RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 248 - Testo della trasmissione di martedì 5 settembre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
4
morti in un attentato a Sidone, in Libano. Per Kofi Annan il blocco israeliano
al Paese dei Cedri potrebbe essere tolto entro 48 ore
Per
il governo giordano è un atto isolato l’attacco contro dei turisti ad Amman, in
cui ha perso la vita un cittadino britannico
5 settembre 2006
LA PASTORALE GIOVANILE PRIORITA’ PER I PRESULI
CANADESI
DELL’ONTARIO, IN QUESTI GIORNI A ROMA PER LA
VISITA AD LIMINA.
LA
TESTIMONIANZA DEL VESCOVO DI PETERBOROUGH, NICOLA DE ANGELIS
E’ in corso in questi giorni la visita ad Limina
dei vescovi canadesi dell’Ontario, guidati
dal cardinale arcivescovo di Toronto, Aloysius Matthew Ambrozic. I
presuli sono stati ricevuti ieri da Benedetto XVI, che li incontrerà nuovamente
nel corso della settimana. La visita
dei vescovi dell’Ontario segue l’incontro del Papa con i presuli canadesi della
regione dell’Atlantico, del maggio scorso. Per conoscere meglio la realtà della
Chiesa canadese e il significato di questa visita ad Limina, Alessandro
Gisotti ha intervistato il vescovo di Peterborough, Nicola
De Angelis:
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R. – Per noi significa rinnovare la nostra fedeltà a
Pietro, la nostra lealtà e il nostro lavorare insieme, sotto le direttive del
Pontefice. Questo è rafforzato dalle varie visite ai dicasteri, dove stiamo
toccando con mano il grosso lavoro pastorale universale, che sotto la guida del
Sommo Pontefice avviene giorno dopo giorno.
D. – Quali sono le urgenze, a livello di attività
pastorale, nella sua diocesi e più ampiamente nella regione dell’Ontario?
R. – Penso che, per noi tutti, l’urgenza principale sia quella
della gioventù. Sulla scia di Giovanni Paolo II, che ha ‘movimentato’ tutti i
giovani del mondo, che li ha fatti innamorare della Chiesa e di Cristo, penso
che la sfida per qualsiasi vescovo, ed anche per me, nella diocesi di Peterborough, a fianco di Toronto, sia quella
di dedicare più attenzione ai giovani. Nella mia diocesi vedo chiaramente una
vitalità nuova che si sta sviluppando. Circa 150, 200 giovani dalla nostra
piccola diocesi sono andati ad incontrare per la prima volta il Santo Padre a Colonia,
in Germania, e sono tornati pieni di zelo, di fervore. Questo zelo e questo
fervore quasi diventano contagiosi. Nell’Università di Peterborough, che è molto secolarizzata, si è
fondato spontaneamente un gruppo di giovani universitari, una trentina circa
per adesso, che si sono dati il nome di “Counsel of Trent”. Quindi, credo che
l’urgenza principale per ogni vescovo sia di continuare a fare attenzione ai
giovani, a seguirli, accompagnarli. Saranno loro la Chiesa di oggi e soprattutto
di domani!
D. – Qual è la nuova energia che un vescovo acquisisce
nell’incontrare il Successore di Pietro e come trasmetterla ai fedeli?
R. – Prima di tutto penserò di trasmetterla al clero, ai
sacerdoti. Proprio a fine settembre, ottobre, abbiamo i cosiddetti Decanati,
nei quali ci raduniamo in quattro gruppi. Con loro ripercorrerò le varie tappe:
le visite ai dicasteri, l’arricchimento che abbiamo visto, toccato e
testimoniato. Le comunicheremo ai sacerdoti, i quali a loro volta ne parleranno
ai loro fedeli. Man mano che io continuerò nelle mie visite pastorali, non
mancherò di portare all’attenzione dei fedeli questa grande dimensione di
Chiesa universale, che parla una lingua sola. Non c’è una Chiesa canadese, una
italiana, una americana. C’è la Chiesa universale cattolica, che esprime nelle
varie culture l’insegnamento di Cristo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il Medio Oriente: mediazione
di Annan tra Israele ed Hezbollah per ottenere la liberazione dei soldati rapiti
dai miliziani islamici.
Servizio vaticano - Tre pagine dedicate al prossimo
viaggio apostolico di Benedetto XVI in Germania.
Servizio estero - Iraq: scoperte vicino a Kirkuk
due fosse comuni con i resti di ottanta persone.
Servizio culturale - Un articolo di Susanna
Paparatti dal titolo "Icone provenienti dai Kremlini della Russia antica
esposte in una mostra itinerante in Calabria": nella tradizione pittorica
di un popolo il veicolo di una teologia dell'immagine.
Per la rubrica dell'”Osservatore libri” un articolo
di Franco Lanza dal titolo "La fase 'leonardesca' dell'itinerario di
'Gianfalco'": "Il non finito. Diaro 1900 e scritti giovanili" di
Giovanni Papini.
Servizio italiano - In rilievo il tema della
finanziaria.
