RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 249 - Testo della trasmissione di mercoledì 6 settembre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Occhi puntati sulla Cina al Festival del Cinema di Venezia
CHIESA E SOCIETA’:
I vescovi dell’Africa Australe
chiedono più attenzione per i bambini orfani a causa dell’AIDS
Botta e risposta tra Bush
e Ahmadinejad: Iran e Stati Uniti sempre più lontani
6 settembre 2006
IN CRISTO L’UOMO VEDE DIO COM’E’:
ALL’UDIENZA
GENERALE, BENEDETTO XVI PARLA DELL’APOSTOLO FILIPPO,
ESORTANDO
I FEDELI A RIPETERE AL MONDO IL SUO “VIENI E VEDI”.
L’INVITO
DEL PAPA A PREGARE PER LA SUA PROSSIMA PARTENZA PER LA GERMANIA
Incontrare Gesù, amare Dio che Cristo rende evidente ai
sensi umani, annunciarlo a tutti, sapendo che il Vangelo non è “una teoria
astratta”. E’ la parabola della vita cristiana, che Benedetto XVI ha posto al
centro della catechesi di oggi. L’udienza generale, celebrata in Piazza San
Pietro, è stata dedicata dal Papa alla vita dell’apostolo Filippo e si è
conclusa con l’invito del Pontefice a pregare per il suo imminente viaggio
apostolico in Germania, che inizierà sabato prossimo. Il servizio di Alessandro
De Carolis:
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Chi guarda Gesù vede “com’è Dio”. Una verità straordinaria
nella sua essenzialità. L’impegno di ogni cristiano è quindi quello di
lasciarsi sedurre da Cristo “e di condividere con gli altri”, testimoniandola,
“questa indispensabile compagnia”, per portare l’umanità a Dio. Da Castel Gandolfo, dove trascorrerà
il mese di settembre,
(effetti folla)
Benedetto XVI è giunto in Piazza San Pietro per offrire
questo insegnamento ai circa 25 mila fedeli che lo
hanno festeggiato in questa caldo primo mercoledì di settembre. Alla folla
dell’udienza generale – alla quale il Papa si è presentato oggi calzando,
durante il giro sulla giardinetta scoperta, un cappello rosso, simile a quelli
usati in passato da Giovanni XXIII – Benedetto XVI ha presentato la figura
dell’apostolo Filippo. I Vangeli ne sottintendono il prestigio in varie
occasioni, ma è l’episodio del suo botta e risposta con Natanaele
a rendere evidente, osserva il Papa, la sua tempra di “vero testimone”. Allo scetticismo del suo interlocutore, che non crede che da
Nazareth possa venire “qualcosa di buono” – e dunque nemmeno il Messia –
Filippo ribatte asciutto: “Vieni e vedi”:
“Possiamo pensare
che Filippo si rivolga pure a noi con quei due verbi che suppongono un
personale coinvolgimento. L’Apostolo ci impegna a conoscere Gesù da vicino. In
effetti, l’amicizia ha bisogno della vicinanza, anzi in parte vive di essa. Del resto, non bisogna dimenticare che, secondo quanto
scrive Marco, Gesù scelse i Dodici con lo scopo primario che ‘stessero con lui’ (…) Egli infatti
non è solo un Maestro, ma un Amico, anzi un Fratello. Come potremmo conoscerlo
a fondo restando lontani? L’intimità, la familiarità, la consuetudine ci fanno
scoprire la vera identità di Gesù Cristo”.
Altri passaggi
evangelici esaltano la “concretezza” dell’Apostolo, ad esempio durante la
moltiplicazione dei pani, quando con realismo Filippo afferma che nemmeno una
grossa cifra sarebbe sufficiente a sfamare la folla. Oppure, quando si fa
intermediario tra Gesù ed alcuni estranei che vorrebbero conoscerlo. Un atteggiamento,
nota il Papa, cui prestare attenzione:
“Questo ci insegna
ad essere anche noi sempre pronti, sia ad accogliere domande e invocazioni da
qualunque parte giungano, sia a orientarle verso il Signore, l'unico che le può
soddisfare in pienezza. E’ importante, infatti, sapere che non siamo noi i
destinatari ultimi delle preghiere di chi ci avvicina, ma è il Signore: a lui
dobbiamo indirizzare chiunque si trovi nella necessità. Ecco: ciascuno di noi dev'essere una strada aperta verso di lui!”.
L’intera vita di Filippo può essere letta, dunque, come un
contatto, a livello ogni volta più profondo, con
aspetti della “Rivelazione” portata da Gesù. Un mistero che il Papa sintetizza
così:
“Per esprimerci
secondo il paradosso dell’Incarnazione, possiamo ben dire che Dio si è dato un
volto umano, quello di Gesù, e per conseguenza d’ora in poi, se davvero
vogliamo conoscere il volto di Dio, non abbiamo che da contemplare il volto di
Gesù!”.
Dunque, ha concluso la catechesi Benedetto XVI, ecco “lo
scopo cui deve tendere la nostra vita: incontrare Gesù come lo incontrò
Filippo, cercando di vedere in lui il Padre celeste. Se questo impegno
mancasse, verremmo rimandati sempre solo a noi come in
uno specchio, e saremmo sempre più soli! Filippo invece ci insegna a lasciarci
conquistare da Gesù, a stare con lui, e a invitare anche altri a condividere
questa indispensabile compagnia”.
(canto - applausi)
Al termine delle catechesi nella varie
lingue, Benedetto XVI ha salutato come sempre alcuni gruppi di fedeli –
tra i quali i partecipanti al Congresso internazionale dei laici carmelitani – quindi
si è accomiatato invitando i fedeli a pregare per la sua prossima visita in
Germania, dal 9 al 14 settembre:
“Ringrazio il
Signore per l’opportunità che mi offre di recarmi, per la prima volta dopo la
mia elezione a Vescovo di Roma, in Baviera mia terra di origine.
Accompagnatemi, cari amici, in questa mia vista, che affido alla Vergine Santa.
Sia Lei a guidare i miei passi: sia Lei a ottenere per il popolo tedesco una
rinnovata primavera di fede e di civile progresso”.
