RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 276 - Testo
della trasmissione di Martedì 3 ottobre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Assegnato questa mattina a Stoccolma il Nobel 2006 per la
Fisica
I 145 anni in edicola dell’Osservatore Romano
raccontati in una mostra
Crescono
i timori della comunità internazionale dopo l’annuncio della Corea del Nord di
un prossimo test nucleare
Radiogiornale
3 ottobre 2006
NOMINE
DEL PAPA IN ARGENTINA
Il Santo Padre ha nominato vescovo di Villa María, in
Argentina, mons. Angel José Rovai,
finora vescovo ausiliare di Córdoba. Mons. Angel José Rovai è nato a Córdoba, in Argentina,
il 19 ottobre
Sempre in Argentina, il Santo Padre ha accettato la rinuncia
al governo pastorale della diocesi di Puerto Iguazú presentata da
mons. Joaquín Piña Batllevel,
della Compagnia di Gesù, per raggiunti limiti di età. Il Papa ha nominato nuovo vescovo di Puerto Iguazú mons. Marcelo Raúl Martorell,
finora parroco del Sacro Cuore Eucaristico di Gesù in Córdoba.
Mons. Marcelo Raúl Martorell è nato il 1° marzo
1945 nella città di Salta. E’ stato ordinato sacerdote il 29 giugno
SICUREZZA,
SVILUPPO E SFIDE UMANITARIE: LE MANCATE RIFORME MINACCIANO
IL BENESSERE
DELL’INTERA UMANITA’
INTERVENTO
DELL’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE ALL’ONU
Riforma delle Nazioni Unite, armamenti, prevenzione dei
conflitti, emergenze umanitarie, aids: sono i temi a cuore della Santa Sede,
evidenziati dall’arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente presso
l’ONU, nel suo intervento ieri all’Assemblea generale. Il servizio di Roberta Gisotti
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Proseguire nel processo di riforma
dell’ONU, perché, “a dispetto dei progressi fatti, molto lavoro resta da fare in diversi ambiti”: è il commento di mons. Migliore
al rapporto del segretario generale uscente, Kofi Annan, di cui ha lodato gli sforzi in tal senso. In accordo
con la sua visione generale dei problemi, in particolare sull’importanza di
prevenire i conflitti e proteggere le popolazioni, ma sottolineando “la
necessità di collegare più esplicitamente e più efficacemente le aree della sicurezza
e dello sviluppo”. “La presente mancanza di progresso nei campi dell’aiuto allo
sviluppo e della riforma del commercio – ha ammonito il presule - minaccia la
sicurezza ed il benessere di tutti”.
Il rappresentante vaticano ha poi
rinnovato la condanna “per la stagnazione dei negoziati multilaterali sul
disarmo e la non proliferazione” delle armi, raccomandando anche “strategie e
programmi per ridurre la domanda di armi e la violenza armata” . Ha quindi plaudito all’istituzione di un Fondo
centralizzato per le emergenze, incoraggiando le Nazioni Unite a svolgere “un
ruolo guida nel bilanciare l’autonomia dei soggetti della società civile con la
necessità di garantire aiuto concreto ai più vulnerabili”. Riguardo infine al
dramma dell’Aids, che appare sotto controllo solo in alcuni Paesi, l’arcivescovo
Migliore ha sollecitato iniziative finalizzate verso le Nazioni più povere e
indebitate con l’estero.
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IN CORSO IN VATICANO LA PLENARIA DELLA COMMISSIONE
TEOLOGICA
INTERNAZIONALE: SI
DISCUTE SULLA SORTE DEI BAMBINI MORTI SENZA BATTESIMO
- Intervista con padre Luis
Ladaria -
Si tiene da ieri in Vaticano la
Sessione Plenaria annuale della Commissione Teologica Internazionale, presieduta dal cardinale
William Levada; dirige i lavori dell’assemblea il padre
Luis Ladaria, segretario
generale. All’ordine del giorno figura l’approfondimento di temi che da tempo
costituiscono oggetto di studio della Commissione; in particolare viene discusso il progetto di Documento sul tema della sorte
dei bambini morti senza Battesimo, nel contesto del disegno salvifico
universale di Dio, dell'unicità della mediazione di Cristo e della sacramentalità della Chiesa in ordine alla salvezza. Si
procederà quindi all’esame di una prima bozza di Documento circa il tema dell'identità
della natura e del metodo della teologia come scientia
fidei e infine si avrà un primo scambio di
opinioni sul tema dell'approfondimento dei fondamenti della legge morale
naturale, nella linea dell'insegnamento delle Lettere Encicliche di Giovanni
Paolo II, Veritatis splendor e Fides
et ratio. A padre Ladaria
Giovanni Peduto ha chiesto quale sia la dottrina
cattolica circa i bambini morti senza Battesimo:
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R. – Per la dottrina cattolica è un po’ difficile da dire,
perché su questo argomento non c’è una definizione dogmatica. Sappiamo che
durante i secoli è stata dottrina comune, ma mai definita solennemente, che
questi bambini andavano nel limbo. Questa spiegazione non sembra oggi
soddisfacente per tutti e per questo è stato chiesto alla Commissione Teologica
Internazionale di fare uno studio su questo argomento. E noi siamo ancora in
fase di studio.
D. – Come mettere insieme la volontà di Dio di salvare
tutti gli esseri umani e l’unicità della mediazione di Cristo?
R. – Queste cose non sono difficili da mettere insieme,
perché già nel Nuovo Testamento si trovano insieme. Se leggiamo la prima
lettera a Timoteo, capitolo II, troviamo che Dio vuole
che tutti gli uomini siano salvati e che c’è un solo Dio e un solo mediatore
fra Dio e gli uomini. Dunque, le due cose vanno insieme. La volontà salvifica
universale di Dio si manifesta proprio nell’universalità della mediazione di
Cristo, inviato dal Padre nel mondo, per la salvezza di tutti gli uomini.
Dunque, le due cose non sono per niente incompatibili; anzi, il nuovo
Testamento le mette insieme.
D. – Al termine dei vostri lavori sarà pubblicato un
documento oppure quando sarà pubblicato?
