RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 292 - Testo della trasmissione di giovedì 19 ottobre 2006

 

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa a Verona per il Convegno nazionale della Chiesa italiana: i credenti siano testimoni, miti e forti, dell’amore, della gioia e della verità per restituire alla fede cristiana piena cittadinanza in una societa’ che esclude sempre di piu’ Dio. Con noi mons. Domenico Sigalini e Edo Patriarca  

 

La solidarieta’ per combattere il sottosviluppo: cosi’ il Papa nel messaggio inviato al direttore  generale della FAO, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione

 

Domani la presentazione nella Sala Stampa vaticana del messaggio per la fine del Ramadan: intervista col cardinale Paul Poupard

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

“Che cosa hai fatto di tuo fratello?”: è il titolo del messaggio della Conferenza episcopale di Francia, in vista delle elezioni presidenziali, legislative e municipali della prossima primavera. Ai nostri microfoni mons. Georges Paul Pontier

 

CHIESA E SOCIETA’:

Apertura del primo Congresso missionario asiatico, in corso in Thailandia fino al 22 ottobre

 

In vista della Giornata nazionale dei popoli, il prossimo 12 novembre, i vescovi della Svizzera esortano i fedeli a non avere paura degli immigrati

 

I centri islamici del nordest italiano ringraziano i vescovi del Triveneto e il patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, per gli auguri inviati alla comunità islamica in occasione del Ramadan

 

In Europa sud-orientale e nella Comunità degli Stati Indipendenti, un bambino su quattro è povero: lo denuncia un rapporto dell’UNICEF, presentato ieri a Helsinki, in Finlandia

 

In concorso, alla Festa del cinema di Roma, il film documentario di Davide Ferrario, “La strada di Levi”

 

24 ORE NEL MONDO:

Nuovi attentati con morti in Iraq e Afghanistan

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

19 ottobre 2006

 

 

 

IL PAPA A VERONA PER IL CONVEGNO NAZIONALE DELLA CHIESA ITALIANA:

I CREDENTI SIANO TESTIMONI, MITI E FORTI, DELL’AMORE, DELLA GIOIA E DELLA VERITÀ PER RESTITUIRE ALLA FEDE CRISTIANA PIENA CITTADINANZA

IN UNA SOCIETA’ CHE ESCLUDE SEMPRE DI PIU’ DIO DALLA VITA  PUBBLICA

- Interviste con mons. Domenico Sigalini e Edo Patriarca -

 

Dedichiamo oggi un’ampia parte del nostro Radiogiornale all’importante discorso che il Papa ha tenuto stamane alla Fiera di Verona davanti ai 2.700 delegati riuniti per il IV Convegno nazionale della Chiesa italiana. Benedetto XVI è arrivato a Verona alle 9.45 circa e rientrerà in serata in Vaticano dopo la celebrazione eucaristica nello stadio Bentegodi. La Radio Vaticana trasmetterà la cronaca di questo evento a partire dalle 15.50 sull’onda media di 585 kHz e sulla modulazione di frequenza di 105 MHz.

 

Ma veniamo al discorso di questa mattina: Benedetto XVI ha invitato i cattolici italiani ad “essere veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo”, restituendo piena cittadinanza alla fede cristiana in una società in cui Dio viene sempre più escluso dalla vita pubblica. Il Papa ha esortato a offrire le ragioni della fede con dolcezza e rispetto, con quella forza mite che viene dall’unione con Cristo. Ma ascoltiamo il servizio del nostro inviato Massimiliano Menichetti.

 

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L’affetto di Verona, gli applausi, il calore delle note dei canti hanno accolto il Papa che questa mattina è arrivato nella città scaligera per salutare i lavori del 4° Convegno ecclesiale nazionale. Nel suo discorso in Fiera davanti a 2700 delegati chiamati a fare il punto sul cammino della Chiesa italiana, il Papa rintracciando le redici del Convegno nel Concilio Vaticano II, ha ribadito la centralità di Cristo Risorto, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova per tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo:

 

“La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé”.

 

Declinando la trasformazione di colui che avuto il dono della fede e la confermazione nel battesimo incardinandosi in Cristo il Pontefice ha parlato della “novità” cristiana chiamata a trasformare il mondo:

 

“La nostra vocazione e il nostro compito di cristiani consistono nel cooperare perché giunga a compimento effettivo, nella realtà quotidiana della nostra vita, ciò che lo Spirito Santo ha intrapreso in noi col Battesimo: siamo chiamati infatti a divenire donne e uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo, in concreto, in quella comunità di uomini entro la quale viviamo”.

 

Venendo all’Italia ha parlato dei mali dell’Occidente pervaso da una cultura che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, di una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile. “Così Dio – ha ribadito il Papa - rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra.  Si ha così un autentico capovolgimento - ha aggiunto - del punto di partenza di questa cultura, che era una rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà:

 

“Nella medesima linea, l’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Non è difficile vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità: non sia quindi in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente, oltre a non poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e sulla direzione della nostra vita. Perciò questa cultura è contrassegnata da una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza”.

 

Il Papa ha poi richiamato alla speranza ed alla testimonianza cristiana ha parlato della Chiesa “realtà molto viva, e del “grande sforzo di evangelizzazione e catechesi, rivolto in particolare alle nuove generazioni” e alle famiglie. Quindi ha sottolineato l’insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un’etica troppo individualista: in concreto, ha detto si avverte la gravità del rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà:

 

“Il nostro atteggiamento non dovrà mai essere, pertanto, quello di un rinunciatario ripiegamento su noi stessi: occorre invece mantenere vivo e se possibile incrementare il nostro dinamismo, occorre aprirsi con fiducia a nuovi rapporti, non trascurare alcuna delle energie che possono contribuire alla crescita culturale e morale dell’Italia. Tocca a noi infatti – non con le nostre povere risorse, ma con la forza che viene dallo Spirito Santo – dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi della nostra gente: se sapremo farlo, la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa Nazione, ma anche all’Europa e al mondo, perché è presente ovunque l’insidia del secolarismo e altrettanto universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo”.

