RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 254 - Testo della trasmissione di lunedì 11 settembre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Ucciso in Guatemala un giornalista
attivo sul fronte della difesa dei diritti umani
Nelle prime elezioni del Montenegro indipendente
vince la coalizione filoccidentale
11 settembre 2006
BENEDETTO XVI NEL CUORE MARIANO DELLA BAVIERA:
IMPARIAMO DA MARIA A PREGARE. NON CHIEDIAMO A DIO MIRACOLI,
MA LASCIAMO A LUI DECIDERE CIÒ CHE INTENDE FARE:
LA SUA RISPOSTA È IL NOSTRO VERO BENE.
OGGI IL RITORNO DEL PAPA NELLA PICCOLA CITTADINA IN
CUI E’ NATO
- Interviste con padre Federico Lombardi e Ludwig
Raishl -
Grande e calorosa accoglienza per il Papa anche stamani
nel Santuario di Altötting il cuore mariano della Baviera, dove il Papa ha
presieduto
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“Là dove c’è
(Canti e
applausi: Benedetto! Benedetto!)
Un’orazione in ricordo delle vittime dell’11
settembre e per la pace nel mondo è stata elevata al momento della preghiera
dei fedeli. Sul palco, la
statua della Vergine in legno di tiglio, annerita nei secoli
dal fumo delle candele votive, e
trasportata in processione. In Maria, il Papa ha indicato l’esempio della “persona
che prega, quasi
GOTT GROß MACHEN, …
“Rendere Dio grande vuol dire dargli spazio
nel mondo, nella propria vita, lasciarlo entrare nel nostro tempo e nel nostro
agire: è questa l'essenza più profonda della vera preghiera. Dove Dio diventa grande,
l'uomo non diventa piccolo: lì diventa grande anche l'uomo e diventa luminoso
il mondo”.
Poi il Papa ha commentato il Vangelo delle
nozze di Cana. Mancando il vino, la Madre rivolta al
Figlio dice “non hanno più vino”. “Non dà istruzioni a Gesù su cosa fare - ha
spiegato il Santo Padre - semplicemente constata che gli sposi si trovano in
difficoltà”. Il vino è finito, la festa di nozze non può continuare. “Maria,
Madre degli uomini, avverte la loro difficoltà, intercede per loro e rimette tutto
al giudizio del Signore”. Così facendo – ha detto Benedetto XVI – ci insegna a
pregare:
VON MARIA LERNEN WIR
…
“Da Maria impariamo la bontà pronta ad
aiutare, ma anche l'umiltà e la generosità di accettare la volontà di Dio,
dandogli fiducia nella convinzione che la sua risposta sarà il nostro vero
bene”.
“Che ho da fare con te donna, non è ancora
giunta la mia ora”: sono le parole di Gesù. “La sua ora definitiva - ha detto
il Papa - sarà il ritorno alla fine dei tempi”, ma è
anticipata continuamente nell’Eucaristia nella quale viene sempre per
intercessione della Madre e della Chiesa che invoca “Vieni Signore Gesù”.
“Nell’Ostia Santa – ha aggiunto il Papa – Egli ci aspetta continuamente”. Da
qui un riferimento all’inaugurazione oggi della nuova Cappella dell’Adorazione,
dove il Santissimo sarà sempre esposto su una pietra originale della Mariensäule, la colonna di Maria a Monaco:
DIE ANBETUNG DES
HERRN …
“L’adorazione del Signore nell'Eucaristia ha
trovato a Altötting, nella vecchia camera del tesoro, un luogo nuovo. Maria e
Gesù vanno insieme. Mediante lei vogliamo restare in dialogo col Signore,
imparando a riceverlo meglio”.
Da Monaco di Baviera, Paolo
Ondarza, Radio Vaticana.
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Sulle parole del Papa oggi ad Altötting e su queste prime
giornate del viaggio in Baviera ascoltiamo il commento del
nostro direttore generale padre Federico Lombardi, al microfono di
Sergio Centofanti:
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R. - Sono parole di carattere molto religioso quest’oggi.
Siamo in un santuario mariano: un momento molto alto di preghiera e di
spiritualità. Mi pare che ci siano diverse parole
significative: ad esempio proprio vedendo Maria come modello di preghiera, si
continua ad approfondire il tema del rapporto con Dio e dove il Papa dice: Dove
Dio diventa grande, l’uomo non diventa piccolo, ma diventa grande anche l’uomo
e diventa luminoso il mondo. Poi l’unione stretta tra Maria e Cristo nel
compiere la volontà del Padre: il loro sì detto insieme e attraverso cui viene
anche il compimento della nostra salvezza. Mi sembra che stiamo andando al
cuore non solo della fede, ma anche della spiritualità cristiana, con questa
caratteristica mariana che è così viva qui nel cuore della fede popolare del
popolo cattolico bavarese.
D. – Nella Messa non è mancata una preghiera riferita
all’11 settembre…
R. – Sì, è stata l’ultima delle intenzioni di preghiera,
quella che normalmente viene appunto riferita ai
defunti, che ha esplicitamente ricordato le vittime dell’attentato. Oggi è l’11
settembre e in tutto il mondo è difficile non ricordarsi di quello che è
successo cinque anni fa. E quindi anche qui nella preghiera, anche se in modo discreto,
questo ricordo è stato presente.
D. – Hanno molto colpito, la stampa internazionale, le
parole del Papa, ieri, su un certo cinismo dell’Occidente verso le cose sacre
che arriva fino al disprezzo di Dio. Atteggiamento che – ha detto il Papa –
spaventa popoli di altri continenti e di altre religioni. Che commento fare?
R. – Ho notato già molte volte negli interventi di vario
genere del Papa questo riferimento all’esperienza dei popoli degli altri
continenti. Il Papa è molto colpito nei suoi dialoghi con i vescovi che nelle
visite ad Limina gli riportano l’esperienza religiosa
e culturale dei popoli da dove essi vengono. Trovo significativa questa visione
universale che il Papa ha della situazione spirituale dell’umanità, della sua
salute spirituale e quindi la sua preoccupazione, per l’Europa o il mondo
occidentale, che noi consideriamo il più progredito, è proprio che perda questa
sua dimensione profonda del suo rapporto con Dio, delle radici spirituali che
sono fondamentali per una sanità della persona umana.
