RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 299 - Testo
della trasmissione di giovedì 26 ottobre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
In
mostra a Vicenza la scultura lignea russa: intervista con il prof. Carlo Pirovano
CHIESA E SOCIETA’:
In vigore da oggi, in India, la nuova legge sulla protezione
delle donne dalle violenze domestiche
Una mostra, in corso a Roma, racconta la storia e le
tradizioni delle varie regioni italiane
Morti e disordini in Iraq, mentre Bush e il presidente iracheno esprimono diversi punti di
vista sulle strategie da adottare
26 ottobre 2006
L’UNIONE
EUROPEA SI IMPEGNI PER PROMUOVERE LA PACE,
DIFENDERE LA VITA UMANA E FAVORIRE POLITICHE
DI INTEGRAZIONE
DEGLI
IMMIGRATI: E’ L’ESORTAZIONE DI BENEDETTO XVI AL NUOVO AMBASCIATORE
DEL
BELGIO PRESSO LA SANTA SEDE, RICEVUTO STAMANI IN VATICANO
PER LE
LETTERE CREDENZIALI
L’Europa deve continuare ad impegnarsi nelle grandi sfide
del pianeta, a partire dalla pace e dal dialogo tra culture e religioni: è il
richiamo di Benedetto XVI, contenuto nel discorso al nuovo ambasciatore belga
presso la Santa Sede, Frank De Coninck,
ricevuto stamani in Vaticano per la presentazione delle Lettere credenziali. Il
Papa si è soffermato sulla sacralità della vita sempre più oggetto di attacchi
da parte del pensiero soggettivista. Quindi, ha messo l’accento su politiche di
immigrazione che rispettino sempre la dignità
dell’essere umano. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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L’Europa è diventata una forza economica, ma anche “un
segno di speranza per molti”. E’, quindi, necessario che assuma un ruolo per
favorire la pace, specie in situazioni drammatiche, come Terra Santa ed Iraq,
ma anche in Africa ed Asia. E’ l’esortazione di Benedetto XVI che nel suo
discorso all’ambasciatore belga ha ribadito che “la comunità internazionale e
specialmente l’Unione Europea si mobilitino con determinazione in favore della
pace, dello sviluppo e del dialogo tra le nazioni”. Quindi, ha voluto
“assicurare l’impegno risoluto della Santa Sede” “in favore della pace e dello
sviluppo”. Né ha mancato di lodare l’impegno del Belgio nelle missioni di pace,
specie in Africa centrale.
Un’altra sfida per il Belgio e l’Europa, ha affermato, è
“l’avvenire dell’uomo e della sua identità”, di fronte alla “liberalizzazione
dei costumi che ha considerevolmente relativizzato quelle norme che sembravano
intangibili”. Oggi, è stato il suo richiamo, nelle società occidentali
“caratterizzate dalla sovrabbondanza dei beni di consumo e dal soggettivismo
l’uomo si confronta con una crisi di senso”. In alcuni Paesi, ha rilevato, sono
state approvate leggi che “rimettono in causa il rispetto della vita umana dal
suo concepimento alla morte naturale”. Ancora, c’è il rischio che si utilizzi
la vita come “un oggetto di ricerca e sperimentazione”, attentando così “alla
dignità fondamentale dell’essere umano”.
La Chiesa, ha detto il Pontefice, vuole “richiamare con
forza ciò in cui crede a proposito dell’uomo e del suo destino prodigioso,
dando a ciascuno la chiave di lettura dell’esistenza e delle ragioni per
sperare”. In tale contesto, ha fatto riferimento ad una missione
dell’episcopato belga che inizierà tra pochi giorni. Un’iniziativa volta a
riaffermare che la dignità dell’uomo è “una frontiera morale invisibile davanti
alla quale il progresso tecnico si deve inchinare”. D’altro canto, ha ricordato
anche l'impegno dei vescovi del Belgio in favore dello sviluppo delle cure
palliative, “al fine di permettere a quanti lo desiderano di morire nella
dignità”. La Chiesa, ha ribadito, vuole servire tutta la società “indicando le
condizioni di un vero avvenire di libertà e dignità per l’uomo”. Ha, perciò,
invitato i responsabili politici a misurare le proprie “gravi responsabilità”
quando affrontano tali questioni.
Si è, infine, soffermato sul tema del dialogo
interreligioso e dell’immigrazione. Oggigiorno, ha constatato, la presenza
sempre più numerosa di immigrati provenienti da differenti culture e religioni
“rende assolutamente necessario” il dialogo, come “sottolineato nel recente
viaggio apostolico in Baviera”. E’ doveroso, ha esortato il Papa, “approfondire
la propria conoscenza reciproca, rispettando le convinzioni religiose di
ciascuno e le legittime esigenze della vita sociale conformemente alle leggi in
vigore” nel rispetto della loro dignità. Per questo, ha detto ancora, va
adottata “una politica di immigrazione che sappia conciliare gli interessi
propri del Paese d’accoglienza e il necessario sviluppo dei Paesi meno
sviluppati”. Serve una politica, ha specificato, sostenuta “da una volontà di
integrazione che non lasci sviluppare situazioni di rifiuto o di illegalità,
come rivelato dal dramma dei sans-papiers”. Si eviterà così il rischio di un “nazionalismo
esacerbato o della xenofobia” e si potrà favorire “uno sviluppo armonioso delle
nostre società per il bene di tutti i cittadini”.
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L’ambasciatore Frank De Coninck è nato a Blankenberge nel
1945. E’ sposato ed ha tre figli. Laureato in Lettere e Filosofia ha intrapreso
la carriera diplomatica nel 1975. E’ stato ambasciatore a Kigali
e Kinshasa e direttore generale del ministero degli Affari Esteri. Dal 2002 al
2006 ha rivestito l’incarico di Gran Maresciallo della Corte.
TALORA INTERESSI ECONOMICI E POLITICI IMPEDISCONO ALLA FORZE ARMATE
DI SVOLGERE
ESCLUSIVO SERVIZIO DI DIFESA E SICUREZZA,
PONENDO
OSTACOLI PURE AL PROCESSO DI DISARMO:
COSI’
IL PAPA NEL DISCORSO AGLI ORDINARIATI MILITARI
Come realizzare un “servizio di pace tra le armi”: ne ha
parlato Benedetto XVI ricevendo stamane in udienza i
partecipanti al Convegno internazionale degli Ordinariati militari, accompagnati
dal cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi,
che presiede i lavori in corso fino a domani in Vaticano. Servizio di Roberta
Gisotti:
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“Il valore della persona e il valore della pace” – ha
richiamato il Papa - sono i cardini dell’assistenza spirituale dei militari,
così come è stata delineata 20 anni fa da Giovanni Paolo II nella Costituzione
apostolica Spirituali militum
curae, “alla luce del Concilio Vaticano II, tenendo conto delle trasformazioni
riguardanti le Forze armate e la loro missione sul piano nazionale e
internazionale”. Ma i tempi pongono pure nuove sfide:
“In verità, negli
ultimi decenni lo scenario mondiale è ulteriormente mutato. Perciò il Documento
pontificio, pur conservando piena attualità perché l’orientamento pastorale
della Chiesa non cambia, esige di essere sempre meglio adattato alle necessità
del momento presente”.
