RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 334 - Testo della trasmissione di giovedì 30 novembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Davanti al mondo cristiano d’Oriente e d’Occidente, Benedetto XVI e il Patriarca ecumenico, Bartolomeo I, si scambiano l’abbraccio di pace pregando insieme per il raggiungimento della piena comunione tra cattolici e ortodossi. Il Papa ha assistito alla Divina Liturgia nella Chiesa patriarcale di S. Giorgio a Istanbul firmando al termine la Dichiarazione congiunta con il Patriarca ortodosso: ai nostri microfoni, il prof. Andrea Riccardi, mons. Dimitri Salachas, mons. Luigi Padovese e padre Federico Lombardi

 

La Messa domenicale, segno di santità del popolo cristiano: se ne parla alla Giornata di studi annuale, indetta dal Pontificio Consiglio per il Culto divino: con noi, il cardinale Francis Arinze

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Don Andrea Santoro, un prete tra Roma e l’Oriente: un libro racconta la testimonianza del sacerdote romano, ucciso in Turchia lo scorso 5 febbraio, e ricordato dal Papa nella Messa di ieri ad Efeso: con noi il prof. Augusto D’Angelo

 

In 550 città del mondo, si celebra oggi la V Giornata internazionale contro la pena di morte: ce ne parla Mario Marazziti

 

CHIESA E SOCIETA’:

In corso alla Gregoriana di Roma la Conferenza interparlamentare su diritti umani e libertà religiosa

 

“Le vie dell’incontro, quale dialogo con i musulmani?” è il titolo del documento presentato ieri a Bolzano dai vescovi del Triveneto

 

I vescovi dell’Argentina chiedono alla Camera dei deputati del Paese di archiviare il disegno di legge che autorizza la vendita e la distribuzione gratuita della “pillola del giorno dopo”

 

Appello alla Conciliazione e al dialogo del cardinale Sandoval, presidente della Conferenza episcopale della Bolivia, di fronte al clima conflittuale vissuto nel Paese

 

Legali da oggi in Sudafrica i matrimoni omosessuali

 

Dimessa dal reparto di Terapia intensiva del Policlinico Gemelli di Roma, la fondatrice del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich

 

Pieno appoggio dell'AIEA al rilancio del negoziato sul nucleare in Corea del nord

 

E’ salito a oltre 30 morti il bilancio delle alluvioni che nell’ultimo mese hanno colpito il Kenya

 

24 ORE NEL MONDO:

Gli Stati Uniti sono pronti a cambiare strategia in Iraq. Lo ha detto il presidente Bush incontrando in Giordania il premier iracheno al Maliki

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

30 novembre 2006

 

DAVANTI AL MONDO CRISTIANO D’ORIENTE E D’OCCIDENTE,

BENEDETTO XVI E IL PATRIARCA ECUMENICO, BARTOLOMEO I,

SI SCAMBIANO L’ABBRACCIO DI PACE PREGANDO INSIEME PER IL RAGGIUNGIMENTO

DELLA PIENA COMUNIONE TRA CATTOLICI E ORTODOSSI.

IL PAPA HA ASSISTITO ALLA DIVINA LITURGIA NELLA CHIESA PATRIARCALE

 DI SAN GIORGIO A ISTANBUL, FIRMANDO AL TERMINE LA DICHIARAZIONE CONGIUNTA

CON IL PATRIARCA ORTODOSSO

- Interviste con il prof. Andrea Riccardi, mons. Dimitri Salachas, mons. Luigi Padovese

e padre Federico Lombardi -

 

Un abbraccio di pace, scambiato con calore, che rende visibile il “ponte” ecumenico tanto auspicato tra Oriente e Occidente: dalle parole ai gesti, la Divina Liturgia celebrata oggi dal Patriarca Ecumenico, Bartolomeo I, nella Chiesa di San Giorgio a Istanbul, alla presenza di Benedetto XVI, ha reso visibile quel desiderio di unità che contraddistingue il cammino attuale della Chiesa cattolica e di quella ortodossa. Particolarmente toccante il momento in cui il Papa ha recitato in lingua greca la preghiera del Padre Nostro durante la lunga e suggestiva cerimonia, contraddistinta dai tradizionali canti del rito bizantino. Al momento del suo discorso, Benedetto XVI ha affermato che le divisioni esistenti fra i cristiani sono uno “scandalo per il mondo” ed ha rinnovato l’impegno della Chiesa nel cammino verso la piena comunione: impegno sancito, verso le 12.30, dalla firma apposta in calce alla Dichiarazione congiunta.