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5 settembre 2006
DA
VENT’ANNI, LO SPIRITO DI ASSISI E’ UN’OASI DI DIALOGO TRA LE RELIGIONI
CONTRO
OGNI GUERRA DI CIVILTA’: IL PENSIERO DEL VESCOVO VINCENZO
PAGLIA
SUL
MEETING “UOMINI E RELIGIONI” CHE SI CONCLUDE OGGI,
CON UN
PENSIERO ALL’11 SETTEMBRE 2001
-
Intervista con il presule -
Il ricordo degli attentati a New York e Washington dell’11
settembre 2001 sono stati al centro di molti degli interventi susseguitisi
questa mattina durante le tavole rotonde dell’Incontro “Uomini e religioni” in
corso ad Assisi. Ma al tradizionale appuntamento interreligioso organizzato
dalla Comunità di Sant’Egidio, che terminerà stasera, si è parlato oggi, tra
l’altro, anche di globalizzazione e di dialogo con l’Asia. Il punto della
giornata nelle parole della nostra inviata ad Assisi, Francesca Sabatinelli.
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Ad Assisi oggi si vive la preoccupazione di uno scenario
mondiale, fatto di tensioni molto più complesse di quanto lo fossero ai tempi
della Guerra Fredda, quando Giovanni Paolo II convocò qui la grande preghiera
per la pace. Fu una grande intuizione quella dello spirito di Assisi, fondato e
rilanciato da Benedetto XVI che, nel
messaggio inviato a “Uomini e religioni”, ha espresso le problematiche
dell’oggi. Andrea Riccardi nella conferenza stampa di chiusura descrive in
questo modo la soddisfazione di tutta la comunità di Sant’Egidio per il
ripetersi di questi appuntamenti che, ad oggi – spiega – non hanno ancora perso
il loro profondo significato. Da Assisi si rilancia la necessità di pregare gli
uni accanto agli altri e oggi quanto mai prima di alimentare il dialogo con i
laici umanisti. Si è fortemente respirato in questi due giorni il ricordo del
Papa polacco che nel 1986 sfidò le diffidenze tra le religioni, chiamandole ad
unirsi in una preghiera alla quale – lungo questi anni, si è unito anche il
dialogo testimoniato dalla presenza di ortodossi, ebrei, musulmani, che hanno
ricordato la forte stretta di mano di Papa Giovanni Paolo II e il suo impegno
perché si sviluppasse il concetto di globalizzazione della solidarietà, perché
si capisse che nella religione non ci sono frontiere.
In questi anni gli incontri si sono trovati stretti tra
gravissimi episodi di violenza, come l’11 settembre, ed oggi sullo sfondo c’è
la grande preoccupazione per il Medio Oriente e il dopo-Libano, che qui hanno
portato al dialogo, ma anche a dichiarazioni dure come quelle del rabbino capo
di Haifa, “religione ed impegno religioso sono la radice e la ragione dei
conflitti che segnano il Medio Oriente”. Cohen ha attaccato l’Islam fondamentalista,
“fonte di ispirazione per molti guerrieri e terroristi. Israele – ha detto – ha
adempiuto a tutti i suoi impegni, ma Hezbollah ha il desiderio di distruggerla
e di far tornare la Terra Santa sotto la legge islamica”. Anche per lui,
comunque, religione e fede, pur alla radice del problema, offrono la via alla
soluzione del problema. Anche lui si dice fiducioso che lo spirito di Assisi
possa essere segno dei giorni a venire.
Questa sera la conclusione con la lettura e la firma
dell’appello di pace da parte di tutti i leader religiosi. Il prossimo
appuntamento sarà a Napoli, perché – ha concluso Riccardi – il Mediterraneo è
fondamentale per tutte e tre le religioni.
Da Assisi, Francesca Sabatinelli, Radio Vaticana.
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Il primo incontro di Assisi rappresentò per il mondo della
Guerra Fredda “una grande speranza, l’immagine di una possibilità”: quella
della pace raggiunta attraverso il dialogo delle religioni e delle culture. E’
una ferma convinzione del vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, che
visse in prima persona l’appuntamento di Giovanni Paolo II del 1986, seguendo
poi da vicino l’esperienza dell’incontro “Uomini e religioni”. Vent’anni più
tardi, afferma mons. Paglia, lo “spirito di Assisi” è tutt’altro che spento o
passato di moda, né sussistono dubbi di tipo sincretistico, secondo quanto
affermato da Benedetto XVI nel suo Messaggio al meeting. Ascoltiamo il presule,
nell’intervista dei nostri inviati ad Assisi, Francesca Sabatinelli e Fabio
Colagrande:
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R. – Tornare qui dopo 20 anni è per me pieno di emozioni.
Quel giorno dell’86, tutti sognammo la pace. In quel giorno, le guerriglie del
mondo tacquero, uomini che non si erano mai visti insieme si ritrovarono.
