RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 297 - Testo
della trasmissione di martedì 24 ottobre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Il cardinale Bertone ha inaugurato a Roma la mostra per i 145 anni
dell’Osservatore Romano
Iniziato in
Vaticano il Convegno internazionale degli Ordinariati militari
OGGI IN PRIMO PIANO:
Si celebra oggi la Giornata delle
Nazioni Unite: ai nostri microfoni Staffan de Mistura
CHIESA E SOCIETA’:
Si
celebra, a partire da oggi, la settimana delle Nazioni Unite per il disarmo
In
Vietnam, denunciati nuovi casi di torture contro i Montagnard,
indigeni in gran parte cristiani
Cresce il traffico di bambini
in Uganda: lo afferma ‘Save the children’
Scontri ieri a Budapest durante le celebrazioni
per i cinquanta anni della insurrezione democratica ungherese repressa nel sangue
dalle truppe sovietiche
24 ottobre 2006
“SOLO
SE PROVENGONO DAL SILENZIO DELLA CONTEMPLAZIONE LE NOSTRE PAROLE POSSONO AVERE
VALORE E NON RICADERE NELL’INFLAZIONE DEI DISCORSI
DEL MONDO CHE RICERCANO IL CONSENSO
DELL’OPINIONE COMUNE”: COSÌ IL PAPA IERI POMERIGGIO NEL SALUTO A DOCENTI E
STUDENTI DEGLI ATENEI PONTIFICI PER L’INIZIO DELL’ANNO ACCADEMICO
L’importanza della vita spirituale e la necessità di
curare maturazione umana e formazione ascetico-religiosa
insieme alla crescita culturale. E’ quanto ha voluto ribadire il Papa incontrando
ieri docenti e allievi delle Università Pontificie al termine della Messa per
l’apertura del nuovo anno accademico. La cerimonia è stata presieduta dal
cardinale Zenon Grocholewski,
prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, che ai presenti ha
detto: “mettete il vostro studio a servizio della
Comunità e per
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(canto)
Una comunità accademica varia, per nazionalità e cultura
dei suoi 15 mila componenti, ma non per questo dispersiva, bensì unita da
comuni criteri di formazione e, soprattutto, dalla fedeltà al Magistero. Così
il Papa ha definito rettori, docenti e alunni di università e atenei pontifici,
che hanno atteso il suo indirizzo per il nuovo anno, ieri, al termine della
Messa nella Basilica Vaticana nell’appuntamento tradizionale voluto da Giovanni
Paolo II e ripreso per la prima volta, quest’anno, da Benedetto XVI. Per
diventare autentici discepoli di Gesù, accanto alla crescita culturale - ha
detto il Papa - sono prioritari la vita spirituale, la cura della formazione
ascetica e della maturazione umana:
“L’approfondimento
delle verità cristiane e lo studio della teologia o di altra disciplina
religiosa presuppongono un’educazione al silenzio e alla contemplazione, perché
occorre diventare capaci di ascoltare con il cuore Dio che parla”.
Purificazione nel pensiero, dunque, per ascoltare Dio che
parla:
“Solo se provengono
dal silenzio della contemplazione le nostre parole possono avere qualche valore
ed utilità e non ricadere nell’inflazione dei discorsi del mondo che ricercano
il consenso dell’opinione comune. Chi studia in un Istituto ecclesiastico deve
pertanto disporsi all’obbedienza e alla verità e quindi coltivare una speciale
ascesi del pensiero e della parola”.
“Tale ascesi si basa sulla familiarità amorosa con
“Domandate a Lui: ‘Maestro, insegnaci a pregare ed anche insegnaci a pensare,
a scrivere e a parlare’. Perché queste cose sono, tra loro, strettamente connesse”.
“Il vostro apostolato – ha concluso il Papa – sarà domani
ricco, soprattutto se alimentate il vostro personale rapporto con Lui, tendendo
alla santità e avendo come unico scopo della vostra esistenza la realizzazione
del Regno di Dio”.
In precedenza, durante l’Omelia, il cardinale Grocholewski aveva ribadito al Papa l’intenzione dei presenti
di essere strumento mediante il quale Dio possa
parlare ed aveva raccomandato ai giovani di non perdere di vista Dio, fonte dei
nostri talenti, che ci rendono ricchi se non
li accumuliamo per noi, ma li indirizziamo al servizio della comunità.
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IL COMMENTO DI MONS.
BRUNO FORTE AL DISCORSO DI BENEDETTO XVI A VERONA:
PER IL PAPA I CATTOLICI DEVONO FAR
EMERGERE IL “SÌ” DI DIO ALL’AMORE DELL’UOMO,
ALLA LIBERTÀ E ALL’INTELLIGENZA
E’ un discorso che continua a far riflettere: è l’intervento
di Benedetto XVI il 19 ottobre scorso al Convegno della Chiesa italiana a
Verona. Il Papa ha ribadito che “la risurrezione di Cristo è il centro della
predicazione e della testimonianza cristiana” e ha invitato i cattolici a dare
risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi della gente,
unendo intelligenza e amore. Su questo discorso abbiamo
sentito il commento dell’arcivescovo di Chieti-Vasto
Bruno Forte: Sergio Centofanti gli ha chiesto quale
parola del Papa l’ha più ha colpito:
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R. – Certamente, il grande “sì” di Dio pronunciato in Gesù
Cristo sull’uomo e sul mondo. Questa visione positiva del cristianesimo, come
Buona Novella e come riconoscimento fondato nell’amore di Dio per l’uomo del
valore intrinseco della dignità profonda di ogni essere umano e di tutto ciò
che è umano: questo mi sembra il grande messaggio che Papa Benedetto ha voluto
riconoscere come scaturente dalla risurrezione di Gesù Cristo, speranza del
mondo. Da questo messaggio consegue anche un atteggiamento ideologico positivo
della Chiesa verso la società in cui è posta, un atteggiamento che guarda a
tutto ciò che di positivo c’è nel reale e che è stato rivelato pienamente
dall’incarnazione del Logos: c’è una
struttura intelligente del mondo che il Logos
incarnato ha manifestato e che rispecchia il disegno del Creatore. Sulla base
di questo Logos, di questa struttura
intelligente, ogni essere umano che abbia il cuore e la mente sgombra da
pregiudizi, può trovare un punto d’incontro, d’intesa, nella ricerca di valori,
della verità illuminante su cui la
vita e la storia dell’uomo si possa costruire, nella crescita e nella dignità
di tutti.