(applausi)
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“CHI
CREDE NON È
HA
SCELTO PER IL SUO VIAGGIO IN BAVIERA DAL 9 AL 14 SETTEMBRE
-
Intervista con padre Enrico Romanò -
“Chi crede non è mai solo” è il motto che Benedetto XVI ha
scelto per il suo viaggio apostolico nella sua terra natale,
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R. – C’è molto interesse, una forte preparazione
organizzativa. Si cerca di motivare sempre di più questo incontro con il Papa,
come vescovo di Roma e successore di San Pietro, perché venga a rinfrancare la
nostra fede in questo periodo di secolarizzazione e indifferenza religiosa.
D. - La secolarizzazione di cui parlava è un aspetto
forte, preponderante in Baviera?
R. – Posso dire che fino a nove anni fa ero a Ginevra e
quando il mio provinciale mi ha detto “Sarai trasferito a Monaco di Baviera”,
io immaginavo che la città di Monaco fosse molto cattolica. Quando sono venuto,
nel dicembre del ’97, e ho visto anche poca gente in Chiesa, ho avuto un certo
shock. La città di Monaco ha un milione e 300 mila
abitanti. I cattolici attualmente sono soltanto il 41 per cento e poi ci sono
anche le altre confessioni religiose.
D. – Come vivono in particolare i suoi parrocchiani i
rapporti ecumenici?
R. – C’è un rispetto reciproco molto bello, molto buono.
Il problema che interessa entrambi è come conservare la fede.
D. – Il 14 settembre, giovedì, Benedetto XVI incontra i
sacerdoti sul tema “Fortifica la nostra fede”…
R. – Sarò presente anch’io. Forse dovremo rinfrancarci
nella catechesi. Amare di più il Signore, far sì che veramente Dio sia il
centro della nostra vita, la nostra speranza.
D. – Benedetto XVI proviene dalla stessa terra dei suoi
parrocchiani. Questo come è vissuto emotivamente dalla gente?
R. – Come un papà che ritorna a casa sua dopo tanti anni
di emigrazione. Lo vedo un po’ così. E’ chiaro, il Papa è bavarese. Leggevo
qualche tempo fa che il Papa aveva detto, parlando della sua parrocchia nativa:
“E’ vero, io sono via da tanti anni, però le mie radici sono qui”.
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ELEZIONE DEL VESCOVO DI CURIA DELL’EPARCHIA
PATRIARCALE
D’ALESSANDRIA DEI COPTI CATTOLICI
Il
Santo Padre ha concesso il Suo assenso all’elezione canonicamente fatta dal
Sinodo dei Vescovi della Chiesa Copta, riunitosi il
31 agosto 2006, del rev. Kamal Fahim
Awad Hanna finora rettore del
Seminario Copto Cattolico di Maadi
a vescovo di Curia dell’Eparchia patriarcale
d’Alessandria dei Copti Cattolici assegnandogli
NOMINA
DEL NUNZIO APOSTOLICO IN LESOTHO
Il Santo Padre ha nominato nunzio apostolico in Lesotho mons. James Patrick Green, arcivescovo titolare di Altino,
nunzio apostolico in Sud Africa e in Namibia e
delegato apostolico in Botswana.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l'udienza generale.
Servizio vaticano - Tre pagine dedicate al prossimo
viaggio apostolico di Benedetto XVI in Germania.
Servizio estero - Medio Oriente: sanguinosi raid
israeliani nei Territori.
Servizio culturale - Un
articolo di Giovanni Marchi dal titolo: "Una fama raggiunta come
librettista delle opere pucciniane": cent'anni dalla morte di Giuseppe Giacosa.
Servizio italiano - In primo piano il tema degli
incidenti sul lavoro.
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6 settembre 2006
DA
ASSISI L’APPELLO DEI LEADER RELIGIOSI PER
PER DISTRUGGERE L’ALTRO SI ALLONTANA DALLA
RELIGIONE PURA.
-
Interviste con Arrigo Levi e Mario Marazziti -
Le religioni unite per sconfiggere odio e violenze, per
ricordare che la pace è il nome di Dio. La loro voce si è alzata ancora una
volta ieri sera da Assisi, al termine dell’incontro internazionale di preghiera
per la pace indetto dalla Comunità di Sant’Egidio, a
venti anni esatti dal grande appuntamento voluto da Giovanni Paolo II, quando invitò tutti i leader
delle religioni del mondo per proporre il suo sogno di pace. Da Assisi la
nostra inviata Francesca Sabatinelli.
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Le energie di pace
scaturite in quel lontano 27 ottobre 1986 ad Assisi, quando Giovanni Paolo II
invitò alla preghiera i leader religiosi del mondo hanno ispirato l’appello
nato dai due giorni di dialogo che si sono conclusi ieri sera con una suggestiva
cerimonia che ha visto dopo 20 anni di nuovo nella città di
San Francesco tutti insieme sul palco i rappresentanti delle religioni
mondiali per la firma del loro documento. La guerra non è inevitabile, è
l’invocazione, le religioni non giustificano mai l’odio e la violenza, chi usa
il nome di Dio per distruggere l’altro si allontana dalla religione pura. La
pace è il nome di Dio che è più forte di chi vuole la guerra, di chi coltiva
odio e violenza. Parole che segnano la continuità con tutti gli appuntamenti
organizzati da Sant’Egidio nello spirito di Assisi.
Le risposte ai conflitti sono il dialogo tra le religioni e le culture, e la
preghiera che non divide ma unisce. I credenti
presenti qui, uomini e donne, non vogliono essere considerati degli ingenui. La
pace - dice Andrea Riccardi ai protagonisti -
cardinali, vescovi, rappresentanti delle diverse confessioni cristiane, imam, rabbini - può sembrare un sogno da
illusi, questo è il gioco dei disegni terroristici, di chi vuole vivere
sulla cultura del conflitto e gioca d’azzardo sulle differenze, ciò che qui ad
Assisi si è categoricamente rifiutato. I conflitti non sono un destino, ci sono
responsabilità politiche culturali, anche le religioni possono farsi trascinare
nella logica della guerra sacralizzare gli odi,
benedire le armi. E questa è la terribile responsabilità umana. Ascoltiamo il
prof. Riccardi…
“Grande compito
delle religioni è costruire la pace nei cuori, per esse
la pace, anche nel mezzo della guerra, resta un’aspirazione irrinunciabile il
sogno di un mondo finalmente umano”.