Ricordiamo che c’era ancora la Guerra fredda, la paura della guerra nucleare, e
ben più solido era il Muro di Berlino di un semplice muro di mattoni. Quel
giorno significò per noi una grande speranza, l’immagine di una possibilità. E
in effetti da allora ad oggi è cambiato il mondo. Dopo pochi anni, cadde il
Muro di Berlino: ricordo che una sera ne parlai con Giovanni Paolo II e ci
dicemmo: “Perché non pensare che la preghiera dall’86 all’89 non ha provocato
anche questo crollo? Chi può dire di no?”. Certamente, ci sono elementi per dire
di sì. Ricordo, infatti, che due mesi prima del crollo - il 1° settembre
dell’89, quando ci ritrovammo tutti a Varsavia per ricordare con l’incontro di
Assisi il 50.mo anniversario della II Guerra Mondiale, che iniziò il 1° settembre
in Polonia - andammo per la prima volta ad Auschwitz e lì
si incontrarono insieme i cristiani
per deporre un’unica corona. Devo dire che ci venne in mente di augurare, nel
documento finale, la caduta del Muro di Berlino, non lo facemmo proprio perché
avevamo poco fede. Lo cancellammo e proprio due mesi dopo, quando cadde il
Muro, ci sembrò ovviamente la realizzazione di un sogno. Il mondo, in effetti,
cambiò e negli anni Novanta molte realizzazioni di pace si ebbero: l’apartheid in Sudafrica fu sconfitta, la
pace in Mozambico fu firmata, vennero i Trattati di Oslo e si cominciò a sperare
per la Palestina. Poi, dopo pochi anni, il mondo scelse ancora le armi e ricominciarono
ad esplodere conflitti da tutte le parti. Esplose la Guerra dei Balcani e
Giovanni Paolo II tornò ad Assisi nel ’92. Poi, con l’11 settembre 2001 il
mondo cambia nuovamente e Giovanni Paolo II torna nuovamente ad Assisi,
continuando quell’itinerario che la comunità di Sant’Egidio aveva accolto e
proseguito ogni anno. Adesso torniamo qui, ma non per ripetere una cerimonia,
quanto per ridare vigore a questo evento, che va ripetuto, perché le cose vere
vanno ripetute. Ripetiamo questo incontro, perché abbiamo capito che è efficace.
D. – Quindi, mons. Paglia, questa è anche la risposta a chi da tempo dice
che forse gli incontri promossi da Sant’Egidio dovrebbero trovare una scadenza,
che hanno già detto tanto in 20 anni. Questa è quindi la risposta, bisogna
continuare?
R. – Io credo che sia non solo necessario, ma che sia un obbligo
continuare. E questo proprio perché in passato c’era il mondo diviso in due,
oggi c’è il cosiddetto conflitto di civiltà, e proprio per questo è necessario
proporre l’incontro tra le civiltà. Se qualcuno ha pensato che lo spirito di
Assisi significasse sincretismo, ha proprio capito male, anzi lo ha tradito lo
spirito di Assisi, tradisce il dialogo per trasformarlo in monologo. Lo spirito
di Assisi significa che dobbiamo tutti approfondire la propria identità, perché
solo così è possibile trarre fuori dalla propria fede e dal proprio credo
quelle energie spirituali che allontanano la religione dalla guerra, evitano
ogni fondamentalismo e fanno crescere quelle energie nascoste nel cuore di ogni
credo che sono energie di pace, energie d’amore, che hanno la loro scintilla
che viene da Dio. Ecco perché l’incontro di Assisi è l’opposto del sincretismo,
l’opposto di una impossibile comunque religione comune e per dire a tutti noi
che la nostra vocazione è quella di incontrarci per costruire un futuro comune
per l’intera famiglia umana.
D. – Accanto alla sfida del dialogo interreligioso sembra oggi però
accostarsi e a volte sovrapporsi una altra sfida, quella del dialogo tra chi
crede e chi non crede. Questi incontri possono dare una risposta a questa nuova
sfida?
R. – Vent’anni fa questa prospettiva non c’era. In effetti, questo
dialogo è nato proprio dalla continuazione di questo spirito. Man mano che
questo dialogo andava avanti, noi ci siamo sentiti come obbligati de facto ad
accogliere in questo pellegrinaggio anche quelli che noi oggi possiamo chiamare
i non credenti che cercano una prospettiva di pace. Dal decimo incontro, se non
sbaglio, abbiamo accolto in questo itinerario anche i non credenti ed è stata
una scoperta straordinaria, perché ha mostrato che ragione e fede non solo non
si scontrano, ma hanno bisogno l’una dell’altra. Una religione senza ragione
diventa new age, diventa
intolleranza, diventa fondamentalismo, ma anche una ragione privata del senso
del mistero diventa, anch’essa, intolleranza, fondamentalismo e rischia di mettere
al posto di Dio se stessa.
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Ricordiamo che la nostra emittente seguirà in radiocronaca
diretta la cerimonia finale dell’Incontro interreligioso “Uomini e religioni”
da Piazza S. Francesco in Assisi, con inizio alle ore 19.20 e commento in italiano
per la zona di Roma sull’onda media di 585 kHz e sulla modulazione di frequenza
di 105 MHz.
IL
CAPITOLO GENERALE DELL’ORDINE DEI CAPPUCCINI HA ELETTO
LO
SVIZZERO PADRE MAURO JÖHRI NUOVO MINISTRO GENERALE.
