RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 299 - Testo della trasmissione di giovedì 26 ottobre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

L’Unione Europea si impegni per la pace, per la difesa della vita umana e per lo sviluppo: così Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede, ricevuto per le Lettere credenziali

 

Un “servizio di pace tra le armi”: è la definizione di Benedetto XVI che ha ricevuto i partecipanti al Convegno internazionale degli Ordinariati militari

 

Sviluppo sostenibile e questioni ambientali al centro dell’intervento di ieri all’Assemblea generale dell’ONU dell’Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite

 

Un’intuizione profetica di Giovanni Paolo II: con noi mons. Vincenzo Paglia ricorda l’incontro interreligioso per la pace ad Assisi, 20 anni dopo.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Darfur e Libano: al centro dell’impegno della Caritas internationalische conclude oggi a Roma il suo comitato esecutivo. Con noi Denis Vienot

 

Nella notte, due autobus incendiati nelle banlieue parigine, alla vigilia del primo anniversario dell’inizio degli scontri che per tre settimane misero a ferro e a fuoco le periferie delle principali città francesi: ce ne parla Giuseppe Bettoni

 

Santa Sede e questione ebraica: in un volume l’impegno umanitario della Santa Sede di fronte alle persecuzioni subite dagli ebrei. Con noi Alessandro Duce, Giulio Andreotti, il cardinale Achille Silvestrini e Andrea Riccardi

 

Dopo l’uscita del DVD, a Roma la proiezione del film Il grande silenzio’,  dedicato ai monaci cistercensi: con noi don Roberto Di Diodato

 

In mostra a Vicenza la scultura lignea russa: intervista con il prof. Carlo Pirovano

 

CHIESA E SOCIETA’:

Sono 300 mila i bambini soldato nel mondo: è quanto riporta un libro appena pubblicato dalle Nazioni Unite

 

In vigore da oggi, in India, la nuova legge sulla protezione delle donne dalle violenze domestiche

 

Si celebra in questi giorni l’80.mo anniversario dalla prima pubblicazione di “Niedziela”, il più diffuso settimanale cattolico in Polonia

 

“Il cibo e le feste nella lingua e nella cultura italiana”: è questo il tema della VI settimana della lingua italiana nel mondo

 

Una mostra, in corso a Roma, racconta la storia e le tradizioni delle varie regioni italiane

 

24 ORE NEL MONDO:

Morti e disordini in Iraq, mentre Bush e il presidente iracheno esprimono diversi punti di vista sulle strategie da adottare

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

26 ottobre 2006

 

 

L’UNIONE EUROPEA SI IMPEGNI PER PROMUOVERE LA PACE,

 DIFENDERE LA VITA UMANA E FAVORIRE POLITICHE DI INTEGRAZIONE

DEGLI IMMIGRATI: E’ L’ESORTAZIONE DI BENEDETTO XVI AL NUOVO AMBASCIATORE

DEL BELGIO PRESSO LA SANTA SEDE, RICEVUTO STAMANI IN VATICANO

PER LE LETTERE CREDENZIALI

 

L’Europa deve continuare ad impegnarsi nelle grandi sfide del pianeta, a partire dalla pace e dal dialogo tra culture e religioni: è il richiamo di Benedetto XVI, contenuto nel discorso al nuovo ambasciatore belga presso la Santa Sede, Frank De Coninck, ricevuto stamani in Vaticano per la presentazione delle Lettere credenziali. Il Papa si è soffermato sulla sacralità della vita sempre più oggetto di attacchi da parte del pensiero soggettivista. Quindi, ha messo l’accento su politiche di immigrazione che rispettino sempre la dignità dell’essere umano. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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L’Europa è diventata una forza economica, ma anche “un segno di speranza per molti”. E’, quindi, necessario che assuma un ruolo per favorire la pace, specie in situazioni drammatiche, come Terra Santa ed Iraq, ma anche in Africa ed Asia. E’ l’esortazione di Benedetto XVI che nel suo discorso all’ambasciatore belga ha ribadito che “la comunità internazionale e specialmente l’Unione Europea si mobilitino con determinazione in favore della pace, dello sviluppo e del dialogo tra le nazioni”. Quindi, ha voluto “assicurare l’impegno risoluto della Santa Sede” “in favore della pace e dello sviluppo”. Né ha mancato di lodare l’impegno del Belgio nelle missioni di pace, specie in Africa centrale.

 

Un’altra sfida per il Belgio e l’Europa, ha affermato, è “l’avvenire dell’uomo e della sua identità”, di fronte alla “liberalizzazione dei costumi che ha considerevolmente relativizzato quelle norme che sembravano intangibili”. Oggi, è stato il suo richiamo, nelle società occidentali “caratterizzate dalla sovrabbondanza dei beni di consumo e dal soggettivismo l’uomo si confronta con una crisi di senso”. In alcuni Paesi, ha rilevato, sono state approvate leggi che “rimettono in causa il rispetto della vita umana dal suo concepimento alla morte naturale”. Ancora, c’è il rischio che si utilizzi la vita come “un oggetto di ricerca e sperimentazione”, attentando così “alla dignità fondamentale dell’essere umano”.

 

La Chiesa, ha detto il Pontefice, vuole “richiamare con forza ciò in cui crede a proposito dell’uomo e del suo destino prodigioso, dando a ciascuno la chiave di lettura dell’esistenza e delle ragioni per sperare”. In tale contesto, ha fatto riferimento ad una missione dell’episcopato belga che inizierà tra pochi giorni. Un’iniziativa volta a riaffermare che la dignità dell’uomo è “una frontiera morale invisibile davanti alla quale il progresso tecnico si deve inchinare”. D’altro canto, ha ricordato anche l'impegno dei vescovi del Belgio in favore dello sviluppo delle cure palliative, “al fine di permettere a quanti lo desiderano di morire nella dignità”. La Chiesa, ha ribadito, vuole servire tutta la società “indicando le condizioni di un vero avvenire di libertà e dignità per l’uomo”. Ha, perciò, invitato i responsabili politici a misurare le proprie “gravi responsabilità” quando affrontano tali questioni.

 

Si è, infine, soffermato sul tema del dialogo interreligioso e dell’immigrazione. Oggigiorno, ha constatato, la presenza sempre più numerosa di immigrati provenienti da differenti culture e religioni “rende assolutamente necessario” il dialogo, come “sottolineato nel recente viaggio apostolico in Baviera”. E’ doveroso, ha esortato il Papa, “approfondire la propria conoscenza reciproca, rispettando le convinzioni religiose di ciascuno e le legittime esigenze della vita sociale conformemente alle leggi in vigore” nel rispetto della loro dignità. Per questo, ha detto ancora, va adottata “una politica di immigrazione che sappia conciliare gli interessi propri del Paese d’accoglienza e il necessario sviluppo dei Paesi meno sviluppati”. Serve una politica, ha specificato, sostenuta “da una volontà di integrazione che non lasci sviluppare situazioni di rifiuto o di illegalità, come rivelato dal dramma dei sans-papiers. Si eviterà così il rischio di un “nazionalismo esacerbato o della xenofobia” e si potrà favorire “uno sviluppo armonioso delle nostre società per il bene di tutti i cittadini”.

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L’ambasciatore Frank De Coninck è nato a Blankenberge nel 1945. E’ sposato ed ha tre figli. Laureato in Lettere e Filosofia ha intrapreso la carriera diplomatica nel 1975. E’ stato ambasciatore a Kigali e Kinshasa e direttore generale del ministero degli Affari Esteri. Dal 2002 al 2006 ha rivestito l’incarico di Gran Maresciallo della Corte.

