RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 298 - Testo
della trasmissione di mercoledì 25 ottobre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
La fiaccola agostinana del dialogo è arrivata a Tunisi: ai nostri
microfoni mons. Maroun
Lahham
Etiopia e Somalia sono
sull’orlo del conflitto. Il commento di Angelo
Masetti
Aperto stamane a Roma, presso la FAO, il
Congresso mondiale sulla comunicazione per lo sviluppo
CHIESA E SOCIETA’:
Iniziate in Ruanda le udienze
per accertare il presunto ruolo della Francia nel
genocidio del 1994
Lo stile di evangelizzazione del cammino neocatecumenale
accolto dalla Chiesa ortodossa russa
Scontri ieri a Budapest durante le celebrazioni
per i cinquanta anni della insurrezione democratica ungherese repressa nel
sangue dalle truppe sovietiche
25 ottobre 2006
CRISTO VA MESSO AL CENTRO DELLA VITA DI OGNI
CREDENTE COME LO FU PER PAOLO DI TARSO, CHE AFFRONTO’ CON CORAGGIO OGNI
DIFFICOLTA’
PER
AMORE DEL VANGELO:
LA
CATECHESI DELL’UDIENZA GENERALE DEDICATA DA BENEDETTO XVI
ALL’
“APOSTOLO DELLE GENTI”
“La figura di Gesù è al centro
della vita del cristiano”: un atto di fede e una regola di vita che da duemila
anni risplendono nella testimonianza di uno dei più grandi annunciatori del
Vangelo: Paolo di Tarso. All’“Apostolo delle genti”, Benedetto XVI ha dedicato l’udienza
generale di questa mattina, dopo aver concluso le catechesi sui dodici Apostoli
che accompagnarono la missione terrena di Gesù. Al
termine dell’udienza, il Papa ha salutato i familiari di Alessandra Lisi, la
giovane ricercatrice rimasta uccisa nell’incidente della metropolitana di Roma,
lo scorso 18 ottobre. La cronaca dell’udienza nel servizio di Alessandro De
Carolis.
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Si definisce “Apostolo per volontà di Dio”. Di un Dio di
cui impara ad amare e servire quel Cristo, che poi scoprirà come suo Figlio,
con la stessa intensità e dedizione con le quali
all’inizio lo aveva combattuto. E poi, un Apostolo con il cuore allargato sul
mondo, che non fa distinzioni di etnia, perché ha scoperto che il Dio che lo ha
scelto “è il Dio di tutti”. Nella storia della Chiesa delle origini, Paolo di
Tarso “brilla come stella di prima grandezza”. Benedetto XVI, parlando alle
oltre 30 mila persone in Piazza San Pietro per l’udienza generale, ha
inaugurato con il racconto della vita e dell’importanza del cosiddetto “13°
Apostolo” un nuovo ciclo di catechesi con le quali, ha annunciato, si esamineranno
nelle prossime settimane le storie di altri uomini e donne che si votarono al Vangelo.
Nei primi anni Trenta dopo la morte di Gesù, ha ricordato
il Papa, Paolo è un ebreo osservante che vive a Gerusalemme dove viene a sapere
di un gruppo di seguaci del Nazareno che pongono al centro della loro vita un
uomo crocifisso piuttosto che la legge mosaica. Per
lo zelo che lo anima, questo atteggiamento è per Saulo di Tarso “scandaloso” e
“inaccettabile”. Ma Dio ha altri piani su di lui. E quando sulla strada per
Damasco Gesù gli si rivela, Paolo userà nelle sue lettere quattro verbi per
descrivere quell’istante straordinario: “visione”, “illuminazione”, “rivelazione”, “vocazione”.
Quattro verbi che gli cambiano la vita per sempre e che rendono unica la sua
esperienza:
“Si definisce
esplicitamente ‘apostolo per volontà di Dio’, come a
sottolineare che la sua conversione è stata non il risultato di un
proseguimento di pensieri, di riflessioni, ma il frutto di un atto divino, di una imprevedibile grazia divina. Da allora in poi, tutto ciò
che prima aveva costituito per lui un valore, divenne paradossalmente – secondo
le sue parole – ‘perdita’ e ‘spazzatura’, e da quel
momento tutte le sue energie furono poste al servizio esclusivo di Gesù Cristo
e del suo Vangelo”.
Da qui, ha proseguito Benedetto XVI, “deriva per noi una
lezione molto importante”:
“Ciò che conta è
porre al centro della propria vita Gesù Cristo, sicché la nostra identità sia
contrassegnata essenzialmente dall’incontro, dalla comunione con Cristo e la
sua parola. Alla luce di Cristo, ogni altro valore viene
recuperato e insieme purificato da eventuali scorie”.
Altra caratteristica di San Paolo, ha osservato il Papa, è
“il respiro universale del suo apostolato”. Che affronta con coraggio
incredibile. Medio Oriente, Asia Minore, Europa, tra i pericoli del mare e del
deserto, tra le insidie dei briganti come degli amici. Benedetto XVI ha
elencato le traversie dell’apostolo, che subì
naufragi, carcere, percosse, lapidazioni, antipatie, pur di arrivare “fino agli
estremi confini della terra”. Come non amare “un uomo di questa statura”, ha
esclamato il Papa, rivelando il “segreto” di questa eccezionale tempra
apostolica:
“E’ chiaro che non
gli sarebbe stato possibile affrontare situazioni
tanto difficili, a volte disperate se non ci fosse stata una ragione di valore
assoluto, di fronte alla quale nessun limite poteva ritenersi invalicabile. Per
Paolo questa ragione – lo sappiamo – è Gesù Cristo, di cui egli scrive: ‘L’amore di Cristo ci spinge’. Il
Signore ci aiuti a mettere in pratica lasciataci dall’apostolo nelle sue
lettere, in cui dice: ‘Fatevi miei imitatori come io
sono imitatore di Cristo’”. (applausi)
Dopo le sintesi della catechesi in varie lingue, al
momento dei saluti Benedetto XVI ha ricordato la testimonianza evangelica di
Sant’Antonio Maria Claret, celebrato ieri dalla
Chiesa, e ha poi incontrato e confortato, intrattenendosi alcuni minuti con
lei, la signora Angela Maria, mamma di Alessandra Lisi, la trentenne morta in
seguito allo scontro nella metropolitana di Roma di una settimana fa. Ad
accompagnare la donna e a presentarla al Papa, il sindaco della capitale, Walter
Veltroni.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - La catechesi e la cronaca
dell’udienza generale.