AI
MICROFONI DELLA RADIO VATICANA, PADRE JÖHRI SI SOFFERMA
SULLE SFIDE PIU’ URGENTI PER I CAPPUCCINI,
ALL’ALBA DEL TERZO MILLENNIO
Il
Capitolo generale dell’Ordine dei Cappuccini, riunito a Roma fino al 17
settembre, ha eletto padre Mauro Jöhri, provinciale della Provincia cappuccina
di Svizzera, nuovo Ministro generale. Padre Mauro succede al canadese John Corriveau,
che ha guidato l’Ordine per 12 anni. Il nuovo Ministro generale ha
cinquantanove anni. Entrato nel noviziato dei cappuccini nel 1964, è stato
ordinato nel 1972. Ha insegnato dogmatica e teologia fondamentale alla Facoltà
teologica di Coira e, per alcuni anni, è stato professore incaricato nella
Facoltà teologica di Lugano. Il Capitolo generale che ha eletto padre Jöhri riunisce
174 capitolari che rappresentano gli 11.000 cappuccini di tutto il mondo. Al
microfono di Alessandro Gisotti, il nuovo Ministro generale racconta con quale
spirito abbia assunto l’incarico:
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R. – Certamente con molto tremore, con il senso di stare
davanti ad una sfida molto grande, perché io ho una certa conoscenza
dell’Ordine, ma quando si entra poi nel dettaglio, il cammino si rivela
piuttosto difficile. E’ un cammino difficile, ma è un servizio che mi viene
chiesto, che mi chiede di metterci il cuore anzitutto, il mio amore per la vita
religiosa, il mio amore per l’Ordine dei Cappuccini. E poi serviranno capacità
di collaborazione. Verrà eletto, infatti, anche un Consiglio che lavorerà a
stretto contatto con me.
D. - Quali sono le sfide più urgenti per i Cappuccini,
anche alla luce di quanto sta emergendo nel Capitolo generale in corso a Roma?
R. – Una delle prime sfide è certamente quella di
consolidare il lavoro fatto nei dodici anni in cui è stato fra John Corriveau a
guidare l’Ordine. Abbiamo insistito moltissimo sulla vita fraterna, come caratteristica,
come cuore del nostro carisma. Come bisogno di concretezza per la solidarietà
fraterna è nata l’esigenza di ridistribuire bene i mezzi, in maniera tale che
anche le circoscrizioni del sud del mondo possano avere, non solo il sufficiente,
ma anche tutto ciò che è necessario per promuovere il cammino formativo dei
giovani che bussano alle nostre porte. Questo è un discorso che va
assolutamente consolidato. E’ un discorso che ha anche un rigore, con il quale
si fanno preventivi e consuntivi. C’è molta concretezza in questo, ma bisogna
fare ancora dei passi per raggiungerlo ovunque. Un’altra sfida è quella secondo
la quale il singolo, nella vita fraterna, debba vivere con intensità la sua
vita spirituale, il suo stare dinanzi a Dio. Quindi, vogliamo prendere e
approfondire tutto l’aspetto della preghiera, della contemplazione.
D. – Benedetto XVI, nel messaggio per l’incontro di
Assisi, ha ricordato l’ottavo centenario della conversione di San Francesco,
sottolineando la sua scelta radicale di povertà. Come testimoniare oggi quella
scelta?
R. – Per noi la scelta di povertà è prima di tutto una
scelta di vivere con mezzi semplici, condividendoli tra i frati, prima di
tutto, perché le possibilità dei frati che vivono nell’emisfero nord e
nell’emisfero sud non sono le stesse. E dall’altra parte, facendo una scelta di
povertà in minorità, una minorità che ci avvicina ai minori in quanto tali. Il
fatto di essere vicini, di condividere, di far strada a chi è in situazioni di
bisogno, è per me un risvolto della povertà che va vissuto oggi.
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IL
MONDO DEL CALCIO PIANGE LA SCOMPARSA DI GIACINTO FACCHETTI.
DOMANI
POMERIGGIO I FUNERALI NELLA BASILICA DI S. AMBROGIO A
MILANO
-
Servizio di Giancarlo La Vella -
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(musica)
Saranno in molti a portare
l’ultimo saluto a Giacinto Facchetti. Lo dimostra l’insistenza con la quale
tantissime persone hanno chiesto data, ora e luogo dei funerali del “campione
gentiluomo”. Terzino e capitano, tra gli anni ’60 e ’70, della Nazionale
italiana, campione d’Europa e vicecampione del mondo, e della “grande Inter” di
Herrera e Moratti, Facchetti anche oggi era l’emblema della compagine
nero-azzurra: il nuovo corso della società lo aveva voluto dal 2004 alla guida
come presidente. Il “capitano dei capitani” – come molti lo definivano – che
aveva 64 anni – spiccava per doti morali nel calcio odierno degli
scandali. Un male incurabile lo ha
strappato a quanti lo amavano. Numerose le manifestazioni commosse di cordoglio, tra le
quali quella del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano:
“Facchetti resta un esempio per le nuove generazioni – ha sottolineato il capo
dello Stato – per l’attaccamento ai valori della lealtà e dell’agonismo che ne
hanno fatto un grande campione e manager”. Mons. Carlo Mazza, responsabile
dell’Ufficio Sport e Tempo Libero della CEI lo conobbe. Ascoltiamo un suo ricordo:
R. - Il ricordo di Facchetti è commovente, è
un ricordo che richiama i grandi valori dello sport ma in particolare i grandi
valori dell’uomo di sport. Io sono stato molto ammirato per la sua pacatezza,
dal modo in cui sapeva affrontare i problemi con grande eleganza, con grande
intelligenza della realtà, senza offendere mai nessuno. Nello sport di oggi c’è
bisogno di questo modello; io vorrei proprio che Facchetti diventasse un po’ il
riferimento per tutti i ragazzi e per tutti i giovani se vogliono affrontare la
carriera sportiva in modo serio e adeguato ai grandi valori dell’uomo.
