RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 276 - Testo della trasmissione di Martedì 3 ottobre 2006

 

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Sicurezza, sviluppo e sfide umanitarie: le mancate riforme minacciano il benessere dell’intera umanità: l’intervento dell’arcivescovo Celestino Migliore all’ONU

 

In corso in Vaticano la plenaria della Commissione teologica internazionale: si discute sulla sorte dei bambini morti senza battesimo. Ai nostri microfoni padre Luis Ladaria

 

Il cardinale Renato Raffaele Martino ha inaugurato stamani l’Anno Accademico dell’Institut Catholique di Parigi

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

L’appello del Papa domenica all’Angelus per la convivenza tra cristiani e musulmani in Iraq: ne parliamo con l’intellettuale iracheno Younis Tawfik

 

In Brasile il presidente uscente, Inacio Lula da Silva, e il social democratico, Geraldo Alckmin, si preparano al ballottaggio del prossimo 29 ottobre. Intervista con  mons. Odilo Pedro Scherer

 

La parrocchia, compagna nel cammino della fede: con noi Pier Paolo Diotallevi e il vescovo Domenico Sigalini

 

CHIESA E SOCIETA’:

“Rompere gli indugi e tornare a camminare verso la pace”: è l’appello della Conferenza dei vescovi e degli Ulema di Mindanao, nel sud delle Filippine

 

I vescovi del Kenya criticano il governo del presidente Kibaki per la mancata revisione della Carta fondamentale del Paese

 

Sabato 7 ottobre, la solenne chiusura del Concilio plenario della Chiesa del Venezuela, apertosi nel 2000

 

Assegnato questa mattina a Stoccolma il Nobel 2006 per la Fisica

 

L’industria delle armi in Europa e nord America aggira i controlli e vende a Paesi sotto embargo: è quanto denunciano diverse organizzazioni internazionali

 

Da ieri a Roma, fino al 22 ottobre, il 66.mo Capitolo generale dell’Ordine ospedaliero dei Fatebenefratelli

 

I 145 anni in edicola dell’Osservatore Romano raccontati in una mostra

 

24 ORE NEL MONDO:

Crescono i timori della comunità internazionale dopo l’annuncio della Corea del Nord di un prossimo test nucleare

 

RADIO VATICANA

Radiogiornale

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

3 ottobre 2006

 

 

NOMINE DEL PAPA IN ARGENTINA

 

Il Santo Padre ha nominato vescovo di Villa María, in Argentina, mons. Angel José Rovai, finora vescovo ausiliare di Córdoba. Mons. Angel José Rovai è nato a Córdoba, in Argentina, il 19 ottobre 1936. Ha ottenuto la Licenza in Teologia nella Pontificia Universidad Católica Argentina “Santa María de los Buenos Aires” (1967) e poi la Licenza in Filosofia presso la Pontificia Università Angelicum, di Roma (1972), e il dottorato nella Pontificia Università Gregoriana di Roma (1975). Ha conseguito il titolo di perito in biblioteconomia presso la Scuola di Biblioteconomia Vaticana (1969). E’ stato ordinato sacerdote il 15 agosto 1963 a Córdoba, arcidiocesi in cui fu successivamente vicario cooperatore, prosecretario della Curia e vicario episcopale per il Clero. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 1° novembre 1999.

 

Sempre in Argentina, il  Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Puerto Iguazú  presentata da mons. Joaquín Piña Batllevel, della Compagnia di Gesù, per raggiunti limiti di età. Il Papa  ha nominato nuovo vescovo di Puerto Iguazú mons. Marcelo Raúl Martorell, finora parroco del Sacro Cuore Eucaristico di Gesù in Córdoba. Mons. Marcelo Raúl Martorell è nato il 1° marzo 1945 nella città di Salta. E’ stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1970. Ha ottenuto la Licenza in Teologia Fondamentale presso l’Università Cattolica Argentina  a Buenos Aires.

 

 

SICUREZZA, SVILUPPO E SFIDE UMANITARIE: LE MANCATE RIFORME MINACCIANO

IL BENESSERE DELL’INTERA UMANITA’

INTERVENTO DELL’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE ALL’ONU

 

Riforma delle Nazioni Unite, armamenti, prevenzione dei conflitti, emergenze umanitarie, aids: sono i temi a cuore della Santa Sede, evidenziati dall’arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente presso l’ONU, nel suo intervento ieri all’Assemblea generale. Il servizio di Roberta Gisotti

 

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Proseguire nel processo di riforma dell’ONU, perché, “a dispetto dei progressi fatti, molto lavoro resta da fare in diversi ambiti”: è il commento di mons. Migliore al rapporto del segretario generale uscente, Kofi Annan, di cui ha lodato gli sforzi in tal senso. In accordo con la sua visione generale dei problemi, in particolare sull’importanza di prevenire i conflitti e proteggere le popolazioni, ma sottolineando “la necessità di collegare più esplicitamente e più efficacemente le aree della sicurezza e dello sviluppo”. “La presente mancanza di progresso nei campi dell’aiuto allo sviluppo e della riforma del commercio – ha ammonito il presule - minaccia la sicurezza ed il benessere di tutti”.

      

Il rappresentante vaticano ha poi rinnovato la condanna “per la stagnazione dei negoziati multilaterali sul disarmo e la non proliferazione” delle armi, raccomandando anche “strategie e programmi per ridurre la domanda di armi e la violenza armata” . Ha quindi plaudito all’istituzione di un Fondo centralizzato per le emergenze, incoraggiando le Nazioni Unite a svolgere “un ruolo guida nel bilanciare l’autonomia dei soggetti della società civile con la necessità di garantire aiuto concreto ai più vulnerabili”. Riguardo infine al dramma dell’Aids, che appare sotto controllo solo in alcuni Paesi, l’arcivescovo Migliore ha sollecitato iniziative finalizzate verso le Nazioni più povere e indebitate con l’estero.