 

Benedetto XVI era giunto al Patriarcato Ecumenico verso le nove di questa mattina, ora locale, ma già nel tardo pomeriggio di ieri le porte dell’antica sede patriarcale ortodossa si erano aperte - 27 anni dopo la visita di Giovanni Paolo II - per accogliere nuovamente un Pontefice di Roma. Il Patriarca Bartolomeo I, che aveva atteso il Papa fin dall’aeroporto di Istanbul, ha accompagnato Benedetto XVI nella chiesa patriarcale di San Giorgio, dove il Papa ha venerato le reliquie di San Gregorio di Nazianzo e di San Giovanni Crisostomo, consegnate nel 2004 da Papa Wojtyla al Patriarcato Ecumenico. Ma ritorniamo sulla lunga celebrazione che ha scandito questo terzo giorno del viaggio apostolico, nel servizio di uno dei nostri inviati a Istanbul, Sergio Centofanti:

 

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La bellezza e la solennità della liturgia ortodossa fanno intravedere i bagliori del mistero divino attraverso la ricchezza dei segni, delle immagini, delle luci, dei canti. Tutto converge verso la santità e verso l’incontro tra l’uomo e lo spirito. Il Papa assiste con grande attenzione alla Divina liturgia presieduta da Bartolomeo I; c’è il dolore di non condividere il medesimo pane e lo stesso calice: “Noi ci inchiniamo con umiltà e pentimento – ha detto il Patriarca Bartolomeo I – davanti a Nostro Signore Gesù Cristo, la cui tunica tessuta tutta d’un pezzo noi abbiamo diviso”. Ma c’è la gioia di camminare insieme nell’amore che manifesta al mondo che si è discepoli di Cristo, e c’è la gioia intensa e la gratitudine manifestata dal Patriarca Ecumenico perché il Papa è venuto qui, a visitare una Chiesa sorella, piccola per consistenza numerica ma grande in onore.

 

E’ l’amore fraterno – spiega il Pontefice nel suo discorso – che porta il Successore di Pietro nella Chiesa fondata dal fratello Andrea, l’apostolo che venne chiamato per primo da Gesù. E’ l’impegno all’unità, iniziato nel 1964 da Paolo VI e Atenagora, che rimossero – afferma il Papa – le tragiche scomuniche del 1054:

 

“The divisions which exist among Christians are a scandal to the world and…

Le divisioni esistenti tra i cristiani sono uno scandalo per il mondo ed un ostacolo per la proclamazione del Vangelo”, afferma Benedetto XVI. “Alla vigilia della propria passione e morte il Signore, attorniato dai discepoli, pregò con fervore che essi fossero uno, cosicché il mondo possa credere. E’ solo attraverso la comunione fraterna tra i cristiani e attraverso il reciproco amore che il messaggio dell’amore di Dio per ogni uomo e donna diverrà credibile”.

 

La missione evangelizzatrice, continua il Pontefice, è ancora oggi più urgente visto che anche terre cristiane come l’Europa stanno smarrendo le loro radici se addirittura non le rifiutano. Nel cammino verso l’unità con gli ortodossi, c’è in particolare il servizio universale del Successore di Pietro, l’apostolo che - nonostante la sua personale fragilità - fu chiamato ad essere la roccia sulla quale la Chiesa sarebbe stata edificata:

 

“Pope John Paul II spoke of the mercy that characterizes Peter’s service …

Giovanni Paolo II parlò della misericordia che caratterizza il servizio all’unità di Pietro, una misericordia che Pietro stesso sperimentò per primo. Su questa base, Giovanni Paolo II fece l’invito ad entrare in dialogo fraterno con lo scopo di identificare vie nelle quali il ministero petrino potrebbe essere oggi esercitato, pur rispettandone la natura e l’essenza, così da realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri. E’ mio desiderio oggi richiamare e rinnovare tale invito”.