 

 

TALORA INTERESSI ECONOMICI E POLITICI IMPEDISCONO ALLA FORZE ARMATE

DI SVOLGERE ESCLUSIVO SERVIZIO DI DIFESA E SICUREZZA,

PONENDO OSTACOLI PURE AL PROCESSO DI DISARMO:

COSI’ IL PAPA NEL DISCORSO AGLI ORDINARIATI MILITARI

 

Come realizzare un “servizio di pace tra le armi”: ne ha parlato Benedetto XVI ricevendo stamane in udienza i partecipanti al Convegno internazionale degli Ordinariati militari, accompagnati dal cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi, che presiede i lavori in corso fino a domani in Vaticano. Servizio di Roberta Gisotti:

 

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“Il valore della persona e il valore della pace” – ha richiamato il Papa - sono i cardini dell’assistenza spirituale dei militari, così come è stata delineata 20 anni fa da Giovanni Paolo II nella Costituzione apostolica Spirituali militum curae, “alla luce del Concilio Vaticano II, tenendo conto delle trasformazioni riguardanti le Forze armate e la loro missione sul piano nazionale e internazionale”. Ma i tempi pongono pure nuove sfide:

 

In verità, negli ultimi decenni lo scenario mondiale è ulteriormente mutato. Perciò il Documento pontificio, pur conservando piena attualità perché l’orientamento pastorale della Chiesa non cambia, esige di essere sempre meglio adattato alle necessità del momento presente”.

 

Riprendendo quanto indicato nella Costituzione conciliare Gaudium et spes, Benedetto XVI ha ricordato che quanti “prestano servizio militare” possono considerarsi come “ministri della sicurezza e della libertà dei popoli”, perché se adempiono il loro dovere rettamente, concorrono anch’essi alla stabilità della pace”. Da qui il richiamo a tutti i pastori cui sono affidati i militari:

 

“Pertanto, esorto tutti voi a far sì che i Cappellani militari siano autentici esperti e maestri di quanto la Chiesa insegna e pratica in ordine alla costruzione della pace nel mondo”.

 

Il tema della pace – ha spiegato il Santo Padre - “costituisce un aspetto essenziale della dottrina sociale della Chiesa”, con “radici antichissime”, in crescendo nell’ultimo secolo. E “questo “insistente richiamo alla pace – aggiunge - ha influito sulla cultura occidentale promuovendo l’ideale che le Forze armate siano a servizio esclusivo di difesa e di sicurezza e della libertà dei popoli”. Ma non sempre questo accade: 

 

“Purtroppo talora altri interessi – economici e politici – fomentati dalle tensioni internazionali, fanno sì che questa tendenza costruttiva trovi ostacoli e ritardi, come traspare anche dalle difficoltà che incontrano i processi di disarmo”.

 

La Chiesa – ha concluso il Papa – continuerà dall’interno del mondo militare ad offrire il proprio servizio per formare le coscienze, certa, che la Parola di Dio, “accompagnata dal servizio della carità e della verità, produce frutto a suo tempo”.

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SANTA MESSA PRESIEDUTA DAL PAPA IN SAN PIETRO NELLA FESTA DI TUTTI I SANTI

        

In occasione della Solennità di Tutti i Santi, mercoledì prossimo primo novembre, il Santo Padre celebrerà alle ore 10 la Santa Messa nella Basilica Vaticana

 

 

ALTRE UDIENZE

        

Nel corso della mattinata il Santo Padre ha ricevuto l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin, insieme all’arcivescovo emerito cardinale Desmond Connell ed altri quattro presuli della Conferenza episcopale di Irlanda, in visita ad Limina Apostolorum

 

 

RINUNCIA

 

In Gran Bretagna, il Papa ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Liverpool, presentata da mons. Vincent Malone, per sopraggiunti limiti di età.

 

 

SVILUPPO SOSTENIBILE E QUESTIONI AMBIENTALI AL CENTRO DELL’INTERVENTO

DI IERI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU DELL’OSSERVATORE PERMANENTE

DELLA SANTA SEDE ALLE NAZIONI UNITE

 

Anche in contesti caratterizzati da una veloce transizione e mutazione, “la nostra economia continua a fondarsi, essenzialmente, sulla relazione con la natura”. E’ il richiamo dell’arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede all’ONU intervenendo ieri alla 61.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il presule ha anche auspicato che le strategie in campo energetico siano capaci di soddisfare i bisogni di media e lunga durata e di tutelare la salute umana e l’ambiente. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Diversi sistemi che rendono possibile la sopravvivenza nel mondo – ha spiegato l’arcivescovo Migliore - “sono stati irreparabilmente guastati o distrutti”, rendendo in questi casi non praticabile la via economica. Per questo – ha aggiunto - le preoccupazioni ambientali non devono essere ritenute esterne o marginali rispetto all’economia, ma devono essere considerate dai politici le basi su cui poggiano tutte le attività economiche. L’adempimento degli impegni presi al Summit della Terra a Rio de Janeiro nel 1992, per la creazione di “pilastri economici, ambientali e sociali tesi ad uno sviluppo sostenibile” – ha poi sottolineato mons. Migliore - è la risposta minima richiesta. “Le conseguenze ambientali delle nostre attività economiche - ha infatti avvertito il presule - sono le vere priorità del mondo”. Quello ambientale – ha proseguito - non è solo un “rilevante problema etico e scientifico”, ma anche una “questione politica ed economica”.

 

Non si deve solo integrare lo sviluppo sostenibile in programmi di riduzione della povertà e di crescita economica – ha quindi osservato il presule - ma anche riflettere su “problemi ambientali nelle strategie di sicurezza e su questioni umanitarie nei piani di sviluppo a livello nazionale, regionale e internazionale”. La Comunità internazionale – ha aggiunto - dovrebbe continuare ad approfondire “la comprensione dei collegamenti tra pace e sviluppo umano”. Uno sviluppo – ha detto l’osservatore vaticano – che deve comprendere maggiori investimenti in tecnologie più pulite, prima che la bilancia ecologica sia capovolta da una “colpevole negligenza”. Tra i vari segnali che rendono allarmante il degrado ambientale, il presule ha evidenziato infine la desertificazione e la siccità, il deterioramento del settore agricolo, dal quale dipendono soprattutto le popolazioni più povere e il sempre più problematico accesso all’acqua, dovuto non ad una effettiva mancanza ma spesso ad una non adeguata gestione delle risorse idriche.

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UN’INTUIZIONE PROFETICA DI GIOVANNI PAOLO II VALIDA ANCORA OGGI:

 COSI’, MONS. VINCENZO PAGLIA SOTTOLINEA, AI NOSTRI MICROFONI,

L’IMPORTANZA DELL’INCONTRO INTERRELIGIOSO PER LA PACE AD ASSISI,

DI CUI DOMANI RICORRE IL 20.MO ANNIVERSARIO

 

 “Far soffiare lo spirito di Assisi tra banchi e lavagne”: è quanto propone Paola Bignardi, direttrice della rivista "Scuola Italiana Moderna" e già presidente dell’Azione Cattolica. La Bignardi ha lanciato stamani l’idea di una Giornata, ogni anno, in tutte le scuole, dedicata al dialogo e all’incontro tra le religioni. La data dovrebbe essere quella di domani, in ricordo del 27 ottobre 1986 quando Giovanni Paolo II convocò proprio nella città di San Francesco un Incontro di preghiera e digiuno per la pace con tutti i capi religiosi del mondo. Dunque, lo “spirito di Assisi” soffia ancora con vigore a vent’anni di distanza da quello storico evento. Per ripercorrere quella memorabile Giornata, Alessandro Gisotti ha intervistato uno dei suoi protagonisti, il vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, cofondatore della Comunità di Sant’Egidio:

 

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R. – Il ricordo, anche dopo 20 anni, è particolarmente vivo. Era un tempo storico molto diverso: il mondo era ancora diviso in due, c’era la Guerra Fredda, c’era il pericolo nucleare … Ebbene, quell’evento segnò innanzitutto uno spartiacque, potremmo dire per certi versi, perché per la prima volta nella storia, credenti di diverse fedi si trovavano insieme. Non per mettere su uno stesso livello la loro fede: no, non fu questo! Ma mettevano insieme la paura di una guerra nucleare e nello stesso tempo il bisogno di rivolgersi in alto. Ed ecco perché allora la preghiera fatta, ognuno secondo le proprie tradizioni religiose, questa preghiera in qualche modo cercò di unire tutti i credenti perché invocassero dall’alto quella pace che gli uomini non sapevano darsi con le loro sole forze.