R. – Bene, non sono un profeta. Siamo ancora in fase di
studio, ma speriamo che in breve questo documento possa vedere la luce. Non
siamo ancora arrivati alla fine.
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CITTADINANZA MONDIALE, CAPITALE SOCIALE
GLOBALE,
AUTORITA’ POLITICA
SOVRANAZIONALE:
TRE PISTE DI RIFLESSIONE ALLA LUCE DELLA DOTTRINA SOCIALE
DELLA CHIESA,
PROPOSTE DAL
CARDINALE MARTINO
STAMANI ALL’APERTURA
DELL’ANNO ACCADEMICO DELL’INSTITUT
CATHOLIQUE DI PARIGI
- A cura di Paolo Scappucci -
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La luce del Vangelo è ancora il principale motore per lo
sviluppo umano, non solo nelle relazioni personali e sociali, ma anche a
livello internazionale e mondiale. Questa la convinzione del presidente del
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, cardinale Martino, che ha
inaugurato stamani l’Anno Accademico dell’Institut Catholique di Parigi, parlando alla Facoltà di Scienze
Sociali del prestigioso ateneo su: “Letture e interpretazioni delle relazioni
internazionali contemporanee” alla luce della dottrina sociale della Chiesa.
Rifacendosi al Compendio
della dottrina sociale della Chiesa, dopo averne ricordati i quattro
principi fondamentali – dignità e libertà della persona umana, bene comune,
sussidiarietà e solidarietà – il porporato si è soffermato su tre concetti innovativi
di tale dottrina, offerti come piste di riflessione a docenti e studenti con
particolare riferimento al panorama internazionale attuale.
Anzitutto il concetto di cittadinanza mondiale, che viene prima di ogni cittadinanza legale
nazionale e costituisce un patrimonio di diritti e doveri di cui è dotata ogni
persona in forza della semplice appartenenza all’unica famiglia umana. Secondo
il cardinale Martino, la condanna del razzismo, la tutela delle minoranze,
l’assistenza ai profughi e ai rifugiati, la mobilitazione della solidarietà internazionale
nei confronti di tutti i bisognosi, indipendentemente dal fatto se siano cittadini
o meno di uno Stato, non sono che applicazioni del principio della cittadinanza
mondiale.
Poi il concetto di capitale
sociale globale. Gli studiosi oggi sono d’accordo che il capitale sociale,
cioè la fiducia reciproca, la collaborazione, la solidarietà, la condivisione
di valori comuni, la reciprocità nei rapporti, costituisce la principale risorsa
di una comunità. Il presidente di Giustizia e Pace ha sostenuto che il concetto
di capitale sociale va esteso a livello globale, come principale risorsa della
comunità mondiale. Ed ha aggiunto che l’avvio – anche se contrastato – della
Corte penale internazionale, il processo di consolidamento di un “diritto europeo”,
i numerosi casi di leggi di uno Stato che acquistano valore dentro i confini di
un altro, norme e sanzioni imposte da Organismi internazionali, l’aumento di
Trattati sottoscritti da molti Stati sono esempi di un percorso che va sorretto
e indirizzato verso una collaborazione regolata dal diritto e orientata al bene
comune.
Infine, la ribadita necessità di un’autorità politica mondiale, giacchè oggi
nessun singolo potere nazionale, per quanto potente e forte, è in grado di
porre da solo le basi per la pace mondiale e il bene comune universale. Non si
tratta di scrivere la costituzione di un super-Stato mondiale e sarebbe erroneo interpretare l’ONU
in questo senso. Non si tratta nemmeno di mettersi a tavolino per preparare uno
schema astratto di regole coercitive, ma piuttosto di continuare e approfondire
un processo di costruzione partecipata di livelli trasparenti e sussidiari di autorità.
Questa sera il cardinale Martino, nella sede parigina
dell’UNESCO, parlerà sul tema: “L’amore del prossimo al cuore della dottrina
sociale della Chiesa”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino
della Chiesa in Oceania.
Servizio estero - Medio Oriente: territori autonomi
palestinesi sull'orlo della guerra civile. Avviata la difficile missione del segretario
di Stato USA nella regione.
Servizio culturale - La conferenza stampa in merito
alla mostra su “L'Osservatore Romano”.
Per l’“Osservatore libri” un articolo di Marco
Testi dal titolo “I veri valori sono sempre attuali”: “Prima che faccia notte”,
racconti e scritti (alcuni inediti) di Clive Staples Lewis.
Servizio italiano - In rilievo i temi della
finanziaria e dell'immigrazione.
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3 ottobre 2006
L’APPELLO
DEL PAPA PER LA CONVIVENZA TRA CRISTIANI E MUSULMANI IN IRAQ,
UN
BALSAMO PER LE FERITE DI UN PAESE CHE CHIEDE AIUTO AL MONDO.
-
Intervista con Younis Tawfik
-
Domenica scorsa, all’Angelus, la voce di
Benedetto XVI si è levata per auspicare che la guerra in Iraq non indebolisca i rapporti tra cristiani e musulmani. Intanto le
cifre della tragedia aumentano di giorno in giorno. Nove marines
americani sono morti in azione nelle ultime ore, ma colpisce il numero agghiacciante
di morti violente, soprattutto tra i civili: 1089 nel mese di settembre, più del mese di luglio
che ebbe un bilancio di 1.065. In queste cifre
fornite due giorni fa dal governo di Baghdad è racchiusa la tragedia di un
Paese i cui abitanti vivono costantemente nella paura. Il giornalista e
scrittore iracheno, Younis Tawfik,
racconta come sia stato accolto l’appello del Papa in
un Paese che cerca aiuto e vie d’uscita. L’intervista è di Alessandro De
Carolis:
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R. – In questo silenzio assoluto nella sfera
internazionale degli ultimi tempi, l’appello del Papa arriva come una cura per
una ferita che sta diventando sempre più profonda e dolorosa. Credo che questo
appello venga da una lunga tradizione della Chiesa, soprattutto nel solco
tracciato da Papa Wojtyla, perché Papa Benedetto XVI ne riprende il discorso e
fa un auspicio ancora più preciso, riferendosi a questo vincolo, del quale io
stesso ne sono testimone, perché sono nato e cresciuto nell’antica Ninive,
oggi Mosul, e posso testimoniare di aver sempre
vissuto in grande armonia con la comunità cristiana della mia città. Questo
vincolo di amicizia fra iracheni musulmani e cristiani deve essere un vincolo
che costituisca sempre un muro contro la violenza e il
terrorismo.
