RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 256 - Testo della trasmissione di mercoledì 13 settembre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Il cordoglio del Pontefice per la
morte del re di Tonga
OGGI IN PRIMO PIANO:
In
corso la 61.ma edizione della Sagra musicale umbra, dedicata al “Suono dello
spirito”
CHIESA E SOCIETA’:
Morte a Baghdad almeno 28 persone in tre
attentati. Sempre nella capitale irachena, trovati 60 cadaveri
13 settembre 2006
GIORNATA
DEDICATA AGLI AFFETTI FAMILIARI, PER BENEDETTO XVI,
CHE HA
INAUGURATO UN NUOVO ORGANO NELLA VECCHIA CAPPELLA DI RATISBONA.
NEL
POMERIGGIO, LA VISITA DEL PAPA SULLA TOMBA DEI PROPRI CARI E AL PAESE
DI
PENTLING, DOVE ALLOGGIO’ DURANTE LA DOCENZA UNIVERSITARIA.
VASTA
ECO MEDIATICA ALLE PAROLE DEL PONTEFICE DEDICATE IERI AL DIALOGO
CON
L’ISLAM E AL CONFRONTO TRA SCIENZA E FEDE
-
Intervista con padre Federico Lombardi -
Una giornata di impegni più leggeri, per lasciare spazio
ai ricordi e agli affetti personali, dopo l’intensa serie di appuntamenti e di
interventi che hanno cadenzato le precedenti 24 ore. Per Benedetto XVI, la
seconda mattinata trascorsa oggi a Ratisbona - penultima del suo viaggio
apostolico - ha avuto un solo momento pubblico: l’inaugurazione del nuovo
organo della Alte Kapelle, antichissimo luogo di culto che custodisce una
immagine miracolosa della Vergine, attribuita all’evangelista Luca. L’occasione
ha permesso al Pontefice di legare in una stessa similitudine la musica sacra e
la vita della Chiesa, nella quale – ha affermato - bisogna sempre ritrovare
“l’accordo nella lode di Dio e nell’amore fraterno”. Per i particolari, la
linea al nostro inviato in Germania, Paolo Ondarza.
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“Nella Chiesa, nella varietà dei doni e dei carismi,
dobbiamo trovare mediante la comunione nella fede sempre di nuovo l’accordo
nella lode di Dio e nell’amore fraterno”. Ha pronunciato queste parole
Benedetto XVI inaugurando il nuovo organo della Alte Kapelle di Ratisbona, una
delle chiese più antiche della diocesi. Un’esortazione alla comunità cristiana
affinché, attraverso l’immagine dell’orga-no, in cui “una mano esperta riporta
le disarmonie alla retta consonanza”, impari l’armonia e la comunione.
Concetto, questo, ribadito anche nella preghiera di benedizione:
Wie die vielen Pfeifen
sich in einem Klang vereinen, …
“Come le
tante canne si uniscono in un solo suono,
così
unisci, ti preghiamo,
tutti i
membri della Chiesa
in amore
fraterno.
Perché
cantiamo un giorno
insieme
con tutti gli angeli e i santi
alla tua
gloria
il canto
di lode eterna”.
“Il Papa ha ricordato anche l’importanza della musica
sacra nella liturgia. Citando
Der mit dem Wort verbundene gottesdienstliche
Gesang ein notwendiger …
“Il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed
integrante della liturgia solenne”, non un “abbellimento del culto”, né
“un’aggiunta che incornicia e rende piacevole la liturgia”.
Il canto e la musica costituiscono “un modo importante di
partecipazione attiva all’evento cultuale”. “L’organo, re degli strumenti
musicali, perché riprende tutti i suoni della creazione – ha concluso il Papa –
dà risonanza alla pienezza dei sentimenti umani”.
Si è trattato dell’unico discorso pronunciato in questa
giornata all’insegna dei ricordi privati per Benedetto XVI in Baviera. Prima di
recarsi alla Alte Kapelle, Benedetto XVI, trascorsa la notte al seminario
maggiore di Ratisbona, ha celebrato la Messa e pregato la Liturgia delle Ore in
privato nella cappella dell’istituto insieme con il fratello, mons. Georg
Ratzinger, quindi ha avuto una serie di colloqui privati con familiari e amici.
Dopo un nuovo bagno di folla, in cui il Papa si è intrattenuto con la gente
accarezzando alcuni bambini, il pranzo a casa di mons. Georg Ratzinger, a
Ratisbona. Nel pomeriggio, prima la visita al cimitero di Ziegetsdorf sulle
tombe dei genitori e della sorella Maria, poi il tempo restante nella casa
privata di Benedetto XVI a Pentling, a
Dalla Baviera, Paolo Ondarza, Radio Vaticana.
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Una località più piccola della Città del Vaticano – appena
32 Kmq. – abitata da qualche centinaio di persone. E’ questa la realtà di
Pentling, piccolo paese a pochi chilometri da Ratisbona, che ospitò l’allora
prof. Ratzinger, negli anni Settanta. Come accennato, Benedetto XVI vi tornerà
in visita tra poco più di un’ora e, insieme con il fratello, si tratterrà per
cena nella sua vecchia casa, prima di ritornare al Seminario maggiore di Ratisbona.
Grande, evidentemente, l’attesa per la ridotta popolazione locale in vista
dell’incontro con l’antico concittadino, come racconta Margit Klier,
un’insegnante di Pentling, intervistata da Paolo Ondarza:
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R. – Il mio ricordo è quello di quando il prof. Ratzinger
abitava a Pentling. Ha sempre celebrato la Messa qui e non ha mai vissuto in
modo appariscente.
D. – Quindi, una persona anche riservata e cordiale…
R. – Sì, molto cordiale.
D. – Benedetto XVI trascorrerà il pomeriggio lì a
Peintling. Per la gente questo che cosa vuol dire?
R. – Che lui apprezza molto questo paese. Per noi è una
grande cosa, veramente un grande onore.
D. – Lei sa che il Papa continua a ricevere notizie da
Peintling ogni mese. Infatti, arriva in Vaticano il bollettino…
R. – Sì, senza dubbio, perché siamo stati ad un’udienza
privata e lui sapeva tutto di noi, anche le più piccole notizie.