 

D. – Il 22 dicembre 1986, parlando alla Curia Romana, Papa Wojtyla ribadì che “le differenze sono un elemento meno importante, rispetto all’unità basilare dell’essere umano”. La Giornata di Assisi fu, in effetti, un’intuizione profetica di Giovanni Paolo II …

 

R. – Esatto. Non c’è dubbio che ci furono alcuni che dissentirono, ma quella intuizione di Giovanni Paolo II aveva la sua radice nel Documento conciliare “Nostra Aetate”. Anzi, se così possiamo dire, la “Nostra Aetate” è un documento scritto e l’Incontro di Assisi ne fu in qualche modo la manifestazione visibile. La teologia presente in quell’evento mostra, da una parte, l’origine comune di tutti gli uomini e, poi, la fine della storia, quando tutti i popoli si ritroveranno attorno all’unico Signore. La novità non fu quella di annullare le differenze: tutt’altro! La novità fu che le differenze non erano motivo di scontro o, peggio, di guerra, ma si comprese che le differenze potevano stare le une accanto alle altre senza combattersi e senza confliggere.

 

D. – Il dialogo fra le religioni è un tema molto caro anche a Benedetto XVI che lo declina con sensibilità e toni diversi dal suo Predecessore, ma non per questo con meno convinzione …

 

R. – Ma non c’è dubbio, anzi: io ricordo che quando Giovanni Paolo II volle decidere la fattibilità di questo incontro, chiamò l’allora cardinale Ratzinger per un incontro dove appunto definirono bene la qualità e le modalità di questo evento. Papa Benedetto, fin dal primo giorno del suo Pontificato, non manca di ricordare questa prospettiva. E poi, non c’è dubbio che nel messaggio per i 20 anni, inviato all’Incontro di Assisi, appare chiara una cosa: l’importanza che non fosse distorto ma che la Giornata di Assisi restasse nella sua cornice come voluto da Giovanni Paolo II, perché la sua forza è proprio questa. Non cedere a qualunque tipo di relativismo, ma rafforzare la propria fede per incontrarsi.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Il discorso di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Belgio. Dinanzi alle situazioni drammatiche della Terra Santa, del Libano e dell'Iraq - ha detto il Papa - la comunità internazionale e specialmente l'Unione Europea si mobilitino con determinazione per la pace, per il dialogo tra le Nazioni e per lo sviluppo.

Il discorso del Santo Padre al quinto Convegno internazionale degli Ordinariati militari, promosso a vent'anni dalla Costituzione Apostolica "Spirituali militum curae".

 

Servizio estero - Per la rubrica dell'"Atlante geopolitico" un articolo di Giuseppe Fiorentino dal titolo "Brasile: ballottaggio per eleggere il Presidente".

 

Servizio culturale - Un articolo di Franco Pelliccioni dal titolo "'Gioielli' sparsi e dimenticati di grandiose ed effimere vetrine del mondo": a Parigi in cerca delle vestigia delle esposizioni universali.

 

Servizio italiano - In primo piano il tema della finanziaria.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

26 ottobre 2006

 

 

REGIONE SUDANESE DEL DARFUR E LIBANO: AL CENTRO DELL’IMPEGNO

DELLA “CARITAS INTERNATIONALIS” CHE CONCLUDE OGGI A ROMA

IL SUO COMITATO ESECUTIVO

- Intervista con Denis Vienot -

 

Si conclude, oggi, a Roma il Comitato Esecutivo della Caritas Internationalis”. Un appuntamento importante, che tende a fare il punto della situazione sulle principali crisi internazionali e sulle necessità di intervento nelle varie regioni del mondo. Di primo piano l’impegno della confederazione in due realtà tra le più difficili nell’attuale momento storico: la regione sudanese del Darfur ed il Libano. Lo conferma, al microfono di Salvatore Sabatino, il presidente della Caritas Internationalis, Denis Vienot:

 

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R. – Caritas Internationalis est très active au Darfur, au Liban …

La Caritas Internationalis è molto attiva in Darfur e in Libano. In Darfur, stiamo seguendo un programma piuttosto originale nel contesto di insicurezza, e l’insicurezza sicuramente è un punto fondamentale. Il programma è portato avanti dall’organizzazione cattolica della Caritas e dalle organizzazioni protestanti. E’ un programma ecumenico, su esplicita richiesta dei vescovi del Sudan che ci tengono moltissimo a che, in questo Paese musulmano, le Chiese lavorino insieme. Si tratta di un programma che riguarda gli sfollati. Ci sono due milioni di sfollati, nel Darfur, e il programma che stiamo seguendo riguarda circa 470 mila persone, ammassate in campi che sono praticamente delle città. Questo programma consente al tempo stesso la distribuzione del cibo fornito dal Programma alimentare mondiale, ma soprattutto la sua funzione è quella di dispensario di assistenza medica, di formazione scolastica, di attività economiche, di distribuzione di sementi agli sfollati. In Libano, invece, dopo la prima fase dell’emergenza, nella scorsa estate, quando la situazione era catastrofica, oggi ci troviamo piuttosto in una fase di ricostruzione, ovviamente con un’attenzione privilegiata alle comunità vittime dei bombardamenti nel Libano del Sud, in particolare alle comunità cristiane. I nostri programmi sono attuati insieme alla Caritas Libano e la Caritas americana, e sono sostanzialmente programmi nell’ambito della salute, con lo sviluppo di ambulatori e dispensari mobili per riuscire a raggiungere anche le popolazioni nei villaggi. Il programma che stiamo sviluppando è ben organizzato dalla Caritas Libano. Abbiamo anche programmi di borse di studio e programmi nell’ambito del rilancio dell’attività economica. Il programma per il Libano ha un budget di otto milioni di dollari, quello per il Darfur circa 15 milioni di dollari.

 

D. – Avete avuto la collaborazione del governo libanese?

 

R. – Caritas Liban vient de recevoir une decoration très officielle du gouvernement …

Caritas Libano ha appena ricevuto una decorazione ufficiale da parte del governo libanese, l’“Ordine del Cedro”. Ero insieme al presidente della Caritas Libano, in quell’occasione, quando il presidente della Repubblica del Libano ha consegnato la decorazione. E’ un simbolo, ovviamente. Ho incontrato il primo ministro, che è un sunnita, mentre il presidente della Repubblica è cristiano, e il presidente dell’Assemblea nazionale, che è sciita, ed ho potuto constatare come nella società libanese, e questo da molto tempo, i cristiani e la Caritas siano veramente organismi di attività sociale e di servizio riconosciuti da tutti e da tutti apprezzati nel Paese.

