RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 248  - Testo della trasmissione di martedì 5  settembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La pastorale giovanile priorità per i presuli canadesi dell’Ontario, in questi giorni a Roma per la visita ad Limina. La testimonianza del vescovo di Peterborough, Nicola De Angelis

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Da vent’anni, lo spirito di Assisi è un’oasi di dialogo tra le religioni contro ogni guerra di civiltà: il pensiero del vescovo Vincenzo Paglia sul meeting “Uomini e Religioni” che si conclude oggi

 

Il capitolo generale dell’Ordine dei Cappuccini ha eletto lo svizzero padre Mauro Jöhri nuovo ministro generale: ai nostri microfoni padre Jöhri

 

Il mondo del calcio piange la scomparsa di Giacinto Facchetti. Domani pomeriggio i funerali nella basilica di S. Ambrogio a Milano: con noi mons.  Carlo Mazza e Gianni Rivera

 

Festival del Cinema di Venezia: consegnato al regista cinese Zhang Yuan il premio Robert Bresson: interviste con mons. John Foley e Zhang Yuan

 

CHIESA E SOCIETA’:

Nove anni fa, la sera del 5 settembre 1997, la morte di Madre Teresa a Calcutta, dove riposano le spoglie della fondatrice delle Missionarie della carità

 

I vescovi della Bolivia ammoniscono sui rischi di una crisi prolungata nell’Assemblea Costituente, i cui lavori a Sucre sono ‘paralizzati’ da circa un mese

 

Consultazione ecumenica panafricana a Nairobi, in vista del Forum sociale mondiale, che sarà ospitato nella stessa capitale kenyota nel gennaio 2007

 

Grave atto contro la comunità cattolica in Cina: distrutta dalla polizia una Chiesa appena terminata sull’isola di Pingtang, nel Fujian

 

24 ORE NEL MONDO:

4 morti in un attentato a Sidone, in Libano. Per Kofi Annan il blocco israeliano al Paese dei Cedri potrebbe essere tolto entro 48 ore

 

Per il governo giordano è un atto isolato l’attacco contro dei turisti ad Amman, in cui ha perso la vita un cittadino britannico

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

5 settembre 2006

 

 

LA PASTORALE GIOVANILE PRIORITA’ PER I PRESULI CANADESI

 DELL’ONTARIO, IN QUESTI GIORNI A ROMA PER LA VISITA AD LIMINA.

LA TESTIMONIANZA DEL VESCOVO DI PETERBOROUGH, NICOLA DE ANGELIS

 

E’ in corso in questi giorni la visita ad Limina dei vescovi canadesi dell’Ontario, guidati dal cardinale arcivescovo di Toronto, Aloysius Matthew Ambrozic. I presuli sono stati ricevuti ieri da Benedetto XVI, che li incontrerà nuovamente nel corso della settimana. La visita dei vescovi dell’Ontario segue l’incontro del Papa con i presuli canadesi della regione dell’Atlantico, del maggio scorso. Per conoscere meglio la realtà della Chiesa canadese e il significato di questa visita ad Limina, Alessandro Gisotti ha intervistato il vescovo di Peterborough, Nicola De Angelis:

 

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R. – Per noi significa rinnovare la nostra fedeltà a Pietro, la nostra lealtà e il nostro lavorare insieme, sotto le direttive del Pontefice. Questo è rafforzato dalle varie visite ai dicasteri, dove stiamo toccando con mano il grosso lavoro pastorale universale, che sotto la guida del Sommo Pontefice avviene giorno dopo giorno.

 

D. – Quali sono le urgenze, a livello di attività pastorale, nella sua diocesi e più ampiamente nella regione dell’Ontario?  

 

R. – Penso che, per noi tutti, l’urgenza principale sia quella della gioventù. Sulla scia di Giovanni Paolo II, che ha ‘movimentato’ tutti i giovani del mondo, che li ha fatti innamorare della Chiesa e di Cristo, penso che la sfida per qualsiasi vescovo, ed anche per me, nella diocesi di Peterborough, a fianco di Toronto, sia quella di dedicare più attenzione ai giovani. Nella mia diocesi vedo chiaramente una vitalità nuova che si sta sviluppando. Circa 150, 200 giovani dalla nostra piccola diocesi sono andati ad incontrare per la prima volta il Santo Padre a Colonia, in Germania, e sono tornati pieni di zelo, di fervore. Questo zelo e questo fervore quasi diventano contagiosi. Nell’Università di Peterborough, che è molto secolarizzata, si è fondato spontaneamente un gruppo di giovani universitari, una trentina circa per adesso, che si sono dati il nome di “Counsel of Trent”. Quindi, credo che l’urgenza principale per ogni vescovo sia di continuare a fare attenzione ai giovani, a seguirli, accompagnarli. Saranno loro la Chiesa di oggi e soprattutto di domani!

 

D. – Qual è la nuova energia che un vescovo acquisisce nell’incontrare il Successore di Pietro e come trasmetterla ai fedeli?

 

R. – Prima di tutto penserò di trasmetterla al clero, ai sacerdoti. Proprio a fine settembre, ottobre, abbiamo i cosiddetti Decanati, nei quali ci raduniamo in quattro gruppi. Con loro ripercorrerò le varie tappe: le visite ai dicasteri, l’arricchimento che abbiamo visto, toccato e testimoniato. Le comunicheremo ai sacerdoti, i quali a loro volta ne parleranno ai loro fedeli. Man mano che io continuerò nelle mie visite pastorali, non mancherò di portare all’attenzione dei fedeli questa grande dimensione di Chiesa universale, che parla una lingua sola. Non c’è una Chiesa canadese, una italiana, una americana. C’è la Chiesa universale cattolica, che esprime nelle varie culture l’insegnamento di Cristo.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il Medio Oriente: mediazione di Annan tra Israele ed Hezbollah per ottenere la liberazione dei soldati rapiti dai miliziani islamici.

 

Servizio vaticano - Tre pagine dedicate al prossimo viaggio apostolico di Benedetto XVI in Germania.

 

Servizio estero - Iraq: scoperte vicino a Kirkuk due fosse comuni con i resti di ottanta persone.

 

Servizio culturale - Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo "Icone provenienti dai Kremlini della Russia antica esposte in una mostra itinerante in Calabria": nella tradizione pittorica di un popolo il veicolo di una teologia dell'immagine.