D. – Questa chiaramente è una cosa che le farà molto
piacere…
R. – Sì!
D. - La commuove?
R. – Sì, molto.
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Ben diversa, per il Papa, era stata la giornata di ieri,
durante la quale Benedetto XVI aveva dapprima incontrato i rappresentanti del
mondo accademico e della scienza nella “sua” Università di un tempo, quindi le
delegazioni luterana e ortodossa nel corso di una cerimonia ecumenica nel duomo
di Ratisbona. Nei due interventi, densi e complessi, il Papa ha affrontato il
tema del confronto possibile tra fede e ragione e del dialogo con l’islam,
mettendo in guardia, da un lato, sulle derive di un razionalismo che tende ad escludere
Dio, e dall’altro di una fede imposta con la violenza, “in contrasto con la
natura di Dio e dell’anima”. Il racconto dei due eventi nel servizio del nostro
inviato in Baviera, Paolo Ondarza:
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Fede e ragione al centro del discorso del Papa al mondo
accademico dell’Università di Ratisbona. Qui, il cardinale Joseph Ratzinger fu
titolare della cattedra di dogmatica e storia del dogma, ricoprendo anche
l’incarico di vicerettore. Nel mondo occidentale – ha detto Benedetto XVI -
domina largamente l’opinione che “soltanto il tipo di certezza derivante da
matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità”. Ma, ha
sottolineato, “un tale metodo esclude il problema Dio, facendolo apparire come
ascientifico o pre-scientifico”.
“E’ l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione.
Poiché, allora – ha continuato – gli interrogativi propriamente umani, della
religione e dell’etica, non possono trovare posto nello spazio della comune
ragione descritta dalla ‘scienza’ e devono essere spostati nell’ambito del
soggettivo”. “In questo modo – ha spiegato Benedetto XVI – l‘ethos e la
religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell’ambito
della discrezionalità personale”. Agli
accademici di Ratisbona il Papa ha detto ancora:
Eine Vernunft, die dem Göttlichen gegenüber
taub ist und Religion …
“Una ragione che di fronte al divino è sorda e respinge la
religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo
delle culture”.
Ma la moderna ragione, propria delle scienze naturali, –
ha constatato Benedetto XVI – porta in sé un interrogativo che la trascende:
essa deve accettare la struttura razionale della materia come un dato di
fatto”. La domanda sul perché di questo dato di fatto – ha proseguito il Papa –
esiste e deve essere affidata alla filosofia e alla teologia:
Der Westen ist seit langem von dieser Abneigung
gegen die …
“L’Occidente è minacciato da questa avversione contro gli
interrogativi fondamentali della sua ragione, e così può subire solo un grande
danno”.
“Questo tentativo di critica della ragione moderna – ha
detto il Papa – non include assolutamente l’opinione che ora si debba tornare
indietro, a prima dell’illuminismo: tutti siamo grati per le grandiose
possibilità che lo spirito moderno ha aperto all’uomo”. Importante, dunque,
allargare la ragione perché – ha continuato Benedetto XVI – con tutta la gioia
di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da
queste possibilità e ci chiediamo come possiamo dominarle”: “Ci riusciamo solo
se fede e ragione si ritrovano unite in modo nuovo”. Si tratta di “un incontro
che ha creato l’Europa e rimane il suo fondamento”. “Solo nell’incontro tra
fede e ragione è possibile un vero dialogo delle culture e delle religioni, di
cui abbiamo urgente bisogno”. In questo dialogo possono emergere diversità
profonde. Benedetto XVI ne ha citato un esempio all’inizio della sua lezione,
parlando di un colloquio nel XIV secolo tra l’impe-ratore bizantino e un colto
persiano musulmano. Il loro confronto si focalizza sul rapporto tra religione e
violenza, e sul significato della trascendenza di Dio e la diffusione pacifica
della fede. Ma nonostante le differenze che ne emergono, il Papa ha invitato il
mondo occidentale ad “ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle
tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana”,
che costituiscono una fonte di conoscenza. Rifiutare questa fonte significherebbe una riduzione
inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere.
In serata, i Vespri ecumenici nel Duomo di Ratisbona. Alla celebrazione
hanno partecipato il vescovo luterano, Johannes Friedrich, il metropolita
ortodosso Augustinos e il vescovo evangelico luterano, Weiss. Presente anche
una delegazione ebraica, guidata dal presidente del Comitato ebraico bavarese,
Schuster. Benedetto XVI ha ricordato il dialogo teologico sul tema della koinonia, che fra pochi giorni
riprenderà a Belgrado, esprimendo l’auspicio che “la comunione col Dio vivente
che unisce i cristiani si approfondisca fino all’unità piena”. Il Papa inoltre
si è detto “lieto” dell’adesione da parte del “Consiglio mondiale delle Chiese
metodiste” alla dichiarazione sulla giustificazione:
In der Zeit der multireligiösen Begegnungen
sind wir leicht versucht, …
“Nell’epoca degli incontri multireligiosi - ha detto
Benedetto XVI - siamo facilmente tentati di attenuare la confessione centrale
in Gesù Cristo, Figlio di Dio, o addirittura di nasconderla. Ma con ciò non
rendiamo un servizio all'incontro, né al dialogo”.
Da qui, il Papa ha sottolineato l’importanza di “porre in
discussione in modo completo e non soltanto frammentario la nostra immagine di
Dio”. “Nella comune confessione in Cristo Gesù – ha concluso – non esiste
alcuna divisione tra noi. Vogliamo pregare, affinché questo fondamento comune
si rafforzi sempre di più”.
Da Monaco di Baviera, Paolo Ondarza, Radio Vaticana.
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Le parole del Papa, riprese e diffuse dai media in tutto
il mondo, hanno avuto una vastissima eco. Diverse, ovviamente, sono state le
accentazioni e l’enfasi attribuite da cronisti e commentatori ai temi del
dialogo con l’islam e con il mondo scientifico e intellettuale. In proposito,
ecco il commento del nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, raggiunto
telefonicamente a Ratisbona da Massimiliano Menichetti:
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R. – Certamente, il Papa ha fatto una vera e forte lezione
accademica: ma è una lezione accademica di un Papa, e di un Papa teologo. Egli
ha difeso con coraggio e chiarezza l’armonia tra la fede e la ragione, anzi, la
necessità vicendevole della fede e della ragione, proprio per il bene
dell’umanità di oggi: una idea di ragione ridotta semplicemente ai criteri
delle scienze naturali o del positivismo non può rispondere alle grandi
necessità dell’uomo di oggi, ai grandi interrogativi che rimangono sempre
fondamentali per l’umanità: il “da dove veniamo”, “dove andiamo”, come dominare
la potenza della tecnica che sta crescendo nelle nostre mani. Ecco, ci vuole
un’idea di ragione ampia, in cui anche il contributo della fede, il dialogo tra
la fede e la ragione, abbiano un posto essenziale.