 

D. – Come si prospetta il futuro del Libano?

 

R. – Au Liban, la grande question pour les chrétiens c’est l’équilibre entre les …

In Libano, il grande punto interrogativo per i cristiani è l’equilibrio tra le comunità sunnite, sciite e cristiane. Il numero dei cristiani, come in molti Paesi in Medio Oriente, è molto diminuito in Libano: i cristiani libanesi, i maroniti e gli altri riti, i latini, i siriani eccetera, vogliono veramente rimanere nel Paese e si presenta una situazione un po’ particolare, perché ci sono queste fasce della popolazione che in realtà collaborano bene e poi, a intervalli regolari, si manifestano delle crisi. Nel Libano del Sud ho trovato una presenza molto forte della Chiesa. Ho incontrato il vescovo greco-cattolico del Libano del Sud, che è rimasto, che è lì da 20 anni, a dispetto di ogni difficoltà. La Chiesa è molto presente, ma ha vita molto difficile.

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NELLA NOTTE, DUE AUTOBUS INCENDIATI NELLE BANLIEUE PARIGINE, ALLA VIGILIA

DEL PRIMO ANNIVERSARIO DELL’INIZIO DEGLI SCONTRI CHE PER TRE SETTIMANE

 MISERO A FERRO E A FUOCO LE PERIFERIE DELLE PRINCIPALI CITTÀ FRANCESI

- Intervista con Giuseppe Bettoni -

 

Un altro autobus incendiato nelle banlieue parigine, alla vigilia del primo anniversario dell’inizio degli scontri che per tre settimane misero a ferro e a fuoco le periferie delle principali città francesi. Nella notte, una decina di uomini con passamontagna ha appiccato il fuoco a un autobus a Bagnolet, proprio nel dipartimento Seine-Saint, dove erano scoppiati i moti il 27 ottobre dello scorso anno.  Un incidente simile è avvenuto anche a Nanterre, ad ovest della capitale francese. E non si può dimenticare che disordini si sono verificati anche domenica scorsa a Grigny in una zona a sud. Ma, in questo anno, qualcosa è cambiato? Ci sono stati interventi a livello sociale? Fausta Speranza lo ha chiesto a Giuseppe Bettoni, docente di geopolitica all’Università Roma Tre:

 

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R. – A parte una buona strategia di comunicazione, condotta in maniera molto complessa sia da Zarkozy che dai suoi oppositori, in realtà non ci sono stati cambiamenti significativi. Non sono stati effettuati, in così poco tempo, dei cambiamenti strutturali per certe banlieue a Parigi, anche perché si parla di interventi molto lunghi. Di fatto, sul territorio, non è cambiato nulla che possa essere evidentemente visibile per i cittadini di certi quartieri.

 

D. – Nemmeno in termini, per esempio, di presenza della polizia o qualcosa del genere?

 

R. – La logistica della polizia è troppo complicata in certe aree. Vi sono commissariati che chiudono alle quattro del pomeriggio. Vi sono zone che non possono essere assolutamente frequentate, in cui il commissariato non è visto di buon occhio. Nessun intervento è stato fatto, proprio all’interno del corpo di polizia o di gendarmeria, che possa aver modificato il controllo del territorio. Si è instaurato un certo tipo di dialogo, questo sì, ma il dialogo può in qualunque momento sfuggire di mano se qualcosa si incendia. Avere instaurato un certo tipo di dialogo non vuol dire avere affiancato dei cambiamenti strutturali, ripeto, in certe banlieue. Questo non è assolutamente accaduto.

 

D. – La campagna elettorale, per le presidenziali prima e poi per le legislative, è entrata ormai nel vivo. Ci sono prese di posizione che riguardano la questione?

 

R. – Su questo argomento, precisamente, in realtà non c’è nulla di concreto. Mi spiego meglio. Non esistono argomenti di campagna elettorale direttamente collegati alla questione delle banlieue del 2005. Vi sono prese di posizione rispetto al problema della cosiddetta frattura sociale, ma è una vecchia storia di Chirac. Zarkozy e Ségolène Royal, la sua eventuale concorrente socialista, stanno cavalcando un po’ il problema sociale francese, lo scontento sociale francese, ma nulla che sia veramente collegato alla banlieue. Più che altro dovremmo dire che esiste in Francia una certa divisione. C’è tutto il corpo sociale francese, nel suo insieme, che non vive chiaramente nelle banlieue e poi vi sono le banlieue. Di fatto, non interessa molto al mondo politico di coinvolgersi direttamente in queste banlieue e quindi diventa difficile gestirle da un punto di vista della comunicazione, quando ci sono i disordini. Ma una volta che una cosa viene messa a tacere interessa relativamente poco. Sono, infatti, cittadini che per la maggior parte non spostano voti, perchè poi nell’insieme dell’elettorato francese sono pochi. Quindi, c’è, tristemente, un certo disinteresse anche da parte della cittadinanza che non vive nelle banlieue. E’ questo che permette al politico di non curarsene direttamente.

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LA SANTA SEDE E LA QUESTIONE EBRAICA: È IL TITOLO DEL VOLUME

CHE RACCONTA L’IMPEGNO UMANITARIO DELLA SANTA SEDE DI FRONTE

ALLE PERSECUZIONI SUBITE DAGLI EBREI

- Ai nostri microfoni Alessandro Duce, Giulio Andreotti,

il cardinale Achille Silvestrini e Andrea Riccardi -

 

La Santa Sede e la questione ebraica (1933-1945). È il titolo dell’ultimo libro del prof. Alessandro Duce, dell’Università di Parma, presentato ieri a Roma. Pubblicata dalle Edizioni Studium - “La Cultura”, l’opera offre una ricostruzione dettagliata dell’impegno umanitario svolto dalla Santa Sede di fronte alle persecuzioni subite dalle popolazioni ebree dal 1933, inizio dell’ascesa di Hitler al potere in Germania, al 1945, anno della fine della seconda guerra mondiale. Con l’autore, sono intervenuti tra gli altri il cardinale Achille Silvestrini, il senatore a vita Giulio Andreotti, il prof. Andrea Riccardi e Giorgio Sacerdoti, presidente del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea. Alla presentazione c’era per noi Giada Aquilino:

 

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(musica)

 

Al di là dei preconcetti sul ruolo della Chiesa negli anni della tragica persecuzione nazista contro gli ebrei. E’ il libro La Santa Sede e la questione ebraica (1933-1945), frutto di uno studio su inediti documenti custoditi nell’Archivio segreto vaticano e non solo. In primo piano l’azione di Pio XII e dei suoi collaboratori, per smantellare accuse di pesanti silenzi attribuiti alla Chiesa di allora, impegnata invece in un aiuto concreto a tutti coloro altrimenti destinati allo sterminio. Ce ne parla l’autore, il prof. Alessandro Duce:

 

R. – La Chiesa dell’epoca non è nella condizione di essere una spettatrice indifferente e neanche una complice, ma è nelle condizioni di essere perseguitata. La firma del Concordato non cambia questa situazione. Dunque, l’aiuto che la Chiesa può dare agli ebrei è l’aiuto di un perseguitato, non è l’aiuto di chi vive in condizioni normali né addirittura di un amico del governo di Berlino. La chiarezza dottrinale è fuori discussione: condannato il razzismo, condannato il totalitarismo ateo di ispirazione neo-pagana - il ritorno ai culti, per esempio - condannata la dottrina razziale, contrapposta quella cattolica cristiana a quella dei nazionalsocialisti. E dietro queste iniziative c’è sempre Papa Pio XII.

 

D. – Di fronte a questo impegno della Santa Sede nei tragici anni della persecuzione nazista agli ebrei, perché nel tempo si è creata la cosiddetta “leggenda nera” di Pio XII?