D. – La strada maestra per l’evangelizzazione – ha detto
il Papa – resta una fede amica dell’intelligenza, che sappia
amare in modo concreto soprattutto i più poveri ed i sofferenti …
R. – Mi sembra che in queste osservazioni vi siano due
grandi messaggi. Il primo, è che è necessario allora che il cristianesimo si
manifesti in tutta la sua forza, di esercizio dell’intelligenza profonda della
realtà. Il cristianesimo non ha nulla a che vedere con l’irrazionalismo, con la
rinuncia alla dignità della ragione che invece ha sempre esaltato; ma nello
stesso tempo, questa ragione non va assolutizzata,
essa va coniugata con il principio “amore”, perché il Logos incarnato non è solo rivelazione della struttura intelligente
del disegno originario del Creatore, ma è anche il Logos che si è incarnato per amore e che si è rivelato come il Dio
che è amore. Dunque, intelligenza e amore sono inseparabili e dalla
coniugazione di queste due componenti fondamentali della realtà della vocazione
umana della rivelazione divina, può scaturire anche il dialogo più fecondo,
l’evangelizzazione più autentica, il servizio all’uomo più pieno.
D. – C’è chi definisce
R. – Certamente, perché la potenza della Chiesa è quella
che Paolo chiama “la debolezza di Dio”, cioè il fatto che Dio abbia scelto per
manifestarsi non la via di una potenza umana, che schiacci l’uomo, ma la via
della debolezza della Croce; la via della forza dell’amore che sostiene questa
debolezza, e in questo senso, le parole del Papa richiamano quelle paoline: che la stoltezza di Dio è ben più sapiente della
sapienza del mondo. Cioè: il Dio che si rivela nella debolezza resta
l’onnipotente che ha scelto la via non della forza ma dell’amore, per
comunicarsi agli uomini e per dare a loro la sua salvezza.
D. – Cosa è emerso dai lavori di Verona?
R. – Mi sembra che sia emerso chiaramente il volto di una
Chiesa viva, di una Chiesa giovane, di una Chiesa di popolo. Una Chiesa viva
nella grande ricchezza di esperienze, di fermenti, di impegno nella causa
dell’annuncio del Vangelo e della catechesi, nella presenza capillare della
carità. Una Chiesa giovane: lo stadio di Verona era pieno di giovani alla Messa
con il Papa. Tra i delegati ce n’erano naturalmente di meno, perché spesso i
delegati sono scelti tra quelli che hanno già
responsabilità adulte nella Chiesa. E tuttavia, essi erano voce di una Chiesa
che sa dare ai giovani ragioni di vita e di speranza.
Ed una Chiesa di popolo, una Chiesa – cioè – che è ben radicata nel tessuto
popolare della nostra gente, sta con essa, vive per
essa, è amata dal suo popolo e lo rappresenta nelle istanze più vere,
nonostante tutti i processi di secolarizzazione in atto. Ed è a partire da
questo dato, che è possibile rilanciare l’evangelizzazione nel nostro Paese,
perché questa “Chiesa di popolo” prenda sempre più coscienza della grande
ricchezza che essa ha in sé, l’amore di Dio in Gesù Cristo, e che essa ha da
proporre al mondo, questo stesso amore coniugato come “sorgente ispirativa” di prassi, di carità, di solidarietà, di
impegni sociali. Molto importante è stato anche il fatto che il Papa abbia
sottolineato che nell’impegno politico
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IL CARDINALE TARCISIO BERTONE HA
INAUGURATO A ROMA
LA MOSTRA PER I 145 ANNI
DELL’OSSERVATORE ROMANO
- Interviste con il cardinale Jean-Louis Tauran e Marco Impagliazzo -
È stata inaugurata stamane a
Roma dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone,
la mostra “L’Osservatore Romano: da Roma al mondo. 145 anni di storia
attraverso le pagine del giornale del Papa”. L’esposizione – allestita a
Palazzo Valentini, sede della Provincia che ha
collaborato all’iniziativa – sarà aperta al pubblico gratuitamente da domani
fino al 10 novembre, dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 19. Il servizio di
Roberta Gisotti sulla cronaca di questa mattina:
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Una mostra di grande interesse storico che percorre le
vicende salienti della Chiesa, dell’Italia e del mondo intero, dal primo luglio
1861 - questa la data del primo numero dell’Osservatore Romano, esposto in
originale - fino ad oggi con una immagine - tratta
dall’archivio fotografico del quotidiano vaticano - di Benedetto XVI che legge
il giornale del Papa. Segno di una continuità che ha attraversato 11
pontificati da Pio IX a Papa Ratzinger, di cui la
rassegna riporta gli aspetti salienti intrecciati nelle pagine dell’Osservatore
Romano alle cose del mondo, come ha rilevato il cardinale Bertone,
nel discorso inaugurale dopo aver visitato le due sale che ospitano i 30
pannelli espositivi. Nella visita il porporato è stato accompagnato dal
presidente della Provincia, Enrico Gasbarra e dal
direttore dell’Osservatore Romano Mario Agnes, da ben
22 anni alla guida di questa testata, organo ufficioso della Santa Sede, nato
per iniziativa di alcuni fedeli laici, in un clima di aperta sfida e
contrapposizione tra ideologie risorgimentali e Stato Pontificio. E, dopo 145
anni, la storia di questo giornale è ospitata nel Palazzo della Provincia di
Roma, città culla della civiltà occidentale e cuore della cristianità, a
suggellare – ha sottolineato il cardinale Bertone –
la proficua e reciproca collaborazione tra istituzioni civili ed ecclesiali,
per essere a servizio dell’uomo, in linea – ha osservato – con l’invito
lanciato a Verona da Benedetto XVI “ai cattolici presenti in ogni ambito della
società ad aprirsi a nuovi rapporti e a non trascurare alcuna delle energie che
possono contribuire alla crescita morale e culturale dell’Italia”:
“Il susseguirsi degli eventi storici mostra che la Chiesa
nel passato come nel presente, per diffondere il messaggio evangelico in ogni
ambito della società, per promuovere e difendere gli ideali dell’autentica
libertà, della verità, della giustizia e della carità ha bisogno
dell’operosità, dell’inventiva e del carisma dei laici”.
E, un grazie particolare il
direttore dell’Osservatore Romano, Agnes ha voluto
dedicare a quanti a vario titolo hanno dato e danno professionalità ed un pezzo
del loro cuore, qualcosa di se stessi, per confezionare questo giornale unico
al mondo “che legge le vicende dell’uomo con occhio ecclesiale”, da un
osservatorio – possiamo aggiungere - privilegiato, arricchito dallo sguardo
benevolo del Papa sull’umanità intera.
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Ascoltiamo ora al microfono di Tiziana Campisi
il curatore della Mostra, Marco Impagliazzo,
professore di storia contemporanea all’Università per
stranieri di Perugia:
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R. – Abbiamo provato ad identificare i punti forti della
storia di questo giornale del Papa, anche se in realtà non è il giornale
ufficiale della Santa Sede. L’Osservatore Romano, proprio nella prospettiva
della Chiesa cattolica, da Roma guarda al mondo e in questo guardare al mondo
quali sono i fatti fondamentali del XX secolo? Sono le guerre mondiali e tutta
l’opera che i Papi hanno fatto per difendere la causa della pace, partendo da
Benedetto XV, che ha definito
Ma quale contributo ha offerto all’informazione
“L’Osservatore Romano”? Lo abbiamo chiesto al cardinale Jean-Louis
Tauran, archivista e bibliotecario di Santa Romana
Chiesa:
R. – Un’informazione neutrale, super partes, che fa riflettere sui
principi. Informare vuol dire formare.