D. – Citando un discorso su islam e cristianesimo
dell’imperatore bizantino Emanuele II Paleologo, il Papa ha rimarcato che la
violenza è in contrasto con la natura di Dio e dell’anima. Possiamo
approfondire questo passaggio?
R. – Direi che certamente è un punto di partenza
importante di questo discorso, ma non è la meta del discorso. E’, in un certo
senso, quasi un esempio, quello del problema della religione e della violenza,
a partire dal quale il Papa dimostra la necessità della ragione sia per lo
sviluppo retto della teologia, sia per una adeguata idea di Dio. Ma non è che
la meta del discorso fosse affrontare il problema dell’uso violento della religione.
Questo – mi sembra – è un esempio, sia pure importante, per muovere su un
discorso di carattere molto più ampio che è appunto quello del rapporto tra la
fede e la ragione, dell’importanza della teologia, della dignità della teologia
come scienza, del suo diritto e della sua necessità nell’universitas del sapere.
D. – In questo senso, il Papa ha parlato anche di dialogo
tra culture e religioni…
R. – Esattamente. Il Papa mette chiaramente in rilievo come
proprio questa visione più ampia della ragione, che tiene conto anche della
dimensione religiosa del rapporto con Dio e della tradizione della fede, sia
essenziale per renderci capaci di incontrarci, di dialogare con le altre
religioni. Invece, una cultura che emargina la dimensione religiosa dalla
dignità di sapere non è capace di incontrare le altre grandi culture in cui la
dimensione religiosa è essenziale.
D. – Nel tema del dialogo tra le religioni e del dialogo
tra religione e fede, l’ultimo invito di Benedetto XVI è stato quello ad
aprirsi: il coraggio di aprirsi all’ampiezza della religione, cioè di una fede
che abbracci quindi anche la ragione…
R. – Sì, il coraggio dell’ampiezza della ragione, certo.
La ragione, appunto, che non va limitata in nessun modo a dei criteri puramente
matematico-scientifici o sperimentali: per quanto questi siano essenziali, non
ti danno l’ampiezza di tutta la realtà e di tutta la realtà umana, della realtà
in senso ampio. Bisogna considerare “ragione” anche l’attività che riflette
metodicamente, profondamente e seriamente sulle grandi domande dell’uomo, e
dunque: da dove viene, dove va e qual è il suo rapporto con Dio.
D. – Attraverso la televisione, abbiamo notato una grande
attenzione da parte del consesso degli scienziati, un grande apprezzamento. E’
stato realmente così?
R. – Certamente. E’ stata anche una prova della
grandissima qualità intellettuale e culturale dell’insegnamento del Papa, che
si è dimostrato una personalità di altissimo livello nella cultura, con la sua
capacità di affrontare temi molto impegnativi con grande chiarezza e grande
capacità di sintesi. In questo discorso, noi abbiamo veramente percorso un po’
la storia del rapporto tra ragione e fede: dall’Antico Testamento al rapporto
tra la razionalità greca e la cultura biblica - sia nell’Antico Testamento, e
ancora, la Traduzione dei Settanta, sia poi nel Nuovo Testamento… E poi, in un
certo senso, abbiamo percorso anche la storia della teologia, dai Padri alla
Riforma, a Kant, al tempo moderno… Davvero, nel giro di poche decine di minuti
il Papa ha saputo darci una grandissima panoramica di storia della cultura e di
storia della cultura teologica, riportandola all’attualità. Con dei riferimenti
molto concreti: per esempio, alle radici cristiane dell’Europa, alla cultura
europea e alla missione che la cultura europea dovrebbe continuare a svolgere.
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IL
CORDOGLIO DEL PAPA PER
TAUFA’AHAU
TUPOU IV,
NELLA
CAPITALE DEL PICCOLO STATO-ARCIPELAGO DEL PACIFICO,
IN
ATTESA DEL FUNERALE PREVISTO MARTEDI’ 19 SETTEMBRE
-
Servizio di Roberta Gisotti -
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“Il dono divino della consolazione e della pace” possa
scendere sul Regno di Tonga. L’invocazione di Benedetto XVI nel telegramma di
cordoglio per la morte - domenica scorsa - del Re Taufa’ahau Tupou IV, spentosi
all’età di 88 anni, dopo 41 anni di reggenza del piccolo Stato-arcipelago del
Pacifico. Rivolto al figlio dello scomparso, alla famiglia reale e a tutto il
popolo di Tonga, il Santo Padre assicura le sue preghiere e la sua partecipazione
spirituale al lutto nazionale, raccomandando lo scomparso sovrano “all’amorevole
misericordia dell’Onnipotente Dio”.
Proprio oggi la salma di Tupou IV ha fatto rientro in
patria, dalla città neozelandese di Auckland, dove il longevo sovrano era
ricoverato da diversi mesi in ospedale, e dove ieri migliaia di tongani – circa
40 mila che vivono in nuova Zelanda - hanno portato l’estremo saluto al defunto
Re. Ad accoglierlo nella capitale Nuku’alofa un lungo corteo funebre, in un
clima di commozione, in attesa dei solenni funerali di Stato previsti martedì
prossimo 19 settembre. Sul trono di Tonga sale il principe Tupouto’a, 58 enne
celibe, che ha già prestato giuramento al Parlamento lunedì scorso, ma che sarà
incoronato - con il nome di Taufa’ahau Tupou V - tra circa un anno, concluso il
periodo di lutto.
Il piccolo Regno tongano, già protettorato britannico,
indipendente dal 1970, conta circa 100 mila abitanti, ed è retto da una
monarchia costituzionale, che assicura al Re poteri estesi sul patrimonio e
sulle istituzioni dello Stato, compresa la nomina dei ministri di Gabinetto;
poteri contestati lo scorso anno da circa 10 mila manifestanti scesi in piazza
per chiedere la democrazia e la nazionalizzazione dei beni di pubblica utilità.