 

R. – E’ legata al fatto che lui abbia parlato poco, esplicitamente, della questione ebraica e della persecuzione. E dice: “Io so di avere parlato poco. L’ho fatto per non aggravare le condizioni dei perseguitati”. Enorme, invece, la crociata della carità che lui ed i suoi collaboratori sviluppano in direzione di tutti coloro che sono colpiti dalla guerra e dunque anche degli ebrei. Fra l’altro, lui stesso ne ospita parecchi in Vaticano.

 

Il presidente del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Giorgio Sacerdoti, ha messo in parallelo l’atteggiamento della Chiesa all’epoca del nazismo e ''l'azione umanitaria, anche di molti laici, nei confronti dei singoli e delle famiglie''. A ricordare l’impegno di Papa Pacelli per lenire le ferite laceranti di tutte le vittime della guerra è stato il senatore a vita, Giulio Andreotti, che ha sottolineato come tale sforzo sia stato riconosciuto anche dagli ebrei:

 

“Quando venne a Roma, Golda Meir fece degli elogi straordinari di quello che era stato il comportamento di allora. Dopo, è cominciata tutta una tendenza polemica che probabilmente non ha niente a che fare con la ricostruzione storica”.

 

E della sollecitudine della Chiesa nei confronti delle comunità ebraiche perseguitate ci parla il cardinale Achille Silvestrini, Prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali:

 

R. – Questo libro mi sembra che metta in evidenza qualcosa che non era abbastanza conosciuta: ciò che hanno fatto i Nunzi nei Paesi satelliti dell’Asse; per esempio in Ungheria, Romania, Slovacchia, Croazia.

 

D. – Che ruolo emerge di Papa Pio XII?

 

R. – Soprattutto la sollecitudine pastorale e caritativa verso tutti i perseguitati.

 

Un impegno testimoniato anche dal prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio:

 

“E’ una Chiesa che ha lottato contro la disumanità della guerra. Ci sono in queste pagine tanti personaggi da non dimenticare, come mons. Burzio in Slovacchia e mons. Cassulo che in Romania lottò per gli ebrei. C’è poi l’ospitalità della Chiesa agli ebrei di Roma”.

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QUESTA SERA A SANTA MARIA DEGLI ANGELI A ROMA LA PROIEZIONE

DEL FILM IL GRANDE SILENZIO’, USCITO IERI IN DVD

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Nell’affascinante atmosfera che il Cinema ha saputo regalare alla Città di Roma è il turno del capolavoro cinematografico di Philip Gröning Il grande silenzio’ al quale è stata assegnata per la proiezione la Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martirti in Piazza della Repubblica. L’appuntamento è per questa sera alle 19.00. Il grande silenzio’ è tratto dall’esperienza-progetto del regista Philip Gröning, che ha passato 6 mesi nel silenzio quasi fantastico, lontano dal mondo e dalla sua confusione, nel chiostro della Grande Chartreuse, nelle Alpi francesi, per documentare la vita dei Monaci Certosini e la loro regola suprema, quella del distacco più assoluto dal mondo. Il film edito da San Paolo e Metacinema è da ieri in vendita in DVD. Per l’occasione abbiamo chiesto a don Roberto Di Diodato, direttore editoriale della San Paolo Audiovisivi, quale messaggio offre alla nostra società questo film:

 

R. – Credo che la società di oggi completamente immersa nel baccano, nella musica a tutto volume, nel traffico e nella distrazione più totale, possa ricavare da questo film una grande impressione di riscoperta della propria interiorità. Secondo noi, l’uomo di oggi ha bisogno di riscoprire le profondità della propria coscienza, del proprio spirito e di trovare tutti quegli aspetti che il vivere quotidiano lascia un po’ ai margini. Questo grande silenzio è uno stimolo profondissimo alla riscoperta di questa realtà interiore dell’uomo.

 

D. - Questa pellicola può interessare anche i non credenti?

 

R. – Interessa soprattutto coloro che non hanno un’esperienza diretta, vicina, della fede perché scoprono ancora di più la misteriosa vita di una comunità di frati, di certosini che, nella loro semplicità, nel fascino della loro esperienza quotidiana, nella preghiera, nella contemplazione e nella meditazione, offrono un esempio ancora più scioccante e ancora più forte per un uomo che non crede.

 

D. - Il Papa ha detto, proprio in questi giorni, che solo dal silenzio della contemplazione le parole hanno valore …

 

R. – Questa contemplazione dei frati certosini, la cui vita noi vediamo rappresentata da questo documentario di Philip Gröning, in effetti è un silenzio, una contemplazione abitata, vissuta, dove la parola viene generata in una maniera nuova perché il dialogo che c’è all’interno di questo tessuto vitale, è assolutamente nuovo, profondo, inimmaginabile ed autentico. L’uomo, anche il distratto, il non credente, percepisce che questa contemplazione genera una parola completamente nuova e completamente insospettata.

 

D. - Quali immagini del documentario destano più impresse?

 

R. - Credo che le immagini che lasciano il segno profondo nell’animo dello spettatore siano proprio quelle che riguardano la vita quotidiana, i piccoli gesti di questi frati sospesi tra Dio e il mondo: il taglio dei capelli al confratello, l’aggiustamento della tonaca, il momento di avvicinamento al gatto. Questi sono gli aspetti che solitamente anche il documentario più attento non ci ha dato della vita dei certosini. Conosciamo naturalmente le loro liturgie, abbiamo ancora nelle orecchie i loro canti gregoriani, però la vita di tutti i giorni, ciò che avviene dentro a questo scrigno della presenza di Dio, ce l’ha svelato questo film di Philip Gröning.

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  UNA MOSTRA A VICENZA RIVALUTA IL VALORE ARTISTICO E SPIRITUALE

DELLA SCULTURA LIGNEA RUSSA

- Intervista con il prof. Carlo Pirovano -

 

Rivalutare la grandezza spirituale e artistica della scultura lignea russa, spesso considerata “minore” rispetto alle più celebri icone: con questo intento, è stata allestita nelle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari di Vicenza, la mostra “Scultura lignea dalle terre russe, dall’antichità al XIX secolo”, aperta fino al 5 novembre. Esposte oltre 60 opere, provenienti dai più importanti musei della Russia, per rappresentare un genere, quello della scultura in legno, fondamentale all’interno degli spazi liturgici dell’Oriente cristiano. Ce ne parla, al microfono di Roberta Moretti, il curatore della mostra, il prof. Carlo Pirovano:

 

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R. – La civiltà russa da sempre è stata legata alla tradizione del legno, proprio per la struttura del territorio, per il modo di vivere. Le case erano fatte in legno, gli utensili erano in legno e, in più, nella tradizione di tipo animistico, soprattutto al nord, la raffigurazione degli spiriti era fatta attraverso immagini in legno. Quando arriva il cristianesimo, rimane questa abitudine di raffigurare attraverso il legno, soprattutto nella casa. La stessa cosa avviene nelle chiese. Anche qui la decorazione, come comunicazione di tipo emotivo, è fatta  attraverso il legno.

 

D. – Ci fa un esempio concreto di come avviene nella scultura lignea russa questo passaggio al cristianesimo?

 

R. – Viene mantenuto il valore sacrale che il legno aveva, tenendo presente – è questa l’operazione di trasformazione da parte del cristianesimo – il racconto biblico. In origine i progenitori erano in un luogo edenico e lì, ad un certo punto, è avvenuta la caduta. Quindi, da un albero si è proteso il serpente e abbiamo avuto il peccato originale. Il recupero di questa colpa è avvenuto nel momento in cui Cristo si è incarnato e l’equivalenza di quell’albero del male iniziale è stata proprio l’albero nuovo, che è quello della Croce, l’albero della Passione.