D. – E’, quindi, possibile dire che questi anni di guerra
non hanno messo in crisi i rapporti tra cristiani e musulmani in Iraq, ma ne
hanno rafforzato in qualche modo la solidarietà?
R. – Questo sì. Anche perché oggi tutti
gli iracheni sono nel mirino del terrorismo e tutti insieme stanno cercando una
via di uscita. Purtroppo c’è stata una emorragia di cristiani
che in questi anni hanno abbandonato l’Iraq, ma ci sono anche musulmani che
sono stati costretti ad abbandonare il loro Paese a causa del terrorismo.
D. – Ecco, parliamo a questo punto di chi è rimasto in
Iraq. Baghdad e le altre città sono teatro di carneficine quotidiane, ci si
alza al mattino senza sapere se la sera si riuscirà a
tornare a casa vivi. Come si fa a coltivare la speranza in questa situazione?
R. – Quando si arriva a toccare il fondo, come sta
purtroppo succedendo adesso in Iraq, nei rifugi, nei sotterranei, nella paura
stessa si crea solidarietà tra gli “sconfitti”. Si vede già adesso, perché ci
sono incontri e tentativi per cercare di uscire insieme da questo labirinto. La
speranza che rimane è che in questi mesi il governo di al
Maliki riesca a dare una svolta.
D. – Spesso, soprattutto sui media
occidentali si parla dei morti dell’Iraq, ma poco invece dei vivi. Di
che cosa hanno bisogno oggi quelli che vivono in Iraq?
R. – Quello che ha danneggiato maggiormente l’Iraq è stato
il dopoguerra. Un popolo che si è ritrovato da un giorno all’altro senza più
sicurezza, senza più sussidi, senza più stipendi. I vivi hanno bisogno
anzitutto della sicurezza, hanno bisogno di vivere in condizioni migliori di
quelle nelle quali vivevano prima: non c’è da stupirsi se la maggioranza degli
iracheni oggi dice “rivogliamo Saddam”. Non è giusto che si arrivi a questo,
dopo anni di dittatura e dopo che per anni hanno sempre sperato di riuscire a
liberarsi da questa dittatura. Tornare a sperare in un ritorno di Saddam
significava che abbiamo fallito veramente tutto. Io non dimenticherò mai
l’abbraccio del Santo Padre all’ambasciatore iracheno, quando eravamo alla presenza del Papa, così come l’appello di
domenica scorsa all’Angelus. E’ ora che la comunità internazionale ed i governi
europei prendano delle iniziative, dando più speranza a livello materiale ma anche morale al
popolo iracheno.
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IN
BRASILE IL PRESIDENTE USCENTE, INACIO LULA DA SILVA,
E IL
SOCIAL DEMOCRATICO, GERALDO ALCKMIN, SI PREPARANO AL
BALLOTTAGGIO
DEL PROSSIMO 29 OTTOBRE.
- Ai nostri microfoni, il vescovo
ausiliare di São Paulo, mons. Odilo Pedro Scherer -
In Brasile, il presidente
uscente, Inacio Lula da
Silva, si è detto “onorato” per gli oltre 46 milioni di voti ricevuti domenica
scorsa alle presidenziali e ha invitato il suo rivale, il socialdemocratico Geraldo Alckmin, ad un dibattito
televisivo. Per vincere, i due aspiranti presidenti dovranno cercare di
conquistare, al ballottaggio del prossimo 29 ottobre, nuovi elettori tra le 9
milioni di preferenze raccolte complessivamente dai candidati Heloísa Helena e Cristovam Buarque. Si tratta
di due ex membri del Partito dei lavoratori di Lula,
che essendosi piazzati al terzo e al quarto posto, diventano adesso l’ago della
bilancia elettorale. Ma perché Lula non è riuscito ad
ottenere una vittoria, data per scontata dai sondaggi? Silvonei
Protz, del Programma Brasiliano della nostra
emittente, lo ha chiesto al vescovo ausiliare di São
Paulo e segretario della Conferenza episcopale del Paese, mons. Odilo Pedro Scherer:
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R. - Gli elettori si sono mostrati un po’ più esigenti nei
confronti della politica dei candidati, delle proposte. Tutte le denunce di
corruzione, negli ultimi mesi, hanno lasciato un segno nell’opinione pubblica.
Tutti i fatti che, hanno coinvolto il partito del presidente Lula, hanno riguardato persone a lui molto vicine. Forse,
molti elettori vogliono vedere più chiaramente dove andiamo, in che modo si fa
uso del potere. Un altro fatto molto grave coinvolge anche in questo caso il
partito del presidente: si tratta di un dossier sugli avversari del presidente Lula e, in particolare, dei candidati al governo dello
Stato di San Paolo e del candidato al Governo federale. Un dossier che si è
dimostrato essere falso; molti elettori si sono veramente interrogati su cosa
significhi questo. Ci sono ancora molti dubbi quindi, a nostro parere. E’ molto
positivo l’essere andati ad un secondo turno in modo tale da poter fare, nelle
prossime settimane, un grande dibattito nazionale tra i due candidati, tra le
due proposte, affinché gli elettori possano scegliere con molta più informazione
e con coscienza più chiara sui fatti e sui candidati.
D. – La Chiesa in Brasile si è manifestata, anche nei
giorni scorsi, chiedendo un voto responsabile…
R. – Direi che gli elettori si sono dimostratati più
maturi nel dare un voto meno “appassionato” e più cosciente. E’ stato molto
importante non solo il lavoro della Conferenza episcopale che dall’aprile
scorso aveva pubblicato un documento sul voto cosciente, sulla responsabilità
degli elettori nella scelta dei candidati ma anche dei programmi per il futuro
del Paese. Ma d’altra parte, molti movimenti, organizzazioni della società
civile, hanno anche fatto il loro lavoro in questo senso e noi siamo contenti.
Forse qualcosa è rimasto di tutto questo.