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“I
MILITARI A SERVIZIO DELLA PACE” E’ IL TITOLO DEL QUINTO
CONVEGNO INTERNAZIONALE DEGLI
ORDINARIATI MILITARI
- Intervista con il cardinale Nicolás de Jesús López Rodríguez -
In uno scacchiere internazionale sul quale si moltiplicano
le missioni militari di pace nelle zone di crisi, assume una grande rilevanza
all’interno delle Forze armate di ogni Paese la presenza dei vescovi e dei
sacerdoti che curano questo paricolare settore. Da
ieri e fino a venerdì prossimo, l’Aula vecchia del Sinodo, in Vaticano, ospita
il quinto Convegno internazionale degli Ordinariati Militari sul tema eloquente
“I militari a servizio della pace”. Proprio i mutati scenari mondiali
costituiscono uno dei cinque punti di riflessione sui quali è articolato il Convegno.
I lavori sono stati aperti da una prolusione del cardinale Giovanni Battista
Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e saranno conclusi
dall’intervento del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
Giovanni Peduto ha domandato al cardinale Nicolàs de Jesùs López Rodríguez,
arcivescovo di Santo Domingo e ordinario Militare per la Repubblica Dominicana,
quale sia oggi il ruolo degli ordinari militari e dei
cappellani:
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R. – Il ruolo, come tante volte è stato detto e
sottolineato, è quello di cercare di mantenere una presenza ecclesiale nel mondo
militare, riconoscendo le grandi sfide che incontriamo nello svolgimento di
questo compito e non soltanto in relazione alla situazione di ciascun Paese, ma
proprio di fronte alla grande realtà che il mondo oggi ci presenta. Il nostro
ruolo è quindi quello di mantenere questa nostra presenza come servitori del
mondo militare, cercando al contempo di dire una parola anzitutto di verità, di
amore, di giustizia in questo ambiente, che ha purtroppo tante difficoltà e
tanti grandi problemi.
D. – A proposito di difficoltà, quali sono i principali
ostacoli che incontrate nell’esercizio del vostro compito?
R. – Sappiamo anzitutto che il mondo militare ha tante
realtà da affrontare. Si deve affrontare la realtà della violenza interna: in
ciascun Paese ci sono, a questo riguardo, molte situazioni da dover affrontare
e alla quali è necessario trovare delle soluzioni. Ma
si deve anche affrontare la realtà delle guerriglie che, soprattutto in alcuni
Paesi del Sud America, rappresentano una vera e propria sfida per gli eserciti
e per i militari. C’è poi il problema del narcotraffico,
che fino a qualche anno fa era strettamente collegato alle guerriglie. E c’è
ancora la grande questione del terrorismo, che io credo rappresenti una grande
sfida per il mondo militare.
D. – Le armi e la pace, come coniugare evangelicamente
queste due espressioni?
R. – Sappiamo che il Vangelo è fondamentalmente un
messaggio di pace. Questo non può essere discusso. Si deve, però, riconoscere
nel mondo che ci sono anche altre realtà, che rappresentano delle sfide per il
Vangelo stesso. A questo proposito, mi piace ricordare il rapporto fra Gesù ed
i centurioni, che erano i rappresentanti dell’Impero di Roma: si vede che il Signore
ha avuto un atteggiamento di rispetto per questi uomini. Tuttavia, quando
l’uomo non ha in sé un sentimento, un senso di pace, è veramente molto
difficile riuscire a fare questa conciliazione.
D. – Il Papa ha denunciato una generale indifferenza nel
processo di disarmo …
R. – C’è molta gente che ama la violenza e vuol esercitare
la violenza. Ma va anche detto che la guerra e la vendita delle armi
rappresentano evidentemente un grande affare economico. Credo quindi sia
necessario precisare che queste persone che fanno e vogliono fare la guerra,
che amano la guerra, hanno certamente anche un buon profitto in tutto quello
che ruota intorno alle armi.
D. – La sua esperienza personale sia sul campo con i
soldati, sia come annunciatore della parola tra le armi…
R. – Quando sono stato nominato arcivescovo di Santo Domingo
– bisogna sapere che nella Repubblica Dominicana la nomina di ordinario
militare è vincolata all’esercizio di arcivescovo – io avevo delle difficoltà,
perché la mia famiglia aveva sofferto molto durante la
dittatura di Trujillo. Ma quando la Chiesa mi ha
chiamato a svolgere questo compito, mi sono allora presentato agli uomini
semplicemente come un servitore, dicendo loro: “Vengo non come un militare, ma
vengo fra di voi semplicemente come un sacerdote. Io voglio
servirvi, voglio essere fra di voi e con voi un
testimone di ciò in cui io credo”.
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LA SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO
DEI VESCOVI
HA CELEBRATO IL QUARTO INCONTRO
DELL’11° CONSIGLIO ORDINARIO
SUL TEMA DELLA PAROLA DI DIO,
OGGETTO DELLA PROSSIMA ASSEMBLEA GENERALE
CONVOCATA DA BENEDETTO XVI PER IL
2008
- A cura di Alessandro De Carolis -
La riscoperta delle Sacre Scritture nella teologia e nella
catechesi, nella lettura privata come nella lectio divina. Su questi argomenti si sono confrontati i partecipanti
all’11° Consiglio ordinario della segreteria generale del Sinodo dei Vescovi,
giunto al quarto incontro. Sullo sfondo, la 12.ma
Assemblea ordinaria del Sinodo convocata da Benedetto XVI per l’ottobre del
2008 sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”.
All’incontro presieduto dal segretario generale,
l’arcivescovo Nikola Eterovič,
i numerosi cardinali e vescovi presenti hanno tra l’altro sottolineato
l’importanza, sul tema, della Costituzione dogmatica conciliare Dei Verbum e
del Catechismo della Chiesa cattolica che, si legge in un comunicato, “ha
recepito e ulteriormente sviluppato le indicazioni della Dei verbum”.
PRESA DI POSSESSO DEL TITOLO DI
SANTA MARIA DEL POPOLO
DA PARTE DEL CARDINALE STANISŁAW DZIWISZ
- Intervista con il porporato -
Cerimonia solenne questa sera a Roma per la presa di
possesso del Titolo di Santa Maria del Popolo da parte del cardinale Stanisław Dziwisz,
arcivescovo metropolita di Cracovia. Il porporato presiederà alle 18.00
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R. – Malgrado abbia vissuto a
Roma 27 anni, con il Santo Padre Giovanni Paolo II, Roma mi ha sempre
continuato ad impressionare. Quando andavo alla Basilica di San Giovanni in Laterano e leggevo “Caput et Mater”, mi sono sempre sentito molto unito alla sede di San
Pietro. Questa nomina al Collegio Cardinalizio e questa chiesa che devo
accogliere come mia in qualità di titolare, mi unisce ancora di più con il
Santo Padre Benedetto XVI ed esprimo a lui la mia profonda riconoscenza e la
mia fedeltà. Mi sento ancora di più unito alla Chiesa di Roma, al clero, al
vicariato e ai tanti tanti
amici che ho lasciato andando a Cracovia. Di nuovo mi sento, non posso dire
certo di essere romano, ma certamente profondamente unito al popolo romano.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il discorso di Benedetto XVI al
termine della Messa di inaugurazione dell’Anno accademico dei Pontifici Atenei
Romani.