 

Benedetto XVI riferendosi ai temi trattati dal Convegno, ha evidenziato che “il cristianesimo è aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza”:

 

“I discepoli di Cristo riconoscono pertanto e accolgono volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico, i diritti dell’uomo, la libertà religiosa, la democrazia. Non ignorano e non sottovalutano però quella pericolosa fragilità della natura umana che è una minaccia per il cammino dell’uomo in ogni contesto storico; in particolare, non trascurano le tensioni interiori e le contraddizioni della nostra epoca. Perciò l’opera di evangelizzazione non è mai un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione, un taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento, un’apertura che consente di nascere a quella creatura nuova che è il frutto dello Spirito Santo”.

 

Il Papa ha parlato dell’incontro con Cristo quale avvenimento che si manifesta, anche nell’attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla ragione che “ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie”:

 

“Su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. È questo un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza. Il progetto culturale della Chiesa in Italia è senza dubbio, a tal fine, un’intuizione felice e un contributo assai importante”.

 

“La persona umana non è, d’altra parte, soltanto ragione e intelligenza” – ribadisce il Papa – ma porta dentro di sé “il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta”. Nella nostra epoca “il male non è affatto vinto, anzi, il suo potere sembra rafforzarsi e vengono presto smascherati tutti i tentativi di nasconderlo”: da qui “la domanda se nella nostra vita ci possa essere uno spazio sicuro per l’amore autentico e, in ultima analisi, se il mondo sia davvero l’opera della sapienza di Dio”:

 

“Il Creatore del cielo e della terra, l’unico Dio che è la sorgente di ogni essere ama personalmente l’uomo, lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato da lui. Dà vita perciò a una storia d’amore con Israele, il suo popolo, e in questa vicenda, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l’amore che perdona al di là di ogni limite”.

 

Parlando della fede quale chiave per leggere la sofferenza ha poi aggiunto che la croce “fa giustamente paura come ha provocato paura e angoscia in Gesù Cristo” ma che non è la negazione della vita “da cui per essere felici occorra sbarazzarsi”. E’ invece il sì della vita, il sì estremo di Dio all’uomo, l’espressione suprema del suo amore.

 

Dobbiamo essere sempre pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della nostra speranza - ha detto il Papa - ricordando il cardine che ha guidato il Convegno Ecclesiale ovvero la prima Lettera di Pietro: dobbiamo rispondere con dolcezza e rispetto - ha aggiunto – “con quella forza mite che viene dall’unione con Cristo”.

 

Ricordando che la strada maestra per l’evangelizzazione è quella che unisce verità e amore, per la trasmissione della fede ha parlato dell’importanza dell’educazione:

 

“Un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà. Da questa sollecitudine per la persona umana e la sua formazione vengono i nostri ‘no’ a forme deboli e deviate di amore e alle contraffazioni della libertà, come anche alla riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. In verità, questi ‘no’ sono piuttosto dei ‘sì’ all’amore autentico, alla realtà dell’uomo come è stato creato da Dio”.

 

Da qui l’apprezzamento del Papa per il lavoro educativo e formativo svolto dalle singole Chiese in Italia così come nell’ambito della carità dando “prova di una straordinaria solidarietà verso le sterminate moltitudini dei poveri della terra”:

 

“È quindi quanto mai importante che tutte queste testimonianze di carità conservino sempre alto e luminoso il loro profilo specifico, nutrendosi di umiltà e di fiducia nel Signore, mantenendosi libere da suggestioni ideologiche e da simpatie partitiche, e soprattutto misurando il proprio sguardo sullo sguardo di Cristo: è importante dunque l’azione pratica ma conta ancora di più la nostra partecipazione personale ai bisogni e alle sofferenze del prossimo. Così, cari fratelli e sorelle, la carità della Chiesa rende visibile l’amore di Dio nel mondo”.

 

Passando al tema delle responsabilità civili e politiche dei cattolici ha evidenziato che la Chiesa “non è e non intende essere un agente politico”. Il compito di costruire un giusto ordine nella società – ha detto - non è dunque della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità “illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo.

 

Poi le sfide nelle quali i cristiani sono chiamati a grandi impegni: contro le guerre, il terrorismo, la fame e la sete e alcune terribili epidemie, sfide che riguardano anche l’arginare “scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori radicati nella natura dell’essere umano” come la tutela della vita fin dal concepimento e la promozione della famiglia fondata sul matrimonio. “evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale”. Poi scroscianti gli applausi dell’assemblea che ha dato appuntamento oggi pomeriggio allo stadio Bentegodi.

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E al termine dell’intervento del Papa Tiziana Campisi ha raccolto i commenti del vescovo di Palestrina, mons. Domenico Sigalini, e di Edo Patriarca del Forum del Terzo Settore. Ascoltiamo mons. Sigalini:

 

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R. – A me pare che sia una lezione eccezionale di come ci si collochi da cristiani nei confronti del mondo, a partire da un’esperienza profonda di fede in Gesù Risorto, approfondendo soprattutto tutta quella capacità di razionalità di cui ci carica la fede. E la ragione ci dice che senza una fede non si può avere un’umanità vera. Mi sembra molto interessante questo voler far vedere come la nostra esperienza di fede sia collocabile di fronte a tutte le scienze umane con grande dignità, di fronte a tutte le scienze, anche tecniche, di fronte a tutte le filosofie.

 

D. – Che cosa sta dicendo Benedetto XVI in particolare alla Chiesa di oggi?

 

R. – Secondo me, sta dicendo di avere coraggio e di essere consapevole che nei confronti dell’umanità ha una grande responsabilità. Solo che deve tirar fuori tutte queste energie, che tante volte ha lasciato perdere, quasi irretita da questi assalti della cultura di questi ultimi due secoli.

 

D. – Il coraggio di dire sì e la forza per andare avanti, soprattutto anche attraverso una formazione…

 

R. – Si tratta adesso di aiutare le comunità cristiane a recuperare questo modo nuovo di stare al mondo, una proposta di alcuni elementi fondamentali per la vita dell’uomo, che vengono dall’aver approfondito la parola di Dio.  