D. – In molti titoli le parole del Papa sono state
sintetizzate così: l’Occidente spaventa l’Islam…
R. – Come dicevo il discorso del Papa è certamente molto
più ampio. E’ uno sguardo, appunto, sull’umanità nel suo complesso. Certamente
ci sono anche molti popoli di religione islamica che possono quindi vivere,
anch’essi, questi sentimenti di sconcerto di fronte al laicismo e alla
secolarizzazione dell’Occidente. Sarebbe, però, certamente riduttivo e limitativo
vedere il discorso del Papa diretto esclusivamente verso l’Islam.
D. – Come è stata l’accoglienza nelle prime giornate a
Monaco?
R. – Le prime giornate sono state dedicate, appunto, alla
città di Monaco e l’accoglienza è stata calorosissima. Da persone che conoscono
bene l’ambiente e la realtà della città ho sentito dire che l’accoglienza è
stata certamente superiore a quanto si poteva attendere, perché la città di
Monaco non è il popolo delle campagne della Baviera, ma è un popolo cittadino,
in ci sono anche tradizioni di carattere liberale, in cui c’è una forte componente evangelica e quindi non era scontato
che ci fosse un calore così visibile nell’accogliere il Santo Padre e il Santo
Padre ne è stato certamente toccato molto profondamente.
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Questa sera è previsto uno dei momenti più suggestivi del
viaggio del Papa con la visita a Marktl am Inn, il piccolo paese a ridosso con la
frontiera austriaca, dove Benedetto XVI è nato 79 anni fa. Durante la breve
sosta il Santo Padre pregherà nella chiesa parrocchiale di Sant’Oswald
dove fu battezzato e visiterà la sua casa natale. Proprio nell’edificio dove
nacque Joseph Ratzinger verrà allestito un museo con la finalità di aiutare i
pellegrini a riflettere sui valori della fede. Sulle attese a Marktl am Inn
Paolo Ondarza ha intervistato Ludwig Raishl, referente teologico del progetto “Casa del Papa”:
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R. – Il popolo di Marktl, un
piccolo paese di 2700 abitanti, è pieno di gioia per la visita del Papa. E’ un
grande onore per loro. La gente di Baviera è gente semplice, gioviale, che
conosce la vita quotidiana. Il Papa conosce questa vita, viene da questa vita,
anche se sono passati oltre 70 anni.
D. – In programma, la preghiera di fronte alla Chiesa
parrocchiale di Sant’Oswald, dove Joseph
Ratzinger venne battezzato
il 16 aprile 1927, il giorno della sua nascita. Poi, il Papa passerà di fronte
al municipio e alla sua casa natale, un museo di cui lei è referente teologico…
R. – Vorremmo aprire la casa il prossimo anno, nel giorno
natale del Papa, il 16 aprile. Però, ora, dopo la visita del Papa, la gente
potrà visitare la stanza natale per sei settimane.
D. – Davvero piccola la cittadina di Marktl
am Inn. Joseph
Ratzinger vi visse solo i primi due anni di vita.
Eppure il Papa non ha voluto far mancare una tappa qui, nella fitta agenda di
questo viaggio in Baviera…
R. – Il Papa dice che è una visita pastorale ed una visita
alle sue radici. Di questo noi siamo felici. Dall’anno scorso il paese non è
più il paese che era prima della scelta di Joseph Ratzinger a Papa. La gente è piena di orgoglio del fatto
che il Papa sia nato a Marktl. E adesso per la gente
di Marktl sarà una festa.
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E veniamo alla giornata di ieri. In
serata il Papa ha presieduto la celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di
Monaco. Nell’omelia ha sottolineato un tema a lui molto caro: la gioia dell’essere credenti, la felicità che viene
dall’intimità con Cristo. Benedetto XVI ha così rivolto un forte invito ai
genitori a vivere insieme con i figli la fede nei tempi della Messa domenicale
e della preghiera quotidiana, perché in questo modo la famiglia resta unita. E
poi ha esortato anche educatori e insegnanti a promuovere nelle scuole la ricerca
di Dio, perché – ha detto -
“tutte le risposte che non giungono fino a Dio sono troppo
corte”. Su questo evento diamo ancora la parola al nostro inviato in Baviera
Paolo Ondarza:
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(Canto)
“La preghiera, forza di pace e di
gioia, ci porta non solo verso Dio, ma anche l’uno verso l’altro”. E’ uno dei
passaggi dell’omelia dei Vespri celebrati da Benedetto XVI, ieri pomeriggio,
nella Cattedrale di Monaco. Proprio qui, il 26 maggio 1978, Joseph
Ratziger veniva consacrato
vescovo. La riflessione, sul tema “Facci forti nella fede”, era rivolta particolarmente
ai bambini che hanno ricevuto
aber
gerade so redet er auch über die erde und …
“Durante la nostra vita siamo
tutti in cammino, progredendo verso il futuro. E vogliamo trovare la strada
giusta: scoprire la vita vera, non finire in un vicolo cieco o nel deserto. Non
vogliamo dover dire alla fine: ho preso la strada sbagliata, la mia vita è
fallita, è andata male. Noi vogliamo gioire della vita; vogliamo, come ha detto
una volta Gesù, avere la vita in abbondanza".
Per avere la vita in abbondanza e
non finire in un “vicolo cieco”, bisogna trovare Cristo, che ha “posto la sua
tenda tra noi”. Le due strade per incontrarlo sono il Battesimo e l’Eucaristia.
“Possiamo dare del Tu a Cristo, parlare con Lui. Egli ci ascolta e, se siamo attenti,
sentiamo anche che Egli risponde”. Facendo riferimento alle vesti bianche della
Prima Comunione, indossate dai bambini, il Papa ha spiegato:
weiß
war nach der vorstellung der alten welt die farbe…
“Secondo l'idea del mondo antico,
il bianco era il colore della luce. Le bianche vesti significano che nella fede
diventiamo luce, deponiamo le tenebre, la menzogna, la finzione, il male in
genere, diventiamo persone chiare, adeguate per Dio”.