Per la rubrica dell'”Osservatore libri” un articolo di Franco Lanza dal titolo "La fase 'leonardesca' dell'itinerario di 'Gianfalco'": "Il non finito. Diaro 1900 e scritti giovanili" di Giovanni Papini.

 

Servizio italiano - In rilievo il tema della finanziaria.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

5 settembre 2006

 

 

DA VENT’ANNI, LO SPIRITO DI ASSISI E’ UN’OASI DI DIALOGO TRA LE RELIGIONI

CONTRO OGNI GUERRA DI CIVILTA’: IL PENSIERO DEL VESCOVO VINCENZO PAGLIA

SUL MEETING “UOMINI E RELIGIONI” CHE SI CONCLUDE OGGI,

CON UN PENSIERO ALL’11 SETTEMBRE 2001

- Intervista con il presule -

 

Il ricordo degli attentati a New York e Washington dell’11 settembre 2001 sono stati al centro di molti degli interventi susseguitisi questa mattina durante le tavole rotonde dell’Incontro “Uomini e religioni” in corso ad Assisi. Ma al tradizionale appuntamento interreligioso organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, che terminerà stasera, si è parlato oggi, tra l’altro, anche di globalizzazione e di dialogo con l’Asia. Il punto della giornata nelle parole della nostra inviata ad Assisi, Francesca Sabatinelli.

 

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Ad Assisi oggi si vive la preoccupazione di uno scenario mondiale, fatto di tensioni molto più complesse di quanto lo fossero ai tempi della Guerra Fredda, quando Giovanni Paolo II convocò qui la grande preghiera per la pace. Fu una grande intuizione quella dello spirito di Assisi, fondato e rilanciato da Benedetto XVI che, nel  messaggio inviato a “Uomini e religioni”, ha espresso le problematiche dell’oggi. Andrea Riccardi nella conferenza stampa di chiusura descrive in questo modo la soddisfazione di tutta la comunità di Sant’Egidio per il ripetersi di questi appuntamenti che, ad oggi – spiega – non hanno ancora perso il loro profondo significato. Da Assisi si rilancia la necessità di pregare gli uni accanto agli altri e oggi quanto mai prima di alimentare il dialogo con i laici umanisti. Si è fortemente respirato in questi due giorni il ricordo del Papa polacco che nel 1986 sfidò le diffidenze tra le religioni, chiamandole ad unirsi in una preghiera alla quale – lungo questi anni, si è unito anche il dialogo testimoniato dalla presenza di ortodossi, ebrei, musulmani, che hanno ricordato la forte stretta di mano di Papa Giovanni Paolo II e il suo impegno perché si sviluppasse il concetto di globalizzazione della solidarietà, perché si capisse che nella religione non ci sono frontiere.

 

In questi anni gli incontri si sono trovati stretti tra gravissimi episodi di violenza, come l’11 settembre, ed oggi sullo sfondo c’è la grande preoccupazione per il Medio Oriente e il dopo-Libano, che qui hanno portato al dialogo, ma anche a dichiarazioni dure come quelle del rabbino capo di Haifa, “religione ed impegno religioso sono la radice e la ragione dei conflitti che segnano il Medio Oriente”. Cohen ha attaccato l’Islam fondamentalista, “fonte di ispirazione per molti guerrieri e terroristi. Israele – ha detto – ha adempiuto a tutti i suoi impegni, ma Hezbollah ha il desiderio di distruggerla e di far tornare la Terra Santa sotto la legge islamica”. Anche per lui, comunque, religione e fede, pur alla radice del problema, offrono la via alla soluzione del problema. Anche lui si dice fiducioso che lo spirito di Assisi possa essere segno dei giorni a venire.

 

Questa sera la conclusione con la lettura e la firma dell’appello di pace da parte di tutti i leader religiosi. Il prossimo appuntamento sarà a Napoli, perché – ha concluso Riccardi – il Mediterraneo è fondamentale per tutte e tre le religioni.

 

Da Assisi, Francesca Sabatinelli, Radio Vaticana.

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Il primo incontro di Assisi rappresentò per il mondo della Guerra Fredda “una grande speranza, l’immagine di una possibilità”: quella della pace raggiunta attraverso il dialogo delle religioni e delle culture. E’ una ferma convinzione del vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, che visse in prima persona l’appuntamento di Giovanni Paolo II del 1986, seguendo poi da vicino l’esperienza dell’incontro “Uomini e religioni”. Vent’anni più tardi, afferma mons. Paglia, lo “spirito di Assisi” è tutt’altro che spento o passato di moda, né sussistono dubbi di tipo sincretistico, secondo quanto affermato da Benedetto XVI nel suo Messaggio al meeting. Ascoltiamo il presule, nell’intervista dei nostri inviati ad Assisi, Francesca Sabatinelli e Fabio Colagrande:

 

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R. – Tornare qui dopo 20 anni è per me pieno di emozioni. Quel giorno dell’86, tutti sognammo la pace. In quel giorno, le guerriglie del mondo tacquero, uomini che non si erano mai visti insieme si ritrovarono. Ricordiamo che c’era ancora la Guerra fredda, la paura della guerra nucleare, e ben più solido era il Muro di Berlino di un semplice muro di mattoni. Quel giorno significò per noi una grande speranza, l’immagine di una possibilità. E in effetti da allora ad oggi è cambiato il mondo. Dopo pochi anni, cadde il Muro di Berlino: ricordo che una sera ne parlai con Giovanni Paolo II e ci dicemmo: “Perché non pensare che la preghiera dall’86 all’89 non ha provocato anche questo crollo? Chi può dire di no?”. Certamente, ci sono elementi per dire di sì. Ricordo, infatti, che due mesi prima del crollo - il 1° settembre dell’89, quando ci ritrovammo tutti a Varsavia per ricordare con l’incontro di Assisi il 50.mo anniversario della II Guerra Mondiale, che iniziò il 1° settembre in Polonia - andammo per la prima volta ad Auschwitz e lì si incontrarono insieme i cristiani per deporre un’unica corona. Devo dire che ci venne in mente di augurare, nel documento finale, la caduta del Muro di Berlino, non lo facemmo proprio perché avevamo poco fede. Lo cancellammo e proprio due mesi dopo, quando cadde il Muro, ci sembrò ovviamente la realizzazione di un sogno. Il mondo, in effetti, cambiò e negli anni Novanta molte realizzazioni di pace si ebbero: l’apartheid in Sudafrica fu sconfitta, la pace in Mozambico fu firmata, vennero i Trattati di Oslo e si cominciò a sperare per la Palestina. Poi, dopo pochi anni, il mondo scelse ancora le armi e ricominciarono ad esplodere conflitti da tutte le parti. Esplose la Guerra dei Balcani e Giovanni Paolo II tornò ad Assisi nel ’92. Poi, con l’11 settembre 2001 il mondo cambia nuovamente e Giovanni Paolo II torna nuovamente ad Assisi, continuando quell’itinerario che la comunità di Sant’Egidio aveva accolto e proseguito ogni anno. Adesso torniamo qui, ma non per ripetere una cerimonia, quanto per ridare vigore a questo evento, che va ripetuto, perché le cose vere vanno ripetute. Ripetiamo questo incontro, perché abbiamo capito che è efficace.