 

E queste le riflessioni di Edo Patriarca del Forum del Terzo Settore:

 

R. – E’ stato un grande affresco del tempo di oggi. Mi ha colpito, mi ha davvero appassionato, questo ritorno costante all’essenzialità della fede cristiana, questo richiamo forte alla speranza, a Gesù, alla testimonianza, come la fonte di tutto. I passaggi più belli, secondo me, sono stati laddove ha parlato di una fede amica dell’intelligenza, di un impegno dei cristiani animati dall’amore, dalla libertà e dall’intelligenza. Una fede che accoglie tutto l’umano per trasformarlo. E poi questo forte richiamo a Dio che è amore, che protegge la libertà degli uomini, non è un impedimento. Quindi, una rinnovata attenzione alla persona umana, alle sue sfide, alle sue tensioni, un rammentarci che la croce non ci deve far paura, ma è proprio l’inno alla vita e all’amore.

 

D. - Benedetto XVI ha detto: “I laici, attraverso una multiforme testimonianza, devono far emergere quel grande ‘sì’ che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo, ma anche alla sua libertà e alla sua intelligenza”. Ecco, oggi come dare questo ‘sì’?

 

R. – Credo che questa sia una nostra prospettiva: stare dentro la vita, stare dentro la città degli uomini e mantenersi radicati profondamente alla nostra ispirazione cristiana, alla fede.

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LA SOLIDARIETA’ PER COMBATTERE IL SOTTOSVILUPPO: COSI’ IL PAPA NEL MESSAGGIO INVIATO AL DIRETTORE  GENERALE DELLA FAO, JACQUES DIOUF,

IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELL’ALIMENTAZIONE

 

         “La solidarietà è la chiave per identificare ed eliminare le cause della povertà e del sottosviluppo”: lo ribadisce Benedetto XVI, nel Messaggio inviato al direttore generale della FAO, Jacques Diouf, in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, celebrata lunedì scorso sul tema “Investire nell’agricoltura per la sicurezza alimentare”. Servizio di Roberta Gisotti:

 

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         Purtroppo – deplora il Papa – “non abbastanza attenzione viene dedicata alle necessità dell’agricoltura, e questo sia sconvolge l’ordine naturale della creazione, che compromette il rispetto per la dignità umana”. L’ordine della creazione richiede che la priorità sia data a quelle attività umane che non causano danni irreversibili alla natura, ma che al contrario sono ordite nel tessuto sociale, culturale e religioso delle diverse comunità. In questo modo si raggiunge un ragionevole bilancio tra consumo e sostenibilità delle risorse”. Il Santo Padre ha raccomandato inoltre “che l’investimento nel settore agricolo consenta alle famiglie di assumere ruolo e funzione che le sono propri, evitando le dannose conseguenze dell’edonismo e del materialismo, che possono mettere a rischio il matrimonio e la vita familiare”. Per questo “è importante – ha concluso – trasmettere alle nuove generazioni non soltanto gli aspetti tecnici della produzione, della nutrizione e della protezione delle risorse naturali, ma i valori del mondo rurale”.

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NOMINE

 

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Chilaw, nello Sri Lanka, presentata da mons. Frank Marcus Fernando, per raggiunti limiti di età.  Gli succede mons. Warnakulasurya Wadumestrige Devasritha Valence Mendis, coadiutore della medesima diocesi.

 

In Francia, il Papa ha nominato arcivescovo coadiutore di Rennes mons. Pierre d’Ornellas, finora vescovo titolare di Naraggara ed ausiliare di Parigi. Mons. Pierre d’Ornellas è nato a Parigi il 9 maggio 1953. Dopo aver conseguito il diploma di Ingegnere, è entrato nell’Istituto Secolare "Notre-Dame de Vie" e ha frequentato la Facoltà di teologia dell’Università di Fribourg (Svizzera). Ha conseguito la Laurea in Teologia Morale. È stato ordinato sacerdote ed è stato incardinato nel medesimo Istituto Secolare "Notre-Dame de Vie" il 15 agosto 1984. Dopo due anni di ministero, è stato segretario particolare del cardinale Jean-Marie Lustiger, arcivescovo di Parigi, dal 1986 al 1991. In seguito è stato inviato a Bruxelles, come superiore della Casa "Sainte-Thérèse de l’Enfant-Jésus" per i seminaristi di Francia e di altre nazionalità, che studiavano presso l’"Institut d’Etudes Théologiques", retto dai Padri Gesuiti (1991-1995). Nel 1995 è diventato direttore della "Ecole Cathédrale" e presidente dello Studium del Seminario di Parigi, con responsabilità accademiche nell’"Institut Notre-Dame de Vie" e nel 1997, è stato nominato vicario generale per il "Vicariato Centro" di Parigi. Eletto vescovo titolare di Naraggara e nominato ausiliare di Parigi il 4 luglio 1997, è stato consacrato il 10 ottobre successivo.

 

L’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč, il cardinale Lubomyr Husar, con il consenso del Sinodo della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, ha trasferito, a norma del can. 85 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, mons. Vasyl Semeniuk da vescovo titolare di Castra severiana ed ausiliare dell’eparchia di Ternopil-Zboriv degli Ucraini ad eparca residenziale della medesima sede. 