La religione dunque
non può che essere foriera di pace, come aveva scritto
Benedetto XVI nel suo forte messaggio all’inizio di questo meeting. E con
questo importante auspicio si è chiusa questa edizione dell’incontro al quale
ha preso parte anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano, una presenza molto
gradita alla Comunità di Sant’Egidio considerata
segno di attenzione da parte dell’Italia al tema del dialogo con l’islam e con
le grandi religioni. Di fronte agli scenari di terrorismo e di violenza che non
accennano a dissolversi, l’unica strada possibile è quella del
dialogo indicata dagli incontri di preghiera di Assisi, sono state le
parole del presidente che come tutti gli altri ha acceso il candelabro della
pace e firmato l’appello di pace. Il prossimo anno l’appuntamento sarà a Napoli
con l’obiettivo di portare il Mediterraneo al centro dei rapporti tra tutti i popoli
che si affacciano su questo mare e trovare assieme sbocchi per la pace.
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Ad Assisi in
questi anni si sono ritrovati uomini di fede e laici, il cui dialogo ha vissuto
un importante impulso. Lo conferma un fedele amico della Comunità di Sant’Egidio e noto intellettuale laico, Arrigo Levi, anche
lui presente ad Assisi. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
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R. – C’è stato una specie di richiamo reciproco. C’è stata
un’evoluzione nel rapporto fra mondo dei laici e mondo delle religioni, perché
sono cambiate le religioni e perché sono cambiati i laici. Quindi, la
possibilità del dialogo ha allargato le culture e si è pensato che fosse utile
per dare maggiore efficacia a questa azione culturale, che è quella che svolge Sant’Egidio. Giovanni Paolo II sentiva l’urgenza di parlare
e di chiamare coloro che sono pronti a darsi la mano,
perché se la dessero in pubblico apertamente. Questo è stato fatto e questo si
continua a fare, sperando che abbia un effetto positivo.
D. – Quando si iniziò 20 anni fa c’era la guerra fredda.
Oggi ci sono dei pericoli molto più striscianti, molto
più insidiosi, che anche lei ha voluto mettere in luce…
R. – Nell’’86 c’era una situazione molto
più definita. C’era una guerra fredda, ma i governi avevano un pieno
controllo sulle forze di cui disponevano. Oggi abbiamo dei movimenti in atto
che insidiano i rapporti di amicizia e di pace fra i popoli, di cui alcuni
terroristi, fondamentalisti, che non accettano la
pace fra i governi. Credo che supereremo questa epoca che rimarrà una necessità
generale di dare corpo e sostanza alla collaborazione su scala globale fra
identità di popoli, di nazioni e di Stati, che rischiano altrimenti di entrare
in collisione.
D. – La piattaforma di dialogo tra credenti e laici su
cosa deve poggiare?
R. – Sulla convinzione che bisogna che tutti gli uomini di
buona volontà si mettano insieme per allontanare i pericoli molto gravi che
incombono su tutti noi. Quindi, si tratta di avere in comune un desiderio di
salvare il mondo. Parliamo di coesistenza pacifica fra i popoli. E’ un’impresa
non da poco. Abbiamo visto la fine della guerra fredda e ci siamo immaginati
che con questo si iniziasse un’era nuova di pace e tranquillità. Invece ci siamo
accorti che la storia non finisce. Si era parlato della fine della storia, ma
la storia non è finita.
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Ma quali sono i risultati concreti di questi due giorni di
meeting? Fabio Colagrande lo ha chiesto al portavoce
della Comunità di Sant’Egidio, Mario Marazziti:
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R. - Il primo risultato io credo, un po’ per tutti, sia
una boccata d’aria pulita, al posto del pessimismo tragico, di un realismo che
ormai pullula nei giornali, nell’opinione pubblica, per cui
allo scontro tra le civiltà in atto, al terrorismo, alla guerra, alla
demonizzazione dell’altro, non c’è mai nessuna alternativa. In realtà, il
dialogo torna in maniera seria al centro. Ed è il Papa stesso, Benedetto XVI
che raccoglie l’iniziativa, che lui definisce audace e profetica, di Giovanni
Paolo II, che dice: “Non c’è alternativa al dialogo”. Le religioni non possono
essere usate per la guerra e bisogna anche inventare, costruire, una pedagogia
di pace per le nuove generazioni. Qui siamo in pieno nello spirito di Assisi.
D. – Mario Marazziti, quali sono
stati gli incontri più importanti di queste due
giornate di Assisi 2006?
R. – Posso dire che il rabbino capo d’Israele, Yona Metzger, ha proposto di lavorare alla
liberazione di tutti i prigionieri israeliani, palestinesi, di ogni nazionalità
e questa è una grande proposta di pace. L’incontro sul Libano è stato incredibilmente
importante. Per la prima volta, tutte le componenti - sciiti, sunniti, cristiani,
il governo… - si sono ritrovate insieme, in maniera anche aspra, in maniera
anche complessa, perché è una situazione esplosiva. Questo è stato un fatto,
una costruzione di questo spirito di Assisi. Immaginiamo il rettore
dell’Università di Al Azar
accanto al grande rabbino d’Israele, Metzger, o di Haifa, quindi quella che è oggi la
più grande centrale teologica di tutto l’islam. In un tempo in cui non si parlano e alcuni Paesi non hanno relazioni diplomatiche,
loro erano invece lì a parlare e a cercare delle vie comuni.
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“UN
FIUME POSSENTE MA SILENZIOSO: IN MOVIMENTO VERSO IL FUTURO”.
PRESENTATO
IL RAPPORTO ONU 2006 SULLO STATO DELLA POPOLAZIONE NEL MONDO,
DEDICATO
ALLE DONNE MIGRANTI
Il loro ruolo è misconosciuto ma
sono una colonna portante dell’economia dei Paesi più poveri: sono le donne
immigrate, i cui diritti sono spesso negati nei Paesi d’accoglienza. E’ quanto
emerge dall'ultimo Rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione
(UNFPA), presentato oggi a Roma e contemporaneamente in altre capitali del
mondo. Il documento italiano, che si
intitola ‘In movimento verso il futuro. Donne e migrazione internazionale’,
e' stato curato dall’AIDOS, l'Associazione italiana donne per lo sviluppo. Ce
ne parla Roberta Gisotti.