 

D. – Quindi, mons. Paglia, questa è anche la risposta a chi da tempo dice che forse gli incontri promossi da Sant’Egidio dovrebbero trovare una scadenza, che hanno già detto tanto in 20 anni. Questa è quindi la risposta, bisogna continuare?

 

R. – Io credo che sia non solo necessario, ma che sia un obbligo continuare. E questo proprio perché in passato c’era il mondo diviso in due, oggi c’è il cosiddetto conflitto di civiltà, e proprio per questo è necessario proporre l’incontro tra le civiltà. Se qualcuno ha pensato che lo spirito di Assisi significasse sincretismo, ha proprio capito male, anzi lo ha tradito lo spirito di Assisi, tradisce il dialogo per trasformarlo in monologo. Lo spirito di Assisi significa che dobbiamo tutti approfondire la propria identità, perché solo così è possibile trarre fuori dalla propria fede e dal proprio credo quelle energie spirituali che allontanano la religione dalla guerra, evitano ogni fondamentalismo e fanno crescere quelle energie nascoste nel cuore di ogni credo che sono energie di pace, energie d’amore, che hanno la loro scintilla che viene da Dio. Ecco perché l’incontro di Assisi è l’opposto del sincretismo, l’opposto di una impossibile comunque religione comune e per dire a tutti noi che la nostra vocazione è quella di incontrarci per costruire un futuro comune per l’intera famiglia umana.

 

D. – Accanto alla sfida del dialogo interreligioso sembra oggi però accostarsi e a volte sovrapporsi una altra sfida, quella del dialogo tra chi crede e chi non crede. Questi incontri possono dare una risposta a questa nuova sfida?

 

R. – Vent’anni fa questa prospettiva non c’era. In effetti, questo dialogo è nato proprio dalla continuazione di questo spirito. Man mano che questo dialogo andava avanti, noi ci siamo sentiti come obbligati de facto ad accogliere in questo pellegrinaggio anche quelli che noi oggi possiamo chiamare i non credenti che cercano una prospettiva di pace. Dal decimo incontro, se non sbaglio, abbiamo accolto in questo itinerario anche i non credenti ed è stata una scoperta straordinaria, perché ha mostrato che ragione e fede non solo non si scontrano, ma hanno bisogno l’una dell’altra. Una religione senza ragione diventa new age, diventa intolleranza, diventa fondamentalismo, ma anche una ragione privata del senso del mistero diventa, anch’essa, intolleranza, fondamentalismo e rischia di mettere al posto di Dio se stessa. 

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Ricordiamo che la nostra emittente seguirà in radiocronaca diretta la cerimonia finale dell’Incontro interreligioso “Uomini e religioni” da Piazza S. Francesco in Assisi, con inizio alle ore 19.20 e commento in italiano per la zona di Roma sull’onda media di 585 kHz e sulla modulazione di frequenza di 105 MHz.

 

 

IL CAPITOLO GENERALE DELL’ORDINE DEI CAPPUCCINI HA ELETTO

LO SVIZZERO PADRE MAURO JÖHRI NUOVO MINISTRO GENERALE.

AI MICROFONI DELLA RADIO VATICANA, PADRE JÖHRI SI SOFFERMA

 SULLE SFIDE PIU’ URGENTI PER I CAPPUCCINI, ALL’ALBA DEL TERZO MILLENNIO

 

Il Capitolo generale dell’Ordine dei Cappuccini, riunito a Roma fino al 17 settembre, ha eletto padre Mauro Jöhri, provinciale della Provincia cappuccina di Svizzera, nuovo Ministro generale. Padre Mauro succede al canadese John Corriveau, che ha guidato l’Ordine per 12 anni. Il nuovo Ministro generale ha cinquantanove anni. Entrato nel noviziato dei cappuccini nel 1964, è stato ordinato nel 1972. Ha insegnato dogmatica e teologia fondamentale alla Facoltà teologica di Coira e, per alcuni anni, è stato professore incaricato nella Facoltà teologica di Lugano. Il Capitolo generale che ha eletto padre Jöhri riunisce 174 capitolari che rappresentano gli 11.000 cappuccini di tutto il mondo. Al microfono di Alessandro Gisotti, il nuovo Ministro generale racconta con quale spirito abbia assunto l’incarico:

 

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R. – Certamente con molto tremore, con il senso di stare davanti ad una sfida molto grande, perché io ho una certa conoscenza dell’Ordine, ma quando si entra poi nel dettaglio, il cammino si rivela piuttosto difficile. E’ un cammino difficile, ma è un servizio che mi viene chiesto, che mi chiede di metterci il cuore anzitutto, il mio amore per la vita religiosa, il mio amore per l’Ordine dei Cappuccini. E poi serviranno capacità di collaborazione. Verrà eletto, infatti, anche un Consiglio che lavorerà a stretto contatto con me.

 

D. - Quali sono le sfide più urgenti per i Cappuccini, anche alla luce di quanto sta emergendo nel Capitolo generale in corso a Roma?