Riprendendo quanto indicato nella Costituzione conciliare Gaudium et spes, Benedetto XVI ha ricordato che quanti “prestano
servizio militare” possono considerarsi come “ministri della sicurezza e della
libertà dei popoli”, perché se adempiono il loro dovere rettamente, concorrono
anch’essi alla stabilità della pace”. Da qui il richiamo a tutti i pastori cui
sono affidati i militari:
“Pertanto, esorto
tutti voi a far sì che i Cappellani militari siano autentici esperti e maestri
di quanto
Il tema della pace – ha spiegato il Santo Padre -
“costituisce un aspetto essenziale della dottrina sociale della Chiesa”, con
“radici antichissime”, in crescendo nell’ultimo secolo. E “questo “insistente
richiamo alla pace – aggiunge - ha influito sulla cultura occidentale
promuovendo l’ideale che le Forze armate siano a
servizio esclusivo di difesa e di sicurezza e della libertà dei popoli”. Ma non
sempre questo accade:
“Purtroppo talora
altri interessi – economici e politici – fomentati dalle tensioni
internazionali, fanno sì che questa tendenza costruttiva trovi ostacoli e
ritardi, come traspare anche dalle difficoltà che incontrano i processi di
disarmo”.
La Chiesa – ha concluso il Papa – continuerà dall’interno
del mondo militare ad offrire il proprio servizio per formare le coscienze,
certa, che
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SANTA MESSA PRESIEDUTA DAL PAPA IN SAN PIETRO
NELLA FESTA DI TUTTI I SANTI
In occasione della Solennità di Tutti i Santi,
mercoledì prossimo primo novembre, il Santo Padre celebrerà alle ore 10
ALTRE
UDIENZE
Nel corso della mattinata
il Santo Padre ha ricevuto l’arcivescovo di Dublino Diarmuid
Martin, insieme all’arcivescovo emerito cardinale Desmond Connell ed altri quattro
presuli della Conferenza episcopale di Irlanda, in visita ad Limina Apostolorum
RINUNCIA
In Gran Bretagna, il Papa ha accettato la rinuncia
all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Liverpool, presentata da mons. Vincent Malone, per sopraggiunti
limiti di età.
SVILUPPO SOSTENIBILE E QUESTIONI AMBIENTALI AL
CENTRO DELL’INTERVENTO
DI
IERI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU DELL’OSSERVATORE PERMANENTE
DELLA
SANTA SEDE ALLE NAZIONI UNITE
Anche in contesti caratterizzati da una veloce transizione
e mutazione, “la nostra economia continua a fondarsi, essenzialmente, sulla
relazione con la natura”. E’ il richiamo dell’arcivescovo Celestino Migliore,
Osservatore permanente della Santa Sede all’ONU intervenendo ieri alla 61.ma Assemblea generale delle
Nazioni Unite. Il presule ha anche auspicato che le strategie in campo
energetico siano capaci di soddisfare i bisogni di
media e lunga durata e di tutelare la salute umana e l’ambiente. Il
servizio di Amedeo Lomonaco:
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Diversi sistemi che rendono possibile la sopravvivenza nel
mondo – ha spiegato l’arcivescovo Migliore - “sono stati irreparabilmente
guastati o distrutti”, rendendo in questi casi non praticabile
la via economica. Per questo – ha aggiunto - le preoccupazioni ambientali non
devono essere ritenute esterne o marginali rispetto all’economia, ma devono essere
considerate dai politici le basi su cui poggiano tutte le attività economiche.
L’adempimento degli impegni presi al Summit della Terra a Rio de Janeiro nel
1992, per la creazione di “pilastri economici, ambientali e sociali tesi ad uno
sviluppo sostenibile” – ha poi sottolineato mons. Migliore - è la risposta
minima richiesta. “Le conseguenze ambientali delle nostre attività economiche -
ha infatti avvertito il presule - sono le vere
priorità del mondo”. Quello ambientale – ha proseguito - non è solo un
“rilevante problema etico e scientifico”, ma anche una “questione politica ed
economica”.
Non si deve solo integrare lo sviluppo sostenibile in
programmi di riduzione della povertà e di crescita economica – ha quindi
osservato il presule - ma anche riflettere su “problemi ambientali nelle strategie
di sicurezza e su questioni umanitarie nei piani di sviluppo a livello
nazionale, regionale e internazionale”. La Comunità internazionale – ha
aggiunto - dovrebbe continuare ad approfondire “la comprensione dei
collegamenti tra pace e sviluppo umano”. Uno sviluppo – ha detto l’osservatore
vaticano – che deve comprendere maggiori investimenti in tecnologie più pulite,
prima che la bilancia ecologica sia capovolta da una “colpevole negligenza”.
Tra i vari segnali che rendono allarmante il degrado ambientale, il presule ha
evidenziato infine la desertificazione e la siccità, il deterioramento del settore
agricolo, dal quale dipendono soprattutto le popolazioni più povere e il sempre
più problematico accesso all’acqua, dovuto non ad una effettiva
mancanza ma spesso ad una non adeguata gestione delle risorse idriche.
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UN’INTUIZIONE
PROFETICA DI GIOVANNI PAOLO II VALIDA ANCORA OGGI:
COSI’, MONS.
VINCENZO PAGLIA SOTTOLINEA, AI NOSTRI MICROFONI,
L’IMPORTANZA
DELL’INCONTRO INTERRELIGIOSO PER LA PACE AD ASSISI,
DI CUI
DOMANI RICORRE IL 20.MO ANNIVERSARIO
“Far soffiare lo
spirito di Assisi tra banchi e lavagne”: è quanto propone Paola Bignardi, direttrice della rivista "Scuola Italiana
Moderna" e già presidente dell’Azione Cattolica. La Bignardi
ha lanciato stamani l’idea di una Giornata, ogni anno, in tutte le scuole,
dedicata al dialogo e all’incontro tra le religioni. La data dovrebbe essere
quella di domani, in ricordo del 27 ottobre 1986 quando
Giovanni Paolo II convocò proprio nella città di San Francesco un Incontro di
preghiera e digiuno per la pace con tutti i capi religiosi del mondo. Dunque,
lo “spirito di Assisi” soffia ancora con vigore a vent’anni di distanza da
quello storico evento. Per ripercorrere quella memorabile Giornata, Alessandro
Gisotti ha intervistato uno dei suoi protagonisti, il vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo
Paglia, cofondatore della Comunità di Sant’Egidio:
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R. – Il ricordo, anche dopo 20 anni, è particolarmente
vivo. Era un tempo storico molto diverso: il mondo era ancora diviso in due,
c’era la Guerra Fredda, c’era il pericolo nucleare … Ebbene, quell’evento segnò innanzitutto uno spartiacque, potremmo
dire per certi versi, perché per la prima volta nella storia, credenti di
diverse fedi si trovavano insieme. Non per mettere su uno stesso livello la
loro fede: no, non fu questo! Ma mettevano insieme la paura di una guerra
nucleare e nello stesso tempo il bisogno di rivolgersi in alto. Ed ecco perché
allora la preghiera fatta, ognuno secondo le proprie tradizioni religiose,
questa preghiera in qualche modo cercò di unire tutti i credenti perché
invocassero dall’alto quella pace che gli uomini non
sapevano darsi con le loro sole forze.