 

D. – Ma perché queste sculture lignee, che rappresentano la Croce, la figura di Cristo, della Vergine, dei Santi, come le icone non sono mai firmate?

 

R. – Nella tradizione russa, come del resto in tutta la tradizione ortodossa, l’artista come personalità non esiste. Esiste un gruppo che lavora e che, però, deve essere la manifestazione di una comunicazione globale, popolare. L’artista deve fondersi nella sua opera, deve essere il tramite della Parola di Dio. Questo spiega anche perchè c’è tanta incidenza nel voler mantenere la tradizione, che non è un gusto stanco di ripetizione, al contrario: rispettando i prototipi si tiene la comunicazione ad un livello di sicurezza teologica, morale, molto alta.

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CHIESA E SOCIETA’

26 ottobre 2006

 

 

SONO 300MILA I BAMBINI SOLDATO NEL MONDO: E’ QUANTO RIPORTA UN LIBRO

APPENA PUBBLICATO DALLE NAZIONI UNITE, NEL QUALE SI RIFLETTE SULLA CONDIZIONE GIURIDICA DEI PICCOLI COMBATTENTI

 

TOKYO. = I bambini soldato non possono essere giudicati dai tribunali internazionali perché sono vittime e non criminali: è quanto sostengono gli esperti delle Nazioni Unite che hanno appena pubblicato il testo “Responsabilità penale internazionale e dritto dei minori”. Sono 300mila i bambini soldato oggi nel mondo e vengono impegnati in oltre 30 teatri di guerra. Molti hanno anche meno di sei anni e, fra questi ultimi, il 40 per cento sono bambine. Di fronte ad una simile realtà, i ricercatori dell’Università delle Nazioni Unite, un centro di ricerche dipendente dall’ONU e dall’UNESCO e con sede a Tokyo, hanno voluto riflettere sullo status giuridico dei piccoli combattenti e sulle loro responsabilità a livello internazionale. “Costringere i bambini a partecipare a conflitti armati è una delle azioni più odiose che esistano”, ha affermato Hans Van Ginkel, rettore dell’Università dell’ONU e sottosegretario generale delle Nazioni Unite. Dunque, i bambini non possono essere perseguiti come un qualunque altro criminale di guerra. D’altra parte, gli autori della pubblicazione sostengono che una totale impunità dei baby soldato potrebbe incoraggiare i comandanti militari ad affidare ai minori gli incarichi più odiosi. In tal modo, la decisione di non perseguire i bambini rischierebbe di esporli a pericoli maggiori piuttosto che proteggerli. Gli esperti suggeriscono allora di esaminare singolarmente i casi riguardanti bambini, davanti a commissioni per la riconciliazione o nell’ambito dei programmi di pace. (A.S.)

 

IN VIGORE DA OGGI, IN INDIA, LA NUOVA LEGGE SULLA PROTEZIONE DELLE DONNE

 DALLE VIOLENZE DOMESTICHE, ACCOLTA CON FAVORE DALLA CONFERENZA EPISCOPALE INDIANA E DA ATTIVISTI PER I DIRITTI UMANI

 

NEW DELHI. = “Un passo giusto, nella direzione giusta”. Così il presidente della Commissione per le donne della Conferenza episcopale indiana, mons. John Baptist Thakur, vescovo di Muzaffarpur, ha definito la legge in vigore da oggi sulla “protezione delle donne dalle violenze domestiche. “In India, gran parte delle donne - spiega il presule - è povera e analfabeta e quindi vulnerabile e vittima di ogni violenza”. La nuova legge – riferisce l’Agenzia Asia News – mira prima di tutto a proteggere le donne all’interno delle proprie famiglie: mogli da soprusi dei mariti, ma anche da violenze di altri uomini. Secondo dati forniti dal governo indiano, “il 70 per cento delle donne in India è vittima di violenze tra le mura di casa”. Anche diverse organizzazioni per i diritti delle donne si dicono soddisfatti per la nuova legge, ricordando però che a questa norma deve seguire “un cambiamento di mentalità”. (A.L.)

 

 

DA 80 ANNI A SERVIZIO DELLA CHIESA  E DELLA SOCIETA’ POLACCA:

SI CELEBRA IN QUESTI GIORNI L’80.MO ANNIVERSARIO

 DALLA PRIMA PUBBLICAZIONE DI “NIEDZIELA”,

IL PIU’ DIFFUSO SETTIMANALE CATTOLICO IN POLONIA

 

CZESTOCHOWA. = “Annunciare all’uomo di oggi un messaggio di speranza e di bene”: sono questi, nelle parole del redattore capo mons. Ireneo Skubis, gli     obiettivi con cui da 80 anni viene pubblicata “Niedziela”, la rivista cattolica più diffusa in Polonia e in tutti i Paesi dell’ex-blocco comunista. Era l’ottobre del 1926 quando uscì, nella neonata diocesi di Czestochowa, il primo numero del settimanale “La domenica” (“Niedziela” in polacco). Negli intenti del vescovo di allora, si voleva creare un giornale vicino alla gente, che riportasse la cronaca della vita della diocesi e servisse da aiuto pastorale per i parroci. Considerando che la Polonia era tornata a essere uno Stato unitario dopo la prima guerra mondiale, nei primi decenni di pubblicazione “Niedziela” era finalizzata anche al consolidamento dell’unità dei cattolici polacchi. Fino al 1939, il periodico veniva stampato in 8.000 copie e per la sola diocesi di Czestochowa. Da dopo la seconda guerra mondiale, la tiratura salì a 94 mila copie e la diffusione del giornale divenne nazionale. Nel 1953 il redattore capo della rivista venne incarcerato e la redazione venne chiusa dalle autorità comuniste.  La pubblicazione venne ripresa solo nel 1981, dopo la rivoluzione di Solidarność. Attualmente, il settimanale possiede un’edizione nazionale e 20 inserti diocesani, con una tiratura che sfiora le 200 mila copie. La diffusione è ormai mondiale, in quanto il settimanale viene inviato anche negli Stati Uniti, dove risiede la più grande comunità di emigrati polacchi, e a tutte le missioni polacche del mondo. (A.S.)

 

 

“IL CIBO E LE FESTE NELLA LINGUA E NELLA CULTURA ITALIANA”: E’ QUESTO IL TEMA DELLA VI SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA NEL MONDO, DURANTE LA QUALE SONO PREVISTE INIZIATIVE PRESSO LE AMBASCIATE E GLI ISTITUTI ITALIANI

DI CULTURA DI TUTTO IL MONDO 

 

ROMA. = Promuovere il folklore, le feste, le tradizioni e, quindi, la ‘cultura materiale’ italiana in tutto il mondo: con questi obiettivi è in corso, fino al 29 ottobre, la VI Settimana della lingua italiana nel mondo, promossa dal ministero degli    Esteri, con il co-patrocinio del ministero per gli italiani nel mondo e in collaborazione con l’Accademia della Crusca e la Società Dante Alighieri. Seguendo il tema di quest’anno, “Il cibo e le feste nella lingua e nella cultura italiana”, molteplici eventi sono stati organizzati dalla rete diplomatico-consolare e dagli Istituti di cultura italiani in ogni angolo del pianeta, dalla Francia al Giappone, dalla Cina a Israele. Nel corso delle manifestazioni, viene dato risalto ai testi letterari che, dal 1200 a oggi, hanno descritto le risorse enogastronomiche e le feste popolari in Italia. Contemporaneamente, si dà spazio anche a dialetti e registri linguistici differenti. Tra le iniziative, di particolare rilievo sono i concorsi letterari indirizzati a studenti italiani e stranieri  che frequentano istituzioni scolastiche italiane all’estero. Molteplici anche le mostre, ospitate presso ambasciate, consolati e istituti italiani di cultura, molte delle quali dedicate all’evoluzione dell’arte culinaria italiana. Nelle intenzioni degli organizzatori, gli eventi di questi giorni si propongono di stimolare la riflessione sulle potenzialità della nostra lingua  come strumento di diffusione dell’immagine italiana all’estero. (A.S.)

