un governo di unità nazionale palestinese, quindi un esecutivo più moderato, potrebbe allentare le tensioni con Israele, ma soprattutto dare linfa agli interventi internazionali, in particolare economici?

 

R. – Io penso che questo accordo sia di grande rilievo, perché sostanzialmente c’è una piattaforma che non crea le condizioni per la trattativa diretta tra Hamas e Israele. Ma, tuttavia, conferisce al presidente palestinese, Abu Mazen, un mandato anche da parte di Hamas a trattare. Quindi, Abu Mazen oggi si presenta più forte con Israele e già in questi giorni si annuncia un possibile incontro tra il premier israeliano Olmert e il presidente palestinese. Nell’ultima fase, Abu Mazen si presentava come un accusatore che non rappresentava complessivamente i palestinesi perché Hamas non lo riconosceva. Adesso, se si arriva ad un governo di unità nazionale, si potrà andare al negoziato con un presidente più rappresentativo. Credo, poi, che si potrà arrivare al negoziato anche – altro elemento importante – in presenza di un governo internazionale che lasci i Ministeri chiave nelle mani di Al Fatah: potrebbe essere quindi rinvigorita la trattativa, riavviati i contatti a livello internazionale e riaperta la valvola degli aiuti internazionali.

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Il generale Udi Adam, già capo del Comando Nord israeliano responsabile delle operazioni militari durante la recente guerra in Libano, ha rassegnato le dimissioni. All’origine dell’improvvisa decisione, secondo i mass media dello Stato ebraico, ci sarebbero le aspre divergenze tra lo stesso ex comandante del settore nord e il capo dello Stato maggiore sulla conduzione delle ostilità contro i guerriglieri sciiti libanesi degli Hezbollah. La gestione del conflitto in Libano ha suscitato forti polemiche in Israele, sia contro il governo del premier Ehud Olmert e il suo ministro della Difesa, Amir Peretz, sia contro i vertici delle Forze armate.

 

La Germania è pronta ad inviare 2.400 militari per rinforzare il contingente dell’ONU in Libano, l’UNIFIL. La decisione è stata presa questa mattina a Berlino durante una riunione del governo e sarà sottoposta, la prossima settimana, all’approvazione del Parlamento. A New York, intanto, il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, ha ribadito ieri che nel sud del Libano gli Hezbollah devono essere disarmati e che Israele deve porre un termine ai raid aerei. Secondo Annan, ci potrà essere il rispetto della cosiddetta linea blu, il confine provvisorio tra Israele e Libano, soltanto se non ci saranno più persone armate tra la frontiera e il fiume Litani, ad eccezione dei soldati libanesi e dei militari dell’UNIFIL.

 

E la crisi libanese, il programma nucleare iraniano e la successione alla guida delle Nazioni Unite di Kofi Annan, che terminerà il suo mandato nel dicembre prossimo, sono i temi al centro della 61.ma Assemblea Generale dell’ONU. La riunione è stata inaugurata ieri a New York con l’intervento del presidente, Haya Rashed Al Khalifa, rappresentante del Bahrein e prima donna musulmana a ricoprire l’alta carica.

 

Senegal, Cuba, Venezuela e l’ONU di New York. Sono le tappe del viaggio iniziato oggi dal presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad. Particolarmente importanti le soste all’Avana e a Caracas, prima della partecipazione alla 61.ma sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. In questo momento di prolungate tensioni in Medio Oriente, e con la crisi nucleare innescata da Teheran ancora in corso, che significato ha la missione all’estero di Ahmadinejad? Giada Aquilino lo ha chiesto ad Alberto Zanconato, della sede Ansa di Teheran:

 

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R. – Per Ahmadinejad è un’ottima occasione - soprattutto quella della partecipazione all’Assemblea generale - per riaffermare le ragioni del proprio Paese, che continua a sostenere come sia suo diritto avere un programma nucleare completo basato sull’arricchimento dell’uranio. Ed è anche un’occasione, forse, per qualche altra iniziativa clamorosa da parte di Ahmadinejad, che - ricordiamo - recentemente ha prima inviato una lettera al presidente americano Bush, in cui lo sollecitava a cambiare politica per favorire il ritorno della pace nel mondo, poi ha sfidato il capo della Casa Bianca ad un dibattito televisivo in diretta e, infine, non avendo ricevuto risposta, lo ha sfidato ad un incontro pubblico, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un incontro che sicuramente non avverrà, ma che potrebbe dare l’opportunità ad Ahmadinejad di dimostrare che Teheran in fondo è disponibile ad un dialogo, ma non lo sono gli Stati Uniti.