Servizio estero - Afghanistan: persistenti e
inasprite violenze ostacolano gli sforzi di restituire il Paese ad una pacifica
e civile convivenza.
La pagina degli “Approfondimenti” è dedicata alla
mostra “L’‘Osservatore Romano’: da Roma al mondo”.
Una monografica - a cura di Alfredo Marranzini - dal titolo “Un frammento di storia romana in
un’iscrizione di Santa Lucia di Serino”.
Servizio italiano - In primo piano il tema della
finanziaria.
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25 ottobre 2006
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Intervista con mons. Maroun Lahham
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La fiaccola del dialogo e della pace di Sant’Agostino è
arrivata oggi a Tunisi, l’antica Cartagine: qui il
Santo ha studiato e, da vescovo di Ippona, nel 411, è
stato l’anima della riconciliazione fra cattolici e donatisti
riportando la pace e l’unità nella Chiesa in Nord Africa. Tiziana Campisi ha incontrato il vescovo di Tunisi, mons. Maroun Lahham, al quale è stato
anche consegnato un ramoscello d’ulivo proveniente da Tagaste,
la città natale di Sant’Agostino, risalente proprio all’epoca del Santo. Al
presule ha chiesto con quale spirito la diocesi di Tunisi ha accolto la
fiaccola del dialogo:
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R. – Si poteva difficilmente scegliere meglio, perché ci troviamo a vivere un momento in cui si ha veramente bisogno
di dialogo e si ha veramente bisogno di pace e parlare di pace, partendo da
Sant’Agostino è già ben accettato. Parlare
di dialogo e di pace, sia riferendosi ad Occidente e Oriente, sia fra cristianesimo
e islam, sia fra le due sponde del Mediterraneo, rappresenta certamente un tema
di attualità estrema. Dunque, si tratta di una iniziativa
che risponde ad un bisogno sia storico sia geografico, sia politico che religioso.
D. – Mons. Lahham,
quale esperienza di dialogo si vive in Tunisia e nella sua diocesi in
particolare?
R. – E’ un dialogo di vita, un dialogo pratico fatto di
convivenza e che non tocca le cose essenziali della fede, sia cristiana che musulmana.
Questo è il tipo di dialogo che esiste nei Paesi a maggioranza musulmana e dove
i cristiani o sono una minoranza, come avviene in Medio Oriente, o sono
stranieri, come in Nord Africa. E’ un dialogo sereno, è un dialogo in cui
ciascuno conosce le sensibilità dell’altro e le rispetta: tutto questo porta ad
una convivenza, che sia la più pacifica possibile.
D. – Domani comincia la plenaria della Conferenza
episcopale regionale del Nord Africa: quali sfide la Chiesa cristiana deve
affrontare nei prossimi anni?
R. – Durante i lavori della plenaria affronteremo tante
sfide e la primissima – che è sempre di estrema attualità – è come definire una
missione, che sia sempre rinnovata, della Chiesa, pur essendo straniera, nei
Paesi del Nord Africa. Una missione che ogni anno deve interrogarsi su quale
sia il senso della nostra presenza in questi Paesi che, di per sé, non avrebbero
bisogno di noi, ma dove la nostra presenza è accettata, apprezzata ed anche
voluta. Studieremo poi il documento sul Sinodo dell’Africa ed affronteremo
anche la questione dell’immigrazione di tanti giovani africani che passano
dalle nostre chiese per potersi stabilire in Nord Africa e – nella maggior
parte dei casi – per partire per l’Europa. E’ importante comprendere come poter
aiutare questi giovani e come andare loro incontro.
D. – Ci sono dei problemi particolari che la Chiesa si
trova ad affrontare?
R. – Problemi particolari come Chiesa, no.
Anche perché bisogna dire che qui in Tunisia c’è un modus vivendi, che ci permette di vivere serenamente. C’è qualcosa
da discutere, ma lo si fa sempre tranquillamente. Problemi
essenziali per la Chiesa non ce ne sono, anche perché rappresentiamo una piccolissima
minoranza.
D.- Lei, che cosa si augura per la Chiesa africana?
R. - Mi auguro di poter capire ed attuare la volontà di
Dio riguardo a questa Chiesa, che tempo fa era molto fiorente. Io penso che il
Signore ci ha portato in questa Chiesa del Nord Africa
e che c’è una sua volontà ed un suo disegno. Il mio augurio è quello di poter
scoprire questa sua volontà e di poter seguire questa linea, perché sarà fatta
la volontà di Dio.
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RIFORMA
DELL’ONU: MONS. SILVANO TOMASI
AUSPICA AI NOSTRI MICROFONI
UNA DEMOCRATIZZAZIONE
DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA
Si è celebrata ieri in tutto il mondo la Giornata
internazionale delle Nazioni Unite. Un’occasione per parlare delle grandi sfide
che deve affrontare l’ONU e delle attese riforme dell’organizzazione anche in
vista dell’insediamento nel gennaio prossimo del nuovo segretario generale, il sudcoreano Ban Ki-Moon. Al riguardo Roberta Gisotti ha intervistato mons.
Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa
Sede presso l’Ufficio ONU di Ginevra:
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R. - C’è molta fiducia che il cambio al vertice delle
Nazioni Unite possa accelerare il processo di riforma di questa enorme macchina
burocratica che si trova in panne. E’ stato fatto un primo passo con la riforma
del Consiglio dei diritti umani, dove anche lì, dopo quasi un anno di
esperimento, si vedono certi limiti che richiedono forse degli aggiustamenti.