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IN CORSO IN VATICANO LA PLENARIA DELLA  COMMISSIONE TEOLOGICA

INTERNAZIONALE: SI DISCUTE SULLA SORTE DEI BAMBINI MORTI SENZA BATTESIMO

- Intervista con padre Luis Ladaria -

 

Si tiene da ieri in Vaticano la Sessione Plenaria annuale della Commissione Teologica Internazionale, presieduta dal cardinale William Levada; dirige i lavori dell’assemblea il padre Luis Ladaria, segretario generale. All’ordine del giorno figura l’approfondimento di temi che da tempo costituiscono oggetto di studio della Commissione; in particolare viene discusso il progetto di Documento sul tema della sorte dei bambini morti senza Battesimo, nel contesto del disegno salvifico universale di Dio, dell'unicità della mediazione di Cristo e della sacramentalità della Chiesa in ordine alla salvezza. Si procederà quindi all’esame di una prima bozza di Documento circa il tema dell'identità della natura e del metodo della teologia come scientia fidei e infine si avrà un primo scambio di opinioni sul tema dell'approfondimento dei fondamenti della legge morale naturale, nella linea dell'insegnamento delle Lettere Encicliche di Giovanni Paolo II, Veritatis splendor e Fides et ratio. A padre Ladaria Giovanni Peduto ha chiesto quale sia la dottrina cattolica circa i bambini morti senza Battesimo:

 

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R. – Per la dottrina cattolica è un po’ difficile da dire, perché su questo argomento non c’è una definizione dogmatica. Sappiamo che durante i secoli è stata dottrina comune, ma mai definita solennemente, che questi bambini andavano nel limbo. Questa spiegazione non sembra oggi soddisfacente per tutti e per questo è stato chiesto alla Commissione Teologica Internazionale di fare uno studio su questo argomento. E noi siamo ancora in fase di studio.

 

D. – Come mettere insieme la volontà di Dio di salvare tutti gli esseri umani e l’unicità della mediazione di Cristo?

 

R. – Queste cose non sono difficili da mettere insieme, perché già nel Nuovo Testamento si trovano insieme. Se leggiamo la prima lettera a Timoteo, capitolo II, troviamo che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e che c’è un solo Dio e un solo mediatore fra Dio e gli uomini. Dunque, le due cose vanno insieme. La volontà salvifica universale di Dio si manifesta proprio nell’universalità della mediazione di Cristo, inviato dal Padre nel mondo, per la salvezza di tutti gli uomini. Dunque, le due cose non sono per niente incompatibili; anzi, il nuovo Testamento le mette insieme.

 

D. – Al termine dei vostri lavori sarà pubblicato un documento oppure quando sarà pubblicato?

 

R. – Bene, non sono un profeta. Siamo ancora in fase di studio, ma speriamo che in breve questo documento possa vedere la luce. Non siamo ancora arrivati alla fine.

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CITTADINANZA MONDIALE, CAPITALE SOCIALE GLOBALE,

 AUTORITA’ POLITICA SOVRANAZIONALE:

TRE PISTE DI RIFLESSIONE ALLA LUCE DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA,

 PROPOSTE DAL CARDINALE  MARTINO STAMANI ALL’APERTURA

 DELL’ANNO  ACCADEMICO  DELL’INSTITUT  CATHOLIQUE  DI  PARIGI

- A cura di Paolo Scappucci -

 

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La luce del Vangelo è ancora il principale motore per lo sviluppo umano, non solo nelle relazioni personali e sociali, ma anche a livello internazionale e mondiale. Questa la convinzione del presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, cardinale Martino, che ha inaugurato stamani l’Anno Accademico dell’Institut Catholique di Parigi, parlando alla Facoltà di Scienze Sociali del prestigioso ateneo su: “Letture e interpretazioni delle relazioni internazionali contemporanee” alla luce della dottrina sociale della Chiesa.

 

Rifacendosi al Compendio della dottrina sociale della Chiesa, dopo averne ricordati i quattro principi fondamentali – dignità e libertà della persona umana, bene comune, sussidiarietà e solidarietà – il porporato si è soffermato su tre  concetti innovativi di tale dottrina, offerti come piste di riflessione a docenti e studenti con particolare riferimento al panorama internazionale attuale.

 

Anzitutto il concetto di cittadinanza mondiale, che viene prima di ogni cittadinanza legale nazionale e costituisce un patrimonio di diritti e doveri di cui è dotata ogni persona in forza della semplice appartenenza all’unica famiglia umana. Secondo il cardinale Martino, la condanna del razzismo, la tutela delle minoranze, l’assistenza ai profughi e ai rifugiati, la mobilitazione della solidarietà internazionale nei confronti di tutti i bisognosi, indipendentemente dal fatto se siano cittadini o meno di uno Stato, non sono che applicazioni del principio della cittadinanza mondiale.

 

Poi il concetto di capitale sociale globale. Gli studiosi oggi sono d’accordo che il capitale sociale, cioè la fiducia reciproca, la collaborazione, la solidarietà, la condivisione di valori comuni, la reciprocità nei rapporti, costituisce la principale risorsa di una comunità. Il presidente di Giustizia e Pace ha sostenuto che il concetto di capitale sociale va esteso a livello globale, come principale risorsa della comunità mondiale. Ed ha aggiunto che l’avvio – anche se contrastato – della Corte penale internazionale, il processo di consolidamento di un “diritto europeo”, i numerosi casi di leggi di uno Stato che acquistano valore dentro i confini di un altro, norme e sanzioni imposte da Organismi internazionali, l’aumento di Trattati sottoscritti da molti Stati sono esempi di un percorso che va sorretto e indirizzato verso una collaborazione regolata dal diritto e orientata al bene comune.

 

Infine, la ribadita necessità di un’autorità politica mondiale, giacchè oggi nessun singolo potere nazionale, per quanto potente e forte, è in grado di porre da solo le basi per la pace mondiale e il bene comune universale. Non si tratta di scrivere la costituzione di un super-Stato mondiale e sarebbe erroneo  interpretare l’ONU in questo senso. Non si tratta nemmeno di mettersi a tavolino per preparare uno schema astratto di regole coercitive, ma piuttosto di continuare e approfondire un processo di costruzione partecipata di livelli trasparenti  e sussidiari di autorità.

 

Questa sera il cardinale Martino, nella sede parigina dell’UNESCO, parlerà sul tema: “L’amore del prossimo al cuore della dottrina sociale della Chiesa”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino della Chiesa in Oceania.

 

Servizio estero - Medio Oriente: territori autonomi palestinesi sull'orlo della guerra civile. Avviata la difficile missione del segretario di Stato USA nella regione.

 

Servizio culturale - La conferenza stampa in merito alla mostra su “L'Osservatore Romano”.