Vibrante poi l’appello ai genitori
presenti:
bitte, geht
mit euren kindern in die kirche zur sonntäglichen …
“Vi prego andate
insieme con i vostri bambini in chiesa per partecipare alla Messa domenicale!
Non è tempo perso; è invece ciò che tiene la famiglia veramente unita, dandole
il suo centro”. Pregate a casa insieme – ha proseguito – a tavola, prima di
andare a dormire. La preghiera è una forza di pace e gioia, con essa la vita nella famiglia “diventa più festosa”.
Agli insegnanti di religione il
Papa ha detto: “aiutate i bambini e i giovani a rendersi
conto che tutte le risposte che non giungono fino a Dio, sono troppo corte”.
Nelle scuole si insegni anche la ricerca di Dio.
Infine, l’appello ai parroci: le
parrocchie siano una “grande famiglia” dove sperimentare “la famiglia più
grande che è
Prima della celebrazione il Santo
Padre ha pregato davanti alle tombe degli arcivescovi di Monaco e Frisinga.
La seconda giornata del Papa in
Baviera è stata un susseguirsi di scambievoli manifestazioni di affetto con la
sua gente. Benedetto XVI si è intrattenuto tra la folla, incontrando e
rivolgendo sorrisi e comunicando, ancora una volta, che il suo cuore “batte in
modo bavarese!”
Da Monaco di Baviera, Paolo Ondarza, Radio Vaticana.
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Domani mattina, alle ore 10, Benedetto XVI celebrerà la
Santa Messa a Ratisbona, sulla spianata dell’Islenger Feld, dove è attesa una
moltitudine di fedeli. La nostra emittente seguirà l’evento a partire dalle ore
9.30 con commenti in italiano e tedesco per la zona di Roma e l’Europa centro
occidentale.
“I
SEGNI DELLA MORTE”: COLLOQUIO IN VATICANO TRA 3O
ESPERTI DI TUTTO IL MONDO
SUI
CRITERI CONDIVISI NELLA COMUNITA’ MEDICA E NON SOLO
PER
ACCERTARE LA FINE DELLA VITA
- Ai
nostri microfoni il prof. Paolo Maria Rossini -
“I segni della morte”: si aperto stamane
in Vaticano il Seminario internazionale di studi, organizzato dalla Pontificia
Accademia delle Scienze, su un tema di grande attualità, che interpella la
comunità scientifica e non solo per arrivare a definire il momento esatto del
decesso. Il servizio di Roberta Gisotti:
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Quando un individuo può dirsi morto? Un interrogativo
cruciale ai fini del trapianto di organi della persona deceduta ma anche del
prolungamento artificiale della vita - quanto a volte precario e penoso -
perché non abbia a trasformarsi in accanimento terapeutico. La questione è da
oltre 20 anni oggetto di studio e dibattito alla Pontificia Accademia delle
Scienze, per le sue implicazioni oltre che mediche, teologiche, etiche e giuridiche.
Se oggi si è raggiunto nella comunità scientifica un accordo sul ‘criterio di morte cerebrale’,
per dichiarare la cessazione della vita, prosegue la ricerca a supportare il corretto
agire dell’operatore sanitario, responsabile di tale accertamento. 30 i
relatori convocati da Europa, America, Australia riuniti
per due giorni in Vaticano allo scopo di confrontare teorie e prassi in
continua evoluzione per accertare i segni della morte, come ci spiega il prof.
Paolo Maria Rossini, neurologo, direttore del Centro
S. Giovanni di Dio-Fatebenefratelli (IRCCS) e docente all’Università Campus Bio-Medico di Roma:
“Questo è un elemento della medicina moderna, non esisteva
fino a 50 anni fa il problema di definire un soggetto con il cuore che ancora batte ma in cui il cervello è morto. Sono situazioni nate
dalla moderna rianimazione che ci permette di mantenere in vita persone che
hanno avuto gravissimi danni cerebrali, in cui il cuore, il fegato, i reni
continuano a funzionare ma in cui il cervello e soprattutto il tronco
dell’encefalo, che è un po’ l’albero della vita, la zona che controlla tutti i
riflessi vitali, è irrimediabilmente danneggiato. La discussione di questi due
giorni si incentra proprio nel verificare se a livello scientifico
internazionale ci sia un accordo definitivo speriamo su questi principi
generali e nel confrontare la visione della scienza moderna con quelle della
teologia e dell’etica moderna”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il dettagliato resoconto del
viaggio apostolico di Benedetto XVI in Germania.
Servizio estero - Aperte negli Stati Uniti le
commemorazioni per l'anniversario dell'11 settembre.
Servizio culturale - Un articolo di Franco Pelliccioni dal titolo "Saint-Germain-en-Laye,
città di pace e di castelli": nella località francese, che fu sede della
residenza reale prima di Versailles, vennero firmati
diversi trattati internazionali.
Servizio italiano - In rilievo il tema della
finanziaria.
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11 settembre 2006
CINQUE ANNI DOPO, L’AMERICA RICORDA
LE VITTIME DEGLI ATTENTATI
A NEW YORK E WASHINGTON CHE COSTARONO LA VITA
A TRE MILA PERSONE.
UNA FERITA ANCORA APERTA, MENTRE LA
NAZIONE SI DIVIDE SULLA POLITICA ESTERA DELL’AMMINISTRAZIONE BUSH. AL QAEDA
MINACCIA ISRAELE E GLI STATI ARABI
MODERATI E ESORTA I MUSULMANI AD OPPORSI AGLI
STATI UNITI
- Con noi, mons. Dennis J. Sullivan -
Gli Stati Uniti si apprestano a commemorare le vittime
dell’attentato più sanguinoso della storia. Tra pochi minuti, esattamente alle
ore 14.46 italiane, verrà osservato un momento di
silenzio, che ricorda l'istante esatto in cui il primo aereo, l'American Airlines 11 decollato da Boston, si schiantò contro la
Torre Nord del World Trade Center. Poi, a Ground Zero, comincerà la lettura dei nomi delle vittime da
parte dei familiari. Anche su questo quinto anniversario degli attentati,
aleggia minacciosa l’ombra di Al Qaeda.