Poi c’è la questione fondamentale che riguarda il Consiglio di Sicurezza. E’ lì
dove le battaglie più forti e più dure vengono fatte,
perchè ci vorrebbe una partecipazione più ampia e reale in questa struttura. Il
problema è che finora tutte le proposte fatte si sono trovate bloccate da veti
incrociati. Se si riuscisse a far in modo che le Nazioni Unite, attraverso il
Consiglio di Sicurezza, rimanessero efficaci, allo stesso tempo
però dando forse una voce più forte all’Assemblea generale, si potrebbe
fare un po’ di strada. Questo è il cammino su cui si sta riflettendo, per
trovare uno degli sbocchi a questa esigenza che si sente di rinnovare, di
modernizzare.
D. – E’ un appuntamento che non si può mancare…
R. – Occorre aggiornare le strutture delle Nazioni Unite,
anche perchè non si possono limitare le decisioni fondamentali ad un piccolo
gruppo di persone. Bisogna che il mondo e le popolazioni del mondo abbiano voce
in capitolo. Questo è il grande dilemma: come equilibrare queste due esigenze?
D. – La riforma è l’unica via perché le Nazioni Unite
possano svolgere il loro ruolo istituzionale, con una maggiore partecipazione…
R. – La legittimità delle Nazioni Unite dipende dalla
partecipazione reale di tutti i Paesi del mondo, altrimenti cadiamo nella
teoria politica dell’unilateralismo. Abbiamo alcuni Stati che siccome sono
forti possono permettersi di camminare per conto loro e abbiamo visto, anche
nei mesi recenti, quali tragedie e quali problemi possano
portare.
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ETIOPIA
E SOMALIA SONO SULL’ORLO DEL
CONFLITTO
-
Intervista con Angelo Masetti -
L’Etiopia è tecnicamente in guerra con le Corti islamiche
che controllano gran parte della Somalia. Lo ha
dichiarato il primo ministro etiopico Meles Zanawi schierandosi apertamente dalla parte del Governo di
transizione somalo con sede a Baidoa. L’esigenza,
così è stata presentata da Addis Abeba, di intervenire in Somalia deriva dalla jihad lanciata dalle Corti islamiche in tutto il Paese. Meles Zenawi ha spiegato alla
stampa internazionale che il contingente etiopico impegnato sul terreno è
composto da poche centinaia di uomini con funzioni di
addestramento. Questo ulteriore sviluppo della crisi somala mette anche a
rischio la ripresa dei negoziati tra le fazioni somale in lotta, ospitati
dall’inizio dell’anno a Khartoum, in Sudan. Sui motivi dell’intervento etiopico
in Somalia sentiamo Angelo Masetti, portavoce del
Forum Italia-Somalia, intervistato da Stefano Leszczynski:
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R. – L’Etiopia in questi anni
ha mantenuto una forte attenzione nei confronti della Somalia,
cercando di arginare una espansione islamica estremista, sostenendo varie fazioni
che hanno dato vita alla guerra civile.
D. – L’Etiopia ufficialmente è
entrata in questo conflitto interno somalo per sostenere quello che ormai viene definito il governo di Baidoa.
Tuttavia la popolazione somala non ha mai visto di buon occhio gli etiopici sul
proprio territorio. Questo non rischia di far perdere quel poco che resta di appoggio
al governo di Baidoa?
R. – Sicuramente sì. E’,
infatti, uno di quegli elementi che vengono anche strumentalizzati dagli
oppositori del governo transitorio di Baidoa per
unire il fronte interno e cioè la minaccia etiopica è il sentimento
diffusissimo tra la popolazione contraria all’Etiopia e agli etiopici,
naturalmente.
D. – Come mai i negoziati, che
erano stati condotti in Sudan e che sembravano dare buoni frutti, sono finiti
nel nulla?
R. – Io non direi che sono
finiti nel nulla. Dobbiamo ora aspettare quello che succederà il 30 a Khartoum,
sperando soprattutto che la riunione non venga
cancellata. La situazione attuale vede un governo transitorio a Baidoa, sempre più debole e sempre più isolato nel
controllo del solo villaggio di Baidoa, con
sporadiche incursioni all’esterno. Dall’altra parte abbiamo un fronte apparentemente
unitario che viene definito Unione delle Corti Islamiche,
ma la realtà è che fino a quando le Corti islamiche avranno un nemico contro il
quale unirsi e grazie al quale poter stendere un velo sulle divisioni interne avranno
una notevole potenza di fuoco ed anche una potenza politica. La realtà è, però,
che all’interno le Corti islamiche non sono così monolitiche.
D. – Chi dovrà farsi carico del
problema, l’Unione Africana o le Nazioni Unite?
R. – La soluzione della crisi
somala non può essere affidata esclusivamente ai somali. Questo è certamente il
primo dato di fatto, su cui i somali stessi sono d’accordo. Il secondo dato di
fatto è che una forza internazionale deve necessariamente escludere la presenza
di truppe provenienti dai Paesi limitrofi. La presenza di truppe che non siano
solo africane, credo che sarebbe molto, molto auspicabile, perché sarebbe un
segnale molto importante e molto confortante per i somali e per la popolazione
somala.
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APERTO
STAMANE A ROMA, NEL PALAZZO DELLA FAO,
IL
CONGRESSO MONDIALE SULLA COMUNICAZIONE PER LO SVILUPPO
Si è aperto stamani a Roma, nel Palazzo della FAO, il Congresso
mondiale sulla comunicazione per lo sviluppo, cui partecipano operatori di
media, insieme a rappresentanti della politica e della società civile, esperti
di sviluppo, donatori, esponenti di comunità ed accademici. Obiettivo comune:
promuovere una nuova cultura della solidarietà. Il servizio di Roberta Gisotti:
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“La missione che ci riunisce oggi qui è di piantare i semi
della conoscenza e della speranza per i poveri del mondo”: così Jacques Diouf, direttore generale
della FAO, in apertura dei lavori, davanti a 500 delegati di 155 Paesi,
convenuti a Roma per raccogliere la sfida di condividere – non un’utopia ha
detto Diouf – ma un progetto concreto: valorizzare la comunicazione a
favore dello sviluppo, vale a dire integrare la comunicazione nelle politiche
di lotta alla povertà. C’è bisogno di creatività e di immaginazione – ha esortato
il direttore generale della FAO - per ridurre il cosiddetto digital divide, ovvero il divario informatico in un mondo globalizzato,
che allarga la forbice tra ricchi e poveri del Pianeta. E’ vero che il rapido
progresso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha accelerato
la crescita economica in tutto il mondo ma proprio il
ritmo accelerato di questo processo - ha ammonto Diouf
– rischia di allontanare ancor più quanti mangiano tre pasti al giorno e quanti
- sono oltre 850 milioni - si ritengono fortunati se ne hanno uno.