 

R. – Una delle prime sfide è certamente quella di consolidare il lavoro fatto nei dodici anni in cui è stato fra John Corriveau a guidare l’Ordine. Abbiamo insistito moltissimo sulla vita fraterna, come caratteristica, come cuore del nostro carisma. Come bisogno di concretezza per la solidarietà fraterna è nata l’esigenza di ridistribuire bene i mezzi, in maniera tale che anche le circoscrizioni del sud del mondo possano avere, non solo il sufficiente, ma anche tutto ciò che è necessario per promuovere il cammino formativo dei giovani che bussano alle nostre porte. Questo è un discorso che va assolutamente consolidato. E’ un discorso che ha anche un rigore, con il quale si fanno preventivi e consuntivi. C’è molta concretezza in questo, ma bisogna fare ancora dei passi per raggiungerlo ovunque. Un’altra sfida è quella secondo la quale il singolo, nella vita fraterna, debba vivere con intensità la sua vita spirituale, il suo stare dinanzi a Dio. Quindi, vogliamo prendere e approfondire tutto l’aspetto della preghiera, della contemplazione.

 

D. – Benedetto XVI, nel messaggio per l’incontro di Assisi, ha ricordato l’ottavo centenario della conversione di San Francesco, sottolineando la sua scelta radicale di povertà. Come testimoniare oggi quella scelta?

 

R. – Per noi la scelta di povertà è prima di tutto una scelta di vivere con mezzi semplici, condividendoli tra i frati, prima di tutto, perché le possibilità dei frati che vivono nell’emisfero nord e nell’emisfero sud non sono le stesse. E dall’altra parte, facendo una scelta di povertà in minorità, una minorità che ci avvicina ai minori in quanto tali. Il fatto di essere vicini, di condividere, di far strada a chi è in situazioni di bisogno, è per me un risvolto della povertà che va vissuto oggi.

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IL MONDO DEL CALCIO PIANGE LA SCOMPARSA DI GIACINTO FACCHETTI.

DOMANI POMERIGGIO I FUNERALI NELLA BASILICA DI S. AMBROGIO A MILANO

- Servizio di Giancarlo La Vella -

 

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(musica)

 

Saranno in molti a portare l’ultimo saluto a Giacinto Facchetti. Lo dimostra l’insistenza con la quale tantissime persone hanno chiesto data, ora e luogo dei funerali del “campione gentiluomo”. Terzino e capitano, tra gli anni ’60 e ’70, della Nazionale italiana, campione d’Europa e vicecampione del mondo, e della “grande Inter” di Herrera e Moratti, Facchetti anche oggi era l’emblema della compagine nero-azzurra: il nuovo corso della società lo aveva voluto dal 2004 alla guida come presidente. Il “capitano dei capitani” – come molti lo definivano – che aveva 64 anni – spiccava per doti morali nel calcio odierno degli scandali.  Un male incurabile lo ha strappato a quanti lo amavano. Numerose le manifestazioni commosse di cordoglio, tra le quali quella del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano: “Facchetti resta un esempio per le nuove generazioni – ha sottolineato il capo dello Stato – per l’attaccamento ai valori della lealtà e dell’agonismo che ne hanno fatto un grande campione e manager”. Mons. Carlo Mazza, responsabile dell’Ufficio Sport e Tempo Libero della CEI lo conobbe. Ascoltiamo un suo ricordo:

 

R. - Il ricordo di Facchetti è commovente, è un ricordo che richiama i grandi valori dello sport ma in particolare i grandi valori dell’uomo di sport. Io sono stato molto ammirato per la sua pacatezza, dal modo in cui sapeva affrontare i problemi con grande eleganza, con grande intelligenza della realtà, senza offendere mai nessuno. Nello sport di oggi c’è bisogno di questo modello; io vorrei proprio che Facchetti diventasse un po’ il riferimento per tutti i ragazzi e per tutti i giovani se vogliono affrontare la carriera sportiva in modo serio e adeguato ai grandi valori dell’uomo.

 

Ascoltiamo anche Gianni Rivera, che fu, allo stesso tempo, suo compagno di squadra in Nazionale e avversario come capitano del Milan:

 

R. – Avevamo intanto un grande rapporto personale che è proseguito anche quando abbiamo smesso entrambi di giocare. Poi avevamo un buon rapporto anche come “avversari”, un grande rispetto reciproco; era riconosciuta da tutti questa sua qualità, questa sua forza morale, questa sua serietà, preparazione, attenzione. Se ne va proprio nel momento in cui c’è bisogno di grande certezze, di valori, di rispetto di regole, di rispetto di tutto.

 

(musica)

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FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA:

CONSEGNATO AL REGISTA CINESE ZHANG YUAN IL PREMIO ROBERT BRESSON

- Interviste con mons. John Foley e Zhang Yuan -

 

E’ stato consegnato questa mattina al regista cinese Zhang Yuan, nell’ambito della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il Premio Robert Bresson, assegnato dai Pontifici Consigli delle Comunicazioni Sociali e della Cultura insieme all’Ente dello Spettacolo e giunto alla sua settima edizione. Dopo avere giustamente premiato l’opera di altri famosi maestri del cinema internazionale quali Zanussi, De Oliveira, Angelopoulos e Wenders, quest’anno il premio, consegnato da mons. John P. Foley, ha voluto riconoscere la grande vitalità del cinema asiatico. Il servizio di Luca Pellegrini.

 

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E’ il settimo anno che la Chiesa e la Santa Sede, per voce dei due Pontifici Consigli insieme all’Ente dello Spettacolo e alla Rivista del Cinematografo, si rendono presenti alla Mostra del Cinema attraverso l’assegnazione di un Premio Internazionale dedicato alla memoria del grande regista francese Robert Bresson. Ques’anno il significativo riconoscimento è andato al quarantatrenne regista cinese Zhang Yuan. Proprio a Venezia si era fatto conoscere nel 1999 ricevendo un Leone d’Argento alla regia per una delle sue opere più belle, Diciassette anni, una toccante, intensa storia di redenzione e perdono. Una ventata di ottimismo coglieva in quel film lo spettatore, come è accaduto anche per il recente La guerra dei fiori rossi, nel quale l’innocenza e la purezza di un bambino in un orfanotrofio cinese si stagliano come lezione per l’intera umanità. Zhang Yuan si fa, dunque, sincero portavoce di quella grande lezione artistica ed umana che il cinema cinese consegna all’Occidente. Mons. John P. Foley così riassume ai nostri microfoni il significato del Premio dato ad un cineasta cinese:

 

“Penso che sia un ponte per la comunicazione e un ponte culturale, per questo il nostro Consiglio se ne occupa. Questi due aspetti sono molto importanti, soprattutto il riconoscere la qualità, la validità del lavoro del regista Zhang Yuan. Io sono molto felice di essere presente e di presentare questo premio e penso che questo riconoscimento del lavoro di un regista cinese sarà molto importante per l’industria del cinema in Cina”.