Il saluto del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, in occasione della mostra
“L’‘Osservatore Romano’, da Roma al mondo. 145 anni
di storia attraverso le pagine del giornale del Papa”.
Il cardinale Sodano, Legato pontificio in Ungheria,
per le celebrazioni della libertà della Nazione (cinquantesimo anniversario
dell’insurrezione di Budapest).
Servizio estero - Medio Oriente: rapito nella
Striscia di Gaza un fotoreporter del- l’“Associated Press”.
Servizio culturale - Un articolo di Mario Spinelli
dal titolo “Il Romanico e il Gotico: due stili ‘riletti’ senza luoghi comuni”;
un volume sull’arte del basso e del tardo Medio Evo.
Per l’“Osservatore libri” un articolo di Paolo Miccoli dal titolo “Quel nucleo di verità religiosa
che anticipa la Rivelazione cristiana”: “Platone e Socrate”, il
XVI volume dell’opera omnia di Romano Guardini.
Servizio italiano - In primo piano il tema della
sanità.
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24 ottobre 2006
GIUNTA
IN TUNISIA
IN
ALGERIA, CITTA’ NATALE DI SANT’AGOSTINO
- Intervista con padre Pietro Bellini -
Prosegue il viaggio della fiaccola del dialogo tra le
sponde del Mediterraneo. Mentre il mondo islamico festeggia la fine del
Ramadan, la torcia, partita ieri dall’Algeria e diretta verso l’Italia per
recuperare il pensiero di Sant’Agostino come ponte
fra le culture, oggi ha varcato la frontiera con la Tunisia. Da Aïn Draham, in Tunisia, il
servizio di Tiziana Campisi.
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“E’ titolo più grande di gloria uccidere la guerra con il
dialogo, anziché uccidere gli uomini con la spada, e procurare o mantenere la
pace con la pace e non già con la guerra”: così scriveva Sant’Agostino nella lettera 229.
E a sottolineare il suo invito alla concordia, nell’atmosfera festosa del
giorno della Id al-Fitr, la
fine del Ramadan, è il passaggio della fiaccola del dialogo dall’Algeria in
Tunisia. Accesa ieri a Souk-Ahras,
l’antica Tagaste, che ha dato i natali a Sant’Agostino, la fiaccola che vuole ricordare agli uomini
il messaggio di pace del vescovo di Ippona, oggi
giunge dove un tempo sorgeva Cartagine, città degli
studi del presule africano. Una delegazione italiana sta accompagnando la
fiaccola. Qui con noi il provinciale degli agostiniani d’Italia, padre Pietro
Bellini. A lui chiediamo: come può il pensiero di Sant’Agostino
varcare i confini delle differenze?
R. – Agostino ha vissuto in un mondo di differenze. Lui ha
saputo iniziare il dialogo con le differenze sia culturali, sia religiose,
partendo da due principi fondamentali. Primo concetto fondamentale: tutti gli
uomini sono uguali. Quindi, se ciascun uomo parte dal proprio cuore, dalle
proprie esigenze, potrà trovare terreno comune di dialogo. Secondo principio da
cui Agostino parte è quello secondo cui Dio è Padre di tutti gli uomini. Tutti
sono destinatari di un unico progetto. Quindi, all’interno di questo progetto
che Dio ha per l’umanità si potranno trovare anche gli strumenti e i mezzi di
dialogo e della pace.
D. – In che modo oggi far crescere il dialogo
interreligioso?
R. – Agostino visse delle situazioni molto simili alle
nostre di oggi. Il dialogo, confronti e raffronti religiosi ci sono stati ai
tempi di Agostino sia dentro la Chiesa, sia fuori della Chiesa. Agostino lancia
il principio, secondo il quale prima di dialogare dobbiamo essere certi di
quello che noi siamo. Dobbiamo sapere la verità su noi stessi, su quello in cui
crediamo, dopo di che possiamo incontrare l’altro con la carità. Cercando tutti
insieme la verità possiamo raggiungere l’obiettivo del dialogo.
D. - All’Angelus del 27 agosto Benedetto XVI ha pregato Sant’Agostino, perchè attraverso la sua intercessione Dio
conceda a tutti quei giovani assetati di felicità di non cercarla percorrendo
sentieri sbagliati, perchè non si perdano in vicoli ciechi. Cosa suggerisce
oggi il vescovo di Ippona ai giovani?
R. – Agostino ai giovani di oggi parlerebbe con la stessa
frase che tutti conosciamo: “Va dove ti porta il cuore”. Agostino parte dal
cuore. Nel cuore di ciascuno di noi si possono trovare le proprie esigenze, la
propria verità, il senso della vita. Se i giovani riescono a trovare la chiave,
non al di fuori di se stessi, ma dentro se stessi, lì
troveranno anche la strada verso la felicità, la strada verso il senso della
vita.
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SI
CELEBRA OGGI
-
Intervista con Staffan de Mistura -
Bisogna essere uniti per affrontare con successo le
minacce globali. E’ l’appello del segretario generale dell’ONU Kofi Annan, che, nell’odierna
Giornata internazionale delle Nazioni Unite, ha ricordato i passi in avanti
fatti in questi anni in favore di sviluppo, sicurezza e diritti umani. Tuttavia
Annan ha anche invitato tutti i governi del mondo a
lavorare con il suo successore, il sudcoreano Bay Ki-Moon, per rendere le Nazioni Unite ancora più forti ed
efficaci. Ma in che misura oggi l’ONU può parlare al mondo di disarmo e di non
proliferazione nucleare? Al microfono di Eugenio Bonanata risponde Staffan de Mistura, inviato del segretario generale e direttore
della scuola alti studi delle Nazioni Unite di Torino:
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R. – E’ difficile parlare di disarmo e non proliferazione
senza stabilire delle regole che vangano affrontate e accettate da tutti.
Quello che si può dire è che l’ONU oggi forse è l’unico luogo dove si può, in
effetti, affrontare queste tendenze alla proliferazione. La prova è che il
dibattito avviene o nell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica o al
Consiglio di Sicurezza, e in parte anche nell’Assemblea generale, con
interventi sia del segretario generale che di Stati membri, che però si rifanno
poi alle Nazioni Unite.
D. – Cosa risponde a chi accusa l’ONU di essere
scarsamente incisiva nelle situazioni di conflitto?