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Quasi 95 milioni, circa la metà di tutti i migranti nel
mondo, sono donne. Aumenta la migrazione femminile rispetto ai grandi movimenti
di persone nel passato, che però contrariamente a
quanto si creda non sono cresciuti di molto in percentuale: nel 1960 è il 2,5%
della popolazione mondiale a migrare oggi è il 2,9%.
Il tema della migrazione internazionale sarà per la prima volta affrontato dall’Assemblea generale delle
Nazioni Unite con un incontro organizzato a New York il 14 e 15 settembre
prossimi. La migrazione se ben gestita può essere vantaggiosa per tutti ma ciò
solo se il contributo delle donne sarà riconosciuto e valorizzato. Da qui
l’esigenza, avvertita dal Fondo dell’ONU per la popolazione di dedicare il
Rapporto annuale alle donne migranti fornendo la prima analisi globale del
fenomeno, come ha spiegato Carlo Reitano dirigente
dell’Agenzia. 105 pagine con dati e grafici, capitoli che squarciano realtà
dolorose di sfruttamento, violenze e abusi e capitoli che mostrano le
opportunità e le risorse.
“Un fiume possente ma silenzioso”, le donne migranti che
vivono un’identità di doppia discriminazione e come migranti e come donne, ha
sottolineato Daniela Colombo presidente dell’AIDOS. Due aspetti in particolare
colpiscono, l’uno in negativo, 650.000 donne e ragazze ogni anno sono vittime
del traffico di esseri umani, l’altro in positivo, le migranti portano senza
dubbio un prezioso apporto sociale ed economico tanto nei Paesi ospiti che nei
Paesi d’origine nei quali tornano ogni anno 230 miliardi dollari di rimesse, un
flusso enorme di denaro che andrebbe incanalato in azioni positive di sviluppo.
Un appello infine ai Paesi dell’Unione Europea perché ratifichino la
Convenzione sull’immigrazione, cui hanno aderito dal ’90 solo 34 Stati.
Dalla Sala stampa estera a Roma, Roberta
Gisotti, Radio Vaticana.
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AL
FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA
Primo film italiano in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia, La stella che non c’è di
Gianni Amelio: una meditazione sofferta sulla società cinese e un viaggio nella
coscienza di un operaio che la attraversa. Il servizio di Luca Pellegrini.
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Dismessa la fabbrica con i suoi operai, dismesso un dirigente cinese, dismesso
anche il cuore e le meccaniche spirituali che innescano le ragioni del vivere:
a Bagnoli le architetture industriali alla deriva accolgono un gruppo di cinesi
per l’acquisto di altoforni usati. Uno di questi
risulta difettoso, come lo è la vita di Vincenzo Buonavolontà,
tecnico disoccupato, nome che racchiude tutto il protagonismo del personaggio interpretato
dal bravo Sergio Castellitto nel film di Gianni
Amelio, assai liberamente tratto dal romanzo La dismissione di Ermanno Rea. Ma un napoletano in Cina fa più
storia e cinema di una decina di cinesi a Napoli: con motivazioni interiori che
soltanto si riusciranno ad intuire e percepire in modo rarefatto, Vincenzo
parte, con la centralina idraulica da lui appositamente modificata, per l’Hubei, l’immensa regione delle immense città-fabbriche, una
missione di “carità industriale” molto lontana dalle esigenze e dalle realtà
del moderno capitalismo cinese e tutta motivata, nella sua dinamica, dal
pretesto di far viaggiare il personaggio in una Cina
mai vista. Motivazione quasi riduttiva per ricavarci un film che tenta di
costruire, invece, una forte e continua empatia con lo spettatore. Gianni
Amelio è regista umano e spirituale che il più delle volte “dice” senza “dire”:
in una cultura e società così aliene a Vincenzo come quelle che incontra nella
sua traumatica e definitiva esperienza cinese, il non detto è però, questa
volta, di poco aiuto. Sulla bandiera cinese manca una stella, viene raccontato, e nella coscienza dei cinesi, di
conseguenza, qualche buona virtù; sembra mancare, almeno fino all’epilogo, la
stella anche nel firmamento che sovrasta, immobile e muto, la ricerca
spirituale di questo “operaio piccolo piccolo”. È offuscata
sembra in parte la luce della stella che, in altri viaggi, è riuscita ad
illuminare, con maggior nitidezza, il profondo cinema di un profondo regista.
Impressioni cinesi ci arrivano anche da un regista tutto cinese, Jia Zhang-Ke: nel suo L’anima buona delle Tre Gole entra nel
perpetuo divenire delle cose nella sua terra. L’immensa diga ha sommerso
villaggi millenari, ha travolto vite e abitudini: con implacabile burocrazia anche
qui, come in Amelio, il progresso miete le sue vittime. Ma tra rumori e polveri
e tante disperazioni, nessuno può rinunciare al proprio futuro. Testimone
attento e raffinato, Zhang-Ke imprime memorie e apprensioni
indelebili.
Da Venezia, Luca Pellegrini, per la Radio Vaticana.
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6 settembre 2006
“RENDERE
PUBBLICO UNO DEI PIÙ PREZIOSI E RISERVATI SEGRETI”, OSSIA QUELLO
DELLA
FEDE IN CRISTO: CON QUESTO INTENTO, LA CONFERENZA EPISCOPALE D’INGHILTERRA E
GALLES HA LANCIATO UNA CAMPAGNA NAZIONALE, SUL TEMA:
“MORIRE
PER VIVERE…PER LA CAUSA DEL VANGELO”
LONDRA. = “Morire per vivere…per la causa del Vangelo”: è
il tema della Campagna nazionale lanciata in questi giorni dalla Chiesa
cattolica d’Inghilterra e Galles per “rendere pubblico uno dei più preziosi e
riservati segreti”, ossia quello della fede in Cristo. Come riferisce l’agenzia
SIR, l’iniziativa è stata divulgata tramite la Catholic
agency to support evangelisation (CASE),
istituita dai vescovi nell’aprile del 2004 per sostenere diocesi, parrocchie e
gruppi nell’opera di evangelizzazione. La CASE ha già
spedito oltre 4 mila kit a parrocchie e comunità religiose contenenti un
poster, materiali per la liturgia dei bambini e un catalogo di “risorse” per
l’evangelizzazione. “Gesù Cristo non aveva paura di dire chi fosse – ha
affermato il cardinale Cormac Murphy-O’Connor,
arcivescovo di Westminster – e di condividere il suo
messaggio in modo amorevole e rispettoso con chiunque incontrasse, anche se ciò
poteva condurre alla sofferenza, al rifiuto e alla morte”. “Di questi tempi –
ha aggiunto – anche noi, come comunità cattolica, dobbiamo, ciascuno nei propri
modi, fare lo stesso. In senso spirituale – ha concluso il porporato – dobbiamo
essere tutti pronti a ‘morire per vivere’, affinché
il messaggio del Vangelo possa essere udito di nuovo in Inghilterra e Galles”.