Sappiamo bene – ha osservato Paul
Mitchell della Banca Mondiale – che informazione e
comunicazione possono cambiare intere società, e per questo - ha esortato, a nome del Governo italiano, Patrizia Sentinelli,
sottosegretario agli Esteri – dobbiamo maturare una cooperazione sempre più efficace,
sollecitando la società civile, per una “responsabilità condivisa”, ha aggiunto
il ministro italiano per l’ambiente, Alfonso Pecorario
Scanio. Il Congresso proseguirà per tre giorni in
gruppi di studio, con speciali sedute dedicate alla comunicazione nelle
situazioni di crisi, nelle aree di conflitto e nel campo sanitario. Su tutti i
lavori un auspicio che al di là delle parole e delle buone intenzioni si arrivi
ad azioni concrete, dopo la controversa Conferenza dello scorso anno, a Tunisi,
sulla società dell’informazione, che ha lasciato in molti l’amaro in bocca
rispetto alle attese, forse eccessive.
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“AL DI
LÀ DELL’ALTERNANZA” È LO SLOGAN DEL DOSSIER STATISTICO
SULL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA DI CARITAS FONDAZIONE MIGRANTES
PRESENTATO
STAMANI A ROMA
Tre milioni 35 mila sono gli immigrati presenti in Italia.
La stima relativa alla fine dell’anno 2005 è del dossier
statistico sull’immigrazione 2006 di Caritas Fondazione
Migrantes presentato stamani a Roma. C’era per noi
Debora Donnini.
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L’Italia si colloca ormai accanto ai più grandi Paesi di
immigrazione con più di tre milioni di immigrati. Il 2005 è stato un anno di
aumento del fenomeno con circa 187 mila nuovi arrivi e con 52 mila nuove
nascite di figli di cittadini stranieri. Lo rileva il dossier statistico che
oltre ai numeri sull’immigrazione vuole segnalare le questioni ancora aperte e
chiedere alla politica “al di là dell’alternanza” come dice lo slogan, di farsi
carico delle riforme necessarie perché ci sia non più emarginazione ma
partecipazione. Tra i “tagliandi di revisione” necessari c’è, secondo il
dossier, quello di snellire gli adempimenti amministrativi derivanti dalla
normativa sul soggiorno degli immigrati. E poi ancora: ampliare le risorse finanziarie
e favorire la partecipazione della collettività immigrata alla vita sociale e
politica.
Questi alcuni dei punti segnalati nel dossier che vuole
sempre meglio inquadrare i vari aspetti dell’immigrazione per intervenire
adeguatamente. A presentare il dossier tra gli altri anche mons. Domenico
Sigalini, segretario della Commissione episcopale per migrazioni della CEI,
mons. Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, mons. Guerino Di Tora,
direttore della Caritas di Roma, e Franco Pittau, coordinatore del dossier. Presente anche il
presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, che ha indicato la
cittadinanza come obiettivo cui gli immigrati devono poter giungere, così come
la necessità di snellire gli adempimenti amministrativi, riconsiderare la
durata dei permessi di soggiorno, stabilire quote annuali realistiche. Fabio Colagrande ha chiesto a Franco Pittau
se dal punto di vista dell’integrazione si sono fatti passi avanti:
R. – Io direi di sì, molto sofferti, certe volte non
sempre con carattere di continuità. Comunque, si va avanti. Tra le cose
positive si può citare un senso di soddisfazione relativo degli immigrati che,
tutto sommato, stando in Italia, vedono la loro situazione migliorare. Si
inseriscono, seppure con difficoltà, nel mercato lavorativo e riescono a
campare e ad aiutare le famiglie in patria. Insomma, acquistano una dignità che
è basata sul lavoro.
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25 ottobre 2006
IN SPAGNA, I VESCOVI SI DICONO CONTRARI ALLA BOZZA DI LEGGE
SULLA RICERCA BIOMEDICA, CHE MIRA A CONSENTIRE LA CLONAZIONE
A FINI TERAPEUTICI.
I PRESULI CONFIDANO “NEL BUON SENSO” DEI LEGISLATORI
MADRID. = “La Chiesa incoraggia senza esitazioni la scienza
e la tecnica che si mettono al servizio della vita umana” ma se il disegno di
legge “non viene modificato dal Parlamento, non sarà
debitamente tutelata la vita umana”. E’ quanto scrivono i vescovi spagnoli a
proposito della “Bozza di legge sulla ricerca biomedica”,
già approvata dal Consiglio dei ministri spagnolo, che prevede per i
ricercatori la possibilità di utilizzare, entro certi limiti, tecniche di
clonazione teraupetica. Il rischio – spiegano i
presuli – è che si apra la porta “alla pratica legale di nuovi abusi contro la
dignità dell’essere umano”. I vescovi – riferisce l’Agenzia SIR - si dicono
quindi fiduciosi nel “buon senso” dei legislatori e lanciano un appello ai
cattolici, sottolineando che “il progetto di legge è discordante dai principi
basilari dell’etica”. I vescovi non accettano, in particolare, i passi del
disegno di legge nei quali si determina che fino al 14.mo giorno di fecondazione l’embrione sarebbe in
realtà un pre-embrione e non merita, per questo, “la
dovuta protezione”. (A.L.)
FINLANDIA,
IRLANDA E ISLANDA CAMPIONI IN LIBERTÀ DI ESPRESSIONE.
È QUANTO EMERGE DAL RAPPORTO
2006 SULLA LIBERTÀ DI STAMPA
DI REPORTER SENZA FRONTIERE.
