RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 298 - Testo della trasmissione di mercoledì 25 ottobre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Cristo va messo al centro della vita di ogni credente come lo fu per Paolo di Tarso, che affrontò con coraggio ogni difficoltà per amore del Vangelo: la catechesi dell’udienza generale dedicata da Benedetto XVI all’“apostolo delle genti”

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La fiaccola agostinana del dialogo è arrivata a Tunisi: ai nostri microfoni mons. Maroun Lahham

 

Mons. Silvano Tomasi auspica la riforma dell’ONU perchè le grandi decisioni non siano nelle mani di pochi potenti Stati: con noi il presule

 

Etiopia e Somalia sono sull’orlo del conflitto. Il commento di Angelo Masetti

 

Aperto stamane a Roma, presso la FAO, il Congresso mondiale sulla comunicazione per lo sviluppo

 

Presentato a Roma il dossier statistico sull’immigrazione di Caritas e Fondazione Migrantes. Ce ne parla Franco Pittau

 

CHIESA E SOCIETA’:

In Spagna, i vescovi si dicono contrari alla bozza di legge sulla ricerca biomedica, che mira a consentire la clonazione a fini terapeutici

 

Finlandia campione in libertà di espressione, la Corea del Nord è ultima. E’ quanto emerge dal Rapporto 2006 sulla libertà di stampa di Reporter senza Frontiere

 

Iniziate in Ruanda le udienze per accertare il presunto ruolo della Francia nel genocidio del 1994

 

A Collevalenza dal 27 al 29 ottobre un Convegno sulla prima Enciclica di Benedetto XVI ‘Deus caritas est’

 

Lo stile di evangelizzazione del cammino neocatecumenale accolto dalla Chiesa ortodossa russa

 

24 ORE NEL MONDO:

Scontri ieri a Budapest durante le celebrazioni per i cinquanta anni della insurrezione democratica ungherese repressa nel sangue dalle truppe sovietiche

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

25 ottobre 2006

 

CRISTO VA MESSO AL CENTRO DELLA VITA DI OGNI CREDENTE COME LO FU PER PAOLO DI TARSO, CHE AFFRONTO’ CON CORAGGIO OGNI DIFFICOLTA’

PER AMORE DEL VANGELO:

LA CATECHESI DELL’UDIENZA GENERALE DEDICATA DA BENEDETTO XVI

ALL’ “APOSTOLO DELLE GENTI”

 

 

“La figura di Gesù è al centro della vita del cristiano”: un atto di fede e una regola di vita che da duemila anni risplendono nella testimonianza di uno dei più grandi annunciatori del Vangelo: Paolo di Tarso. All’“Apostolo delle genti”, Benedetto XVI ha dedicato l’udienza generale di questa mattina, dopo aver concluso le catechesi sui dodici Apostoli che accompagnarono la missione terrena di Gesù. Al termine dell’udienza, il Papa ha salutato i familiari di Alessandra Lisi, la giovane ricercatrice rimasta uccisa nell’incidente della metropolitana di Roma, lo scorso 18 ottobre. La cronaca dell’udienza nel servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Si definisce “Apostolo per volontà di Dio”. Di un Dio di cui impara ad amare e servire quel Cristo, che poi scoprirà come suo Figlio, con la stessa intensità e dedizione con le quali all’inizio lo aveva combattuto. E poi, un Apostolo con il cuore allargato sul mondo, che non fa distinzioni di etnia, perché ha scoperto che il Dio che lo ha scelto “è il Dio di tutti”. Nella storia della Chiesa delle origini, Paolo di Tarso “brilla come stella di prima grandezza”. Benedetto XVI, parlando alle oltre 30 mila persone in Piazza San Pietro per l’udienza generale, ha inaugurato con il racconto della vita e dell’importanza del cosiddetto “13° Apostolo” un nuovo ciclo di catechesi con le quali, ha annunciato, si esamineranno nelle prossime settimane le storie di altri uomini e donne che si votarono al Vangelo.

 

Nei primi anni Trenta dopo la morte di Gesù, ha ricordato il Papa, Paolo è un ebreo osservante che vive a Gerusalemme dove viene a sapere di un gruppo di seguaci del Nazareno che pongono al centro della loro vita un uomo crocifisso piuttosto che la legge mosaica. Per lo zelo che lo anima, questo atteggiamento è per Saulo di Tarso “scandaloso” e “inaccettabile”. Ma Dio ha altri piani su di lui. E quando sulla strada per Damasco Gesù gli si rivela, Paolo userà nelle sue lettere quattro verbi per descrivere quell’istante straordinario: “visione”, “illuminazione”, “rivelazione”, “vocazione”. Quattro verbi che gli cambiano la vita per sempre e che rendono unica la sua esperienza:

 

“Si definisce esplicitamente ‘apostolo per volontà di Dio’, come a sottolineare che la sua conversione è stata non il risultato di un proseguimento di pensieri, di riflessioni, ma il frutto di un atto divino, di una imprevedibile grazia divina. Da allora in poi, tutto ciò che prima aveva costituito per lui un valore, divenne paradossalmente – secondo le sue parole –perdita’ e ‘spazzatura’, e da quel momento tutte le sue energie furono poste al servizio esclusivo di Gesù Cristo e del suo Vangelo”.

 

Da qui, ha proseguito Benedetto XVI, “deriva per noi una lezione molto importante”:

 

“Ciò che conta è porre al centro della propria vita Gesù Cristo, sicché la nostra identità sia contrassegnata essenzialmente dall’incontro, dalla comunione con Cristo e la sua parola. Alla luce di Cristo, ogni altro valore viene recuperato e insieme purificato da eventuali scorie”.