 

 

UN VIAGGIO ATTRAVERSO L’ITALIA FRA MONETE, FRANCOBOLLI E ALTRI OGGETTI

DA COLLEZIONE: UNA MOSTRA, IN CORSO A ROMA, RACCONTA LA STORIA

E LE TRADIZIONI DELLE VARIE REGIONI ITALIANE

 

ROMA. = Francobolli, monete, quadri, vecchie fotografie e altri articoli da collezione che ricordino e valorizzino le regioni italiane. Sono questi gli oggetti esposti presso la 10.ma Philtel Mostra Filatelica Numismatica Hobby, che quest’anno ha come tema “La mia regione”. Espositori provenienti da Veneto, Sardegna, Puglia, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Piemonte, Lombardia e Calabria celebrano la propria terra d’origine attraverso la filatelia, la numismatica e i più svariati oggetti da hobby o da collezione, dai fumetti d’epoca ai modellini del Titanic, dalle schede telefoniche alle divise storiche. Anche il Governatorato della Città del Vaticano è presente con francobolli e un annullo speciale. Di particolare interesse sono alcuni libri antichi, tra cui edizioni delle ‘Metamorfosi’ di Ovidio del 1639;Dei diritti dell’uomo’ di Nicola Spedalieri, stampato ad Assisi nel 1791. E gli Atti del processo a Pellegrino Rossi del 1848. La vita di Giuseppe Garibaldi è illustrata attraverso una dettagliata documentazione filatelica. Sono poi esposte scene di vita romana, realizzate in terracotta e raffiguranti figure di artigiani e commercianti ormai scomparsi dalle nostre strade. Sono presenti inoltre stand espositivi della Polizia e dell’Arma dei Carabinieri. La mostra, promossa dalla Telecom e aperta dal 21 al 29 ottobre, ha come sede la sala L’Agostiniana presso la chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma. (A.S.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

26 ottobre 2006

 

 

- A cura di Roberta Moretti -

 

L’escalation di violenze in Iraq è motivo di “seria preoccupazione”: così, il presidente statunitense, George W. Bush, che ieri, in una conferenza stampa alla Casa Bianca, ha sollecitato il governo iracheno del premier Al Maliki a “mosse audaci” per vincere la guerra, affermando che la sua pazienza “non è illimitata”. Pronta la risposta del capo del governo di Baghdad. Roberta Moretti:

 

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A meno di due settimane dal voto di midterm del 7 novembre, la cui campagna è dominata dalla guerra e che i repubblicani rischiano di perdere a causa del conflitto in Iraq, Bush riconosce di non essere soddisfatto dell'andamento delle operazioni ed evoca le perdite americane nel Paese del Golfo. Con l’uccisione, infatti, di altri 5 soldati, avvenuta ieri nella provincia occidentale di Al Anbar, cuore del ‘Triangolo Sunnita’, è salito a 96 il numero dei caduti USA a ottobre, il mese più sanguinoso degli ultimi due anni. Da parte sua, il premier iracheno ha respinto ogni accusa e ha protestato per l'incursione effettuata ieri nella capitale da truppe americane, seppure appoggiate da forze locali, nel quartiere di Sadr City, la roccaforte degli integralisti sciiti seguaci dell’imam radicale, Moqtada al-Sadr. Maliki ha affermato di non essere stato consultato dal Comando USA prima dell'operazione; fonti governative hanno inoltre denunciato l'uccisione di almeno quattro civili. Secondo i vertici militari statunitensi, il raid aveva lo scopo di localizzare un proprio soldato rapito lunedì dai ribelli. Inoltre, nella stessa area sarebbe stata individuata la presenza di un capo guerrigliero responsabile in prima persona di stragi e omicidi, perpetrati nella capitale da ‘squadroni della morte’ ai suoi ordini.

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Andiamo in Afghanistan, dove stamani l’ONU ha sollecitato un’inchiesta, dopo che fonti locali hanno denunciato una strage di almeno 50 civili in raid aerei della NATO nel sud del Paese. Il bilancio dell’operazione, avvenuta all’inizio della settimana, durante la festa islamica dell’Eid al Fitr, non è ancora definitivo: alcuni testimoni parlano di 80 morti e di almeno 25 case rase al suolo. Intanto, mentre cresce la preoccupazione per la sorte del fotoreporter italiano, Gabriele Torsello, rapito in Afghanistan il 14 ottobre scorso, l’Unione delle comunità islamiche d’Italia, l’Ucoii, ha annunciato che trasmetterà un appello per la liberazione dell’uomo attraverso Al Jazeera e altre televisioni satellitari captate nel mondo arabo. Il presidente dell'organizzazione islamica, Mohammed Dachan, ha sollecitato anche tutte le moschee a fare un'invocazione per il rilascio di Torsello nel sermone del giorno di preghiera di domani. Infine, sono stati identificati i sei militari tedeschi, fotografati nell’atto di profanare resti umani in Afghanistan. Le immagini, definite “atroci” dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, hanno suscitato reazioni indignate da parte della comunità internazionale.

 

L’UNIFIL, la forza ONU schierata in Libano, ha smentito che caccia israeliani abbiano compiuto nei giorni scorsi atti ostili nei confronti di navi tedesche impegnate nella missione. Intanto, il premier dello Stato ebraico, Olmert, continua la sua azione per mantenere unita la coalizione di governo, mentre il capo della diplomazia europea, Javier Solana, da ieri in Israele, afferma che l’Unione Europea è “più che mai legata” al processo di pace in Medio Oriente.

 

In Medio Oriente, stamani due palestinesi sono stati uccisi nella Striscia di Gaza dal fuoco israeliano. Si tratta di un poliziotto dell’Autorità Nazionale Palestinese, colpito a morte durante un’irruzione dei soldati dello Stato ebraico in un villaggio alle porte di Khan Younis, nel sud dell’enclave. L’Esercito israeliano ha fatto sapere di essere stato attaccato e di essersi limitato a rispondere. L’altra vittima è invece un civile, ucciso nel nord della Striscia.

 

Assolti i capi del giornale danese Jyllands-Posten: con le vignette su Maometto pubblicate nel 2005 non avrebbero offeso l’Islam. Lo ha deciso la corte di Aarhus, secondo cui “le caricature non avevano un carattere di offesa nei confronti di Maometto o dell’Islam, anche se il testo di accompagnamento poteva rivelare disprezzo o derisione”. Le associazioni musulmane danesi avevano invece denunciato i disegni perché rappresentavano, a loro avviso, “un attacco all’onore dei credenti”.

 

La Russia ha bocciato il progetto di risoluzione ONU messo a punto da Francia, Gran Bretagna e Germania, cosiddetta “eurotroika”, in risposta alle ambizioni nucleari dell’Iran. Secondo il ministro degli Esteri russo, Lavrov, la bozza di risoluzione, che prevede l’imposizione di sanzioni economiche, commerciali e diplomatiche, non corrisponderebbe agli impegni presi dai 5 Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la Germania. Si tratta di accordi tesi ad eliminare il rischio che tecnologie sensibili siano gestite in Iran fino a quando l’AIEA non avrà fatto luce sulla crisi nucleare in atto. La Repubblica Islamica ha annunciato ieri che entro questa settimana una seconda serie di 164 centrifughe a cascata comincerà ad essere alimentata con gas Uf6. Stamani da Pechino, dove è in visita ufficiale il presidente francese, Chirac, giunge l’appello a Teheran a rispettare la risoluzione 1696 dell’ONU, che chiede di cessare l’arricchimento dell’uranio. Francia e Cina hanno anche espresso “grave preoccupazione” per i test nucleari in Corea del Nord. E hanno poi auspicato la fine dell’embargo dell’Unione Europea sulle armi alla Cina, imposto nel 1989, dopo il massacro di Tiananmen.

