RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 295 - Testo
della trasmissione di domenica 22
ottobre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
In
Iraq, tragica fine per una giovane 24.enne accusata
di adulterio e lapidata pubblicamente. A Baghdad, due morti e cinque feriti per
una bomba in un mercato
Il
governo israeliano, secondo la stampa locale, ammette per la prima volta l’uso
di armi al fosforo durante il conflitto nel Sud del Libano
22 ottobre 2006
LA
MISSIONE DI ANNUNCIO DEL VANGELO PARTE DA UN CUORE TRASFORMATO DALL’AMORE DI
DIO, COME ACCADDE A SAN FRANCESCO:
ALL’ANGELUS,
BENEDETTO XVI CELEBRA L’80.MA GIORNATA MISSIONARIA
MONDIALE
E INVIA UN AUGURIO DI PACE AI MUSULMANI, CHE
CONCLUDONO IL RAMADAN.
APPELLO
DEL PAPA AL MONDO PER IL DRAMMA DELLA VIOLENZA IN IRAQ
L’Iraq ha bisogno del sostegno
“del mondo intero” per uscire dal dramma della violenza che quotidianamente lo
insanguina. Benedetto XVI ha parlato della crisi del Paese mediorientale a
conclusione dell’Angelus dedicato alla Giornata missionaria mondiale, che oggi
celebra l’80.ma edizione sul tema della carità come
“anima della missione”. Il Papa ha ribadito che la missione “parte dal cuore” e
che compito di ogni cristiano è quello di recare ad ogni persona la “buona
notizia che Dio è Amore”. Il servizio di Alessandro De Carolis.
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Il cuore del Papa è in ansia per
la “gravissima situazione dell’Iraq”. Nel giorno in cui la Chiesa ricorda i
missionari impegnati sulle frontiere del Vangelo, un lungo appello di Benedetto
XVI chiude la recita dell’Angelus. I circa 30 mila fedeli e turisti raccolti
sotto la finestra del Pontefice ascoltano con attenzione prima il suo augurio
di “serenità e pace” per tutti i musulmani che oggi concludono il Ramadan e
quindi la denuncia di quelle che il Papa definisce “efferate violenze” in Iraq,
“a cui sono esposti - dice - moltissimi innocenti solo
perché sono sciiti, sunniti o cristiani”:
“Percepisco la viva preoccupazione
che attraversa la comunità cristiana e desidero assicurare che sono vicino ad essa, come pure a tutte le vittime, e per tutti chiedo forza
e consolazione. Vi invito, inoltre, ad unirvi alla mia supplica all’Onnipotente
affinché doni la fede e il coraggio necessari ai responsabili religiosi e ai leaders politici,
locali e del mondo intero, per sostenere quel popolo sulla strada della
ricostruzione della Patria, nella ricerca di equilibri condivisi, nel rispetto
reciproco, nella consapevolezza che la molteplicità delle sue componenti è
parte integrante della sua ricchezza”.
La Giornata missionaria mondiale
istituita 80 anni fa da Pio XI, che grande impulso diede alle missioni ad gentes, fa
riflettere – aveva osservato in precedenza Benedetto XVI – sulla “gioia” e sul
“coraggio” che devono accompagnare la responsabilità di ogni battezzato nel
diffondere il Vangelo. Perché in questo e non in altro sta il senso cristiano
dell’annuncio:
“In effetti, la missione, se non è animata dall’amore, si riduce ad
attività filantropica e sociale. Per i cristiani, invece, valgono le parole
dell’apostolo Paolo: “L’amore del Cristo ci spinge”. (…)
Ogni battezzato, come tralcio unito alla vite, può così cooperare alla missione
di Gesù, che si riassume in questo: recare ad ogni persona la buona notizia che
“Dio è amore” e, proprio per questo, vuole salvare il mondo.
La missione, ha proseguito
Benedetto XVI “parte dal cuore”. Proprio 800 anni fa questo assunto si tradusse
in un esempio indimenticabile nella figura del giovane Francesco d’Assisi. Il
futuro Santo, ha ricordato il Papa, sentì il Crocifisso della chiesetta
diroccata di S. Damiano esortarlo a riparare la sua casa “in rovina”. Quella
casa da riparare, ha spiegato il Pontefice, era prima di
tutto la stessa vita di Francesco e poi quella della Chiesa. Poiché, ha
aggiunto Benedetto XVI, “la missione parte sempre da un cuore trasformato
dall’amore di Dio” ed è realizzabile in qualsiasi luogo o circostanza della
vita:
“La missione è dunque un cantiere nel quale c’è posto per
tutti: per chi si impegna a realizzare nella propria famiglia il Regno di Dio;
per chi vive con spirito cristiano il lavoro professionale; per chi si consacra
totalmente al Signore; per chi segue Gesù Buon Pastore nel ministero ordinato
al Popolo di Dio; per chi, in modo specifico, parte per annunciare Cristo a
quanti ancora non lo conoscono”.
Nei saluti in sei lingue, al
termine della preghiera mariana, Benedetto XVI ha rivolto un pensiero
particolare, tra gli altri, ai fedeli peruviani della Confraternita del Signore
dei Miracoli, in pellegrinaggio a S. Pietro, e ai membri della Fondazione
“Giovanni Paolo II”, a Roma nel 25.mo della loro
fondazione.