 

Altra caratteristica di San Paolo, ha osservato il Papa, è “il respiro universale del suo apostolato”. Che affronta con coraggio incredibile. Medio Oriente, Asia Minore, Europa, tra i pericoli del mare e del deserto, tra le insidie dei briganti come degli amici. Benedetto XVI ha elencato le traversie dell’apostolo, che subì naufragi, carcere, percosse, lapidazioni, antipatie, pur di arrivare “fino agli estremi confini della terra”. Come non amare “un uomo di questa statura”, ha esclamato il Papa, rivelando il “segreto” di questa eccezionale tempra apostolica:

 

“E’ chiaro che non gli sarebbe stato possibile affrontare situazioni tanto difficili, a volte disperate se non ci fosse stata una ragione di valore assoluto, di fronte alla quale nessun limite poteva ritenersi invalicabile. Per Paolo questa ragione – lo sappiamo – è Gesù Cristo, di cui egli scrive:L’amore di Cristo ci spinge’. Il Signore ci aiuti a mettere in pratica lasciataci dall’apostolo nelle sue lettere, in cui dice:Fatevi miei imitatori come io sono imitatore di Cristo’”. (applausi)

 

Dopo le sintesi della catechesi in varie lingue, al momento dei saluti Benedetto XVI ha ricordato la testimonianza evangelica di Sant’Antonio Maria Claret, celebrato ieri dalla Chiesa, e ha poi incontrato e confortato, intrattenendosi alcuni minuti con lei, la signora Angela Maria, mamma di Alessandra Lisi, la trentenne morta in seguito allo scontro nella metropolitana di Roma di una settimana fa. Ad accompagnare la donna e a presentarla al Papa, il sindaco della capitale, Walter Veltroni.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

Servizio vaticano - La catechesi e la cronaca dell’udienza generale.

 

Servizio estero - Afghanistan: persistenti e inasprite violenze ostacolano gli sforzi di restituire il Paese ad una pacifica e civile convivenza.

 

La pagina degli “Approfondimenti” è dedicata alla mostra “L’‘Osservatore Romano’: da Roma al mondo”.

 

Una monografica - a cura di Alfredo Marranzini - dal titolo “Un frammento di storia romana in un’iscrizione di Santa Lucia di Serino”.

 

Servizio italiano - In primo piano il tema della finanziaria.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

25 ottobre 2006

 

 

LA FIACCOLA AGOSTINANA DEL DIALOGO E’ ARRIVATA A TUNISI

- Intervista con mons. Maroun Lahham -

 

La fiaccola del dialogo e della pace di Sant’Agostino è arrivata oggi a Tunisi, l’antica Cartagine: qui il Santo ha studiato e, da vescovo di Ippona, nel 411, è stato l’anima della riconciliazione fra cattolici e donatisti riportando la pace e l’unità nella Chiesa in Nord Africa. Tiziana Campisi ha incontrato il vescovo di Tunisi, mons. Maroun Lahham, al quale è stato anche consegnato un ramoscello d’ulivo proveniente da Tagaste, la città natale di Sant’Agostino, risalente proprio all’epoca del Santo. Al presule ha chiesto con quale spirito la diocesi di Tunisi ha accolto la fiaccola del dialogo:

 

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R. – Si poteva difficilmente scegliere meglio, perché ci troviamo a vivere un momento in cui si ha veramente bisogno di dialogo e si ha veramente bisogno di pace e parlare di pace, partendo da Sant’Agostino è già  ben accettato. Parlare di dialogo e di pace, sia riferendosi ad Occidente e Oriente, sia fra cristianesimo e islam, sia fra le due sponde del Mediterraneo, rappresenta certamente un tema di attualità estrema. Dunque, si tratta di una iniziativa che risponde ad un bisogno sia storico sia geografico, sia politico che religioso.

 

D. – Mons. Lahham, quale esperienza di dialogo si vive in Tunisia e nella sua diocesi in particolare?

 

R. – E’ un dialogo di vita, un dialogo pratico fatto di convivenza e che non tocca le cose essenziali della fede, sia cristiana che musulmana. Questo è il tipo di dialogo che esiste nei Paesi a maggioranza musulmana e dove i cristiani o sono una minoranza, come avviene in Medio Oriente, o sono stranieri, come in Nord Africa. E’ un dialogo sereno, è un dialogo in cui ciascuno conosce le sensibilità dell’altro e le rispetta: tutto questo porta ad una convivenza, che sia la più pacifica possibile.

 

D. – Domani comincia la plenaria della Conferenza episcopale regionale del Nord Africa: quali sfide la Chiesa cristiana deve affrontare nei prossimi anni?

 

R. – Durante i lavori della plenaria affronteremo tante sfide e la primissima – che è sempre di estrema attualità – è come definire una missione, che sia sempre rinnovata, della Chiesa, pur essendo straniera, nei Paesi del Nord Africa. Una missione che ogni anno deve interrogarsi su quale sia il senso della nostra presenza in questi Paesi che, di per sé, non avrebbero bisogno di noi, ma dove la nostra presenza è accettata, apprezzata ed anche voluta. Studieremo poi il documento sul Sinodo dell’Africa ed affronteremo anche la questione dell’immigrazione di tanti giovani africani che passano dalle nostre chiese per potersi stabilire in Nord Africa e – nella maggior parte dei casi – per partire per l’Europa. E’ importante comprendere come poter aiutare questi giovani e come andare loro incontro.

 

D. – Ci sono dei problemi particolari che la Chiesa si trova ad affrontare?

 

R. – Problemi particolari come Chiesa, no. Anche perché bisogna dire che qui in Tunisia c’è un modus vivendi, che ci permette di vivere serenamente. C’è qualcosa da discutere, ma lo si fa sempre tranquillamente. Problemi essenziali per la Chiesa non ce ne sono, anche perché rappresentiamo una piccolissima minoranza.

 

D.- Lei, che cosa si augura per la Chiesa africana?

 

R. - Mi auguro di poter capire ed attuare la volontà di Dio riguardo a questa Chiesa, che tempo fa era molto fiorente. Io penso che il Signore ci ha portato in questa Chiesa del Nord Africa e che c’è una sua volontà ed un suo disegno. Il mio augurio è quello di poter scoprire questa sua volontà e di poter seguire questa linea, perché sarà fatta la volontà di Dio.

