RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 247  - Testo della trasmissione di lunedì 4 settembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

E’ necessario costruire la pace attraverso il contributo di preghiera e dialogo di ogni religione, senza sincretismi: così il Papa in un messaggio per l’incontro “Uomini e religioni”, in corso ad Assisi e promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Con noi Enzo Bianchi

 

I vescovi della regione canadese dell’Ontario in udienza da Benedetto XVI, in occasione della visita ad Limina

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Sempre più fragile la tregua in Darfur. Il governo sudanese chiede ai militari dell’UA di lasciare il Paese. Appello di Kofi Annan, che invita alla calma. Ai nostri microfoni padre Carmine Curci

 

In Cambogia, molte bambine liberate dallo sfruttamento sessuale grazie all’impegno dell’Associazione internazionale ECPAT: ce ne parla Marco Scarpati

 

In un futuro prossimo, degradato e violento, il riscatto della terra affidato al vagito di un neonato: è la tesi di “Children of Men”, in concorso al Festival di Venezia

 

CHIESA E SOCIETA’:

Benedetto XVI presente alla maggior parte degli incontri con i suoi ex studenti del “Ratzinger-schülerkeis”, conclusisi a Castel Gandolfo. Saranno pubblicati prossimamente gli atti dell’incontro

 

Eletto il nuovo ministro generale dei Frati Minori Cappuccini, lo svizzero padre Mauro Jöhri

 

Appello dei vescovi filippini per le isole Guimaras, vittime di gravi danni ambientali causati da una petroliera

 

Le Conferenze episcopali di Cile, Bolivia e Perú hanno pubblicato un documento in cui esprimono la volontà di un cammino comune per le loro Chiese

 

Una settimana di studi a Graz, in Austria, per 82 studenti europei organizzata dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea. Tema dei corsi e dei seminari, l’identità europea

 

“Un’occasione serena di conoscenza e di speranza”: così il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni ha definito la Giornata europea di cultura ebraica celebrata ieri

 

24 ORE NEL MONDO:

Il Qatar tra gli Stati che parteciperanno alla forza ONU in Libano. E’ il primo Paese arabo ad aderire alla missione internazionale

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

4 settembre 2006

 

PER SOTTRARRE IL MONDO DAGLI SCENARI DI GUERRA E TERRORISMO

E’ NECESSARIO COSTRUIRE LA PACE NEI CUORI, ATTRAVERSO IL CONTRIBUTO

 DI PREGHIERA E DIALOGO DI OGNI RELIGIONE: COSI’ IL PAPA IN UN MESSAGGIO

 PER L’INCONTRO “UOMINI E RELIGIONI”, IN CORSO AD ASSISI E PROMOSSO

DALLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO

- Intervista con Enzo Bianchi -

 

Assisi, cuore pulsante della pace mondiale e fulcro d’incontro per le religioni, al di là di ogni interpretazione sincretistica: a vent’anni dal primo raduno interreligioso voluto da Giovanni Paolo II, la città francescana ospita, oggi e domani, l’annuale meeting “Uomini e religioni”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, che ha intrecciato negli anni un fruttuoso dialogo imperniato proprio sul cosiddetto “spirito di Assisi”. Molti gli interventi di questa mattina, tra i quali quello del cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, e del fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi. Ma uno spunto importante alla riflessione è arrivato da un messaggio inviato da Benedetto XVI al vescovo della diocesi assisiate, Domenico Sorrentino. La sintesi del messaggio nel servizio di uno dei nostri inviati ad Assisi, Francesca Sabatinelli.

 

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“La religione non può che essere foriera di pace”, che in primo luogo “va costruita nei cuori”. Il forte messaggio che Benedetto XVI affida alla platea di Assisi, e dunque ad esponenti delle religioni mondiali, è chiaro: “A nessuno è lecito assumere il motivo della differenza religiosa come presupposto o pretesto di un atteggiamento bellicoso verso altri esseri umani”. L’iniziativa di venti anni fa, promossa ad Assisi da Giovanni Paolo II, si dimostra oggi profetica. Ma quell’incontro interreligioso di preghiera dal quale crebbe lo spirito di Assisi oggi come allora non si deve prestare “ad interpretazioni sincretistiche, fondate su una concezione relativistica”. “E’ doveroso” “evitare inopportune confusioni”, avverte il Papa, anche “quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni”. “La convergenza dei diversi, spiega ancora, non deve dare l’impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla”.

 

L’intuizione di GPII è stata dimostrata dalla storia, ci dice Benedetto XVI, dopo la fine della guerra fredda e dopo la mancata realizzazione di un sogno di pace, oggi terrorismo e violenza, diversità culturali e religiose, mettono a dura prova la pace. La religione deve unire non dividere, ricorda a tutti il Santo Padre, così come la preghiera, “elemento determinante per una efficace pedagogia della pace”, della quale oggi si ha più che mai bisogno anche di fronte al fenomeno di tanti giovani che educati a sentimenti di odio e di vendetta vengono preparati a future violenze. Occorre abbattere gli steccati e favorire l’incontro sulla scia del messaggio fondamentale di San Francesco, punto di riferimento per chi oggi coltiva l’ideale della pace, del dialogo tra le persone tra le religioni e le culture. Se non si vuole tradire il messaggio di Francesco, di cui quest’anno ricorre l’ottavo centenario della conversione, conclude il Papa, occorre sempre ricordare che fu la scelta radicale di Cristo a fornirgli la chiave di comprensione della fraternità a cui tutti gli uomini sono chiamati.