Proprio in queste ore, infatti, la CNN ha trasmesso un video in cui il vice di Bin Laden, l’egiziano Al Zawahiri, minaccia Israele e i Paesi arabi moderati del
Golfo Persico ed esorta i musulmani ad intensificare la lotta contro gli Stati
Uniti. Ma torniamo alle commemorazioni per l’11 settembre, con il servizio da
New York di Paolo Mastrolilli:
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Le cerimonie sono cominciate ieri pomeriggio, quando il
presidente Bush ha deposto una corona a Ground Zero, ma lo ha fatto in silenzio, sperando di tenere
separate le emozioni dell’11 settembre dalla disputa politica sulla guerra al
terrorismo. Quindi, ha partecipato ad una cerimonia religiosa nella Chiesa di St. Paul che stava sotto le Torri
Gemelle e ha promesso un rinnovato impegno nella lotta ad Al
Qaeda. Stamattina, Bush
visiterà una stazione dei pompieri di Manhattan,
prima di andare sul campo della Pennsylvania, dove si schiantò il “Volo 93”, e
davanti al Pentagono per l’ultima cerimonia. Alle nove di sera poi terrà un
discorso alla nazione, riaprendo il dibattito politico sulla guerra al
terrorismo, che dominerà anche le elezioni parlamentari previste il 7 novembre.
Secondo i sondaggi,
due terzi degli americani si aspettano nuovi attentati, mentre la maggioranza
pensa che non sia valsa la pena di sacrificare quasi 2700 uomini in Iraq.
Eppure, ogni volta che torna l’allarme terrorismo, come durante il recente complotto
sventato a Londra, la popolarità dei Bush risale dal
30 per cento di gradimento, intorno a cui stagna da
mesi. Gli americani lo considerano ancora più affidabile dei Democratici sulla
sicurezza, forse anche perché non ci sono stati più attacchi sul suolo degli
Stati Uniti, e su questo punta la Casa Bianca, per evitare un ribaltamento
della maggioranza al Congresso, che segnerebbe l’inizio della fine per
l’amministrazione. Ieri, il segretario di Stato, Rice,
ha ripetuto che tra Saddam e Al Qaeda
c’erano contatti da anni, per smentire il rapporto pubblicato venerdì dalla
Commissione Intelligence del Senato, secondo cui queste connessioni non erano
mai esistite. Dal canto suo, il senatore Democratico Rockfeller
è arrivato a dire che l’America sarebbe stata più sicura con Saddam al potere, perché non c’entrava con l’11 settembre,
non voleva attaccare gli USA e poteva restare isolato senza disperdere le
risorse, impegnate nell’invasione dell’Iraq. Queste risorse, ha aggiunto, sarebbero
invece tornate utili per dare la caccia al vero colpevole degli attentati del
2001: Osama Bin Laden, che resta libero.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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E in queste ore, stanno giungendo da ogni parte del mondo espressioni di affetto ed amicizia alla città di
New York, segno che a 5 anni di distanza è ancora molto forte l’impressione
provocata dall’attacco alle Torri Gemelle. Una ferita ancora aperta. Per una
riflessione sulle conseguenze degli attentati dell’11 settembre, Philippa Hitchen, ha intervistato
mons. Dennis Sullivan,
vescovo ausiliario di New York, all’epoca parroco a Manhattan:
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R. – WE
HAD THIS WONDERFUL VIEW …
Dalla Chiesa avevamo questa bellissima vista delle Torri
Gemelle. All’improvviso siamo stati testimoni del fuoco all’interno della prima
Torre. Circa 5 minuti dopo c’è stata grande agitazione lungo le strade. Potete
immaginare l’emozione delle persone. Abbiamo visto l’altro aereo venire avanti
e colpire la seconda Torre. Sono ricordi molto vivi, come si può immaginare.
D. – In quelle ore, e nei giorni seguenti all’attacco,
molte persone si sono poste la domanda “Dov’era Dio in tutto questo”? Ricorda
la reazione della gente?
R. - I THINK THAT IS CERTAINLY …
Penso che questo sia veramente una domanda valida. Penso
che Dio non fosse nell’orrore della violenza, della
distruzione e della morte, dell’11 settembre. Dio era nelle grandi storie, che
sono emerse, di quelle persone che sono riuscite a scappare dalle Torri, che si
sono aiutate fra loro. Dio era nell’enormità dei soccorsi e degli sforzi delle
persone di tutto il mondo, di New York e degli Stati Uniti, che sono venuti ad
aiutare e a cercare di salvare delle vite. E come sapete, una delle più grandi
tragedie è stata proprio quella che poche vite sono state salvate. Penso che
Dio fosse nell’amore mostrato dalla gente comune, che
si è aiutata l’un l’altra, nell’amore di sconosciuti che si sono incoraggiati a
vicenda.
D. – La Chiesa ha giocato un ruolo cruciale nel cercare di
rispondere ai bisogni della gente che era stata colpita dagli attacchi…
R. – THAT IS CORRECT …
E’ vero, e quello che abbiamo fatto è stato fatto anche
dalle altre parrocchie di Manhattan, specialmente
quelle che si trovavano in prossimità al World Trade
Center. I nostri preti sono andati sul posto. Quella mattina io invece scelsi
di restare in parrocchia, perché pensavo di essere più utile. Sacerdoti di
tutte le parti hanno risposto nei mesi seguenti. Ci sono state molte preghiere.
Gli stessi lavoratori si sono fermati in preghiera ed hanno espresso una grande
devozione. C’è stata poi anche una grande risposta da parte dei servizi
sociali. Per le famiglie delle vittime, per i bambini che hanno sofferto emotivamente,
grande è stato il lavoro per raccogliere gli aiuti, e in particolare i soldi che
hanno garantito ai bambini che hanno perso i loro genitori un sostegno
gratuito. Una donna, molti mesi dopo l’attentato ha smesso di
essere isterica, ha capito di essere stata aiutata da una suora ed ha
compreso quanto importante fosse per lei la fede, la religione della nostra
Chiesa.