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IN
SPAGNA E IN GERMANIA, LE BEATIFICAZIONI
DI
MARGARITA MARÍA LÓPEZ DE MATURANA, FONDATRICE
DELLE SUORE MERCEDARIE MISSIONARIE DI BÉRRIZ,
E DI PAUL JOSEF NARDINI, FONDATORE DELLE SUORE FRANCESCANE DELLA SACRA FAMIGLIA
-
Interviste con suor Amelia Kawaji e Andrea Ambrosi -
Da oggi
**********
Due
testimoni della fede uniti dal coraggio di percorrere strade nuove, affidandosi
pienamente alla guida e all’amore misericordioso del Padre. Suor Margarita María López de Maturana, al secolo Pilar López,
nacque a Bilbao nel 1884. Donna intelligente, aperta, riflessiva e ricca di
umanità, a 19 anni entrò nel convento di clausura dell’Ordine delle Mercedarie
di Bérriz dove coniugò la profonda spiritualità
contemplativa, incentrata sul mistero di Cristo Redentore, all’esigenza di
abbracciare in modo nuovo il carisma attivo Mercedario.
Come docente, trasmise le sue idee riformatrici e l’anelito missionario prima
alle giovani educande e poi a tutta la comunità. Ottenuto allora l’appoggio dei
Papi Benedetto XV, nella lettera apostolica Maximum Illud, e, più tardi, di Pio XI, nell’Enciclica Rerum Ecclesiae,
nel 1926, dopo quattro secoli di clausura, il Convento delle Mercedarie di Bérriz si trasformò in Istituto missionario, per poi
compiere, in sette anni, otto spedizioni: prime tra tutte in Cina, Giappone,
Isole Marianne e Caroline.
Suor Margarita María López
de Maturana morì a San Sebastián
nel 1934, dopo una grave malattia. Ma quale insegnamento lascia all’uomo di
oggi? Giovanni Peduto lo ha chiesto alla superiora dell’Istituto, suor Amelia Kawaji:
R. - Margherita Maria, palpitante
di amore per Gesù Cristo Redentore, desiderava farlo conoscere a tutti,
affinché, in nome della sua suprema divinità, tutti raggiungessero una profonda
pace interiore e divenissero consapevoli di essere da Lui amati come figli e
figlie. Ideale di massima importanza è questo, tanto da divenire il quarto voto
missionario, che si fonda sul compiere qualsiasi sacrificio, anche quello della
propria vita. Nel commemorare il suo carisma è doveroso ricordare il suo
messaggio di massima importanza, perché è l’invito che ha lasciato alle
consorelle missionarie: non dimenticate che il mondo di oggi è espressione
vivente di Gesù, della sua bontà e della sua misericordia, di quel mondo dove
l’umanità si deve realizzare nella sua pienezza, per poter sentire in Lui la
presenza della Divinità.
D. -
Profonda è la riconoscenza di suor Amelia Kawaji per
l’opera della fondatrice:
R. - Nel 1934, due giorni prima di
compiere 50 anni, dopo un delicato intervento chirurgico, Margherita ci
promise: “Vi aiuterò dal cielo”. Ancora oggi
Guardando all’altro Beato della
giornata, Paul Josef Nardini nacque nel 1822 a Germersheim
da Margherita Lichtenbergher e da padre ignoto.
Cresciuto con amore dagli zii paterni, di origine italiana, divenne vice
parroco a Frankenthal, prefetto del convitto
vescovile di Spira e reggente della parrocchia di Geinsheim.
Il sacerdote non dimenticò mai la madre
naturale, tanto da prenderla con sé a vivere nella casa parrocchiale di Pirmasens, dove divenne parroco nel 1851 rimanendovi fino
alla morte, avvenuta nel 1862 a seguito di una polmonite indotta dal tifo. Per
sollevare dalla miseria i bambini orfani e abbandonati e per prendersi cura
degli ammalati e degli anziani, nel 1855 diede vita alla Congregazione delle
Suore francescane della Sacra Famiglia. Fino alla fine si dedicò alla
predicazione della fede, per accrescere la stima dei cattolici nella regione.
Per un ritratto della figura di Paul Josef Nardini, ascoltiamo, al
microfono di Giovanni Peduto, il postulatore della Causa di Beatificazione,
l’avvocato Andrea Ambrosi:
R. - La
caratteristica di Nardini, che lo distinse tutta la
vita, fu l’alta concezione che aveva del ministero sacerdotale: questa era il
nucleo di una fede ardente e granitica, che lo spronava ogni giorno, ogni
istante, a donarsi senza riserve a Dio ed alla sua maggior gloria. Conseguenza naturale di questa fede viva e di questo sacerdozio
convinto furono: il grande amore verso i bambini; la cura paterna dei poveri e
degli ammalati; l’amore alla Chiesa e alla Madonna; la fedeltà al confessionale;
la dedizione alla direzione spirituale delle sue Figlie.
Un’importante
eredità, dunque, quella lasciata da Paul Josef Nardini. Ancora Andrea Ambrosi:
R. - E’
quella di riuscire a stabilire con il Signore un profondo rapporto “sponsale”,
di amore fedele e profondo, che si realizza attraverso la carità verso i
bisognosi e attraverso l’esercizio costante delle virtù, che favoriscono il
distacco dalle cose materiali, dalle persone e, soprattutto, da sé stessi. In
altre parole, la somma aspirazione di Nardini di
fronte alla quale le altre esigenze hanno scarso rilievo, quando addirittura
non scompaiono, è stata l’unione con Dio. Il suo messaggio è quindi quello di
riscoprire la fede, la speranza e la carità, in vista del premio celeste.
Inoltre, Nardini può essere additato quale
straordinario esempio di umiltà e povertà, virtù che oggi sembrano sempre più
rarefarsi, combattute come sono dal più sfrenato materialismo ed edonismo.