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Un raduno di preghiera, fondamento della pace, ma anche un incontro – quello di Assisi – che non desse adito ad alcuna confusione sulla distinta natura delle religioni partecipanti. Fu questo un punto messo bene in chiaro da Giovanni Paolo II nel 1986 e ribadito stamani da Benedetto XVI, che ha messo in nuovo risalto il valore della “scelta” di Papa Wojtyla. Lo conferma, al microfono di Francesca Sabatinelli, il priore della Comunità di Bose, Enzo Bianchi, presente ad Assisi:

 

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R. – Benedetto XVI mi sembra che confermi quella “profezia”, in un certo senso la rilancia, la rende eloquente, l’approfondisce. Io credo non si dovesse dubitare di Benedetto XVI e di questa continuità, perché il dialogo tra le religioni in qualche misura è un impegno di tutta la Chiesa cattolica. Mi sembra però importante che Benedetto XVI abbia precisato che questo incontro è per la testimonianza, che la preghiera che in questi incontri è avvenuta e può avvenire è una preghiera simultanea, non una preghiera comune in cui si tenta, con un’opera sincretista, di rendere eloquente una vaga religiosità comune. No, ciascuno appartiene alla sua propria religione. Noi cristiani restiamo convinti che ogni salvezza passi attraverso Gesù Cristo. Lui è il principe della pace. Ma le testimonianze sulla pace dobbiamo darle insieme anche contemplando gli uni e gli altri, che pregano nelle vie in cui sono posti dalla provvidenza e dalla storia. Noi dobbiamo imparare che la verità certamente attende tutti gli uomini e che le differenze che ci sono oggi per le vie religiose e le vie culturali hanno tuttavia un destino, quello di una convergenza secondo i tempi in cui il Signore vorrà, in cui la verità renderà gli uomini tutti liberi.

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Giornata densa di spunti di riflessione, dunque, quella che ha aperto oggi l’edizione 2006 di “Uomini e religioni”. La cronaca di uno dei nostri inviati, Fabio Colagrande.

 

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Con l’inaugurazione dell’assemblea plenaria nel teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli, i partecipanti all’incontro hanno tracciato stamani le linee guida che ispireranno le 16 tavole rotonde in programma oggi e domani nella “città della pace”, come l’ha chiamata l’arcivescovo Sorrentino. Il cardinale Paul Poupard, che presiedeva la plenaria, si è detto “profondamente convinto che il dialogo tra religioni e culture è oggi di prima importanza e assoluta necessità, in un mondo segnato da terrorismo, violenza e strumentalizzazioni delle religioni”. Ma, come presidente del dicastero per il dialogo interreligioso, il porporato ha anche puntualizzato che, per la Chiesa, questo dialogo si fonda sulla “ferma ed inequivocabile adesione a Gesù Cristo”. Il fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, è tornato invece con la memoria all’incontro del 1986 che non fu – ha detto – occasione di negoziati o dibattiti teologici, ma soprattutto di amicizia e preghiera, “gli uni accanto agli altri, non più gli uni contro gli altri, com’era avvenuto”. Oggi, a venti anni di distanza e dopo i numerosi incontri nati sulla scia di Assisi per volontà di Sant’Egidio, continuare a dialogare tra religioni per la pace potrebbe sembrare a qualcuno inutile o superato. Niente di più sbagliato secondo Riccardi:

 

“Non ci preoccupa la ripetizione dell’evento, di questo evento di Assisi, quando proprio le tradizioni religiose insegnano la via di ripetere e scavare per giungere al cuore. Siamo convinti che la sapienza dell’incontro sia ancora di più necessaria oggi, quando questo nostro mondo sembra cercare l’ordine nella cultura del conflitto e nelle scelte che ispira”.

 

E il dialogo ecumenico e interreligioso, qui ad Assisi, è iniziato subito con gli interventi del Patriarca della Chiesa ortodossa d’Etiopia, del rettore dell’Università di Al-Ahzar al Cairo e del Rabbino capo d’Israele. Ancor prima, la presenza del presidente del Burkina Faso, Compaoré, è stata segno di quell’attenzione per l’Africa, la cui ‘marginalizzazione nella vita internazionale’, ha detto Riccardi,è segno di un mondo che non costruisce la pace’. Nel pomeriggio, qui ad Assisi, l’avvio delle tavole rotonde, che proseguiranno domattina, prima dei momenti di preghiera in luoghi separati, ognuno secondo il proprio rito, e della cerimonia finale, alla quale sarà presente il presidente Napolitano.

 

Da Santa Maria degli Angeli, Fabio Colagrande, Radio Vaticana

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I VESCOVI DELLA REGIONE CANADESE DELL’ONTARIO IN UDIENZA

DA BENEDETTO XVI, IN OCCASIONE DELLA VISITA AD LIMINA

- Con noi mons. Ronald Peter Fabbro -

 

Benedetto XVI ha ricevuto stamani, in udienza, un gruppo di presuli della Conferenza episcopale del Canada-Ontario, in visita ad Limina, guidati dal cardinale arcivescovo di Toronto, Aloysius Matthew Ambrozic. La visita si concluderà il prossimo 8 settembre e segue l’incontro del Papa con i vescovi canadesi della regione dell’Atlantico, del maggio scorso. Per conoscere meglio la realtà della Chiesa canadese, il servizio di Alessandro Gisotti.

 

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Un territorio sterminato, 33 volte più grande dell’Italia, che ospita un crogiolo di popoli e culture di origini diverse. Una multiculturalità, quella della società canadese, che si riflette sulla struttura della Chiesa locale divisa in quattro assemblee episcopali regionali: Québec, Altlantico, Ovest e Ontario. D’altro canto, la Conferenza episcopale rispetta la tradizionale bipartizione linguistica, anglofona e francofona, del Canada. Un Paese che sta cambiando rapidamente sulla spinta del massiccio flusso di immigrati, che ogni anno varcano il confine alla ricerca di una vita migliore. Secondo l’ultimo censimento del 2001, il Canada ha una popolazione cattolica di circa 13 milioni di fedeli, pari al 43 per cento della popolazione complessiva, distribuiti in più di 5 mila parrocchie e missioni, mentre le diocesi e arcidiocesi sono 71, otto delle quali di rito orientale.

 

Il Canada è stato visitato tre volte da Papa Wojtyla: nel 1984, nel 1987 e nel 2002, per la Giornata Mondiale della Gioventù a Toronto. In quell’occasione, parlando in uno dei Paesi più avanzati dell’Occidente, Giovanni Paolo II levò un vibrante appello. “Il XX secolo – affermò il Papa – ha spesso preteso di fare a meno” di Cristo, “tentando di costruire la città dell'uomo senza fare riferimento a Lui ed ha finito per edificarla di fatto contro l'uomo!”. I cristiani, però, avvertì il Santo Padre, sanno che “non si può rifiutare o emarginare Dio, senza esporsi al rischio di umiliare l'uomo”. Ma torniamo all’udienza dei vescovi dell’Ontario con Benedetto XVI. Per una testimonianza sul significato di questo incontro per l’episcopato canadese, ecco la riflessione di mons. Ronald Peter Fabbro, vescovo della diocesi di London:

 

R. – THIS IS A VERY IMPORTANT MOMENT…

Questo è un momento molto importante per i nostri vescovi. E’ davvero un momento di grande intensità spirituale per noi, un momento nel quale rifletteremo sui bisogni della Chiesa. Oltre al Papa, incontreremo la Curia Romana per parlare dell’evangelizzazione del nostro tempo. Un grande contributo che noi in Canada pensiamo di poter dare è quello riguardante la pace nel mondo. Le nostre forze di pace operano in varie parti del mondo. Per noi, come cattolici, è molto importante essere testimoni di giustizia e di pace. Penso che quello che noi possiamo portare come seguaci di Gesù sia l’amore e la giustizia, specie in Paesi dove troviamo il terrorismo e l’odio.