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DRAMMATICO
ALLARME-IMMIGRATI NELL’ARCIPELAGO DELLE CANARIE:
RADDOPPIATO IL NUMERO
DEGLI SFOLLATI RISPETTO AL 2005, MA IL FLUSSO
NON ACCENNA A CALARE.
IL GOVERNO SPAGNOLO CORRE AI RIPARI
- Intervista con l’arcivescovo
Agostino Marchetto -
Almeno 800 immigrati irregolari sono giunti
nel fine settimana sulle coste delle Canarie. In questo ultimo anno, sono
ventimila i migranti approdati sulle coste dell’arcipelago spagnolo, mentre
almeno 100 mila sarebbero pronti ad imbarcarsi per raggiungere le isole. Per
far fronte all’emergenza, il governo di Madrid ha discusso nei giorni scorsi
con il Commissario europeo allo sviluppo e aiuti umanitari, Louis
Michel, un piano di reinserimento dei rimpatriati nei
loro Paesi di origine.
Il drammatico scenario delle Canarie ricorda da vicino la situazione italiana
dell’isola di Lampedusa, che da venerdì sera ha visto, in successivi sbarchi,
l’approdo di circa 500 immigrati. Proprio stamani, peraltro, le forze
dell’ordine hanno bloccato 39 immigrati clandestini sbarcati sull’isola. La
nostra collega della redazione inglese, Catherine Smibert, ha sentito su questo fenomeno il parere
dell’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i
Migranti e gli itineranti:
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R. – Gli inarrestabili flussi di immigrati che giungono
all’Arcipelago delle Canarie, soprattutto provenienti dalle coste africane,
sono sempre più al centro
dell’attenzione internazionale e preoccupano le istituzioni
locali e nazionali ed interpellano la sollecitudini pastorale della Chiesa.
Nella settimana in corso, sono arrivatI
più o meno in 2.500, e questo solo per dare dei numeri che fanno comprendere la
forza della crisi. Le persone senza documenti, insieme a
quelle già sbarcate nei giorni scorsi, diventano così più di 5.000. Si tratta,
naturalmente dal nostro punto di vista, non tanto di una questione
socio-politica, che pure esiste, quanto piuttosto di un dramma umano che
interroga la comunità internazionale, affinché venga globalizzata la solidarietà. Questo è proprio uno dei temi
trattati nei giorni scorsi al Meeting di Assisi “uomini e religioni”, dove sono
intervenuto proprio sul tema “Globalizzare la
solidarietà”.
D. – Come si sta muovendo il governo Zapatero
per fronteggiare l’allarme-profughi?
R. – Il governo spagnolo sta prendendo naturalmente delle
posizioni per contrastare, anche con l’aiuto – se possibile – dell’Unione
Europea, l’arrivo di immigrati senza documenti. Resta vero che l’immigrazione è
un dato di fatto e che più opportuno sarebbe impegnarsi invece nell’orientarla
che non limitarsi a disporre misure di restrizione e di contrasto, che hanno
poi l’effetto che hanno. Quando c’è di mezzo l’esasperazione e la disperazione,
le persone fanno di tutto per andarsene, anche a rischio di morire. Qualcuno recentemente diceva: “Ammazzatemi, ma io indietro non
torno”: questo dice qualcosa. In questa ottica, dunque, condizione e
premessa per un approccio adeguato è l’aiuto, sempre rinnovato, alla persona
umana, ogni persona umana, anche in situazione irregolare. Dunque, pur in
situazioni irregolari, queste persone hanno sempre dei diritti umani che devono
essere rispettati.
D. – Tra le istituzioni in prima linea per promuovere
l’accoglienza degli sfollati c’è da sempre la Chiesa cattolica con il suo
magistero…
R. – L’istruzione Erga migrantes caritas Christi, come del resto la Dottrina sociale
della Chiesa, intende essere uno stimolo per tutti, affinché si lavori per un
futuro che rispetti la dignità di ogni persona. Pertanto, è indispensabile che
essa sia considerata tra i valori essenziali e costitutivi dell’umanità, senza
cedere a leggi che a lungo andare impoveriscono la vera risorsa per eccellenza
che è l’uomo, che è la donna. In questo senso, si può ricordare Giovanni Paolo
II che, nella Centesimus Annus,
affermava che la principale risorsa dell’uomo è l’uomo stesso. La Chiesa,
dunque, lotta contro le nuove schiavitù con il pensiero, con l’azione e con i
mezzi a sua disposizione, in conformità con la sua natura e la sua missione. Mi
permetto di citare il documento Erga migrantes caritas Christi, secondo il quale non si deve
dimenticare che il fenomeno migratorio solleva una vera e propria questione
etica, quella cioè della ricerca di un ordine economico internazionale per una
più equa distribuzione dei beni della terra, che contribuirebbe – non poco, del
resto – a ridurre e moderare i flussi di una numerosa parte delle popolazioni
in difficoltà. Mi sembra che ciò stia entrando nella mentalità della politica
degli Stati. C’è poi l’aspetto ecclesiale, per noi primario, dell’accoglienza
nell’emergenza e nella continuità e dell’integrazione, e non
dell’assimilazione, di queste persone che, io penso, busseranno sempre più
numerose alle porte delle società del cosiddetto benessere.