 

Dopo dodici anni, la giustizia argentina ha accusato ufficialmente l’Iran e il movimento Hezbollah, di essere responsabili dell’attentato antiebraico del 18 luglio del 1994 a Buenos Aires, nel quale persero la vita 85 morti. Il procuratore federale Alberto Nisman ha chiesto l’arresto dell’ex presidente iraniano Hashemi Rafsanjani.

 

Se Seul parteciperà alle sanzioni decise dagli Stati Uniti, la Corea del Nord prenderà gravi provvedimenti. L’avvertimento è stato diffuso ieri dal portavoce nordcoreano del Comitato per la riunificazione pacifica della penisola, il quale ha sottolineato che l’appoggio della Corea del Sud alle pressioni internazionali potrebbe portare ad una “crisi di guerra” fra i due Paesi.

 

Siglato stamani a Stratford-upon-Avon, in Gran Bretagna, un accordo tra i ministri degli Interni dei sei Paesi più popolosi d’Europa – Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna e Polonia – per prevenire attacchi terroristici. Tra le decisioni adottate dal G6, quella di una lotta comune contro i siti internet che fanno apologia del terrorismo e di uno scambio di informazioni sulle indagini sugli esplosivi, in particolare quelli liquidi.

 

E’ stato riaperto oggi l’aeroporto di Dili, la capitale di Timor Est, percorsa nei giorni scorsi da violenti scontri tra gruppi di giovani armati. La chiusura per motivi di sicurezza dello scalo della città ha sottolineato la drammaticità della situazione: ieri almeno due persone erano morte nelle violenze. Il servizio di Chiaretta Zucconi:

 

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La chiusura dell’aeroporto sottolinea la fragile sicurezza dell’ex colonia portoghese che nel 1999 ottenne l’indipendenza dall’Indonesia. Le violenze sono iniziate domenica scorsa, cinque giorni dopo il rilascio da parte della commissione speciale delle Nazioni Unite di un dettagliato rapporto sulle cause del conflitto che ancora infiamma Timor Est. Un rapporto che accusa il governo dell’ex premier Alkatiri di essere responsabile dell’ondata di violenza iniziata in gennaio e di aver armato la milizia civile. Secondo un portavoce delle Nazioni Unite, la situazione è ancora fortemente instabile nonostante l’arrivo in maggio delle truppe internazionali di pace guidate dall’Australia. Nel frattempo continua la mediazione del vescovo Carlos Belo, premio Nobel per la pace, che si è incontrato con il leader dei ribelli Alfredo Reinaldo e con lo stesso ex primo ministro Alkatiri, nel tentativo di riportare la calma nel Paese.

 

Per la Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.

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In Cina, è di 11 morti il bilancio dell’esplosione di gas avvenuta in una miniera di carbone a Xinyu, provincia nordorientale. Lo rende noto l'agenzia “Xinhuà”. I soccorritori hanno trovato i loro cadaveri solo dopo cinque ore.

 

Un cittadino eritreo è stato ferito a morte sabato sera da uno dei Caschi blu dell’ONU nella zona cuscinetto tra Etiopia ed Eritrea. Lo rende noto oggi un comunicato dell’UNMEE, la Missione ONU in Etiopia ed Eritrea, secondo cui due eritrei erano entrati con la forza nella missione ovest del quartiere generale dei peacekeepers a Barentia. Malgrado i ripetuti richiami perché si allontanassero, uno di loro ha cercato di aggredire una sentinella, che gli ha sparato. L’incidente rischia di far ulteriormente salire la tensione tra UNMEE e governo eritreo.

 

Il governo di Niamey, in Niger, ha in progetto di rinviare 4 mila arabi mahamid – e non 100 mila come annunciato precedentemente – nel loro Paese d’origine, il Ciad, a causa delle tensioni con le popolazioni nigerine della regione di Diffa alla frontiera con il deserto. Ieri, intanto, nove parlamentari arabi del Parlamento nigerino avevano chiesto all’ONU e all’Unione Africana d’intervenire “per evitare un conflitto grave” nell’Est del Paese. Anthony Torzec, della nostra redazione francese, ha sentito in proposito Weila Ilguilas, presidente di “Timidina”, l’Associazione nigerina dei diritti dell’uomo:

 

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R. – Ces arabes etant des nomades, nous avons des populations nomades  …

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“Questi arabi sono nomadi ; noi abbiamo popolazioni nomadi : i Tuareg e gli arabi che vivono in questa regione. Per capire la facilità della loro penetrazione nel Paese, bisogna tener conto della lingua, parlata sui due fronti, del modo di vivere e anche dell’ospitalità africana: tutti questi fattori hanno consentito il loro ingresso. Fuggivano da una guerra e quando sono arrivati, si pensava che sarebbero rimasti fino a che la situazione non si fosse calmata dall’altra parte, per poi tornare. Invece, recentemente, si è constatato che essi vogliono installarsi definitivamente nel Paese. Ma non è nemmeno questo, il problema: si potrebbe consentire loro di installarsi definitivamente, ma a condizione che essi accettino le norme in materia. Ma ora, negli ultimissimi periodi, i mahamid hanno iniziato a compiere atti di violenza sulle popolazioni autoctone che vivevano nelle zone nelle quali loro si sono insediati: sono arrivati armati, con le loro armi, un grande arsenale, e le hanno usate contro le popolazioni locali rubando, razziando, perfino uccidendo …”.

 

L’impatto dei flussi migratori sullo sviluppo sociale: di questo discuteranno i prossimi 28 e 29 ottobre a Montevideo, capitale dell’Uruguay, i capi di Stato e di governo di 22 nazioni iberoamericane, riuniti per il loro vertice annuale. Ce ne parla Luis Badilla:

 

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La questione del muro che gli USA hanno deciso di costruire o rafforzare tra il territorio statunitense e quello messicano sarà, senza dubbio, uno dei temi principali della discussione. Il presidente George W. Bush promulgherà oggi una legge sulla sicurezza firmata lo scorso 5 ottobre che, all’interno di un pacchetto di spesa di 35 miliardi di dollari, finanzia con 1,2 miliardi di dollari la costruzione di un muro anti-immigrati al confine con il Messico. La firma del provvedimento ha avuto come sfondo le montagne dell'Arizona, uno degli Stati al centro del dibattito politico sull'emigrazione. “E’ una legge che renderà l’America più sicura per tutti i suoi cittadini", ha detto Bush in una cerimonia che ha coinciso con un giro di tre giorni di campagna elettorale negli Stati del West. Il provvedimento prevede anche capitoli di spesa per dispositivi di rilevamento di materiali nucleari alle frontiere, l'innalzamento degli standard di sicurezza in impianti chimici. Il muro alla frontiera con il Messico ha provocato critiche da parte del presidente messicano uscente, Vicente Fox, che lo ha definito una “vergogna” paragonabile al Muro di Berlino. La barriera è però un cavallo di battaglia di molti parlamentari americani in corsa per il voto di midterm del 7 novembre, in risposta agli umori anti-immigrati di buona parte della popolazione USA, soprattutto negli Stati del Sud.

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