 

Sant’Andrea - spiega ancora il Papa - ebbe un altro incarico dal Signore, quello di favorire il fruttuoso incontro tra il messaggio cristiano e la cultura ellenica. Diversi ruoli, dunque, ma una medesima missione: amare fino alla fine. E sia San Pietro che Sant’Andrea hanno subito il martirio della croce. E’ l’unità che raccoglie tanti cristiani ai piedi di Cristo crocifisso e che obbliga la Chiesa, sottolinea il Papa, a proseguire il suo pellegrinaggio tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio:

 

“For its part, the century that has just ended also saw courageous …

Anche il secolo appena trascorso ha visto coraggiosi testimoni della fede, sia in Oriente sia in Occidente. Anche oggi vi sono molti di tali testimoni in diverse parti del mondo. Li ricordiamo nella nostra preghiera e in ogni modo possibile offriamo loro il nostro sostegno, mentre chiediamo con insistenza a tutti i leader del mondo di rispettare la libertà religiosa come diritto umano fondamentale”.

 

Al termine della Divina liturgia, il Papa e il Patriarca Ecumenico hanno raggiunto il balcone del palazzo patriarcale, benedicendo in latino e in greco i fedeli presenti. Tanti gli applausi, cui hanno risposto salutando con le mani unite, levate in alto. Poi si è svolta la cerimonia della firma della Dichiarazione congiunta in cui Benedetto XVI e Bartolomeo I esprimono la gioia di sentirsi fratelli e rinnovano l’impegno in vista della piena comunione.

 

Da Istanbul, Sergio Centofanti, Radio Vaticana.

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Dopo l’abbraccio tra Paolo VI e il Patriarca Ecumenico Athenagoras, del 1964, una nuova immagine di concordia ecumenica è stata consegnata oggi alla storia del mondo cattolico e di quello ortodosso. Lo conferma il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, il prof. Andrea Riccardi, intervistato a caldo al termine della cerimonia di stamani da Sergio Centofanti:

 

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R. - Credo che sia un grande evento, perché Benedetto XVI ha affrontato con un’attitudine molto aperta, simpatica, umile, compiendo questa visita, che è un grande segno, in questa antica cattedrale, piccola: piccola, ma dalla quale si parla al mondo ortodosso.

 

D. - Che cosa dire del’immagine di Benedetto XVI e del Patriarca Bartolomeo che stringono in alto le mani unite, salutando i presenti…

 

R. - Qui siamo al Phanar, nel luogo in cui ha vissuto da sempre la comunità greca. Vedere il Papa di Roma che benedice con il Patriarca ecumenico la gente che è radunata qui, è un grande segno di speranza. Di speranza, perché si guarda insieme al futuro, e direi che c’è stata una grande accelerazione in questa unità. Il Papa si muove non solo con il passo sicuro del teologo, ma anche con l’umiltà dell’uomo di fede, in questa strada.

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Ma soffermiamoci ora sull’importanza dei contenuti dottrinali dell’incontro tra Benedetto XVI e Bartolomeo I con l’intervista di Fabio Colagrande a mons. Dimitri Salachas, consultore del Pontificio consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani, che fa parte della Commissione mista di dialogo tra cattolici ed ortodossi:

 