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11 settembre 2006
GENOVA HA SALUTATO IERI POMERIGGIO
IL SUO ARCIVESCOVO, IL CARDINALE TARCISIO BERTONE CHE DAL 15 SETTEMBRE SARA’ IL
NUOVO SEGRETARIO DI STATO VATICANO. ALLA MESSA SOLENNE, CELEBRATA NELLA
CATTEDRALE DI SAN LORENZO, TANTI I FEDELI CHE HANNO VOLUTO ESPRIMERE IL LORO
AFFETTO AL PORPORATO
- A cura di Dino Frambati -
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GENOVA.= Commovente, intensa, una sincera comunione di
sentimenti. E’ stato tutto questo ieri pomeriggio la cerimonia
di commiato da Genova del cardinale Tarcisio Bertone, in una cattedrale di San
Lorenzo stracolma ad un punto tale da non riuscire ad accogliere tutti i
genovesi accorsi per salutare l’ormai loro ex vescovo. Tanti quelli che hanno
seguito la funzione su un maxi schermo, allestito all’esterno della chiesa. Una
cattedrale adornata dai mitici fiori di Sanremo: quasi tremila fra garofani
bianchi, arancio, rossi e rose. Scenario degno dell’evento e dove l’arcivescovo
ha ricordato il ruolo forte di Genova nella Chiesa italiana e nella storia
futura del Paese. Ha invitato poi chi vive sotto la Lanterna ad essere
testimone di gioia e di Fede, anche nei luoghi di vita quotidiani, ed anche in
questo territorio di attività pastorale. A Genova, ha insistito il porporato,
con un accenno agli eventi laici della storia, è nato il Partito Socialista per
i diritti dei lavoratori, quando però, ha sottolineato, esistevano già numerose
società cattoliche proprio per i lavoratori. Ma la diocesi genovese, ha
proseguito il cardinale, è anche le sue missioni nel mondo, il porto proiettato
all’estero. Non è poi riuscito a nascondere l’emozione e quasi il rimpianto di
andarsene: “Ricordatevi di me, di Tarcisio”, ha detto ma
non ha completato queste poche parole per le lacrime agli occhi, lui che ha
amato molto il posto che deve lasciare. Da citare la processione che ha preceduto
la Messa e dove in testa hanno sfilato tanti bambini con le bandiere dei Paesi
del mondo ed il dono dell’effigie della Madonna, Regina della città, che Bertone
ha promesso porrà nel suo nuovo ufficio di segretario di Stato vaticano. Ed ora
Genova attende Bagnasco, con tutto l’affetto
possibile.
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BANGLADESH: CON UNA SOLENNE
CELEBRAZIONE EUCARISTICA L’ARCIVESCOVO
DI DHAKA, MONS.
PAULINUS COSTA, HA APERTO IL 2 SETTEMBRE IL PROCESSO
PER LA BEATIFICAZIONE DI MONS. THEOTONIUS AMAL GANGULY,
PRIMO ARCIVESCOVO ORIGINARIO DEL
PAESE
DHAKA. = Oltre tremila fedeli hanno preso parte il 2
settembre scorso a Dhaka, in Bangladesh,
alla Messa ufficiale per l’apertura della fase diocesana della causa di
beatificazione del loro primo arcivescovo nativo, mons. Theotonius
Amal Ganguly. Alla
cerimonia, che segna un evento storico per il Paese, scrive l’agenzia Asianews, hanno partecipato il nunzio apostolico mons. Paul Tschang In-Nam,
l’attuale arcivescovo di Dhaka, mons. Paulinus Costa, circa cento sacerdoti e diverse centinaia
di religiosi. Il Beato Papa Giovanni XXIII nominò il primo vescovo nativo
dell’allora Pakistan dell’Est il 3 settembre del 1960; il 6 luglio del 1965
Paolo VI lo volle arcivescovo coadiutore di Dhaka. Mons. Ganguly
ha guidato l’arcidiocesi di Dhaka dal 23 novembre del
1967 al 2 settembre del 1977, quando morì – a 57 anni
– per un attacco cardiaco. Nella sua omelia mons. Costa ha raccontato dei
moltissimi laici, giovani ed anziani che gli hanno chiesto di prendere
l’iniziativa per l’apertura della causa di beatificazione del suo predecessore.
Il presule ha detto di aver inoltrato al Papa la richiesta per poter iniziare
il processo a marzo. “Pregheremo – ha detto l’arcivescovo – affinché Dio
conceda a questa causa un buon esito. Ognuno di voi riceverà una foto del servo
di Dio ed una preghiera: vi chiedo di recitarla in ogni casa ed in ogni
parrocchia”. Al termine della celebrazione tanti i fedeli che si sono recati a
pregare presso la tomba di mons. Ganguly, nella
residenza arcivescovile. (T.C.)
RITROVATO
IERI A COBAN, IN GUATEMALA,
IL CORPO DEL GIORNALISTA
RADIOFONICO SCOMPARSO QUALCHE GIORNO FA
CITTÀ
DEL GUATEMALA. = Il corpo di Eduardo Maas, 58 anni,
giornalista radiofonico guatemalteco, nonché attivista per i diritti umani,
crivellato di proiettili, è stato rivenuto ieri a Coban.
Il giornalista è stato trovato nella sua automobile. Patricia Gomez, responsabile dell’emittente nazionale “Radio Punto”,
per la quale Maas lavorava, ha detto che né i colleghi
né i familiari sono al corrente di minacce che potrebbero essergli state
rivolte. L’omicidio è l’ultimo di una serie di attentati contro gli operatori
dell’informazione. Il mese scorso un reporter radiofonico è stato ferito al
volto da colpi sparatigli da ignoti aggressori in motocicletta, a Città del
Guatemala, e quattro giornalisti, nella vicina Antigua, hanno ricevuto minacce
di morte dopo aver denunciato episodi di corruzione. Il difensore dei diritti
umani guatemalteco Sergio Morales ha espresso una
profonda preoccupazione per l’allarmante aumento delle minacce e degli attacchi
contro i media ed ha citato 13 incidenti nelle ultime
settimane. Pochi giorni fa, la Conferenza episcopale guatemalteca, in un ampio
documento, ha affermato che il Guatemala sta vivendo “una grave decomposizione
morale come prodotto della perdita crescente dell’umanesimo e del riferimento a
Dio quale fondamento dell’azione guidata da principi etici. “Viviamo una crisi
culturale enorme (...) e molti hanno sradicato Dio dalle loro vite”, hanno
scritto i vescovi. Fra i problemi più impellenti del momento l’episcopato parla
della “violenza e dell’insicurezza pubblica”, che non solo costringe la
popolazione a vivere un permanente “stato di inquietudine e vigilanza” ma che,
di fatto, “si tramutano in un attentato e in una mancanza di rispetto per la
vita umana”. “Il narcotraffico e il traffico illegale di armi sono indicatori
dell’incapacità degli organi di sicurezza e del sistema giudiziario dello Stato
per far fronte al rispetto delle leggi e, dunque, contribuiscono ad erodere i
valori etici sui quali si fonda la convivenza sociale”, hanno affermato i
vescovi. “L’esistenza del commercio legale di armi manifesta la predisposizione
a fare ricorso alla violenza”, osserva la Conferenza episcopale, ritenuta
“soluzione dei problemi” o risposta “al bisogno di sicurezza” di fronte alle
insufficienze dello Stato. Da qui l’appello dei presuli a fondare la vita
individuale e sociale sulla retta concezione della dignità della persona umana.