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RIFORMA DELL’ONU: MONS. SILVANO TOMASI AUSPICA AI NOSTRI MICROFONI

UNA DEMOCRATIZZAZIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA

 

Si è celebrata ieri in tutto il mondo la Giornata internazionale delle Nazioni Unite. Un’occasione per parlare delle grandi sfide che deve affrontare l’ONU e delle attese riforme dell’organizzazione anche in vista dell’insediamento nel gennaio prossimo del nuovo segretario generale, il sudcoreano Ban Ki-Moon. Al riguardo Roberta Gisotti ha intervistato mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio ONU di Ginevra:

 

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R. - C’è molta fiducia che il cambio al vertice delle Nazioni Unite possa accelerare il processo di riforma di questa enorme macchina burocratica che si trova in panne. E’ stato fatto un primo passo con la riforma del Consiglio dei diritti umani, dove anche lì, dopo quasi un anno di esperimento, si vedono certi limiti che richiedono forse degli aggiustamenti. Poi c’è la questione fondamentale che riguarda il Consiglio di Sicurezza. E’ lì dove le battaglie più forti e più dure vengono fatte, perchè ci vorrebbe una partecipazione più ampia e reale in questa struttura. Il problema è che finora tutte le proposte fatte si sono trovate bloccate da veti incrociati. Se si riuscisse a far in modo che le Nazioni Unite, attraverso il Consiglio di Sicurezza, rimanessero efficaci, allo stesso tempo però dando forse una voce più forte all’Assemblea generale, si potrebbe fare un po’ di strada. Questo è il cammino su cui si sta riflettendo, per trovare uno degli sbocchi a questa esigenza che si sente di rinnovare, di modernizzare.

 

D. – E’ un appuntamento che non si può mancare…

 

R. – Occorre aggiornare le strutture delle Nazioni Unite, anche perchè non si possono limitare le decisioni fondamentali ad un piccolo gruppo di persone. Bisogna che il mondo e le popolazioni del mondo abbiano voce in capitolo. Questo è il grande dilemma: come equilibrare queste due esigenze?

 

D. – La riforma è l’unica via perché le Nazioni Unite possano svolgere il loro ruolo istituzionale, con una maggiore partecipazione…

 

R. – La legittimità delle Nazioni Unite dipende dalla partecipazione reale di tutti i Paesi del mondo, altrimenti cadiamo nella teoria politica dell’unilateralismo. Abbiamo alcuni Stati che siccome sono forti possono permettersi di camminare per conto loro e abbiamo visto, anche nei mesi recenti, quali tragedie e quali problemi possano portare.

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GUERRA TRA POVERI IN AFRICA:

ETIOPIA E SOMALIA SONO SULL’ORLO DEL  CONFLITTO

- Intervista con Angelo Masetti -

 

         L’Etiopia è tecnicamente in guerra con le Corti islamiche che controllano gran parte della Somalia. Lo ha dichiarato il primo ministro etiopico Meles Zanawi schierandosi apertamente dalla parte del Governo di transizione somalo con sede a Baidoa. L’esigenza, così è stata presentata da Addis Abeba, di intervenire in Somalia deriva dalla jihad lanciata dalle Corti islamiche in tutto il Paese. Meles Zenawi ha spiegato alla stampa internazionale che il contingente etiopico impegnato sul terreno è composto da poche centinaia di uomini con funzioni di addestramento. Questo ulteriore sviluppo della crisi somala mette anche a rischio la ripresa dei negoziati tra le fazioni somale in lotta, ospitati dall’inizio dell’anno a Khartoum, in Sudan. Sui motivi dell’intervento etiopico in Somalia sentiamo Angelo Masetti, portavoce del Forum Italia-Somalia, intervistato da Stefano Leszczynski:

 

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R. – L’Etiopia in questi anni ha mantenuto una forte attenzione nei confronti della Somalia, cercando di arginare una espansione islamica estremista, sostenendo varie fazioni che hanno dato vita alla guerra civile.

 

D. – L’Etiopia ufficialmente è entrata in questo conflitto interno somalo per sostenere quello che ormai viene definito il governo di Baidoa. Tuttavia la popolazione somala non ha mai visto di buon occhio gli etiopici sul proprio territorio. Questo non rischia di far perdere quel poco che resta di appoggio al governo di Baidoa?

 

R. – Sicuramente sì. E’, infatti, uno di quegli elementi che vengono anche strumentalizzati dagli oppositori del governo transitorio di Baidoa per unire il fronte interno e cioè la minaccia etiopica è il sentimento diffusissimo tra la popolazione contraria all’Etiopia e agli etiopici, naturalmente.

 

D. – Come mai i negoziati, che erano stati condotti in Sudan e che sembravano dare buoni frutti, sono finiti nel nulla?

 

R. – Io non direi che sono finiti nel nulla. Dobbiamo ora aspettare quello che succederà il 30 a Khartoum, sperando soprattutto che la riunione non venga cancellata. La situazione attuale vede un governo transitorio a Baidoa, sempre più debole e sempre più isolato nel controllo del solo villaggio di Baidoa, con sporadiche incursioni all’esterno. Dall’altra parte abbiamo un fronte apparentemente unitario che viene definito Unione delle Corti Islamiche, ma la realtà è che fino a quando le Corti islamiche avranno un nemico contro il quale unirsi e grazie al quale poter stendere un velo sulle divisioni interne avranno una notevole potenza di fuoco ed anche una potenza politica. La realtà è, però, che all’interno le Corti islamiche non sono così monolitiche.

 

D. – Chi dovrà farsi carico del problema, l’Unione Africana o le Nazioni Unite?

 

R. – La soluzione della crisi somala non può essere affidata esclusivamente ai somali. Questo è certamente il primo dato di fatto, su cui i somali stessi sono d’accordo. Il secondo dato di fatto è che una forza internazionale deve necessariamente escludere la presenza di truppe provenienti dai Paesi limitrofi. La presenza di truppe che non siano solo africane, credo che sarebbe molto, molto auspicabile, perché sarebbe un segnale molto importante e molto confortante per i somali e per la popolazione somala.

