RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 246 - Testo
della trasmissione di domenica 3 settembre 2006
IL
PAPA E
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
A
Port Moresby, in Papua
Nuova Guinea, ucciso un missionario cattolico, fratel
Augustine Taiwa
Nuovo drammatico sbarco di
immigrati in Sicilia: almeno 9 i morti
La missione di Kofi Annan in Iran: il presidente iraniano ribadisce il suo
rifiuto alla sospensione dei progetti nucleari
3 settembre 2006
ALL’ANGELUS
BENEDETTO XVI PROPONE SAN GREGORIO MAGNO, PAPA DEL MEDIOEVO, COME MODELLO PER I
PASTORI E LE AUTORITA’ CIVILI DEL TERZO MILLENNIO:
HA
VISSUTO IL POTERE COME SERVIZIO,
IN UNA
SINTESI DI CONTEMPLAZIONE E AZIONE
“La vita del pastore d’anime deve essere una sintesi equilibrata
di contemplazione e di azione”: è quanto ha detto il Papa oggi all’Angelus a Castel Gandolfo ricordando la memoria
odierna di San Gregorio Magno, Papa. Una figura - ha detto – che è modello sia
per i pastori della Chiesa che per i pubblici amministratori. Quindi rivolto ai
pellegrini tedeschi ha detto di non vedere l’ora di incontrare i suoi
connazionali nel suo ormai prossimo viaggio in Baviera. Il servizio di Sergio Centofanti.
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Un Papa del Medioevo, esempio per i pastori della Chiesa e
per i pubblici amministratori del Terzo Millennio. Benedetto XVI tratteggia la
“figura singolare” di San Gregorio Magno, vissuto dal 540 al 604: prefetto di
Roma a soli 30 anni, poi
monaco, quindi Papa. “Come funzionario imperiale si distinse per capacità amministrativa
ed integrità morale”, come monaco fu scelto dal
Papa come suo rappresentante presso
l’Imperatore d’Oriente, mantenendo sempre “uno stile di vita monastico,
semplice e povero”. Infine acclamato come Vicario di Cristo – sottolinea
Benedetto XVI – “cercò in ogni modo di sfuggire a quella nomina, ma dovette
alla fine arrendersi e, lasciato a malincuore il chiostro, si dedicò alla comunità,
consapevole di adempiere a un dovere e di essere un
semplice ‘servo dei servi di Dio’ ”:
“Non è veramente umile - egli scrive - colui
che capisce di dovere stare alla guida degli altri per decreto della volontà
divina e tuttavia disprezza questa preminenza. Se invece è sottomesso alle
divine disposizioni e alieno dal vizio dell’ostinazione ed è già prevenuto con
quei doni coi quali può giovare agli altri, quando gli viene
imposta la massima dignità del governo delle anime, egli col cuore deve
rifuggire da essa, ma pur contro voglia deve obbedire” (Regola pastorale, I, 6).
San Gregorio – rileva inoltre il Papa - guardò alle
invasioni barbariche con spirito fiducioso:
“Con profetica
lungimiranza, Gregorio intuì che una nuova civiltà stava nascendo dall’incontro
tra l’eredità romana e i popoli cosiddetti ‘barbari’, grazie alla forza di
coesione e di elevazione morale del Cristianesimo. Il monachesimo si rivelava una ricchezza non solo per
“Di salute cagionevole ma di forte tempra morale – ha
ricordato il Papa - san
Gregorio Magno svolse un’intensa azione pastorale e civile”. Famosa la riforma
del canto liturgico, che dal suo nome fu detto “gregoriano”:
“La vita del pastore
d’anime deve essere una sintesi equilibrata di contemplazione e di azione,
animata dall’amore che ‘tocca vette altissime quando
si piega misericordioso sui mali profondi degli altri. La capacità di piegarsi
sulla miseria altrui è la misura della forza di slancio verso l’alto’ ” (II, 5).
Dopo l’Angelus il Papa, rivolto ai pellegrini tedeschi, ha
affermato di non vedere l’ora di incontrare i suoi connazionali durante l’ormai
prossimo viaggio in Baviera; e ai fedeli italiani che gli facevano gli auguri
ha detto improvvisando:
“Grazie per questi
auguri per il mio viaggio. Sabato prossimo parto per
Commentando poi il Vangelo odierno ha esortato i fedeli
alla purezza del cuore, non accontentandosi di ascoltare
“Cari amici, alla
scuola di Maria Santissima siate fedeli discepoli di Gesù e conducete a Lui i
vostri coetanei”.
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Stamani, alle 8.30, il Papa ha celebrato
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3 settembre 2006
CONTINUANO
IN LIBANO LE OPERAZIONI DI SBARCO DELLE TRUPPE ITALIANE
-
Interviste con il ministro Arturo Parisi
e con Matteo Ragni -
Proseguono oggi le
operazioni di sbarco del contingente italiano sulle coste libanesi. Più della
metà degli 850 militari inviati dal governo Prodi si sono oramai attestati sul
litorale di Tiro. Gli altri 1600 soldati dell’operazione Leonte
dovranno arrivare nelle prossime settimane insieme ai contingenti di Francia,
Spagna, Portogallo e di quattro Paesi asiatici che hanno annunciato il loro
sostegno al rafforzamento della missione ONU. Una missione di pace pericolosa, ma giusta, secondo il ministro della difesa
italiano Arturo Parisi che ha ribadito l’equidistanza
dell’Italia rispetto alle parti in conflitto. Adriana Masotti ha chiesto allo
stesso ministro Parisi come la missione si concilia
con la Costituzione italiana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione
dei conflitti tra gli Stati:
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R. – Certo, ho definito questa missione una missione che
si prospetta lunga, rischiosa, costosa e quindi impegnativa e tuttavia
doverosa. La sua doverosità, per noi, deriva appunto
dal mandato che è stato scritto nel DNA della nostra Repubblica, che è la
Costituzione, che ci chiede di ripudiare la guerra ma allo stesso tempo di
impegnarci attivamente per la pace, sostenendo e cedendo parte della nostra
sovranità alle organizzazioni internazionali che perseguono questo scopo.
Perciò noi riteniamo questa missione ‘giusta’, perciò ci sentiamo chiamati ad
intervenire ovunque la pace sia a rischio ma innanzitutto nelle aree a noi
prossime che chiamano anche la nostra consapevolezza sulle conseguenze
immediate per il nostro Paese che derivano da situazioni che si dovessero
determinare o che si determinano nelle sponde di quel mare che un tempo i
romani chiamavano “Mare nostrum”.