R. – L’ONU non è stata creata per portare il mondo verso
il paradiso ma per impedire che cada nel baratro
dell’inferno. In questo senso l’ONU spesso non ha fallito e quando ha fallito è
stata comunque rilevante e non marginale. Esempio: ero in Kosovo,
quando ci rendemmo conto che l’ONU fu scavalcata e non fu fatto quello che era
stato deciso nell’ambito delle Nazioni Unite. Dopo tuttavia si ricompattò tutto. Anche in Iraq l’ONU è stata in buona
parte “bypassata”, ma alla fine siamo tornati ad essere necessari e
indispensabili in quanto organismo internazionale, per organizzare, per esempio
adesso, la conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Iraq. In
conclusione, l’ONU non è, e forse non sarà mai, perfetta, ma è quello che abbiamo
in mano ed è soprattutto un ideale che va portato avanti.
D. – Le risorse oggi non mancano, eppure fame,
malnutrizione e povertà continuano ad affliggere tanta parte dell’umanità. Come
combattere, come far fronte a queste sfide?
R. – Io mi ricordo all’inizio della mia carriera, più di
30 anni fa, quando avevamo con angoscia di fronte a noi la realtà di letterali
carestie in Cina, in India… Non molti anni fa, in Afghanistan, mi arrivò un
aereo di aiuti alimentari con del riso cinese. Gli indiani oggi sono nella
condizione, non solo di sostenere se stessi, ma di aiutare molte altre nazioni
in termini alimentari. Questo vuol dire che si può, si deve affrontare il
problema dello sviluppo economico e quello alimentare e che si ottengono risultati quando ci si prova.
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INCONTRO IERI A ROMA, PRESSO
- Interviste con Josephine Atangana e
Costanza Terrini -
Donne contadine africane a confronto con
quelle italiane. Un dibattito che ieri pomeriggio si è tenuto nella sede della
FAO a Roma e che ha visto coinvolte molte associazioni del settore. Sul tavolo
anche il tema della globalizzazione applicata al
settore alimentare, un argomento che ha rilanciato il tema della solidarietà
nella lotta alla fame nel mondo. Il servizio di Benedetta Capelli:
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854 milioni di persone non sopravvivono per
mancanza di risorse: è il drammatico dato fornito dalle Nazioni Unite, in
occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione. Tenendo conto di questa
stima,
IT’S VERY DIFFICULT…
“E’ molto difficile lavorare per le donne
impegnate da mattina a sera nei campi e nelle faccende domestiche. Una donna
non ha accesso alla ricchezza e la terra che lavora è prima del padre, poi del
fratello e del marito, mai sua. Lei produce solo cose da mangiare”.
Eppure la solidarietà tra le donne ha permesso
la creazione di cooperative in grado di assicurare una piccola distribuzione di
prodotti. Una esperienza, questa, che le accomuna alle
contadine italiane, in lotta per la tutela di ciò che producono. “Perché un
prodotto – ha detto una di esse – porti con sé
l’orgoglio della propria origine”. Si guarda allora anche all’agricoltura
familiare dell’Africa per segnare la propria differenza. Una filiera tonda è la
provocazione di una coltivatrice umbra, Costanza Terrini:
“Si è perso il legame con la radice. L’idea è quella di far entrare i consumatori nell’azienda e quindi
farli entrare nel cerchio, perché dentro il cerchio io ci trovo il mondo: ci
possono essere dei migranti che mi raccontano anche un altro modo di ‘fare’ la
terra e che vengono lì perché dicono: “Io so come tu fai le cose. Non è
quindi un modo di chiudersi al mondo, ma un modo di aprirsi”.
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24 ottobre 2006
SI
CELEBRA, A PARTIRE DA OGGI, LA SETTIMANA DELLE NAZIONI UNITE
PER IL
DISARMO. NEL 2005, LA SPESA MILITARE MONDIALE E’ STATA
DI
OLTRE 1100 MILIARDI DI DOLLARI
- A
cura di Amedeo Lomonaco -
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STOCCOLMA. = Il pericolo della
corsa alle armi, la necessità di ridurre la spesa militare mondiale. Su queste
due priorità è incentrata la settimana delle Nazioni Unite per il disarmo, che
si celebra ogni anno a partire dal 24 ottobre. I dati confermano anche
quest’anno un quadro allarmante: secondo il rapporto annuale dell’Istituto
internazionale di Stoccolma per la ricerca sulla pace (SIPRI), oltre 1100
miliardi di dollari sono stati destinati, nel 2005, a spese militari. Questa
somma, aumentata del 3,5 per cento rispetto al 2004, costituisce il 2,5 per
cento del prodotto interno lordo mondiale. Anche ulteriori semplificazioni
confermano l’enorme portata di questi investimenti: se le spese militari
mondiali del 2005 vengono divise per ogni abitante
della terra, si ottiene la cifra record di oltre 170 dollari per ciascun uomo o
donna del pianeta. Era dai tempi della Guerra fredda che non si spendeva tanto
per eserciti e armi: l’incremento degli ultimi anni è
dovuto, soprattutto, alla guerra in Iraq e alla lotta contro il terrorismo.
Volendo stilare una classifica, gli Stati Uniti si piazzano al primo posto,
confermando una ‘supremazia’ già registrata negli anni passati.
L’amministrazione americana ha speso nel 2005 oltre 507 miliardi di dollari, il
48 per cento della spesa mondiale. Seguono Gran Bretagna, con una spesa
complessiva dieci volte più bassa di quella
statunitense, Francia, Giappone e Cina. L’Italia, con 25 miliardi di dollari, è
al settimo posto e precede Arabia Saudita e Russia. I Paesi dove si registrano,
in percentuale, i maggiori tassi di crescita per questo genere di spesa sono
soprattutto dell’area mediorientale. In Europa, invece, c’è stata nel 2005 una
riduzione di quasi l’1,7 per cento.
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IN
VIETNAM, DENUNCIATI NUOVI CASI DI TORTURE CONTRO I MONTAGNARD, INDIGENI IN GRAN
PARTE CRISTIANI CHE VIVONO TRA GLI ALTIPIANI DEL PAESE ASIATICO
HANOI. = In Vietnam un cristiano è stato torturato e un
altro è stato rapito. È quanto denuncia la ‘Fondazione Montagnard’,
impegnata da anni per difendere i diritti dei montagnard,
indigeni che vivono, soprattutto, tra gli altipiani del Vietnam centrale. La
Fondazione ha reso noto che un uomo, fermato lo scorso 14 settembre dalla
polizia per controlli, è stato ripetutamente colpito dagli agenti durante
l’interrogatorio. La famiglia – riferisce l’Agenzia Asia News – teme che non
possa sopravvivere”. Secondo i medici che lo hanno curato, ha subito diverse
ferite alla testa. L’altro caso denunciato dalla ‘Fondazione Montagnard’ è
quello di un cristiano rapito da due agenti, lo scorso 13 ottobre, mentre si
stava dirigendo a piedi verso il suo villaggio. Al momento, sono ignoti il
luogo di detenzione ed il suo stato di salute. I montagnard,
o Degar, sono uno tra i popoli indigeni più antichi
del sud est asiatico e abitano la penisola dell’Indocina
da oltre duemila anni. Durante la colonizzazione francese, iniziata nel
diciannovesimo secolo, si stima che la popolazione dei montagnard
fosse superiore ai 3 milioni e mezzo. Oggi sono tra i
700 e gli 800 mila e, in gran parte, sono cristiani. Nonostante la persecuzione
da parte del regime comunista, i montagnard hanno
conservato la fede e si calcola che più di 180 mila siano cattolici. Molti di
loro pregano ascoltando “Radio Veritas” che
ritrasmette da Manila i programmi della redazione vietnamita della Radio
Vaticana. Alla vigilia delle celebrazioni pasquali del 2004, i cristiani montagnard sono partiti dai loro villaggi sperduti e sono
giunti in 130 mila fino ai capoluoghi provinciali negli altipiani centrali del
Vietnam per riunirsi e pregare pubblicamente. Ma sono stati subito dispersi con
le armi dalla polizia. Secondo la ‘Fondazione Montagnard’,
la dura repressione degli agenti è costata la vita, in quella occasione, ad
almeno 400 persone. (A.L.)