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APERTO STAMANE A ROMA, NEL PALAZZO DELLA FAO,

IL CONGRESSO MONDIALE SULLA COMUNICAZIONE PER LO SVILUPPO

 

Si è aperto stamani a Roma, nel Palazzo della FAO, il Congresso mondiale sulla comunicazione per lo sviluppo, cui partecipano operatori di media, insieme a rappresentanti della politica e della società civile, esperti di sviluppo, donatori, esponenti di comunità ed accademici. Obiettivo comune: promuovere una nuova cultura della solidarietà. Il servizio di Roberta Gisotti:

 

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“La missione che ci riunisce oggi qui è di piantare i semi della conoscenza e della speranza per i poveri del mondo”: così Jacques Diouf, direttore generale della FAO, in apertura dei lavori, davanti a 500 delegati di 155 Paesi, convenuti a Roma per raccogliere la sfida di condividere – non un’utopia ha detto Diouf – ma un progetto concreto: valorizzare la comunicazione a favore dello sviluppo, vale a dire integrare la comunicazione nelle politiche di lotta alla povertà. C’è bisogno di creatività e di immaginazione – ha esortato il direttore generale della FAO - per ridurre il cosiddetto digital divide, ovvero il divario informatico in un mondo globalizzato, che allarga la forbice tra ricchi e poveri del Pianeta. E’ vero che il rapido progresso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha accelerato la crescita economica in tutto il mondo ma proprio il ritmo accelerato di questo processo - ha ammonto Diouf – rischia di allontanare ancor più quanti mangiano tre pasti al giorno e quanti - sono oltre 850 milioni - si ritengono fortunati se ne hanno uno.

        

Sappiamo bene – ha osservato Paul Mitchell della Banca Mondiale – che informazione e comunicazione possono cambiare intere società, e per questo - ha esortato, a nome del Governo italiano, Patrizia Sentinelli, sottosegretario agli Esteri – dobbiamo maturare una cooperazione sempre più efficace, sollecitando la società civile, per una “responsabilità condivisa”, ha aggiunto il ministro italiano per l’ambiente, Alfonso Pecorario Scanio. Il Congresso proseguirà per tre giorni in gruppi di studio, con speciali sedute dedicate alla comunicazione nelle situazioni di crisi, nelle aree di conflitto e nel campo sanitario. Su tutti i lavori un auspicio che al di là delle parole e delle buone intenzioni si arrivi ad azioni concrete, dopo la controversa Conferenza dello scorso anno, a Tunisi, sulla società dell’informazione, che ha lasciato in molti l’amaro in bocca rispetto alle attese, forse eccessive.

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“AL DI LÀ DELL’ALTERNANZA” È LO SLOGAN DEL DOSSIER STATISTICO SULL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA DI CARITAS FONDAZIONE MIGRANTES

PRESENTATO STAMANI A ROMA

 

Tre milioni 35 mila sono gli immigrati presenti in Italia. La stima relativa alla fine dell’anno 2005 è del dossier statistico sull’immigrazione 2006 di Caritas Fondazione Migrantes presentato stamani a Roma. C’era per noi Debora Donnini.

 

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L’Italia si colloca ormai accanto ai più grandi Paesi di immigrazione con più di tre milioni di immigrati. Il 2005 è stato un anno di aumento del fenomeno con circa 187 mila nuovi arrivi e con 52 mila nuove nascite di figli di cittadini stranieri. Lo rileva il dossier statistico che oltre ai numeri sull’immigrazione vuole segnalare le questioni ancora aperte e chiedere alla politica “al di là dell’alternanza” come dice lo slogan, di farsi carico delle riforme necessarie perché ci sia non più emarginazione ma partecipazione. Tra i “tagliandi di revisione” necessari c’è, secondo il dossier, quello di snellire gli adempimenti amministrativi derivanti dalla normativa sul soggiorno degli immigrati. E poi ancora: ampliare le risorse finanziarie e favorire la partecipazione della collettività immigrata alla vita sociale e politica.

 

Questi alcuni dei punti segnalati nel dossier che vuole sempre meglio inquadrare i vari aspetti dell’immigrazione per intervenire adeguatamente. A presentare il dossier tra gli altri anche mons. Domenico Sigalini, segretario della Commissione episcopale per migrazioni della CEI, mons. Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, mons. Guerino Di Tora, direttore della Caritas di Roma, e Franco Pittau, coordinatore del dossier. Presente anche il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, che ha indicato la cittadinanza come obiettivo cui gli immigrati devono poter giungere, così come la necessità di snellire gli adempimenti amministrativi, riconsiderare la durata dei permessi di soggiorno, stabilire quote annuali realistiche. Fabio Colagrande ha chiesto a Franco Pittau se dal punto di vista dell’integrazione si sono fatti passi avanti:

 

R. – Io direi di sì, molto sofferti, certe volte non sempre con carattere di continuità. Comunque, si va avanti. Tra le cose positive si può citare un senso di soddisfazione relativo degli immigrati che, tutto sommato, stando in Italia, vedono la loro situazione migliorare. Si inseriscono, seppure con difficoltà, nel mercato lavorativo e riescono a campare e ad aiutare le famiglie in patria. Insomma, acquistano una dignità che è basata sul lavoro.

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CHIESA E SOCIETA’

25 ottobre 2006

 

IN SPAGNA, I VESCOVI SI DICONO CONTRARI ALLA BOZZA DI LEGGE

SULLA RICERCA BIOMEDICA, CHE MIRA A CONSENTIRE LA CLONAZIONE

 A FINI TERAPEUTICI. I PRESULI CONFIDANO “NEL BUON SENSO” DEI LEGISLATORI

 

MADRID. = “La Chiesa incoraggia senza esitazioni la scienza e la tecnica che si mettono al servizio della vita umana” ma se il disegno di legge “non viene modificato dal Parlamento, non sarà debitamente tutelata la vita umana”. E’ quanto scrivono i vescovi spagnoli a proposito della “Bozza di legge sulla ricerca biomedica”, già approvata dal Consiglio dei ministri spagnolo, che prevede per i ricercatori la possibilità di utilizzare, entro certi limiti, tecniche di clonazione teraupetica. Il rischio – spiegano i presuli – è che si apra la porta “alla pratica legale di nuovi abusi contro la dignità dell’essere umano”. I vescovi – riferisce l’Agenzia SIR - si dicono quindi fiduciosi nel “buon senso” dei legislatori e lanciano un appello ai cattolici, sottolineando che “il progetto di legge è discordante dai principi basilari dell’etica”. I vescovi non accettano, in particolare, i passi del disegno di legge nei quali si determina che fino al 14.mo giorno di fecondazione l’embrione sarebbe in realtà un pre-embrione e non merita, per questo, “la dovuta protezione”. (A.L.)