D. – Quanto è disposta, signor ministro, l’Italia a pagare
sulla propria pelle questa scelta?
R. – Noi abbiamo fatto una scelta, e la scelta è quella di
conferire il nostro contributo – il che significa il nostro contingente e anche
un contributo in mezzi – ad un’iniziativa che ha carattere internazionale. Non
è una missione italiana, quella che in questo momento è in campo, ed è perciò
che noi riteniamo a rischio la vita di tutti gli uomini che sono impegnati in
questa missione, ma soprattutto individuiamo il maggior rischio in un eventuale
fallimento che non potrebbe che coinvolgere il giudizio sulla capacità dell’ONU
di essere il punto di riferimento delle iniziative di pace. Tuttavia, noi abbiamo
fatto e ri-facciamo questa scommessa, perché riteniamo che l’ONU sia l’unico
mezzo che è associabile alla categoria della speranza.
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Se il dispiegamento delle forze internazionali prosegue
con questi ritmi Israele potrebbe ritirare tutti i suoi uomini dal sud del
Libano entro 10-14 giorni. A riferirlo il quotidiano israeliano Haret’z. Ma come vede la popolazione libanese l’arrivo dei
militari italiani? Ascoltiamo, al microfono di Luca Collodi, Matteo Ragni,
volontario dell’AVSI, ONG italiana che da 10 anni opera in Libano con progetti
sanitari, di sviluppo agricolo e di sostegno a distanza dei bambini:
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R. – E’ molto contenta. Il ricordo degli italiani nella
precedente missione umanitaria è ancora molto vivo ed è molto positivo. Poi,
l’Italia era il primo partner commerciale del Libano, quindi la vicinanza tra
il Libano e l’Italia è molto forte.
D. – Che cosa si aspetta la popolazione da questi uomini
in divisa?
R. – Si aspetta un aiuto a ricostruire, a mantenere il
Libano un Paese bello e indipendente.
D. – Di cosa c’è bisogno sul piano umanitario per aiutare
queste persone?
R. – L’AVSI, durante la guerra, ha sostenuto dei rifugiati
nel Nord del Libano e poi nei sobborghi di Beirut. Adesso, una buona parte di
questi rifugiati stanno rientrando nel Sud del Libano, ma
molti villaggi sono stati distrutti oppure le case sono state danneggiate.
Speriamo che la ricostruzione possa iniziare presto. Per il momento, quello che
l’AVSI sta facendo è distribuire dei kit igienici per ripulire le case, perché
le tracce dell’occupazione israeliana sono molto forti, nelle case e nella
gente. Spesso le famiglie sono rimaste anche per giorni nella stessa casa con
soldati israeliani …
D. – Che tipo di rapporti state attuando con la Caritas?
R. – In particolare, nei settori della Caritas del Sud si
sta cercando di avere notizie dei bambini sostenuti a distanza attraverso
l’AVSI. Fortunatamente, ad oggi, sono stati ritrovati quasi tutti i bambini e
quelli che mancano sono probabilmente in famiglie che sono uscite dal Libano
durante la guerra.
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INIZIA
DOMANI AD ASSISI IL MEETING INTERNAZIONALE
PROMOSSO
DALLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO A 20 ANNI DALLA STORICA
“GIORNATA
MONDIALE DI PREGHIERA PER LA PACE”
CONVOCATA
DA GIOVANNI PAOLO II
-
Interviste con Andrea Riccardi e mons. Giuseppe
Chiaretti -
Inizia domani ad Assisi il Meeting Internazionale promosso
dalla Comunità di Sant’Egidio a 20 anni dalla storica
“Giornata mondiale di preghiera per la pace” convocata da Giovanni Paolo II
nella città di San Francesco il 27 ottobre 1986. L’incontro, che durerà due
giorni, si svolge sul tema “Per un mondo di pace, religioni e culture in
dialogo”. Partecipano i rappresentanti delle principali religioni di tutto il
mondo. Sono previste 16 tavole rotonde, dibattiti e momenti di preghiera. Sul
messaggio di questo incontro Fabio Colagrande ha
sentito il prof. Andrea Riccardi, fondatore della
Comunità di Sant’Egidio:
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R. – Vogliamo dire che la guerra è una sconfitta delle religioni ma è sempre anche una sconfitta dell’umanità. La
guerra è una sconfitta per l’umanità perché gli uomini vengono
uccisi. Credo che le religioni debbano assumersi questa sconfitta e interrogarsi
su come possano far crescere un uomo pacifico e soprattutto come possano fare
crescere una cultura di pace, di tolleranza, di incontro. Come possano
sottrarsi alla grande tentazione che è quella di ‘sacralizzare’
la guerra. In questo nostro tempo, le religioni possono essere acqua che spegne
il fuoco della guerra ma anche benzina sul fuoco della guerra! Poi affioreranno
altri temi in questa edizione di Assisi: ci sarà il dialogo con i laici che per
noi, soprattutto europei e cristiani, è molto importante. Il dialogo con la
cultura laica rappresenta un filone del pensiero umanista con cui misurarsi. Ci
sarà anche il tema dell’Africa: verrà il presidente Blaise Compaoré del Burkina
Faso a parlare in apertura proprio perché noi
riteniamo che anche la frontiera africana - anche se se
ne parla di meno - è una frontiera su cui le religioni si devono impegnare
contro quella violenza che è la violenza delle guerre civili ma anche la
violenza della povertà, quella che Michel Camdessus chiama la “violenza dell’economia”.
D. – Professor Riccardi, per
chiudere volevo chiederle i suoi auspici per il Meeting e la Giornata di
preghiera che stiamo per vivere ad Assisi?
R. – La mia speranza è che gli uomini di religione
incontrandosi siano sempre più consapevoli che devono essere testimoni di pace,
questa è la mia speranza. Noi dobbiamo costruire una nuova civiltà che non è
l’una o l’altra civiltà ma è la civiltà del vivere insieme e in questo le
religioni hanno un grande compito. E credo che le Chiese cristiane, la Chiesa
cattolica abbia un suo specifico compito.
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Ma che significato ha per la Conferenza episcopale umbra
questo ritorno ad Assisi 20 anni dopo?