ASSEGNATI GLI ULTIMI POSTI A
COREA DEL NORD, TURKMENISTAN ED ERITREA
- A cura di Amedeo Lomonaco -
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BRUXELLES. = La mappa del mondo, tracciata in base all’indicatore
della libertà di stampa, rompe la netta polarizzazione tra Nord e Sud
evidenziata, invece, da fattori economici: il quinto rapporto pubblicato ieri
da Reporter senza frontiere, che prende in esame 168 Paesi, evidenzia infatti come alcuni Stati, “anche se molto poveri, siano
particolarmente rispettosi della libertà di espressione”. E’ questo il caso, ad
esempio, di Bolivia, Benin, Ghana e Namibia che compaiono tra le prime 40 posizioni in questa
speciale classifica riferita al 2006. L’Europa conquista i primi posti: i primi
5 Paesi dove la libertà di stampa è maggiormente tutelata sono la Finlandia, l’Irlanda, l’Islanda, i Paesi
Bassi e la Repubblica Ceca. In questi Stati - si legge nel rapporto - non è stato registrato alcun caso di censura o di intimidazione
nei confronti dei giornalisti. La Danimarca invece, dopo il primo posto del
2005, scende al 20.mo. Dopo la vicenda delle caricature di Maometto - spiega il
dossier - alcuni giornalisti danesi sono stati messi sotto protezione in
seguito a gravi minacce. L’Italia si piazza al quarantesimo posto e gli Stati
Uniti scivolano al 53.mo: le limitazioni alle libertà civili imposte in seguito
alla guerra contro il terrorismo - si legge nel documento - minano la libertà
della stampa americana. In netto calo anche la Russia che soffre, secondo il
rapporto, di “una mancanza basilare di democrazia”. La parte bassa della
classifica è occupata da Paesi dove governi
autoritari e rigidi controlli imbrigliano la libertà di espressione: l’ultimo
posto è della Corea del Nord, preceduta da
Turkmenistan, Eritrea, Cuba e Myanmar.
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INIZIATE IN RWANDA LE UDIENZE PER ACCERTARE IL PRESUNTO
RUOLO DELLA FRANCIA NEL GENOCIDIO DEL 1994. INTANTO, UN SACERDOTE E’ STATO CONDANNATO
A 12 ANNI PER AVER SMINUITO, SECONDO L’ACCUSA, LA PORTATA DEL GENOCIDIO
KIGALI.
= Raccogliere prove di un eventuale coinvolgimento della
Francia nel genocidio, avvenuto in Rwanda nel 1994 e costato la vita
secondo il governo di Kigali a circa 900 mila. Con
questo obiettivo, sono iniziate ieri nel Paese africano le udienze della Commissione
nazionale indipendente. Sono stati convocati, come primi testimoni, l’ambasciatore
rwandese a Parigi nel periodo successivo ai massacri
di massa e un ex alto responsabile dei servizi segreti dello Stato
africano. Tra i testimoni – riferisce
l’Agenzia missionaria MISNA – ci sono anche alcuni abitanti della zona sud
occidentale del Paese, teatro nel 1994 della controversa operazione francese ‘Torquoise’ finalizzata all’apertura di un “corridoio
sicuro”. Secondo diverse fonti, in realtà, questa operazione ebbe un impatto
limitato e molte milizie responsabili di massacri riuscirono a fuggire nella
confinante Repubblica democratica del Congo. Secondo
il presidente del Rwanda, Paul Kagame,
la Francia avrebbe anche addestrato paramilitari hutu, ma il governo di Parigi ha sempre respinto ogni
accusa. La Commissione, composta da storici e docenti,
dovrà valutare l’opportunità, o meno, di un’istanza del Rwanda alla Corte
internazionale di giustizia dell’ONU contro la Francia. In Randa, intanto, un
sacerdote è stato condannato a 12 anni di carcere per aver sottostimato,
secondo l’accusa, l’entità del genocidio. Un settimanale filo governativo ha
riferito che il prete avrebbe sminuito i massacri
perpetrati 12 anni fa durante un’omelia pronunciata ad aprile. In Rwanda, una
legge del 2003 definisce “illegale” qualsiasi espressione di revisionismo e negazionismo sul genocidio. (A.L.)
A
COLLEVALENZA, DA DOMANI, FINO A DOMENICA UN CONVEGNO
SULLA
PRIMA ENCICLICA DI BENEDETTO XVI ‘DEUS CARITAS EST’
- A
cura di Giovanni Peduto -
COLLEVALENZA. = Si tiene a Collevalenza,
da domani fino a domenica, un Convegno sulla prima Enciclica di Benedetto XVI ‘Deus Caritas est’,
promosso dal Centro Studi ‘Dives in misericordia’, una realtà nata nel 2005 su
ispirazione della Famiglia dell’Amore Misericordioso, in occasione del 25.mo anniversario della omonima
enciclica di Giovanni Paolo II. Il Convegno si aprirà con la prolusione del
cardinale Josè
Sarajva Martins, prefetto della Congregazione per
le Cause dei Santi, e si concluderà con la relazione del cardinale Nicolás de Jesús López Rodríguez, arcivescovo di
Santo Domingo. I relatori illustreranno il cammino percorso dalla Chiesa
all’insegna dell’Amore Misericordioso dalla Dives in misericordia
alla Deus caritas est; approfondiranno a livello
biblico e filosofico il rapporto tra eros
ed agape; dialogheranno su come organizzare concretamente la carità in un
mondo complesso come quello attuale. Venerdì 27 alle ore 21.00 in Basilica si
terrà un concerto di musica sacra per organo a cura di padre Carlo Andreassi. Sabato 28, sempre alle 21.00, una proposta
musicale di don Mimmo Jervolino dal
titolo “Dio sei l’Amore”. Il Convegno è anche un’occasione propizia per
ringraziare il Signore per la visita-pellegrinaggio di Giovanni Paolo II al
Santuario dell’Amore Misericordioso 25 anni fa (22 novembre 1981), sua prima
uscita fuori Roma dopo il doloroso attentato del 13 maggio.