Domenica 17 settembre la Chiesa d’Inghilterra e Galles
è invitata a pregare e sostenere tutto il lavoro di evangelizzazione in corso.
(R.M.)
PREOCCUPAZIONE DEI VESCOVI DEL SENEGAL PER LA CRISI DEL MONDO
RURALE
NEL PAESE. “UN ORDINE ECONOMICO MONDIALE INGIUSTO – AFFERMANO,
IN UNA LETTERA PASTORALE – NE PROLUNGA E ALIMENTA L’AGONIA”
DAKAR.
= “Un ordine economico mondiale ingiusto, aggravato dal programma
d’aggiustamento strutturale imposto dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale
(FMI) e dalle regole dell’Organizzazione Mondiale del commercio (WTO) (…), prolunga
e alimenta l’agonia del mondo rurale”: lo affermano, in una Lettera Pastorale
citata dall’agenzia MISNA, i vescovi del Senegal, preoccupati per un “mondo
rurale malato”. Molti fattori interni, secondo i presuli, contribuiscono a
questo stato di cose, come “l’ignoranza, la mancanza di formazione, la
disoccupazione, politiche di disimpegno dello Stato e privatizzazioni non
sempre vantaggiose”, ma anche i cattivi comportamenti dei cittadini e dei loro
dirigenti, la corruzione, l’appropriazione indebita di fonti e l’impunità. Non
bisogna dimenticare, inoltre, le difficoltà climatiche, la deforestazione e la
degradazione dell’ambiente. “Malgrado gli sforzi dei
diversi regimi che si sono succeduti al potere – si legge nel documento, che
affronta anche altri problemi sociali, come l’istruzione e la sanità – la
povertà della popolazione non cessa d’aggravarsi. Da una parte – affermano i presuli
– la precarietà della vita urbana è sempre accentuata dall’esodo rurale verso Dakar
e altre città dell’interno; dall’altra, la popolazione rurale, stimata al 61
per cento, è oggi ancora la parte più vulnerabile del Paese”. I vescovi del
Senegal, che presentano una serie di proposte, lanciano infine un appello a
tutti i cittadini: “Insieme affrontiamo la sfida lanciata ai senegalesi da Giovanni
Paolo II, durante la sua memorabile visita nel febbraio 1992:
‘Vegliate insieme sulla vostra terra, perché è essa a nutrire i suoi
abitanti. Sviluppate la vostra economia perché il più gran numero di persone
possa beneficiare della sua prosperità (…). Contribuite al sostegno dei più
poveri (…). Mettete in comune tutte le vostre ricchezze umane. E’ la prima
condizione per costruire su questa terra una dimora degna dell’uomo (…).
Costruite una casa aperta a tutti, ai deboli e ai più forti’”.
(R.M.)
“MAGGIORE
ATTENZIONE ALLA CURA PSICOLOGICA E SPIRITUALE DEGLI ORFANI DELL’AIDS”: È QUANTO
HANNO CHIESTO I VESCOVI DELL’AFRICA AUSTRALE, RIUNITI NEI GIORNI SCORSI A CITTÀ
DEL CAPO, PER LA LORO ASSEMBLEA PLENARIA
CITTÀ
DEL CAPO. = “Gli orfani dell’AIDS hanno bisogno non solo di cibo, ma anche di attenzione
psicologica e pastorale, un processo di cura che comprenda l’intera persona”: è
quanto hanno affermato i vescovi dell’Africa Australe, riuniti nei giorni
scorsi a Città del Capo, per la loro Assemblea Plenaria. Come riferisce
l’agenzia FIDES, secondo i presuli, la soluzione del problema non dipende solo
dalla questione dei fondi, ma anche dalla formazione di operatori in psicologia
e in scienze sociali. “Si fa un gran parlare soprattutto a livello politico –
hanno denunciato i vescovi – ma non c’è molta azione”.
La Chiesa cattolica ha avviato nel territorio un progetto per fornire farmaci antiretrovirali alle persone affette dal virus HIV e per
offrire un aiuto spirituale e pastorale ai malati. Questi sforzi hanno ricevuto
un riconoscimento internazionale. L’ufficio AIDS della Conferenza episcopale
dell’Africa Australe (SACBC) è oggetto, infatti, di uno studio delle Nazioni
Unite sull’AIDS. La SACBC è convinta che solo una corretta educazione possa
portare a un’efficace prevenzione e lamenta che le istituzioni pubbliche
scelgano la facile strada della distribuzione dei preservativi, invece di
fornire una reale educazione alla sessualità e alla prevenzione. (R.M.)
REALIZZARE
LA CHIAMATA A UNA “NUOVA FANTASIA DELLA CARITÀ”: CON QUESTO
INTENTO,
IL CONSIGLIO EPISCOPALE LATINOAMERICANO (CELAM) PROMUOVE,
DALL’11
AL 15 SETTEMBRE, IL II CONGRESSO DI DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
CITTÀ
DEL MESSICO. = “Immaginare un Continente per tutti: giustizia, solidarietà e testimonianza
del cristiano davanti alle nuove sfide sociali in America Latina e nei Caraibi”:
con questo tema, il Dipartimento di Giustizia e Solidarietà del Consiglio episcopale
latinoamericano (CELAM) ha organizzato, dall’11 al 15 settembre, il II Congresso di Dottrina Sociale della Chiesa,
nell’ambito della preparazione alla V Conferenza Generale del CELAM. Obiettivo
dell’incontro è un discernimento dei segni dei tempi nel Continente, per
aiutare le comunità ecclesiali a dialogare con il mondo e a costruire insieme
delle strade di soluzione ai gravi problemi sociali che le colpiscono. Come riferisce
l’agenzia FIDES, i partecipanti intendono, inoltre, definire linee di azione
per la formazione di tutti gli evangelizzatori e, in particolare, dei fedeli
laici; offrire una testimonianza di comunione ecclesiale e realizzare la
chiamata a una “nuova fantasia della carità”, anche attraverso la partecipazione
di tutte le Chiese del Continente, compresi Canada e
Stati Uniti; favorire un maggiore impegno delle Conferenze episcopali per
continuare lo studio, l’insegnamento e la diffusione della Dottrina Sociale
della Chiesa, come strumento essenziale della “Nuova Evangelizzazione"; sollecitare
tutto il Popolo di Dio ad assumere con maggiore responsabilità la propria
missione nel mondo; offrire motivazioni che sostengano la speranza degli uomini
e delle donne del Continente, soprattutto dei poveri e di quanti soffrono, alla
luce del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa. (R.M.)