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ALTRE UDIENZE

 

Benedetto XVI ha ricevuto in tarda mattinata l’ambasciatore di Albania, Zef Bushati, in visita di congedo. 

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Angelus: Gregorio Magno, romano e monaco, all’alba di una nuova civiltà.

 

Servizio estero - Nucleare: il presidente iraniano ribadisce anche ad Annan il rifiuto di sospendere l’arricchimento dell’uranio.

 

Servizio culturale - Una riflessione di Marco Bellizi dal titolo “Una lezione di speranza”: una mamma discute la tesi di laurea della figlia, morta a 24 anni in un incidente stradale nel maggio scorso.

 

Servizio italiano - In rilievo il tema delle pensioni.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

4 settembre 2006

 

IL GOVERNO SUDANESE CHIEDE IL RITIRO DAL DARFUR DELLA FORZA

DELL’UNIONE AFRICANA, DOPO AVER RESPINTO L’INVIO DEI CASCHI BLU DELL’ONU

- Intervista con padre Carmine Curci -

 

Il governo del Sudan ha chiesto al contingente dell’Unione Africana presente dal 2003 in Darfur di ritirarsi allo scadere del mandato il 30 settembre prossimo. Nei giorni scorsi l’esecutivo di Khartoum aveva respinto la risoluzione dell’ONU che prevede l’invio di oltre 17 mila caschi blu nella regione per tentare di restaurare la pace. Sulla crisi è intervenuto il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che ha esortato il governo del Sudan a rivedere la sua posizione. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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Il governo sudanese ha chiesto formalmente al comando del contingente dell’Unione Africana, dispiegato nel Darfur, di lasciare la tormentata regione allo scadere del mandato, il prossimo 30 settembre. Lo ha annunciato il portavoce del Ministero degli esteri sudanese, Jamal Ibrahim, secondo cui le forze di pace africane avrebbero fatto intendere di non essere in grado di continuare la loro missione. Ibrahim ha poi spiegato che il suo governo non ha gradito affatto l’approvazione data dall’Unione Africana al passaggio delle consegne ai caschi blu, secondo quanto disposto dalla recente risoluzione votata al Palazzo di Vetro. Il Sudan intende, dunque, applicare un proprio piano per il Darfur, sottoposto al Consiglio di sicurezza, che prevede tra l’altro l’invio di oltre 10 mila uomini dell’esercito governativo nella regione. Una prospettiva che allarma i gruppi ribelli darfuriani, i quali accusano Karthoum di aver già inviato militari nella regione e che sono già ripresi gli attacchi contro i civili e le loro postazioni nel nord della regione. Nei giorni scorsi, l’Unione Africana confermò che l’esercito governativo aveva dato già il via ad una massiccia offensiva.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Quali altri motivi ci sono dietro la decisione sudanese? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a padre Carmine Curci, direttore del mensile dei comboniani “Nigrizia”:

 

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R. – La politica del governo di Khartoum si basa su tre elementi: il primo è stato quello di aver firmato, nel maggio scorso, un accordo di pace con uno dei tre gruppi dei ribelli, quello più insignificante. Il secondo, quello di prendere tempo al Consiglio di sicurezza e terzo, quest’ultimo, cioè di dire alle forze dell’Unione Africana di lasciare il Paese. Sappiamo che sono più di 7 mila uomini. In questo contesto, l’Unione Africana dice che non riesce a portare avanti il mandato di peace-keeping tra i contendenti nell’area del Darfur, quindi ancora oggi stiamo guardando alla politica di Omar el Bashir, il presidente sudanese, che sta terribilmente giocando sulla vita di milioni di persone nel Darfur. L’Unione Africana, come le Nazioni Unite, sono impotenti e molto deboli nell’intervenire. Non si ha la capacità di insistere sul governo di Khartoum.

 

D. – Quali sono le difficoltà dell’ONU nel definire la situazione nel Darfur un reale rischio per la pace internazionale, e quindi ad intervenire direttamente?

 

R. – L’ONU aveva fatto passare al Consiglio di sicurezza la possibilità di intervenire con più di 17 mila uomini. Ora, la questione era che poteva intervenire solo se c’era l’assenso del governo di Khartoum, e Khartoum non darà mai il consenso ad intervenire nel suo proprio territorio. Ed è triste vedere le decisioni che sono state prese in Libano e che non si riesce a prendere decisioni per il Darfur

 

D. – Questo “inattivismo” poi chiaramente si riflette sulla popolazione civile – già martoriata – del Darfur

 

R. – Eh certo. Il 10 agosto, il sottosegretario generale degli Affari umanitari dell’ONU, Jan Egeland, ha dichiarato: “Gli ultimi due mesi sono stati i peggiori dal 2003, da quanto è scoppiata la crisi”. Dice ancora: “Siamo passati da una situazione difficile ad una situazione catastrofica per la gente”.

 

D. – Si può definire una vera e propria guerra civile, quella che si sta svolgendo in Darfur?

 

R. – Quello che sta avvenendo in Darfur è un chiaro genocidio e quindi una guerra civile che si sta protraendo dal 2003 a oggi, con centinaia di migliaia di morti.