Fabio Colagrande lo ha chiesto a mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia:
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R. – Credo che sia un ritorno anche atteso, non è soltanto
il ricordo di una giornata indimenticabile per quello che avvenne. Una giornata
in cui al centro era il tema “la pace” e a considerare questo argomento erano
persone di tutte le religioni. Fu la prima volta che avvenne questo incontro
interreligioso e fu un incontro di preghiera perché tutti si trovarono
d’accordo nella necessità di pregare quel Dio in cui ognuno credeva a suo modo,
di pregarlo perché davvero la pace è un suo dono. Fu una giornata significativa
nel senso che anche le armi tacquero al fronte quel giorno, almeno quasi dappertutto.
E’ come se ci fosse stato un mondo sospeso in attesa
di un evento che tutti auspicavano come un grande dono del Cielo. Quella
giornata è rimasta indimenticabile anche nella consapevolezza della gente per cui tornare a riviverla quest’anno, sia per lo meno un
richiamo in questi tempi anch’essi tristi per le guerre che sono in corso, sia
un richiamo a questo desiderio profondo di pace.
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SI
CHIUDE OGGI, A LOYOLA, IN SPAGNA, CON UNA SANTA MESSA,
L’ANNO
DI CELEBRAZIONI DEDICATE A SANT’IGNAZIO PER I 450
ANNI DALLA MORTE.
A
PRESIEDERE
-
Intervista con padre Juan Miguel
Arregui -
Si concludono oggi a Loyola, in
Spagna, le celebrazioni per i 450 anni dalla morte di Sant’Ignazio
di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù insieme con San Francesco Saverio e il Beato Pierre Favre. Una solenne
liturgia eucaristica è stata presieduta oggi, nel santuario della città che ha
dato i natali a Sant’Ignazio, dal cardinale Roger Etchegaray. Tiziana Campisi ha chiesto al provinciale dei gesuiti di Loyola, padre Juan Miguel Arregui, un bilancio di
quest’anno ignaziano:
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R. – Per noi è stato un modo per
rilanciare due temi molto importanti: il tema della spiritualità e soprattutto
degli esercizi spirituali, per poter mostrare alla gente cosa siano gli
esercizi spirituali: un incontro con Dio, un cercare il discernimento. Questo mi pare che è stato un aspetto importante. Accanto a questo c’è stato
anche il tema della missione di San Francesco Saverio, quella spiritualità che
porta ad una missione, una missione aperta a tutto il mondo, alle diverse
culture, con diversi problemi, anche interculturali, interreligiosi.
D. – Quale messaggio, in particolare, è riemerso
quest’anno di Sant’Ignazio?
R. – Quello di trovare la motivazione nella missione della
Compagnia e dei primi compagni, che è stata quell’esperienza
di Dio attraverso gli esercizi spirituali. In questa cultura molto difficile
per la religione ed anche per
D. – C’è qualcosa che lei ha potuto osservare, vedere, che
l’ha stupita particolarmente quest’anno?
R. – Stiamo vivendo una situazione che ci mostra come le
chiese sono ogni giorno più vuote e questo è molto
doloroso per noi. Ma quest’anno, le celebrazioni erano piene di gente: molta
gente che è arrivata ha pregato e ha partecipato davvero ai riti. Mentre si ha
la sensazione che la società si sta allontanando da Dio, d’altra parte cerca
Dio e cerca un qualcosa di spirituale nella vita. Quest’anno è arrivata tanta
gente che si era allontanata un po’ da Dio. Questo mi colpisce perché vedo che
c’è tanta gente in fondo che cerca un’esperienza spirituale.
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PARTE DOMANI SU RAI DUE LO SPOT DI “30 ORE
PER LA VITA”,
UN
PROGETTO DEI SALESIANI DEL VIS
PER
RIDARE SPERANZA AI BAMBINI IN DIFFICOLTA’
-
Interviste con Rita Salci e Antonio Raimondi -
“Fai il grande, salva un bambino”. E’ lo spot di “30 Ore
per la Vita”, in onda su Rai 2 dal 4 all’8 settembre. Interamente dedicata
all’infanzia negata, l’iniziativa benefica punta quest’anno a sostenere 24
progetti del VIS, il Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, per sostenere
i bambini in difficoltà in tutto il mondo. La raccolta fondi
si protrarrà fino al 31 dicembre 2006. Antonella Villani
ha intervistato Rita Salci, presidente di “30 ore per
la Vita”:
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R. – Sono oltre un miliardo i bambini che non dispongono
di nessuno dei beni necessari per sopravvivere e per crescere e svilupparsi
normalmente. Quindi è chiaro che questo significa
studiare, in vari Paesi, quelle che sono le carenze principali. Qui in Italia,
abbiamo in qualche modo puntualizzato la situazione con la chiusura degli istituti
per minori che avverrà il 31 dicembre 2006. In questo caso, l’affido deve diventare
la risposta per le migliaia di bambini che aspettano una famiglia così come dei
centri di accoglienza che possano permettere, intanto la prima accoglienza, e
poi per creare le condizioni di un futuro affido.
D. – Di qui l’appoggio per nuovi 11 centri distribuiti sul
territorio nazionale …
R. – Ci sono 11 progetti che coprono un po’ tutto il
territorio nazionale: dalla Lombardia al Piemonte, la Sicilia, la Toscana, la
Puglia, la Liguria, la Campania, il Lazio, la Sardegna, il
Friuli e speriamo che possano diventare dei progetti modello.
D. – Quest’anno, al contrario delle scorse edizioni, viene dato grande spazio ai progetti anche esteri …
R. – E’ una particolarità di questa
edizione 2006 di “30 ore per la Vita”. D’altron-de, la tematica
dell’infanzia abbandonata, significa i bambini in stato d’abbandono a cui è stata negata la parte più bella della vita; credo
che in tanti Paesi del mondo, purtroppo, è un’emergenza che non si può ignorare.
Quindi i progetti rivolti all’estero addirittura sono due di più di quelli che
ci auguriamo di realizzare in Italia. I salesiani potranno accogliere e
sostenere i bambini di strada, i bambini orfani della guerra, i bambini
abusati, i bambini sfruttati.