A 50
ANNI DALL’INVASIONE DELLE TRUPPE SOVIETICHE IN UNGHERIA, NEL NOVEMBRE DEL 1956,
IL MOVIMENTO DEI FOCOLARI PROMUOVE, IL 16 SETTEMBRE A BUDAPEST, UNA GRANDE
MANIFESTAZIONE INTERNAZIONALE PER PROPORRE “LA FRATERNITÀ”
COME
“CHIAVE INNOVATIVA PER I VARI AMBITI DELLA SOCIETÀ”
ROMA/BUDAPEST.
= “La fraternità” come “chiave innovativa per i vari ambiti della società:
economia, diritto, comunicazione, politica, sviluppo”: è la proposta che verrà lanciata il prossimo 16 settembre a Budapest, nel
corso della grande Manifestazione
Internazionale promossa dal Movimento dei Focolari. Undicimila partecipanti di
64 Paesi sono attesi nella capitale dell’Ungheria per questa iniziativa,
convocata nel contesto del 50.mo anniversario
dell’invasione da parte delle truppe sovietiche, nel novembre del 1956. Come si
legge in un comunicato del movimento ecclesiale, citato dall’agenzia ZENIT, la
Manifestazione vuole essere “la testimonianza di un’altra rivoluzione, quella
dei ‘Volontari di Dio’, ramo del Movimento dei
Focolari, nato in quello stesso anno, in risposta alle
aspirazioni di pace e libertà”. Si intende, inoltre, fornire
una risposta agli “squilibri prodotti dall’economia di mercato globalizzata; dal diffuso deficit di legalità; dalla domanda
di una politica a servizio del bene comune; e di una comunicazione non asservita
ai poteri economici e politici”. La Manifestazione potrà essere seguita in diretta via satellite e via Internet in italiano,
inglese, spagnolo e portoghese. Nei due giorni antecedenti l’incontro, si riuniranno in Ungheria 9 mila “Volontari di Dio” –
attualmente sono circa 20 mila in 80 Paesi – con l’intenzione di vivere un
ritorno alle radici della loro storia e un rilancio del loro impegno per la società.
Il Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich
nel 1943, attualmente è diffuso in 182 Paesi e comprende alcuni milioni di
persone. (R.M.)
PRESENTATO,
STAMANI, IL PROGRAMMA DI INIZIATIVE
DELL’ARCIDIOCESI
DI PALERMO PER RICORDARE DON PINO PUGLISI,
IL
SACERDOTE UCCISO DALLA MAFIA IL 15 SETTEMBRE DEL 1993
- A
cura di Alessandra Zaffiro -
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PALERMO. = Presentato alla stampa, questa mattina, al
Centro Padre Nostro di Palermo, il programma di iniziative varato
dall’arcidiocesi per ricordare Don Pino Puglisi. Il
sacerdote venne ucciso il 15 settembre del 1993 nel rione
popolare di Brancaccio, dove qualche mese prima, inaugurò il Centro che divenne
punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere disagiato. Al
sicario della mafia che gli sparò un colpo in testa disse: “Me lo aspettavo”.
Se lo aspettava, perché sapeva che con la sua opera
all’insegna della legalità al fianco dei giovani, la mafia non gli avrebbe
consentito di togliere manovalanza alla criminalità organizzata. In attesa che la Congregazione per le Cause dei Santi si pronunci
sul martirio di don Puglisi, l’arcidiocesi di Palermo
ha organizzato un programma di iniziative, per ricordare il sacerdote dal
sorriso timido e dolce. Si comincia il 9 settembre con una marcia della speranza
verso il santuario della Madonna della Milicia.
Mercoledì 13, alle 9, la proiezione di “Alba di un giorno nuovo”, e alle 17,
nella chiesa di San Saverio all’Albergheria, il
dibattito dal titolo: “Non ti abbiamo dimenticato”. Il 14 alle 21, poi, una fiaccolata
per le vie di Brancaccio. Il 15 settembre, giorno dell’anniversario, alle 9
omaggio floreale sulla tomba di don Puglisi al
cimitero di Sant’Orsola, mentre alle 10.30 verrà presentato un busto in bronzo e verranno aperti i lavori
di un centro anziani. Alle 19, poi, la celebrazione in cattedrale presieduta
dall’arcivescovo di Palermo, cardinale Salvatore De Giorgi.
A chiudere le manifestazioni, una Marcia per la Pace proprio nel quartiere
Brancaccio, dove, nella chiesa parrocchiale, dopo la richiesta del cardinale De
Giorgi, sta per essere collocata la salma di don Puglisi.
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RIAPERTA,
DOPO UN LUNGO RESTAURO, UNA BASILICA DEDICATA ALLA VERGINE NELLO STATO INDIANO
DEL KARNATAKA: UN LUOGO DI PACE E ARMONIA INTERRELIGIOSA
BANGALORE.
= “Il nostro è un Paese multiculturale e multireligioso e feste come quella che stiamo vivendo
devono servire a unire e avvicinare persone di diversa fede e condizioni di
vita ”: è quanto ha affermato, nei giorni scorsi nei pressi di Bangalore, nello Stato indiano sudoccidentale del Karnataka,
l’arcivescovo della città, mons. Bernard Blasius Moras, presiedendo la
solenne celebrazione di riapertura al culto, dopo un lungo restauro, della
Basilica di Santa Maria. La chiesa, fondata nel 1882, ha sempre rappresentato
un luogo importante per pellegrini e devoti alla Vergine Maria e alla cerimonia
di riapertura hanno partecipato oltre 30 mila fedeli. Come riferisce l’agenzia
FIDES, mons. Moras ha sottolineato come il Santuario
debba rappresentare un luogo di pace e armonia, da estendere ai fedeli di tutte
le religioni. Anche nello Stato del Karnataka,
infatti, si verificano episodi di violenza, più o meno gravi, contro strutture
e personale cristiano, ad opera di gruppi fondamentalisti indù. (R.M.)