 

 

FINLANDIA, IRLANDA E ISLANDA CAMPIONI IN LIBERTÀ DI ESPRESSIONE.

 È QUANTO EMERGE DAL RAPPORTO 2006 SULLA LIBERTÀ DI STAMPA

 DI REPORTER SENZA FRONTIERE.

ASSEGNATI GLI ULTIMI POSTI A COREA DEL NORD, TURKMENISTAN ED ERITREA

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

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BRUXELLES. = La mappa del mondo, tracciata in base all’indicatore della libertà di stampa, rompe la netta polarizzazione tra Nord e Sud evidenziata, invece, da fattori economici: il quinto rapporto pubblicato ieri da Reporter senza frontiere, che prende in esame 168 Paesi, evidenzia infatti come alcuni Stati, “anche se molto poveri, siano particolarmente rispettosi della libertà di espressione”. E’ questo il caso, ad esempio, di Bolivia, Benin, Ghana e Namibia che compaiono tra le prime 40 posizioni in questa speciale classifica riferita al 2006. L’Europa conquista i primi posti: i primi 5 Paesi dove la libertà di stampa è maggiormente tutelata sono la Finlandia, l’Irlanda, l’Islanda, i Paesi Bassi e la Repubblica Ceca. In questi Stati - si legge nel rapporto - ­non è stato registrato alcun caso di censura o di intimidazione nei confronti dei giornalisti. La Danimarca invece, dopo il primo posto del 2005, scende al 20.mo. Dopo la vicenda delle caricature di Maometto - spiega il dossier - alcuni giornalisti danesi sono stati messi sotto protezione in seguito a gravi minacce. L’Italia si piazza al quarantesimo posto e gli Stati Uniti scivolano al 53.mo: le limitazioni alle libertà civili imposte in seguito alla guerra contro il terrorismo - si legge nel documento - minano la libertà della stampa americana. In netto calo anche la Russia che soffre, secondo il rapporto, di “una mancanza basilare di democrazia”. La parte bassa della classifica è occupata da Paesi dove governi autoritari e rigidi controlli imbrigliano la libertà di espressione: l’ultimo posto è della Corea del Nord, preceduta da Turkmenistan, Eritrea, Cuba e Myanmar.

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INIZIATE IN RWANDA LE UDIENZE PER ACCERTARE IL PRESUNTO RUOLO DELLA FRANCIA NEL GENOCIDIO DEL 1994. INTANTO, UN SACERDOTE E’ STATO CONDANNATO

 A 12 ANNI PER AVER SMINUITO, SECONDO L’ACCUSA, LA PORTATA DEL GENOCIDIO

 

KIGALI. = Raccogliere prove di un eventuale coinvolgimento della Francia nel genocidio, avvenuto in Rwanda nel 1994 e costato la vita secondo il governo di Kigali a circa 900 mila. Con questo obiettivo, sono iniziate ieri nel Paese africano le udienze della Commissione nazionale indipendente. Sono stati convocati, come primi testimoni, l’ambasciatore rwandese a Parigi nel periodo successivo ai massacri di massa e un ex alto responsabile dei servizi segreti dello Stato africano.  Tra i testimoni – riferisce l’Agenzia missionaria MISNA – ci sono anche alcuni abitanti della zona sud occidentale del Paese, teatro nel 1994 della controversa operazione francese ‘Torquoise’ finalizzata all’apertura di un “corridoio sicuro”. Secondo diverse fonti, in realtà, questa operazione ebbe un impatto limitato e molte milizie responsabili di massacri riuscirono a fuggire nella confinante Repubblica democratica del Congo. Secondo il presidente del Rwanda, Paul Kagame, la Francia avrebbe anche addestrato paramilitari hutu, ma il governo di Parigi ha sempre respinto ogni accusa. La Commissione, composta da storici e docenti, dovrà valutare l’opportunità, o meno, di un’istanza del Rwanda alla Corte internazionale di giustizia dell’ONU contro la Francia. In Randa, intanto, un sacerdote è stato condannato a 12 anni di carcere per aver sottostimato, secondo l’accusa, l’entità del genocidio. Un settimanale filo governativo ha riferito che il prete avrebbe sminuito i massacri perpetrati 12 anni fa durante un’omelia pronunciata ad aprile. In Rwanda, una legge del 2003 definisce “illegale” qualsiasi espressione di revisionismo e negazionismo sul genocidio. (A.L.)

 

 

A COLLEVALENZA, DA DOMANI, FINO A DOMENICA UN CONVEGNO

SULLA PRIMA ENCICLICA DI BENEDETTO XVI ‘DEUS CARITAS EST’

- A cura di Giovanni Peduto -

        

COLLEVALENZA. = Si tiene a Collevalenza, da domani fino a domenica, un Convegno sulla prima Enciclica di Benedetto XVI ‘Deus Caritas est’, promosso dal Centro Studi Dives in misericordia, una realtà nata nel 2005 su ispirazione della Famiglia dell’Amore Misericordioso, in occasione del 25.mo anniversario del­la omonima enciclica di Giovanni Paolo II. Il Convegno si aprirà con la prolusione del cardinale Josè Sarajva Martins, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, e si concluderà con la relazione del cardinale Nicolás de Jesús López Rodríguez, arcivescovo di Santo Domingo. I relatori illustreranno il cammino percorso dalla Chiesa all’insegna dell’Amore Misericordioso dalla Dives in misericordia alla Deus caritas est; approfondiranno a livello biblico e filosofico il rapporto tra eros ed agape; dialogheranno su come organizzare concretamente la carità in un mondo complesso come quello attuale. Venerdì 27 alle ore 21.00 in Basilica si terrà un concerto di musica sacra per organo a cura di padre Carlo Andreassi. Sabato 28, sempre alle 21.00, una proposta musicale di don Mimmo Jervolino dal titolo “Dio sei l’Amore”. Il Convegno è anche un’occasione propizia per ringraziare il Signore per la visita-pellegrinaggio di Giovanni Paolo II al Santuario dell’Amore Misericordioso 25 anni fa (22 novembre 1981), sua prima uscita fuori Roma dopo il doloroso attentato del 13 maggio.