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-
Interviste con il prof. Pier Paolo Diotallevi e il
vescovo Domenico Sigalini -
“Patria interiore della gente”. Così, durante il suo
viaggio apostolico in Baviera, Benedetto XVI aveva tratteggiato il modello
della parrocchia. Recentemente, ricevendo in udienza i membri del Pontificio
Consiglio dei Laici, riunitisi in plenaria sul tema della “parrocchia
ritrovata”, il Papa aveva ribadito il concetto parlando di parrocchia come “famiglia
di famiglie cristiane”, riunita e rinsaldata dal vincolo della celebrazione
eucaristica. Al Convegno della Chiesa italiana che si terrà a Verona dal 16 al
20 ottobre prossimo, con la presenza di Benedetto XVI in programma per il 19,
la parrocchia sarà uno dei temi di confronto tra i partecipanti. Luca Collodi
ne ha parlato con il prof. Pier Paolo Diotallevi,
docente di sociologia all’Università di Bologna e all’Università
di Roma Tre:
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R. – Quello della parrocchia italiana è uno stato non di
piena salute. E’ una realtà sociale profondamente toccata dalle trasformazioni ma contemporaneamente dobbiamo dire che il
tessuto parrocchiale italiano è in una splendida salute se confrontato con
altri Paesi e di notevole salute se confrontato con le altre istituzioni
sociali territoriali basate sostanzialmente sul volontariato e di gran lunga la
più importante delle istituzioni religiose presenti nella nostra società senza
comparabilità con la presenza di altre, eppure importanti, esperienze, ma che
non hanno il radicamento e la profondità storica e la vitalità della parrocchia
italiana.
D. – Professor Diotallevi, molti
si allontanano dalla parrocchia perché la ritengono spesso troppo rigida sul
tema della formazione e della morale cattolica ma anche sul piano
dell’accoglienza …
R. – Difficile nella propria vita fare sintesi tra fede e
vita. Non dobbiamo scandalizzarci della difficoltà nel cammino cristiano dei
Santi, figuriamoci di noi, persone normali. C’è stato un periodo in cui forse
noi abbiamo sottovalutato l’importanza delle opere sociali della parrocchia, dallo
sport a - primaria tra tutte - il servizio ai poveri. Noi, certe volte, abbiamo
concesso qualcosa all’idea secondo la quale questi erano mezzi per avvicinare
ad altro: posto, come ricordava il Papa, che il centro della parrocchia è la
celebrazione eucaristica, là dove si manifesta solidarietà con gli uomini e le
donne concrete di qualsiasi età, dallo sport al servizio ai poveri, non è che
si fa qualcosa di secondario, ma si vive quell’amore
che viene generato dall’Eucaristia. E’ anche bello
vedere come, in persone che al momento non praticano sia vivo il ricordo e
l’esperienza positiva fatta in parrocchia. Il problema è che quando - e a tutti
noi capita – emergono nella vita difficoltà,
Al prossimo Convegno ecclesiale di Verona, la parrocchia
sarà al centro della riflessione della Chiesa italiana. Abbiamo chiesto a mons.
Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e presidente del Centro di
orientamento pastorale della Conferenza episcopale italiana, come potrà
cambiare questo centro di aggregazione spirituale che è la parrocchia:
R. – Secondo me, la prima scelta che la parrocchia deve
fare è quella di aprire il campo e l’orizzonte dei suoi destinatari. La
tendenza, invece, è sempre quella di raggiungere le persone che sono praticanti
e quindi, come si suol dire,
“la cura di quelli che già credono”.
D. – Non è limitativo questo rispetto a chi non crede, che
magari può avere nella parrocchia un’occasione di scoperta del proprio senso
religioso, mons. Segalini?
R. – Esatto. Allora dobbiamo fare assolutamente questo
salto dalla “cura” di chi crede alla cura invece di chi ha dentro questo
sussurro nella propria vita che lo porta ad approfondire le sue domande. Magari
non decide di andare a Messa però coglie che lì c’è
una comunità che sta misurandosi sulle domande serie e profonde dell’uomo, sul
senso della vita, sul futuro, sulla possibilità della pace. Credo che la
parrocchia debba fare questo come salto di qualità.
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3 ottobre 2006
“ROMPERE GLI
INDUGI E TORNARE A CAMMINARE VERSO LA PACE”: È L’APPELLO
DELLA CONFERENZA DEI VESCOVI E DEGLI ULEMA DI
MINDANAO,
NEL
SUD DELLE FILIPPINE, CHE IL PROSSIMO 9 E 10 OTTOBRE SI RIUNIRANNO
A DAVAO PER TROVARE UNA VIA DI RICONCILIAZIONE FRA IL GOVERNO
E I MILITANTI DEL “MORO ISLAMIC
LIBERATION FRONT”
DAVAO. = Rompere l’empasse in cui si trova il processo di
pace fra governo filippino e il gruppo guerrigliero del “Moro Islamic Liberation Front” (MILF)
e tornare a incamminarsi sulla via del riavvicinamento, del negoziato e della
riconciliazione definitiva: con questo intento, la Conferenza dei vescovi e
degli ulema (BUC) di Mindanao,
isola meridionale delle Filippine, si riunirà il 9 e 10 ottobre prossimi a Davao per una “Consultazione di pace di tutti i leader di Mindanao”. Si tratta di una “riunione di emergenza”, ha
spiegato all’agenzia Fides mons. Fernando R. Capalla,
arcivescovo di Davao e coordinatore della Conferenza,
insieme con il leader musulmano, Mahid Mutilan, e con il vescovo protestante, mons. Hilario Gomes. L’incontro mira a
costruire una piattaforma di proposte che riscuota un
appoggio trasversale da istituzioni, leader, comunità religiose, movimenti e
associazioni della società civile. All’incontro sono stati invitati anche Mohagher Iqbal, uno dei leader
del MILF, e Silvestre Afable, che partecipa al gruppo
dei negoziati in qualità di rappresentante governativo. Il governo e il MILF
non sono riusciti a trovare un accordo sulla questione del dominio ancestrale
della terra, durante l’ultima sessione dei colloqui esplorativi tenutasi il 6 e
7 settembre scorsi. In un comunicato di alcuni giorni fa, la BUC ha esortato il
governo e il MILF “a riprendere le trattative al più presto possibile e
restaurare un dialogo pacifico e rispettoso”, notando che “il dialogo è la sola
via umana per risolvere i problemi”. (R.M.)