LO
STILE DI EVANGELIZZAZIONE DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE
ACCOLTO
DALLA CHIESA ORTODOSSA RUSSA
MOSCA. = In base ad un accordo raggiunto con la Chiesa
ortodossa russa, il Cammino Neocatecumenale mostrerà
ai sacerdoti ortodossi il processo di evangelizzazione seguito da questa nuova
realtà ecclesiale presente ormai in 110 Paesi del mondo tra cui la Russia.
La decisione è stata presa dopo l’incontro che gli iniziatori del Cammino, Kiko
Arguëllo, Carmen Hernandez
e padre Mario Pezzi, hanno avuto a Mosca con il metropolita di Smolensk e Kaliningrad, Kirill, presidente del Dipartimento per i Rapporti Esterni
del Patriarcato. Secondo quanto ha rivelato Kiko Arguëllo, durante l’incontro è stato presentato al Metropolita
lo stile di evangelizzazione del Cammino Neocatecumenale
nelle parrocchie cattoliche, un approccio che potrà essere introdotto anche
nella chiesa ortodossa russa. “Il metropolita Kirill
e la delegazione ortodossa che lo accompagnava ci hanno accolti in modo molto
cordiale – ha detto - ed erano al corrente del fatto che avevamo informato
della nostra visita il Cardinale Walter Kasper,
presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei
Cristiani”. L’iniziativa di portare i metodi e i principi di evangelizzazione
seguiti dal Cammino Neocatecumenale alla Chiesa
ortodossa russa è nata dopo un’esperienza ecumenica fatta in Finlandia. “Nel
nostro incontro con il metropolita Kirill - ha detto
ancora Kiko - abbiamo spiegato che il Cammino neocatecumenale è un cammino di iniziazione cristiana
capace di portare l’uomo ad amare come Cristo, nella dimensione della Croce.
Siamo venuti in Russia per mostrare come si può annunciare all’uomo di oggi,
questo tipo di amore”. “In Europa – ha
proseguito – gli uomini stanno abbandonando la fede e la società è sempre più
intrisa di individualismo, per il quale l’importante è la soddisfazione
dell’ego, il piacere del proprio io. Nelle chiese rimane poca gente. Per questo
Dio prepara una nuova evangelizzazione e la Chiesa ortodossa russa ha capito
che occorre un modo diverso di catechizzare. La Russia, come l’Europa, hanno
bisogno di Cristo e qui ci sono milioni di persone che ancora non lo conoscono”.
(R.P.)
ASSEGNATO
DALL’UNIVERSITÀ CATTOLICA DI MILANO
AL
GRAN MAESTRO DELL’ORDINE DI MALTA, FRÀ ANDREW BERTIE,
IL
PREMIO INTERNAZIONALE MATTEO RICCI
- A
cura di Fabio Brenna -
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MILANO. = La solidarietà cristiana è il ponte fra
Occidente e Oriente. E’ la lezione che emerge dai quasi novecento anni di
assistenza umanitaria professionale del Sovrano Militare Ordine di Malta,
lezione quanto mai valida anche ai giorni nostri. La storia e l’opera
dell’Ordine è stata ripercorsa dal Principe e gran Maestro Fra’ Andrew Bertie che ha ricevuto dall’Università Cattolica di Milano
il premio internazionale Matteo Ricci, attribuito in precedenza a personalità
come Jacques Delors, Helmut Kohl e Shimon
Peres. Sono 12.500 i membri, 80 mila i volontari di
questo ordine religioso laicale della Chiesa Cattolica attivo in 120 Paesi del
mondo, con 40 ospedali propri, 30 corpi di ambulanza e 110 case di riposo per
anziani. Fra’ Bertie ha
illustrato i nuovi scenari internazionali in cui interviene l’Ordine: la
Russia, dove collabora con il Patriarcato di Mosca; l’Afghanistan, ma anche le
zone sconvolte dallo Tsunami o più recentemente il
Libano devastato dalla guerra di luglio-agosto. Matteo Ricci
fu innovativo nella sua azione evangelizzatrice perché gettò le basi
dell’inculturazione della fede, mettendosi in ascolto della realtà cinese e costruendo
così un ponte fra due civiltà che si ignoravano. Allo stesso modo l’Ordine, ha
concluso Frà Bertie,
attraverso l’assistenza ai malati e ai bisognosi concorre a stringere vincoli
tra i popoli, trasferendo risorse e tecnologie dall’Occidente ai Paesi del
Terzo Mondo, praticando così la solidarietà cristiana. Fra’
Bertie, scozzese di 77 anni, è il 78.mo Principe e Maestro dell’Ordine, in carica dal 1988.
Dopo aver insegnato ed essersi dedicato al commercio, ha preso i voti perpetui
e nel 1981 è diventato un Religioso.
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25 ottobre 2006
- A cura di Fausta Speranza -
Almeno cinque persone sono rimaste uccise e altre sei
ferite durante una serie di incursioni aeree americane nell’enorme sobborgo
sciita di Sadr City, alle porte di Baghdad,
roccaforte dell’Esercito del Mahdi, la milizia del
leader integralista sciita Moqtada Sadr. Il comando militare USA parla solo di operazioni di
terra per la cattura del comandante di uno “squadrone della morte” sciita e di
operazioni di ricerca, nel quartiere di Karrada, del
militare USA rapito lunedì a Baghdad. Il premier dell’Iraq, Nuri
al-Maliki è intervenuto criticando la portata
dell’incursione, condotta da forze congiunte iracheno-americane. Sempre oggi il
capo del governo ha denunciato legami tra “organizzazioni terroristiche interne”
e “Stati vicini”. Al-Maliki in primo luogo ha dato la
responsabilità alle “organizzazioni terroristiche baathiste,
saddamiste e di al Qaeda” di
aver “innescato le violenze settarie nel Paese”. E non ha voluto indicare i
nomi degli Stati accusati di “interferenza”. Ieri Siria e Iran sono stati
chiamati in causa in forma esplicita dal generale americano George Casey, comandante delle forze internazionali in Iraq.