D. – Il 22 dicembre 1986, parlando alla Curia Romana, Papa
Wojtyla ribadì che “le differenze sono un elemento meno importante, rispetto
all’unità basilare dell’essere umano”. La Giornata di Assisi fu, in effetti,
un’intuizione profetica di Giovanni Paolo II …
R. – Esatto. Non c’è dubbio che ci furono
alcuni che dissentirono, ma quella intuizione di Giovanni Paolo II aveva la sua
radice nel Documento conciliare “Nostra Aetate”. Anzi, se così possiamo dire, la “Nostra Aetate”
è un documento scritto e l’Incontro di Assisi ne fu in qualche modo la
manifestazione visibile. La teologia presente in quell’evento
mostra, da una parte, l’origine comune di tutti gli uomini e, poi, la fine
della storia, quando tutti i popoli si ritroveranno attorno all’unico Signore.
La novità non fu quella di annullare le differenze: tutt’altro! La novità fu
che le differenze non erano motivo di scontro o, peggio, di guerra, ma si
comprese che le differenze potevano stare le une
accanto alle altre senza combattersi e senza confliggere.
D. – Il dialogo fra le religioni è un tema molto caro
anche a Benedetto XVI che lo declina con sensibilità e toni diversi dal suo
Predecessore, ma non per questo con meno convinzione …
R. – Ma non c’è dubbio, anzi: io ricordo che quando
Giovanni Paolo II volle decidere la fattibilità di questo incontro, chiamò
l’allora cardinale Ratzinger per un incontro dove
appunto definirono bene la qualità e le modalità di questo evento. Papa
Benedetto, fin dal primo giorno del suo Pontificato, non manca di ricordare
questa prospettiva. E poi, non c’è dubbio che nel messaggio per i 20 anni,
inviato all’Incontro di Assisi, appare chiara una cosa: l’importanza che non
fosse distorto ma che la Giornata di Assisi restasse nella sua cornice come
voluto da Giovanni Paolo II, perché la sua forza è proprio questa. Non cedere a
qualunque tipo di relativismo, ma rafforzare la propria fede per incontrarsi.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il discorso di Benedetto XVI al
nuovo ambasciatore del Belgio. Dinanzi alle situazioni drammatiche della Terra
Santa, del Libano e dell'Iraq - ha detto il Papa - la comunità
internazionale e specialmente l'Unione Europea si mobilitino con determinazione
per la pace, per il dialogo tra le Nazioni e per lo sviluppo.
Il discorso del Santo Padre al quinto Convegno internazionale
degli Ordinariati militari, promosso a vent'anni dalla Costituzione Apostolica
"Spirituali militum curae".
Servizio estero - Per la rubrica dell'"Atlante
geopolitico" un articolo di Giuseppe Fiorentino
dal titolo "Brasile: ballottaggio per eleggere il Presidente".
Servizio culturale - Un articolo di Franco Pelliccioni dal titolo "'Gioielli' sparsi e
dimenticati di grandiose ed effimere vetrine del mondo": a Parigi in cerca
delle vestigia delle esposizioni universali.
Servizio italiano - In primo piano il tema della
finanziaria.
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26 ottobre 2006
REGIONE
SUDANESE DEL DARFUR E LIBANO: AL CENTRO DELL’IMPEGNO
DELLA “CARITAS INTERNATIONALIS” CHE CONCLUDE
OGGI A ROMA
IL SUO
COMITATO ESECUTIVO
-
Intervista con Denis Vienot -
Si conclude, oggi, a Roma il
Comitato Esecutivo della “Caritas Internationalis”. Un
appuntamento importante, che tende a fare il punto della situazione sulle
principali crisi internazionali e sulle necessità di intervento nelle varie
regioni del mondo. Di primo piano l’impegno della confederazione in due realtà
tra le più difficili nell’attuale momento storico: la regione sudanese del Darfur ed il Libano. Lo conferma, al microfono di Salvatore
Sabatino, il presidente della “Caritas Internationalis”,
Denis Vienot:
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R. –
Caritas Internationalis est très active au Darfur, au Liban …
La Caritas Internationalis
è molto attiva in Darfur e in Libano. In Darfur, stiamo seguendo un programma piuttosto originale
nel contesto di insicurezza, e l’insicurezza sicuramente è un punto
fondamentale. Il programma è portato avanti dall’organizzazione cattolica della
Caritas e dalle organizzazioni protestanti. E’ un
programma ecumenico, su esplicita richiesta dei vescovi del Sudan che ci tengono
moltissimo a che, in questo Paese musulmano, le Chiese lavorino insieme. Si
tratta di un programma che riguarda gli sfollati. Ci sono due milioni di
sfollati, nel Darfur, e il programma che stiamo
seguendo riguarda circa 470 mila persone, ammassate in campi che sono
praticamente delle città. Questo programma consente al tempo stesso la
distribuzione del cibo fornito dal Programma alimentare mondiale, ma
soprattutto la sua funzione è quella di dispensario di assistenza medica, di
formazione scolastica, di attività economiche, di distribuzione di sementi agli
sfollati. In Libano, invece, dopo la prima fase dell’emergenza, nella scorsa
estate, quando la situazione era catastrofica, oggi ci troviamo piuttosto in
una fase di ricostruzione, ovviamente con un’attenzione privilegiata alle
comunità vittime dei bombardamenti nel Libano del Sud, in particolare alle comunità
cristiane. I nostri programmi sono attuati insieme alla Caritas
Libano e
D. – Avete avuto la collaborazione del governo libanese?
R. –
Caritas Liban vient de recevoir une decoration très officielle du gouvernement
…
Caritas Libano ha appena ricevuto una
decorazione ufficiale da parte del governo libanese, l’“Ordine del Cedro”. Ero
insieme al presidente della Caritas Libano, in quell’occasione, quando il presidente della Repubblica del
Libano ha consegnato la decorazione. E’ un simbolo, ovviamente. Ho incontrato
il primo ministro, che è un sunnita, mentre il presidente della Repubblica è
cristiano, e il presidente dell’Assemblea nazionale, che è sciita, ed ho potuto
constatare come nella società libanese, e questo da molto tempo, i cristiani e
D. – Come si prospetta il futuro del Libano?
R. –
Au Liban,
In Libano, il grande punto interrogativo per i cristiani è
l’equilibrio tra le comunità sunnite, sciite e
cristiane. Il numero dei cristiani, come in molti Paesi in Medio Oriente, è
molto diminuito in Libano: i cristiani libanesi, i maroniti e gli altri riti, i
latini, i siriani eccetera, vogliono veramente rimanere nel Paese e si presenta
una situazione un po’ particolare, perché ci sono queste fasce della
popolazione che in realtà collaborano bene e poi, a intervalli regolari, si
manifestano delle crisi. Nel Libano del Sud ho trovato una presenza molto forte
della Chiesa. Ho incontrato il vescovo greco-cattolico
del Libano del Sud, che è rimasto, che è lì da 20 anni, a dispetto di ogni
difficoltà.