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22 ottobre 2006
“GLOBALIZZAZIONE E POVERTA’”: UNA SFIDA
PER
DEI PIU’
POVERI MA ANCHE PER RIDARE GIOIA DI VIVERE AI PIU’
RICCHI
- Intervista con l’arcivescovo Silvano Tomasi -
“Globalizzazione e povertà” è stato il tema, giovedì scorso,
della V Conferenza dedicata dalla Pontificia Università Urbaniana
all’Enciclica Centesimus Annus di
Giovanni Paolo II. La parola “globalizzazione” evoca speranze andate perdute
per i Paesi poveri del pianeta, che finora sono rimasti tali e anzi, a volte,
hanno visto crescere il divario con il mondo industrializzato, sempre più
opulento. Quali sono stati gli errori di valutazione o di applicazione di
questo fenomeno che sfida l’umanità del terzo millennio? Roberta Gisotti ne ha
parlato con l’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore
permanente della Santa Sede presso l’ONU di Ginevra, che ha partecipato
all’incontro:
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R. – E’ la ripartizione delle
ricchezze create dal mercato libero che manca. Dobbiamo mettere delle regole e
dobbiamo introdurre degli accordi multilaterali che coinvolgano
tutti i Paesi del mondo e non soltanto i grossi Paesi che hanno un peso politico maggiore e quindi
possono, in un certo modo, piegare le regole al loro servizio. La globalizzazione
– diceva già Giovanni Paolo II – non è in se stessa né un bene né un male, ma è
come noi la gestiamo. Quindi dobbiamo introdurre questa capacità di gestire il
fenomeno globalizzazione in modo che possa essere di beneficio a tutti. La
chiave è in questa presa di posizione. Al momento attuale, abbiamo dei
problemi: l’Organizzazione mondiale del commercio rimane un po’ paralizzata,
perché Stati Uniti da una parte ed Unione Europea dall’altra non si sono messi
d’accordo sui sussidi per l’agricoltura, che rappresentano invece un punto
centrale sul quale combatte il mondo in via sviluppo. Questo perché miliardi di
persone sopravvivono soltanto di agricoltura e se non possono competere sul
mercato internazionale con i loro prodotti agricoli è chiaro che non fanno
strada.
D. – Eccellenza, chi sono oggi i
più poveri in un mondo globalizzato? Forse in senso materiale i popoli
africani, ma con una provocazione vorrei chiederle se non lo sono
anche i popoli occidentali, poveri nello spirito: se siamo arrivati al punto
che i livelli di ricchezza e la tecnologia a volte quasi ci ingombrano o se –
dobbiamo dirlo – si alimentano perfino guerre, anche alla luce del sole, per
far girare l’economia mondiale…
R. – Non dobbiamo anzitutto
dimenticare quelli che sono materialmente poveri: c’è un miliardo di persone
che vive con meno di un dollaro al giorno. C’è,
quindi, questa dimensione immediata di una povertà estrema che deve essere
combattuta dalle istituzioni internazionali e che
D. – Ma la paura del futuro,
perché?
R. – Mettere al mondo dei figli,
godersi la vita, vedere la gioia e la continuità della vita stessa con i
talenti e la creatività che questa comporta. Quindi, dobbiamo imparare ad essere contenti, a renderci più autonomi dai
condizionamenti del consumismo o dalle esigenze della tecnologia e magari, con
uno stile di vita più semplice, riusciremo a trovare una dimensione non solo
spirituale, ma una dimensione anche umana, di serenità e di gioia. Questo poi
torna a beneficio dei Paesi più poveri, perché aiuta anche loro ad entrare nel
giro del mercato mondiale.
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IERI
ED OGGI, IN ITALIA,
LA
GIORNATA PER L’INFORMAZIONE SULLA DONAZIONE DEGLI ORGANI.
NOVEMILA,
NEL PAESE, LE PERSONE IN ATTESA DI TRAPIANTO
-
Intervista con Vincenzo Passarelli -
In Italia, l’odierna domenica è
stata scelta dall’AIDO, l’Associazione Italiana per la Donazione di Organi, per
celebrare la quinta Giornata nazionale dedicata a questo tema. In oltre mille
piazze del Paese, i volontari incontrano i cittadini per dare loro informazioni
sulle problematiche relative alla donazione e al trapianto di organi, tessuti e
cellule. Ma qual è la situazione attuale in Italia? Antonella
Villani lo ha chiesto a Vincenzo Passarelli, presidente dell’AIDO:
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R. – Negli ultimi cinque, anni
l’Italia ha sviluppato un sistema che ha permesso, dal penultimo posto, di
raggiungere il secondo posto in Europa, dopo
D. – Tra l’altro, c’è una forte
disparità tra nord e sud del Paese…
R. – Esatto. Abbiamo un 34,8
donatori per milione di popolazione, in Toscana, e sei donatori per milione di
popolazione in Sicilia. Questi dati devono far riflettere soprattutto il mondo
politico e amministrativo, perchè questo modello efficace, che è stato
costruito grazie al grosso lavoro di rete, che è riuscito a fare il Centro
nazionale trapianti, ha portato a quei risultati. Purtroppo le regioni del
centro-sud non si sono attivate.
D. – Cosa bisogna fare qualora si
desiderasse dare il consenso alla donazione?
R. – Il silenzio-assenso informato
ancora non è operativo, in quanto nessun cittadino ha ricevuto una notifica. La
legge, però, prevede che il cittadino abbia la possibilità di dare il consenso
o il dissenso alla donazione, attraverso alcune operazioni: andare presso uno
sportello dell’ASL, oppure sottoscrivere il tesserino che nel 2000 fu mandato a parecchi cittadini italiani - si raccomanda
sempre di portarlo con sé nel portafoglio – annotare su un foglio di carta il
proprio nome e cognome, datarlo e firmarlo, con la dichiarazione se favorevole
o contrario alla donazione – anche questo portarlo sempre con sé. Per la
volontà positiva basta, poi, il tesserino della nostra Associazione.