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BENEDETTO
XVI VISITERA’ PAVIA NEL 2007:
IN
QUELL’OCCASIONE PREGHERA’ NELLA BASILICA DOVE SONO CUSTODITE
DALL’VIII
SECOLO LE RELIQUIE DI
SANT’AGOSTINO
Benedetto XVI compirà un viaggio a Pavia nel corso del
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il viaggio
apostolico di Bendetto XVI in Germania. I servizi dell’inviato Giampaolo
Mattei. La rassegna della stampa internazionale.
Servizio estero - Siria: gli
USA ringraziano Damasco per aver sventato l’attacco all’ambasciata.
Servizio culturale - Un
articolo di Roberto Morozzo Della Rocca dal titolo “Il processo ‘pilotato’
contro un vescovo tedesco nell’Italia della ‘Grande Guerra’”: un libro sulla
vicenda di mons. Giuseppe B. Doebbing.
Servizio italiano - Economia;
Telecom: l’irritazione del governo. Preoccupa la sorte di Tim.
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13 settembre 2006
PARTITA
PER
PORTARE A SCUOLA GLI OLTRE 100 MILIONI DI BAMBINI
CHE
NON HANNO ACCESSO ALL’ISTRUZIONE
-
Interviste con Valerio Neri e Carlotta Sami -
La promessa dei leader del mondo di garantire l’accesso
all’istruzione a tutti i bambini che ancora non la ricevono entro il 2015
rischia di non essere mantenuta. Nel mondo sono 115 milioni i bambini che non
vanno a scuola. Per ridare un futuro a questi bambini, Save the Children ha lanciato ieri la campagna “Riscriviamo il
futuro”. Sugli obiettivi di questa campagna
ci parla Carlotta Sami, direttore dei programmi di Save the Children Italia, al microfono di Elisabetta Rovis:
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R. – Save the
Children lancia questo grande movimento mondiale per portare nei prossimi
cinque anni 8 milioni di bambini e bambine all’educazione. Sono bambini che vivono
in Paesi in guerra e sono quelli che più spesso sono vittime non solo di violenza
ma del fatto che non hanno nessun accesso alla scuola.
D. – Qual è l’importanza di tenere aperta una scuola
durante una guerra?
R. – Nell’immediato, quando una guerra scoppia,
innanzitutto educazione è protezione: sono spazi sicuri, dove i bambini possono
stare, possono passare del tempo, esprimere loro stessi. Nel lungo periodo, è
ricostruzione della società, per dare ai bambini capacità, abilità e
opportunità per diventare cittadini consapevoli.
D. – La crisi nella scuola, nei Paesi in guerra, dipende
dai pochi aiuti che arrivano dalla comunità internazionale: i 30 Paesi
attualmente in guerra hanno infatti ricevuto solo un terzo degli otto miliardi
e mezzo di dollari destinati agli aiuti per l’istruzione nei Paesi poveri.
Ascoltiamo Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia:
R. – Questa campagna cerca di rompere un circolo vizioso
che si sta creando. Che cosa succede? Che i grandi aiuti allo sviluppo per
l’educazione di tutto il mondo arrivano molto scarsi, in poca quantità, nei
Paesi che si trovano in guerra oppure sono instabili politicamente, perché quei
governi non offrono garanzie ai donatori per questi fondi. Questo però fa sì
che 43 milioni di bambini al mondo, oggi, non solo non hanno nessuna forma di
scolarizzazione, né possono difendersi dalla guerra, rischiando anche di finire
come ‘bambini-soldato’, ma non hanno alcuna speranza per il futuro, finita la
guerra, di rifar partire la propria vita. Quindi, questa grande campagna vuole
portare a scuola nei prossimi cinque anni otto milioni di bambini e generare
soprattutto un movimento internazionale, che aiuti a sbloccare questo circolo
vizioso degli aiuti internazionali portando a scuola anche tutti gli altri.
D. – In quali Paesi si concentrerà l’azione di Save the Children?
R. – I Paesi sono circa 20, diciamone alcuni: Nepal,
Libano, Uganda, Congo, Afghanistan, Sudan … tutti Paesi mediamente instabili,
con guerriglia interna.
D. – Quali sono le principali difficoltà che incontra chi
cerca di fare scuola in un Paese in guerra?
R. – Fare educazione in un Paese in guerra è sempre molto
difficile, perché il governo locale non ha nessuna intenzione di dedicare
risorse all’educazione ma le storna sulla guerra. Quindi, forse il problema
numero uno sarà quello di collaborare correttamente con i governi locali per
riuscire a farli essere credibili verso i grandi donatori occidentali, per
metterli in condizioni di ricevere fondi da destinare realmente all’educazione
e non invece portarli sulla guerra.
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“IL
GRIDO DEGLI ESCLUSI” CHIEDE AL GOVERNO DEL BRASILE
CONDIZIONI
DI VITA DIGNITOSE PER CHI VIVE AI MARGINI DELLA SOCIETA’:
CELEBRATA
NEL PAESE LATINOAMERICANO L’ANNUALE MANIFESTAZIONE
NEL
GIORNO DELLA FESTA DELL’INDIPENDENZA
-
Intervista con il vescovo Demetrio Luiz Valentini -
“Nella forza dell’indignazione, semi di trasformazione”:
hanno scelto un titolo provocatorio gli organizzatori della manifestazione
“Grido degli esclusi”, che ogni anno viene celebrata in Brasile in coincidenza
con la festa dell’indipendenza. Il titolo dell’edizione 2006, svoltasi nei
giorni scorsi, esprime i sentimenti dei milioni di cittadini socialmente
emarginati che invocano cambiamenti nelle politiche governative: ad esempio,
una riforma agraria di ampio respiro e strategie abitative che pongano fine
alla proliferazione delle favelas. O
ancora, l’accesso all’istruzione, alle strutture sanitarie e ad un lavoro degno
per i più svantaggiati. Al grido degli esclusi si unisce la voce della Chiesa
cattolica brasiliana: nel corso della manifestazione, una celebrazione
eucaristica nel Santuario nazionale di Nostra Signora Aparecida ha concluso il
Pellegrinaggio nazionale dei lavoratori. Su questo importante appuntamento,
Raimundo De Lima ha sentito il vescovo di Jales, Demétrio Luiz Valentini:
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R. – Questa è una sfida centrale: l’esclusione sociale.