VISITA
DI UNA DELEGAZIONE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE STATUNITENSE
IN
ALCUNE DIOCESI ALLA FRONTIERA TRA STATI UNITI E MESSICO PER METTERE IN LUCE
DIVERSE PROBLEMATICHE LEGATE ALL’IMMIGRAZIONE ILLEGALE
CITTÀ
DEL MESSICO. = Rinforzare la presenza della Chiesa alla frontiera e garantire
la sicurezza dei minorenni e delle vittime del traffico di persone: con queste
finalità è in corso, questa settimana, la visita di alcuni rappresentanti della
Conferenza episcopale statunitense presso le regioni della frontiera con il
Messico, colpite dai gravi fenomeni dell’immigrazione illegale e dal traffico
di esseri umani. Promotore dell’iniziativa è stato il Comitato per
l’emigrazione della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. La delegazione -
riferisce l’Agenzia Fides - è formata da alcuni presuli membri del Comitato,
tra cui il presidente, mons. Gerald Richard Barnes, vescovo di San
Bernardino. Destinatarie della visita sono la diocesi di Tucson,
in Arizona, l’arcidiocesi di Galveston-Houston e la
diocesi di El Paso, entrambe in Texas. Sono previsti
incontri con rappresentanti del governo e membri di associazioni e organismi
ecclesiali impegnati nel settore dell’immigra-zione illegale. L’obiettivo è di
promuovere un’azione efficace della Chiesa alla frontiera e di garantire una maggiore
sicurezza dei bambini, vittime di turpi commerci. Il problema dei flussi
migratori clandestini tra Messico e Stati Uniti è emerso a livello ecclesiale,
nelle scorse settimane, in occasione di un documento della Conferenza
episcopale del Messico che si era espressa contro il progetto statunitense di
costruzione di un muro alla frontiera tra i due Paesi. La costruzione della
barriera, da parte dell’amministrazione americana, è stata pianificata per far
fronte alla forte pressione di immigrati messicani al confine con gli Stati
Uniti. (A.S.)
UNA
PERSONA È MORTA IN INDONESIA PER SCONTRI, AVVENUTI NEI GIORNI SCORSI
NEI
PRESSI DELLA CITTÀ DI POSO, TRA FORZE DI POLIZIA E GLI ABITANTI MUSULMANI DI UN
VILLAGGIO, DOVE GLI AGENTI SI ERANO RECATI
PER
CERCARE SOSPETTI TERRORISTI
POSO. = La fine del mese del
Ramadan è stata funestata, in Indonesia, da nuovi scontri tra musulmani e forze
di polizia costati la vita ad almeno una persona. La tensione è salita sabato
scorso, quando gli agenti hanno perquisito le case di un villaggio nei pressi
della città di Poso, sull’isola
di Sulawesi. Un portavoce delle forze di
sicurezza ha spiegato che “le perquisizioni avevano lo scopo di scovare
sospetti terroristi”. Ma gli abitanti - riferisce l’Agenzia Asia News - hanno
reagito violentemente e hanno attaccato la locale stazione di polizia. La
situazione è poi degenerata e il bilancio di ripetuti scontri a fuoco è diventato
pesante: una persona è morta e due poliziotti e due bambini sono rimasti
feriti. Altri disordini si sono poi verificati, ieri, durante i funerali del
musulmano deceduto in seguito alle ferite riportate in una sparatoria. Una
folla inferocita ha attaccato un posto di blocco e, subito dopo, è stata
incendiata una chiesa protestante. Fortunatamente non si registrano, in questo
caso, né feriti né gravi danni all’edificio. Secondo diversi analisti, gruppi
integralisti indonesiani intendono far riesplodere la
violenza nella zona, già teatro dal 1998 al 2001 di drammatici scontri tra
cristiani e musulmani, costati la vita a circa 2000 persone. (A.L.)
CRESCE
IL TRAFFICO DI BAMBINI IN UGANDA: LO AFFERMA L’ORGANIZZAZIONE NON
GOVERNATIVA
‘SAVE THE CHILDREN’ IN UN RAPPORTO RESO NOTO NEI
GIORNI SCORSI
KAMPALA. = Fame e povertà sono tra le cause del crescente
traffico di bambini in Uganda: lo denuncia l’organizzazione non governativa ‘Save the Children’, in un rapporto stilato dalla
sezione ugandese dell’associazione. Come riferisce
l’agenzia missionaria MISNA, il traffico di minori si starebbe estendendo
soprattutto nel nord-est del Paese, nella regione del Karamoja.
Fame, siccità, furti di bestiame sono tra i motivi che spingono i genitori a
cedere uno dei figli, per cifre che vanno da poco più di un euro a 13 euro.
Sono soprattutto le bambine a essere messe in vendita, per mantenere il resto
del nucleo familiare. I bambini vengono poi rivenduti
per somme anche dieci o 100 volte superiori, nei nuovi mercati che stanno
nascendo in vari distretti dell’Uganda e in Kenya. Le vittime di questo orribile
traffico finiscono per essere sfruttate in lavori domestici od occasionali. Le
bambine, invece, diventano molto spesso concubine o
mogli dei loro ‘compratori’. “C’è bisogno – ha affermato David Wright, direttore di ‘Save the Children International
Uganda’ -
di una risposta rapida e coordinata per proteggere i bambini dalle varie forme
di abuso di cui sono vittime”. Di fronte a tale appello, il commissario per
l’infanzia presso il ministero ugandese per lo
sviluppo sociale, ha risposto che il governo sta lavorando con i parlamentari
della regione del Karamoja e con i capi tribù locali
per fronteggiare la situazione. Ma le condizioni dell’infanzia ugandese restano particolarmente gravi: circa 25.000
bambini sono stati arruolati ad esempio come soldati durante i conflitti
interni. Intanto, l’attenzione nei confronti dei bambini ugandesi
è alta anche in Italia: domani verrà presentata a Roma
una campagna di sensibilizzazione in favore dei bambini dell’Uganda, promossa
dall’associazione ‘Donnambiente’, che opera nel
settore della difesa dei diritti umani, e dalla onlus
‘Mondo aperto’ dei missionari comboniani.