Naturalmente, noi raccomandiamo sempre a tutti i cittadini di parlarne in
famiglia e di dire se è stata fatta questa scelta.
D. – Molti temono l’idea della
donazione, perché hanno paura che la morte non sia stata accertata
correttamente…
R. – Questo, è vero, è stato uno
dei grossi problemi. Io ricordo la presa di posizione nel 1985 della Pontificia
Accademia delle Scienze, che identificava la morte con l’assenza di attività
cerebrale. Dopo dieci anni, lo Stato italiano ha varato una legge che
identifica la morte cerebrale con il silenzio elettrico cerebrale.
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LA
PIAGA DELL’ABBANDONO DEI NEONATI: UN FENOMENO DIFFUSO IN ITALIA,
NONOSTATE
LA LEGGE TUTELI L’ANONIMATO DELLE MAMME.
PER CONTRASTARE
LA CULTURA DELLA MORTE,
SORTE
IN DIVERSE CITTA’ LE “CULLE PER LA VITA”
-
Intervista con Carlo Casini -
In Italia, la piaga dell'abbandono
dei neonati è un fenomeno ancora molto diffuso, dalle proporzioni ben maggiori
di quelle che arrivano all'attenzione dell'opinione pubblica. Spesso, infatti,
le donne, specialmente le immigrate clandestine, non sono a conoscenza delle
norme che tutelano l’anonimato di chi intende non riconoscere il proprio
bambino. Per promuovere il diritto alla vita del neonato e difendere
l’anonimato delle madri in difficoltà, il Movimento per la vita ha istituito
alcune “culle per la vita” in diverse città Italiane. Si tratta della versione
moderna e tecnologica dell'antica “ruota degli esposti”, al cui interno venivano lasciati i neonati che i genitori non volevano o
potevano tenere. Ma ascoltiamo, al microfono di Marco Guerra, il presidente del
Movimento per la vita, Carlo Casini:
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R. - Basta aprire i giornali - non
dico ogni giorno, ma ogni settimana - e abbiamo
notizia di bambini abbandonati nei cassonetti dell’immondizia o davanti alle
chiese. Noi abbiamo un elenco di tutti questi fatti e sono veramente molti. Il
fenomeno è vasto, è raccapricciante e certamente l’istituzione di quelle che
noi chiamiamo “culle della vita” dovrebbe essere un sistema per cercare di
ridurre l’infanti-cidio, in modo che le donne che partoriscono, e non vogliono
far sapere a nessuno di questa loro gravidanza, possano lasciare il bimbo in
mani sicure.
D. – La moderna “ruota degli innocenti”
vuole essere dunque un messaggio che scuote le sensibilità o uno strumento
concreto rivolto alle donne che temono per il proprio anonimato?
R. – Non è che la presenza in una
città di una “ruota” moderna, di una “culla per la vita”, salverà direttamente
e in modo concreto molti bambini ma è comunque un monumento, una memoria, un
ricordo, un fatto culturale, un evento. Quindi diciamo che il nostro progetto
di “culla per la vita” è anche un messaggio culturale importante che viene dato alla città. Per questo noi vorremmo che fossero
istituiti anche dallo Stato e non soltanto da noi.
D. – I mass media hanno rimosso
dalle nostre coscienze questa drammatica realtà. Non crede che si debba fare di
più dal punto di vista della comunicazione per far conoscere gli strumenti che
tutelano le donne in difficoltà?
R. – Queste nostre “culle per la
vita” non sono fatte soltanto per evitare l’infanticidio ma anche per evitare
l’aborto, allora la “culla per la vita” vorrebbe anche ricordare che se tu
proprio non ce la fai ad essere madre, sappi che ci
sono mani di altre persone - in generale di tutta la città in cui vivi – in
grado di accogliere questo bambino: ti si chiede solo il sacrificio di portarlo
avanti ancora in grembo per 6, 7 mesi, poi qualcuno lo accoglierà. Questo è un
po’ il senso di una cultura dell’adozione che dovrebbe essere incrementata
anche grazie alle “culle per la vita”. Purtroppo, proprio per questo
collegamento con l’aborto, si tende ad oscurare e a non parlare di ciò.
D . – A diversi anni della prima
riapertura, si può fare un bilancio delle attività delle “culle” realizzate?
R. – Diciamo che di bambini
lasciati nelle “culle per la vita” non ce n’è stato nessuno. Ci sono stati però degli episodi che dimostrano l’influenza nel
progetto di salvare vite umane che hanno avuto le “culle per la vita”. Ad
esempio l’anno scorso a Firenze, proprio pochi giorni dopo l’inaugurazione
della Giornata della vita, una ragazza che era passata davanti a questa
struttura, una ragazza che aveva intenzione di abortire, ha suonato il
campanello del Movimento per la vita che sta di fronte e ha detto: “Sono
incinta, che cosa devo fare?”. Ecco, qui è un caso in cui una vita è stata
slavata probabilmente per effetto del semplice messaggio culturale dato dalla
“culla per la vita”.