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LA PROSTITUZIONE MINORILE RESTA UN FENOMENO DRAMMATICAMENTE VIVO

IN MOLTI PAESI DEL MONDO MA IN CAMBOGIA SONO TANTE LE STORIE DI BAMBINE

LIBERATE DALLO SFRUTTAMENTO GRAZIE ALL’IMPEGNO

DELL’ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE ECPAT

- Intervista con Marco Scarpati -

 

La prostituzione minorile in molti Paesi al mondo resta una piaga sociale niente affatto debellata, anche se non sempre trova spazio nei media. La End Child Prostitution, Pornography and Trafficking (ECPAT), l’organizzazione internazionale che da anni se ne occupa, spiega che è impossibile fornire dati o stime, vista la natura sommersa del fenomeno e viste le difficoltà di rilevazione in Paesi del Sud est asiatico come la Cambogia. Ma proprio in Cambogia, dove si continua a registrare il cosiddetto “turismo sessuale”, Marco Scarpati, presidente di ECPAT Italia, racconta di molte centinaia di bambine liberate dai luoghi di sfruttamento. Lo ascoltiamo nell’intervista di Emanuela Campanile:

 

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R. – In realtà, la speranza non crolla mai. La speranza è sempre quella che ti mantiene in piedi e che ti fa alzare la mattina e, dopo una sconfitta, ripartire. Tutti quelli che hanno lavorato, operano o hanno operato nel volontariato sanno che non si vince sempre, anzi non si vince quasi mai purtroppo. La speranza è quella che ogni mattina ti convince che devi ricominciare, non puoi lasciar perdere, perchè i valori, le cose che hai in testa, i progetti, sono più importanti della sconfitta.

 

D. – Ci può raccontare il suo incontro personale con la realtà della Cambogia?

 

R. – La Cambogia è come un bambino che non si vuole convincere, un bambino ribelle. La prima volta che sono arrivato in Cambogia me ne sono tornato a casa con le pive nel sacco, convinto che non sarei mai riuscito a farci nulla. La Cambogia è nata come amore quand’ero un ragazzino. La prima volta che vi arrivai, vedendo tutti quei bambini perduti e sperduti, invisibili per tanti, ho capito che non potevo far finta di niente, che la Cambogia era anche quello.

 

D. – Quindi, il passo successivo qual è stato?

 

R. – Il passo successivo è stato quello di cominciare a lavorare, cercando di creare un centro per questi bambini. Mentre stavamo aprendolo, è arrivata la notizia di alcune bambine in vendita in un bordello. Allora, con i miei collaboratori siamo andati là, ci siamo finti turisti del sesso e le abbiamo comprate per liberarle. E’ stata la prima e unica volta che abbiamo comprato dei bambini. Da allora in poi, le abbiamo sempre strappate ai commercianti, obbligandoli a darcele. Allora, ero assolutamente incapace di reagire, non c’era altra possibilità. Io ho sempre detto che di fronte alla vita di un bambino non c’è idea, ideologia, ideale che tenga: la sua vita è più importante.

 

D. – Ha mai visto uno di questi uomini, non dico pentirsi, ma per lo meno essere attraversato da un dubbio?

 

R. – Non gli sfruttatori. I clienti sì, ma gli sfruttatori no. Gli sfruttatori sono dei criminali, dei puri cinici, commercianti. Sanno quello che fanno fin dal primo momento.

 

D. – Di questa nostra umanità che idea si è fatto?

 

R. – Il prossimo non va amato in gruppo, va amato uno ad uno. Ognuno dei nostri prossimi è rispettabile e nelle cose stupende che ha ci sono anche delle spaventose contraddizioni. Questo, però, è comunque un mondo che deve essere vissuto. Dobbiamo cercare di fare tutto. Amare il prossimo non vuol dire amare il prossimo in genere, ma amare ognuno dei singoli prossimi che ti passano accanto.

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IN UN FUTURO PROSSIMO, DEGRADATO E VIOLENTO, IL RISCATTO DELLA TERRA

AFFIDATO AL VAGITO DI UN NEONATO: E’ LA TESI DI “CHILDREN OF MEN”,

IN CONCORSO AL FESTIVAL DI VENEZIA

                           

Il regista messicano Alfonso Cuaron porta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia l’atteso Children of men, con Clive Owen e Julianne Moore: una suggestiva opera cinematografica e una sconvolgente riflessione etica sul futuro dell’umanità. Il servizio di Luca Pellegrini:

 

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Che cosa sta succedendo all’umanità del 2027? Tra disordini sociali, razzismo, attentati terroristici, bombe nucleari gettate qua e là e devastazioni che non hanno risparmiato neppure la Pietà di Michelangelo, che fine sta facendo il pianeta e noi con lui? Il fatto è che da diciotto anni le donne hanno perso la fertilità, i bambini non esistono più: asili e scuole in rovina, popolazione fatta ormai soltanto di anziani attristati. Nel Regno Unito si è corso ai ripari – così immagina la scrittrice P.D. James nell’omonimo romanzo del 1993, da cui il film di Cuaron è abilmente tratto –: ecco un regime dittatoriale che, a scapito della cancellazione del concetto di dignità umana, il cui valore si sarebbe conservato ancora per poco, assicura ai soli cittadini residenti treni circolanti ed energia elettrica. Per tutti gli altri, è l’inferno. Si chiudono, allora, le frontiere, si espellono, o meglio eliminano, i profughi, dopo averli deportati e rinchiusi in appositi ghetti. Si tenta di procrastinare il giorno del giudizio, ormai alle porte. Si consiglia agli anziani il suicidio indolore con un kit dal nome emblematico, Quietus.

 

Insomma, il governo adotta una legislatura immorale, gli uomini si comportano, anche nel privato, in modo immorale, come se, spariti i bambini, le loro grida, i loro giochi, le loro risate, fosse sparita anche la speranza e con essa la necessità di un codice etico. Terribile futuro. Terribili città, come la Londra che Theo, il protagonista, percorre in compagnia dell’alcol. Non sa che su quelle strade sarà intercettato non solo dai ricordi e dagli affetti, ma dal bene più grande che l’umanità possa, in quel frangente, attendersi: una ragazza incinta. Ma è una ragazza di colore. Lei e Theo attraverseranno insieme, verso un’ipotetica terra di libertà, un mondo nel quale nemmeno più il vagito di un neonato, l’unico, l’ultimo, riuscirà ad interrompere il fragore delle armi, la “strage degli innocenti”. Siamo dalle parti dell’incubo, delle distopie alla Aldous Huxley, alla George Orwell. Cuaron dipinge con vigore e suggestione un futuro amaro, più che pauroso, appeso ad un tenue filo, quello di un neonato: è il valore della vita, l’intangibilità della procreazione. Si avverte, alla fine, l’urgenza di una profonda riflessione etica, scientifica, politica e collettiva.