Ascoltiamo anche Gianni Rivera, che fu, allo
stesso tempo, suo compagno di squadra in Nazionale e avversario come capitano
del Milan:
R. – Avevamo intanto un grande rapporto
personale che è proseguito anche quando abbiamo smesso entrambi di giocare. Poi
avevamo un buon rapporto anche come “avversari”, un grande rispetto reciproco;
era riconosciuta da tutti questa sua qualità, questa sua forza morale, questa
sua serietà, preparazione, attenzione. Se ne va proprio nel momento in cui c’è
bisogno di grande certezze, di valori, di rispetto di regole, di rispetto di
tutto.
(musica)
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FESTIVAL
DEL CINEMA DI VENEZIA:
CONSEGNATO
AL REGISTA CINESE ZHANG YUAN IL PREMIO ROBERT BRESSON
-
Interviste con mons. John Foley e Zhang Yuan -
E’ stato consegnato questa mattina al regista cinese Zhang
Yuan, nell’ambito della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di
Venezia, il Premio Robert Bresson, assegnato dai Pontifici Consigli delle
Comunicazioni Sociali e della Cultura insieme all’Ente dello Spettacolo e
giunto alla sua settima edizione. Dopo avere giustamente premiato l’opera di
altri famosi maestri del cinema internazionale quali Zanussi, De Oliveira, Angelopoulos
e Wenders, quest’anno il premio, consegnato da mons. John P. Foley, ha voluto
riconoscere la grande vitalità del cinema asiatico. Il servizio di Luca
Pellegrini.
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E’ il settimo anno che
“Penso che sia un ponte per la comunicazione e un ponte
culturale, per questo il nostro Consiglio se ne occupa. Questi due aspetti sono
molto importanti, soprattutto il riconoscere la qualità, la validità del lavoro
del regista Zhang Yuan. Io sono molto felice di essere presente e di presentare
questo premio e penso che questo riconoscimento del lavoro di un regista cinese
sarà molto importante per l’industria del cinema in Cina”.
Zhang Yuan, questo è per lei un premio che non solo
riconosce la sua opera, ma racchiude un valore che si estende oltre l’arte
cinematografica, in questo preciso momento storico nel quale
R. - (Parole cinesi)
Trovo che oggi sia una giornata particolarmente felice per
me. Mons. Foley viene da Roma appositamente per consegnarmi questo premio del
Vaticano, un premio che non soltanto mi dà un onore personale, ma penso abbia
un valore universale. Il Vaticano è uno Stato, che ha una cultura molto
influente sull’intera umanità e la Cina conta più di un miliardo di persone.
Nonostante questo dato di fatto, i due Stati non hanno relazioni diplomatiche.
Spero che su di me cada questo primo mattone di un ponte che colleghi entrambe
le culture. Questo è il senso nel premio, che trovo più grande.
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5 settembre 2006
NOVE
ANNI FA,
A
CALCUTTA, DOVE RIPOSANO LE SPOGLIE DELLA FONDATRICE DELLE MISSIONARIE
DELLA
CARITA’. OGGI L’ARCIVESCOVO DELLA METROPOLI INDIANA
HA CELEBRATO UNA MESSA IN MEMORIA DELLA
PICCOLA SUORA DEDICATA
“AI
PIU’ POVERI TRA I POVERI”, PREMIO NOBEL PER
PROCLAMATA
BEATA DA GIOVANNI PAOLO II IL 19 OTTOBRE 2003
- A
cura di Roberta Gisotti -
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CALCUTTA. = Madre Teresa è un “potente avvocato per tutti
noi di fronte a Dio, non dobbiamo scoraggiarci di fronte ad avvenimenti e
situazioni che ci contrastano”. Cosi suor Nirmala Joshi, oggi alla guida delle
Missionarie della carità, nella ricorrenza della morte della Beata, “un giorno
di gioia ed una grande festa”, per tutti “una chiamata, un invito a divenire
santi”. “Ora aspettiamo - ha aggiunto – con ansia e speranza il giorno della
sua canonizzazione”. In memoria di Madre Teresa si è celebrata oggi, a
Calcutta, presieduta dall’arcivescovo della metropoli indiana, Lucas Sirkar, una
Santa Messa nella Mother House, dove riposano le spoglie della Beata Teresa.
Intanto nella città di Ahmadabad, dove sono frequenti le tensioni
interreligiose, stamane i cittadini di ogni fede hanno reso omaggio a chi ha
saputo donare la sua vita “ai più poveri tra i poveri” di fronte alla statua di
bronzo che le è stata dedicata. Suor Nirmala, interpellata dall’Agenzia
AsiaNews sulla crescita del nazionalismo religioso in India e sui recenti
attacchi di estremisti indù ad alcune suore e così anche sulle leggi
anticonversione, ha ricordato che “Madre Teresa rispettava le persone di tutte
le fedi e la devozione nei suoi confronti supera le identità religiose. E
“questo – ha concluso - è anche un richiamo per ognuno di noi a riscoprire la
nostra dignità di esseri umani, come figli di Dio”. Ed è bello ricordare come
Madre Teresa si presentava al mondo: “Sono
albanese di sangue, indiana di cittadinanza. Per quel che attiene alla mia
fede, sono una suora cattolica. Secondo la mia vocazione, appartengo al mondo.
Ma per quanto riguarda il mio cuore, appartengo interamente al Cuore di Gesù”.
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I
VESCOVI DELLA BOLIVIA AMMONISCONO SUI RISCHI DI UNA CRISI PROLUNGATA
NELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE, I CUI LAVORI A SUCRE
SONO “PARALIZZATI” DA CIRCA UN MESE, A CAUSA DEI FORTI SCONTRI POLITICI TRA IL
PRESIDENTE MORALES
E ’OPPOSIZIONE.