 

 

DOMANI LA PRESENTAZIONE NELLA SALA STAMPA VATICANA

DEL MESSAGGIO PER LA FINE DEL RAMADAN

- Intervista col cardinale Paul Poupard -

 

Domani mattina, nella Sala Stampa della Santa Sede, si svolgerà un’attesa conferenza stampa per la presentazione del messaggio del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso in occasione della fine del Ramadan, il mese del digiuno e della purificazione spirituale per il mondo islamico. Il messaggio è incentrato sul tema ‘Cristiani e musulmani in dialogo fiducioso per affrontare insieme le sfide del nostro mondo’. Ce ne parla il presidente dei Pontifici Consigli per il dialogo interreligioso e della Cultura, il cardinale Paul Poupard, che domani presenterà il messaggio. L’intervista è di Giovanni Peduto:

 

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R. – Ovviamente questo messaggio è un atto di stima da parte della Santa Sede, da parte della Chiesa, che come ogni anno lo invia in occasione dell’importante ricorrenza per i musulmani della fine di questo mese di digiuno che è il Ramadan. Il messaggio, come sempre, è improntato allo spirito della nota Dichiarazione conciliare ‘Nostra Aetate’, e ribadisce nel momento attuale quella stima e quella volontà di proseguire il dialogo per affrontare insieme le sfide del nostro mondo: cioè la finalità del dialogo è nel modo col quale noi insieme testimoniamo al mondo la nostra fede nel Dio Unico, come dice il Concilio Ecumenico Vaticano II. E poi, sarà interessante notare che questo messaggio è giunto alla sua 40.ma edizione.

 

D. – Eminenza, dopo le polemiche suscitate da un’errata interpretazione del discorso del Papa a Ratisbona, il mondo islamico ha compreso le reali intenzioni del Pontefice?

 

R. – Diciamo che il mondo islamico è una parola molto ampia perché questo mondo islamico è diverso in Africa, in Asia, nel Maghreb, in Marocco, in Sudan, in Indonesia; ci sono gli sciiti, i sunniti; in Europa i nostri fratelli immigrati: l’Islam si esprime nelle diverse culture e alcune sono millenarie. Dunque, in sostanza è chiaro che praticamente tutti hanno capito quello che il Papa ha detto e non la presentazione ridotta e riduttiva delle agenzie di stampa che all’inizio ha distorto un po’ tutto. Ormai, credo che tutte le spiegazioni siano state date e ricevute.

 

D. – In una lettera aperta a Benedetto XVI, 38 leader spirituali e teologi islamici hanno accolto le spiegazioni del Papa riguardo al discorso di Ratisbona: il dialogo, dunque, riparte?

 

R. – Ma, non “riparte” perché il dialogo non è mai cessato. Cioè, il chiasso mediatico mette sempre in rilievo, invece della sintonia e della sinfonia, le voci discordanti. Lei ricorderà che in Campidoglio il mese scorso c’è stato quell’incontro che è stato anche mandato in onda in diretta dalle televisioni arabe; poi, la settimana dopo, il lunedì successivo, ho avuto il privilegio di presentare al Santo Padre gli ambasciatori dei Paesi islamici e quelli della Consulta islamica italiana e della Moschea di Roma. E poi, devo dire, ogni giorno ricevo tanti messaggi e, dalle diverse capitali del mondo, attraverso la rete dei rappresentanti pontifici, tante testimonianze e poi anche tante proposte, che saranno da onorare in futuro, per proseguire con i nostri amici il dialogo che si è ora focalizzato sull’essenziale del discorso di Ratisbona, e cioè il legame tra ragione e fede.

 

D. – C’è la questione del dialogo, ma anche la questione della reciprocità e del rispetto dei diritti dei cristiani e della libertà religiosa in genere nei Paesi a maggioranza islamica: un suo parere, eminenza …

 

R. – Come lei sa, ovviamente, il dialogo per essere autentico, come ribadisce sempre il Santo Padre Benedetto XVI sulla scia dei suoi predecessori, a partire dalla prima enciclica di Paolo VI sul dialogo, la “Ecclesiam Suam” – ero allora il suo collaboratore in Segreteria di Stato – e poi durante più di un quarto di secolo con Giovanni Paolo II, dunque, il dialogo, per essere vero dialogo, implica – è ben chiaro – il rispetto delle persone e il rispetto delle loro convinzioni, anzi, è fatto per aiutare alla conoscenza reciproca sia delle persone sia delle convinzioni. E la reciprocità è quasi un’esigenza del dialogo: evidentemente non può essere vero dialogo se è a senso unico, e questo lo capiscono tutti!

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - La visita pastorale del Papa a Verona in occasione del quarto Convegno ecclesiale nazionale.

 

Servizio estero - "Alcune minacce alla democrazia": intervento della Santa Sede durante la riunione annuale di attuazione degli impegni assunti, nell'ambito dei diritti umani, dagli Stati partecipanti all'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.

 

Servizio culturale - Un articolo di Piero Amici dal titolo "La tragica realtà del totalitarismo sovietico racchiusa in oltre duecento citazioni": un singolare ma illuminante "collage" dello storico Andrea Graziosi.

 

Servizio italiano - In rilievo sempre il tema della finanziaria. 

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

19 ottobre 2006

 

 

“CHE COSA HAI FATTO DI TUO FRATELLO?”: È IL TITOLO DEL MESSAGGIO

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA, IN VISTA DELLE ELEZIONI

PRESIDENZIALI, LEGISLATIVE E MUNICIPALI DELLA PROSSIMA PRIMAVERA

- Con noi, mons. Georges Paul Pontier -

 

“Che cosa hai fatto di tuo fratello?”: a sei mesi dalle elezioni presidenziali, legislative e municipali, che si terranno in Francia nella primavera del 2007, il Consiglio permanente della Conferenza episcopale francese sceglie questo titolo per un messaggio indirizzato ai cattolici, ai responsabili politici e all’opinione pubblica. Quattro i temi al centro della riflessione dei vescovi: il vivere insieme, la famiglia, l’immigrazione e il lavoro. Ce ne parla, al microfono di Anthony Torzec, della nostra redazione francese, mons. Georges Paul Pontier, arcivescovo di Marsiglia:

 

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R. – Tout le monde est responsable du vivre-ensemble, et en particulier, on doit …

Tutti siamo responsabili del vivere insieme e, in particolare, è necessario considerare l’attenzione alla condivisione. Ci sono dei modi di vivere che non è possibile mantenere, se non vogliamo che gli altri ci dicano: “Cosa fai, passi senza guardarmi?”. A questo livello, sarà necessario cambiare il nostro modo di vivere: lo si vede bene sia nel campo dell’ecologia che nel campo della condivisione delle ricchezze.