 

Da Venezia, Luca Pellegrini per Radio Vaticana.

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CHIESA E SOCIETA’

4 settembre 2006

 

 

BENEDETTO XVI PRESENTE ALLA MAGGIOR PARTE DEGLI INCONTRI

CON I SUOI EX STUDENTI DEL “RATZINGER-SCHÜLERKEIS”, CONCLUSISI

A CASTEL GANDOLFO. PER LA PRIMA VOLTA PUBBLICATI GLI ATTI DELL’INCONTRO

 

CASTEL GANDOLFO. = Verranno pubblicati per la prima volta, nei prossimi mesi, gli atti del cosiddetto “Ratzinger-Schülerkreis” (ribattezzato “Schülerkreis-Benedikt XVI.”), l’incontro di studio del circolo degli ex studenti del Papa, che si è concluso ieri a Castel Gandolfo. Benedetto XVI ha partecipato, nella giornata di sabato scorso, a buona parte degli incontri e delle conversazioni, incentrati sul tema “Creazione ed evoluzione”. La consuetudine di tenere tali incontri risale agli anni della docenza dell’allora prof. Joseph Ratzinger all’Università di Ratisbona e sono continuati dopo il suo trasferimento all’arcidiocesi di Monaco prima ed a Roma poi. Eletto al soglio di Pietro Benedetto XVI non ha voluto rinunciare a questo tradizionale appuntamento che l’anno scorso ha approfondito il tema dell’Islam. (A.D.C.)

 

 

L’ORDINE DEI FRATI MINORI CAPPUCCINI HA ELETTO STAMANI

IL NUOVO MINISTRO GENERALE: È LO SVIZZERO PADRE MAURO JÖHRI

 

ROMA. = I Frati minori cappuccini hanno eletto questa mattina il nuovo ministro generale nell’ambito dell’83.mo Capitolo del loro Ordine: è padre Mauro Jöhri, attualmente superiore della Provincia svizzera. Padre Jöhri, che succede al canadese padre John Corriveau, è nato il 1 settembre 1947 a Bivio, nel Cantone dei Grigioni, ed ha conseguito la laurea in Teologia all’Università di Lucerna. Ha insegnato per dieci anni nella facoltà teologica di Lugano e per quattro anni è stato presidente della Commissione del piano pastorale della Conferenza episcopale svizzera e superiore del Santuario della Madonna del Sasso di Locarno. Il Capitolo generale dei Cappuccini, che si è aperto il 28 agosto, si sta svolgendo a Roma al Collegio S. Lorenzo da Brindisi. A prendervi parte sono 174 religiosi in rappresentanza dei quasi undicimila frati che vivono e operano in tutto il mondo. L’83.mo Capitolo generale si pone come obiettivo fondamentale quello di creare un senso di fraternità e una partecipazione alla missione universale della Chiesa attraverso il carisma del Santo di Assisi, in un mondo sempre più interconnesso e che le comunicazioni hanno trasformato in villaggio globale. L’Ordine dei Frati minori cappuccini è diffuso in 101 Paesi, sparsi nei cinque continenti, e sta particolarmente crescendo in Africa, Asia, America Latina ed Europa dell’Est. (T.C.)

 

 

L’EPISCOPATO FILIPPINO HA LANCIATO UN APPELLO PERCHÉ GIUNGANO AIUTI

ALLE ISOLE GUIMARAS, DOVE UN INCIDENTE AD UNA PETROLIERA

HA CAUSATO DANNI AMBIENTALI

 

MANILA. = I vescovi delle Filippine hanno lanciato un appello ai fedeli perché aiutino le comunità di Visayas, colpite da un disastro ambientale senza precedenti che rischia di mettere a repentaglio la vita della flora e della fauna locale. A provocarlo, riferisce l’agenzia AsiaNews, è stato il ribaltamento di una petroliera, al largo delle isole Guimaras, avvenuto l’11 agosto scorso. Circa il 10 per cento dei due milioni di litri di petrolio che la nave trasportava si sono riversati su 200 chilometri di costa. Il presidente della Conferenza episcopale, mons. Angel Lagdameo, ha incontrato i residenti delle zone più colpite dal disastro e, in particolare, i cittadini di La Paz. “Qui è divenuto tutto nero: sabbia, pietre, legname e persino le mangrovie”, ha detto il presule che ha invitato “tutti i cattolici a dare una mano: un atto cristiano nei confronti di coloro che non hanno modo di uscire da soli da questa situazione”. Mons. Lagdameo, che guida l’arcidiocesi di Jaro, anch’essa colpita dal disastro, ha esortato i fedeli ad essere solidali con quanti stanno vivendo gravi difficoltà. “Siamo uniti nel corpo di Cristo – ha affermato – la sofferenza che prova una parte, si estende a tutte le altre”. Il vescovo ha anche chiesto un’indagine “esauriente ma onesta” che identifichi la responsabilità dell’accaduto. Il parroco della chiesa di San Vincenzo Ferrer a Nueva Valencia, padre Maloney Gotera, ha spiegato ad AsiaNews che ora “il problema principale è il cibo: questa gente ha sempre vissuto di pesca, ma non può più uscire con le barche e non sa come trovare sostegno economico”. Il parroco ha aggiunto che “molti, fra singoli e gruppi, hanno risposto in maniera generosa alle necessità della popolazione”, ma che “i danni causati dal petrolio verranno sanati solo fra molto tempo” e che “non devono essere dimenticati”. (T.C.)