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NELLA NOTTE, DUE AUTOBUS INCENDIATI NELLE
BANLIEUE PARIGINE, ALLA VIGILIA
DEL PRIMO ANNIVERSARIO DELL’INIZIO DEGLI
SCONTRI CHE PER TRE SETTIMANE
MISERO A
FERRO E A FUOCO LE PERIFERIE DELLE PRINCIPALI CITTÀ FRANCESI
- Intervista con Giuseppe Bettoni
-
Un altro autobus incendiato nelle banlieue
parigine, alla vigilia del primo anniversario dell’inizio degli scontri che per
tre settimane misero a ferro e a fuoco le periferie delle principali città
francesi. Nella notte, una decina di uomini con
passamontagna ha appiccato il fuoco a un autobus a Bagnolet,
proprio nel dipartimento Seine-Saint, dove erano
scoppiati i moti il 27 ottobre dello scorso anno. Un incidente
simile è avvenuto anche a Nanterre, ad ovest della
capitale francese. E non si può dimenticare che disordini
si sono verificati anche domenica scorsa a Grigny in
una zona a sud. Ma, in questo anno, qualcosa è
cambiato? Ci sono stati interventi a livello sociale? Fausta Speranza lo ha
chiesto a Giuseppe Bettoni, docente di geopolitica all’Università Roma Tre:
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R. – A parte una buona strategia di comunicazione,
condotta in maniera molto complessa sia da Zarkozy
che dai suoi oppositori, in realtà non ci sono stati cambiamenti significativi.
Non sono stati effettuati, in così poco tempo, dei cambiamenti strutturali per
certe banlieue a Parigi, anche perché si parla di interventi molto lunghi. Di
fatto, sul territorio, non è cambiato nulla che possa
essere evidentemente visibile per i cittadini di certi quartieri.
D. – Nemmeno in termini, per esempio, di presenza della
polizia o qualcosa del genere?
R. – La logistica della polizia è troppo complicata in
certe aree. Vi sono commissariati che chiudono alle quattro del pomeriggio. Vi
sono zone che non possono essere assolutamente frequentate, in cui il
commissariato non è visto di buon occhio. Nessun intervento è stato fatto,
proprio all’interno del corpo di polizia o di gendarmeria, che possa aver modificato il controllo del territorio. Si è
instaurato un certo tipo di dialogo, questo sì, ma il dialogo può in qualunque
momento sfuggire di mano se qualcosa si incendia. Avere instaurato un certo
tipo di dialogo non vuol dire avere affiancato dei cambiamenti strutturali,
ripeto, in certe banlieue. Questo non è assolutamente accaduto.
D. – La campagna elettorale, per le
presidenziali prima e poi per le legislative, è entrata ormai nel vivo.
Ci sono prese di posizione che riguardano la questione?
R. – Su questo argomento, precisamente, in realtà non c’è
nulla di concreto. Mi spiego meglio. Non esistono argomenti di campagna
elettorale direttamente collegati alla questione delle banlieue del 2005. Vi
sono prese di posizione rispetto al problema della cosiddetta frattura sociale,
ma è una vecchia storia di Chirac. Zarkozy e Ségolène Royal,
la sua eventuale concorrente socialista, stanno cavalcando un po’ il problema
sociale francese, lo scontento sociale francese, ma nulla che sia veramente collegato alla banlieue. Più che altro dovremmo
dire che esiste in Francia una certa divisione. C’è tutto il corpo sociale
francese, nel suo insieme, che non vive chiaramente nelle banlieue e poi vi
sono le banlieue. Di fatto, non interessa molto al mondo politico di
coinvolgersi direttamente in queste banlieue e quindi diventa difficile
gestirle da un punto di vista della comunicazione, quando ci sono i disordini.
Ma una volta che una cosa viene messa a tacere
interessa relativamente poco. Sono, infatti, cittadini che per la maggior parte
non spostano voti, perchè poi nell’insieme dell’elettorato francese sono pochi.
Quindi, c’è, tristemente, un certo disinteresse anche da parte della
cittadinanza che non vive nelle banlieue. E’ questo che permette al politico di
non curarsene direttamente.
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LA
SANTA SEDE E LA QUESTIONE EBRAICA: È IL TITOLO DEL VOLUME
CHE
RACCONTA L’IMPEGNO UMANITARIO DELLA
SANTA SEDE DI FRONTE
ALLE
PERSECUZIONI SUBITE DAGLI EBREI
- Ai
nostri microfoni Alessandro Duce, Giulio Andreotti,
il cardinale Achille
Silvestrini e Andrea Riccardi
-
La Santa Sede e la questione ebraica
(1933-1945). È il titolo dell’ultimo libro del prof.
Alessandro Duce, dell’Università di Parma, presentato ieri a Roma. Pubblicata
dalle Edizioni Studium - “
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(musica)
Al di là dei preconcetti sul
ruolo della Chiesa negli anni della tragica persecuzione nazista contro gli
ebrei. E’ il libro
R. – La Chiesa dell’epoca non è nella condizione di essere
una spettatrice indifferente e neanche una complice, ma è nelle condizioni di
essere perseguitata. La firma del Concordato non cambia questa situazione.
Dunque, l’aiuto che la Chiesa può dare agli ebrei è l’aiuto di un perseguitato,
non è l’aiuto di chi vive in condizioni normali né addirittura di un amico del
governo di Berlino. La chiarezza dottrinale è fuori discussione: condannato il
razzismo, condannato il totalitarismo ateo di ispirazione neo-pagana - il
ritorno ai culti, per esempio - condannata la dottrina razziale, contrapposta
quella cattolica cristiana a quella dei nazionalsocialisti. E dietro queste iniziative
c’è sempre Papa Pio XII.
D. – Di fronte a questo impegno della Santa Sede nei
tragici anni della persecuzione nazista agli ebrei, perché nel tempo si è
creata la cosiddetta “leggenda nera” di Pio XII?
R. – E’ legata al fatto che lui abbia parlato poco, esplicitamente,
della questione ebraica e della persecuzione. E dice: “Io so di avere parlato
poco. L’ho fatto per non aggravare le condizioni dei perseguitati”. Enorme,
invece, la crociata della carità che lui ed i suoi collaboratori sviluppano in
direzione di tutti coloro che sono colpiti dalla guerra e dunque anche degli
ebrei. Fra l’altro, lui stesso ne ospita parecchi in Vaticano.
Il
presidente del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Giorgio
Sacerdoti,
ha messo in parallelo l’atteggiamento della Chiesa all’epoca del nazismo e
''l'azione umanitaria, anche di molti laici, nei confronti dei singoli e delle famiglie''. A ricordare l’impegno di Papa Pacelli per
lenire le ferite laceranti di tutte le vittime della guerra è stato il senatore
a vita, Giulio Andreotti, che ha sottolineato come
tale sforzo sia stato riconosciuto anche dagli ebrei:
“Quando venne a Roma, Golda Meir fece degli elogi straordinari di quello che era stato
il comportamento di allora. Dopo, è cominciata tutta una tendenza polemica che
probabilmente non ha niente a che fare con la ricostruzione storica”.