La raccolta fondi sarà destinata ai progetti
proposti dalle case salesiane raccolti sotto un unico programma dal nome
“Progetto di accoglienza, affido e sostegno a favore di minori”; adolescenti in
condizioni di abbandono e disagio, lavoro minorile, abusi, bimbi soldato e
bimbi immigrati sembrano problemi che riguardano soprattutto l’estero ma se si
guarda la situazione in Italia si scopre che non è così, come sottolinea
Antonio Raimondi, presidente del VIS:
R. – Il divario tra ricchi e poveri sta aumentando e
questo aumento non è soltanto fra il cosiddetto nord e sud del mondo, ma anche
nel nord del mondo la forbice aumenta fra chi ha di più e chi ha purtroppo
sempre meno possibilità. Ritornando in Italia, noi abbiamo sacche di disagio,
pensiamo ai bambini lavoratori, pensiamo ai ragazzi che vengono
assoldati dalla criminalità organizzata.
D. – Per l’Italia avete previsto 11 progetti in
altrettante città italiane. Qual è il filo comune?
R. – Ridargli la speranza; già per un adulto che ha
sbagliato bisogna cercare comunque di recuperarlo alla vita sociale ed
economica in generale, figuriamoci quando parliamo di minorenni.
D. – Per quanto riguarda l’estero, lì i progetti sono
molto vari?
R. – In questo caso si cerca di ridare speranza. Bisogna
essere attenti perché bisogna sempre cercare di rispettare le autorità locali,
bisogna rispettare le usanze, le tradizioni. Però dobbiamo sempre capire che i
diritti umani, in particolare i diritti dei bambini adolescenti, sono uguali in
tutto il mondo.
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SI
SVOLGE OGGI A VITERBO LA TRADIZIONALE FESTA DI SANTA ROSA
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Interviste con mons. Lorenzo Chiarinelli e Raffaele Ascenzi -
Oggi, 3 settembre, si celebra a Viterbo, nel Lazio,
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(musica)
Lottò contro la guerra tra guelfi e
ghibellini scatenata a Viterbo da Federico II, lottò contro la
malformazione fisica, ossia la mancanza assoluta dello sterno, che le minava il
corpo ogni giorno, lottò contro la povertà della sua città. Una vita non
facile, quella di Santa Rosa, morta a soli 18 anni, nel 1251. Una vita breve, ma segnata dal miracolo: nel 1252, il suo corpo venne
riesumato ed apparve intatto, con la ghirlanda di rose che le copriva la fronte
ancora fresca. E a distanza di 7 secoli, la forza del suo insegnamento è ancora
attuale, come spiega il vescovo di Viterbo, mons. Lorenzo Chiarinelli:
R. – Rosa ha il carisma della fedeltà al Vangelo; il
Vangelo è un messaggio che ci parla della paternità di Dio e della fraternità
umana in Cristo. Questo dato una fanciulla lo ha incarnato nella sua vita e lo
ha proclamato e la testimonianza di una fanciulla credo
che sia di un profumo e di una suggestione che non ha tempo. In Rosa vedo il
coraggio per vivere e cioè, di fronte ad una città dilaniata, una fanciulla
inerme che ha fatto la sua parte. Questo è il coraggio: l’avere assunto la
responsabilità del vivere e del dare risposta, credo che sia un esempio
ricchissimo, anche per l’oggi.
Per ricordare la traslazione del corpo della Santa dalla
Chiesa di Santa Maria del Poggio al Santuario a lei dedicato, avvenuta il 4
settembre del 1258, ogni
anno a Viterbo viene trasportata
R. – Mi sono ispirato principalmente alla città perché è
un progetto che comunque deve rispecchiare l’architettura cittadina, per cui ci sono vari elementi che si riferiscono proprio a
Viterbo, come il progetto del Palazzo papale che è posto sui tre ordini di ali
che si apriranno. Oppure, alla base ci sono dei leoni che fanno parte dello stemma
della città.
“Per Santa Rosa, avanti!”: questo il grido con cui il capofacchino dà il via al trasporto della Macchina. Il
percorso, di circa
R. – Tutti per uno e uno per tutti! E poi: “Evviva Santa
Rosa!”.
(musica)
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SI CHIUDE OGGI A FIRENZE
DEDICATA
AL CANTO GREGORIANO
-
Interviste con mons. Paolo Rosati e Federico Bardazzi
-
Tre giorni dedicati al canto
gregoriano, quale connubio esemplare di musica e preghiera: si chiude oggi a
Firenze la quarta edizione di Incontri Internazionali – “In Canto Gregoriano”,
la manifestazione ideata e proposta dalla Prepositura del Duomo della città. Il
servizio di Francesca Fialdini:
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(musica)
R. – Pur essendo un canto che ha una sua caratteristica
aristocratica nel senso che non è più conosciuta la lingua e anche la forma
musicale è un po’ lontana da quelle che sono le espressioni moderne. Tuttavia
ha un suo fascino, un fascino spirituale e anche se non tutti comprendono la
lingua, però con un sussidio adeguato, non c’è dubbio che si sperimenta che
anche l’uomo moderno, in qualche modo, gusta il fascino di questa preghiera
cantata che ha le sue radici nell’antichità cristiana.
Ma per scoprire quali particolarità e quali intenzioni
muovono a questa quarta edizione, sentiamo il direttore artistico, Federico Bardazzi:
R. – Le caratteristiche artistiche sono strettamente
collegate all’esigenza di offrire l’opportunità di un messaggio cristiano che
la musica può sviluppare come emozione, come riflessione dentro ogni persona
che possa accostarsi a questi nostri eventi che proponiamo. Ci sono degli
equivoci rispetto, per esempio, a quelli che facilmente vengono
chiamati “i turisti nelle città d’arte”. Queste persone vedono affreschi che
parlano della vita di Cristo, che parlano di contenuti teologici, spirituali.
Ecco, il canto gregoriano dovrebbe inserirsi in questo tentativo di parlare a
queste migliaia di persone proprio di quello che siamo noi. Il suono del canto
gregoriano è un suono in simbiosi tra testo e musica ed è in simbiosi anche con
lo spazio come può essere la Basilica di San Lorenzo a Firenze che è anche
riverberazione nello spirito interiore di ogni persona che ascolta.
(musica)
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IL
FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA RICORDA IL PADRE GESUITA
NAZARENO
TADDEI, CRITICO CINEMATOGRAFICO E STUDIOSO DEI MASS MEDIA,
SCOMPARSO
NEL GIUGNO SCORSO
-
Intervista con mons. Dario Viganò -
A metà del suo percorso, mentre si susseguono proiezioni,
incontri e dibattiti, la Mostra del Cinema di Venezia ha voluto questa mattina
ricordare, con un apposito Convegno, la figura e l’opera del gesuita padre
Nazareno Taddei, scomparso nel giugno scorso: critico
cinematografico, studioso e teorico delle comunicazioni di massa, per primo
portò la celebrazione della Santa Messa in televisione. Il servizio è di Luca
Pellegrini.