Nel contesto dell’economia di oggi, nelle difficoltà che abbiamo è molto
importante pensare ad una patria per tutti superando, perciò, tutti i motivi di
esclusione sociale, politica ed economica. Prima di tutto, siamo consapevoli
delle denunce di corruzione politica. Bisogna riconoscere, infatti, che esiste
ancora e molte ne sono state le manifestazioni, soprattutto l’anno scorso.
Questo ha provocato la disillusione, in un primo momento, e poi l’indignazione.
Vediamo come positiva l’indignazione e per questo abbiamo scelto come tema di
quest’anno: “Nella forza dell’indignazione, semi di trasformazione”. Vogliamo
invitare i cittadini a trasformare in bene la loro indignazione, di fronte a
tanti fatti di corruzione, soprattutto per non votare nelle prossime elezioni
quanti hanno partecipato alla corruzione politica. E’ un invito a superare la
disillusione politica, a riappropriarsi delle proprie responsabilità politiche
e a tradurle concretamente nelle prossime elezioni, votando coscientemente per
i candidati che si pensa e si crede siano degni di rappresentare la comunità
civile.
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MELODIE
DI BEETHOVEN PER L’APERTURA DELLA 61.MA EDIZIONE
DELLA
SAGRA MUSICALE UMBRA, DEDICATA AL “SUONO DELLO SPIRITO”
Un ponte tra le diverse forme di spiritualità testimoniate
dalla musica nella storia: “Suono
dello Spirito” è il tema scelto per il cartellone della 61.ma Sagra
musicale umbra, in corso al Teatro Morlacchi di Perugia. La manifestazione si
era aperta con un concerto beethoveniano, diretto da Myung-Whun Chung e
rappresenta un vero e proprio viaggio nelle tante ed originali tradizioni
musicali classiche e popolari, alla ricerca del sacro. Il servizio di Luca Pellegrini.
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La Sagra musicale umbra continua anche quest’anno ad
esplorare quell’anelito alla spiritualità che accompagna l’uomo e le sue
creazioni artistiche, nello scorrere della storia e del tempo. E motivi di
interesse il cartellone ne presenta moltissimi, riconoscendo innanzitutto come
i segnali di trascendenza nella musica oltrepassino davvero i confini
geografici e culturali, spaziando fra epoche e civiltà. Espressioni di
aspirazione al sacro che si ritrovano, ad esempio, nella severa lezione di Bach
e nel variegato repertorio napoletano del XVI secolo, interpretato con
correttezza filologica dalla Cappella della Pietà de’ Turchini e Antonio
Florio, oppure nei “ponti sacri” immaginati dai King’s Singers che intoneranno,
il 17 settembre, i “Salmi di David” nelle diverse tradizioni religiose
monoteistiche. Per toccare, poi, il patrimonio del folklore egiziano, con la
presenza dei Dervisci Volteggianti “Al Tannura” e, a seguire, la bella voce
della celebre cantante israeliana Noa. Una sorta di particolare spiritualità il
direttore artistico della Sagra, Aldo Bennici, la scopre anche nella creatività
dei giovanissimi dodicenni Mozart, cui offre un particolare omaggio,
rappresentando “Bastiano e Bastiana” di Wolfgang Amadeus Mozart e i “Due
pedagoghi” di Felix Mendelssohn. Infine, una prima esecuzione
assoluta, il 20 settembre, all’Auditorium San Domenico di Foligno, con uno
spettacolo ricavato dal “Memoriale” della Beata Angela da Foligno, dal titolo
“Amor non conosciuto”, su musica di Silvia Colasanti e testi di Enzo Siciliano.
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13 settembre 2006
“l’approfondimento del Magistero sociale è
un’autentica priorità pastorale E DEVE SERVIRE alla formazione delle
coscienze”. così benedetto xvi ai partecipanti del II Congresso latinoamericano
e caraibico
sulla Dottrina sociale della Chiesa, in corso a Città
del Messico
- A
cura di Luis Badilla -
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CITTA’ DEL MESSICO. = Nel suo
telegramma, letto ai partecipanti dal nunzio apostolico mons. Bertello,
Benedetto XVI sottolinea il ruolo centrale dei laici e afferma che essi “fedeli
alla loro missione nella Chiesa e nel mondo saranno fermento della società
ordinando tutte le cose temporali in modo che siano fatte e crescano
costantemente secondo il Cristo” (Lumen Gentium, 31). Nel suo intervento di
apertura, il cardinale di Tegucigalpa (Honduras), l’arcivescovo Oscar Rodríguez
Maradiaga, presidente del Dipartimento Giustizia e Solidarietà del Consiglio Episcopale Latinoamericano
(CELAM), ha sottolineato che la regione latinoamericana e caraibica è una delle
più svantaggiate del mondo e oggi deve guardare in faccia, con coraggio e
speranza, ai suoi molti problemi tra i quali la corruzione, la povertà e i
flussi migratori incontrollabili. Questo – ha ribadito l’arcivescovo honduregno
– costituisce una “gigantesca sfida per la Chiesa” che è chiamata ad
intensificare il “suo dialogo con gli ambienti politici” proprio per dare un
contributo insostituibile “alla luce della Dottrina sociale che mette al centro
di ogni cosa l’uomo e la sua dignità”. Dal canto suo il cardinale Renato
Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace, pur
non trascurando i segnali di speranza del continente Latinoamericano e
Caraibico, ha segnalato tra gli altri aspetti la mancanza di un’autentica
libertà religiosa, le enormi disuguaglianze sociali, il narcotraffico, la violenza.
Il porporato ha quindi rilevato la necessità per tutti i cristiani di una
collaborazione attiva alla costruzione della comunità politica e della
democrazia in conformità alle esigenze del rispetto della dignità umana. Ed
infine ha evidenziato l’esigenza di una buona relazione con la natura, nella
concezione del problema ecologico come problema etico, al di là di ogni
prospettiva ideologica e di ogni indiscriminata sottomissione della natura alla
tecnica.