 

D. – Di particolare rilievo sono anche le soste all’Avana e a Caracas. Che rapporti ci sono con Fidel Castro e Hugo Chavez?

 

R. – Sono rapporti ottimi, costruiti in poco più di un anno di presidenza Ahmadinejad proprio in funzione antiamericana. Va, fra l’altro, ricordato che nella sosta all’Avana Ahmadinejad parteciperà al vertice del movimento dei Paesi non allineati, dal quale si aspetta un documento che sostenga l’Iran nel suo braccio di ferro sul nucleare.

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Spiragli di pace in Burundi: centinaia di ribelli delle Forze nazionali di liberazione (FNL) hanno cominciato a radunarsi come previsto dall’accordo di cessate-il-fuoco, siglato lo scorso 7 settembre tra insorti e governo. L’intesa prevede anche il disarmo dei ribelli e una loro eventuale integrazione nelle forze di sicurezza. Per il Paese africano, questo accordo costituisce, dunque, un significativo passo per uscire da 13 anni di guerra civile che ha provocato oltre 300 mila morti. Ma è realistico sperare in un definitivo superamento del conflitto? Catherine Smibert lo ha chiesto al nunzio apostolico in Burundi, mons. Paul Richard Gallagher:

 

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R. – E’ importante nutrire questa speranza, anche se è un accordo, un impegno a parole, che adesso vogliamo mettere in pratica. E’ un passo molto positivo. E’ stato firmato un accordo globale di cessate-il-fuoco. Il governo del Burundi e l’ultimo gruppo di ribelli, il FNL, si sono impegnati a porre immediatamente fine alle ostilità. Il governo si impegna a facilitare lo smantellamento del gruppo dei ribelli con l’aiuto delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana. E’ un accordo globale che tratta molti argomenti, ma che dovrebbe fermare almeno il reclutamento dei ribelli e le violenze contro i civili. Questo per il Burundi è davvero un momento di speranza, una grande opportunità che richiede l’impegno di tutte le persone, davvero un passo avanti. Si ricomincia a sperare, così, in tutto il territorio di questo martoriato Paese, che adesso comincerà ad avere una pace reale. Comincerà, con l’impegno del governo e della popolazione, un periodo di prosperità e di crescita socio-economica. Siamo ottimisti, perchè dopo tanti anni questa è l’espressione della volontà di un popolo, che adesso è impegnato. Un popolo che è stanco della violenza e della morte e che si impegna a garantire per sé e per i propri figli un futuro migliore.

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Non sembra invece sbloccarsi la situazione di stallo in Sri Lanka: il governo di Colombo ha smentito, infatti, di aver raggiunto un accordo con le Tigri Tamil per una ripresa dei negoziati senza condizioni. Ieri, al termine di una riunione a Bruxelles tra delegazioni dei Paesi donatori e mediatori, era stato annunciato il raggiungimento di un’intesa tra le parti per riprendere i colloqui. Le Tigri Tamil si sono ritirate da negoziati di pace nel mese di aprile e a luglio ha avuto inizio una lunga e drammatica serie di attacchi e scontri. Si calcola che, nelle ultime settimane, almeno 200 mila persone abbiano dovuto abbandonare le loro case. I ribelli combattono per la costituzione di uno Stato indipendente. Il governo, invece, si dice disponibile a concedere solo l’autonomia.

 

Il Ministero della salute dell’Indonesia ha confermato, stamani, la 49.ma morte per influenza aviaria nel Paese. La vittima è un bambino di 5 anni, spentosi lo scorso marzo. Ieri, intanto, la Commissione Europea ha autorizzato, per la prossima stagione invernale, la somministrazione di due vaccini animali contro l’influenza aviaria, allo scopo di prevenire la circolazione del virus tra pollame e anatre.

 

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