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“Tutto è provvidenziale”, amava ripetere nei suoi ultimi
anni. E padre Nazareno Taddei l’aveva sperimentata
spesso, la Provvidenza, anche nei momenti di maggior sconforto, come quelli
vissuti all’indomani di dolorose incomprensioni, dovute alla sua sincera amicizia
per Fellini ed al suo apprezzamento per “La dolce
vita”. Si era nel 1960, il contesto ecclesiale, culturale e mediatico
d’allora era certamente diverso da quello in cui oggi si trovano
ad operare tanti sacerdoti e religiosi, che portano con entusiasmo e generosità
il Vangelo di Cristo nelle attuali culture, anche quelle più difficili e lontane.
Si nota, dunque, la poltrona vuota lasciata quest’anno da padre Taddei alla Mostra del Cinema di Venezia, che giustamente
lo ha voluto ricordare questa mattina. E’ stato descritto, nei diversi interventi,
proprio come uno studioso, ed a suo modo un missionario, che, in anticipo sui
tempi, aveva voluto fondare il Centro internazionale dello spettacolo e della
comunicazione sociale, insieme alla rivista di educazione audiovisiva Edav e allo Schedario cinematografico, una fonte preziosa
per la ricerca.
Ma padre Taddei non soltanto
studiava e scriveva: operava, diciamo così, anche sul campo della
cinematografia, intessendo rapporti di amicizia e professionali con tanti
registi, tra i quali vanno menzionati oltre che Fellini,
Blasetti e Pasolini. Aveva,
inoltre, intuito l’enorme potere comunicativo di Internet, dopo aver sfruttato
la televisione con le sue Messe trasmesse sul piccolo schermo. Insomma, una
figura importante che l’Ente dello Spettacolo, nel novembre dello scorso anno,
aveva insignito di uno speciale riconoscimento. E proprio il Presidente
dell’Ente, mons. Dario E. Viganò, che ha partecipato
al convegno veneziano insieme ad altri stimati critici
e ricercatori, ha delineato ai nostri microfoni l’importanza della figura e
della presenza di padre Taddei nel mondo del cinema:
“Padre Taddei è una figura
storica molto importante all’interno della critica cinematografica; importante
è soprattutto ricordare il secondo convegno del Festival del cinema del 1966,
quando padre Taddei presentò di
fatto il suo metodo e da lì in poi, con il bagaglio precedente e
soprattutto con l’entusiasmo che aveva, ha costituito un punto di riferimento
per generazioni e generazioni di critici nel mondo del cinema”.
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3 settembre 2006
IN
OCEANIA, UCCISO UN MISSIONARIO CATTOLICO: FRATEL AUGUSTINE TAIWA
È
STATO COLPITO A MORTE CON UNA LANCIA D’ACCIAO MENTRE
ERA ALLA GUIDA
DI UN
FURGONE. IGNOTE LE CAUSE DELL’AGGRESSIONE
PORT
MORESBY. = Stava guidando un furgone quando è stato
raggiunto da una lancia d’acciaio che lo ha colpito a morte. È spirato così fratel Augustine Taiwa, appartenente ai Fratelli di San Giovanni di Dio,
detti anche ‘Fatebenefratelli’, con sede ad Aitape e Wewak, in Oceania.
L’aggressione, di cui si ignorano le cause, è avvenuta il 28 agosto scorso, nei
pressi di Port Moresby,
capitale della Papua Nuova Guinea. Come riportato dall’agenzia Fides, il
missionario, 40 anni, originario della Nuova Britannia
Orientale, è stato colpito vicino all’Istituto Xavier di Bomana,
dove negli ultimi tre anni aveva ricoperto l’incarico di Coordinatore dei corsi
pastorali. In stretto contatto con la popolazione locale, fratel
Augustine non temeva affatto di essere ucciso.
Secondo alcune fonti, l’aggressore ha lanciato l’arma contro il veicolo ed ha
colpito il missionario alla testa. Soccorso immediatamente, il missionario è
stato trasportato d’urgenza all’ospedale di Port Moresby, dove è stato dichiarato morto. La cattura del
responsabile del delitto,
già noto alla polizia locale, e di altri due complici, sarebbe
imminente. L’assistente della vittima, Suor Mariah Koae, ha detto che l’aggressione ha scioccato le
istituzioni, che hanno condannato l’accaduto. (I.P.)
SENZA
SOSTA IL FENOMENO IMMIGRAZIONE IN ITALIA E SPAGNA: STRAGE NEL CANALE DI
SICILIA, 8 MORTI DURANTE UNA TRAVERSATA. NELLA PENISOLA IBERICA
SBARCO
RECORD DI 800 EXTRACOMUNITARI SULLE COSTE DELLE ISOLE CANARIE
PORTOPALO
DI CAPO PASSERO. = Otto immigrati sono morti nei giorni scorsi, durante una
traversata nel Canale di Sicilia, e i loro corpi sono stati gettati in mare dai
compagni di viaggio. È questo il racconto che 19 extracomunitari provenienti
dalla Libia, dopo 12 giorni trascorsi in mare senza cibo né acqua, hanno fatto
ieri agli uomini della guardia costiera di Portopalo
di Capo Passero, nei pressi di Siracusa, in Sicilia, appena giunti in terra
ferma. I clandestini sono stati soccorsi a circa 60 miglia a sud-est delle
coste siracusane. Uno di loro, con principi di
ustioni di secondo grado, è morto nella notte nell’ospedale di Noto, dove sono
stati ricoverati altri suoi tre compagni di viaggio. Nelle ultime ore, tre
cadaveri sono stati recuperati in mare a circa 5 miglia da Lampedusa, grazie
all’intervento della Capitaneria di Porto. Secondo gli investigatori, due dei
corpi ritrovati potrebbero
appartenere ai clandestini morti nel naufragio avvenuto nel Canale di Sicilia
lo scorso 18 agosto, in cui persero la vita dieci extracomunitari e 40
risultarono i dispersi. E gli sbarchi continuano anche nella Penisola Iberica:
oltre 800 clandestini sono arrivati ieri sulle coste delle isole Canarie, dove
nel solo mese di agosto sono giunti 5 mila immigrati subsahariani.