OCCORRE INVECE RITORNARE “AL DIALOGO E AL CONSENSO VERO”,
SOLLECITANO
I PRESULI IN UNA NOTA PUBBLICATA SUL SITO INTERNET
DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE BOLIVIANA
- A
cura di Luis A. Badilla Morales -
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LA PAZ. = “Ciò che sta succedendo nell'Assemblea
costituente deve preoccupare tutti i boliviani”, ammoniscono i vescovi del
Paese latinoamericano. In una nota pubblicata sul sito Internet della
Conferenza episcopale della Bolivia, si fa riferimento agli ultimi duri scontri
politici che, in sostanza, paralizzano l’Assemblea da un mese. La totale
mancanza d’accordo sul Regolamento dei lavori ha portato, venerdì scorso, 100
costituenti ad abbandonare la sede dei lavori che si svolgono nella città di
Sucre. L'opposizione boliviana accusa il presidente Evo Morales di “autogolpe”,
per i suoi tentativi di forzare l'Assemblea costituente ad approvare le sue
proposte con la maggioranza semplice invece che dei due terzi, quorum che Evo
Morales non raggiunge. “L’assemblea è ferita a morte, sarà difficile portare
avanti i lavori in queste condizioni”, ha dichiarato il leader dell'Unione nazionale
a cui ha fatto eco Guillermo Richter, membro dell'Assemblea per il Movimiento nacionalista
revolucionario. Da parte sua, il presidente boliviano accusa l'opposizione di
''cospirazione'' per far sì che
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NAIROBI. = “
GRAVE
ATTO CONTRO
LA
DEMOLIZIONE DI UN'ALTRA IN UN VICINO VILLAGGIO,
CONSIDERATE
ENTRAMBE LUOGHI DI CULTO ILLEGALI
PECHINO. = Distrutta in Cina, una chiesa cattolica nel
villaggio di Yutouchang, sull’isoletta di Pingtang, al largo di Fuzhou, nel
Fujian. Ad operare la demolizione il primo settembre scorso è stata la polizia
locale, che - secondo fonti di AsiaNews
- è giunta con dei bulldozer per abbattere l’edificio - illegale secondo la
legge cinese - picchiando alcuni fedeli che volevano impedirne la distruzione.
Due persone sono rimaste ferite nei tafferugli. La chiesa, terminata nel luglio
2006, con una superficie di 1000 mq; era costata 400 mila yuan, pari a circa 40
mila euro. La polizia ha anche avvertito che nei prossimi giorni distruggerà
un’altra chiesa in costruzione nel vicino villaggio di Ao Qian. Negli ultimi
anni, i 400 fedeli di Ao Qian, in maggioranza pescatori si sono tassati per
raccogliere oltre 500 mila yuan e costruire la chiesa, che ha una superficie di
250 mq, ed è una costruzione a più piani. “I nostri fedeli – dice la fonte di AsiaNews - si sono sacrificati
perfino risparmiando sul cibo, per potere costruire questa chiesa. Ma adesso il
governo ignora il sangue e il sudore della povera gente e distrugge tutto.
Tutto ciò è profondamente ridicolo e ci sentiamo afflitti e indignati”. La
polizia giustifica queste distruzioni con “motivi di sicurezza”.
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5 settembre 2006
- A cura di Eugenio Bonanata e Marco Guerra
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Ritornano gli attentati terroristici in Libano. Oggi una
potente esplosione nella città di Sidone ha provocato quattro morti e diversi
feriti, tra cui il colonnello Samir Shaada, un alto ufficiale dei servizi di
informazione. Proprio quest’ultimo, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe
l’obiettivo dell’attentato. Ma perché ora questo attentato, il primo dopo il raggiungimento
del cessate il fuoco tra israeliani ed Hezbollah? Giada Aquilino lo ha chiesto
a Roger Bouchahine, direttore dell’Osservatorio Geopolitico Mediorientale:
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R. – Possiamo inserirlo nella serie degli altri attentati
avvenuti dopo l’uccisione del primo ministro Hariri e degli altri personaggi
della stampa o politici, assassinati appunto nel periodo dell’anno scorso.
Chiaramente può essere inserito in questa serie, come possono esserci altri
motivi, che conducono a questo attentato.
D. – Proprio l’ufficiale dei servizi, obiettivo
dell’attentato, aveva partecipato alle indagini sull’assassinio Hariri. E’ un
caso che ci sia stata quest’azione, poco prima che venga presentato all’ONU il
rapporto sulla morte dell’ex premier libanese?
R. – Forse potremo scoprirlo piano, piano nei prossimi
giorni, man mano che le cose si chiariscono. Chiaramente Samir Shaada è il vice
capo della sicurezza ed è a conoscenza di diversi dettagli di tutte le
dinamiche, quelle non ancora presentate all’opinione pubblica. Possiamo
inserire questo attentato nella situazione delicata della sicurezza, specialmente
nel sud del Libano, perchè questo attentato è avvenuto nelle città dove ancora
l’esercito libanese non ha in mano la sicurezza e il controllo del territorio.
Questo si vede da come lui ha scambiato la macchina con le sue guardie. Era
salito, infatti, nella macchina delle guardie del corpo, mentre gli uomini
uccisi si trovavano nella sua macchina. Ciò vuol dire che lui sapeva o comunque
era molto attento, perché nell’aria forse c’era questa possibilità di
eliminarlo.