  

Zhang Yuan, questo è per lei un premio che non solo riconosce la sua opera, ma racchiude un valore che si estende oltre l’arte cinematografica, in questo preciso momento storico nel quale la Chiesa cerca un dialogo con il suo Paese. Con quali sentimenti ha vissuto la premiazione di questa mattina? 

 

R. - (Parole cinesi)

Trovo che oggi sia una giornata particolarmente felice per me. Mons. Foley viene da Roma appositamente per consegnarmi questo premio del Vaticano, un premio che non soltanto mi dà un onore personale, ma penso abbia un valore universale. Il Vaticano è uno Stato, che ha una cultura molto influente sull’intera umanità e la Cina conta più di un miliardo di persone. Nonostante questo dato di fatto, i due Stati non hanno relazioni diplomatiche. Spero che su di me cada questo primo mattone di un ponte che colleghi entrambe le culture. Questo è il senso nel premio, che trovo più grande.

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CHIESA E SOCIETA’

5 settembre 2006

 
 

NOVE ANNI FA, LA SERA DEL 5 SETTEMBRE 1997, LA MORTE DI MADRE TERESA

A CALCUTTA, DOVE RIPOSANO LE SPOGLIE DELLA FONDATRICE DELLE MISSIONARIE

DELLA CARITA’. OGGI L’ARCIVESCOVO DELLA METROPOLI INDIANA

 HA CELEBRATO UNA MESSA IN MEMORIA DELLA PICCOLA SUORA DEDICATA

“AI PIU’ POVERI TRA I POVERI”, PREMIO NOBEL PER LA PACE NEL 1979,

PROCLAMATA BEATA DA GIOVANNI PAOLO II IL 19 OTTOBRE 2003

- A cura di Roberta Gisotti -

 

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CALCUTTA. = Madre Teresa è un “potente avvocato per tutti noi di fronte a Dio, non dobbiamo scoraggiarci di fronte ad avvenimenti e situazioni che ci contrastano”. Cosi suor Nirmala Joshi, oggi alla guida delle Missionarie della carità, nella ricorrenza della morte della Beata, “un giorno di gioia ed una grande festa”, per tutti “una chiamata, un invito a divenire santi”. “Ora aspettiamo - ha aggiunto – con ansia e speranza il giorno della sua canonizzazione”. In memoria di Madre Teresa si è celebrata oggi, a Calcutta, presieduta dall’arcivescovo della metropoli indiana, Lucas Sirkar, una Santa Messa nella Mother House, dove riposano le spoglie della Beata Teresa. Intanto nella città di Ahmadabad, dove sono frequenti le tensioni interreligiose, stamane i cittadini di ogni fede hanno reso omaggio a chi ha saputo donare la sua vita “ai più poveri tra i poveri” di fronte alla statua di bronzo che le è stata dedicata. Suor Nirmala, interpellata dall’Agenzia AsiaNews sulla crescita del nazionalismo religioso in India e sui recenti attacchi di estremisti indù ad alcune suore e così anche sulle leggi anticonversione, ha ricordato che “Madre Teresa rispettava le persone di tutte le fedi e la devozione nei suoi confronti supera le identità religiose. E “questo – ha concluso - è anche un richiamo per ognuno di noi a riscoprire la nostra dignità di esseri umani, come figli di Dio”. Ed è bello ricordare come Madre Teresa si presentava al mondo: “Sono albanese di sangue, indiana di cittadinanza. Per quel che attiene alla mia fede, sono una suora cattolica. Secondo la mia vocazione, appartengo al mondo. Ma per quanto riguarda il mio cuore, appartengo interamente al Cuore di Gesù”.

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I VESCOVI DELLA BOLIVIA AMMONISCONO SUI RISCHI DI UNA CRISI PROLUNGATA NELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE, I CUI LAVORI A SUCRE SONO “PARALIZZATI” DA CIRCA UN MESE, A CAUSA DEI FORTI SCONTRI POLITICI TRA IL PRESIDENTE MORALES

E ’OPPOSIZIONE. OCCORRE INVECE RITORNARE “AL DIALOGO E AL CONSENSO VERO”,

SOLLECITANO I PRESULI IN UNA NOTA PUBBLICATA SUL SITO INTERNET

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE BOLIVIANA

- A cura di Luis A. Badilla Morales -

 

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LA PAZ. = “Ciò che sta succedendo nell'Assemblea costituente deve preoccupare tutti i boliviani”, ammoniscono i vescovi del Paese latinoamericano. In una nota pubblicata sul sito Internet della Conferenza episcopale della Bolivia, si fa riferimento agli ultimi duri scontri politici che, in sostanza, paralizzano l’Assemblea da un mese. La totale mancanza d’accordo sul Regolamento dei lavori ha portato, venerdì scorso, 100 costituenti ad abbandonare la sede dei lavori che si svolgono nella città di Sucre. L'opposizione boliviana accusa il presidente Evo Morales di “autogolpe”, per i suoi tentativi di forzare l'Assemblea costituente ad approvare le sue proposte con la maggioranza semplice invece che dei due terzi, quorum che Evo Morales non raggiunge. “L’assemblea è ferita a morte, sarà difficile portare avanti i lavori in queste condizioni”, ha dichiarato il leader dell'Unione nazionale a cui ha fatto eco Guillermo Richter, membro dell'Assemblea per il Movimiento nacionalista revolucionario. Da parte sua, il presidente boliviano accusa l'opposizione di ''cospirazione'' per far sì che la Costituente da lui indetta si trasformi in un fallimento. “L'esigenza dei due terzi è solo una scusa per fare ostruzione all'Assemblea'', ha detto Morales. Oltre ai partiti di opposizione, anche i governi di varie regioni hanno annunciato mobilitazioni e manifestazioni contro le iniziative di Morales. Nelle prime ore di oggi (notte inoltrata in Bolivia), l’Assemblea ha deciso di sospendere per 48 ore i lavori, nella speranza di trovare una soluzione alla controversia e, soprattutto, di creare le condizioni per rasserenare gli animi così violenti al punto che, in diversi momenti, si sono registrati tafferugli con feriti, contusi e ricoverati. Il Movimento verso il socialismo (Mas), partito del presidente, ha accettato la richiesta in questo senso fatta da tre organizzazioni: Potere democratico e sociale, Movimento nazionalista rivoluzionario e Concertazione nazionale (raggruppamenti di Chiese evangeliche). Lo scontro tra sostenitori del progetto governativo e altri gruppi che lo condividono parzialmente, o lo rifiutano in blocco, ha portato ad una dura e aggressiva polarizzazione. Il clima politico si è molto riscaldato negli ultimi tre giorni e anche il linguaggio ha acquistato toni molto violenti. La nota del sito episcopale si domanda: "In questo contesto risulta inevitabile interrogarsi sul futuro e sulle prospettive dell'Assemblea costituente". "Occorre, dunque - sottolinea l'editoriale - ritornare al dialogo e al consenso vero: l'imposizione, a prescindere della sua origine e della sua espressione, non risolverà nulla. In quest'Assemblea sono visibili tutti i volti dei boliviani, con le proprie letture ed interpretazioni della realtà nazionale, ma anche con le loro potenzialità e limiti. L'appello alla concertazione e al consenso responsabile sono tanto urgenti quanto è evidente lo sconcerto nazionale". La Costituzione boliviana prevede che le decisioni siano approvate con un minimo di due terzi di maggioranza (170 voti su 255), mentre il presidente Morales spinge perché passino con la maggioranza semplice (128 voti). Il Movimento per il socialismo (MAS) di Morales ha eletto 137 costituenti.