Per l’“Osservatore libri” un articolo di Marco Testi dal titolo “I veri valori sono sempre attuali”: “Prima che faccia notte”, racconti e scritti (alcuni inediti) di Clive Staples Lewis

 

Servizio italiano - In rilievo i temi della finanziaria e dell'immigrazione.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

3 ottobre 2006

 

 

L’APPELLO DEL PAPA PER LA CONVIVENZA TRA CRISTIANI E MUSULMANI IN IRAQ,

UN BALSAMO PER LE FERITE DI UN PAESE CHE CHIEDE AIUTO AL MONDO.

- Intervista con Younis Tawfik -

 

Domenica scorsa, all’Angelus, la voce di Benedetto XVI si è levata per auspicare che la guerra in Iraq non indebolisca i rapporti tra cristiani e musulmani. Intanto le cifre della tragedia aumentano di giorno in giorno. Nove marines americani sono morti in azione nelle ultime ore, ma colpisce il numero agghiacciante di morti violente, soprattutto tra i civili: 1089 nel mese di settembre, più del mese di luglio che ebbe un bilancio di 1.065. In queste cifre fornite due giorni fa dal governo di Baghdad è racchiusa la tragedia di un Paese i cui abitanti vivono costantemente nella paura. Il giornalista e scrittore iracheno, Younis Tawfik, racconta come sia stato accolto l’appello del Papa in un Paese che cerca aiuto e vie d’uscita. L’intervista è di Alessandro De Carolis:

 

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R. – In questo silenzio assoluto nella sfera internazionale degli ultimi tempi, l’appello del Papa arriva come una cura per una ferita che sta diventando sempre più profonda e dolorosa. Credo che questo appello venga da una lunga tradizione della Chiesa, soprattutto nel solco tracciato da Papa Wojtyla, perché Papa Benedetto XVI ne riprende il discorso e fa un auspicio ancora più preciso, riferendosi a questo vincolo, del quale io stesso ne sono testimone, perché sono nato e cresciuto nell’antica Ninive, oggi Mosul, e posso testimoniare di aver sempre vissuto in grande armonia con la comunità cristiana della mia città. Questo vincolo di amicizia fra iracheni musulmani e cristiani deve essere un vincolo che costituisca sempre un muro contro la violenza e il terrorismo.

 

D. – E’, quindi, possibile dire che questi anni di guerra non hanno messo in crisi i rapporti tra cristiani e musulmani in Iraq, ma ne hanno rafforzato in qualche modo la solidarietà?

 

R. – Questo sì. Anche perché oggi tutti gli iracheni sono nel mirino del terrorismo e tutti insieme stanno cercando una via di uscita. Purtroppo c’è stata una emorragia di cristiani che in questi anni hanno abbandonato l’Iraq, ma ci sono anche musulmani che sono stati costretti ad abbandonare il loro Paese a causa del terrorismo.

 

D. – Ecco, parliamo a questo punto di chi è rimasto in Iraq. Baghdad e le altre città sono teatro di carneficine quotidiane, ci si alza al mattino senza sapere se la sera si riuscirà a tornare a casa vivi. Come si fa a coltivare la speranza in questa situazione?

 

R. – Quando si arriva a toccare il fondo, come sta purtroppo succedendo adesso in Iraq, nei rifugi, nei sotterranei, nella paura stessa si crea solidarietà tra gli “sconfitti”. Si vede già adesso, perché ci sono incontri e tentativi per cercare di uscire insieme da questo labirinto. La speranza che rimane è che in questi mesi il governo di al Maliki riesca a dare una svolta.

 

D. – Spesso, soprattutto sui media occidentali si parla dei morti dell’Iraq, ma poco invece dei vivi. Di che cosa hanno bisogno oggi quelli che vivono in Iraq?

 

R. – Quello che ha danneggiato maggiormente l’Iraq è stato il dopoguerra. Un popolo che si è ritrovato da un giorno all’altro senza più sicurezza, senza più sussidi, senza più stipendi. I vivi hanno bisogno anzitutto della sicurezza, hanno bisogno di vivere in condizioni migliori di quelle nelle quali vivevano prima: non c’è da stupirsi se la maggioranza degli iracheni oggi dice “rivogliamo Saddam”. Non è giusto che si arrivi a questo, dopo anni di dittatura e dopo che per anni hanno sempre sperato di riuscire a liberarsi da questa dittatura. Tornare a sperare in un ritorno di Saddam significava che abbiamo fallito veramente tutto. Io non dimenticherò mai l’abbraccio del Santo Padre all’ambasciatore iracheno, quando eravamo alla presenza del Papa, così come l’appello di domenica scorsa all’Angelus. E’ ora che la comunità internazionale ed i governi europei prendano delle iniziative, dando più speranza a livello materiale  ma anche morale al popolo iracheno.

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IN BRASILE IL PRESIDENTE USCENTE, INACIO LULA DA SILVA,

E IL SOCIAL DEMOCRATICO, GERALDO ALCKMIN, SI PREPARANO AL BALLOTTAGGIO

DEL PROSSIMO 29 OTTOBRE.

- Ai nostri microfoni, il vescovo ausiliare di São Paulo, mons. Odilo Pedro Scherer -

 

In Brasile, il presidente uscente, Inacio Lula da Silva, si è detto “onorato” per gli oltre 46 milioni di voti ricevuti domenica scorsa alle presidenziali e ha invitato il suo rivale, il socialdemocratico Geraldo Alckmin, ad un dibattito televisivo. Per vincere, i due aspiranti presidenti dovranno cercare di conquistare, al ballottaggio del prossimo 29 ottobre, nuovi elettori tra le 9 milioni di preferenze raccolte complessivamente dai candidati Heloísa Helena  e Cristovam Buarque. Si tratta di due ex membri del Partito dei lavoratori di Lula, che essendosi piazzati al terzo e al quarto posto, diventano adesso l’ago della bilancia elettorale. Ma perché Lula non è riuscito ad ottenere una vittoria, data per scontata dai sondaggi? Silvonei Protz, del Programma Brasiliano della nostra emittente, lo ha chiesto al vescovo ausiliare di São Paulo e segretario della Conferenza episcopale del Paese, mons. Odilo Pedro Scherer:

 

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R. - Gli elettori si sono mostrati un po’ più esigenti nei confronti della politica dei candidati, delle proposte. Tutte le denunce di corruzione, negli ultimi mesi, hanno lasciato un segno nell’opinione pubblica. Tutti i fatti che, hanno coinvolto il partito del presidente Lula, hanno riguardato persone a lui molto vicine. Forse, molti elettori vogliono vedere più chiaramente dove andiamo, in che modo si fa uso del potere. Un altro fatto molto grave coinvolge anche in questo caso il partito del presidente: si tratta di un dossier sugli avversari del presidente Lula e, in particolare, dei candidati al governo dello Stato di San Paolo e del candidato al Governo federale. Un dossier che si è dimostrato essere falso; molti elettori si sono veramente interrogati su cosa significhi questo. Ci sono ancora molti dubbi quindi, a nostro parere. E’ molto positivo l’essere andati ad un secondo turno in modo tale da poter fare, nelle prossime settimane, un grande dibattito nazionale tra i due candidati, tra le due proposte, affinché gli elettori possano scegliere con molta più informazione e con coscienza più chiara sui fatti e sui candidati.