 

D. – Voi avete indicato in particolare tre ambiti fondamentali

 

R. – Après avoir attirée notre attention sur un chantier important, qui est - …

Dopo avere attirato la nostra attenzione su questo campo effettivamente importante, quello del vivere insieme e sulla preoccupazione che la gente sia coinvolta, vogliamo concentrarci su tre punti in particolare: la famiglia, la disoccupazione o la fatica di trovare lavoro e infine, la globalizzazione più umana.

 

D. – Questo messaggio della Conferenza episcopale francese è destinata a tutti, e in particolare ovviamente ai cattolici del Paese; è forse il modo di dire loro: “Prima di esprimere il vostro voto, considerate bene a chi lo date!”?

 

R. – Il s’est fait pour donner, de fait, des éléments de réflexion aux chrétiens et a …

In realtà, è stato pensato per dare elementi di riflessione ai cristiani e a chiunque voglia leggerlo, ma questo implica per forza di cose che gli elettori siano indotti a confrontare i programmi dei diversi candidati. Ovviamente, noi abbiamo un forte dovere di discrezione, che rispettiamo, e quindi questo non significa assolutamente che noi avessimo in mente di designare un candidato, con un programma perfetto, al punto da essere indicato da noi vescovi.

 

D. – Nelle prime righe del vostro messaggio, scrivete: “Molti francesi, e tra essi anche i cattolici, provano un senso di malessere nei riguardi del mondo politico. Vogliono un cambiamento”. Ma quella che voi chiedete, è una politica di rottura?

 

R. – Non, quand’on dit “ils veulent un changement”; on ne parle pas telment de …

No, quando diciamo che “vogliono un cambiamento” non parliamo mica di rottura! Ma questo sentimento di malessere che esiste nei riguardi del mondo politico, nasce dallo scarto che spesso esiste tra le promesse elettorali e l’esercizio delle responsabilità. Ed è grave questa perdita di fiducia! E quando si vuole un cambiamento, è a questo livello che è necessario dire una parola di verità, una parola che induca alla riflessione, una parola responsabile da parte dei nostri uomini politici.

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CHIESA E SOCIETA’

19 ottobre 2006

 

ESSERE MISSIONARI SIGNIFICA ESSERE TESTIMONI DEL VANGELO:

COSÌ IL CARDINALE CRESCENZIO SEPE,

ALL’APERTURA, IERI IN THAILANDIA, DEL PRIMO CONGRESSO MISSIONARIO ASIATICO

- A cura di Roberta Moretti -

 

CHIANG MAI. = “La priorità della missione è l’annunzio”: sono le parole dell’arcive-scovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, che ieri, come inviato del Papa, ha aperto a Chiang Mai, in Thailandia, il primo Congresso missionario asiatico, sul tema: “La storia di Gesù Cristo in Asia: una celebrazione di vita e di fede”. L’incontro, che si chiuderà il 22 ottobre, nella Giornata missionaria mondiale, è promosso dalla Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (FABC), su proposta della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Nel suoi interventi introduttivi, il porporato ha sottolineato come l’uomo contemporaneo creda “più ai testimoni che ai maestri, più all’esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alla teoria”. Per questo, “la prima e insostituibile forma della missione” è “la testimonianza della vita cristiana”, secondo il modello di Cristo, “testimone per eccellenza”. Essere missionari significa amare Dio con tutto sé stessi, fino alla testimonianza del martirio; significa amare il prossimo, ovvero, “conoscere, fare esperienza personale, dialogare, confrontarsi con l’altro”; ma significa anche, imprescindibilmente, annunciare agli uomini la Buona Novella. “L’evangelizzazione infatti – ha spiegato il cardinale Sepe – conterrà sempre, come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo, anche una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, la salvezza è offerta a ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso”. La fede, dunque, “nasce dall’annunzio”, attraverso il “linguaggio dell’amore”, operando sempre nel rispetto “delle realtà locali, politiche, religiose, culturali ed economiche”, che nel vasto continente asiatico, in particolare, sono estremamente diversificate. “Il cristiano e le comunità cristiane – ha affermato il porporato – vivono profondamente inseriti nella vita dei rispettivi popoli e sono segno del Vangelo anche nella fedeltà alla loro patria, al loro popolo, alla cultura nazionale, sempre però nella libertà che Cristo ha portato”. Non sempre, però, il dialogo è facile, specialmente in Paesi – è il caso dell’Asia – “dove vivono anche immigrati cristiani, che purtroppo non sempre godono di un’effettiva libertà di religione e di coscienza”. L’apertura a un dialogo sincero, allora, secondo il porporato, è l’unica via “per allontanare lo spettro delle guerre di religione, che hanno rigato di sangue tanti periodi della storia dell’umanità e hanno forzato non di rado tante persone ad abbandonare i propri Paesi”. “L’Asia – ha continuato l’inviato del Papa – ci fa capire che il mondo non sta vivendo semplicemente una crisi di fede e di religione, ma di cultura”. Nasce quindi l’esigenza di una “nuova inculturazione della fede”, che contribuisca alla creazione di nuove comunità, permeate da elementi culturali propri e dal messaggio di Cristo. E la comunità parrocchiale, in particolare, può divenire “uno spazio valido e concreto in cui può realizzarsi una vera pedagogia dell’incontro”, una “cultura dell’accoglienza”. “L’esperienza della fede e dei doni dello Spirito Santo – ha concluso il cardinale Sepe – divengono, perciò, il punto di partenza di ogni attività missionaria nei villaggi, nelle città, nelle scuole o negli ospedali, tra gli handicappati, gli emarginati o le popolazioni tribali, oppure nel perseguimento della giustizia e dei diritti umani”. Infine, l’affidamento della Chiesa asiatica a Maria, “donna missionaria e prima evangelizzatrice, stella luminosa dell’evangelizzazione”.