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CONSULTAZIONE ECUMENICA PANAFRICANA A NAIROBI, IN VISTA DEL FORUM SOCIALE MONDIALE, CHE SARA’ OSPITATO NELLA STESSA CAPITALE KENYOTA NEL GENNAIO 2007. I LEADER ED OPERATORI SOCIALI CRISTIANI CHIEDONO ANZITUTTO GIUSTIZIA E PACE PER I PIU’ POVERI, A PARTIRE DAI GIOVANI, VITTIME DELL’AIDS,

DEL TRAFFICO DI ESSERE UMANI E DELLE GUERRE, ABUSATI E SFRUTTATI

 

NAIROBI. = “La Chiesa africana deve continuare ad essere la paladina della giustizia e della pace per i poveri del continente”. E’ quanto ha detto il coordinatore di giustizia e pace dell’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa orientale (AMECEA), padre Jude Waweru, intervenendo nei giorni scorsi a Nairobi ad una consultazione ecumenica panafricana sul prossimo Forum sociale mondiale (FSM), che sarà ospitato nel gennaio 2007 dalla capitale keniota. “L’entità delle violazioni dei diritti umani nel nostro continente esige che, come uomini di Chiesa, intensifichiamo la nostra missione in questo ambito”, ha evidenziato padre Waweru. “Bisogni fondamentali come educazione, sanità, alimentazione e libertà di culto dovrebbero occupare il primo posto nell’agenda della Chiesa del continente”. La consultazione è stata organizzata dalla Conferenza delle Chiese di tutta l’Africa (AACC), in collaborazione con la Caritas Africa, ed ha visto la partecipazione di una sessantina di leader e operatori sociali cristiani africani che hanno discusso il tema “Insieme per la giustizia sociale”. Al centro dell’incontro, il contributo delle Chiese cristiane africane al prossimo Forum sociale mondiale, il primo ad essere interamente ospitato in Africa, dopo quelli in Brasile, India e Venezuela. Secondo i partecipanti, tra i temi in agenda al Forum la Chiesa africana dovrà riservare un’attenzione particolare in primo luogo all’Aids, il principale ostacolo allo sviluppo del continente. Essi hanno quindi segnalato la povertà, l’ambiente, i giovani, la governance mondiale, la globalizzazione, l’empowerment e lo sviluppo. Il comunicato finale rileva come le strategie sinora realizzate per liberare l’Africa dalla tirannia della povertà siano fallite e come questa sia anzi aumentata. Di qui, la necessità evidenziata dai partecipanti di “approcci radicalmente innovativi” per ripristinare condizioni di vita umane per milioni di africani degradati dalla miseria. Le principali vittime di questo stato di cose sono i giovani, abusati e sfruttati: a milioni sono oggi vittime del traffico di esseri umani e impiegati come bambini soldato. Una condizione - rileva in conclusione il comunicato - che minaccia di perpetuare l’emarginazione e la miseria nelle generazioni future dell’Africa. Il Forum sociale di Nairobi si svolgerà dal 20 al 25 gennaio e vedrà la partecipazione di 200 delegati. (L.Z.)

 

 

GRAVE ATTO CONTRO LA COMUNITACATTOLICA IN CINA: DISTRUTTA DALLA POLIZIA UNA CHIESA APPENA TERMINATA SULL’ISOLA DI PINGTANG E ANNUNCIATA

LA DEMOLIZIONE DI UN'ALTRA IN UN VICINO VILLAGGIO,

CONSIDERATE ENTRAMBE LUOGHI DI CULTO ILLEGALI

 

PECHINO.  = Distrutta in Cina, una chiesa cattolica nel villaggio di Yutouchang, sull’isoletta di Pingtang, al largo di Fuzhou, nel Fujian. Ad operare la demolizione il primo settembre scorso è stata la polizia locale, che - secondo fonti di AsiaNews - è giunta con dei bulldozer per abbattere l’edificio - illegale secondo la legge cinese - picchiando alcuni fedeli che volevano impedirne la distruzione. Due persone sono rimaste ferite nei tafferugli. La chiesa, terminata nel luglio 2006, con una superficie di 1000 mq; era costata 400 mila yuan, pari a circa 40 mila euro. La polizia ha anche avvertito che nei prossimi giorni distruggerà un’altra chiesa in costruzione nel vicino villaggio di Ao Qian. Negli ultimi anni, i 400 fedeli di Ao Qian, in maggioranza pescatori si sono tassati per raccogliere oltre 500 mila yuan e costruire la chiesa, che ha una superficie di 250 mq, ed è una costruzione a più piani. “I nostri fedeli – dice la fonte di AsiaNews - si sono sacrificati perfino risparmiando sul cibo, per potere costruire questa chiesa. Ma adesso il governo ignora il sangue e il sudore della povera gente e distrugge tutto. Tutto ciò è profondamente ridicolo e ci sentiamo afflitti e indignati”. La polizia giustifica queste distruzioni con “motivi di sicurezza”. La Cina permette la pratica religiosa solo in luoghi di culto registrati presso l’Ufficio affari religiosi e considera un attentato alla sicurezza la pratica in luoghi di culto illegali. Nel Fujian, vi è una forte comunità cattolica che non accetta di essere registrata per timore di dover sottostare al controllo dell’Associazione patriottica cinese, che ha lo scopo di creare una Chiesa nazionale staccata dalla Santa Sede (R.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