 

D. – La Chiesa in Brasile si è manifestata, anche nei giorni scorsi, chiedendo un voto responsabile…

 

R. – Direi che gli elettori si sono dimostratati più maturi nel dare un voto meno “appassionato” e più cosciente. E’ stato molto importante non solo il lavoro della Conferenza episcopale che dall’aprile scorso aveva pubblicato un documento sul voto cosciente, sulla responsabilità degli elettori nella scelta dei candidati ma anche dei programmi per il futuro del Paese. Ma d’altra parte, molti movimenti, organizzazioni della società civile, hanno anche fatto il loro lavoro in questo senso e noi siamo contenti. Forse qualcosa è rimasto di tutto questo.

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LA PARROCCHIA, COMPAGNA NEL CAMMINO DELLA FEDE

- Interviste con il prof. Pier Paolo Diotallevi e il vescovo Domenico Sigalini -

 

“Patria interiore della gente”. Così, durante il suo viaggio apostolico in Baviera, Benedetto XVI aveva tratteggiato il modello della parrocchia. Recentemente, ricevendo in udienza i membri del Pontificio Consiglio dei Laici, riunitisi in plenaria sul tema della “parrocchia ritrovata”, il Papa aveva ribadito il concetto parlando di parrocchia come “famiglia di famiglie cristiane”, riunita e rinsaldata dal vincolo della celebrazione eucaristica. Al Convegno della Chiesa italiana che si terrà a Verona dal 16 al 20 ottobre prossimo, con la presenza di Benedetto XVI in programma per il 19, la parrocchia sarà uno dei temi di confronto tra i partecipanti. Luca Collodi ne ha parlato con il prof. Pier Paolo Diotallevi, docente di sociologia all’Università di Bologna e all’Università di Roma Tre:

 

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R. – Quello della parrocchia italiana è uno stato non di piena salute. E’ una realtà sociale profondamente toccata dalle trasformazioni ma contemporaneamente dobbiamo dire che il tessuto parrocchiale italiano è in una splendida salute se confrontato con altri Paesi e di notevole salute se confrontato con le altre istituzioni sociali territoriali basate sostanzialmente sul volontariato e di gran lunga la più importante delle istituzioni religiose presenti nella nostra società senza comparabilità con la presenza di altre, eppure importanti, esperienze, ma che non hanno il radicamento e la profondità storica e la vitalità della parrocchia italiana.

 

D. – Professor Diotallevi, molti si allontanano dalla parrocchia perché la ritengono spesso troppo rigida sul tema della formazione e della morale cattolica ma anche sul piano dell’accoglienza …

 

R. – Difficile nella propria vita fare sintesi tra fede e vita. Non dobbiamo scandalizzarci della difficoltà nel cammino cristiano dei Santi, figuriamoci di noi, persone normali. C’è stato un periodo in cui forse noi abbiamo sottovalutato l’importanza delle opere sociali della parrocchia, dallo sport a - primaria tra tutte - il servizio ai poveri. Noi, certe volte, abbiamo concesso qualcosa all’idea secondo la quale questi erano mezzi per avvicinare ad altro: posto, come ricordava il Papa, che il centro della parrocchia è la celebrazione eucaristica, là dove si manifesta solidarietà con gli uomini e le donne concrete di qualsiasi età, dallo sport al servizio ai poveri, non è che si fa qualcosa di secondario, ma si vive quell’amore che viene generato dall’Eucaristia. E’ anche bello vedere come, in persone che al momento non praticano sia vivo il ricordo e l’esperienza positiva fatta in parrocchia. Il problema è che quando - e a tutti noi capita – emergono nella vita difficoltà, la Chiesa non deve scandalizzarsi ma deve aprirsi e deve discuterne, illuminarle, far vedere che il Vangelo non è che si adatta con qualsiasi comportamento ma è innanzitutto misericordia. Quando questo manca, piano piano, ci si chiude nei propri pregiudizi e ci si sente, magari anche a torto, rifiutati.

 

Al prossimo Convegno ecclesiale di Verona, la parrocchia sarà al centro della riflessione della Chiesa italiana. Abbiamo chiesto a mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e presidente del Centro di orientamento pastorale della Conferenza episcopale italiana, come potrà cambiare questo centro di aggregazione spirituale che è la parrocchia:

 

R. – Secondo me, la prima scelta che la parrocchia deve fare è quella di aprire il campo e l’orizzonte dei suoi destinatari. La tendenza, invece, è sempre quella di raggiungere le persone che sono praticanti e quindi, come si suol dire, “la cura di quelli che già credono”.

 

D. – Non è limitativo questo rispetto a chi non crede, che magari può avere nella parrocchia un’occasione di scoperta del proprio senso religioso, mons. Segalini?

 

R. – Esatto. Allora dobbiamo fare assolutamente questo salto dalla “cura” di chi crede alla cura invece di chi ha dentro questo sussurro nella propria vita che lo porta ad approfondire le sue domande. Magari non decide di andare a Messa però coglie che lì c’è una comunità che sta misurandosi sulle domande serie e profonde dell’uomo, sul senso della vita, sul futuro, sulla possibilità della pace. Credo che la parrocchia debba fare questo come salto di qualità.