 

 

LO STILE DI EVANGELIZZAZIONE DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE

ACCOLTO DALLA CHIESA ORTODOSSA RUSSA

 

MOSCA. = In base ad un accordo raggiunto con la Chiesa ortodossa russa, il Cammino Neocatecumenale mostrerà ai sacerdoti ortodossi il processo di evangelizzazione seguito da questa nuova realtà ecclesiale presente ormai in 110 Paesi del mondo tra cui la Russia. La decisione è stata presa dopo l’incontro che gli iniziatori del Cammino, Kiko  Arguëllo, Carmen Hernandez e padre Mario Pezzi, hanno avuto a Mosca con il metropolita di Smolensk e Kaliningrad, Kirill, presidente del Dipartimento per i Rapporti Esterni del Patriarcato. Secondo quanto ha rivelato Kiko Arguëllo, durante l’incontro è stato presentato al Metropolita lo stile di evangelizzazione del Cammino Neocatecumenale nelle parrocchie cattoliche, un approccio che potrà essere introdotto anche nella chiesa ortodossa russa. “Il metropolita Kirill e la delegazione ortodossa che lo accompagnava ci hanno accolti in modo molto cordiale – ha detto - ed erano al corrente del fatto che avevamo informato della nostra visita il Cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani”. L’iniziativa di portare i metodi e i principi di evangelizzazione seguiti dal Cammino Neocatecumenale alla Chiesa ortodossa russa è nata dopo un’esperienza ecumenica fatta in Finlandia. “Nel nostro incontro con il metropolita Kirill - ha detto ancora Kiko - abbiamo spiegato che il Cammino neocatecumenale è un cammino di iniziazione cristiana capace di portare l’uomo ad amare come Cristo, nella dimensione della Croce. Siamo venuti in Russia per mostrare come si può annunciare all’uomo di oggi, questo tipo di amore”.  “In Europa – ha proseguito – gli uomini stanno abbandonando la fede e la società è sempre più intrisa di individualismo, per il quale l’importante è la soddisfazione dell’ego, il piacere del proprio io. Nelle chiese rimane poca gente. Per questo Dio prepara una nuova evangelizzazione e la Chiesa ortodossa russa ha capito che occorre un modo diverso di catechizzare. La Russia, come l’Europa, hanno bisogno di Cristo e qui ci sono milioni di persone che ancora non lo conoscono”. (R.P.)

 

 

ASSEGNATO DALL’UNIVERSITÀ CATTOLICA DI MILANO

AL GRAN MAESTRO DELL’ORDINE DI MALTA, FRÀ ANDREW BERTIE,

IL PREMIO INTERNAZIONALE MATTEO RICCI

- A cura di Fabio Brenna -

 

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MILANO. = La solidarietà cristiana è il ponte fra Occidente e Oriente. E’ la lezione che emerge dai quasi novecento anni di assistenza umanitaria professionale del Sovrano Militare Ordine di Malta, lezione quanto mai valida anche ai giorni nostri. La storia e l’opera dell’Ordine è stata ripercorsa dal Principe e gran Maestro Fra’ Andrew Bertie che ha ricevuto dall’Università Cattolica di Milano il premio internazionale Matteo Ricci, attribuito in precedenza a personalità come Jacques Delors, Helmut Kohl e Shimon Peres. Sono 12.500 i membri, 80 mila i volontari di questo ordine religioso laicale della Chiesa Cattolica attivo in 120 Paesi del mondo, con 40 ospedali propri, 30 corpi di ambulanza e 110 case di riposo per anziani. Fra’ Bertie ha illustrato i nuovi scenari internazionali in cui interviene l’Ordine: la Russia, dove collabora con il Patriarcato di Mosca; l’Afghanistan, ma anche le zone sconvolte dallo Tsunami o più recentemente il Libano devastato dalla guerra di luglio-agosto. Matteo Ricci fu innovativo nella sua azione evangelizzatrice perché gettò le basi dell’inculturazione della fede, mettendosi in ascolto della realtà cinese e costruendo così un ponte fra due civiltà che si ignoravano. Allo stesso modo l’Ordine, ha concluso Frà Bertie, attraverso l’assistenza ai malati e ai bisognosi concorre a stringere vincoli tra i popoli, trasferendo risorse e tecnologie dall’Occidente ai Paesi del Terzo Mondo, praticando così la solidarietà cristiana. Fra’ Bertie, scozzese di 77 anni, è il 78.mo Principe  e Maestro dell’Ordine, in carica dal 1988. Dopo aver insegnato ed essersi dedicato al commercio, ha preso i voti perpetui e nel 1981 è diventato un Religioso.

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24 ORE NEL MONDO

25 ottobre 2006

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Almeno cinque persone sono rimaste uccise e altre sei ferite durante una serie di incursioni aeree americane nell’enorme sobborgo sciita di Sadr City, alle porte di Baghdad, roccaforte dell’Esercito del Mahdi, la milizia del leader integralista sciita Moqtada Sadr. Il comando militare USA parla solo di operazioni di terra per la cattura del comandante di uno “squadrone della morte” sciita e di operazioni di ricerca, nel quartiere di Karrada, del militare USA rapito lunedì a Baghdad. Il premier dell’Iraq, Nuri al-Maliki è intervenuto criticando la portata dell’incursione, condotta da forze congiunte iracheno-americane. Sempre oggi il capo del governo ha denunciato legami tra “organizzazioni terroristiche interne” e “Stati vicini”. Al-Maliki in primo luogo ha dato la responsabilità alle “organizzazioni terroristiche baathiste, saddamiste e di al Qaeda” di aver “innescato le violenze settarie nel Paese”. E non ha voluto indicare i nomi degli Stati accusati di “interferenza”. Ieri Siria e Iran sono stati chiamati in causa in forma esplicita dal generale americano George Casey, comandante delle forze internazionali in Iraq.