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I
PROTAGONISTI DEL ROMANZO DI SUSANNA TAMARO “VA DOVE TI PORTA IL CUORE”
AL
CENTRO DEL NUOVO LIBRO DELL’AUTRICE “ASCOLTA LA MIA VOCE”:
ITINERARIO
UMANO E SPIRITUALE SEGNATO DA DOLORE E PERDONO
- Intervista
con la scrittrice -
A 12 anni di distanza, tornano i
personaggi di “Va dove ti porta il cuore”, il fortunato romanzo di Susanna
Tamaro. “Ascolta la mia voce”, questo il titolo del nuovo libro, uscito per Rizzoli Editore, chiude così il cerchio di una storia in
cui si intrecciano i rapporti conflittuali tra una giovane, i genitori mai
conosciuti e la nonna che le ha fatto da madre e che al termine della vita le
indirizza una lettera. Al centro, il viaggio interiore della nipote che, fatti
i conti con il passato, si prepara ad affrontare una nuova stagione della
propria vita. Ma come mai questo seguito di “Va dove ti porta il cuore”:
un’esigenza dei lettori o della scrittrice? Adriana Masotti la
chiesto alla stessa Susanna Tamaro:
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R. – E’ stato un po’ entrambe le
cose. I lettori infatti mi dicevano: “La lettera
arriva a destinazione o non arriva a destinazione, come continua?”. Prima l’ho
lasciato passare, poi lentamente questo tarlo ha cominciato a rodere dentro di
me ed ho capito che, anche io, avevo l’esigenza di capire cosa succedeva di
questo rapporto e, con gli anni, ho deciso quindi di continuare la storia.
D. – “Ascolta la mia voce” si
potrebbe forse dire che è fatto in gran parte di domande. Viene
molto evidenziato come il farsi domande sia costitutivo dell’uomo, che
riconosce che la sua esistenza non è solo determinata dalla scienza e dalla
tecnica…
R. – Sì, perché credo che viviamo
in tempi in cui l’uomo viene ormai presentato come un
qualcosa di estremamente povero: onnipotente da un lato, ma svuotato dall’altro
dalla sua essenza più profonda. Viviamo in un mondo che ci propone soltanto
risposte certe, apparentemente. Risposte certe dentro le quali bisogna
infilarsi e vivere ciecamente. Io, però, penso esattamente il contrario. Io
penso, infatti, che l’uomo è nato per interrogarsi,
che interrogarsi è il senso di tutta l’esistenza ed anche la fede stessa è un
continuo interrogarsi, naturalmente.
D. – Interrogarsi sul passato,
anche sul senso da dare alla vita, questo passato che è molto forte nel libro:
gli alberi, le radici…
R. – Non a caso il libro si apre
con un albero sradicato. Io credo che gli ultimi secoli della nostra storia
abbiano portato ad un gravissimo sradicamento dell’uomo e della sua natura più
profonda, che è la natura di un essere che è nella terra, ma che con la testa
va verso il cielo. Negare questo rapporto col mistero, che è racchiuso nella
vita, vuol dire mandare l’uomo e di conseguenza la società alla deriva. E’
abbastanza importante, dunque, ricominciare a parlare di radici e di crescita
verso l’alto. Proprio come gli alberi.
D. – Il tema del dolore è molto
presente in questo romanzo, come del resto negli altri libri di Susanna Tamaro.
Ma cosa si impara dal dolore?
R. – Il dolore è, in qualche modo,
il detonatore delle vite interiori. E’ però vero che il dolore, nel momento in
cui lo accettiamo e nel momento in cui ci interroghiamo sul suo senso, è la
grande energia che ci permette di crescere.
D. - “Va dove ti porta il cuore”
era stato interpretato da alcuni come un trionfo delle emozioni. La giovane
protagonista di “Ascolta la mia voce” compie un itinerario umano e spirituale
che la porterà anche ad essere capace di perdonare…
R. – Anche in “Va dove ti porta il
cuore” c’è una fortissima ricerca spirituale. L’ultima pagina è un invito ad
aprire il cuore allo Spirito Santo, non è certo un invito a vivere alla
giornata, secondo impulsi quasi incontrollabili.
Questo andare alla ricerca del tocco della grazia dentro di noi è proseguito
dalla nonna nella nipote e in tutta la sua strada si capisce che è una ricerca
ed una attesa della grazia.
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IL
PREMIO DI POESIA “CIRCE SABAUDIA” RICORDA IL FONDATORE MARIO
LUZI
ISPIRATORE
DELLE NUOVE VOCI LIRICHE CONTEMPORANEE
-
Intervista con Rodolfo Carelli -
E’ Giovanni Occhipinti
con la raccolta “Dialogo con le comete”, il poeta prescelto dalla Giuria
Popolare del Premio Circe Sabaudia, giunto venerdì
scorso alla XXVI edizione. Nella sezione internazionale insignito anche il
greco Nasos Vaghenàs, con
il titolo di “Poeta del Mediterraneo” mentre il noto scrittore Alberto Bevilacqua ha ricevuto il “Premio Mario Luzi
- Una vita per la Poesia”. Proprio a Luzi, che tenne a battesimo il Premio presiedendone la Giuria fino
alla scomparsa, nel febbraio 2005, è andato il ricordo del presidente del
Premio, Rodolfo Carelli, anch’egli scrittore e
fraterno amico del grande poeta, che nel 2003 redasse per Giovanni Paolo II il
testo della Via Crucis del Venerdì Santo. Ne abbiamo raccolto la testimonianza:
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R. – Quando gli feci i complementi
perché aveva scritto il commento alla Via Crucis, Mario mi rispose dicendomi:
“Non sono all’altezza, non mi sento degno di una cosa così alta. Solo quando mi
hanno detto che era espressamente volontà del Santo Padre, mi sono deciso e ho
cercato di fare il meglio possibile. Ma su questo tema – aggiunse - non c’è
possibilità di non sentirsi estremamente poveri”.
D. – Secondo lei, oggi ci sono
voci poetiche che portino avanti un discorso di
spiritualità, di introspezione, di ricerca di Dio?
R. – C’è una radice profonda di
ricerca, senza molte di quelle prevenzioni del
passato. Non sono mai ammesse a parole, ma nella poesia si scava il senso di
assenza della vita contemporanea. Si ha, quindi, la sensazione che i poeti, e
le anime dei poeti, cerchino qualcosa di più profondo. Arrivo a dire che
perfino quando c’è la provocazione, in primo luogo è contro se
stessi, contro i luoghi comuni e contro un consumismo imperante che non
risparmia nemmeno il prodotto del pensiero e della creazione.