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CHIESA E SOCIETA’

3 ottobre 2006

 

 

“ROMPERE GLI INDUGI E TORNARE A CAMMINARE VERSO LA PACE”: È L’APPELLO

DELLA CONFERENZA DEI VESCOVI E DEGLI ULEMA DI MINDANAO,

 NEL SUD DELLE FILIPPINE, CHE IL PROSSIMO 9 E 10 OTTOBRE SI RIUNIRANNO

A DAVAO PER TROVARE UNA VIA DI RICONCILIAZIONE FRA IL GOVERNO

 E I MILITANTI DEL “MORO ISLAMIC LIBERATION FRONT”

 

DAVAO. = Rompere l’empasse in cui si trova il processo di pace fra governo filippino e il gruppo guerrigliero del “Moro Islamic Liberation Front” (MILF) e tornare a incamminarsi sulla via del riavvicinamento, del negoziato e della riconciliazione definitiva: con questo intento, la Conferenza dei vescovi e degli ulema (BUC) di Mindanao, isola meridionale delle Filippine, si riunirà il 9 e 10 ottobre prossimi a Davao per una “Consultazione di pace di tutti i leader di Mindanao”. Si tratta di una “riunione di emergenza”, ha spiegato all’agenzia Fides mons. Fernando R. Capalla, arcivescovo di Davao e coordinatore della Conferenza, insieme con il leader musulmano, Mahid Mutilan, e con il vescovo protestante, mons. Hilario Gomes. L’incontro mira a costruire una piattaforma di proposte che riscuota un appoggio trasversale da istituzioni, leader, comunità religiose, movimenti e associazioni della società civile. All’incontro sono stati invitati anche Mohagher Iqbal, uno dei leader del MILF, e Silvestre Afable, che partecipa al gruppo dei negoziati in qualità di rappresentante governativo. Il governo e il MILF non sono riusciti a trovare un accordo sulla questione del dominio ancestrale della terra, durante l’ultima sessione dei colloqui esplorativi tenutasi il 6 e 7 settembre scorsi. In un comunicato di alcuni giorni fa, la BUC ha esortato il governo e il MILF “a riprendere le trattative al più presto possibile e restaurare un dialogo pacifico e rispettoso”, notando che “il dialogo è la sola via umana per risolvere i problemi”. (R.M.)

 

 

IN UNA LETTERA PASTORALE, DAL TITOLO “UNITÀ, PACE E LIBERTÀ:

UNA RIFLESSIONE SUL PROCESSO DI RIFORMA COSTITUZIONALE”,

I VESCOVI DEL KENYA CRITICANO IL GOVERNO DEL PRESIDENTE KIBAKI

PER LA MANCATA REVISIONE DELLA CARTA FONDAMENTALE DEL PAESE

 

NAIROBI.= “A distanza di dieci anni, invece di un processo di revisione costituzionale che permetta di comprenderci e apprezzarci l’un l’altro e offra l’opportunità di perdonarci per i passati torti verso i nostri fratelli e sorelle, notiamo con preoccupazione un processo che continua a dividere, a polarizzare e ad alimentare demonizzazioni”: è quanto scrivono i vescovi del Kenya nella lettera pastorale “Unità, pace e libertà: una riflessione sul processo di riforma costituzionale”, in cui esprimono dure critiche al governo del presidente Kibaki, per non avere ancora dato al Paese una nuova Carta fondamentale. Dopo la bocciatura del progetto di riforma presentato al referendum del 21 novembre 2005, il processo di revisione costituzionale è infatti di nuovo entrato in una fase di stallo e alcuni settori politici stanno premendo per introdurre solo alcuni limitati ritocchi all’attuale Costituzione. I vescovi kenyoti rilevano “con disappunto come questa opzione sia diventata nel corso degli anni un escamotage adottato dai sia dai politici al potere, sia da quelli all’opposizione”, con l’unico obiettivo di difendere i propri interessi di parte. In una lettera pastorale diffusa il 30 agosto 2005, i presuli avevano espresso il loro complessivo sostegno al nuovo progetto, anche se con alcune riserve soprattutto circa la parte relativa ai diritti umani. In un altro documento pastorale pubblicato poco prima del voto, avevano sottolineato l’importanza dell’appuntamento referendario, un “esercizio storico, espressione della maturità della nazione”. (L.Z)

 

 

SABATO 7 OTTOBRE, LA SOLENNE CHIUSURA DEL CONCILIO PLENARIO

DELLA CHIESA DEL VENEZUELA, APERTOSI NEL 2000: “ADESSO – AFFERMA L’EPISCOPATO DEL PAESE LATINOAMERICANO – INIZIA IL CAMMINO VERSO LA COERENZA TRA QUELLO CHE LA CHIESA DESIDERA E DEVE FARE E CIÒ CHE CIASCUN CATTOLICO DEVE ASSUMERE COME COMPORTAMENTO PERSONALE”

- A cura di Luis Badilla -

 

CARACAS. = Adesso inizia il “cammino verso la coerenza tra quello che la Chiesa desidera e deve fare e ciò che ciascun cattolico deve assumere come comportamento personale”: così, il presidente della Conferenza episcopale del Venezuela, mons. Ramón Ovidio Pérez Morales, che sabato scorso, insieme al vescovo di Ciudad Guaina, mons. Mariano José Parra Sandoval, ha presentato alla stampa il programma della solenne chiusura, il 7 ottobre, del Concilio Plenario apertosi nel 2000. I presuli hanno sottolineato come sei anni fa la Chiesa in Venezuela, con lo scopo di rinnovare l’annuncio del Vangelo, aveva deciso un lungo percorso di riflessione per migliorare la sua risposta pastorale complessiva alle sfide e ai problemi della globalizzazione e del cambiamento di molte condizioni socio-economiche ed etico-culturali nel Paese. Dal 2000, ogni anno si è svolta una “sessione”, ovvero, una serie di riunioni per approfondire diversi temi specifici della pastorale e della vita della Chiesa. Questo lavoro si è tradotto, gradualmente, nell’approvazione di 16 documenti, che il 7 ottobre, dopo il beneplacito della Sede Apostolica, saranno promulgati e pubblicati. Mons. Pérez Morales e mons. Parra Sandoval hanno sottolineato, infine, il particolare interesse con cui sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno seguito l’evolversi di questo evento ecclesiale. Dimostrazione dell’attenzione della Santa Sede, hanno aggiunto, è la nomina, il 10 agosto scorso, di un inviato speciale del Santo Padre, nella persona del cardinale Jorge Arturo Medina Estévez, che presiederà l’atto conclusivo nel Parco delle Nazioni Unite della capitale.