IN UNA LETTERA PASTORALE, DAL TITOLO “UNITÀ,
PACE E LIBERTÀ:
UNA RIFLESSIONE SUL PROCESSO
DI RIFORMA COSTITUZIONALE”,
I
VESCOVI DEL KENYA CRITICANO IL GOVERNO DEL PRESIDENTE KIBAKI
PER
LA MANCATA REVISIONE DELLA CARTA FONDAMENTALE DEL PAESE
NAIROBI.= “A distanza di
dieci anni, invece di un processo di revisione costituzionale che permetta di
comprenderci e apprezzarci l’un l’altro e offra
l’opportunità di perdonarci per i passati torti verso i nostri fratelli e
sorelle, notiamo con preoccupazione un processo che continua a dividere, a
polarizzare e ad alimentare demonizzazioni”: è quanto scrivono i vescovi del
Kenya nella lettera pastorale “Unità, pace e libertà: una riflessione sul
processo di riforma costituzionale”, in cui esprimono dure critiche al governo
del presidente Kibaki, per non avere ancora dato al
Paese una nuova Carta fondamentale. Dopo la bocciatura del progetto di riforma
presentato al referendum del 21 novembre 2005, il processo di revisione
costituzionale è infatti di nuovo entrato in una fase
di stallo e alcuni settori politici stanno premendo per introdurre solo alcuni
limitati ritocchi all’attuale Costituzione. I vescovi kenyoti
rilevano “con disappunto come questa opzione sia diventata nel corso degli anni
un escamotage adottato dai sia dai politici al potere, sia da quelli
all’opposizione”, con l’unico obiettivo di difendere i propri interessi di
parte. In una lettera pastorale diffusa il 30 agosto
2005, i presuli avevano espresso il loro complessivo sostegno al nuovo
progetto, anche se con alcune riserve soprattutto circa la parte relativa ai
diritti umani. In un altro documento pastorale pubblicato poco prima del voto,
avevano sottolineato l’importanza dell’appuntamento referendario, un “esercizio
storico, espressione della maturità della nazione”. (L.Z)
SABATO
7 OTTOBRE, LA SOLENNE CHIUSURA DEL CONCILIO PLENARIO
DELLA
CHIESA DEL VENEZUELA, APERTOSI NEL 2000: “ADESSO – AFFERMA L’EPISCOPATO DEL
PAESE LATINOAMERICANO – INIZIA IL CAMMINO VERSO LA COERENZA TRA QUELLO CHE LA
CHIESA DESIDERA E DEVE FARE E CIÒ CHE CIASCUN CATTOLICO DEVE ASSUMERE COME
COMPORTAMENTO PERSONALE”
- A
cura di Luis Badilla -
CARACAS. = Adesso inizia il “cammino verso la coerenza tra
quello che la Chiesa desidera e deve fare e ciò che ciascun cattolico deve
assumere come comportamento personale”: così, il presidente della Conferenza
episcopale del Venezuela, mons. Ramón Ovidio Pérez
Morales, che sabato scorso, insieme al vescovo di Ciudad
Guaina, mons. Mariano José Parra
Sandoval, ha presentato alla stampa il programma
della solenne chiusura, il 7 ottobre, del Concilio Plenario apertosi nel 2000.
I presuli hanno sottolineato come sei anni fa la Chiesa in Venezuela, con lo
scopo di rinnovare l’annuncio del Vangelo, aveva deciso un lungo percorso di
riflessione per migliorare la sua risposta pastorale complessiva alle sfide e
ai problemi della globalizzazione e del cambiamento di molte condizioni
socio-economiche ed etico-culturali nel Paese. Dal
2000, ogni anno si è svolta una “sessione”, ovvero, una serie di riunioni per
approfondire diversi temi specifici della pastorale e della vita della Chiesa.
Questo lavoro si è tradotto, gradualmente, nell’approvazione di 16 documenti,
che il 7 ottobre, dopo il beneplacito della Sede Apostolica, saranno promulgati
e pubblicati. Mons. Pérez Morales
e mons. Parra Sandoval
hanno sottolineato, infine, il particolare interesse con cui sia
Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno seguito l’evolversi di questo evento
ecclesiale. Dimostrazione dell’attenzione della Santa Sede, hanno aggiunto, è
la nomina, il 10 agosto scorso, di un inviato speciale del Santo Padre, nella
persona del cardinale Jorge Arturo Medina Estévez, che presiederà l’atto conclusivo nel Parco delle Nazioni
Unite della capitale.
ASSEGNATO QUESTA MATTINA A STOCCOLMA IL NOBEL 2006 PER LA FISICA
AGLI SCIENZIATI AMERICANI, JOHN MATHER E GEORGE SMOOT,
AUTORI DI UN IMPORTANTE STUDIO SULLE ORIGINI DELL’UNIVERSO
- A cura di Vincenzo Lanza -
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STOCCOLMA. = Il Premio Nobel in Fisica è stato attributo
quest’anno dall’Accademia svedese delle Scienze ai due scienziati americani,
John Mather, del Centro di volo spaziale Goddard della Nasa, e a George Smoot, dell’Università californiana di Berkeley.
Il direttore dell’Accademia delle scienze ha motivato il Premio a Mather e Smoot per la loro scoperta
del corpo nero e l’anisotropia della radiazione nell’ambiente delle microonde
cosmiche: in pratica, per la loro ricerca che guarda al passato, fino
all’infanzia dell’universo, e tenta di acquisire qualche ulteriore informazione
sull’origine delle galassie e delle stelle. La loro ricerca è basata su misure
effettuate con l’aiuto del satellite Kobe, lanciato
dall’agenzia spaziale Nasa il 18 novembre 1989. Kobe ha anche avuto il compito di individuare piccolissime
variazioni di temperature in differenti direzioni nelle
radiazione dell’ambiente cosmico. Tali variazioni di temperature ci
mostrano in che modo la materia nell’universo abbia iniziato
ad aggregarsi, cosa che è stata necessaria per lo sviluppo delle galassie,
delle stelle e, infine, degli esseri viventi come noi. Senza questo meccanismo,
la materia avrebbe assunto forme completamente diverse, dispersa uniformemente
nell’universo.