D. – Qual è l’insegnamento di
Mario Luzi, la sua eredità?
R. – Quello che ha lasciato un
segno in me è un approccio verso la fede, quelle che io chiamo “teologali
distanze”, per cui
Mario è un uomo che conduce la ricerca della verità, ma partendo dall’uomo, con
i suoi limiti, volendo portare tutta la sua immanenza, fino a redimerla nella
trascendenza.
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22 ottobre 2006
Con una Messa presieduta dal cardINALE Crescenzio Sepe,
inviato papale,
e un mandato missionario per
le comunità dell’Asia
si è concluso a Chiang Mai, in THailandia il primo
Congresso missionario asiatico
- A cura di Bernardo
Cervellera -
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CHIANG MAI. = In un mondo segnato
da conflitti etnici e religiosi, l’evangelizza-zione è la strada per costruire
la convivenza in Asia. Nella Giornata missionaria mondiale e a conclusione del
Congresso, il messaggio finale spinge i cattolici a comunicare con coraggio e
rispetto la propria fede nel dialogo con popoli, religioni e culture del
continente. Centinaia di famiglie delle tribù nel nord Thailandia – Karen, Lahu, Hmong
Akha - con i loro pittoreschi costumi hanno voluto
essere presenti alla Messa conclusiva, insieme a delegati, vescovi e cardinali.
Nel nord della Thailandia è in atto una forte corrente
di conversioni, tanto che la diocesi di Chiang Mai è
costretta ogni mese ad aprire almeno una chiesa. Questo segno di
evangelizzazione fruttuosa è stato uno sprone a vivere la giornata conclusiva
come un invito e un dovere ad andare e dire a tutti che Gesù è il Signore. Il
messaggio ricorda i discepoli di Emmaus e gli
Apostoli che, dopo aver incontrato il Risorto, si sono subito messi in cammino
per l’Annuncio. Il cardinale Crescenzio Sepe ha ricordato nell’omelia che una
delle strade più fruttuose della missione è il martirio, che segna il passato e
il presente delle Chiese in Asia. Egli ha anche sottolineato che la missione
deve essere animata dalla carità e cioè da un gesto dell’amore di Dio, per non
ridursi a filantropismo o attivismo sociale. Alla fine vi è stata la lettura
del telegramma inviato al Papa e nel grande entusiasmo generale ogni
rappresentante nazionale ha ricevuto il mandato missionario e una croce in legno, su le cui braccia si intersecano le parole “Gesù –
Asia”.
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L’Islam non fa paura, ma deve restare nella cornice
Così il cardinale Camillo Ruini a proposito del
“risveglio dell'Islam”,
citato nella sua relazione conclusiva al convegno di
Verona
ROMA. = Il cardinale Camillo Ruini, intervistato da RAIUNO, è tornato sulla sua
relazione conclusiva al Convegno di Verona. Parlando del rapporto con l’Islam,
il porporato ha ribadito che per i cattolici deve essere affrontato attraverso
il rispetto e il dialogo. Alla domanda se l'Islam faccia
paura, il presidente della CEI ha risposto: “l’Islam non fa paura, naturalmente
deve stare dentro la cornice delle leggi di tutti”. Il cardinale Ruini ha anche chiarito il suo pensiero sul tema dell’unità
politica dei cattolici nella difesa dei valori irrinunciabili. I titoli dei
giornali più che i contenuti degli articoli, “hanno portato ad uno strano
equivoco”, ha rilevato. Il capo dei vescovi italiani ha
infatti precisato di non aver detto che “l'obiettivo di questa unità è
stato mancato”, ma di aver indicato la necessità di trovare dei “luoghi” per un
discernimento su questi valori, sia all'interno della Chiesa, nella “formazione
delle coscienze”, che nell’azione pratica, sede anche per “convergenze” con chi
condivide tali valori. All’indomani del richiamo del capo dello Stato, Giorgio
Napolitano, sulla laicità dello Stato, il presidente della CEI ha detto che
“una laicità sana e positiva è quella che tiene conto dell'autonomia delle
realtà terrene. E dunque dell’indipendenza dello Stato dall’autorità
ecclesiastica, ma non significa prescindere dai valori inseriti nella natura
dell'uomo e da quel bisogno di Dio che è inserito nel cuore umano”. (E. B.)
La difesa
della vita e
in primo
piano durante l11.MA riunione del Consiglio Speciale
per l'America
della
Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi
CITTA’ DEL VATICANO. = La
pastorale vocazionale e la promozione della vita umana dal momento del
concepimento fino alla morte naturale. Questi gli argomenti centrali dell’11.ma riunione del Consiglio speciale per l’America del
Sinodo dei vescovi, svoltasi recentemente a Roma. Sotto la guida di mons. Nikola Eterović, segretario
generale del Sinodo dei vescovi, c’erano numerosi presuli americani. Hanno
partecipato all’incontro anche il cardinale Darío Castrillón Hoyos, prefetto della
Congregazione per il Clero, e il cardinale William Joseph
Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina
della fede. La riunione ha analizzato situazione ecclesiale, politica e sociale
del continente americano, sottolineando le sfide per i cristiani. Così,
l’incremento di divorzi, aborti, infanticidi e contraccettivi richiede un
parallelo incremento di appropriate iniziative pastorali per le famiglie, per
ribadire la sacralità della relazione coniugale. L’esortazione intitolata
“Cultura della morte e società dominata dai potenti” ha rilevato la
vulnerabilità delle fasce più deboli e povere della società: bambini non nati,
vittime indifese dell’aborto; anziani e malati incurabili, talora oggetto di
eutanasia; tanti
altri esseri umani messi ai margini dal consumismo e dal materialismo. Si è
fatto cenno inoltre alla pena di morte, tema attuale in alcuni Paesi americani.