 

 

ASSEGNATO QUESTA MATTINA A STOCCOLMA IL NOBEL 2006 PER LA FISICA

AGLI SCIENZIATI AMERICANI, JOHN MATHER E GEORGE SMOOT,

AUTORI DI UN IMPORTANTE STUDIO SULLE ORIGINI DELL’UNIVERSO

- A cura di Vincenzo Lanza -

 

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STOCCOLMA. = Il Premio Nobel in Fisica è stato attributo quest’anno dall’Accademia svedese delle Scienze ai due scienziati americani, John Mather, del Centro di volo spaziale Goddard della Nasa, e a George Smoot, dell’Università californiana di Berkeley. Il direttore dell’Accademia delle scienze ha motivato il Premio a Mather e Smoot per la loro scoperta del corpo nero e l’anisotropia della radiazione nell’ambiente delle microonde cosmiche: in pratica, per la loro ricerca che guarda al passato, fino all’infanzia dell’universo, e tenta di acquisire qualche ulteriore informazione sull’origine delle galassie e delle stelle. La loro ricerca è basata su misure effettuate con l’aiuto del satellite Kobe, lanciato dall’agenzia spaziale Nasa il 18 novembre 1989. Kobe ha anche avuto il compito di individuare piccolissime variazioni di temperature in differenti direzioni nelle radiazione dell’ambiente cosmico. Tali variazioni di temperature ci mostrano in che modo la materia nell’universo abbia iniziato ad aggregarsi, cosa che è stata necessaria per lo sviluppo delle galassie, delle stelle e, infine, degli esseri viventi come noi. Senza questo meccanismo, la materia avrebbe assunto forme completamente diverse, dispersa uniformemente nell’universo.

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L’INDUSTRIA DELLE ARMI IN EUROPA E NORD AMERICA AGGIRA I CONTROLLI E VENDE

A PAESI SOTTO EMBARGO: È QUANTO DENUNCIANO DIVERSE ORGANIZZAZIONI

 INTERNAZIONALI, CHE IN UN RAPPORTO DELLA CAMPAGNA “CONTROL ARMS”

AVVERTONO: “OCCORRE UN NUOVO QUADRO GIURIDICO ADATTO

 ALLA SOCIETÀ GLOBALIZZATA”

- A cura di Roberta Moretti -

 

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ROMA.= Ogni anno, il mercato delle armi ammonta a più di mille miliardi di dollari, pari a circa 15 volte la somma globalmente stanziata in aiuti e cooperazione internazionale: è quanto emerge nel nuovo Rapporto della campagna Control Arms, lanciata nel 2003 da Oxfam International, Amnesty International e Iansa, la rete internazionale d’azione sulle armi leggere. Il Rapporto, intitolato “Armi senza frontiere”, denuncia come la globalizzazione dell’industria delle armi abbia aperto ampie scappatoie nelle norme che regolano l’esportazione, consentendo vendite verso chi viola i diritti umani e verso Paesi sotto embargo.“L’Europa e il Nordamerica stanno rapidamente diventando l’Ikea dell’industria delle armi, fornendo singoli componenti a chi viola i diritti umani, che poi se li assemblea a casa propria”: è l’efficace metafora utilizzata dal direttore di Oxfam International, Jeremy Hobbs, per spiegare l’ormai consolidata pratica, messa in atto da aziende statunitensi, canadesi e dell’Unione Europea, di aggirare i controlli, attraverso la vendita di singoli componenti e il subappalto della produzione ad altri Paesi, come Cina, Egitto, India, Israele e Turchia. Le armi, riassemblate, vengono poi vendute a Paesi terzi, come la Colombia, il Sudan e l’Uzbekistan, dove vengono utilizzate per uccidere e costringere la popolazione civile alla fuga. Un esempio: l’Unione Europea ha in vigore un embargo sulle armi nei confronti della Cina; gli Stati Uniti e il Canada rifiutano di vendere elicotteri a Pechino. Eppure, il nuovo elicottero d’attacco cinese Z-10 non potrebbe volare senza componenti e tecnologia di un’industria italo-britannica, di una canadese, di una statunitense e di una franco-tedesca. La Cina, a sua volta, ha già venduto elicotteri d’attacco a svariati Paesi, tra cui il Sudan, contro cui vige un embargo totale sulle armi dell’Unione Europea e uno parziale dell’ONU. Tutto questo rende evidente la necessità di norme globali per regolare un’industria sempre più globalizzata, che provoca ogni anno 300 mila morti. “E’ giunto il momento – ha dichiarato Jeremy Hobbs – di adottare un Trattato sul commercio delle armi”.

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DA IERI A ROMA, FINO AL 22 OTTOBRE, IL 66.MO CAPITOLO GENERALE DELL’ORDINE

OSPEDALIERO DEI FATEBENEFRATELLI, SUL TEMA: “PASSIONE PER L’OSPITALITA’

DI SAN GIOVANNI DI DIO OGGI NEL MONDO”

 

ROMA. = “Passione per l’ospitalità di San Giovanni di Dio oggi nel mondo”: con questo tema, ha preso il via ieri a Roma, fino al 22 ottobre, il Capitolo Generale dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, detto dei Fatebenefratelli. Come riferisce l’agenzia Fides, durante la prima settimana del Capitolo, i superiori provinciali esamineranno i temi attinenti la vita dell’Ordine, come la pastorale vocazionale, la formazione e il rapporto delle diverse comunità con il centro. La seconda settimana, a cui parteciperà anche un collaboratore per ogni provincia, sarà invece dedicata alla missione, mentre la terza all’elezione del nuovo “governo” dell’Ordine e alle decisioni finali. Il 18 ottobre, inoltre, i partecipanti al Capitolo incontreranno il Santo Padre alla consueta Udienza Generale del mercoledì. Nato in Spagna nella prima metà del XVI secolo, l’Ordine deve il suo nome all’invito che il fondatore, il laico san Giovanni di Dio, rivolgeva ai suoi primi seguaci: “Fate del bene a voi stessi! Fate bene fratelli”. I Fatebenefratelli operano nel campo della sanità e del sociale, dedicandosi all’assistenza dei malati e dei bisognosi. L’Ordine è attualmente presente in 50 Paesi, diviso in 23 province con circa 400 opere apostoliche. (A.S.)