E della sollecitudine della
Chiesa nei confronti delle comunità ebraiche perseguitate ci parla il cardinale
Achille Silvestrini, Prefetto emerito della Congregazione per le
Chiese Orientali:
R. – Questo libro mi sembra che metta in evidenza qualcosa
che non era abbastanza conosciuta: ciò che hanno fatto i Nunzi nei Paesi
satelliti dell’Asse; per esempio in Ungheria, Romania, Slovacchia, Croazia.
D. – Che ruolo emerge di Papa Pio XII?
R. – Soprattutto la sollecitudine
pastorale e caritativa verso tutti i perseguitati.
Un impegno testimoniato anche
dal prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità
di Sant’Egidio:
“E’ una Chiesa che ha lottato contro la disumanità della
guerra. Ci sono in queste pagine tanti personaggi da non dimenticare, come
mons. Burzio in Slovacchia e mons. Cassulo che in Romania lottò per gli ebrei. C’è poi
l’ospitalità della Chiesa agli ebrei di Roma”.
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QUESTA
SERA A SANTA MARIA DEGLI ANGELI A ROMA LA PROIEZIONE
DEL
FILM ‘IL GRANDE SILENZIO’, USCITO IERI IN DVD
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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Nell’affascinante atmosfera che il Cinema ha saputo
regalare alla Città di Roma è il turno del capolavoro cinematografico di Philip Gröning ‘Il grande silenzio’ al quale è stata assegnata
per la proiezione
R. – Credo che la società di oggi completamente immersa
nel baccano, nella musica a tutto volume, nel traffico e nella distrazione più
totale, possa ricavare da questo film una grande impressione di riscoperta
della propria interiorità. Secondo noi, l’uomo di oggi ha bisogno di riscoprire
le profondità della propria coscienza, del proprio spirito e di trovare tutti
quegli aspetti che il vivere quotidiano lascia un po’ ai margini. Questo grande
silenzio è uno stimolo profondissimo alla riscoperta di questa realtà interiore
dell’uomo.
D. - Questa pellicola può interessare anche i non
credenti?
R. – Interessa soprattutto coloro che non hanno
un’esperienza diretta, vicina, della fede perché scoprono ancora di più la
misteriosa vita di una comunità di frati, di certosini che, nella loro
semplicità, nel fascino della loro esperienza quotidiana, nella preghiera,
nella contemplazione e nella meditazione, offrono un esempio ancora più
scioccante e ancora più forte per un uomo che non crede.
D. - Il Papa ha detto, proprio in questi giorni, che solo
dal silenzio della contemplazione le parole hanno valore …
R. – Questa contemplazione dei frati certosini, la cui
vita noi vediamo rappresentata da questo documentario di Philip
Gröning, in effetti è un
silenzio, una contemplazione abitata, vissuta, dove la parola viene generata in
una maniera nuova perché il dialogo che c’è all’interno di questo tessuto
vitale, è assolutamente nuovo, profondo, inimmaginabile ed autentico. L’uomo,
anche il distratto, il non credente, percepisce che questa contemplazione
genera una parola completamente nuova e completamente insospettata.
D. - Quali immagini del documentario destano più impresse?
R. - Credo che le immagini che lasciano il segno profondo
nell’animo dello spettatore siano proprio quelle che riguardano la vita
quotidiana, i piccoli gesti di questi frati sospesi tra Dio e il mondo: il
taglio dei capelli al confratello, l’aggiustamento della tonaca, il momento di
avvicinamento al gatto. Questi sono gli aspetti che solitamente anche il
documentario più attento non ci ha dato della vita dei certosini. Conosciamo
naturalmente le loro liturgie, abbiamo ancora nelle orecchie i loro canti
gregoriani, però la vita di tutti i giorni, ciò che avviene dentro a questo
scrigno della presenza di Dio, ce l’ha svelato questo
film di Philip Gröning.
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UNA MOSTRA A VICENZA RIVALUTA IL VALORE
ARTISTICO E SPIRITUALE
DELLA
SCULTURA LIGNEA RUSSA
-
Intervista con il prof. Carlo Pirovano -
Rivalutare la
grandezza spirituale e artistica della scultura lignea russa, spesso
considerata “minore” rispetto alle più celebri icone: con questo intento, è
stata allestita nelle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari di Vicenza, la mostra
“Scultura lignea dalle terre russe, dall’antichità al XIX secolo”, aperta fino
al 5 novembre. Esposte oltre 60 opere, provenienti dai più importanti musei
della Russia, per rappresentare un genere, quello della scultura in legno, fondamentale all’interno degli spazi liturgici
dell’Oriente cristiano. Ce ne parla, al microfono di Roberta
Moretti, il curatore della mostra, il prof. Carlo Pirovano:
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R. – La civiltà
russa da sempre è stata legata alla tradizione del legno, proprio per la
struttura del territorio, per il modo di vivere. Le case erano fatte in legno,
gli utensili erano in legno e, in più, nella tradizione di tipo animistico,
soprattutto al nord, la raffigurazione degli spiriti era fatta attraverso
immagini in legno. Quando arriva il cristianesimo,
rimane questa abitudine di raffigurare attraverso il legno, soprattutto nella
casa. La stessa cosa avviene nelle chiese. Anche qui la decorazione, come
comunicazione di tipo emotivo, è fatta attraverso il legno.
D. – Ci fa un
esempio concreto di come avviene nella scultura lignea russa questo passaggio
al cristianesimo?
R. – Viene mantenuto il valore sacrale che il legno aveva,
tenendo presente – è questa l’operazione di trasformazione da parte del
cristianesimo – il racconto biblico. In origine i progenitori erano in un luogo
edenico e lì, ad un certo punto, è avvenuta la caduta. Quindi, da un albero si
è proteso il serpente e abbiamo avuto il peccato originale. Il recupero di
questa colpa è avvenuto nel momento in cui Cristo si è incarnato e
l’equivalenza di quell’albero del male iniziale è
stata proprio l’albero nuovo, che è quello della Croce, l’albero della
Passione.
D. – Ma perché
queste sculture lignee, che rappresentano
R. – Nella
tradizione russa, come del resto in tutta la tradizione ortodossa, l’artista
come personalità non esiste. Esiste un gruppo che lavora e che, però, deve
essere la manifestazione di una comunicazione globale, popolare. L’artista deve
fondersi nella sua opera, deve essere il tramite della Parola di Dio. Questo
spiega anche perchè c’è tanta incidenza nel voler mantenere la tradizione, che
non è un gusto stanco di ripetizione, al contrario: rispettando i prototipi si
tiene la comunicazione ad un livello di sicurezza teologica, morale, molto alta.