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R. - L’incontro di oggi è veramente storico, nella tradizione sacra dei rapporti tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli. Il Santo Padre, fin dall’inizio del suo Pontificato, ha dichiarato che l’ecumenismo, cioè la ricerca dell’unità, è una delle priorità del suo ministero. Oggi, il Santo Padre ancora una volta ha confermato questa priorità. E oggi, essa è stata anche confermata da parte del Patriarca Ecumenico. Ovviamente, il Patriarca Bartolomeo I non è il Papa della Chiesa ortodossa, quindi deve fare più fatica a coordinare questo impegno. Comunque, anche il Patriarca Ecumenico, in comunione con 16 Chiese ortodosse, ha rinnovato in questo incontro con il Papa la volontà dell’Ortodossia di continuare il dialogo teologico. Tutti e due conoscono le difficoltà, ma quello che abbiamo visto oggi era anche una testimonianza liturgica. Senza poter comunicare, senza poter concelebrare, si è trattato tuttavia di un incontro profetico, perché abbiamo pregustato ciò di cui speriamo che il Signore ci faccia la grazia: la piena comunione.

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I primi due giorni, vissuti all’insegna della cordialità e della disponibilità al confronto, hanno visto un radicale cambiamento di considerazione nei riguardi di Benedetto XVI da parte dei media turchi. “Il Papa ha conquistato il cuore della Turchia”, ha titolato oggi il Posta, il quotidiano più venduto del Paese. Notevole risalto è stato dato alla frase “Io amo i turchi”, che Benedetto XVI ha pronunciato ieri da Efeso, citando Giovanni XXIII. Su questo aspetto e sul carattere interreligioso della visita papale, si sofferma mons. Luigi Padovese, vicario apostolico d’Anatolia, intervistato dalla nostra collega della redazione polacca a Istanbul, Beata Zajaczkowska:

 

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R. - Sì, l’atteggiamento è cambiato, credo per diverse ragioni. Innanzitutto, perché ci sono stati dei contatti a livello politico, che hanno in certo modo spostato l’ago della bilancia – per così dire - dal “freddo” al “caldo”, in un atteggiamento più positivo. Poi, anche per via delle espressioni che il Santo Padre ha usato anche nei riguardi della popolazione turca, dando ad essa un riconoscimento della sua dignità, il riconoscimento della sua laicità, cioè di quei valori che veramente la Turchia possiede.

 

D. - Che significato ha per il popolo turco, Agia Sofia e la Moschea Blu? La sosta in quest’ultima è stata aggiunta all’ultimo momento…

 

R. - Sì, nel viaggio del Santo Padre ci sono state delle modifiche significative. La prima, secondo me, ha riguardato l’incontro con il prof. Bardokoglu: va inteso come una manifestazione di una volontà di dialogo, di far capire che la sua intenzione non era quella di offendere né quella di mettere in cattiva luce l’islam. Evidentemente, la visita a Santa Sofia e alla Moschea Blu sono significative. La prima, di fatto, è diventata un museo che parla di storia, quindi è un museo che raccoglie un’eredità cristiana che è stata presente per un millennio in quel luogo e al tempo stesso, la realtà di un’altra espressione religiosa come l’islam, presente per più di 400 anni. Quindi, direi che è, sì, un museo però un museo che parla al cuore dei credenti, parla al cuore di noi cristiani e parla anche al cuore dei musulmani. La visita alla Moschea Blu rientra ancora in questa volontà del Santo Padre di riconoscere delle identità religiose che hanno dei valori, perché in fondo Dio ha parlato attraverso suo Figlio Gesù Cristo, ma lo Spirito non si ferma all’interno della Chiesa ma opera anche al di là e opera tante volte prima che la Chiesa arrivi. Quindi, il riconoscimento in fondo che chi cerca Dio è sulla buona strada.

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Con gli importanti eventi succedutisi tra ieri sera e stamani, dunque, il viaggio apostolico in Turchia ha imposto un sigillo di rinnovata intesa tra l’Occidente cattolico e l’Oriente ortodosso, oltre ad aver regalato alla piccola comunità cattolica turca il conforto e la gratitudine del Papa. E gli appuntamenti del pomeriggio faranno nuovamente risaltare l’aspetto interreligioso, quando Benedetto XVI sosterà – come appena ricordato da mons. Padovese - nel Museo di Santa Sofia e, più ancora, nella Moschea Blu di Istanbul. Per una “lettura” degli ultimi avvenimenti, ecco il commento del direttore della Sala Stampa vaticana, e nostro direttore generale, padre Federico Lombardi:

 

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R. - E’ un grande evento che si colloca in una tradizione ormai consolidata degli incontri tra i Papi e i Patriarchi di Costantinopoli. Credo che sia almeno il decimo incontro tra un Papa e un Patriarca, da quando Paolo VI ha incontrato Atenagora a Gerusalemme. E quindi è ormai – possiamo dire – quasi un’abitudine. Il momento è stato molto bello e, direi, molto intenso. A parte lo splendore della grande liturgia di Sant’Andrea qui, nella cattedrale di San Giorgio, vi sono stati anche dei discorsi piuttosto ricchi di contenuto e significativi. Nel discorso del Papa, evidentemente, il punto cruciale è il rinnovo del grande invito, fatto da Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint, di cercare le vie per intendere nel modo adeguato oggi il ministero di Pietro con il ministero universale di unione, di servizio dell’unità e di misericordia: il rilancio di questo grande invito mi sembra un punto estremamente significativo. C’è stata poi anche la Dichiarazione congiunta, in cui sono stati firmati tanti argomenti, non tanto di carattere dottrinale quanto di carattere – diciamo così – pastorale e pratico sulla missione delle Chiese cristiane nel mondo di oggi. Una missione importante proprio per il servizio del Vangelo in un tempo di secolarizzazione, una missione per la conservazione e la rivivificazione delle radici cristiane dell’Europa, nell’attuale processo di unificazione del continente, e ancora un servizio per la pace, per il bene della persona umana, per tutti i grandi problemi dell’umanità di oggi. Ma anche un’attenzione specifica a conservare viva l’eredità cristiana, non solo in tutta l’Europa, ma anche e in particolare in questa terra, che ha delle radici storiche cristiane così importanti per tutti.

 

D. - La Messa ad Efeso, ieri, e la Messa nella cattedrale latina dello Spirito Santo ad Istanbul, domani, sono i due momenti forti della dimensione pastorale del viaggio. Come il Papa sta vivendo il contatto con la piccola comunità cattolica della Turchia?

 

R. - Lo vive naturalmente, in un modo intenso. I rappresentanti di questa comunità sono stati presenti a vari momenti del viaggio: anche questa mattina ci sono i rappresentanti dei vescovi, inseriti in questo grande momento ecumenico che stiamo vivendo. Ci sono i vescovi che seguono, con l’insieme del viaggio, e quindi partecipano a questa esperienza di incontro: sia di incontro a carattere piuttosto interreligioso e con le autorità del Paese, nel primo giorno; sia adesso, con l’incontro con le altre confessioni cristiane. Certamente, la Messa di ieri mattina è stata particolarmente commovente, è stata un vivere familiarmente, da vicino, con l’esperienza di fede in questa terra. E certamente, anche la Messa di domani sarà di nuovo - in questa città di Istanbul, dove c’è un certo numero di cristiani cattolici - un momento molto importante. Ma credo che anche domani, la presenza alla Messa cattolica dei rappresentanti più alti delle altre confessioni cristiane, presenti in Turchia, in particolare anche nella città di Istanbul, darà a questo incontro fra i cattolici una grande apertura di carattere ecumenico, una grande speranza.

 

D. - Tra poche ore, un evento di grande importanza fin dall’aspetto simbolico: la visita di Benedetto XVI al museo di Santa Sofia e alla Moschea Blu. Quale il vero significato che si deve dare a questi momenti?

 

R. – Sono i momenti del riconoscimento della storia e della attualità di questo Paese, della sua grande eredità culturale e religiosa che, attraverso i secoli, attraversa esperienze diverse. Naturalmente, in un viaggio così complesso e variegato come questo, direi che anche questi due atti così ravvicinati dicono proprio la grandezza della storia della Turchia. E il fatto che il Benedetto XVI, in atteggiamento di rispetto e di amicizia, passi in un certo senso attraverso le diverse epoche, i diversi secoli di questo Paese e le sue diverse esperienze spirituali, è un segno di continuità e di speranza.