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la libia è responsabile di gravi violazioni dei
diritti umani
ai danni dei migranti. la denuncia è
dell’organizzazione
HUMAN RIGHTS WATCH, che punta il dito anche contro l’italia
ROMA. = “Il governo libico sottopone migranti, richiedenti
asilo e rifugiati a gravi abusi dei diritti umani, tra cui percosse, arresti
arbitrari e rimpatri forzati”. E’ la denuncia dell’organizzazione umanitaria
statunitense Human Rights Watch contenuta in un rapporto dal titolo “Arginare i
flussi: abusi contro migranti, richiedenti asilo e rifugiati”. Nelle 135
pagine, lo studio documenta le modalità con cui le autorità libiche hanno
proceduto all’arresto arbitrario di stranieri privi di documenti,
rimpatriandoli poi con la forza in Paesi a rischio di persecuzione e tortura,
come Eritrea o Somalia. Secondo dati ufficiali forniti dalla Libia, dal 2003 al
2005 sono stati rimpatriati 145mila stranieri. “La Libia non è un Paese sicuro
per i migranti – ha affermato Bill Frelick, di Human Rights Watch -. L’Unione
Europea sta lavorando con la Libia per impedire a queste persone di raggiungere
l’Europa, piuttosto che assisterle fornendo loro protezione”. Il rapporto punta il dito anche contro
l’Italia, che, tra il 2004 e il 2005, “ha violato ampiamente il diritto
internazionale”, con l’espulsione verso la Libia di più di 2.800 migranti,
“compresi molto probabilmente rifugiati e altre persone che necessitavano di
protezione internazionale”. Tra le accuse all’Italia anche il divieto a Human
Rights Watch di accedere al Centro di prima accoglienza (CPT) di Lampedusa lo
scorso anno. In questo quadro sono però giudicate positivamente le iniziative
dell’attuale governo italiano di concedere, alle organizzazioni per i diritti
umani, l’autorizzazione per entrare nella struttura di Lampedusa e la
formazione di una Commissione d’inchiesta sulle condizioni di questi Centri.
“Ora il governo deve assicurare, per chiunque giunga in Italia o sia
intercettato in mare – ha precisato Frelick –, la concreta opportunità di
presentare domanda d’asilo”. Intanto, mentre in Italia si discute sulla
possibilità di cambiare la legge sull’immigrazione, ieri il Viminale ha
decretato l’invio di uomini in Libia con lo scopo di collaborare con le
autorità locali per bloccare la partenza dei migranti. Da parte sua il
Consiglio italiano per i rifugiati (CIR) ha giudicato “molto allarmanti” le
informazioni contenute nel rapporto chiedendo alla Libia di “porre fine agli
abusi” e di aderire alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Il CIR ha
chiesto inoltre all’Unione europea di “adoperarsi affinché il rispetto dei
diritti umani sia precondizione per ogni forma di cooperazione con la Libia”.
Sul versante spagnolo, infine, c’è da segnalare un accordo siglato ieri dal
governo di Madrid con la Mauritania per fronteggiare in maniera congiunta il
fenomeno migratorio verso le Canarie. Prevista in particolare l’estradizione o
il rimpatrio di criminali, l’assistenza giudiziaria e la lotta contro i
trafficanti di esseri umani. Accordi analoghi sono stati raggiunti la scorsa
settimana anche con il Senegal. (E.B.)
l’onu ha annunciato l’arrivo in costa d’avorio di
esperti per stabilire cause e responsabilità della crisi dei rifiuti tossici
scaricati lo scorso mese di agosto nel porto di Abidjan. inviate anche scorte
di medicinali
Abidjan. = In costa d’Avorio continua
l’emergenza per le esalazioni dei rifiuti tossici scaricati illegalmente nel
porto di Abidjan, la capitale economica del Paese, le scorse settimane. Il bilancio
parla di 6 morti e 15 mila intossicati. Fonti della Chiesa locale, citate
dall’agenzia Fides, precisano che “ogni giorno vengono scoperti nuovi depositi
di liquami maleodoranti” e che in diverse zone della città l’aria resta
irrespirabile. In questo quadro l’ONU, che intende stabilire le responsabilità
dell’accaduto, ieri ha annunciato la partenza della macchina dei soccorsi per
far fonte all’emergenza sanitaria. In particolare l’ufficio delle Nazioni Unite
per gli affari umanitari (OCHA) e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)
invieranno degli esperti ad Abidjan. “Si tratterà in un primo tempo di
delimitare e vietare l’accesso alle zone inquinate, dove ieri - ha deplorato la
portavoce dell'OCHA Elysabeth Byrs - sono stati ancora visti bambini giocare”.
L’acqua – ha aggiunto - controllata quotidianamente, non risulta inquinata.
L’OMS, che insieme all’UNICEF ha già inviato farmaci per un totale di 50mila
dollari, si è impegnata ad affiancare le autorità locali a valutare l’impatto
sanitario a breve e lungo termine. Da parte sua la presidenza ivoriana ha
decretato la costruzione di un bunker per lo stoccaggio del materiale tossico e
ha fatto sapere che 36 centri sanitari e due cliniche mobili sono a
disposizione della popolazione. Per gli intossicati tutte le cure saranno
completamente gratuite. Le fonti dell’agenzia Fides parlano anche di
speculazioni politiche. “La gente – precisano - si chiede soprattutto perché
questa crisi ecologica sia scoppiata in questo momento, dopo l’annuncio del
rinvio delle elezioni del 31 ottobre e con il dialogo tra le parti politiche
che si è di nuovo arenato. È solo una coincidenza o vi è stata una manovra di
qualcuno?”. Sul piano politico, infine, dopo le dimissioni del governo, la
scorsa settimana, si attende la formazione di un nuovo esecutivo. Non è chiaro
per il momento se si tratterà di un semplice rimpasto oppure se si formerà un
gabinetto del tutto nuovo. In ogni caso, nonostante gli sforzi dell’Unione
Africana – concludono – “la crisi ivoriana rimane bloccata sulla questione del
disarmo delle milizie che controllano il nord del Paese e sulla preparazione
delle liste elettorali”. (E. B.)
SVELATO
IL MECCANISMO DI RESISTENZA DEI TUMORI ALLA CHEMIOTERAPIA.
SECONDO
UNA RICERCA DELL'ISTITUTO NAZIONALE TUMORI REGINA ELENA
SI
APRONO NUOVE PROSPETTIVE PER LA CURA DEL CANCRO
ROMA. = I ricercatori dell'Istituto Nazionale Tumori
Regina Elena-IRE hanno scoperto il meccanismo di proliferazione di alcune
cellule tumorali in risposta ai trattamenti chemioterapici.