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L’INDUSTRIA DELLE ARMI IN EUROPA E NORD AMERICA AGGIRA I CONTROLLI
E VENDE
A PAESI SOTTO EMBARGO: È QUANTO DENUNCIANO DIVERSE ORGANIZZAZIONI
INTERNAZIONALI, CHE IN UN
RAPPORTO DELLA CAMPAGNA “CONTROL ARMS”
AVVERTONO: “OCCORRE UN NUOVO QUADRO GIURIDICO ADATTO
ALLA SOCIETÀ GLOBALIZZATA”
- A cura di Roberta Moretti -
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ROMA.= Ogni anno, il mercato delle armi ammonta a più di
mille miliardi di dollari, pari a circa 15 volte la somma globalmente stanziata
in aiuti e cooperazione internazionale: è quanto emerge nel nuovo Rapporto
della campagna Control Arms, lanciata nel 2003 da Oxfam International, Amnesty International e Iansa, la rete internazionale d’azione sulle armi leggere.
Il Rapporto, intitolato “Armi senza frontiere”, denuncia come la
globalizzazione dell’industria delle armi abbia aperto ampie scappatoie nelle
norme che regolano l’esportazione, consentendo vendite verso chi viola i
diritti umani e verso Paesi sotto embargo.“L’Europa e
il Nordamerica stanno rapidamente diventando l’Ikea dell’industria delle armi, fornendo singoli componenti
a chi viola i diritti umani, che poi se li assemblea a
casa propria”: è l’efficace metafora utilizzata dal direttore di Oxfam International, Jeremy Hobbs, per spiegare l’ormai consolidata pratica, messa in
atto da aziende statunitensi, canadesi e dell’Unione Europea, di aggirare i
controlli, attraverso la vendita di singoli componenti e il subappalto della
produzione ad altri Paesi, come Cina, Egitto, India, Israele e Turchia. Le
armi, riassemblate, vengono
poi vendute a Paesi terzi, come la Colombia, il Sudan e l’Uzbekistan,
dove vengono utilizzate per uccidere e costringere la popolazione civile alla
fuga. Un esempio: l’Unione Europea ha in vigore un embargo sulle armi nei
confronti della Cina; gli Stati Uniti e il Canada
rifiutano di vendere elicotteri a Pechino. Eppure, il nuovo elicottero
d’attacco cinese Z-10 non potrebbe volare senza componenti e tecnologia di
un’industria italo-britannica, di una canadese, di
una statunitense e di una franco-tedesca. La Cina, a
sua volta, ha già venduto elicotteri d’attacco a svariati Paesi, tra cui il
Sudan, contro cui vige un embargo totale sulle armi dell’Unione Europea e uno
parziale dell’ONU. Tutto questo rende evidente la necessità di norme globali
per regolare un’industria sempre più globalizzata,
che provoca ogni anno 300 mila morti. “E’ giunto il momento – ha dichiarato Jeremy Hobbs – di adottare un
Trattato sul commercio delle armi”.
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DA IERI A ROMA, FINO AL 22 OTTOBRE, IL 66.MO CAPITOLO GENERALE DELL’ORDINE
OSPEDALIERO
DEI FATEBENEFRATELLI, SUL TEMA: “PASSIONE PER L’OSPITALITA’
DI SAN
GIOVANNI DI DIO OGGI NEL MONDO”
ROMA. = “Passione per l’ospitalità di San Giovanni di Dio
oggi nel mondo”: con questo tema, ha preso il via ieri a Roma, fino al 22
ottobre, il Capitolo Generale dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio,
detto dei Fatebenefratelli. Come riferisce l’agenzia Fides, durante la prima
settimana del Capitolo, i superiori provinciali esamineranno i temi attinenti
la vita dell’Ordine, come la pastorale vocazionale, la formazione e il rapporto
delle diverse comunità con il centro. La seconda settimana, a
cui parteciperà anche un collaboratore per ogni provincia, sarà invece
dedicata alla missione, mentre la terza all’elezione del nuovo “governo”
dell’Ordine e alle decisioni finali. Il 18 ottobre, inoltre, i partecipanti al
Capitolo incontreranno il Santo Padre alla consueta Udienza Generale del
mercoledì. Nato in Spagna nella prima metà del XVI secolo, l’Ordine deve il suo
nome all’invito che il fondatore, il laico san Giovanni di Dio, rivolgeva ai
suoi primi seguaci: “Fate del bene a voi stessi! Fate bene fratelli”. I
Fatebenefratelli operano nel campo della sanità e del sociale, dedicandosi
all’assistenza dei malati e dei bisognosi. L’Ordine è attualmente presente in
50 Paesi, diviso in 23 province con circa 400 opere apostoliche. (A.S.)
I 145 ANNI IN EDICOLA DELL’OSSERVATORE ROMANO
RACCONTATI IN UNA
MOSTRA,
DAL 25 OTTOBRE A ROMA A PALAZZO VALENTINI
- A
cura di Tiziana Campisi -
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ROMA.= Era il primo luglio del 1861, quando l’Osservatore
Romano arrivò in edicola. Da allora il quotidiano stampato in Vaticano, ma non
organo ufficiale della Santa Sede, ha raccontato la vita della Chiesa,
l’attività dei Papi, la cronaca internazionale. Una mostra, in programma dal 25
ottobre al 10 novembre a Roma, a Palazzo Valentini,
sede della Provincia, ne racconta i 145 anni di storia. Saranno 30 pannelli ad
illustrare il periodo di 10 Pontificati - da Pio IX a Benedetto XVI - e dieci
direzioni. All’inizio erano solo quattro pagine, che uscivano da una tipografia
di Piazza Santi Apostoli. Poi, ad acquistare il quotidiano fu Leone XIII. “La
mostra – ha detto il curatore, Marco Impagliazzo,
professore di storia contemporanea all’Università per
stranieri di Perugia – ha come filo conduttore la pace. Per questo, in
esposizione ci saranno quelle pagine che hanno condannato le due guerre
mondiali, i regimi totalitari, l’antisemitismo e il razzismo”. “L’unico giornale
libero in lingua italiana durante il fascismo – ha detto il cardinale Jean-Louis Tauran, archivista e
bibliotecario di Santa Romana Chiesa – ha smascherato le calunnie contro Roma e
i diversi Pontificati, ha enunciato i principi della religione cattolica e
della giustizia, difendendo le cause dei poveri. E oggi, grazie ai nuovi mezzi
della tecnica, può crescere ancora, come voce della Chiesa, nel mondo della
comunicazione”.