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6 settembre 2006
- A cura di Eugenio Bonanata -
Si fa sempre più complicato il contenzioso sul nucleare
iraniano. L’incontro tra l'Alto rappresentante per la politica estera
dell'Unione Europea, Javier Solana,
e il capo negoziatore sul programma nucleare di Teheran,
Ali Larijani, annunciato per oggi a Vienna, è stato
rinviato. Intanto, il presidente della Repubblica iraniana, Mahmud
Ahmadinejad, ha risposto a George
Bush, che ieri aveva messo sullo stesso piano il
regime iraniano e la rete terroristica di Al Qaeda. Il nostro servizio:
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Il presidente americano “non è nulla davanti a Dio”. Così Ahmadinejad ha replicato alle accuse di Bush
che ieri - facendo il punto sulla lotta al terrorismo, davanti all’Associazione
degli Ufficiali Riunita a Washington - lo aveva definito un “tiranno”. In
questo quadro, la Casa Bianca ha anche rinnovato di un altro anno lo stato
d'emergenza proclamato negli USA all’indomani degli attacchi dell'11 settembre
2001 e che sarebbe scaduto nei prossimi giorni. Dunque, la minaccia
terroristica persiste: ad al Qaeda
- che per Bush è indebolita ma pur sempre pericolosa
- si aggiunge oggi anche l’Iran. Per questo - ha precisato il presidente USA –
è necessario che la comunità internazionale fermi le ambizioni nucleari di Teheran. Servono sanzioni contro l’Iran che non sospende il
suo programma di arricchimento dell’uranio. Anche la Russia – da sempre
favorevole al dialogo, oggi si è detta aperta verso questa soluzione, purché
non comporti l’uso della forza. Il rinvio dell’incontro odierno a Vienna tra
l’alto rappresentante della politica estera europea, Solana,
e il diplomatico iraniano, Larijani, dimostra ancora
una volta la scarsa forza del negoziato nel risolvere la faccenda. Preoccupa
inoltre il fatto che la diplomazia iraniana non ha abbia fatto sapere se si
siederà al tavolo delle trattative. Per il cancelliere tedesco Merkel, che ha scartato categoricamente l’opzione militare,
la porta del negoziato non si chiuderà, ma non è possibile che il mondo stia a
guardare l’Iran mentre danneggia le l’autorità
dell’ONU. La Francia, attraverso il ministro degli
Esteri, Philippe Douste-Blazy,
ha invitato al dialogo per evitare “una guerra di civiltà” fra Occidente e
mondo musulmano.
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Due soldati libanesi sono rimasti uccisi nel sud del Paese
per lo scoppio di un ordigno mentre partecipavano ad
operazioni di sminamento del territorio. Intanto,
mentre anche la Turchia ha deciso l’invio delle proprie truppe nel Paese dei
Cedri, in Israele si moltiplicano le richieste per il ritiro immediato delle
proprie forze dal territorio libanese.
Prosegue l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. Un
attivista di Hamas è stato ucciso all’alba durante un raid aereo israeliano. In mattinata, anche un’adolescente palestinese ha perso la
vita in un incursione delle truppe israeliane. Ieri, altri quattro estremisti
palestinesi avevano perso la vita a Rafah, in due
diverse operazioni condotte dallo Stato ebraico.
Ancora sangue in Iraq. Nel nord di Baghdad, due
deflagrazioni, a breve distanza l’una dall’altra, hanno colpito un autobus,
provocando almeno nove morti e una quarantina di feriti. Questa tecnica è
ritenuta molto usata dagli insorti sunniti. In vari punti della capitale, sono
stati poi ritrovati altri 19 cadaveri di persone uccise a sangue freddo. Sul
piano politico, la formazione sciita Alleanza irachena unita, ha formalmente
presentato oggi in Parlamento un disegno di legge per la suddivisione del Paese
in regioni autonome. Infine, secondo la stampa britannica che cita fonti del
ministero della Difesa, Londra invierà entro la fine
dell’anno altri 360 soldati nel Paese arabo con il compito di addestrare
le forze irachene.
Sempre alta la tensione anche in Afghanistan. Ieri, un
portavoce della Forza internazionale (ISAF) ha annunciato l’uccisione di una
sessantina di ribelli talebani nel sud del Paese. Inoltre, sempre ieri, sono
stati uccisi 5 soldati canadesi che si aggiungono agli altri 5 uomini caduti
per fuoco amico negli ultimi due giorni.
In Messico, come previsto, il Tribunale elettorale
federale, dopo quasi due mesi di indagini sulle irregolarità denunciate, ha
proclamato ieri in modo “definitivo ed inattaccabile” Felipe
Calderón candidato del Partito Azione Nazionale
(PAN), nuovo presidente eletto del Messico. Il servizio è di Luis Badilla:
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Subito dopo l’annuncio, centinaia di manifestanti della
coalizione “Per il bene di tutti” hanno inneggiato al loro leader, il candidato
della sinistra Manuel López Obrador, il quale ha ripetuto di non riconoscere la
vittoria di Calderón sottolineando: “Mi è stata
scippata la vittoria”. Felipe Calderón,
invece, ha lanciato un nuovo appello all’unità nazionale. “La campagna
elettorale è finita ed è giunta l’ora dell’unità e degli accordi”, ha affermato
Calderón, assicurando che le proposte dei suoi
avversari saranno accolte nell’azione del governo. Nel suo programma Calderón ha promesso di lottare contro la povertà e la corruzione.
La sua proposta di politica economica è di stampo dichiaratamente neoliberista
ed è per questo che ha avuto l’appoggio da vasti settori del mondo economico e
finanziario. Calderón è un politico conservatore,
avvocato, ed esperto in materie economiche nonché di pubblica amministrazione.