La scoperta ruota intorno all’azione di una proteina, la p53 mutata, presente
in più della metà dei tumori umani. La p53 non solo aiuta il tumore a resistere
alla chemioterapia, ma svolge un’attività di ‘guadagno di funzione’: ovvero fa
sì che la chemio diventi un vero e proprio stimolo propulsore alla crescita
tumorale. Gli scienziati del Regina Elena hanno identificato i meccanismi che
stanno alla base di questo ‘guadagno di fuzione’, scoprendo che la capacità
della p53 di indurre ad una proliferazione delle cellule tumorali è dovuta alla
sua integrazione con un'altra proteina cellulare, la NF-Y, un regolatore del
ciclo cellulare. La cooperazione tra le due proteine aiuta le cellule a
resistere alla chemioterapia. La scoperta consentirà dunque di aggirare il
trucco delle cellule malate e di attaccarle con nuove armi, ma anche di
individuare terapie personalizzate che, prima di somministrare la
chemioterapia, determinino con esattezza quali pazienti ne trarranno benefici e
quali no. (M.G.)
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13 settembre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco e Marco Guerra -
In Iraq, tre ordigni sono esplosi a Baghdad provocando la
morte di almeno 28 persone. L’episodio più grave è avvenuto in una strada
affollata della capitale, dove è esplosa un’autobomba al passaggio di una
pattuglia della polizia. Un secondo ordigno è stato innescato all’arrivo dei
soccorritori, portando a 20 il numero dei morti di questo duplice attentato. Altre
otto persone sono rimaste uccise nella parte orientale della capitale per
l’esplosione di un’autobomba. Sempre a Baghdad, la polizia ha rinvenuto i corpi
senza vita, con segni di tortura, di almeno 60 persone. Secondo un recente
rapporto dell’ONU, sono circa 100 i morti al giorno in Iraq a causa
della guerra civile sotterranea che
coinvolge soprattutto sciiti e sunniti.
Orrore e profonda
inquietudine in Turchia per l’attentato dinamitardo compiuto, ieri, nella città
curda di Diyarbakir, nei pressi di una fermata di autobus vicina ad un parco giochi per bambini.
L’attentato, che ha provocato almeno 11 morti tra i quali 6 bambini, non è
stato ancora rivendicato. Si tratta dell’ultimo di una drammatica serie di
attacchi che hanno insanguinato la Turchia negli ultimi giorni. Molti
osservatori ritengono che dietro queste azioni terroristiche ci sia la mano del
sedicente gruppo dei “Falchi per la liberazione del Kurdistan” che chiedono la
separazione della regione curda dalla Turchia.
E’ morto in
ospedale, a causa delle gravi ferite riportate nello scontro a fuoco con le
Forze speciali siriane, anche il quarto assalitore che ieri aveva attaccato
l’ambasciata degli Stati Uniti a Damasco insieme con tre complici. Nell’azione,
oltre agli attentatori - tutti siriani - era rimasto ucciso anche un agente. Le
autorità siriane non hanno rilasciato informazioni sull’identità dei terroristi.
Secondo fonti di stampa, si tratta di militanti integralisti islamici.
Esattamente un anno fa, terminava il disimpegno di Israele
dalla Striscia di Gaza. La decisione dello Stato ebraico, purtroppo, non ha
portato ad alcun allentamento delle tensioni tra Israele ed il governo del
movimento radicale di Hamas. Sono continuati, quasi giornalmente, i raid
israeliani e i lanci di razzi palestinesi. Sui motivi della mancata distensione
nell’area, Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di Janichi Cingoli,
direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente:
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R. – Credo che sia stato senz’altro importante quel
ritiro, perché ha dimostrato che delle colonie possono essere evacuate,
affrontando anche dure resistenze interne. Tuttavia, il carattere unilaterale
di quel ritiro non ha impegnato la controparte a rispettare la tregua e a non
compiere attacchi. Su questo si è basato Hamas per continuare a lanciare razzi
sul territorio israeliano. Si è trattato, dunque, di un abbandono che non si è
tramutato in pace.
D. – L’annunciato varo di un governo di unità nazionale
palestinese, quindi un esecutivo più moderato, potrebbe allentare le tensioni
con Israele, ma soprattutto dare linfa agli interventi internazionali, in
particolare economici?
R. – Io penso che questo accordo sia di grande rilievo,
perché sostanzialmente c’è una piattaforma che non crea le condizioni per la
trattativa diretta tra Hamas e Israele. Ma, tuttavia, conferisce al presidente
palestinese, Abu Mazen, un mandato anche da parte di Hamas a trattare. Quindi,
Abu Mazen oggi si presenta più forte con Israele e già in questi giorni si annuncia
un possibile incontro tra il premier israeliano Olmert e il presidente palestinese.
Nell’ultima fase, Abu Mazen si presentava come un accusatore che non
rappresentava complessivamente i palestinesi perché Hamas non lo riconosceva.
Adesso, se si arriva ad un governo di unità nazionale, si potrà andare al
negoziato con un presidente più rappresentativo. Credo, poi, che si potrà
arrivare al negoziato anche – altro elemento importante – in presenza di un
governo internazionale che lasci i Ministeri chiave nelle mani di Al Fatah:
potrebbe essere quindi rinvigorita la trattativa, riavviati i contatti a
livello internazionale e riaperta la valvola degli aiuti internazionali.
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Il generale Udi Adam, già capo del Comando Nord israeliano
responsabile delle operazioni militari durante la recente guerra in Libano, ha
rassegnato le dimissioni. All’origine dell’improvvisa decisione, secondo i mass
media dello Stato ebraico, ci sarebbero le aspre divergenze tra lo stesso ex
comandante del settore nord e il capo dello Stato maggiore sulla conduzione
delle ostilità contro i guerriglieri sciiti libanesi degli Hezbollah. La
gestione del conflitto in Libano ha suscitato forti polemiche in Israele, sia
contro il governo del premier Ehud Olmert e il suo ministro della Difesa, Amir
Peretz, sia contro i vertici delle Forze armate.
La Germania è
pronta ad inviare 2.400 militari per rinforzare il contingente dell’ONU in
Libano, l’UNIFIL. La decisione è stata presa questa mattina a Berlino durante
una riunione del governo e sarà sottoposta, la prossima settimana,
all’approvazione del Parlamento. A New York, intanto, il segretario generale
dell’ONU, Kofi Annan, ha ribadito ieri che nel sud del Libano gli Hezbollah
devono essere disarmati e che Israele deve porre un termine ai raid aerei.