Anche a fronte dei tentativi di introdurre e incrementare l’aborto, la difesa
della vita è una vera e propria priorità anche perché – affermano i presuli –
in molti contesti mancano leggi precise circa la sperimentazione genetica. In
questo quadro, non mancano segnali positivi che derivano soprattutto
dall’aumento delle vocazioni. In particolare, dal 1978 al 2004 il numero di
sacerdoti è aumentato del 17,66%, passando da
Riprendono gli sbarchi di IMMIGRATI sulle coste
italiane:
CENTINAIA DI africani partiti dalla libia
sono arrivati all’alba sull’isola
di Lampedusa
PALERMO.
= Oltre 400 migranti sono sbarcati oggi a Lampedusa dopo essere stati
intercettati da una motovedetta della Guardia costiera italiana a
Al via in pakistan il primo settimanale
cattolico in lingua urdu.
si chiamerà Agahi,
che significa “conoscenza”
KARACHI. = Dopo settimane di
proposte e consultazioni, è stato scelto il nome per il nuovo settimanale della
diocesi cattolica di Karachi: si chiamerà Agahi, che vuol dire
“conoscenza”. Si tratta del primo giornale urdu, la
lingua nazionale, non solo della diocesi ma di tutto il Paese. Il suo creatore,
padre Arthur Charles, si
dice “pienamente convinto” della scelta del titolo per il nuovo mezzo di
informazione, che ha lo scopo di “informare, far conoscere ed approfondire”. Il
primo numero, afferma AsiaNews, dovrebbe essere pronto fra due settimane: il
giornale sarà composto da 8 pagine, con altre 2 o 4
per la pubblicità. Al momento, l’arcidiocesi di Karachi ha un solo settimanale,
pubblicato in inglese, The Christian Voice. Il nuovo
settimanale – spiega lo stesso padre Charles – ne “seguirà il modello”: avrà notizie ufficiali
sull’arcidiocesi e
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22 ottobre 2006
Nel giorno in cui il Papa ha
lanciato all’Angelus un nuovo appello per l’Iraq, nel Paese arabo le violenze hanno
continuato a colpire civili innocenti. Gli ultimi drammatici casi sono quelli
di una donna, accusata di adulterio e lapidata in pubblico, e di due civili
rimasti uccisi per un attentato compiuto in un mercato di Baghdad. Il nostro
servizio:
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In un Paese dove gli scontri e gli
attentati sono quotidiani, un nuovo drammatico episodio diventa lo specchio di
un profondo malessere: una giovane donna irachena di 22 anni, accusata di
adulterio, è stata condannata a morte da sostenitori di Al
Qaeda e poi lapidata in pubblico. La feroce mano di Al
Qaeda si muove anche in attività di propaganda che puntano a condizionare
l’ambito culturale e il sistema educativo iracheno: i seguaci della rete
terroristica hanno distribuito, infatti, volantini nei pressi di moschee
intimando alle ragazze dai 14 anni in su di non frequentare le scuole. Nei
volantini, si minaccia anche di morte chiunque promuova un sistema misto di
istruzione. Alle minacce si aggiunge, poi, l’ormai quotidiano dramma degli
attentati: una bomba, nascosta sotto un’auto, è esplosa stamani in un mercato
di Baghdad uccidendo almeno due civili. Un gruppo sunnita ha rivendicato
inoltre l’attacco di ieri sera contro un altro mercato, a sud della capitale,
costato la vita a 18 persone. La situazione è dunque sempre più difficile e
l’amministrazione americana continua a cercare possibili soluzioni. Nel corso
di una riunione con il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, e i vertici
militari, il presidente statunitense, George Bush, ha
detto ieri che la vittoria resta l’obiettivo prioritario. Ma cambierà, ha
aggiunto, la strategia degli Stati Uniti per raggiungere questo scopo. “Questo
non vuol dire – ha chiarito Bush - che ritireremo le
truppe prima di aver completato la missione”. Una missione delicata non solo
per le azioni di ribelli e di militanti di Al Qaeda,
ma anche per i continui scontri interetnici. La speranza è che il cosiddetto
“patto della Mecca”, l’accordo sottoscritto ieri da 29 leader sciiti e sunniti
per chiedere a tutti gli iracheni di unire i loro sforzi per la pace, promuova
un’autentica riconciliazione in Iraq.
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Per la prima volta, il governo di
Israele ha ammesso di aver usato armi al fosforo nella guerra contro gli
Hezbollah in Libano. E’ quanto riferisce il quotidiano israeliano Haaretz, citando il ministro dello Stato ebraico, Yakov Edri. Nel sud del Libano ci
sono poi ancora numerose bombe a grappolo inesplose, che mediamente uccidono o
feriscono, secondo stime dell’ONU, quattro civili al
giorno. Ma dopo il conflitto nel Paese dei cedri quali reali e concrete
proposte ci sono oggi per il Medio Oriente? Risponde il direttore del Centro
italiano per la pace in Medio Oriente, Janiki
Cingoli, al microfono di Antonella Palermo:
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R. - La realtà è che in questo
momento non ci sono proposte per il Medio Oriente perché la Road Map, che
è la proposta tradizionale della comunità internazionale del quartetto, non è
praticabile. Nessuno può pensare, dopo la guerra in Libano, di rilanciare un
processo per tappe che duri tre anni. L’approccio di ritirata unilaterale dalla
Cisgiordania. che aveva lanciato prima Sharon e sul
quale Olmert aveva vinto le elezioni, è caduto dopo
la guerra in Libano. E’ entrato in crisi l’approccio unilaterale ai conflitti.