Almeno 38 insorti Taleban sono
stati uccisi nel sud dell’Afghanistan in due distinte operazioni militari delle
forze NATO dell’ISAF, nella provincia di Kandahar,
dove come in quella di Helmand, la presenza della
guerriglia integralista islamica è più forte. Intanto, di Afghanistan si parla
in Germania perché il ministro della Difesa tedesco, Jung,
ha annunciato l’immediata apertura di un’inchiesta dopo la pubblicazione sul
quotidiano Bild di foto che mostravano soldati
tedeschi che profanavano un cadavere in Afghanistan. Le ha definite immagini
“detestabili e assolutamente incomprensibili”. E sdegno e condanna sono stati
espressi in seno al governo e a tutte le forze politiche. Sembra che le
immagini siano state scattate nella primavera del 2003 nella regione di Kabul.
Circa 2750 soldati della Bundeswehr sono dispiegati a
Kabul e in altre città del Nord dell’Afghanistan nell’ambito della missione
dell’ISAF. Resta la preoccupazione per la sorte di Gabriele Torsello, il fotoreporter
italiano rapito in Afghanistan il 14 ottobre scorso.
L’aeroporto di Dili, la capitale
di Timor Est, è stato chiuso in seguito a violenti scontri tra gruppi di
giovani in cui si contano almeno due morti. Lo hanno reso noto
fonti ufficiali dello scalo aeroportuale. “Dalla scorsa notte - rivela
la fonte - tutti i voli sono stati cancellati fino ad oggi. La decisione è
stata presa perché non si possono garantire condizioni di sicurezza per i
passeggeri”.
Torna la calma in Ungheria dopo i disordini scoppiati in
questi giorni in occasione delle celebrazioni per il 50.mo
anniversario dell’insurrezione antisovietica, ma non si attenua la crisi
politica: l’opposizione continua a chiedere le dimissioni del governo di centrosinistra.
Negli scontri a Budapest tra polizia e manifestanti sono rimaste ferite circa
160 persone, mentre 130 sono stati gli arresti. Al microfono di Luca Collodi,
il segretario della Conferenza episcopale ungherese padre Nemet
Laszlo:
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R. – Secondo la mia opinione, la polizia è stata troppo
aggressiva e brutale; in qualche modo, ha anche provocato quella reazione della
strada. Ma la reazione è venuta soltanto da una minoranza di una
cinquantina-sessantina di persone, al massimo. Quello che non si capisce è
perché la polizia abbia attaccato anche comuni cittadini che facevano una
passeggiata, perché il 23 ottobre è stata una giornata bellissima. La grande
celebrazione è stata una celebrazione non comune, ma per tutti gli ungheresi.
Alcuni ungheresi, quelli che nel ’56 hanno partecipato alla rivoluzione, hanno
festeggiato da soli: lo Stato, il governo ha celebrato per conto proprio e
questo ha ‘spaccato’ il popolo. Questo accade anche a causa della sfiducia che
oggi regna in Ungheria, nella società ungherese. Dopo la polemica nata con il
primo ministro, Gyurcsany, che ha parlato in termini abbastanza equivoci sulla situazione
economica e finanziaria dell’Ungheria, sono scoppiate incertezza e sfiducia nei
riguardi della sua politica e della sua persona.
D. – Che sbocchi
potrà avere in futuro questa diatriba sociale e politica in Ungheria?
R. – Questo non lo
sappiamo. Il presidente della Repubblica ha già fatto due interventi notevoli:
richiama al dialogo, alla tranquillità sociale ma anche alla sincerità nel dialogo.
E’ importante dire alla popolazione ungherese qual è la situazione reale del
Paese, quali sacrifici dobbiamo veramente fare per rimanere nell’Unione
Europea.
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Il presidente del Parlamento libanese e leader sciita Nabih Berri propone la ripresa
del “dialogo nazionale” tra i leader rivali dei contrapposti fronti pro e
antisiriani per una “durata massima di 15 giorni”, a partire da lunedì
prossimo. Berri
precisa che i colloqui interlibanesi dovrebbero riprendere “allo stesso livello”
in cui sono stati interrotti nel giugno scorso, prima dell’ultima guerra con
Israele, vale a dire con la partecipazione dei 14 principali leader del Paese.
Nei colloqui interlibanesi si dovrebbe discutere la formazione di un “governo
di unità nazionale”, come proposto da Hezbollah e dai suoi alleati, e
l’approvazione di una nuova legge elettorale.
Un gruppo di prigionieri, sembra 14, condannati a morte
insieme con molti altri per la presunta partecipazione al complotto che portò all’assassinio del
presidente della Repubblica Democratica del Congo Laurent
Desiré Kabila nel dicembre 2001, è evaso da una
prigione vicino a Kampala. L’uccisione di Kabila, che aveva rovesciato Mobutu Sese Seko
dopo oltre 20 anni di potere autocratico e criminale, ed era superprotetto,
avvenne nell’ambito di una congiura di palazzo la cui dinamica esatta non è mai
stata chiarita. La fuga sembra sia stata semplice, e quindi certamente
coordinata dall’interno del penitenziario. Un episodio preoccupante poiché avviene ad appena
quattro giorni del ballottaggio presidenziale tra Joseph
Kabila (che prese il posto del padre
poco dopo la sua morte) e Jean Pierre Bembo, già leader di un potente gruppo ribelle, ed
attuale vicepresidente. La tensione si è
alzata dopo l’annuncio del ballottaggio quale risultato del primo turno: in
scontri tra i seguaci dei due ci sono state molte vittime. Tutti si aspettavano
che Kabila raggiungesse il 50 per cento necessario per
essere subito eletto.
Il ministro degli Esteri sudanese, Lam
Akol, ha dichiarato che il suo Paese è pronto a collaborare
sulla crisi in Darfur con il prossimo segretario
generale delle Nazioni Unite, il sudcoreano Ban Ki-moon. Queste dichiarazioni
arrivano proprio mentre l’emissario dell’ONU, Jan Pronk, espulso pochi giorni
fa dalle autorità sudanesi, si appresta ad avere un colloquio a New York con il
segretario generale uscente, Kofi Annan. Da parte sua, l’ONU ha affermato che Pronk resta il suo rappresentante in Sudan. Quest’ultimo ha
deciso di non presentare le sue scuse per aver detto di augurarsi la disfatta
dell’esercito sudanese in Darfur. Il Sudan si oppone
al dispiegamento di caschi blu ONU in Darfur nonostante
una risoluzione adottata in questo senso del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite. Secondo l’ONU, dall'inizio del conflitto nel
2003 circa 200 mila persone sono morte a causa della guerra e delle sue
conseguenze che hanno causato inoltre 2,5 milioni di sfollati.