Secondo Annan, ci potrà essere il rispetto della cosiddetta linea blu, il
confine provvisorio tra Israele e Libano, soltanto se non ci saranno più
persone armate tra la frontiera e il fiume Litani, ad eccezione dei soldati
libanesi e dei militari dell’UNIFIL.
E la crisi libanese, il programma nucleare iraniano e la successione
alla guida delle Nazioni Unite di Kofi Annan, che terminerà il suo mandato nel
dicembre prossimo, sono i temi al centro della 61.ma Assemblea Generale
dell’ONU. La riunione è stata inaugurata ieri a New York con l’intervento del
presidente, Haya Rashed Al Khalifa, rappresentante del Bahrein e prima donna
musulmana a ricoprire l’alta carica.
Senegal, Cuba,
Venezuela e l’ONU di New York. Sono le tappe del viaggio iniziato oggi dal
presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad. Particolarmente importanti le soste
all’Avana e a Caracas, prima della partecipazione alla 61.ma sessione
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. In questo momento di prolungate
tensioni in Medio Oriente, e con la crisi nucleare innescata da Teheran ancora
in corso, che significato ha la missione all’estero di Ahmadinejad? Giada Aquilino
lo ha chiesto ad Alberto Zanconato, della sede Ansa di Teheran:
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R. – Per Ahmadinejad è un’ottima occasione - soprattutto
quella della partecipazione all’Assemblea generale - per riaffermare le ragioni
del proprio Paese, che continua a sostenere come sia suo diritto avere un
programma nucleare completo basato sull’arricchimento dell’uranio. Ed è anche
un’occasione, forse, per qualche altra iniziativa clamorosa da parte di Ahmadinejad,
che - ricordiamo - recentemente ha prima inviato una lettera al presidente
americano Bush, in cui lo sollecitava a cambiare politica per favorire il
ritorno della pace nel mondo, poi ha sfidato il capo della Casa Bianca ad un
dibattito televisivo in diretta e, infine, non avendo ricevuto risposta, lo ha
sfidato ad un incontro pubblico, in occasione dell’Assemblea generale delle
Nazioni Unite. Un incontro che sicuramente non avverrà, ma che potrebbe dare
l’opportunità ad Ahmadinejad di dimostrare che Teheran in fondo è disponibile
ad un dialogo, ma non lo sono gli Stati Uniti.
D. – Di particolare rilievo sono anche le soste all’Avana
e a Caracas. Che rapporti ci sono con Fidel Castro e Hugo Chavez?
R. – Sono rapporti ottimi, costruiti in poco più di un anno
di presidenza Ahmadinejad proprio in funzione antiamericana. Va, fra l’altro,
ricordato che nella sosta all’Avana Ahmadinejad parteciperà al vertice del
movimento dei Paesi non allineati, dal quale si aspetta un documento che
sostenga l’Iran nel suo braccio di ferro sul nucleare.
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Spiragli di pace
in Burundi: centinaia di ribelli delle Forze nazionali di liberazione (FNL)
hanno cominciato a radunarsi come previsto dall’accordo di cessate-il-fuoco,
siglato lo scorso 7 settembre tra insorti e governo. L’intesa prevede anche il
disarmo dei ribelli e una loro eventuale integrazione nelle forze di sicurezza.
Per il Paese africano, questo accordo costituisce, dunque, un significativo
passo per uscire da 13 anni di guerra civile che ha provocato oltre 300 mila
morti. Ma è realistico sperare in un definitivo superamento del conflitto? Catherine
Smibert lo ha chiesto al nunzio apostolico in Burundi, mons. Paul Richard Gallagher:
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R. – E’ importante nutrire questa speranza, anche se è un
accordo, un impegno a parole, che adesso vogliamo mettere in pratica. E’ un
passo molto positivo. E’ stato firmato un accordo globale di cessate-il-fuoco.
Il governo del Burundi e l’ultimo gruppo di ribelli, il FNL, si sono impegnati
a porre immediatamente fine alle ostilità. Il governo si impegna a facilitare
lo smantellamento del gruppo dei ribelli con l’aiuto delle Nazioni Unite e
dell’Unione Africana. E’ un accordo globale che tratta molti argomenti, ma che
dovrebbe fermare almeno il reclutamento dei ribelli e le violenze contro i
civili. Questo per il Burundi è davvero un momento di speranza, una grande
opportunità che richiede l’impegno di tutte le persone, davvero un passo
avanti. Si ricomincia a sperare, così, in tutto il territorio di questo martoriato
Paese, che adesso comincerà ad avere una pace reale. Comincerà, con l’impegno
del governo e della popolazione, un periodo di prosperità e di crescita
socio-economica. Siamo ottimisti, perchè dopo tanti anni questa è l’espressione
della volontà di un popolo, che adesso è impegnato. Un popolo che è stanco
della violenza e della morte e che si impegna a garantire per sé e per i propri
figli un futuro migliore.
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Non sembra invece
sbloccarsi la situazione di stallo in Sri Lanka: il governo di Colombo ha
smentito, infatti, di aver raggiunto un accordo con le Tigri Tamil per una
ripresa dei negoziati senza condizioni. Ieri, al termine di una riunione a
Bruxelles tra delegazioni dei Paesi donatori e mediatori, era stato annunciato
il raggiungimento di un’intesa tra le parti per riprendere i colloqui. Le Tigri
Tamil si sono ritirate da negoziati di pace nel mese di aprile e a luglio ha
avuto inizio una lunga e drammatica serie di attacchi e scontri. Si calcola
che, nelle ultime settimane, almeno 200 mila persone abbiano dovuto abbandonare
le loro case. I ribelli combattono per la costituzione di uno Stato
indipendente. Il governo, invece, si dice disponibile a concedere solo
l’autonomia.
Il Ministero
della salute dell’Indonesia ha confermato, stamani, la 49.ma morte per
influenza aviaria nel Paese. La vittima è un bambino di 5 anni, spentosi lo
scorso marzo. Ieri, intanto, la Commissione Europea ha autorizzato, per la
prossima stagione invernale, la somministrazione di due vaccini animali contro
l’influenza aviaria, allo scopo di prevenire la circolazione del virus tra
pollame e anatre.
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