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Il segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, in visita in
Egitto, ha detto che il blocco israeliano in Libano potrebbe essere revocato
entro le prossime 48 ore. Da canto suo il portavoce del ministero degli Esteri
israeliano, Marc Regev, ha precisato che Israele toglierà il blocco solo quando
le autorità libanesi daranno garanzia circa la tenuta dell’embargo sulle armi
dirette ad Hezbollah. Il numero uno del Palazzo di Vetro ha anche confermato di
aver accettato di nominare un mediatore per facilitare il rilascio dei due
soldati israeliani rapiti in Libano da Hezbollah. Infine il capo della milizia
sciita libanese, Nasrallah, ha fatto sapere che Hezbollah non consegnerà le
armi, ma sarà pronto a riprenderle solo in caso di una guerra con Israele.
Il premier israeliano Ehud Olmert incontrerà il presidente
palestinese Abu Mazen subito dopo la liberazione da parte delle milizie
palestinesi del caporale israeliano Noam Shalit, rapito lo scorso mese di
giugno a Gaza. Sulla loro agenda ci sarà la realizzazione del Tracciato di
pace. Lo ha annunciato alla radio militare il vicepremier israeliano, Shimon
Peres.
Il Parlamento iracheno ha votato oggi per estendere di 30
giorni lo stato di emergenza in tutto il Paese, tranne che nella regione curda.
Dopo l’annuncio del risultato, alcuni deputati hanno protestato contestando la
validità del voto. La misura servirebbe a garantire la sicurezza e a dare
maggior potere alle forze armate. Intanto, il ministro degli Esteri britannico,
Margaret Beckett, è arrivata oggi a Baghdad per la sua prima missione in Iraq
da quando ha assunto la guida della diplomazia britannica. La visita avviene
all’indomani di nuove perdite del contingente britannico: due soldati sono
stati uccisi in combattimenti nei pressi di Bassora, nell'Iraq meridionale.
Infine vicino a Kirkuk, nel nord del Paese, sono stati ritrovati i resti di 80
cadaveri in due fosse comuni che risalgono alla campagna militare contro i
curdi voluta da Saddam Hussein e costata la vita a decine di migliaia di
persone.
Il giordano che ieri ad Amman ha aperto il fuoco contro un
gruppo di turisti uccidendo un inglese e ferendo altri cinque stranieri ha
agito da solo e non aveva alcun legame con gruppi armati: si tratta dunque di
un caso isolato. E’ quanto emerso dall’inchiesta condotta dalle autorità
giordane, che definiscono “rassicurante” questa evenienza. Già nel novembre
scorso tre attentati dinamitardi condotti da Al Qaeda contro tre alberghi di Amman
provocarono una sessantina di morti. Ma perché ancora una volta un attentato in
Giordania? Roberto Piermarini lo ha chiesto a Guido Olimpio, esperto di
terrorismo del Corriere della Sera:
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R. – E’ abbastanza facile per gruppi, o anche singoli,
colpire dei turisti. Sono bersagli facili, che non hanno protezione. Moltissimi
sono i turisti, in questa stagione, in Medio Oriente, e quindi si può fare un
attentato con pochi rischi per chi lo compie ed avere un risultato eclatante,
perchè la notizia fa subito il giro del mondo.
D. – Come mai ancora una volta viene colpita la Giordania?
R. – La Giordania ovviamente risente delle tensioni dovute
al conflitto iracheno. In Giordania c’è una forte presenza irachena. Ci sono
gruppi terroristici organizzati ed anche semplici individui che abbracciano
teorie estremistiche. In più, la Giordania è uno degli obiettivi ormai
ricorrenti nel fronte terroristico, perchè è un Paese che da una parte è molto
vicino agli Stati Uniti e dall’altra è un Paese che favorisce il dialogo.
Quindi, è l’obiettivo ideale, se così possiamo dire, per il terrorismo
“qaedista” e, comunque, integralista.
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In Danimarca una vasta operazione anti-terrorismo ha
portato all’arresto di 9 persone, pronte a portare a termine attentati
terroristici. Lo ha reso noto oggi il PET, la polizia di sicurezza danese, che
ha eseguito i fermi questa notte, in base alle leggi anti-terrorismo varate
dopo l’11 settembre 2001. Gli arrestati erano sotto osservazione da già da
diverso tempo. La Danimarca è stata al centro delle vicende delle vignette su
Maometto diffuse dal quotidiano Jylland Posten, che hanno provocato violente
reazioni in diversi Paesi musulmani. Il Paese è impegnato, inoltre, con le sue
truppe in Iraq.
L’India potrebbe essere bersaglio di attacchi terroristici
nei prossimi mesi. Lo ha affermato oggi il primo ministro indiano, Manmohan
Singh, che in conferenza stampa ha fatto il punto sulla strage di Mumbai, dove
due mesi fa lo scoppio di otto bombe nei treni metropolitani ha provocato oltre
200 morti. Nelle mire dei terroristi ci sarebbero obiettivi religiosi,
economici e anche le istallazioni nucleari. Secondo il capo del governo, che ha
citato fonti di intelligence, i terroristi non sarebbero solo di matrice
kashmira, ma proverrebbero anche dai gruppi separatisti del nord est e dai
maoisti.