 

 

LE CONFERENZE EPISCOPALI DI CILE, BOLIVIA E PERÙ HANNO PUBBLICATO

UN DOCUMENTO IN CUI ESPRIMONO LA VOLONTÀ DI UN CAMMINO COMUNE

PER LE LORO CHIESE. IL MESSAGGIO AL TERMINE DEL TERZO INCONTRO DI

COORDINAMENTO PASTORALE, IN VISTA DELLA V CONFERENZA GENERALE

DEGLI EPISCOPATI DELL’AMERICA LATINA E I CARAIBI

 

LIMA. = I presidenti delle Conferenze episcopali di Cile, Bolivia e Perù, rispettivamente mons. Alejandro Goic, mons. Edmundo Abastoflor e mons. Héctor Cabrejos, al termine del terzo Incontro di coordinamento pastorale in vista della V Conferenza generale degli episcopati dell’America Latina e i Caraibi (Brasile, maggio 2007), hanno firmato un documento per renderne pubbliche le conclusioni. Svoltosi il 22 e 23 agosto a Lima, l’incontro ha avuto come temi le problematiche sociali che toccano la società di oggi e le sfide che queste pongono alla Chiesa. Con riferimento al fatto che nei tre Paesi si è da poco insediato un nuovo governo, i vescovi hanno voluto ribadire il loro proposito di voler accompagnare i fedeli “nelle loro gioie, speranze e tristezze”. “Ci auguriamo – scrivono i presuli – che i nuovi governanti rinforzino i principi della vita democratica affinché siano più efficienti i servizi verso i poveri, nella difesa della vita e della dignità umana”. In particolare, i vescovi sottolineano l’importanza fondamentale dell’educazione nella crescita delle persone e della società e perciò chiedono che venga garantita “a tutti, un’educazione qualitativamente superiore”. Nel loro messaggio congiunto, le conferenze episcopali cilena, boliviana e peruviana si sono impegnate a coltivare i grandi temi della comunione e della collaborazione fraterna tra i popoli latinoamericani e ad elaborare proposte adeguate all’interno degli atenei cattolici, della pastorale per la mobilità umana. Infine, sulla V Conferenza generale degli episcopati dell’America Latina e i Caraibi, definita un “evento dello Spirito”, i vescovi si sono dichiarati convinti che essa servirà a rinnovare la coscienza dei cristiani di essere discepoli di Cristo e che contribuirà a rivitalizzare il lavoro missionario. (T.C.)

 

 

UNA SETTIMANA DI STUDI A GRAZ, IN AUSTRIA, PER 82 STUDENTI EUROPEI

ORGANIZZATA DALLA COMMISSIONE DEGLI EPISCOPATI DELLA COMUNITÀ EUROPEA.

TEMA DEI CORSI E DEI SEMINARI: L’IDENTITÀ EUROPEA

 

GRAZ. = “Identità europea: politica, società, religione”: su questo tema stanno discutendo a Graz, in Austria, ottantadue studenti di 25 Paesi europei ospitati alla settima edizione dell’Università estiva della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE). Il programma prevede svariati corsi, fra cui quello sull’identità europea, ed ancora seminari su diritto, teologia ed economia, discussioni di gruppo e dibattiti in sessioni plenarie. L’approccio interreligioso riguarderà l’Islam e l’identità ebraica. I partecipanti alla settimana di studi – giovani collaboratori delle conferenze episcopali dell’Unione europea – concluderanno i corsi il 16 settembre. Il presidente della COMECE, il vescovo di Rotterdam mons. Adrianus Van Luyn, in una lettera agli studenti, ha spiegato che l’Università estiva si propone di lavorare, attraverso le proprie iniziative, per il bene dell’Unione europea. (T.C.)

 

 

UN’OCCASIONE SERENA DI CONOSCENZA E DI SPERANZA”: COSÌ IL RABBINO CAPO

DI ROMA RICCARDO DI SEGNI HA DEFINITO LA GIORNATA EUROPEA DI CULTURA

EBRAICA, CELEBRATA IERI. IL MINISTRO ITALIANO DELLA SOLIDARIETÀ SOCIALE,

PAOLO FERRERO: “NON CREIAMO NUOVI GHETTI”

 

ROMA. = Far conoscere la cultura ebraica per ribadire la necessità di non abbassare la guardia di fronte all’antisemitismo e per parlare di integrazione: questo l’obiettivo della Giornata europea di cultura ebraica celebrata ieri. “Domani Strada facendo”, questo il tema dell’edizione di quest’anno, per il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni “è stata un’occasione serena di conoscenza e di speranza”. Nella capitale, migliaia di persone hanno visitato il Tempio Maggiore e hanno voluto conoscere la sinagoga di Ostia Antica ed altri luoghi storici che testimoniano l’insediamento ormai bimillenario della più antica comunità ebraica occidentale. “Questa giornata è stata un’ottima occasione per far conoscere la nostra cultura – ha detto il rabbino capo di Roma – un momento di speranza, lontano dai terribili momenti di guerra”. A Padova, il ministro italiano della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, incontrando gli esponenti della comunità ebraica della città ha affermato che “l'ebraismo è una parte fondante della cultura europea che nasce da diverse radici, non solo religiose” ed ha sottolineato “l’importanza di non creare nuovi ghetti”. Identità e integrazione, sono state le parole-chiave del discorso di Alfonso Arbib, il rabbino capo della comunità ebraica milanese, mentre dal neo presidente delle Comunità ebraiche, Renzo Gattegna, è giunto l’incoraggiamento a realizzare in Italia “un grande progetto” culturale. Lo scopo, “raccogliere tutti coloro che sono disposti ad arricchire il proprio bagaglio culturale attraverso l’approfondimento di fatti e storie la cui conoscenza è preziosa per una migliore interpretazione della storia”. Nel suo discorso pronunciato a Modena, Gattegna ha anche puntato l’indice contro le continue minacce che l’Iran degli Ayatollah rivolge ad Israele negandogli il diritto ad esistere. “Ci sono pervenute, nei giorni passati – ha detto – alcune richieste di annullare tutte le attività programmate in segno di lutto e come estremo atto di protesta contro chi sta continuando non solo a rivolgere minacce di sterminio verso il popolo ebraico, ma a porre in essere anche azioni terroristiche e militari per tentare di avviare una nuova stagione di lutti e di distruzioni”. Gattegna ha dichiarato che intenzione della comunità ebraica è stata quella di non rinunciare “al contatto prezioso coi tanti amici che condividono e sentono” preoccupazioni e dolori degli ebrei. (T.C.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

4 settembre 2006

 

- A cura di Roberta Moretti e Andrea Cocco -

 

Anche il Qatar parteciperà alla Forza ONU in Libano. Il Paese arabo - il primo ad aderire alla missione internazionale - invierà dai 200 ai 300 uomini. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri del Qatar, Hamad Ben Jassem Ben Jabr Al-Thani, al termine dell’incontro con il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan. Intanto, nel Paese dei Cedri si è concluso lo sbarco dei primi soldati italiani che andranno a far parte del contingente internazionale di interposizione, come stabilito dalla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La forza di pace sarà completata ora dai militari degli altri Paesi che hanno aderito all’iniziativa, tra cui la Francia, alla quale è stato assegnato il comando dei caschi blu. Il nostro servizio:

 

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Il ministro degli Esteri del Qatar ha sottolineato che la decisone di aderire all’UNIFIL vuole “dire al mondo che c’è una presenza araba e ad Israele che l’emirato crede nella risoluzione 1701 e vuole applicarla”. E in questo senso, il premier turco, Erdogan, ha chiesto stamani ai Paesi musulmani di partecipare alla forza di pace in Libano. Intanto, sul campo, duecento militari francesi sono partiti oggi dal porto di Tolone verso il Libano per organizzare il dispiegamento del primo battaglione francese di 700 militari, previsto per la metà di settembre. Un secondo battaglione di 700 soldati partirà nelle settimane successive. E mentre prosegue a Est di Tiro, la costruzione del campo base degli 880 militari italiani sbarcati nel fine settimana, il primo ministro pakistano, Shaukat Aziz, è giunto a Beirut, dove incontrerà le massime cariche dello Stato e  visiterà i luoghi più pesantemente bombardati durante l’offensiva di Israele. Ma la tensione tra lo Stato Ebraico e il Libano si riflette anche nei Territori palestinesi. Il premier israeliano, Olmert, ha annunciato oggi l’interruzione dei progetti relativi ad un ritiro dalla Cisgiordania, come promesso in campagna elettorale. Le priorità che a suo tempo mi sembravano giuste – ha detto Olmert - adesso sono cambiate”. Ad avvalorare la tesi, l’indizione della gara d’appalto per 690 nuove abitazioni di coloni ebrei in Cisgiordania, pubblicata oggi nei quotidiani. Forti critiche da parte dell’ANP: la decisione di finanziare altri insediamenti, ha detto il caponegoziatore, Erekat, “mina tutti gli sforzi per far ripartire il processo di pace”.

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Rimaniamo nei Territori palestinesi. E’ stato riaperto oggi, dopo tre settimane, il valico di Karni tra la Striscia di Gaza e Israele. La riapertura giunge dopo la fine di un’offensiva condotta la settimana scorsa dai militari israeliani nel sobborgo di Shajaiyeh, alla periferia della città di Gaza, dove sarebbe stato distrutto un tunnel che, secondo Israele, sarebbe servito a trasportare esplosivo da far detonare contro le palazzine del valico, che normalmente ospitano dipendenti israeliani. Nel frattempo, le forze armate israeliane hanno condotto nelle prime ore di oggi un nuovo raid aereo contro il campo profughi di Jabalya, centrando la casa di un militante delle Brigate dei martiri di al-Aqsa, fazione armata legata al Fatah, e ferendo almeno due persone. Sul fronte politico, il leader del gruppo parlamentare di al Fatah, Azzam el-Ahmad citato dal quotidiano palestinese, al Ayam, ha avvertito che il presidente palestinese, Abu Mazen, potrebbe decidere di sciogliere il governo di Hamas. Sembrerebbe dunque definitivamente tramontata, secondo el-Ahmad, l’ipotesi di un governo di unità nazionale tra Hamas e al Fatah.

 

Una notizia giunta nella tarda mattinata dalla Giordania. Un uomo armato di pistola ha sparato a un gruppo di turisti stranieri davanti al Teatro romano della capitale, Amman. Un turista britannico è stato ucciso e altri cinque feriti. L’attentatore, secondo alcuni un iracheno, è stato arrestato dalla polizia.

 

Prosegue l’offensiva delle Forze NATO nel sud dell’Afghanistan. Secondo il comando militare internazionale, sarebbero oltre 200 i guerriglieri talebani uccisi negli scontri iniziati sabato. Ma il portavoce del governo afgano parla di 89 guerriglieri morti e di vittime anche tra i civili. Tra ieri e oggi, negli scontri sono morti anche 5 soldati canadesi, mentre altre 5 persone sono cadute vittime a Kabul di un attentato kamikaze. Il nostro servizio:

 

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Si susseguono in queste ore le comunicazioni dei vertici NATO per dare conto della vasta offensiva lanciata nel sud dell’Afghanistan. L’operazione è stata denominata Medusa dai comandanti delle Forze Internazionali. E’ la più massiccia mai messa in atto da quando la NATO ha assunto il comando dell’Afghanistan meridionale, lo scorso 31 luglio. Sono impiegati mezzi blindati, aerei e oltre 2000 soldati della NATO e dell’esercito afgano per tentare di sottrarre alla guerriglia talebana uno dei suoi più solidi bastioni. Il distretto di Panjwayi, 35 chilometri a ovest di Kandahar, da dove sarebbero partiti gran parte degli attacchi messi a segno dai guerriglieri nel sud del Paese. Le offensive talebane non sono del resto venute meno neanche in queste ore con quattro soldati canadesi morti domenica a seguito di un attacco dei guerriglieri, mentre non mancano le vittime del fuoco amico. Un militare canadese è stato ucciso e altri 33 sono stati feriti questa mattina sotto le raffiche di due aerei NATO che erano intervenuti per colpire postazioni talebane. A Kabul, all’alba, un afghano si è lanciato contro un convoglio militare della NATO a bordo di una macchina carica di esplosivo. Morti l’attentatore e quattro altre persone tra cui un militare britannico. E’ l’ennesimo colpo per il governo di Londra ancora in lutto per i 14 soldati impegnati nell’operazione Medusa morti sabato a seguito di uno scontro aereo, su cui le autorità hanno aperto un’inchiesta. Questa mattina sul quotidiano Guardian, Sir Richard Dannatt, capo delle Forze Armate britanniche ammette che i suoi uomini in Afghanistan sono al limite delle forze.

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Ancora sangue in Iraq. Quattordici presunti terroristi sono stati uccisi e oltre 200 arrestati nelle ultime 24 ore, nel corso di una operazione delle Forze irachene contro rivoltosi nella zona meridionale di Baghdad. Lo ha annunciato oggi l’ufficio del primo ministro iracheno, Nouri al Maliki, che la prossima settimana si recherà in visita ufficiale in Iran. Sempre nella mattinata, due soldati britannici sono morti a nord di Bassora, per l’esplosione di una bomba al passaggio del loro convoglio, mentre quattro donne e una bimba di tre mesi sono rimaste uccise in un villaggio nei pressi di Moqdadiya, nel corso di un’operazione antiterrorismo condotta da Forze irachene e americane. Fonti militari americane riferiscono, inoltre, dell’uccisione, ieri, di due marine, nel corso di combattimenti nella provincia occidentale sunnita di al-Anbar. Da segnalare, infine, il rapimento, ieri ad al-Amil, quartiere ovest di Baghdad, del popolare calciatore iracheno, Ghanim Ghudayer, giocatore nella prestigiosa squadra dell’Aeronautica militare, Air Force Club. Ghudayer è stato prelevato dalla sua abitazione da uomini armati in uniforme militare.