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3 ottobre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Si riaccendono i timori, nella comunità
internazionale, per il programma nucleare nordcoreano:
il governo di Pyongyang ha annunciato infatti che condurrà un nuovo test atomico. Il ministro
degli Esteri nordcoreano ha garantito
che saranno rispettate “le massime condizioni di sicurezza”. L’agenzia
ufficiale del Paese asiatico ha poi aggiunto che la Corea del Nord continuerà
ad impegnarsi per la denuclearizzazione della
penisola. Ma la decisione nordcoreana di effettuare
il test missilistico può destabilizzare ulteriormente
il mondo sul fronte nucleare? Salvatore Sabatino lo ha domandato al presidente dell’Istituto
affari internazionali, Stefano Silvestri:
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R. – La situazione coreana presenta qualche piccolo
vantaggio rispetto alla situazione iraniana, perchè c’è una cooperazione
regionale importante, con la Cina in particolare,
oltre che con la Russia. Questa cooperazione permette di sperare in alcuni
progressi negoziali in futuro.
D. – Però nella stessa area c’è anche il Giappone, che ha
già annunciato che non perdonerebbe Pyongyang in caso
di test atomico. Quali sono le prospettive che potrebbero aprirsi?
R. – Il grande rischio è che il Giappone faccia lui stesso
una scelta nucleare. E’ una cosa di cui si parla da molti anni. L’orientamento
della classe politica giapponese è lentamente cambiato: da una linea totalmente
antinucleare, il Giappone è passato ad una posizione più possibilista. A me
sembra, comunque, ancora essenzialmente un’affermazione per favorire una posizione
negoziale dura, una posizione comune. Ma bisogna fare attenzione perché si
potrebbero pagare questo tipo di scelte.
D. – Su una cosa non ci sono dubbi, la Corea del Nord si
innesta in un contesto già caldo, dopo le posizioni sul nucleare espresse dall’Iran:
non c’è qualche tipo di collegamento tra queste due realtà?
R. – Il collegamento è soprattutto storico, perchè ambedue
queste realtà hanno avuto a che fare con quell’insieme
di reti e di rapporti che ha portato alla bomba in Pakistan e da lì all’aumento
della proliferazione nucleare nel mondo. Ma, attualmente, credo che l’unico
vero collegamento sia il fatto che ambedue questi problemi vedano al centro la
necessità di prese di posizioni e di impegni americani.
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La Francia ha respinto la proposta di compromesso avanzata
dall’Iran sul proprio programma nucleare. Il Ministero degli esteri di Parigi
ha spiegato che qualsiasi proposta per risolvere la questione
dell’arricchimento dell’uranio deve essere discussa con il rappresentante per
la Politica estera dell’Unione Europea, Javier Solana. Il vicedirettore dell’agenzia atomica iraniana
aveva precedentemente proposto alla Francia di creare
un consorzio per il trattamento dell’uranio in
territorio iraniano.
Il ministro degli Esteri sudcoreano,
Ban Kimoon, diventerà molto
probabilmente il prossimo segretario generale dell'ONU. La sua nomina non è
ancora ufficiale ma Ban ha
già ottenuto l’appoggio dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite. Commentando l’esito delle votazioni orientative, il ministro sudcoreano ha detto di essere “onorato del risultato ottenuto”
e di avvertire “un forte senso di responsabilità per l’incarico in difesa della
pace mondiale e dei diritti umani”.
Nei
Territori palestinesi, non si allenta la tensione tra sostenitori dei partiti
di Hamas e Fatah, dopo gli
scontri che negli ultimi due giorni hanno causato 12 morti: le Brigate Martiri di al Aqsa, gruppo armato legato a
Fatah, ha minacciato di uccidere alcuni dirigenti di Hamas. Intanto, un’incursione israeliana nella parte
meridionale di Gaza ha provocato la morte di una persona.
Appare
sempre più intricata anche la crisi diplomatica tra Russia e Georgia, innescata
dopo l’arresto, da parte delle autorità georgiane, di 4 militari russi accusati
di spionaggio: il governo di Mosca - ha infatti
dichiarato il ministro degli Esteri russo - non ha intenzione di togliere
l’embargo imposto alla Georgia. Ma perché i governi di Mosca e Tbilisi non riescono ad aprire, in questa fase, un dialogo
costruttivo? Risponde, al microfono di Giancarlo La Vella,
il vicedirettore di Famiglia Cristiana, Fulvio Scaglione:
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R. – Ci sono delle vecchie questioni pregresse, come la
successione dell’Abkhazia che
fu a suo tempo, manifestatamene appoggiata dalla Russia contro la Georgia. Poi
ci sono nuove tensioni. C’è, per esempio, il tentativo della Georgia di
avvicinarsi a tappe rapidissime, quasi forzate sia alla Nato,
sia all’Unione Europea, dopo essersi avvicinata moltissimo agli Stati Uniti.
C’è tutta la politica degli oleodotti. Non dimentichiamo che per la Georgia
passa un oleodotto importantissimo: parte dall’Azerbaijan,
passa per la Georgia e sbocca in Turchia. Questo, ovviamente, non fa molto
piacere alla Russia, sia perché la Russia fa della politica energetica il suo
grande obiettivo in questi anni e, in secondo luogo, perchè il tracciato di
questo oleodotto è una specie di colpo di bisturi dato nel
Caucaso meridionale rispetto all’influenza russa. Quindi, sono tante le
questioni che ogni tanto vengono a galla prepotentemente come in questi giorni.