 

 

IN VISTA DELLA GIORNATA NAZIONALE DEI POPOLI, IL PROSSIMO 12 NOVEMBRE,

I VESCOVI DELLA SVIZZERA ESORTANO I FEDELI

A NON AVERE PAURA DEGLI IMMIGRATI:

“L’IMMIGRAZIONE – AFFERMANO – PUÒ ESSERE UN FATTORE

DI ARRICCHIMENTO RECIPROCO”

 

BERNA. = Non abbiate paura degli immigrati: è l’esortazione della Conferenza episcopale svizzera, nel messaggio per la Giornata dei Popoli, che verrà celebrata il prossimo 12 novembre nelle parrocchie del Paese. Nel documento, i vescovi ribadiscono la loro delusione per l’esito del referendum, che lo scorso 24 settembre ha approvato l’applicazione di nuove leggi più restrittive sull’asilo e sugli stranieri nel Paese. “Le migrazioni – si legge nel testo, firmato da mons. Norbert Brunner, vescovo di Sion e delegato episcopale per le Migrazioni – possono assumere forme diverse, come gli spostamenti per eventi sportivi o vacanze”. “Ben più vaste e socialmente rilevanti – aggiungono i presuli – sono le migrazioni di coloro che vengono per lavorare, per curarsi, per fuggire da persecuzioni, dalla fame o dalla guerra”. Verso queste persone – sottolineano – la nostra prima reazione è la paura che ha motivazioni non sempre comprensibili”. Ma la paura “distorce i giudizi e rende schiavi del proprio egoismo”. “A determinate condizioni invece – si chiude il messaggio – l’immigrazione può essere un fattore di arricchimento reciproco”. (L.Z.)

 

 

LE COMUNITA’ ISLAMICHE DEL NORDEST ITALIANO RINGRAZIANO

I VESCOVI DEL TRIVENETO E IL PATRIARCA DI VENEZIA, IL CARDINALE ANGELO SCOLA, PER GLI AUGURI INVIATI IN OCCASIONE DEL RAMADAN:

“HANNO RIACCESO SPERANZE DI INTESA, DI DIALOGO E DI PACE”

 

VENEZIA. = Il dialogo interreligioso è fatto anche di scambi di auguri: così, oggi le Comunità e i Centri islamici del nordest italiano hanno ringraziato pubblicamente i vescovi del Triveneto ed il patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, per l’augurio che avevano inviato alla comunità islamica in occasione del Ramadan. “Il messaggio, letto e diffuso in vari centri di preghiera della comunità islamica – scrivono gli imam delle moschee del Nordest – è stato molto apprezzato dai fedeli musulmani e ha riacceso speranze di intesa, di dialogo e di pace”. “Questa iniziativa vostra – aggiungono – conferma per noi musulmani ciò che il Corano ci ha insegnato:Troverai che i più prossimi all’amore per i credenti sono coloro che dicono «in verità siamo nazareni», perché tra loro ci sono uomini dediti allo studio e monaci che non hanno alcuna superbia’”. Gli imam e i dirigenti della comunità islamica del Nordest “rinnovano la loro piena e convinta disponibilità a far crescere l’albero del dialogo, della convivenza e dell’amore fraterno”. “Siamo più che mai convinti – precisano – che la somma dei valori spirituali e morali che uniscono cristiani e musulmani di buona volontà ci aiuterà a dare vita nel prossimo futuro ad altre iniziative costruttive e a rafforzare quelle già attuate”. “Siamo certi – concludono – che la visita del Papa Benedetto XVI a Verona, alla vigilia della quinta giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, darà una spinta maggiore al nostro comune cammino verso la pace e il mutuo rispetto”. (R.M.)

 

 

NONOSTANTE LA RIPRESA ECONOMICA, IN EUROPA SUD-ORIENTALE

E NELLA COMUNITÀ DEGLI STATI INDIPENDENTI,

UN BAMBINO SU QUATTRO E’ POVERO:

LO DENUNCIA UN RAPPORTO DELL’UNICEF, PRESENTATO IERA A HELSINKI,

IN FINLANDIA

 

HELSINKI. = Nonostante la ripresa economica a partire dagli anni ’90, in Europa sud-orientale e nella Comunità degli Stati Indipendenti un bambino su quattro sotto i 15 anni è povero: è quanto denuncia l’UNICEF, in un Rapporto presentato ieri a Helsinki, in Finlandia, dal titolo: “Innocenti social monitor 2006: comprendere la povertà infantile nell’Europa sud-orientale e nella Comunità degli Stati Indipendenti”. Anche se in termini assoluti il numero dei bambini poveri è sceso da 32 a 18 milioni, il 25 per cento della popolazione sotto i 15 anni vive in estrema povertà e permangono gravi disuguaglianze rispetto alle condizioni di vita e alle possibilità di sviluppo. Le cifre sulla povertà variano dal cinque per cento in alcuni Paesi dell’Europa sud-orientale ad un gravissimo 80 per cento nei Paesi più poveri dell’Asia centrale. “Le privazioni derivanti da un reddito inadeguato colpiscono l’immediato presente dei bambini e ne compromettono lo sviluppo nel lungo periodo”, ha affermato Marta Santos Pais, direttrice del centro di ricerca Innocenti dell’UNICEF di Firenze. Il Rapporto evidenzia come risultino particolarmente colpite le famiglie con più di due figli e quelle che vivono nelle aree rurali. Inoltre, i miglioramenti che si sono registrati rispetto ai tassi di mortalità infantile, alla presenza nelle scuole materne e all’accesso all’acqua potabile sono stati lenti. Molti governi dell’area non hanno approfittato della crescita economica per fornire sostegni all’infanzia e i sussidi statali alle famiglie con bambini, là dove esistono, non riescono ancora a produrre un impatto significativo in termini di riduzione della povertà. “La povertà infantile – ha affermato Maria Calivis, direttrice dell’Ufficio regionale dell’UNICEF per l’Europa centrale e orientale e la Comunità degli Stati Indipendenti – dovrebbe essere la prima preoccupazione dei governi, perché il futuro della regione è inscindibilmente legato alle condizioni di vita dei bambini”. “Se si vuole sviluppare appieno il potenziale dei Paesi della regione – ha aggiunto – vi deve essere un investimento adeguato nei servizi per l’infanzia”. Infine, l’UNICEF fa appello ai governanti dei Paesi dell’Europa sud-orientale e dell’ex Unione Sovietica, affinché venga data una maggiore visibilità all’infanzia nella definizione delle priorità politiche. Tutto ciò, perché il futuro dell’area dipende dalla buona salute e da un alto livello di istruzione delle giovani generazioni. (A.S.)