In secondo luogo, Israele ha sperimentato, sia a Gaza sia in Libano, che la
ritirata unilaterale non garantisce la sicurezza e la pace. Quindi, la realtà è
che questi approcci tradizionali non bastano più. Cosa vuol dire questo? E’ probabile che le idee rilanciate oggi per
un governo di unità palestinese, basate sul cosiddetto “documento dei
prigionieri”, possono essere un approccio nuovo alla ripresa del processo di
pace.
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Sale la tensione nei Territori
palestinesi: nuovi scontri tra esponenti di Hamas e di Fatah
sono avvenuti a Gaza, dove le Forze di sicurezza hanno bloccato le strade
principali in segno di protesta per il mancato versamento dei salari da parte
del governo guidato da Hamas. Un attivista di Fatah è
morto durante le proteste. I dipendenti della sicurezza hanno anche circondato
e isolato, ieri, la casa del presidente palestinese, Abu
Mazen.
La Corea del Nord effettuerà un
secondo test nucleare solo se sarà provocata dagli Stati Uniti. Lo ha detto il
leader nordcoreano, Kim Yong Il, in un recente incontro
con un inviato cinese. Il governo di Pyongyang –
precisa poi un’agenzia di stampa sudcoreana -
potrebbe ritornare al tavolo del negoziato a sei in un futuro prossimo, a
condizione che gli Stati Uniti si impegnino a revocare
le sanzioni economiche. Fonti di stampa giapponesi hanno confermato, inoltre,
che Kim Yong Il è
intenzionato ad “onorare l’accordo firmato nel 1992 per la denuclearizzazione
della penisola coreana”.
L’Iran ha invitato i
rappresentanti dell’Unione Europea a discutere sui motivi che lo spingono a
seguire il programma di arricchimento dell’uranio, anche di fronte alla
minaccia di sanzioni internazionali. “Non comprendiamo per quale motivo
dovremmo sospendere tale attività. Si tratta di un atto legale che deriva dalla
nostra adesione al Trattato di non proliferazione nucleare”, ha detto il
ministro degli Esteri, Mottaki. “Siamo pronti a
iniziare colloqui - ha aggiunto - per spiegare le nostre ragioni”.
Una persona è morta stamani, in
Thailandia, in seguito all’esplosione di una bomba nascosta in un cestino della
spazzatura. Quello di oggi è l’ultimo di una serie di attacchi da parte di
militanti islamici, che a partire dal 2004 hanno provocato almeno 1.700 morti
nel sud del Paese. Il nuovo premier, Surayud Chulanont, ha ribadito di voler trattare con i ribelli per
arrivare ad un accordo di pace. Gli insorti chiedono l’indipendenza di alcuni
distretti meridionali.
Cresce l’angoscia per la sorte di
Gabriele Torsello, il fotoreporter italiano rapito in Afghanistan lo scorso 12
ottobre: scade infatti oggi l’ultimatum imposto dai
rapitori che hanno chiesto, in cambio della sua liberazione, la consegna
dell’afghano convertitosi al cristianesimo, Abdul Rahman, attualmente in Italia, o in alternativa il ritiro
le truppe italiane dall’Afghanistan. Un accorato appello è stato lanciato dalla
madre dell’ostaggio ai sequestratori: “State facendo un grossissimo errore,
Gabriele ama il vostro popolo”.
Condoleezza Rice si
è recata ieri a sorpresa in visita a Mosca, per incontrare il figlio e alcuni
colleghi di Anna Politkovskaya, la giornalista
assassinata lo scorso 7 ottobre. Il segretario di Stato americano ha espresso
le sue condoglianze e la speranza che le circostanze dell’omicidio siano
chiarite. “La sorte dei giornalisti in Russia - ha detto - è fonte di grande
inquietudine”.
Seggi
aperti stamani in Bulgaria, per circa 6,4 milioni di elettori chiamati a
scegliere il nuovo presidente della Repubblica. I sondaggi danno per favorito
il capo di Stato uscente e leader del partito socialista, Georgi
Parvanov. Se si non
riuscisse ad ottenere la maggioranza dei voti in questo primo turno, si andrà
al ballottaggio il prossimo 29 ottobre. La Bulgaria, che dal 2004 fa parte della NATO, entrerà nell’Unione Europea a partire dal
gennaio 2007.
Il rappresentante delle Nazioni
Unite in Sudan, Jan Pronk,
dovrà lasciare il Paese africano entro tre giorni. L’espulsione è stata decisa
dal governo di Khartoum che ha dichiarato Pronk
“persona non grata” per aver scritto nel suo blog
che le truppe sudanesi hanno riportato alcune sconfitte contro i ribelli del Darfur. “Le sue dichiarazioni non sono compatibili con il
suo mandato”, ha detto un portavoce del Ministero degli esteri. Gli scontri
nella martoriata regione occidentale sudanese del Darfur
tra ribelli, soldati e milizie arabe hanno provocato circa 200 mila morti.
In
Uganda è terminato con un sostanziale nulla di fatto l’incontro di ieri, il
primo dall’inizio della guerra, tra il presidente Yoweri
Museveni e i ribelli del sedicente ‘Esercito di
resistenza del signore’. Il capo di Stato ugandese ha infatti espresso in un messaggio, rivolto al Parlamento, la
propria frustrazione per i mancati progressi nei colloqui. In Uganda, dove sono
almeno 25 mila i morti durante 20 anni di guerra, è attualmente in vigore una
tregua tra soldati e ribelli, più volte violata da
entrambi.
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