(A.S.)
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24 ottobre 2006
- A cura di Fausta Speranza -
Scontri tra polizia e gruppi dell'estrema destra, ieri a
Budapest, in Ungheria, hanno segnato un fuori programma nelle celebrazioni per
i cinquanta anni dalla rivolta antisovietica del 1956. Le squadre antisommossa
sono intervenute con idranti, gas lacrimogeni e pallottole di gomma, per
fermare i manifestanti che tiravano pietre e puntavano sul Parlamento. Secondo fonti sanitarie, sarebbero almeno 40 i feriti,
nessuno dei quali in condizioni gravi. Il nostro servizio:
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Il primo ministro Gyurcsany ha
difeso l'azione delle forze dell'ordine, parlando di "dimostranti che
hanno preso la capitale in ostaggio". Accuse alla polizia, invece, dal leader
della destra, Orban, che ha parlato di "violenze
ingiustificate degli agenti contro pacifici manifestanti". Poco lontano
dal luogo degli scontri, per tutto il pomeriggio, si sono tenute le
celebrazioni ufficiali, alla presenza di numerose delegazioni straniere. Corone
e discorsi ufficiali per ricordare le vittime della rivolta - 2800 secondo
alcune fonti - e gli oltre 200.000 ungheresi costretti all'esilio. Momenti di
tensione, quando alcuni dei manifestanti si sono impadroniti di un carro armato
T-34 appartenuto all'Armata Rossa e lo hanno diretto contro i reparti di
polizia, fortunatamente senza conseguenze. Nella tarda serata, la maggior parte
dei manifestanti era stata dispersa, ma per tutta la notte sono proseguiti gli
assembramenti. E dobbiamo ricordare che nei giorni
scorsi il cardinale Angelo Sodano ha rappresentato Benedetto XVI nei
vari atti organizzati a Budapest per ricordare i moti del 1956, con i quali gli
ungheresi cercarono di scuotere il giogo della dittatura comunista. Al “Te Deum” ecumenico nella Cattedrale di S. Stefano, il
22 ottobre, il segretario di Stato
emerito ha ricordato che Giovanni Paolo
II ha visitato ben due volte la terra di Ungheria. Ha espresso parole di
incoraggiamento a “usare bene del grande dono della libertà”, sottolineando
come sia valido e
attuale il monito di Giovanni Paolo II espresso, attraverso i vescovi,
nel 1993. A tre anni dalla ritrovata libertà, diceva: “E’ vero che è
finito il periodo del totalitarismo che, in nome dell’ideologia profana della
salvezza, opprimeva la religione e la fedeltà della Chiesa con misure
dittatoriali. Attualmente, però, il vostro paese si trova sotto l’influenza di
un orientamento consumistico ed è minacciato dal dissolvimento dei valori
tradizionali”. “Esiste - aggiungeva Giovanni Paolo II - il pericolo del passaggio
da una dipendenza ad un’altra, non meno opposta all’autentica promozione umana,
con la tendenza di impedire al cristianesimo di giocare, nel modo dovuto, il
suo ruolo irrinunciabile di parte integrante della storia e della cultura
ungherese”. E concludeva con le parole dell’Apostolo Paolo: “Non lasciatevi imporre di nuovo il giogo
della schiavitù”.
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Quasi un anno dopo la crisi
del gas tra Russia e Ucraina, un accordo tra i due Paesi potrebbe assicurare un
inverno al riparo da problemi analoghi. Per oggi, a Kiev,
è atteso il capo del governo russo, Fradkov, per la
firma di tre accordi intergovernativi coi vertici istituzionali ucraini.
Accordi elaborati dopo lunghe trattative e grazie al mutato clima politico in
Ucraina, dove ai filoatlantici di Yushenko
si sono sostituiti i filorussi di Ianukovich.
L'accordo dovrebbe anche placare i timori in Europa per il rischio che si ripeta la situazione dell'anno scorso, quando la riduzione
del flusso di gas destinato all'Ucraina finì per ripercuotersi su tutti gli
altri Paesi. In base agli accordi Kiev, pagherà il
gas 130 dollari per 1000 metri cubi. Più che l'anno scorso, ma sempre un prezzo
di favore, rispetto ai 290 dollari pagati dalla Germania.
Due soldati iracheni sono stati uccisi da un’autobomba che
ha colpito la loro centrale operativa a Kirkuk,
mentre viene reso noto oggi che due soldati americani
sono morti ieri nella provincia occidentale irachena di Anbar.
A Baghdad, le forze statunitensi hanno effettuato una ricerca casa per casa per
trovare un commilitone scomparso.
Intanto, il vice primo ministro iracheno Barham Salih ha detto,
incontrando ieri a Londra il premier britannico Tony Blair,
che l'Iraq è pronto ad assumersi le proprie responsabilità ma
le truppe straniere non devono abbandonare il Paese. Il numero due del governo iracheno ha
spiegato che entro la fine dell'anno la sicurezza in metà delle province
passerà sotto la completa responsabilità dell'esercito e
della polizia irachene. La violenza inarrestabile sta accrescendo la
pressione sui governi di Londra e Washington. L'opinione pubblica chiede un
cambio di strategia.
Secondo quanto pubblicato oggi dalla stampa britannica, Blair avrebbe dato dodici mesi alle autorità irachene per
preparare il passaggio di consegne tra le truppe di Londra, posizionate
principalmente nel sud, e quelle di Baghdad.
Il primo ministro britannico ha comunque negato di voler esercitare
qualsiasi pressione sul governo iracheno.
Un anno dopo
l'esplosione delle violenze urbane, le auto bruciate domenica preoccupano la Francia. La polizia è in allerta. Domenica scorsa, una
trentina di giovani nel quartiere dormitorio di Grigny
alla periferia sud di Parigi aveva dato fuoco ad un autobus e a quattro auto.
Gli autisti dei mezzi pubblici si rifiutano ora di entrare nel quartiere.
Esasperati, gli abitanti. L'anno scorso le violenze durarono tre settimane. A
qualche mese dalle presidenziali, il premier Nicholas
Sarkozy, sostiene che il governo ha investito molto
per favorire la coesione sociale. I socialisti, Dominique
Strauss-Kahn in testa, sostengono invece che i problemi
di fondo all'origine delle violenze restano irrisolti.
Il Parlamento europeo ha votato poco fa un pacchetto di
misure (due regolamenti e una decisione) per adeguare il Sistema Informativo Schengen, la banca dati funzionante come sistema comune a
disposizione delle autorità competenti degli Stati membri. La banca dati è nata
dopo che nel 1985 l’accordo di Schengen apriva alla
soppressione dei controlli alla frontiera e dunque alla libera circolazione dei
cittadini. Oggi, la banca dati va aggiornata ma ci sono anche altre necessità, legate ai
fenomeni dell’immigrazione e del terrorismo.