In Messico è atteso per oggi il verdetto del Tribunale
federale elettorale (TEPJF) che, secondo molti analisti, proclamerà
ufficialmente vincitore alle presidenziali del 2 luglio scorso, Felipe
Calderon, il candidato del Partito azione nazionale (PAN). Dal canto suo il
leader del Partito della rivoluzione democratica (PRD), Lopez Obrador, ha fatto
sapere che non riconoscerà questa decisione ed ha convocato per il 16 settembre
a Città del Messico una Convenzione democratica nazionale che potrebbe anche
designare “un presidente legittimo” – cioè lui stesso - e nello stesso tempo
“un governo parallelo”. La sinistra ha chiesto la rinuncia di Calderon alla
presidenza, come condizione per riprendere il dialogo con il governo.
Il Parlamento europeo lamenta il rallentamento del
processo di riforme avviato in Turchia dopo l'apertura del negoziato di
adesione all’UE. Un rapporto approvato la scorsa notte dalla Commissione esteri
dell'Assemblea di Strasburgo, segnala, in particolare, la mancanza di progressi
significativi in tema di libertà di espressione, di religione e
sull’indipendenza del sistema giudiziario. Il dossier invita inoltre il governo
di Ankara a normalizzare i rapporti con Cipro e a riconoscere il genocidio
degli armeni.
Venti di pace in Somalia. Le corti islamiche - che
controllano gran parte del Paese - e il governo somalo che ha sede a Baidoa,
hanno firmato un’intesa provvisoria ieri sera a Khartoum, in Sudan. Ce ne parla
Giulio Albanese:
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L’intesa, raggiunta dopo tre giorni di discussione,
prevede che le due parti concordino in tempi brevi la formazione di un esercito
nazionale somalo e di una forza di polizia con l’integrazione delle milizie
islamiche del governo federale di transizione e le altre milizie locali. Le
parti si impegnano, inoltre, a non sostenere i signori della guerra e a non combattersi né riarmarsi. In
particolare è da rilevare l’impegno a coesistere pacificamente con i Paesi
dell’area e a chiedere soprattutto a livello regionale il rispetto
dell’integrità territoriale della Somalia. Si tratta indubbiamente di un passo
in avanti sostanziale nel negoziato. Il governo di transizione somalo e le
corti islamiche hanno deciso altresì di riprendere i negoziati sulla
spartizione del potere il prossimo 30 ottobre, dopo la fine del Ramadan.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Il Sudan permetterà alle truppe africane di restare nella
tormentata regione occidentale del Darfur solo sotto il controllo dell'Unione
Africana (UA), ed ha accusato gli Stati Uniti di cercare di operare un “cambio
di regime” a Khartoum attraverso il tentato insediamento di una forza dell'ONU.
Ieri il capo della missione dell’Unione Africana che controlla la fragile
tregua nel Darfur, aveva ribadito che la presenza delle sue truppe nella
regione sarebbe terminata il 30 settembre prossimo.
Nelle Università iraniane è necessaria una sorta di
rivoluzione culturale islamica. Lo ha affermato oggi il presidente iraniano,
Mahmud Ahmadinejad, lamentando che il sistema accademico è stato “influenzato
dal laicismo per 150 anni”. Per il leader iraniano il lavoro in questo senso è
già cominciato tuttavia – ha precisato - cambiare questa atmosfera è molto
difficile e “richiede uno speciale sostegno”.
Riformare le leggi sull’immigrazione in modo da non
criminalizzare i clandestini. E’ la richiesta degli immigrati che ieri negli
Stati Uniti, in coincidenza con la Festa del Lavoro, hanno manifestato in
numerose località. Ripartite venerdì scorso da Chicago e proseguite sabato a
Los Angeles, le manifestazioni hanno costellato tutto il lungo fine settimana.
Le maggiori si sono svolte ancora a Los Angeles, a Phoenix in Arizona e a
Batavia nell’Illinois.
Il presidente russo, Vladimir Putin, è arrivato oggi a
Città del Capo, per una ‘storica’ visita nella Repubblica Sudafricana. Si
tratta infatti della prima visita di un capo di Stato russo nel Paese africano.
Secondo il Cremlino, l’obiettivo principale della missione, che durerà due
giorni, è di rafforzare i legami economici e commerciali tra i due Paesi.
“Il momento più critico è stato superato. Il mio recupero
avviene con un ritmo soddisfacente”. Così il presidente cubano Fidel Castro ha
rassicurato i cubani dalle pagine del sito del quotidiano ufficiale del
governo, “Granma”. Nel messaggio, Castro spiega che la ripresa sta procedendo
bene malgrado abbia perso 19 chili. Il leader ha inoltre annunciato che
riceverà “visitatori importanti” in forma privata in occasione del vertice dei
non allineati, che richiamerà a Cuba, per la prossima settimana, i
rappresentanti di 116 Paesi e circa 50 capi di Stato.
Quattro morti e due dispersi. Questo il bilancio del
passaggio dell’uragano John sulla penisola della Bassa California, nel
Nord-Ovest del Messico. Lo hanno reso noto ieri le autorità governative. Si
sono registrati danni nella regione montagnosa di Comondu, dove le piogge hanno
fatto tracimare il bacino idroelettrico di Iguagil, mentre in diversi punti della
penisola circa 10mila persone sono rimaste isolate a seguito di inondazioni.
Nei giorni scorsi, in previsione del passaggio dell’uragano, 5mila turisti sono
stati evacuati negli Stati Uniti.
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