        

 

IN CONCORSO, ALLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA,

IL FILM DOCUMENTARIO DI DAVIDE FERRARIO, “LA STRADA DI LEVI”

- A cura di Luca Pellegrini -

 

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ROMA. = In concorso alla Festa del Cinema di Roma un film documentario di Davide Ferrario, “La strada di Levi”: sulle orme dello scrittore scomparso nel 1987, a 60 anni di distanza dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il regista ripercorre l’identico itinerario d’allora, ma nell’Europa di oggi, sospesa tra modernità e rimpianti, migrazioni di popoli e nazionalismi pericolosi, rigurgiti del passato e slancio verso il futuro. Un tragitto lungo e difficile compiuto due volte nel tempo in una Europa dalla fisionomia incerta e dal futuro ignoto: la prima odissea, otto mesi nell’inverno del 1945, compiuta da Primo Levi uscito da Auschwitz, tra il dolore e la gioia di una guerra mondiale finita; la seconda, su quelle orme, dal regista Davide Ferrario, identico tragitto, ma nel 2005, a sessant’anni di distanza dal primo. Una operazione di cinema della memoria e della storia di particolare intelligenza, originalità, eleganza, ritmato dalla lettura di uno dei capolavori di Levi, “La tregua”, con la bella voce di Umberto Orsini. All’epoca era la tregua all’indomani della guerra mondiale, oggi, ricorda il regista, quella tregua si è rotta dopo “Ground Zero”, le cui macerie fanno da introduzione al viaggio. Seimila chilometri e 10 frontiere: Germania, Polonia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Romania, Ungheria, Austria e Italia. Ad ognuna delle quali il panorama umano, sociale e politico cambia, aprendosi su popoli e nazioni dall’incerta identità, dalle storie individuali difficili, dalle radici incerte. Si inizia con il pellegrinaggio dello scrittore al campo di concentramento, compiuto nel 1982, cinque anni prima del suicidio, e poi la Polonia dell’utopia socialista e della città-fabbrica di Nowa Huta, con una guida d’eccezione: il regista Adrzej Wajda; poi l’Ucraina afflitta dai nazionalismi e dal ricordo di Chernobyl con i suoi sfollati; la Moldavia, il Paese più povero d’Europa e una popolazione migratoria verso i miraggi occidentali; la Bielorussia, costretta ancora a subire l’ideologia del comunismo e i conseguenti sistemi produttivi. Ferrario poi entra nella Romania e nell’Ungheria che hanno sete d’Europa: la prima costellata da piccole fabbriche di imprenditori italiani, la seconda con le svendite dei cimeli sovietici accatastati in uno strano cimitero. Infine l’Austria e l’Italia, Torino: nella prima un raduno neonazista fa presagire le difficoltà nelle quali il Continente si dibatte e la deriva di alcuni gruppi giovanili, nella seconda è Mario Rigoni Stern a leggere una lettera inviatagli da Levi, i quali, insieme a Nuto Revelli, sono stati capaci di “non lasciarsi impietrire dalla lenta nevicata dei giorni”. Era quella neve silenziosa che copriva le baracche dei deportati ed i corpi degli affamati. E’ la neve che non dovrebbe raggelare ancora una volta i cuori e la speranza.

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24 ORE NEL MONDO

19 ottobre 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

Ritiro di tutti i soldati italiani dall’Afghanistan. Questa la nuova richiesta dei rapitori di Gabriele Torsello, secondo quanto riferito dal sito “PeaceReporter”. Intanto, si moltiplicano gli attacchi contro le forze della NATO: stamattina un kamikaze si è fatto esplodere nella provincia di Elmand, provocando la morte di due bambini e il ferimento di sette civili e di tre soldati britannici. La situazione non è molto diversa da quella irachena dove il bilancio della violenza oggi parla di almeno 24 morti in seguito a diversi attentati nel Paese. Su queste aree di crisi Salvatore Sabatino ha intervistato il fotoreporter di guerra Paolo Woods, autore del libro fotografico “Il Caos americano”, edito da Contrasto:

 

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R. – La storia dell’Afghanistan è molto più lunga e molto più complessa. C’era la speranza che in Afghanistan la situazione si sarebbe risolta in qualche maniera. Penso, comunque, che la situazione in Iraq sia sicuramente più grave e ci vorrà molto più tempo per ristabilire una normalità. Il parallelo si può fare per gli errori fatti per entrambi i Paesi.

 

D. – Che tipo di errori?

 

R. – Prima di tutto errori di valutazione, di non conoscenza del terreno e poi errori militari.

 

D. – Come vive la popolazione, in Iraq e in Afghanistan, la presenza multinazionale? Si ha l’impressione che in entrambi i casi vengano percepiti come forze di occupazione?

 

R. – Direi che in entrambi i casi, nel momento in cui è caduto Saddam o nel momento in cui è caduto il regime talebano, ci sia stata, sia in Afghanistan che in Iraq, una vera speranza, un vero momento in cui si è creduto che le cose potessero cambiare. Grazie ad una gestione disastrosa di quello che è avvenuto dopo, questo non si è avverato e le stesse persone che potevano essere in favore del cambiamento, oggi si trovano spesso contro la forza multinazionale.

 

D. – Quindi confermi che non c’è appoggio da parte della maggior parte della popolazione?

 

R. – E’ difficilissimo appoggiare una forza multinazionale, quando la vita di tutti i giorni diventa invivibile.

 

D. – Il progetto democratico di questi due Paesi è dunque compromesso?

 

R. – Non penso che le cose siano completamente compromesse. Ma ormai si parla di almeno una generazione per riportare le cose ad un minimo livello di normalità, di sicurezza, prima di poter veramente iniziare a parlare di un progetto democratico.