Fausta Speranza ha intervistato Stefano Zappalà,
vicepresidente della Commissione per le libertà civili, Giustizia e Affari
interni del Parlamento Europeo:
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R. – E’ un provvedimento quanto mai opportuno e necessario, considerati i tempi
che abbiamo vissuto dal 2001 ad oggi, dopo l’11 settembre. Il fenomeno
dell’immigrazione è molto vasto, molto ampio. Quindi, l’esigenza di verificare,
o comunque di avere dati aggiornati all’interno dell’area dell’Unione Europea,
è un fatto prioritario ormai. Sicurezza e immigrazione sono due temi
fondamentali per l’Unione Europea.
D. – E’ difficile, però, pensare ad un sistema che
allarghi i dati e che nello stesso tempo li protegga. Ma è così?
R. – La protezione è assicurata, perché il sistema è di
tipo automatico. Sono soltanto alcune le autorità che possono accedere a questo
tipo di informazione. Quindi, nessuna difficoltà o, comunque, nessuna
preoccupazione. Ricordo che ultimamente, proprio in tema di protezione dei
dati, abbiamo rivisto addirittura gli accordi con gli Stati Uniti e stiamo
rivedendo anche gli accordi per l’aerea economica, sempre con gli Stati Uniti e
con altri Paesi. Prioritaria è la protezione dei dati, ma è certamente
opportuno lo scambio di informazione tra chi è preposto nei singoli Stati
membri ad alcune verifiche e ad alcuni controlli.
D. – In questi giorni, è stata votata anche l’estensione a
nuovi Stati membri. Ci dice quali?
R. – Siamo partiti con 15 Stati iniziali, più Islanda,
Norvegia e ancora un posto disponibile. Adesso, all’interno dell’Unione ci sono
dieci nuovi Stati, dopo l’allargamento del 2004 e, quindi, a questi adesso viene aperto il sistema. Poi, riparleremo fra qualche tempo
dell’accesso di due ulteriori Stati membri, Romania e Bulgaria. Devo ricordare,
per esempio, che pur non facendo parte dell’Unione, la Svizzera recentemente ha
aderito al sistema Schengen, che è un sistema di
libera circolazione che comincia ad avere una forte importanza all’interno
dell’Unione. E’ un sistema che rappresenta peraltro quello che sono i principi
fondamentali dei diritti dei cittadini, quantomeno all’interno dell’area
geografica europea, anche se un po’ allargata.
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Vescovi protestanti si sono incontrati pubblicamente per
la prima volta con leader del Sinn Fein, il Partito repubblicano considerato il braccio
politico dell'IRA, ed hanno invitato i dirigenti dell'Ulster a superare gli
ostacoli che si frappongono al ripristino delle istituzioni miste, scaturite
dagli accordi del 1998 e poi naufragate. Lo storico incontro, ieri, ha seguito
i colloqui avvenuti nelle scorse settimane tra il leader protestante, Ian Paisley, esponente dell'ala
dura, e alti responsabili della Chiesa cattolica nella tormentata provincia. ''E' stato un incontro positivo'',
ha commentato l'arcivescovo anglicano di Armagh, Robin Eames, in un comunicato,
aggiungendo che ''i vescovi hanno affermato la loro convinzione che il progresso politico e sociale può essere
ottenuto soltanto con una piena e pari
partecipazione alle strutture della democrazia''.
Londra e Dublino stanno adoperandosi per ripristinare
entro il 2007 l'assemblea locale dell'Irlanda del nord, ma il Partito
democratico unionista (Dup) di Paisley,
che vuole mantenere i tradizionali legami della provincia con la Gran Bretagna,
si rifiuta di negoziare con il Sinn Fein. Dal canto suo il Sinn Fein, che vuole un'Irlanda unita
repubblicana e cattolica, non si è impegnato ad appoggiare, come chiede Paisley, le forze di sicurezza dell'Ulster, espressione
della maggioranza protestante.
Ventiquattro anni e 4 mesi di prigione per l'ex
amministratore delegato della Enron, Jeffrey Skilling. La condanna, del tribunale di Houston in
Texas, è una delle più severe inflitte finora nello scandalo Enron. L'ex dirigente del colosso energetico americano era
stato riconosciuto lo scorso maggio colpevole dei 19 capi d'accusa. Un
processo, quello della piu grande bancarotta della
storia economica mondiale, che vedeva Skilling come
l'unico imputato in quanto Kenneth Lay, il fondatore di Enron, è
deceduto lo scorso luglio di crisi cardiaca.
Con oltre 35 miliardi di euro di debiti, gran parte dei quali erano
stati nascosti dai contabili del gruppo, la Enron era stata dichiarata fallita alla fine del 2001. Uno
scandalo che aveva costretto il legislatore americano a rivedere i meccanismi
circa la responsabilità degli amministratori delle società quotate in Borsa.
Diciotto persone sono morte e altrettante sono rimaste
ustionate tra i passeggeri di un autobus che è esploso nel centro di Panama. Lo
ha annunciato il ministro dell'Interno panamense, la signora Olga Golcher, che non ha fornito nessuna indicazione sulle cause
dell'esplosione.
La notizia giunge stamani dopo che ieri si è tanto parlato
dello Stretto di Panama. E’ stata registrata, infatti, una valanga di sì al referendum per l'allargamento del canale
dello Stato centroamericano. L'80% dei votanti ha approvato il faraonico
progetto da 5 miliardi e 200 milioni di dollari fortemente
voluto dal presidente Martin Torrijos,
che ora si abbandona a toni trionfalistici.
Il nuovo canale dovrebbe, in effetti, cambiare il volto e rilanciare l'economia
della striscia di terra che collega l'Oceano Atlantico al Pacifico. I lavori
dovrebbero consentire il passaggio anche alle navi portacontainer
più grandi attraverso lo scavo dei fondali e l'allargamento delle dighe. La costruzione del canale inaugurato nel 1914
era costata la vita a migliaia di operai. La sua modernizzazione creerà
numerosi posti di lavoro, ma secondo i detrattori potrebbe mandare in
bancarotta uno Stato già fortemente indebitato.
Non esistono nuovi segnali che la Corea del Nord stia preparandosi per un secondo esperimento sotterraneo
dopo quello con cui è entrata 15 giorni fa nel "club nucleare". Lo
scrive oggi a Seul l'agenzia "Yonhap"
citando indicazioni fornite dai Servizi di informazione statunitensi a quelli sudcoreani. In particolare, secondo l'agenzia, i mezzi di
rilevamento americani non hanno evidenziato alcun movimento insolito nei
poligoni nordcoreani dopo quelli
registrati subito dopo il primo test a Kilju, nella
provincia dell'Hamkyong settentrionale. Intanto, gli
Stati Uniti hanno recisamente smentito oggi una serie di informazioni dei
giorni scorsi su un ammorbidimento delle posizioni di Pyongyang
sulla crisi nucleare nordcoreana.
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