“La religione non è un affare per il consumo privato – prosegue il documento – anzi, essa è la fonte che motiva ogni azione
personale con lo scopo di essere sempre più umani e costruire così una società
più solidale”. (L.B.)
LA CHIESA CATTOLICA SI IMPEGNA IN
KENYA A PREGARE E A TENERE INCONTRI
PER LA PACE, PERCHE’ CESSINO E GLI
OMICIDI DI ALLEVATORI E PASTORI
E LE RAPINE DI BESTIAME
NAIROBI. = Cinquanta leader religiosi e capi delle
comunità provincia keniana del Rift Valley hanno lanciato un appello perché vengano meno le
violenze legate alle razzie di bestiame. Da aprile, scrive l’agenzia Fides,
diverse persone sono state uccise durante alcuni raid. Secondo quanto riporta
l’agenzia CISA di Nairobi, durante un incontro di preghiera a Suguta Mugie, nel distretto di Samburu, i capi delle comunità di Pokot,
Samburu e Turkana hanno
elaborato un piano per porre fine alle rapine. “Solo la mediazione continua e
lo sviluppo e non l’uso della forza possono restaurare la pace tra le nostre
comunità”, hanno dichiarato alcuni esponenti della Chiesa cattolica. Intanto,
almeno 18 persone sono state uccise durante un altro raid a Ol
Moran, nel distretto di Laikipia,
non lontano dal luogo dell’incontro di preghiera. Secondo le autorità di
polizia il bilancio dell’attacco potrebbe essere più pesante perché vi
sarebbero diversi corpi che ancora giacciano nella boscaglia. Mons. Virgilio Pante, vescovo di Maralal, ha raccontato che diverse persone hanno
abbandonato le loro abitazioni per cercare rifugio altrove ed ha raccomandato
“di pregare e istruire senza timore, nelle chiese e nelle strade, le persone
alla pace, alla riconciliazione, alla cura e al perdono, per creare una nuova
cultura”. È stato deciso di tenere incontri periodici per la pace, di cercare
di contattare i razziatori per convincerli a desistere dalle loro azioni e di
chiedere aiuti ad amministratori governativi e leader politici. “Vogliamo
rimanere uniti come un’unica Chiesa in Cristo e pregare insieme con coraggio il
Vangelo della pace”, hanno affermato i leader della Chiesa locale, che si sono
impegnati anche a studiare le cause profonde delle violenze - ignoranza,
credenze tradizionali, povertà e mancanza di infrastrutture - per inviare
suggerimenti al governo. Mons. Pante
si è detto convinto che il piano elaborato dai responsabili della Chiesa
cattolica è un passo importante, perché la popolazione confida nella Chiesa.
“Il governo non è in grado di controllare la situazione; la gente ha perso la speranza
– ha detto – ma la Chiesa è un territorio neutrale,
dove la popolazione si raccoglie perché crede nel Dio unico e in Gesù Cristo
che può guarire la situazione”. (T.C.)
RILANCIARE LA PACE COME VOLANO PER
LO SVILUPPO DELL’AFRICA. E’ L’OBIETTIVO DI ALCUNI CAPI DI STATO CHE HANNO
SOTTOSCRITTO UNA DICHIARAZIONE AL TERMINE DEL VERTICE DELL’UNIONE AFRICANA
SVOLTOSI A SIRTE, IN LIBIA
SIRTE.
= Nella dichiarazione rilasciata al termine del vertice dell’Unione Africana,
che si è tenuto nel fine settimana a Sirte, in Libia, i capi di Stato di alcuni
Paesi africani hanno voluto ribadire il loro impegno perché le popolazioni
locali possano valorizzare le proprie risorse e sfruttare le ricchezze
naturali. Durante l’incontro, svoltosi nel settimo anniversario di fondazione
dell’Unione Africana, è stata sottolineata la necessità del rispetto dei
principi, degli obiettivi dell’UA e delle aspirazioni dei popoli africani al
progresso, alla pace, alla democrazia, all’integrazione e all’accesso a una
vera indipendenza. Nel testo si esprime poi soddisfazione per i processi di
riconciliazione nazionale avvenuti, in quest’ultimo periodo, nelle Isole Comore e, in particolare, nella Repubblica democratica del Congo, dove alla fine di luglio, si è svolto il primo
storico voto multipartitico dopo oltre 40 anni. Un monito particolare è stato
lanciato ai due candidati nel ballottaggio presidenziale dell’ex-Zaire – il presidente uscente Joseph
Kabila e il vicepresidente Jean-Pierre Bemba – perché garantiscano un clima di sicurezza nello
svolgimento del voto. (M.C.)
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11 settembre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco e Marco Guerra -
In Afghanistan, continua a crescere il bilancio delle
vittime causate dagli scontri tra talebani e militari della
NATO: un portavoce dell’Alleanza Atlantica ha rivelato che sono morti,
nelle ultime ore, altri 90 insorti. Nell’est del Paese sono poi rimasti uccisi
5 poliziotti, vittime di un attentato dinamitardo compiuto da ribelli durante i
funerali del governatore di Paktia. A Bruxelles,
intanto, il segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer,
ha convocato per oggi una riunione straordinaria del Consiglio Atlantico sulla
difficile situazione in Afghanistan, dove sono rimasti uccisi, a partire dallo
scorso 2 settembre, oltre 500 ribelli in seguito all’operazione “Medusa”
lanciata da reparti della NATO.