Il ministro degli Esteri ciadiano
Ahmat Allami ha accusato
oggi il Sudan di sostenere i ribelli ciadiani che
hanno ripreso le operazioni militari nell’est del Paese. Secondo il ministro, i
tiri di razzi ieri contro un aereo francese sono una prova del sostegno di Khartoum
alla ribellione. “Questi rivoltosi sono entrati in Ciad a partire dal Sudan e
non hanno potuto procurarsi questo tipo di equipaggiamento militare se non
grazie alle autorità sudanesi e il Sudan non può negarlo”, ha detto il ministro
degli Esteri all’agenzia France Presse.
Il terrorismo è la minaccia peggiore per una società
democratica e l’ETA “è un nemico comune della Spagna e dell’Europa”. E’ la tesi
sostenuta dal vicepresidente della Commissione europea, Franco Frattini, intervenendo, quale responsabile della giustizia,
libertà e sicurezza, nel dibattito svoltosi questa mattina al Parlamento
europeo sulla proposta di dialogo con i separatisti baschi. E’ la prima volta
che il Parlamento europeo dibatte la questione dell’ETA. Da una parte,
socialisti, liberaldemocratici, verdi
e sinistra unitaria, favorevoli a sostenere il dialogo proposto dal
governo spagnolo del primo ministro Zapatero, e dall'altra, i popolari e altri
gruppi della destra che sostengono una risoluzione più prudente e più vicina
all’associazione dei parenti delle vittime contraria al negoziato con l’Eta. La presidenza europea, rappresentata dalla Finlandia,
e la Commissione per bocca di Frattini hanno dato il
loro sostegno alla proposta di dialogo, rendendo peraltro omaggio alle vittime
e difendendo un accordo che preveda il disarmo totale
del gruppo separatista e la fine del terrorismo.
In Francia è entrata nel vivo la campagna elettorale
per le presidenziali e le legislative di primavera e inizio estate con
l’annuncio ieri delle date precise. Ancora confusa, per il momento, la rosa dei
candidati, mentre in questi giorni si è tornato a parlare delle banlieue un anno dopo gli aspri scontri
tra giovani delle periferie e polizia. Ieri il tribunale di Evry
ha aperto un’inchiesta sull’incendio dell’autobus a Grigny,
a sud di Parigi, avvenuto domenica pomeriggio. Sono stati arrestati due
sospetti, un ragazzo di 13 anni e uno di 18. Il servizio di Francesca Pierantozzi:
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Il primo turno per scegliere il successore di Jacques Chirac all’Eliseo si terrà il 22 aprile, il secondo, il 6 maggio. Come
previsto, le legislative si svolgeranno il 10 e il 17 giugno. Stabilito il
calendario, bisognerà adesso trovare i candidati. Se a destra, per il momento,
l’unico ad essersi dichiarato è Nicholas Sarkozy, con il partito neo-gollista che si pronuncerà in
gennaio, nel partito socialista è aperta la corsa per le primarie di novembre.
I tre aspiranti candidati - Segolène Royal, Laurent Fabius e Dominique Strauss-Kahn – si sono dati appuntamento per la seconda
volta davanti alle telecamere. Dopo l’economia, i tre hanno affrontato i temi
della democrazia e della società. In primo piano anche la sicurezza, con la
situazione nelle banlieue che rischia di esplodere ad
un anno dalla grande rivolta durata un mese, in cui furono bruciate oltre 10
mila auto. Da allora – sostengono le associazioni e confermano le cifre – poco
o nulla è cambiato e nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli attacchi
contro i poliziotti. Secondo alcuni di loro, una nuova rivolta nelle periferie
potrebbe esplodere da un momento all’altro.
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Il presidente francese Jacques Chirac è giunto oggi a Pechino per una visita di Stato di
quattro giorni in Cina. E’ il quarto viaggio del capo dello Stato francese in
Cina ed è volto a rafforzare la collaborazione politica ed economica con il gigante
asiatico. Oggi Chirac incontrerà la comunità francese
e domani avrà un colloquio con il presidente Hu Jintao.
La Russia “è pronta ad aiutare Kiev, se lo chiederà, per proteggerla da tentativi esterni
di immischiarsi nelle sue questioni interne: in quest’ottica la presenza della
flotta russa a Sebastopoli non è inopportuna”: è
quanto sostiene il presidente russo, Vladimir Putin,
nella sua tradizionale e annuale ‘intervista col popolo’. Putin
ha comunque sottolineato che l’Ucraina deve decidere da sola sui problemi che
riguardano il suo territorio, Crimea compresa. La
penisola, ‘regalata’ a Kiev
negli anni ’50 da Nikita Krushev,
è abitata da una maggioranza filo-russa. Putin è
anche intervenuto in tema di energia. La Russia – ha detto – “deve
diversificare la sua economia e non limitarsi all’esportazione di materie prime
energetiche, per non diventare una colonia dell'Occidente”.
In Italia, un’imbarcazione con 34 extracomunitari a bordo,
tra cui quattro donne, è stata avvistata stamani a 10 miglia a sud di Pozzallo. La segnalazione è giunta dalle autorità maltesi
al comando delle Capitanerie di Porto. Sul posto è stata inviata una motovedetta
che ha già raggiunto il natante e preso a bordo i clandestini. L’arrivo a Pozzallo è previsto intorno a mezzogiorno.
Tre italiani sono morti a Madagascar nello schianto di un
aereo da sei posti. Si tratta do operatori economici nel settore del marmo.
L’apparecchio si sarebbe schiantato subito dopo il decollo dall’aeroporto di Toliara, secondo i vigili del fuoco dell’aeroporto.
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