 

Si riuniranno giovedì, molto probabilmente a Berlino, i rappresentanti dei ministeri degli Esteri dei sei Paesi mediatori sulla crisi nucleare iraniana (Francia, Gran  Bretagna, Stati Uniti, Cina, Russia e Germania). Oggi il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, di ritorno dalla visita ufficiale a Teheran, si è nuovamente espresso a favore di una soluzione negoziata alla crisi, ripetendo che l’Iran è pronto ad ulteriori negoziati. Il governo tedesco ha, nel frattempo, fatto sapere che se il capo della diplomazia europea Javier Solana non dovesse riuscire a convincere la controparte iraniana, sarebbe inutile proseguire i negoziati.

 

Ancora una bomba in Turchia, anche se questa volta ad essere colpita non è stata una località turistica, bensì la città di Van, nella parte orientale del Paese, dove forte è la presenza curda. Ieri sera, un civile e un poliziotto sono morti in seguito all’esplosione di un ordigno nascosto in un cestino dell’immondizia in un parco. Altre persone, una decina, tra cui un altro poliziotto, sono rimaste ferite. L’attentato è stato subito attribuito dalle autorità locali ai separatisti curdi che fanno riferimento al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), ma per il momento non vi è stata alcuna rivendicazione. L’attentato giunge dopo una serie di attacchi compiuti negli ultimi giorni soprattutto in località turistiche della Turchia, tutti rivendicati dai Falchi per la Libertà del Kurdistan, organizzazione separatista diretta emanazione del PKK.

 

Il presidente ceco, Vaclav Klaus, ha nominato, oggi a Praga, il capo della destra liberale, Mirek Topolanek, nuovo primo ministro del Paese.

 

La cittadina di Beslan, nella regione russa dell’Ossezia del nord, ha ricordato ieri la strage provocata due anni fa da un commando di terroristi ceceni nella scuola “Numero Uno” della città, dopo due giorni di sequestro. Il servizio di Giuseppe D’Amato:

 

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Una campana ha risuonato nel momento dell’inizio della strage; quindi, dieci lunghi minuti di silenzio. Così Beslan ha ricordato la tragedia di due anni fa. In precedenza, degli studenti, con una camicia bianca, avevano lasciato volare in cielo 332 palloncini, uno per ciascuna delle vittime dell’azione terroristica. La palestra della scuola è stata riempita di fiori e di bottiglie d’acqua. Un monumento è stato inaugurato per l’occasione. “La tragedia di Beslan rimarrà un evento doloroso per tutto il Paese”, questo il commento del presidente Putin in un incontro con il patriarca di Mosca, Alessio II. Varie manifestazioni sono state organizzate in tutta la Russia. Nella capitale un gruppo di difensori dei diritti umani si è radunato nei pressi del Palazzo della Lubianka, sede dei servizi segreti. Qui, dopo aver protestato per la mancanza di chiarezza nelle indagini, è venuto a contatto con le truppe speciali. Decine di persone sono state fermate.

 

Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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E’ di sei poliziotti uccisi il bilancio di due scontri tra forze dell’ordine e militanti islamici avvenuti la scorsa settimana in Algeria. Ne ha dato notizia la stampa algerina. Quattro agenti hanno perso la vita in un agguato teso a un convoglio della polizia nella foresta di Adekar, a est di Algeri. La zona è considerata una roccaforte del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC). Due, invece, sono state le vittime di un conflitto a fuoco a Ouled Hamza, vicino a Medea, a sud della capitale. Solo il 31 agosto è scaduta l’amnistia garantita dal governo algerino ai militanti che avessero deciso di consegnare le armi e arrendersi. Il GSPC non ha aderito all’appello delle autorità, che avrebbero voluto così aprire la strada a una pacificazione nazionale.

 

Le truppe dello Sri Lanka hanno conquistato la città orientale di Sampur, utilizzata dai separatisti Tamil per lanciare i loro attacchi contro il porto di Trincomalee. Lo ha annunciato stamani il ministro per la Pianificazione, Keheliya Rambukwella. Sampur è la principale postazione di artiglieria dei guerriglieri, situata proprio davanti alla base navale e aerea delle forze armate governative.

 

Prevista per questa settimana la ripresa dei colloqui di pace tra governo filippino e rappresentanti del Fronte Moro Islamico di Liberazione, il più grande movimento separatista del Paese.  Sul tavolo dei negoziati, che riprenderanno a Kuala Lumpur, in Malesia, dopo una brusca interruzione a giugno e una nuova ondata di combattimenti, la necessità di porre fine a un conflitto in atto da oltre 40 anni e che ha provocato 120 mila vittime circa. Ma nelle regioni meridionali delle Filippine non sono cessati i combattimenti. Cinque soldati dell’esercito sono morti durante violenti combattimenti all’alba con presunti membri del gruppo terrorista Abú Sayyaf, nella regione di Mindanao.

 

Una forte scossa di terremoto ha colpito nella notte diverse isole dell’Indonesia orientale. Il sisma, con epicentro nelle isole di Kai, nel distretto meridionale delle Molucche, aveva un’intensità di 6,1 gradi della scala Richter. Al momento non si hanno notizie di vittime o danni materiali.

 

Il passaggio dell’uragano John sulla penisola della Bassa California, nel nord-ovest del Messico, ha provocato inondazioni e quattro persone risultano disperse. Circa 5 mila turisti stranieri sono stati evacuati verso gli Stati Uniti.

 

Isole Canarie ancora al centro delle cronache di sbarchi di migranti. All’alba, sull’arcipelago spagnolo sono sbarcati 227 migranti, facendo così salire a oltre 2500 il flusso di persone arrivate da giovedì. Una situazione senza precedenti, secondo il  quotidiano spagnolo El Pais.

 

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