 

Almeno 38 insorti Taleban sono stati uccisi nel sud dell’Afghanistan in due distinte operazioni militari delle forze NATO dell’ISAF, nella provincia di Kandahar, dove come in quella di Helmand, la presenza della guerriglia integralista islamica è più forte. Intanto, di Afghanistan si parla in Germania perché il ministro della Difesa tedesco, Jung, ha annunciato l’immediata apertura di un’inchiesta dopo la pubblicazione sul quotidiano Bild di foto che mostravano soldati tedeschi che profanavano un cadavere in Afghanistan. Le ha definite immagini “detestabili e assolutamente incomprensibili”. E sdegno e condanna sono stati espressi in seno al governo e a tutte le forze politiche. Sembra che le immagini siano state scattate nella primavera del 2003 nella regione di Kabul. Circa 2750 soldati della Bundeswehr sono dispiegati a Kabul e in altre città del Nord dell’Afghanistan nell’ambito della missione dell’ISAF. Resta la preoccupazione per la sorte di Gabriele Torsello, il fotoreporter italiano rapito in Afghanistan il 14 ottobre scorso.

 

L’aeroporto di Dili, la capitale di Timor Est, è stato chiuso in seguito a violenti scontri tra gruppi di giovani in cui si contano almeno due morti. Lo hanno reso noto fonti ufficiali dello scalo aeroportuale. “Dalla scorsa notte - rivela la fonte - tutti i voli sono stati cancellati fino ad oggi. La decisione è stata presa perché non si possono garantire condizioni di sicurezza per i passeggeri”.

 

Torna la calma in Ungheria dopo i disordini scoppiati in questi giorni in occasione delle celebrazioni per il 50.mo anniversario dell’insurrezione antisovietica, ma non si attenua la crisi politica: l’opposizione continua a chiedere le dimissioni del governo di centrosinistra. Negli scontri a Budapest tra polizia e manifestanti sono rimaste ferite circa 160 persone, mentre 130 sono stati gli arresti. Al microfono di Luca Collodi, il segretario della Conferenza episcopale ungherese padre Nemet Laszlo:

 

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R. – Secondo la mia opinione, la polizia è stata troppo aggressiva e brutale; in qualche modo, ha anche provocato quella reazione della strada. Ma la reazione è venuta soltanto da una minoranza di una cinquantina-sessantina di persone, al massimo. Quello che non si capisce è perché la polizia abbia attaccato anche comuni cittadini che facevano una passeggiata, perché il 23 ottobre è stata una giornata bellissima. La grande celebrazione è stata una celebrazione non comune, ma per tutti gli ungheresi. Alcuni ungheresi, quelli che nel ’56 hanno partecipato alla rivoluzione, hanno festeggiato da soli: lo Stato, il governo ha celebrato per conto proprio e questo ha ‘spaccato’ il popolo. Questo accade anche a causa della sfiducia che oggi regna in Ungheria, nella società ungherese. Dopo la polemica nata con il primo ministro, Gyurcsany, che ha parlato in termini abbastanza equivoci sulla situazione economica e finanziaria dell’Ungheria, sono scoppiate incertezza e sfiducia nei riguardi della sua politica e della sua persona.

 

D. – Che sbocchi potrà avere in futuro questa diatriba sociale e politica in Ungheria?

 

R. – Questo non lo sappiamo. Il presidente della Repubblica ha già fatto due interventi notevoli: richiama al dialogo, alla tranquillità sociale ma anche alla sincerità nel dialogo. E’ importante dire alla popolazione ungherese qual è la situazione reale del Paese, quali sacrifici dobbiamo veramente fare per rimanere nell’Unione Europea.

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Il presidente del Parlamento libanese e leader sciita Nabih Berri propone la ripresa del “dialogo nazionale” tra i leader rivali dei contrapposti fronti pro e antisiriani per una “durata massima di 15 giorni”, a partire da lunedì prossimo.   Berri precisa che i colloqui interlibanesi dovrebbero riprendere “allo stesso livello” in cui sono stati interrotti nel giugno scorso, prima dell’ultima guerra con Israele, vale a dire con la partecipazione dei 14 principali leader del Paese. Nei colloqui interlibanesi si dovrebbe discutere la formazione di un “governo di unità nazionale”, come proposto da Hezbollah e dai suoi alleati, e l’approvazione di una nuova legge elettorale.

 

Un gruppo di prigionieri, sembra 14, condannati a morte insieme con molti altri per la presunta partecipazione al complotto che portò all’assassinio del  presidente della Repubblica Democratica del Congo Laurent Desiré Kabila nel dicembre 2001, è evaso da una prigione vicino a Kampala. L’uccisione di Kabila, che aveva rovesciato Mobutu Sese Seko dopo oltre 20 anni di potere autocratico e criminale, ed era superprotetto, avvenne nell’ambito di una congiura di palazzo la cui dinamica esatta non è mai stata chiarita. La fuga sembra sia stata semplice, e quindi certamente coordinata dall’interno del penitenziario. Un episodio  preoccupante poiché avviene ad appena quattro giorni del ballottaggio presidenziale tra Joseph Kabila (che  prese il posto del padre poco dopo la sua morte) e Jean Pierre Bembo, già leader di un potente gruppo ribelle, ed attuale  vicepresidente. La tensione si è alzata dopo l’annuncio del ballottaggio quale risultato del primo turno: in scontri tra i seguaci dei due ci sono state molte vittime. Tutti si aspettavano che Kabila raggiungesse il 50 per cento necessario per essere subito eletto.