D. – C’è il rischio che Mosca perda
definitivamente la sua influenza su un’area così importante come il Caucaso. Ci
sono altre situazioni di emergenza?
R. – Sì, il Caucaso, dalla Cecenia all’Ossezia, all’Inguscezia, alla Georgia, è tutto un fermento ormai da
parecchi anni, praticamente dalla distruzione dell’Unione Sovietica. Non credo
che per questo si possa dire che la Russia stia perdendo influenza. Basta
vedere, per esempio, i dati economici per capire che la Georgia ha una forte
dipendenza economica dagli interscambi con la Russia. E poi questa battaglia
per la riconquista di quello che si chiama in gergo lo spazio post sovietico,
da parte del Cremlino, è una battaglia sempre in continuo divenire che ha molti
fronti. Quindi, il rapporto di Mosca con lo spazio ex sovietico è molto dialettico e Mosca alterna piccoli e grandi sconfitte a
vittorie.
D. – Perché questo disagio delle ex Repubbliche sovietiche
nei confronti di Mosca non assume la forma del dialogo?
R. – Perché ci sono intransigenze da parte russa. E,
comunque, c’è tutto un retaggio storico. Probabilmente è troppo presto perchè
si arrivi a questo confronto un po’ meno serrato, un po’ meno grintoso. E’ un
problema di tutti i Paesi che hanno avuto un rapporto di sudditanza con
l’Unione Sovietica e, quindi, ancor più delle Repubbliche autonome che erano in
qualche modo sotto controllo di Mosca.
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In
Afghanistan, due militari americani sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco
con guerriglieri talebani nella provincia orientale di Kunar.
In Italia, intanto, si sono tenuti in forma privata i funerali del caporal maggiore Vincenzo Cardella,
morto sabato scorso a causa di lesioni riportate nell’attentato compiuto da
ribelli il 26 settembre a Kabul. Nell’azione era rimasto ucciso anche il
soldato Giorgio Langella.
La
cattura del capo di Al Qaeda, Osama
Bin Laden, è questione di
tempo. Lo ha detto il capo di Stato americano, George Bush,
aggiungendo che la rete terroristica sta per essere smantellata. Le sue
dichiarazioni giungono poco dopo la pubblicazione di un rapporto dell’intelligence statunitense, secondo cui
la guerra in Iraq ha provocato un aumento delle azioni terroristiche.
Ma
non è solo il terrorismo ad alimentare timori negli
Stati Uniti: il presidente americano, Bush, si è
detto profondamente rattristato e addolorato per la strage avvenuta ieri in una
scuola Amish in Pennsylvania, dove un uomo –
probabilmente per vendetta - ha ucciso quattro bambine prima di suicidarsi. Bush ha deciso di convocare, per la prossima settimana, una
conferenza ad alto livello. All’incontro, prenderanno parte
esponenti delle forze dell’ordine e rappresentanti del mondo
dell’educazione per cercare di capire quali iniziative possa prendere il governo
per far fronte all’ondata di violenze nelle scuole.
Passiamo dalle violenze nella scuola Amish ad un drammatico caso di malasanità
in Kazakhstan, dove è salito a sei il numero dei
bambini morti di AIDS, dopo trasfusioni fatte con materiale sanitario non
sterilizzato. Il Ministero della sanità kazako ha poi
reso noto che altri 66 bambini - tra i due mesi e i 10 anni di età - sono
risultati sieropositivi. Il bilancio rischia, purtroppo, di essere ancora più
pesante: non sono ancora stati sottoposti ai test per l’AIDS più di 1.000
bambini.
Ancora i minori al centro di una triste storia:
nello Stato orientale indiano di Orissa, dove le
leggi proibiscono ai minori di partecipare alle maratone, una bambina ha corso,
prima di essere fermata dalla polizia, per oltre 70 chilometri. In un’altra corsa svoltasi, nel mese di
maggio, un bambino aveva riportato gravi danni. I piccoli corridori provengono
da famiglie povere che ricevono denaro per far partecipare i loro figli a lunghe
maratone.
Restiamo in India, dove due militanti indipendentisti
del Kashmir sono stati uccisi stamani da soldati durante un’operazione di
rastrellamento nel villaggio di Boru. I due, nascosti
in un’abitazione, hanno aperto il fuoco quando hanno
visto i militari. Il Pakistan, intanto, ha accolto la proposta dell’India di
riaprire i colloqui bilaterali, interrotti dopo i sanguinosi attentati
terroristici dell'11 luglio scorso ai treni di Mumbai,
costati la vita a 200 persone.
Il presidente colombiano, Alvaro Uribe, ha autorizzato l’Alto Commissario per la pace del
governo a ricercare con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC)
“un accordo riguardante condizioni propizie per una eventuale
zona di incontro”. La decisione è stata presa dopo una lettera delle FARC nella
quale si offre lo scambio di una sessantina di ostaggi con centinaia di
guerriglieri in carcere e si indicano le condizioni per l’apertura di una
trattativa di pace.
Risultati definitivi delle elezioni di domenica in
Bosnia: il musulmano Haris Silajdzic,
il serbo Nebojsa Radmanovic
e il croato Zeljko Komsic
sono stati eletti alla presidenza tripartita della Bosnia. Nella ex repubblica
jugoslava si è votato anche per eleggere il Parlamento centrale e le assemblee
legislative della Federazione
croato-musulmana e della Republika Srpska.
Il Sudan continua ad essere sconvolto da scontri:
almeno 40 persone sono morte, nelle ultime ore, per violenti combattimenti tra
insorti appartenenti al cosiddetto “Movimento per la giustizia e l’uguaglianza”
(JEM) e al sedicente “Esercito di liberazione del Sudan”. Alla
base degli scontri, ci sarebbero profonde divergenze sugli accordi di pace con
il governo, siglati dallo SLA e non dallo JEM.
In
Kenya, sono sotto inchiesta, per lo scandalo denominato “Anglo Leasing”,
quattro ex ministri, quattro segretari generali di Ministeri ed altri otto alti
funzionari governativi. Le indagini riguardano appalti statali per circa 300
milioni di dollari per opere mai effettuate. La situazione economica, intanto,
si fa sempre più difficile: la corruzione dilaga e i crediti internazionali
sono bloccati.
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