 

 

I 145 ANNI IN EDICOLA DELL’OSSERVATORE ROMANO RACCONTATI IN UNA

MOSTRA, DAL 25 OTTOBRE A ROMA A PALAZZO VALENTINI

- A cura di Tiziana Campisi -

 

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ROMA.= Era il primo luglio del 1861, quando l’Osservatore Romano arrivò in edicola. Da allora il quotidiano stampato in Vaticano, ma non organo ufficiale della Santa Sede, ha raccontato la vita della Chiesa, l’attività dei Papi, la cronaca internazionale. Una mostra, in programma dal 25 ottobre al 10 novembre a Roma, a Palazzo Valentini, sede della Provincia, ne racconta i 145 anni di storia. Saranno 30 pannelli ad illustrare il periodo di 10 Pontificati - da Pio IX a Benedetto XVI - e dieci direzioni. All’inizio erano solo quattro pagine, che uscivano da una tipografia di Piazza Santi Apostoli. Poi, ad acquistare il quotidiano fu Leone XIII. “La mostra – ha detto il curatore, Marco Impagliazzo, professore di storia contemporanea all’Università per stranieri di Perugia – ha come filo conduttore la pace. Per questo, in esposizione ci saranno quelle pagine che hanno condannato le due guerre mondiali, i regimi totalitari, l’antisemitismo e il razzismo”. “L’unico giornale libero in lingua italiana durante il fascismo – ha detto il cardinale Jean-Louis Tauran, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa – ha smascherato le calunnie contro Roma e i diversi Pontificati, ha enunciato i principi della religione cattolica e della giustizia, difendendo le cause dei poveri. E oggi, grazie ai nuovi mezzi della tecnica, può crescere ancora, come voce della Chiesa, nel mondo della comunicazione”.

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24 ORE NEL MONDO

3 ottobre 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Si riaccendono i timori, nella comunità internazionale, per il programma nucleare nordcoreano: il governo di Pyongyang ha annunciato infatti che condurrà un nuovo test atomico. Il ministro degli Esteri nordcoreano ha garantito che saranno rispettate “le massime condizioni di sicurezza”. L’agenzia ufficiale del Paese asiatico ha poi aggiunto che la Corea del Nord continuerà ad impegnarsi per la denuclearizzazione della penisola. Ma la decisione nordcoreana di effettuare il test missilistico può destabilizzare ulteriormente il mondo sul fronte nucleare? Salvatore Sabatino lo ha domandato al presidente dell’Istituto affari internazionali, Stefano Silvestri:

 

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R. – La situazione coreana presenta qualche piccolo vantaggio rispetto alla situazione iraniana, perchè c’è una cooperazione regionale importante, con la Cina in particolare, oltre che con la Russia. Questa cooperazione permette di sperare in alcuni progressi negoziali in futuro.

 

D. – Però nella stessa area c’è anche il Giappone, che ha già annunciato che non perdonerebbe Pyongyang in caso di test atomico. Quali sono le prospettive che potrebbero aprirsi?

 

R. – Il grande rischio è che il Giappone faccia lui stesso una scelta nucleare. E’ una cosa di cui si parla da molti anni. L’orientamento della classe politica giapponese è lentamente cambiato: da una linea totalmente antinucleare, il Giappone è passato ad una posizione più possibilista. A me sembra, comunque, ancora essenzialmente un’affermazione per favorire una posizione negoziale dura, una posizione comune. Ma bisogna fare attenzione perché si potrebbero pagare questo tipo di scelte.

 

D. – Su una cosa non ci sono dubbi, la Corea del Nord si innesta in un contesto già caldo, dopo le posizioni sul nucleare espresse dall’Iran: non c’è qualche tipo di collegamento tra queste due realtà?

 

R. – Il collegamento è soprattutto storico, perchè ambedue queste realtà hanno avuto a che fare con quell’insieme di reti e di rapporti che ha portato alla bomba in Pakistan e da lì all’aumento della proliferazione nucleare nel mondo. Ma, attualmente, credo che l’unico vero collegamento sia il fatto che ambedue questi problemi vedano al centro la necessità di prese di posizioni e di impegni americani.

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La Francia ha respinto la proposta di compromesso avanzata dall’Iran sul proprio programma nucleare. Il Ministero degli esteri di Parigi ha spiegato che qualsiasi proposta per risolvere la questione dell’arricchimento dell’uranio deve essere discussa con il rappresentante per la Politica estera dell’Unione Europea, Javier Solana. Il vicedirettore dell’agenzia atomica iraniana aveva precedentemente proposto alla Francia di creare un consorzio per il trattamento dell’uranio in  territorio iraniano.

 

Il ministro degli Esteri sudcoreano, Ban Kimoon, diventerà molto probabilmente il prossimo segretario generale dell'ONU. La sua nomina non è ancora ufficiale ma Ban ha già ottenuto l’appoggio dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Commentando l’esito delle votazioni orientative, il ministro sudcoreano ha detto di essere “onorato del risultato ottenuto” e di avvertire “un forte senso di responsabilità per l’incarico in difesa della pace mondiale e dei diritti umani”.

 

Nei Territori palestinesi, non si allenta la tensione tra sostenitori dei partiti di Hamas e Fatah, dopo gli scontri che negli ultimi due giorni hanno causato 12 morti: le Brigate Martiri di al Aqsa, gruppo armato legato a Fatah, ha minacciato di uccidere alcuni dirigenti di Hamas. Intanto, un’incursione israeliana nella parte meridionale di Gaza ha provocato la morte di una persona.

 

Appare sempre più intricata anche la crisi diplomatica tra Russia e Georgia, innescata dopo l’arresto, da parte delle autorità georgiane, di 4 militari russi accusati di spionaggio: il governo di Mosca - ha infatti dichiarato il ministro degli Esteri russo - non ha intenzione di togliere l’embargo imposto alla Georgia. Ma perché i governi di Mosca e Tbilisi non riescono ad aprire, in questa fase, un dialogo costruttivo? Risponde, al microfono di Giancarlo La Vella, il vicedirettore di Famiglia Cristiana, Fulvio Scaglione:

 

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R. – Ci sono delle vecchie questioni pregresse, come la successione dell’Abkhazia che fu a suo tempo, manifestatamene appoggiata dalla Russia contro la Georgia. Poi ci sono nuove tensioni. C’è, per esempio, il tentativo della Georgia di avvicinarsi a tappe rapidissime, quasi forzate sia alla Nato, sia all’Unione Europea, dopo essersi avvicinata moltissimo agli Stati Uniti. C’è tutta la politica degli oleodotti. Non dimentichiamo che per la Georgia passa un oleodotto importantissimo: parte dall’Azerbaijan, passa per la Georgia e sbocca in Turchia. Questo, ovviamente, non fa molto piacere alla Russia, sia perché la Russia fa della politica energetica il suo grande obiettivo in questi anni e, in secondo luogo, perchè il tracciato di questo oleodotto è una specie di colpo di bisturi dato nel Caucaso meridionale rispetto all’influenza russa. Quindi, sono tante le questioni che ogni tanto vengono a galla prepotentemente come in questi giorni.