Un’ondata definita “inarrestabile”
dal ministro dell’Interno spagnolo Alfredo Perez Rubalcaba, mentre proprio nei giorni scorsi il vicepremier, Maria Teresa Fernandez
de la Vega, ha chiesto aiuto all’Unione Europea,
recandosi in missione a Bruxelles e ad Helsinki, capitale della Finlandia,
attualmente alla presidenza dell’UE. Il Commissario europeo per la Giustizia,
libertà e sicurezza, Franco Frattini, ha annunciato
ieri che rivolgerà un appello ai Paesi dell’UE perché dimostrino “tanta
solidarietà con la Spagna così come hanno fatto con in
Libano”. Nel mese di settembre, inoltre, è previsto a Madrid un vertice dei
ministri dell’Interno europei. (A.Gr.)
“LA DEMOCRAZIA HA BISOGNO DELLE RELIGIONI”: COSÌ IERI IL
PATRIARCA
DI VENEZIA, CARDINALE ANGELO SCOLA, INTERVENUTO AL MEETING
AMBROSETTI
IN CORSO A CERNOBBIO, NEL NORD ITALIA. RIBADITE ANCHE
LA CENTRALITÀ DELL’UOMO NELL’ECONOMIA E L’IDENTITA’
CRISTIANA DELL’EUROPA
- A
cura di Isabella Piro -
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CERNOBBIO. = Le
religioni sono la forza della democrazia. Questo, in sintesi, il messaggio
lanciato dal cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, intervenuto ieri al
meeting Ambrosetti in corso a Cernobbio,
in provincia di Como, nel nord Italia. “Ad una sana democrazia –ha sottolineato
il porporato– non basta una religione civile, né è di
alcuna utilità una religione ridotta nel privato. Ciò di cui vive è un
riconoscimento pieno delle fedi personali e della loro appartenenza comunitaria”.
La democrazia, ha aggiunto il Patriarca di Venezia, “ha bisogno delle religioni,
che siano anche soggetto pubblico per offrire a tutti, senza privilegi, proposte
di vita valide sia sul piano personale che sul piano sociale”. In questo
contesto, il cardinale Scola ha quindi ribadito che “uno Stato laico autentico
non è in conflitto con le religioni, ma si pone di fronte ad esse
in un confronto dialogico e di riconoscimento”, perché “nessun governo può
produrre cittadini morali, ma, al contrario, sono i cittadini morali, spesso
ispirati dalle religioni, a favorire la democrazia”. Il Patriarca di Venezia si
è poi soffermato sulla mescolanza di civiltà e culture in corso nella società
moderna: questo “meticciato”, ha detto, esige, da una
parte, che le religioni creino il terreno di un interscambio diretto fra loro,
“uno spazio di dialogo in cui possano giocare un ruolo nel discorso pubblico
sui valori di civiltà”. Dall’altra
parte, però, c’è l’esigenza che il potere politico, nei confronti delle
religioni, passi da un atteggiamento di tolleranza passiva ad “un’apertura
attiva” che non limiti l’importanza pubblica della religione alla sfera del
Concordato. Per la crescita della società italiana, occorre quindi una nuova
laicità, in cui lo Stato sappia riconoscere “il peso
del rapporto della verità con la libertà”, in particolare con la libertà di
coscienza, e sappia regolare positivamente gli aspetti conflittuali del
pluralismo civile. Infine, in una successiva conferenza stampa, il cardinale
Scola ha analizzato il rapporto tra uomo ed economia: “Senza capitale umano –ha
detto– non c’è economia che tenga. Nel concetto
stesso di lavoro è implicito il senso del vivere”. E il legame con il tema
della persona rimanda anche al concetto dell’identità cristiana dell’Europa, quell’Europa che “non sarebbe nata così com’è se non avesse
introiettato il concetto di persona”. Per questo, ha
concluso il cardinale Scola, “il cristianesimo non è morto, ma è fortemente presente ed è una risorsa per il futuro. Perché
senza il mistero della Trinità, il concetto di ‘persona’ non sarebbe mai
passato in Europa”.
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PER AIUTARE I BAMBINI LIBANESI, OCCORRONO 5
MILIONI DI DOLLARI:
È
L’APPELLO LANCIATO IERI DALL’ORGANIZZAZIONE ‘SAVE THE CHILDREN’.
IL
PERICOLO PIÙ GRAVE È RAPPRESENTATO
DAGLI
ORDIGNI INESPLOSI, SPESSO SCAMBIATI PER GIOCATTOLI
ROMA. = La tregua in Libano non ha posto fine alle
sofferenze dei bambini libanesi. Per aiutarli, occorrono 5 milioni di dollari.
L’allarme arriva da ‘Save the Children’,
l’organizzazione internazionale per le difesa e la
promozione dei diritti dei minori. Il pericolo più grave per i piccoli del
Libano, si legge in un comunicato diffuso ieri, è rappresentato dagli ordigni
inesplosi, in particolare le bombe a grappolo, spesso colorate e scambiate per
giocattoli. In due settimane, dall’inizio del cessate il fuoco, già tre bambini
sono morti a causa di questa trappola esplosiva. Inoltre, ribadisce ‘Save the Children’, molti dei
minori che vivono come sfollati nei campi di accoglienza, mostrano chiari
sintomi di stress e disagio psicologico. A tutto questo, si aggiunge la
distruzione dell’ambiente a loro familiare, come le case e le scuole. Secondo
le autorità libanesi, infatti, durante il conflitto sono stati colpiti oltre 50
istituti scolastici e più di 300, soprattutto nel sud del Paese, sono
inagibili, rendendo impossibile, almeno fino ad ottobre, la normale ripresa
delle lezioni. Per questo, ‘Save
the Children’ sta allestendo 80 aree sicure dove
circa 5mila bambini potranno impegnarsi in attività ricreative ed educative,
con il supporto psicologico e sociale di molti esperti. (I.P.)
STA
BENE, MA È ANCORA NELLE MANI DEI RAPITORI, PADRE SAAD SIROP HANNA,
IL SACERDOTE
SEQUESTRATO IN IRAQ IL 15 AGOSTO. NEI GIORNI SCORSI,
IL
RELIGIOSO HA CONTATTATO TELEFONICAMENTE
IL
PATRIARCA DI BABILONIA DEI CALDEI, SUA BEATITUDINE EMMANUEL DELLY III
BAGHDAD.