La sua carriera politica è stata folgorante e oggi, a 44 anni d’età, è fra i
governanti più giovani dell’America Latina. C’è da aggiungere che, nella
sentenza, il Tribunale elettorale ha criticato sia il presidente uscente, Vicente Fox, sia la Confindustria locale per aver interferito nel processo
elettorale. Tuttavia, secondo i giudici, non ci sono “elementi probanti”
sufficienti a stabilire che questi interventi abbiano potuto influire sugli
elettori. Dal canto suo, l’episcopato messicano in una nota prende atto della
proclamazione del nuovo presidente. Per i vescovi non ci devono essere
vincitori o vinti tra i cittadini: “Tutti siamo il Messico – affermano - e
tutti vogliamo il bene e il progresso del Paese”. Per la crescita democratica
del Messico – prosegue la nota – è necessario un governo capace di dialogare
con tutte le forze politiche. “Solo in questo modo – concludono i presuli -
saranno possibili le riforme per portare benefici a tutti e specialmente a più
deboli della nostra società”.
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Nel Darfur, la martoriata
regione sudanese, si rischia una crisi umanitaria se il governo locale si
ostina a non volere una forza di pace internazionale. Lo ha ribadito il
segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, di fronte al veto posto dal governo di Khartoum allo spiegamento dei caschi blu nella regione, in
sostituzione delle truppe dell’Unione Africana, incaricate di vigilare sul
rispetto della tregua, e il cui mandato scade il 30 settembre.
Prosegue senza sosta lo sbarco di clandestini nelle isole
Canarie, dove nelle ultime 24 ore sono giunti circa 900 immigrati. Il governo
regionale, anche di fronte alle previsioni che parlano di 100 mila senegalesi
pronti ad imbarcarsi, ha chiesto ancora una volta l’intervento dell’UE e della
Spagna che, da parte sua, ieri ha annunciato una proposta congiunta con Italia
e Francia da presentare al prossimo vertice informale dell’UE previsto il 20
ottobre. Intanto, sul versante italiano la polizia ha arrestato sette extracomunitari
sbarcati nei giorni scorsi a Lampedusa, quattro dei quali sono accusati di
essere gli scafisti.
Ancora un attentato contro la comunità cristiana in
Indonesia. John Tabeni, 50
anni, residente cristiano nell’isola di Sulawesi, è
morto stamani per l’esplosione di una bomba artigianale nel villaggio di Tangkura, una decina di chilometri a ovest di Poso, teatro
tra il 1999 e il 2001 di un grave conflitto interreligioso tra la comunità
cristiana e quella musulmana, che provocò circa mille
morti. La polizia è sul posto e sta cercando di
individuare l’autore dell’attentato. Intanto, è imminente l’esecuzione
di Fabianus Tibo, Marinus Riwu, e Dominggus da Silva, i tre cattolici condannati a morte
perché giudicati colpevoli del massacro di musulmani avvenuto nel 2000 proprio
a Poso. Lo ha riferito ieri il capo della polizia nazionale, il generale Sutanto, dopo un incontro a porte chiuse del Parlamento. Ce
ne parla Roberta Moretti:
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“La
polizia è pronta per l’esecuzione e attende solo che siano conclusi i processi
amministrativi necessari, preparati dall’Ufficio del procuratore delle Sulawesi centrali”. Il generale Sutanto
non ha dubbi sulla sorte dei tre condannati a morte e precisa che “i loro
giorni sono contati, perché la seconda richiesta di clemenza al presidente
indonesiano è stata respinta”. “Il motivo del rifiuto della grazia – aggiunge –
è dovuto al fatto che non sono passati due anni dalla
prima richiesta, come previsto dalla legge”. I tre cristiani si sono sempre
detti innocenti e sono moltissimi – riferisce AsiaNews
– i testimoni a loro favore che non sono stati ascoltati nel corso del
processo, così come sono molte le voci nazionali ed internazionali che hanno
chiesto una riapertura del procedimento. La data della loro esecuzione è stata
spostata diverse volte, anche grazie alle pressioni internazionali e della
Santa Sede. L’11 agosto scorso, in un telegramma a firma del segretario di
Stato, il cardinale Angelo Sodano, Benedetto XVI aveva chiesto alle autorità
indonesiane un atto di clemenza per motivi umanitari. Ma oggi le speranze
sembrano affievolirsi. Un’altra conferma dell’imminente esecuzione proviene
anche dal nuovo capo della polizia nella provincia, Badrootin
Haiti, che ha sostituito a fine agosto il generale Oegroseno,
convinto sostenitore della necessità di sospendere la condanna a morte dei tre
cattolici. “Siamo pronti – ha detto Haiti – e la richiesta ufficiale di
giustiziarli sta per arrivare”.
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Il primo ministro britannico, Tony Blair,
potrebbe lasciare la guida del governo britannico il 26 luglio dell’anno
prossimo, dopo tre mandati consecutivi a Downing
Street. E quanto sostiene un notista politico del
quotidiano Sun. Tuttavia, l’ufficio del premier non
ha commentato la notizia.
Un giudice argentino ha annullato come incostituzionali le
amnistie accordate dall'ex presidente Carlos Menem a due ministri della passata dittatura militare
(1976-83), accusati di sequestro di persona. Si tratta dei ministri
dell’Economia e degli Interni, Jose'
Alfredo Martinez de Hoz
e Albano Harguindeguy. Annullato anche l'indulto
concesso a suo tempo all'ex dittatore Jorge Rafael Videla, nell'ambito di una causa in cui e' accusato di aver
disposto, nel 1976, l’arresto di due imprenditori tessili.
Il Giappone ha un nuovo erede per la sua dinastia
imperiale. E’ nato ieri il figlio del principe cadetto Akishino
e della consorte Kiko. Il neonato, il primo maschio
negli ultimi 40 anni, ha fatto svanire così ogni progetto di riforma per
consentire anche a una discendenza femminile l’accesso al trono del Crisantemo.
E’ stato rinviato di 24 ore il lancio dello Shuttle Atlantis previsto in Florida per le 18,29
ora italiana. I tecnici della NASA non hanno voluto correre rischi dopo aver
riscontrato alcuni problemi tecnici. I tentativi di lancio possono proseguire
fino a venerdì, dopo di che si dovrà attendere fino al 27 ottobre per evitare
di incrociare la capsula Russa Soyuz. Lo scopo della
missione dell’Atlantis è di ricostruire la stazione
spaziale internazionale.
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