Nuovo attentato suicida a
Baghdad: almeno 13 reclute dell’esercito iracheno sono morte per un attacco
contro il minibus a bordo del quale viaggiavano. Lo hanno riferito fonti ufficiali,
secondo cui l’attentato e' avvenuto nel centro di reclutamento di Muthanna, una base aerea già colpita dai terroristi in
passato. Dalle prime informazioni risulta che il kamikaze, con indosso una
cintura esplosiva, si trovava a bordo del minibus. Nella capitale, intanto, è
ripreso il processo contro l’ex presidente iracheno, Saddam Hussein, ed altri
sei ex gerarchi accusati del massacro di circa 180 mila curdi
tra il 1987 ed il 1988.
I negoziati fra il governo di Teheran
e Unione Europea “continuano ad essere la strada migliore per porre fine alla
crisi” sul programma nucleare dell'Iran. Lo ha dichiarato il direttore generale
dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Mohamed
El Baradei, prima
dell’inizio della nuova sessione del Consiglio dei governatori. Nelle prossime
ore sarà presentato il nuovo rapporto degli ispettori che conferma il
proseguimento del programma iraniano di arricchimento dell’uranio.
In Medio Oriente, il premier palestinese Ismail Haniyeh, esponente del
gruppo radicale Hamas, ha detto che è stato raggiunto
un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale. Haniyeh ha anche precisato che sarà primo ministro della
nuova compagine governativa. Sul terreno, intanto, un palestinese è morto a Jenin, in Cisgiordania. Un testimone ha riferito che è
stato ucciso da soldati israeliani. L’esercito dello Stato ebraico sostiene,
invece, che si è probabilmente trattato di un regolamento di conti tra palestinesi.
Il primo ministro britannico, Tony Blair,
è arrivato a Beirut, fra imponenti misure di sicurezza: soldati e reparti di
polizia sono stati dispiegati, infatti, nel centro della capitale libanese in
vista di annunciate manifestazioni di protesta contro l’atteggiamento britannico
durante la guerra. Blair, criticato da molti in
Libano per non essersi associato alle richieste di tregua fin dall’inizio dei
34 giorni di conflitto, incontrerà il collega libanese, Fouad
Siniora, per discutere del contributo britannico alla ricostruzione del Paese.
Parlando al vertice dei Paesi dell’Unione Africana (UA) di
Sirte, in Libia, il presidente libico Gheddafi ha
rilanciato il vecchio sogno di un governo federale africano con “un’identità,
una nazionalità, un popolo, una moneta, un esercito”, che sia
in grado di risolvere per conto suo i problemi che affliggono il continente
africano. Gheddafi ha anche definito colonialisti i
tentativi della comunità internazionale di sostituire, nel Darfur,
le truppe dell’Unione Africana con i caschi blu dell’ONU.
In Montenegro, il partito del primo ministro Milo Djukanovic ha vinto le elezioni parlamentari, tenutesi ieri
nel piccolo Paese balcanico. La sua coalizione ha ottenuto
41 degli 81 seggi in Parlamento, che dovrà ora eleggere il governo incaricato
di avviare il processo di integrazione europea. Il partito socialista popolare
ha conquistato, invece, solo 11 seggi. Ha partecipato al voto il 70 per cento
degli oltre 484 mila aventi diritto su una popolazione complessiva di circa 650
mila abitanti. Il nostro servizio:
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Le prime elezioni legislative in Montenegro dopo
l’indipendenza dalla Serbia, proclamata lo scorso 3 giugno, sono state vinte
dalla coalizione di sinistra filoeuropea e filoatlantica guidata dal primo ministro socialdemocratico
Milo Djukanovic, già principale artefice della
separazione da Belgrado. “Queste elezioni – ha detto il primo ministro subito
dopo aver appreso l’esito della consultazione - hanno mostrato che il
Montenegro è saldamente sui binari europei e che ha un governo in grado, nel
prossimo futuro, di intraprendere tutte le azioni necessarie per portare il
Montenegro all’integrazione euroatlantica”. Ma il
primo ministro montenegrino non guarda solo verso Bruxelles: Djukanovic ha già annunciato, infatti, di non voler rompere
i rapporti con il mondo slavo e con la Russia, uno dei principali investitori
in Montenegro e ancora importante per gli equilibri dei Balcani. Ha riconosciuto
la vittoria del partito del premier anche la Lista Serbia, formazione composta
dal partito popolare e da quello radicale che si è piazzata, a sorpresa, al secondo posto. E’ uscito sconfitto, invece, l’ex fronte antisecessionista guidato dalla maggiore forza
di opposizione, il partito socialista del filo serbo Predrag
Bulatovic. Il suo raggruppamento, che ormai ha rinunciato
a mettere in discussione il “divorzio” da Belgrado, pone l’accento sui problemi
sociali ed economici del Montenegro. Le radici di queste precarie condizioni
sono legate ad una storia travagliata: il Paese balcanico
ha avuto fino alla Seconda Guerra Mondiale un’economia esclusivamente agricola
ed anche l’industria locale ha subito gravi contraccolpi per la disgregazione
del mercato jugoslavo. Adesso, le prospettive di ripresa e di sviluppo
economico sembrano sempre più legate ai processi di integrazione europea.
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Riprende la pratica dei sequestri di turisti stranieri
nello Yemen. Si tratta di quattro francesi rapiti
ieri da un clan tribale nell’est del Paese. Le autorità yemenite e francesi
hanno dichiarato che lo scopo dei rapitori è di ottenere il rilascio di alcuni
loro parenti trattenuti nelle prigioni del Paese arabo. L’ambasciatore francese
a Sanaa ha avuto assicurazioni su una prossima
soluzione della vicenda dalle autorità yemenite. Il sequestro è stato compiuto
nel giorno dell’apertura della campagna elettorale in Yemen
per le elezioni presidenziali del prossimo 20 settembre.
Il Giappone ha
lanciato oggi un satellite spia destinato in particolare a sorvegliare il riarmo
della Corea del Nord. Dopo alcuni rinvii a causa del
maltempo, il satellite è stato messo in orbita. Il governo di Tokyo ha avviato
un programma di sorveglianza delle ambizioni missilistico-nucleari
di Pyongyang da quando il
regime nordcoreano ha lanciato, nel 1998, il suo
primo ordigno balistico.
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