= “Sono padre Sirop, sto bene in salute e sono nelle
mani degli uomini che mi hanno rapito”: questo il breve colloquio telefonico
che si è svolto una settimana fa tra padre Saad Sirop Hanna, il sacerdote
cattolico della Chiesa caldea rapito il 15 agosto a
Baghdad, in Iraq, e il Patriarca di Babilonia dei Caldei,
Emmanuel Delly III. Lo ha detto ieri all’agenzia
MISNA lo stesso Patriarca, precisando che non ci sono dubbi sul fatto che fosse
padre Sirop a parlare al telefono, poiché ha
accennato al tema della sua tesi di laurea. Al termine della telefonata, ha
detto il Patriarca, i rapitori avevano assicurato che l’ostaggio sarebbe stato
rilasciato immediatamente, ma da allora non si hanno più sue notizie. Secondo
un deputato iracheno, il sacerdote si troverebbe ora nelle mani di altri
sequestratori. Inoltre, alcune indiscrezioni raccolte in ambienti religiosi e
non ancora confermate, sostengono che, nel corso degli ultimi contatti, i
rapitori avrebbero avanzato “richieste politiche” non
meglio definite. Negli ambienti cristiani di Baghdad, la preoccupazione per la
sorte di padre Hanna continua a crescere, poiché
nessuno degli altri religiosi sequestrati finora in Iraq è rimasto in ostaggio
per più di 24 ore. Lo scorso 19 agosto, anche Benedetto XVI ha chiesto la
liberazione del sacerdote. In un telegramma a firma del cardinale segretario di
Stato, Angelo Sodano, e indirizzato a Sua Beatitudine Emmanuel Delly III, il Papa ha rivolto “un accorato appello ai
rapitori affinché il giovane sacerdote possa essere rilasciato immediatamente”
e possa così “tornare a servire Dio, la comunità cristiana e i suoi
concittadini”. Il Pontefice, si legge nel telegramma, esprime inoltre la sua
“vicinanza spirituale” alla Chiesa e al popolo iracheno, così duramente provato
e rivolge un pensiero a “tutte le vittime dei rapimenti” in Iraq, pregando
affinché questo “terribile flagello” possa avere fine. (I.P.)
IN UN
DOCUMENTO FIRMATO DAI LEADER RELIGIOSI DELLA CHIESA DI GERUSALEMME L’INVITO A
RIFIUTARE LE DOTTRINE DEL SIONISMO MODERNO CRISTIANO
GERUSALEMME. = Una dichiarazione sul sionismo moderno
cristiano, una corrente che si è andata affermando fra le confessioni cristiane
degli Stati Uniti, è stata firmata lo scorso 22 agosto dal patriarca latino di
Gerusalemme Michel Sabbah,
insieme ai leader di altre Chiese cristiane locali. Nel documento, riferisce
l’agenzia ZENIT, si rifiutano categoricamente le dottrine del sionismo
cristiano come falsi insegnamenti che corrompono il messaggio biblico di amore
e giustizia. “Il sionismo cristiano – si legge nel testo – è un moderno
movimento teologico e politico che adotta le più estreme
posizioni ideologiche del sionismo, a scapito della giusta pace fra palestinesi
e Israele … il programma sionista ha una visione del mondo per cui il Vangelo è
identificato con l’ideologia dell’impero, il colonialismo e il militarismo.
Nella sua forma estrema, pone enfasi negli avvenimenti apocalittici che
conducono alla fine della storia più che a vivere l’amore di Cristo e la
giustizia oggi”. I firmatari della dichiarazione lanciano infine un appello a
tutti “a liberarsi delle ideologie del militarismo e dell’occupazione”. (T.C.)
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3 settembre 2006
- A cura di Andrea Cocco -
E’ proseguita questa mattina la visita del segretario
generale delle Nazioni Unite Kofi Annan
in Iran. In programma l’incontro con il presidente della Repubblica islamica Ahmadinejad, che ha ribadito
il proprio rifiuto a sospendere il programma di arricchimento dell’uranio. Il
servizio di Andrea Cocco.
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La questione
nucleare da un lato, il sostegno di Teheran a Hezbollah in Libano dall’altro. Questi gli obiettivi della
missione di Annan in Iran. Sul programma per
l’arricchimento dell’uranio impoverito portato avanti dalla Repubblica islamica
nonostante l’ultimatum dell’ONU, si è tornato a discutere oggi dopo che Annan aveva ribadito ieri di voler seguire la linea morbida
richiamando la comunità internazionale alla pazienza. “Il presidente iraniano
mi ha assicurato di voler negoziare per trovare una soluzione alla crisi” ha
detto Annan appena uscito dal colloquio di stamane con Ahmadinejad. Ma
puntuale è giunto anche il rifiuto del governo iraniano a sospendere l’attività
di arricchimento dell’uranio. Sul nucleare la prossima settimana il negoziatore
iraniano dovrà incontrare il capo della diplomazia europea Javier
Solana. Ma il compito più difficile sarà convincere
Washington che ha ribadito ieri per voce del suo ambasciatore all’ONU, Jhon Bolton di voler applicare sanzioni
contro Teheran anche senza una risoluzione del Consiglio
di Sicurezza. Sul Libano, il presidente iraniano ha invece confermato pieno
sostegno all’attuazione della risoluzione 1701 che ha
sancito la tregua tra Hezbollah e Israele. “In
Libano” ha detto Annan “l’Iran può svolgere un grande
ruolo per la pace”. Quanto a Hezbollah, il commento
iraniano è giunto dal portavoce del ministro degli esteri di Teheran, che ha definito “illogica” l’idea di disarmare il
gruppo armato.
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E’ stato annunciato questa mattina
l’arresto del numero due di Al Qaeda
in Iraq, Hamad Jama al-Saedi. Le autorità irachene, che hanno fermato l’uomo alcuni
giorni fa, assicurano si tratta di uno dei vice di Al Zarquawi, ucciso a giugno da militari statunitensi. L’uomo
è ritenuto responsabile di alcuni degli attentati più sanguinosi compiuti
nell’ultimo anno. Sul terreno sono proseguite le violenze, con l’uccisione di
due militari statunitensi a Baghdad e l’assassinio nella città meridionale di
Amara di un rappresentante dell’ayatollah al-Sistani,
la massima autorità religiosa per gli sciiti in Iraq.