5 settembre 2006

 

 

- A cura di Eugenio Bonanata e Marco Guerra -

 

Ritornano gli attentati terroristici in Libano. Oggi una potente esplosione nella città di Sidone ha provocato quattro morti e diversi feriti, tra cui il colonnello Samir Shaada, un alto ufficiale dei servizi di informazione. Proprio quest’ultimo, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe l’obiettivo dell’attentato. Ma perché ora questo attentato, il primo dopo il raggiungimento del cessate il fuoco tra israeliani ed Hezbollah? Giada Aquilino lo ha chiesto a Roger Bouchahine, direttore dell’Osservatorio Geopolitico Mediorientale:

 

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R. – Possiamo inserirlo nella serie degli altri attentati avvenuti dopo l’uccisione del primo ministro Hariri e degli altri personaggi della stampa o politici, assassinati appunto nel periodo dell’anno scorso. Chiaramente può essere inserito in questa serie, come possono esserci altri motivi, che conducono a questo attentato.

 

D. – Proprio l’ufficiale dei servizi, obiettivo dell’attentato, aveva partecipato alle indagini sull’assassinio Hariri. E’ un caso che ci sia stata quest’azione, poco prima che venga presentato all’ONU il rapporto sulla morte dell’ex premier libanese?

 

R. – Forse potremo scoprirlo piano, piano nei prossimi giorni, man mano che le cose si chiariscono. Chiaramente Samir Shaada è il vice capo della sicurezza ed è a conoscenza di diversi dettagli di tutte le dinamiche, quelle non ancora presentate all’opinione pubblica. Possiamo inserire questo attentato nella situazione delicata della sicurezza, specialmente nel sud del Libano, perchè questo attentato è avvenuto nelle città dove ancora l’esercito libanese non ha in mano la sicurezza e il controllo del territorio. Questo si vede da come lui ha scambiato la macchina con le sue guardie. Era salito, infatti, nella macchina delle guardie del corpo, mentre gli uomini uccisi si trovavano nella sua macchina. Ciò vuol dire che lui sapeva o comunque era molto attento, perché nell’aria forse c’era questa possibilità di eliminarlo.

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Il segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, in visita in Egitto, ha detto che il blocco israeliano in Libano potrebbe essere revocato entro le prossime 48 ore. Da canto suo il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Marc Regev, ha precisato che Israele toglierà il blocco solo quando le autorità libanesi daranno garanzia circa la tenuta dell’embargo sulle armi dirette ad Hezbollah. Il numero uno del Palazzo di Vetro ha anche confermato di aver accettato di nominare un mediatore per facilitare il rilascio dei due soldati israeliani rapiti in Libano da Hezbollah. Infine il capo della milizia sciita libanese, Nasrallah, ha fatto sapere che Hezbollah non consegnerà le armi, ma sarà pronto a riprenderle solo in caso di una guerra con Israele.

 

Il premier israeliano Ehud Olmert incontrerà il presidente palestinese Abu Mazen subito dopo la liberazione da parte delle milizie palestinesi del caporale israeliano Noam Shalit, rapito lo scorso mese di giugno a Gaza. Sulla loro agenda ci sarà la realizzazione del Tracciato di pace. Lo ha annunciato alla radio militare il vicepremier israeliano, Shimon Peres.

 

Il Parlamento iracheno ha votato oggi per estendere di 30 giorni lo stato di emergenza in tutto il Paese, tranne che nella regione curda. Dopo l’annuncio del risultato, alcuni deputati hanno protestato contestando la validità del voto. La misura servirebbe a garantire la sicurezza e a dare maggior potere alle forze armate. Intanto, il ministro degli Esteri britannico, Margaret Beckett, è arrivata oggi a Baghdad per la sua prima missione in Iraq da quando ha assunto la guida della diplomazia britannica. La visita avviene all’indomani di nuove perdite del contingente britannico: due soldati sono stati uccisi in combattimenti nei pressi di Bassora, nell'Iraq meridionale. Infine vicino a Kirkuk, nel nord del Paese, sono stati ritrovati i resti di 80 cadaveri in due fosse comuni che risalgono alla campagna militare contro i curdi voluta da Saddam Hussein e costata la vita a decine di migliaia di persone.

 

Il giordano che ieri ad Amman ha aperto il fuoco contro un gruppo di turisti uccidendo un inglese e ferendo altri cinque stranieri ha agito da solo e non aveva alcun legame con gruppi armati: si tratta dunque di un caso isolato. E’ quanto emerso dall’inchiesta condotta dalle autorità giordane, che definiscono “rassicurante” questa evenienza. Già nel novembre scorso tre attentati dinamitardi condotti da Al Qaeda contro tre alberghi di Amman provocarono una sessantina di morti. Ma perché ancora una volta un attentato in Giordania? Roberto Piermarini lo ha chiesto a Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera:

 

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R. – E’ abbastanza facile per gruppi, o anche singoli, colpire dei turisti. Sono bersagli facili, che non hanno protezione. Moltissimi sono i turisti, in questa stagione, in Medio Oriente, e quindi si può fare un attentato con pochi rischi per chi lo compie ed avere un risultato eclatante, perchè la notizia fa subito il giro del mondo.

 

D. – Come mai ancora una volta viene colpita la Giordania?

 

R. – La Giordania ovviamente risente delle tensioni dovute al conflitto iracheno. In Giordania c’è una forte presenza irachena. Ci sono gruppi terroristici organizzati ed anche semplici individui che abbracciano teorie estremistiche. In più, la Giordania è uno degli obiettivi ormai ricorrenti nel fronte terroristico, perchè è un Paese che da una parte è molto vicino agli Stati Uniti e dall’altra è un Paese che favorisce il dialogo. Quindi, è l’obiettivo ideale, se così possiamo dire, per il terrorismo “qaedista” e, comunque, integralista.