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26 ottobre 2006
SONO
300MILA I BAMBINI SOLDATO NEL MONDO: E’ QUANTO RIPORTA UN LIBRO
APPENA
PUBBLICATO DALLE NAZIONI UNITE, NEL QUALE SI RIFLETTE SULLA CONDIZIONE GIURIDICA
DEI PICCOLI COMBATTENTI
TOKYO. = I bambini soldato non possono essere giudicati dai
tribunali internazionali perché sono vittime e non criminali: è quanto
sostengono gli esperti delle Nazioni Unite che hanno appena pubblicato il testo
“Responsabilità penale internazionale e dritto dei minori”. Sono 300mila i
bambini soldato oggi nel mondo e vengono impegnati in
oltre 30 teatri di guerra. Molti hanno anche meno di sei anni e, fra questi
ultimi, il 40 per cento sono bambine. Di fronte ad una simile realtà, i ricercatori
dell’Università delle Nazioni Unite, un centro di ricerche dipendente dall’ONU
e dall’UNESCO e con sede a Tokyo, hanno voluto riflettere sullo status
giuridico dei piccoli combattenti e sulle loro responsabilità a livello
internazionale. “Costringere i bambini a partecipare a conflitti armati è una
delle azioni più odiose che esistano”, ha affermato Hans
Van Ginkel, rettore
dell’Università dell’ONU e sottosegretario generale delle Nazioni Unite.
Dunque, i bambini non possono essere perseguiti come un qualunque altro
criminale di guerra. D’altra parte, gli autori della pubblicazione sostengono
che una totale impunità dei baby soldato potrebbe
incoraggiare i comandanti militari ad affidare ai minori gli incarichi più
odiosi. In tal modo, la decisione di non perseguire i bambini rischierebbe di
esporli a pericoli maggiori piuttosto che proteggerli. Gli esperti suggeriscono
allora di esaminare singolarmente i casi riguardanti bambini, davanti a
commissioni per la riconciliazione o nell’ambito dei programmi di pace. (A.S.)
IN VIGORE DA
OGGI, IN INDIA, LA NUOVA LEGGE SULLA PROTEZIONE DELLE DONNE
DALLE VIOLENZE DOMESTICHE, ACCOLTA CON FAVORE
DALLA CONFERENZA EPISCOPALE INDIANA E DA ATTIVISTI PER I DIRITTI UMANI
NEW DELHI. = “Un passo giusto,
nella direzione giusta”. Così il presidente della Commissione per le donne
della Conferenza episcopale indiana, mons. John Baptist
Thakur, vescovo di Muzaffarpur,
ha definito la legge in vigore da oggi sulla “protezione delle donne dalle
violenze domestiche. “In India, gran parte delle donne - spiega il presule - è
povera e analfabeta e quindi vulnerabile e vittima di ogni violenza”. La nuova
legge – riferisce l’Agenzia Asia News – mira prima di tutto a proteggere le
donne all’interno delle proprie famiglie: mogli da soprusi dei mariti, ma anche
da violenze di altri uomini. Secondo dati forniti dal governo indiano, “il 70
per cento delle donne in India è vittima di violenze tra le mura di casa”.
Anche diverse organizzazioni per i diritti delle donne si dicono soddisfatti per
la nuova legge, ricordando però che a questa norma deve seguire “un cambiamento
di mentalità”. (A.L.)
DA 80 ANNI A SERVIZIO DELLA CHIESA E DELLA SOCIETA’
POLACCA:
SI CELEBRA IN QUESTI GIORNI L’80.MO ANNIVERSARIO
DALLA PRIMA PUBBLICAZIONE DI “NIEDZIELA”,
IL PIU’
DIFFUSO SETTIMANALE CATTOLICO IN POLONIA
CZESTOCHOWA. = “Annunciare all’uomo di oggi un
messaggio di speranza e di bene”: sono questi, nelle parole del redattore capo
mons. Ireneo Skubis, gli obiettivi con cui da 80 anni viene
pubblicata “Niedziela”, la rivista cattolica più
diffusa in Polonia e in tutti i Paesi dell’ex-blocco comunista. Era l’ottobre
del 1926 quando uscì, nella neonata diocesi di Czestochowa, il primo numero del settimanale “La domenica”
(“Niedziela” in polacco). Negli intenti del vescovo
di allora, si voleva creare un giornale vicino alla gente, che riportasse la
cronaca della vita della diocesi e servisse da aiuto pastorale per i parroci.
Considerando che la Polonia era tornata a essere uno
Stato unitario dopo la prima guerra mondiale, nei primi decenni di
pubblicazione “Niedziela” era finalizzata anche al
consolidamento dell’unità dei cattolici polacchi. Fino al 1939, il periodico veniva stampato in 8.000 copie e per la sola diocesi di Czestochowa. Da dopo la seconda guerra mondiale, la
tiratura salì a 94 mila copie e la diffusione del giornale divenne nazionale.
Nel 1953 il redattore capo della rivista venne
incarcerato e la redazione venne chiusa dalle autorità comuniste. La pubblicazione venne
ripresa solo nel 1981, dopo la rivoluzione di Solidarność.
Attualmente, il settimanale possiede un’edizione nazionale e 20 inserti
diocesani, con una tiratura che sfiora le 200 mila copie. La diffusione è ormai
mondiale, in quanto il settimanale viene inviato anche
negli Stati Uniti, dove risiede la più grande comunità di emigrati polacchi, e
a tutte le missioni polacche del mondo. (A.S.)
“IL CIBO E LE FESTE NELLA LINGUA E
NELLA CULTURA ITALIANA”: E’ QUESTO IL TEMA DELLA VI SETTIMANA DELLA LINGUA
ITALIANA NEL MONDO, DURANTE LA QUALE SONO PREVISTE INIZIATIVE PRESSO LE
AMBASCIATE E GLI ISTITUTI ITALIANI
DI CULTURA DI TUTTO IL MONDO
ROMA. = Promuovere il
folklore, le feste, le tradizioni e, quindi, la ‘cultura materiale’ italiana in tutto
il mondo: con questi obiettivi è in corso, fino al 29 ottobre, la VI Settimana
della lingua italiana nel mondo, promossa dal ministero degli Esteri, con il co-patrocinio
del ministero per gli italiani nel mondo e in collaborazione con l’Accademia
della Crusca e la Società Dante Alighieri. Seguendo il tema di quest’anno, “Il
cibo e le feste nella lingua e nella cultura italiana”, molteplici eventi sono
stati organizzati dalla rete diplomatico-consolare e dagli Istituti di cultura
italiani in ogni angolo del pianeta, dalla Francia al
Giappone, dalla Cina a Israele. Nel corso delle manifestazioni, viene dato risalto ai testi letterari che, dal 1200 a oggi,
hanno descritto le risorse enogastronomiche e le
feste popolari in Italia. Contemporaneamente, si dà spazio anche a dialetti e
registri linguistici differenti. Tra le iniziative, di particolare rilievo sono
i concorsi letterari indirizzati a studenti italiani e stranieri che frequentano
istituzioni scolastiche italiane all’estero. Molteplici anche le mostre,
ospitate presso ambasciate, consolati e istituti italiani di cultura, molte
delle quali dedicate all’evoluzione dell’arte culinaria italiana. Nelle
intenzioni degli organizzatori, gli eventi di questi giorni si propongono di
stimolare la riflessione sulle potenzialità della nostra lingua come strumento di
diffusione dell’immagine italiana all’estero. (A.S.)
UN VIAGGIO ATTRAVERSO L’ITALIA FRA MONETE, FRANCOBOLLI E
ALTRI OGGETTI
DA COLLEZIONE:
UNA MOSTRA, IN CORSO A ROMA, RACCONTA LA STORIA
E LE TRADIZIONI
DELLE VARIE REGIONI ITALIANE
ROMA. = Francobolli, monete, quadri, vecchie fotografie e
altri articoli da collezione che ricordino e valorizzino le regioni italiane.