Il contingente della
NATO in Afghanistan prosegue l’offensiva militare iniziata ieri nel sud
del Paese con l’obiettivo di prendere il controllo del distretto di Panjwayi, considerato un bastione della guerriglia talebana. Si tratta della più imponente operazione da quando la NATO ha preso il comando strategico per
l’Afghanistan meridionale. “20 combattenti talebani sono stati uccisi
dall’inizio delle operazioni”, ha dichiarato il comandante Luke
Knittinh, portavoce della forza multinazionale. Ma
vittime si registrano anche nelle file della NATO. 14
militari britannici sono morti ieri sera per l’impatto al suolo di un aereo di
ricognizione precipitato, si pensa, a causa di un guasto. Per il governo di
Londra, che ha già aperto un’inchiesta per far luce sull’accaduto, si tratta
della più grave perdita militare dall’inizio delle operazioni in Afghanistan.
Continuano a essere considerate un segreto di Stato
le condizioni cliniche di Fidel Castro, il leader
cubano ricoverato dallo scorso luglio. Venerdì la
televisione cubana ha trasmesso le immagini di un Castro sorridente che
accoglie il presidente venezuelano Hugo Chavez. Il servizio di Luis
Badilla.
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Chávez è stato ricevuto all'aeroporto da
Raul Castro che, da un mese, ha in mano il potere delegatogli dal fratello dopo
l’operazione. Come nel primo video-tape diffuso il 14 agosto scorso, giorno
della prima visita di Hugo Chávez,
si vede il leader cubano, prima disteso sul letto della clinica e poi seduto
mentre scrive, sotto gli occhi attenti del collega venezuelano. Castro è
apparso un pò più scavato nel volto ma abbastanza
vigoroso. "Fidel si sta riprendendo bene",
ha annunciato il leader venezuelano a migliaia di sostenitori, durante un
comizio a Caracas con cui ha dato ufficialmente inizio, venerdì pomeriggio,
alla campagna elettorale per le presidenziali del 3 dicembre prossimo.
"Questa mattina", ha riferito Chavez alla
folla, "abbiamo parlato per un paio d'ore. Insieme a
Raul Castro abbiamo analizzato la situazione internazionale”. Il governante
venezuelano si riferiva in particolare al Vertice dei Paesi non-allineati che
si terrà a Cuba dall’11 al 16 settembre. Tra i due
governanti esiste un ampio consenso in favore di un “rafforzamento significativo”
del movimento e, in questo senso, desiderano che il summit serva anche per
“accrescere il suo senso dell’identità e di appartenenza”. Il vice Ministro
degli Affari esteri cubano, Abelardo Moreno, ha confermato pochi giorni fa che
l’elaborazione del documento finale si trova ormai nella sua fase finale e che
ribadirà i principi cardini del Movimento. La dichiarazione conclusiva avrà alcuni
capitoli specifici riguardati 3 aree di cooperazione multilaterale: sanità, alfabetizzazione, e risparmio energetico. Al summit del
Movimento, formato attualmente da 116 Paesi, saranno presenti almeno 50 Capi di
Stato o di Governo, oltre 3mila delegati ministeriali, centinai di esperti e
2mila giornalisti. Il Movimento dei non-allineati, che dal 16 settembre sarà
preseduto da Cuba, è nato nel lontano 1961, e allora aveva lo scopo di
raggruppare le nazioni che si schieravano, almeno apertamente, né con la NATO né col Patto di Varsavia.
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Si è risolta con un decreto di grazia e la
scarcerazione, il giallo del diplomatico sloveno arrestato in Darfur dalle autorità sudanesi. Tomo Kriznar,
l’inviato speciale del presidente sloveno in Darfur,
era stato condannato a due anni di carcere con l’accusa di spionaggio e
ingresso illegale nel Paese. A pesare su di lui erano stati soprattutto una serie
di articoli, in cui Kriznar criticava il comportamento
dell’esercito governativo in Darfur accusandolo di
aver usato la propria aviazione per bombardare villaggi e città. Il presidente
sloveno è da tempo impegnato con iniziative di mediazione e umanitarie per tentare
di trovare una soluzione al conflitto in Darfur. Eppure, sul piano diplomatico la difficile
situazione per la pace in Darfur non accenna a
sbloccarsi. Ieri la Lega Araba ha definito precipitosa la decisione del
Consiglio di Sicurezza dell’ONU di inviare un contingente di caschi blu nella regione.
Approvata lo scorso giovedì, la risoluzione 1706 prevede l’invio di un
contingente di pace formato da 17.300 soldati, ma, per diventare operativa,
deve essere approvata dal governo sudanese che continua a respingerla.
In Somalia, le
Corti islamiche chiedono al governo di transizione un riconoscimento formale e
la divisione del potere. “Le vittorie ottenute sul terreno danno alle Corti islamiche
tutto il diritto di formare un governo di sua scelta” ha dichiarato ieri,
all’apertura dei colloqui di pace che si svolgono in Sudan, il portavoce del
movimento che controlla Mogadiscio e parte del territorio somalo. “Ma dal
momento che abbiamo buone intenzioni riconosciamo la legittimità del governo di
transizione”. Segni di apertura giungono anche da parte dell’esecutivo, con il
desiderio espresso dal capo della delegazione governativa a una “pace duratura”
e in grado di “unire tutti i somali”. Secondo molti osservatori i colloqui di Karthoum, iniziati a giugno sotto l’egida della Lega Araba,
costituiscono un passo importante verso la pacificazione del Paese, dove dal
1991 a oggi la guerra civile ha provocato tra i 300 mila e i 500 mila morti.
Almeno otto militari turchi sono
stati uccisi in una serie di operazioni messe a segno dai guerriglieri del
disciolto PKK, il partito dei lavoratori curdi. Il
bilancio delle ultime 24 ore è salito dopo il decesso di uno dei soldati feriti
per l’esplosione sabato di una mina piazzata dai ribelli nei pressi di Dicle, cittadina dell’Anatolia meridionale. Quest’anno
l’intensificarsi delle tensioni nella Turchia Orientale ha già provocato la
morte di almeno 98 militanti del PKK e di 74 militari.
Si è conclusa con successo la
missione spaziale europea Smart-1, una sonda che come previsto si è schiantata
sulla Luna alle 7.42 di questa mattina. Smart-1 era stata lanciata il
27 settembre 2003 e aveva raggiunto l'orbita lunare nel novembre 2004. L’impatto di questa mattina
conclude una missione scientifica di 16 mesi che ha sperimentato tecnologie
avanzatissime destinate ad avere un ruolo importante nelle future missioni
spaziali.
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