 

Il ministro degli Esteri sudanese, Lam Akol, ha dichiarato che il suo Paese è pronto a collaborare sulla crisi in Darfur con il prossimo segretario generale delle Nazioni Unite, il sudcoreano Ban Ki-moon. Queste dichiarazioni arrivano proprio mentre l’emissario dell’ONU, Jan Pronk, espulso pochi giorni fa dalle autorità sudanesi, si appresta ad avere un colloquio a New York con il segretario generale uscente, Kofi Annan.  Da parte sua, l’ONU ha affermato che Pronk resta il suo rappresentante in Sudan. Quest’ultimo ha deciso di non presentare le sue scuse per aver detto di augurarsi la disfatta dell’esercito sudanese in Darfur. Il Sudan si oppone al dispiegamento di caschi blu ONU in Darfur nonostante una risoluzione adottata in questo senso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Secondo l’ONU, dall'inizio del conflitto nel 2003 circa 200 mila persone sono morte a causa della guerra e delle sue conseguenze che hanno causato inoltre 2,5 milioni di sfollati.

Il ministro degli Esteri ciadiano Ahmat Allami ha accusato oggi il Sudan di sostenere i ribelli ciadiani che hanno ripreso le operazioni militari nell’est del Paese. Secondo il ministro, i tiri di razzi ieri contro un aereo francese sono una prova del sostegno di Khartoum alla ribellione. “Questi rivoltosi sono entrati in Ciad a partire dal Sudan e non hanno potuto procurarsi questo tipo di equipaggiamento militare se non grazie alle autorità sudanesi e il Sudan non può negarlo”, ha detto il ministro degli Esteri all’agenzia France Presse.

Il terrorismo è la minaccia peggiore per una società democratica e l’ETA “è un nemico comune della Spagna e dell’Europa”. E’ la tesi sostenuta dal vicepresidente della Commissione europea, Franco Frattini, intervenendo, quale responsabile della giustizia, libertà e sicurezza, nel dibattito svoltosi questa mattina al Parlamento europeo sulla proposta di dialogo con i separatisti baschi. E’ la prima volta che il Parlamento europeo dibatte la questione dell’ETA. Da una parte, socialisti, liberaldemocratici, verdi e sinistra unitaria, favorevoli a sostenere il dialogo proposto dal governo spagnolo del primo ministro Zapatero, e dall'altra, i popolari e altri gruppi della destra che sostengono una risoluzione più prudente e più vicina all’associazione dei parenti delle vittime contraria al negoziato con l’Eta. La presidenza europea, rappresentata dalla Finlandia, e la Commissione per bocca di Frattini hanno dato il loro sostegno alla proposta di dialogo, rendendo peraltro omaggio alle vittime e difendendo un accordo che preveda il disarmo totale del gruppo separatista e la fine del terrorismo. 

 

In Francia è entrata nel vivo la campagna elettorale per le presidenziali e le legislative di primavera e inizio estate con l’annuncio ieri delle date precise. Ancora confusa, per il momento, la rosa dei candidati, mentre in questi giorni si è tornato a parlare delle banlieue un anno dopo gli aspri scontri tra giovani delle periferie e polizia. Ieri il tribunale di Evry ha aperto un’inchiesta sull’incendio dell’autobus a Grigny, a sud di Parigi, avvenuto domenica pomeriggio. Sono stati arrestati due sospetti, un ragazzo di 13 anni e uno di 18. Il servizio di Francesca Pierantozzi:

 

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Il primo turno per scegliere il successore di Jacques Chirac all’Eliseo si terrà il 22 aprile, il secondo, il 6 maggio. Come previsto, le legislative si svolgeranno il 10 e il 17 giugno. Stabilito il calendario, bisognerà adesso trovare i candidati. Se a destra, per il momento, l’unico ad essersi dichiarato è Nicholas Sarkozy, con il partito neo-gollista che si pronuncerà in gennaio, nel partito socialista è aperta la corsa per le primarie di novembre. I tre aspiranti candidati - Segolène Royal, Laurent Fabius e Dominique Strauss-Kahn – si sono dati appuntamento per la seconda volta davanti alle telecamere. Dopo l’economia, i tre hanno affrontato i temi della democrazia e della società. In primo piano anche la sicurezza, con la situazione nelle banlieue  che rischia di esplodere ad un anno dalla grande rivolta durata un mese, in cui furono bruciate oltre 10 mila auto. Da allora – sostengono le associazioni e confermano le cifre – poco o nulla è cambiato e nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli attacchi contro i poliziotti. Secondo alcuni di loro, una nuova rivolta nelle periferie potrebbe esplodere da un momento all’altro.

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Il presidente francese Jacques Chirac è giunto oggi a Pechino per una visita di Stato di quattro giorni in Cina. E’ il quarto viaggio del capo dello Stato francese in Cina ed è volto a rafforzare la collaborazione politica ed economica  con il gigante asiatico. Oggi Chirac incontrerà la comunità francese e domani avrà un colloquio con il presidente Hu Jintao.

 

La Russia “è pronta ad aiutare Kiev, se lo chiederà, per proteggerla da tentativi esterni di immischiarsi nelle sue questioni interne: in quest’ottica la presenza della flotta russa a Sebastopoli non è inopportuna”: è quanto sostiene il presidente russo, Vladimir Putin, nella sua tradizionale e annuale ‘intervista col popolo’. Putin ha comunque sottolineato che l’Ucraina deve decidere da sola sui problemi che riguardano il suo territorio, Crimea compresa. La penisola,regalata’ a Kiev negli anni ’50 da Nikita Krushev, è abitata da una maggioranza filo-russa. Putin è anche intervenuto in tema di energia. La Russia – ha detto – “deve diversificare la sua economia e non limitarsi all’esportazione di materie prime energetiche, per non diventare una colonia dell'Occidente”.

 

In Italia, un’imbarcazione con 34 extracomunitari a bordo, tra cui quattro donne, è stata avvistata stamani a 10 miglia a sud di Pozzallo. La segnalazione è giunta dalle autorità maltesi al comando delle Capitanerie di Porto. Sul posto è stata inviata una motovedetta che ha già raggiunto il natante e preso a bordo i clandestini. L’arrivo a Pozzallo è previsto intorno a mezzogiorno. 

 

Tre italiani sono morti a Madagascar nello schianto di un aereo da sei posti. Si tratta do operatori economici nel settore del marmo. L’apparecchio si sarebbe schiantato subito dopo il decollo dall’aeroporto di Toliara, secondo i vigili del fuoco dell’aeroporto.

 

 

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