Sono questi gli oggetti esposti presso la 10.ma Philtel Mostra Filatelica Numismatica Hobby, che quest’anno
ha come tema “La mia regione”. Espositori provenienti da Veneto, Sardegna,
Puglia, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Piemonte, Lombardia e Calabria
celebrano la propria terra d’origine attraverso la filatelia, la numismatica e
i più svariati oggetti da hobby o da collezione, dai fumetti d’epoca ai
modellini del Titanic, dalle schede telefoniche alle
divise storiche. Anche il Governatorato della Città del Vaticano è presente con
francobolli e un annullo speciale. Di particolare interesse sono alcuni libri
antichi, tra cui edizioni delle ‘Metamorfosi’ di Ovidio del 1639; ‘Dei diritti dell’uomo’ di Nicola Spedalieri,
stampato ad Assisi nel 1791. E gli Atti del processo a Pellegrino Rossi del
1848. La vita di Giuseppe Garibaldi è illustrata attraverso una dettagliata
documentazione filatelica. Sono poi esposte scene di vita romana, realizzate in
terracotta e raffiguranti figure di artigiani e commercianti ormai scomparsi
dalle nostre strade. Sono presenti inoltre stand espositivi della Polizia e
dell’Arma dei Carabinieri. La mostra, promossa dalla Telecom
e aperta dal 21 al 29 ottobre, ha come sede la sala L’Agostiniana presso la
chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma. (A.S.)
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26 ottobre 2006
- A cura di Roberta
Moretti -
L’escalation di violenze in Iraq
è motivo di “seria preoccupazione”: così, il presidente statunitense, George W. Bush, che ieri, in una
conferenza stampa alla Casa Bianca, ha sollecitato il governo iracheno del premier
Al Maliki a “mosse audaci” per vincere la guerra,
affermando che la sua pazienza “non è illimitata”. Pronta la risposta del capo
del governo di Baghdad. Roberta Moretti:
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A meno di due settimane dal voto di midterm del 7
novembre, la cui campagna è dominata dalla guerra e che i repubblicani
rischiano di perdere a causa del conflitto in Iraq, Bush
riconosce di non essere soddisfatto dell'andamento delle operazioni ed evoca le
perdite americane nel Paese del Golfo. Con l’uccisione, infatti, di altri 5 soldati, avvenuta ieri nella provincia occidentale di Al Anbar, cuore del ‘Triangolo Sunnita’, è salito a 96 il numero dei caduti USA a
ottobre, il mese più sanguinoso degli ultimi due anni.
Da parte sua, il premier iracheno ha respinto ogni accusa e ha protestato per
l'incursione effettuata ieri nella capitale da truppe americane, seppure appoggiate da forze locali, nel quartiere di Sadr City, la roccaforte degli integralisti sciiti seguaci
dell’imam radicale, Moqtada
al-Sadr. Maliki ha affermato
di non essere stato consultato dal Comando USA prima dell'operazione; fonti
governative hanno inoltre denunciato l'uccisione di almeno quattro civili. Secondo
i vertici militari statunitensi, il raid aveva lo scopo di localizzare un
proprio soldato rapito lunedì dai ribelli. Inoltre, nella stessa area sarebbe
stata individuata la presenza di un capo guerrigliero responsabile in prima
persona di stragi e omicidi, perpetrati nella capitale da ‘squadroni della morte’ ai suoi ordini.
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Andiamo in
Afghanistan, dove stamani l’ONU ha sollecitato un’inchiesta, dopo che fonti
locali hanno denunciato una strage di almeno 50 civili in raid aerei della NATO nel sud del Paese. Il bilancio dell’operazione,
avvenuta all’inizio della settimana, durante la festa islamica dell’Eid al Fitr, non
è ancora definitivo: alcuni testimoni parlano di 80 morti e di almeno 25 case
rase al suolo. Intanto,
mentre cresce la preoccupazione per la sorte del fotoreporter italiano,
Gabriele Torsello, rapito in Afghanistan il 14 ottobre scorso, l’Unione
delle comunità islamiche d’Italia, l’Ucoii, ha
annunciato che trasmetterà un appello per la liberazione dell’uomo attraverso
Al Jazeera e altre televisioni satellitari captate
nel mondo arabo. Il presidente dell'organizzazione islamica, Mohammed Dachan, ha sollecitato
anche tutte le moschee a fare un'invocazione per il rilascio di Torsello nel sermone
del giorno di preghiera di domani. Infine, sono stati identificati i sei militari tedeschi,
fotografati nell’atto di profanare resti umani in Afghanistan. Le immagini,
definite “atroci” dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, hanno suscitato
reazioni indignate da parte della comunità internazionale.
L’UNIFIL, la forza ONU schierata in Libano, ha
smentito che caccia israeliani abbiano compiuto nei
giorni scorsi atti ostili nei confronti di navi tedesche impegnate nella
missione. Intanto, il
premier dello Stato ebraico, Olmert, continua la sua
azione per mantenere unita la coalizione di governo, mentre il capo della
diplomazia europea, Javier Solana,
da ieri in Israele, afferma che l’Unione Europea è “più
che mai legata” al processo di pace in Medio Oriente.
In Medio Oriente, stamani due
palestinesi sono stati uccisi nella Striscia di Gaza dal fuoco israeliano. Si
tratta di un poliziotto dell’Autorità Nazionale Palestinese, colpito a morte durante
un’irruzione dei soldati dello Stato ebraico in un villaggio alle porte di Khan
Younis, nel sud dell’enclave. L’Esercito israeliano
ha fatto sapere di essere stato attaccato e di essersi limitato a rispondere. L’altra
vittima è invece un civile, ucciso nel nord della Striscia.
Assolti i capi
del giornale danese Jyllands-Posten: con le vignette
su Maometto pubblicate nel 2005 non avrebbero offeso l’Islam. Lo ha deciso la
corte di Aarhus, secondo cui “le caricature non
avevano un carattere di offesa nei confronti di Maometto o dell’Islam, anche se
il testo di accompagnamento poteva rivelare disprezzo o derisione”. Le
associazioni musulmane danesi avevano invece denunciato i disegni perché rappresentavano,
a loro avviso, “un attacco all’onore dei credenti”.
La Russia ha bocciato il progetto di risoluzione ONU messo
a punto da Francia, Gran Bretagna e Germania, cosiddetta “eurotroika”,
in risposta alle ambizioni nucleari dell’Iran. Secondo
il ministro degli Esteri russo, Lavrov, la bozza di
risoluzione, che prevede l’imposizione di sanzioni economiche, commerciali e
diplomatiche, non corrisponderebbe agli impegni presi
dai 5 Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la Germania. Si tratta di accordi tesi ad eliminare il rischio
che tecnologie sensibili siano gestite in Iran fino a quando
l’AIEA non avrà fatto luce sulla crisi nucleare in atto. La Repubblica Islamica ha annunciato
ieri che entro questa settimana una seconda serie di 164 centrifughe a cascata
comincerà ad essere alimentata con gas Uf6. Stamani da Pechino, dove è in
visita ufficiale il presidente francese, Chirac, giunge
l’appello a Teheran a rispettare la
risoluzione 1696 dell’ONU, che chiede di cessare l’arricchimento dell’uranio.