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In Danimarca una vasta operazione anti-terrorismo ha portato all’arresto di 9 persone, pronte a portare a termine attentati terroristici. Lo ha reso noto oggi il PET, la polizia di sicurezza danese, che ha eseguito i fermi questa notte, in base alle leggi anti-terrorismo varate dopo l’11 settembre 2001. Gli arrestati erano sotto osservazione da già da diverso tempo. La Danimarca è stata al centro delle vicende delle vignette su Maometto diffuse dal quotidiano Jylland Posten, che hanno provocato violente reazioni in diversi Paesi musulmani. Il Paese è impegnato, inoltre, con le sue truppe in Iraq.   

 

L’India potrebbe essere bersaglio di attacchi terroristici nei prossimi mesi. Lo ha affermato oggi il primo ministro indiano, Manmohan Singh, che in conferenza stampa ha fatto il punto sulla strage di Mumbai, dove due mesi fa lo scoppio di otto bombe nei treni metropolitani ha provocato oltre 200 morti. Nelle mire dei terroristi ci sarebbero obiettivi religiosi, economici e anche le istallazioni nucleari. Secondo il capo del governo, che ha citato fonti di intelligence, i terroristi non sarebbero solo di matrice kashmira, ma proverrebbero anche dai gruppi separatisti del nord est e dai maoisti.

In Messico è atteso per oggi il verdetto del Tribunale federale elettorale (TEPJF) che, secondo molti analisti, proclamerà ufficialmente vincitore alle presidenziali del 2 luglio scorso, Felipe Calderon, il candidato del Partito azione nazionale (PAN). Dal canto suo il leader del Partito della rivoluzione democratica (PRD), Lopez Obrador, ha fatto sapere che non riconoscerà questa decisione ed ha convocato per il 16 settembre a Città del Messico una Convenzione democratica nazionale che potrebbe anche designare “un presidente legittimo” – cioè lui stesso - e nello stesso tempo “un governo parallelo”. La sinistra ha chiesto la rinuncia di Calderon alla presidenza, come condizione per riprendere il dialogo con il governo.

 

Il Parlamento europeo lamenta il rallentamento del processo di riforme avviato in Turchia dopo l'apertura del negoziato di adesione all’UE. Un rapporto approvato la scorsa notte dalla Commissione esteri dell'Assemblea di Strasburgo, segnala, in particolare, la mancanza di progressi significativi in tema di libertà di espressione, di religione e sull’indipendenza del sistema giudiziario. Il dossier invita inoltre il governo di Ankara a normalizzare i rapporti con Cipro e a riconoscere il genocidio degli armeni.

 

Venti di pace in Somalia. Le corti islamiche - che controllano gran parte del Paese - e il governo somalo che ha sede a Baidoa, hanno firmato un’intesa provvisoria ieri sera a Khartoum, in Sudan. Ce ne parla Giulio Albanese:

 

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L’intesa, raggiunta dopo tre giorni di discussione, prevede che le due parti concordino in tempi brevi la formazione di un esercito nazionale somalo e di una forza di polizia con l’integrazione delle milizie islamiche del governo federale di transizione e le altre milizie locali. Le parti si impegnano, inoltre, a non sostenere i signori della guerra e a non combattersi né riarmarsi. In particolare è da rilevare l’impegno a coesistere pacificamente con i Paesi dell’area e a chiedere soprattutto a livello regionale il rispetto dell’integrità territoriale della Somalia. Si tratta indubbiamente di un passo in avanti sostanziale nel negoziato. Il governo di transizione somalo e le corti islamiche hanno deciso altresì di riprendere i negoziati sulla spartizione del potere il prossimo 30 ottobre, dopo la fine del Ramadan.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Il Sudan permetterà alle truppe africane di restare nella tormentata regione occidentale del Darfur solo sotto il controllo dell'Unione Africana (UA), ed ha accusato gli Stati Uniti di cercare di operare un “cambio di regime” a Khartoum attraverso il tentato insediamento di una forza dell'ONU. Ieri il capo della missione dell’Unione Africana che controlla la fragile tregua nel Darfur, aveva ribadito che la presenza delle sue truppe nella regione sarebbe terminata il 30 settembre prossimo.

 

Nelle Università iraniane è necessaria una sorta di rivoluzione culturale islamica. Lo ha affermato oggi il presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, lamentando che il sistema accademico è stato “influenzato dal laicismo per 150 anni”. Per il leader iraniano il lavoro in questo senso è già cominciato tuttavia – ha precisato - cambiare questa atmosfera è molto difficile e “richiede uno speciale sostegno”.

 

Riformare le leggi sull’immigrazione in modo da non criminalizzare i clandestini. E’ la richiesta degli immigrati che ieri negli Stati Uniti, in coincidenza con la Festa del Lavoro, hanno manifestato in numerose località. Ripartite venerdì scorso da Chicago e proseguite sabato a Los Angeles, le manifestazioni hanno costellato tutto il lungo fine settimana. Le maggiori si sono svolte ancora a Los Angeles, a Phoenix in Arizona e a Batavia nell’Illinois.

 

Il presidente russo, Vladimir Putin, è arrivato oggi a Città del Capo, per una ‘storica’ visita nella Repubblica Sudafricana. Si tratta infatti della prima visita di un capo di Stato russo nel Paese africano. Secondo il Cremlino, l’obiettivo principale della missione, che durerà due giorni, è di rafforzare i legami economici e commerciali tra i due Paesi.

 

“Il momento più critico è stato superato. Il mio recupero avviene con un ritmo soddisfacente”. Così il presidente cubano Fidel Castro ha rassicurato i cubani dalle pagine del sito del quotidiano ufficiale del governo, “Granma”. Nel messaggio, Castro spiega che la ripresa sta procedendo bene malgrado abbia perso 19 chili. Il leader ha inoltre annunciato che riceverà “visitatori importanti” in forma privata in occasione del vertice dei non allineati, che richiamerà a Cuba, per la prossima settimana, i rappresentanti di 116 Paesi e circa 50 capi di Stato.

 

Quattro morti e due dispersi. Questo il bilancio del passaggio dell’uragano John sulla penisola della Bassa California, nel Nord-Ovest del Messico. Lo hanno reso noto ieri le autorità governative. Si sono registrati danni nella regione montagnosa di Comondu, dove le piogge hanno fatto tracimare il bacino idroelettrico di Iguagil, mentre in diversi punti della penisola circa 10mila persone sono rimaste isolate a seguito di inondazioni. Nei giorni scorsi, in previsione del passaggio dell’uragano, 5mila turisti sono stati evacuati negli Stati Uniti.

 

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