 

D. – C’è il rischio che Mosca perda definitivamente la sua influenza su un’area così importante come il Caucaso. Ci sono altre situazioni di emergenza?

 

R. – Sì, il Caucaso, dalla Cecenia all’Ossezia, all’Inguscezia, alla Georgia, è tutto un fermento ormai da parecchi anni, praticamente dalla distruzione dell’Unione Sovietica. Non credo che per questo si possa dire che la Russia stia perdendo influenza. Basta vedere, per esempio, i dati economici per capire che la Georgia ha una forte dipendenza economica dagli interscambi con la Russia. E poi questa battaglia per la riconquista di quello che si chiama in gergo lo spazio post sovietico, da parte del Cremlino, è una battaglia sempre in continuo divenire che ha molti fronti. Quindi, il rapporto di Mosca con lo spazio ex sovietico è molto dialettico e Mosca alterna piccoli e grandi sconfitte a vittorie. 

 

D. – Perché questo disagio delle ex Repubbliche sovietiche nei confronti di Mosca non assume la forma del dialogo?

 

R. – Perché ci sono intransigenze da parte russa. E, comunque, c’è tutto un retaggio storico. Probabilmente è troppo presto perchè si arrivi a questo confronto un po’ meno serrato, un po’ meno grintoso. E’ un problema di tutti i Paesi che hanno avuto un rapporto di sudditanza con l’Unione Sovietica e, quindi, ancor più delle Repubbliche autonome che erano in qualche modo sotto controllo di Mosca.

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In Afghanistan, due militari americani sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco con guerriglieri talebani nella provincia orientale di Kunar. In Italia, intanto, si sono tenuti in forma privata i funerali del caporal maggiore Vincenzo Cardella, morto sabato scorso a causa di lesioni riportate nell’attentato compiuto da ribelli il 26 settembre a Kabul. Nell’azione era rimasto ucciso anche il soldato Giorgio Langella.

 

La cattura del capo di Al Qaeda, Osama Bin Laden, è questione di tempo. Lo ha detto il capo di Stato americano, George Bush, aggiungendo che la rete terroristica sta per essere smantellata. Le sue dichiarazioni giungono poco dopo la pubblicazione di un rapporto dell’intelligence statunitense, secondo cui la guerra in Iraq ha provocato un aumento delle azioni terroristiche.

 

Ma non è solo il terrorismo ad alimentare timori negli Stati Uniti: il presidente americano, Bush, si è detto profondamente rattristato e addolorato per la strage avvenuta ieri in una scuola Amish in Pennsylvania, dove un uomo – probabilmente per vendetta - ha ucciso quattro bambine prima di suicidarsi. Bush ha deciso di convocare, per la prossima settimana, una conferenza ad alto livello. All’incontro, prenderanno parte esponenti delle forze dell’ordine e rappresentanti del mondo dell’educazione per cercare di capire quali iniziative possa prendere il governo per far fronte all’ondata di violenze nelle scuole.

 

Passiamo dalle violenze nella scuola Amish ad un drammatico caso di malasanità in Kazakhstan, dove è salito a sei il numero dei bambini morti di AIDS, dopo trasfusioni fatte con materiale sanitario non sterilizzato. Il Ministero della sanità kazako ha poi reso noto che altri 66 bambini - tra i due mesi e i 10 anni di età - sono risultati sieropositivi. Il bilancio rischia, purtroppo, di essere ancora più pesante: non sono ancora stati sottoposti ai test per l’AIDS più di 1.000 bambini.

 

Ancora i minori al centro di una triste storia: nello Stato orientale indiano di Orissa, dove le leggi proibiscono ai minori di partecipare alle maratone, una bambina ha corso, prima di essere fermata dalla polizia, per oltre 70 chilometri.  In un’altra corsa svoltasi, nel mese di maggio, un bambino aveva riportato gravi danni. I piccoli corridori provengono da famiglie povere che ricevono denaro per far partecipare i loro figli a lunghe maratone.

 

Restiamo in India, dove due militanti indipendentisti del Kashmir sono stati uccisi stamani da soldati durante un’operazione di rastrellamento nel villaggio di Boru. I due, nascosti in un’abitazione, hanno aperto il fuoco quando hanno visto i militari. Il Pakistan, intanto, ha accolto la proposta dell’India di riaprire i colloqui bilaterali, interrotti dopo i sanguinosi attentati terroristici dell'11 luglio scorso ai treni di Mumbai, costati la vita a 200 persone.

 

Il presidente colombiano, Alvaro Uribe, ha autorizzato l’Alto Commissario per la pace del governo a ricercare con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) “un accordo riguardante condizioni propizie per una eventuale zona di incontro”. La decisione è stata presa dopo una lettera delle FARC nella quale si offre lo scambio di una sessantina di ostaggi con centinaia di guerriglieri in carcere e si indicano le condizioni per l’apertura di una trattativa di pace.

 

Risultati definitivi delle elezioni di domenica in Bosnia: il musulmano Haris Silajdzic, il serbo Nebojsa Radmanovic e il croato Zeljko Komsic sono stati eletti alla presidenza tripartita della Bosnia. Nella ex repubblica jugoslava si è votato anche per eleggere il Parlamento centrale e le assemblee legislative della  Federazione croato-musulmana e della Republika Srpska.

 

Il Sudan continua ad essere sconvolto da scontri: almeno 40 persone sono morte, nelle ultime ore, per violenti combattimenti tra insorti appartenenti al cosiddetto “Movimento per la giustizia e l’uguaglianza” (JEM) e al sedicente “Esercito di liberazione del Sudan”. Alla base degli scontri, ci sarebbero profonde divergenze sugli accordi di pace con il governo, siglati dallo SLA e non dallo JEM.

 

In Kenya, sono sotto inchiesta, per lo scandalo denominato “Anglo Leasing”, quattro ex ministri, quattro segretari generali di Ministeri ed altri otto alti funzionari governativi. Le indagini riguardano appalti statali per circa 300 milioni di dollari per opere mai effettuate. La situazione economica, intanto, si fa sempre più difficile: la corruzione dilaga e i crediti internazionali sono bloccati.

 

 

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