Francia e Cina hanno anche espresso “grave preoccupazione” per i test nucleari in
Corea del Nord. E hanno poi auspicato la fine
dell’embargo dell’Unione Europea sulle armi alla Cina,
imposto nel 1989, dopo il massacro di Tiananmen.
Dopo dodici anni, la giustizia argentina ha accusato
ufficialmente l’Iran e il movimento Hezbollah, di essere responsabili
dell’attentato antiebraico del 18 luglio del
Se Seul parteciperà alle sanzioni decise dagli Stati
Uniti,
Siglato stamani a Stratford-upon-Avon, in Gran Bretagna, un accordo tra
i ministri degli Interni dei sei Paesi più popolosi d’Europa – Italia, Francia,
Gran Bretagna, Germania, Spagna e Polonia – per prevenire attacchi
terroristici. Tra le decisioni adottate dal G6, quella di una lotta comune
contro i siti internet che fanno apologia del terrorismo e di uno scambio di
informazioni sulle indagini sugli esplosivi, in particolare quelli liquidi.
E’ stato riaperto oggi l’aeroporto
di Dili, la capitale di Timor Est, percorsa nei
giorni scorsi da violenti scontri tra gruppi di giovani armati. La chiusura per
motivi di sicurezza dello scalo della città ha sottolineato la drammaticità
della situazione: ieri almeno due persone erano morte nelle violenze. Il
servizio di Chiaretta Zucconi:
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La chiusura dell’aeroporto sottolinea la fragile sicurezza
dell’ex colonia portoghese che nel 1999 ottenne l’indipendenza dall’Indonesia.
Le violenze sono iniziate domenica scorsa, cinque giorni dopo il rilascio da
parte della commissione speciale delle Nazioni Unite di un dettagliato rapporto
sulle cause del conflitto che ancora infiamma Timor Est. Un rapporto che accusa
il governo dell’ex premier Alkatiri di essere
responsabile dell’ondata di violenza iniziata in gennaio e di aver armato la
milizia civile. Secondo un portavoce delle Nazioni Unite, la situazione è
ancora fortemente instabile nonostante l’arrivo in
maggio delle truppe internazionali di pace guidate dall’Australia. Nel
frattempo continua la mediazione del vescovo Carlos Belo,
premio Nobel per la pace, che si è incontrato con il leader dei
ribelli Alfredo Reinaldo e con lo stesso ex
primo ministro Alkatiri, nel tentativo di riportare
la calma nel Paese.
Per la Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.
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In Cina, è di 11 morti il bilancio dell’esplosione
di gas avvenuta in una miniera di carbone a Xinyu, provincia
nordorientale. Lo rende noto l'agenzia “Xinhuà”. I soccorritori hanno trovato i loro cadaveri solo
dopo cinque ore.
Un cittadino eritreo è stato ferito a morte
sabato sera da uno dei Caschi blu dell’ONU nella zona cuscinetto tra Etiopia ed
Eritrea. Lo rende noto oggi un comunicato dell’UNMEE, la Missione ONU in
Etiopia ed Eritrea, secondo cui due eritrei erano entrati
con la forza nella missione ovest del quartiere generale dei peacekeepers a Barentia. Malgrado i ripetuti richiami perché si allontanassero, uno di
loro ha cercato di aggredire una sentinella, che gli ha sparato. L’incidente
rischia di far ulteriormente salire la tensione tra UNMEE e governo eritreo.
Il governo di Niamey, in Niger,
ha in progetto di rinviare 4 mila arabi mahamid – e
non 100 mila come annunciato precedentemente – nel loro Paese d’origine, il
Ciad, a causa delle tensioni con le popolazioni nigerine
della regione di Diffa alla frontiera con il deserto.
Ieri, intanto, nove parlamentari arabi del Parlamento nigerino
avevano chiesto all’ONU e all’Unione Africana d’intervenire “per evitare un conflitto
grave” nell’Est del Paese. Anthony Torzec, della nostra redazione francese, ha sentito in
proposito Weila Ilguilas,
presidente di “Timidina”, l’Associazione nigerina dei diritti dell’uomo:
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R. –
Ces arabes etant des nomades, nous avons des populations nomades …
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“Questi arabi sono nomadi ; noi abbiamo popolazioni
nomadi : i Tuareg e gli arabi che vivono in questa regione. Per capire la
facilità della loro penetrazione nel Paese, bisogna tener conto della lingua,
parlata sui due fronti, del modo di vivere e anche dell’ospitalità africana:
tutti questi fattori hanno consentito il loro ingresso. Fuggivano da una guerra
e quando sono arrivati, si pensava che sarebbero rimasti fino a che la
situazione non si fosse calmata dall’altra parte, per poi tornare. Invece,
recentemente, si è constatato che essi vogliono installarsi definitivamente nel
Paese. Ma non è nemmeno questo, il problema: si potrebbe consentire loro di installarsi
definitivamente, ma a condizione che essi accettino le norme in materia. Ma
ora, negli ultimissimi periodi, i mahamid hanno
iniziato a compiere atti di violenza sulle popolazioni autoctone che vivevano
nelle zone nelle quali loro si sono insediati: sono arrivati armati, con le loro armi, un grande arsenale, e le hanno usate contro le
popolazioni locali rubando, razziando, perfino uccidendo …”.
L’impatto dei flussi migratori sullo sviluppo sociale: di
questo discuteranno i prossimi 28 e 29 ottobre a Montevideo,
capitale dell’Uruguay, i capi di Stato e di governo di 22 nazioni iberoamericane, riuniti per il loro vertice annuale. Ce ne
parla Luis Badilla:
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La questione del muro che gli USA hanno deciso di costruire
o rafforzare tra il territorio statunitense e quello messicano sarà, senza dubbio,
uno dei temi principali della discussione. Il presidente George W. Bush promulgherà oggi una legge
sulla sicurezza firmata lo scorso 5 ottobre che, all’interno di un pacchetto di
spesa di 35 miliardi di dollari, finanzia con 1,2 miliardi di dollari la
costruzione di un muro anti-immigrati al confine con
il Messico. La firma del provvedimento ha avuto come sfondo le montagne
dell'Arizona, uno degli Stati al centro del dibattito politico
sull'emigrazione. “E’ una legge che renderà l’America più sicura per tutti i
suoi cittadini", ha detto Bush in una cerimonia
che ha coinciso con un giro di tre giorni di campagna elettorale negli Stati
del West. Il provvedimento prevede anche capitoli di spesa per dispositivi di
rilevamento di materiali nucleari alle frontiere, l'innalzamento degli standard
di sicurezza in impianti chimici. Il muro alla frontiera con il Messico ha
provocato critiche da parte del presidente messicano uscente, Vicente Fox, che lo ha definito
una “vergogna” paragonabile al Muro di Berlino. La barriera è
però un cavallo di battaglia di molti parlamentari americani in corsa
per il voto di midterm
del 7 novembre, in risposta agli umori anti-immigrati
di buona parte della popolazione USA, soprattutto negli Stati del Sud.
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