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La Corea del Nord rischia “ulteriori gravi sanzioni”, in caso di un nuovo test nucleare. E’ quanto affermato dal segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, che oggi a Seul ha incontrato il ministro degli Esteri sudcoreano, Ban Ki-Moon. La Rice ha dichiarato di contare su un successo della missione di un emissario cinese inviato oggi in Corea del Nord dal presidente cinese per consegnare un messaggio personale al leader nordcoreano, Kim Jong-Il. Secondo fonti americane, il messaggio sarebbe stato “molto duro”. Tuttavia il portavoce cinese, si è limitato a dire che la missiva riguarda “i rapporti tra i due Paesi”. La Rice ha ribadito infine che gli USA sono pronti a difendere Corea del Sud e Giappone da eventuali aggressioni.

 

L’Iran ha invitato l’Europa a non schierarsi con gli Stati Uniti nel sostenere sanzioni contro il suo programma nucleare. Questo – ha avvertito Teheran – “radicalizzerà la situazione”. La prima conseguenza – ha precisato il capo negoziatore iraniano per il nucleare, Ali Larijani – sarà la sospensione delle ispezioni dell’AIEA, l’Agenzia internazionale per il nucleare. Dal canto suo ieri il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, da Mosca ha fatto sapere che Israele non accetterà un Iran dotato di atomica e che risponderà ad ogni aggressione.

 

Gli Stati Uniti impediranno l’accesso allo spazio a chiunque sia ostile agli interessi del Paese. E’ quanto prevede il nuovo programma spaziale americano firmato dal presidente Bush lo scorso mese di agosto e reso noto in questi giorni. Il servizio è di Eugenio Bonanata:

 

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La strategia di difesa della Casa Bianca si estende anche allo spazio. In un epoca segnata da minacce terroristiche e dalla condotta preoccupante dei Paesi, come Iran e Corea del Nord, gli Stati Uniti ribadiscono che la libertà di azione nello spazio è importante quanto la potenza navale e marittima. La Casa Bianca nega però che dietro la nuova direttiva, dal titolo “Politica nazionale dello spazio”, si nasconda una corsa agli armamenti spaziali, quindi, non ci saranno trattati internazionali. Si tratta solo di stare al Passo coi tempi ed è innegabile oggi - afferma il documento – la forte dipendenza da tecnologie basate nello spazio: per i telefonini, i bancomat e gli strumenti di orientamento satellitari. Insomma, si parla di interesse nazionale e di fini pacifici. Tuttavia, molti esperti non sono d’accordo e sottolineano come gli USA affermino, in modo esplicito, di non essere disponibili a negoziati sui temi spaziali. Il testo prevede infatti ogni azione per proteggere le proprie capacità spaziali. Un punto, questo, ritenuto prossimo all’unilateralismo, portando alla memoria le “guerre stellari”, dell’era Reagan in piena guerra fredda. Ma c’è dell’altro. Secondo gli esperti il documento è legato un episodio di due anni fa quando dalla Cina partì un raggio laser innocuo che oscurò un satellite statunitense. Un precedente che ha dimostrato tutta la vulnerabilità della ragnatela satellitare americana, dalla quale ormai dipende tutta la sicurezza aerea, marittima e terrestre degli Stati Uniti. Il documento aggiorna quello del 1996, voluto da Clinton che, senza trascurare il fattore sicurezza, indicava come priorità quella di aumentare, attraverso l’esplorazione, la conoscenza della Terra, del sistema solare e dell’universo.

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Il Parlamento portoghese vota oggi, un progetto di legge del governo socialista, che indìce un nuovo referendum popolare per legalizzare in forma totale l’interruzione volontaria di gravidanza nelle prime 10 settimane. Non è la prima volta che il Paese lusitano si esprime su questo delicato argomento. Ce ne parla Riccardo Carucci:

 

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Si tratta di un nuovo referendum sull’aborto, perché uno si tenne già nel 1998; votò il 32 per cento degli elettori, una percentuale insufficiente per rendere il referendum vincolante, e il “no” alla liberalizzazione dell’aborto nelle prime dieci settimane vinse sul “sì” di strettissima misura. In Portogallo, l’aborto non è totalmente illegale: una legge del 1984, infatti, lo autorizza entro determinati limiti temporali, in casi di violenza, malformazione del feto o gravi pericoli per la salute della donna. Ma la legge viene interpretata in modo molto restrittivo, e si calcola che gli aborti legali nel Paese siano non più di mille l’anno; gli aborti clandestini sarebbero – ma i calcoli sono molto incerti – tra 20 e 40 mila l’anno, senza contare quelli effettuati all’estero, per esempio in Spagna. Processi e condanne per il reato di aborto sono rari, ma ogni tanto avvengono, anche se molto difficilmente gli eventuali condannati scontano del tutto o in parte la pena.

 

Da Lisbona, per la Radio Vaticana, Riccardo Carucci.

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Il presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, in seguito ad episodi di corruzione, ha dichiarato per sei mesi lo stato di emergenza nello Stato di Ekiti, nel sudest del Paese. Il presidente, che ha nominato un nuovo governatore, ha detto che bisogna salvare lo Stato dall’anarchia.

 

La mediazione internazionale è al lavoro per rilanciare i negoziati fra il Governo Nazionale di Transizione somalo (TNG) e le Corti islamiche. A Nairobi stamani si è aperta la riunione del Gruppo internazionale di contatto a cui partecipa il presidente somalo ad interim, Abdullahy Yusuf, e una delegazione di alto livello delle Corti. Poche le indiscrezioni trapelate, visto che i colloqui si svolgono porte chiuse.

 

Una serie di esplosioni si sono verificate questa mattina in un deposito militare abbandonato nella città di Parcin, 150 chilometri a sud di Belgrado. Almeno trenta persone sono rimaste ferite. Il ministro della difesa serbo, Zoran Stankovic, ha assicurato che non ci sono morti. Nella città intanto è stato dichiarato lo stato di emergenza: il timore è che le esplosioni possano continuare. Restano sconosciute le cause dell’incidente.

 

 

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