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La Santa Messa che Benedetto XVI presiederà domattina nella cattedrale latina dello Spirito Santo di Istanbul sarà l’ultimo atto del viaggio apostolico in Turchia, prima del ritorno in Vaticano. La nostra emittente seguirà in radiocronaca diretta la celebrazione eucaristica, a partire dalle ore 8.00, con commento in italiano e tedesco sulle consuete lunghezze d’onda.

 

 

RINUNCE E NOMINE

        

In Camerun, il Santo Padre ha nominato stamani ausiliare dell’arcidiocesi di Yaoundé, il sacerdote Christophe Zoa, del clero di Yaoundé, cancelliere dell’arcidiocesi. Il Papa ha inoltre accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Buéa, nello stesso Camerun, presentata da mons. Pius Suh Awa, per raggiunti limiti di età ed ha nominato allo stesso incarico mons. Immanuel Bushu, finora vescovo di Yagoua.

 

In Canada, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Grouard-McLennan, presentata da mons. Arthé Guimond, per raggiunti limiti di età ed ha nominato allo stesso incarico padre Gerard Pettipas, parroco di St. Joseph in Grand Praire, nello Stato di Alberta.

        

In Thailandia, Benedetto XVI ha infine accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Nakhon Ratchasima, in Thailandia, presentata da mons. Joachim Phayao Mansap, per raggiunti limiti di età ed ha nominato allo stesso incarico il sacerdote Joseph Chusak Sirisut, professore al Seminario Maggiore nazionale e direttore del Centro di ricerca culturale e religiosa, a Sampran.

 

 

 

LA MESSA DOMENICALE, SEGNO DI SANTITA’ DEL POPOLO CRISTIANO:

SE NE PARLA ALLA GIORNATA DI STUDI ANNUALE,

INDETTA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL CULTO DIVINO

- Ai nostri microfoni il cardinale Francis Arinze –

 

Si tiene domani in Vaticano, l’annuale giornata di studi promossa dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, dedicata al tema della Messa domenicale per la santificazione del popolo cristiano. Si tratta di incontri annuali che si fanno coincidere con l’anniversario della promulgazione della Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium del 4 dicembre 1963. Si rifletterà quest’anno sulla Messa domenicale, allo scopo di mettere costantemente davanti al popolo di Dio l’osservanza del giorno del Signore, nel quale la Santa Messa domenicale ha un posto centrale. Giovanni Peduto ha intervistato in proposito il prefetto del Dicastero, il cardinale Francis Arinze:

 

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D. – Il giorno del Signore viene sempre meno osservato: i negozi sono aperti, le attività lavorative si svolgono quasi normalmente come negli altri giorni della settimana. Cosa ne pensa?

 

R. – E’ uno sviluppo negativo. La domenica è il giorno del Signore, fin dal Libro della Genesi. Dio ha santificato quel giorno in modo speciale, e noi dobbiamo dedicare questo giorno a Dio. Purtroppo, nel mondo di oggi c’è tanta fretta. Infatti, molti parlano adesso di week-end e, dunque, la domenica molte persone la vedono unita al sabato, come tempo per tutte le cose che non hanno avuto il tempo di fare durante la settimana: dormire di più, andare alla partita di calcio, andare in montagna, a nuotare, andare al supermercato, visitare amici e avere anche un pranzo con molte portate e che dura tre ore. Tutte queste cose sono buone, in sé, ma non sono il cuore della domenica. Il cuore della domenica è verticale: attenzione a Dio, adorare, ringraziare, cantare le lodi di Dio insieme con gli altri, perché siamo una parte della comunità, non siamo individui isolati nel bosco. Solo così, Dio è al centro della domenica. E’ questione di atteggiamento.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Servizio vaticano - Il resoconto della visita pastorale del Papa in Turchia. I servizi del nostro inviato Giampaolo Mattei.

 

Servizio estero - In evidenza l’Iraq; a Baaquba trovata una fossa comune con i resti di ventotto persone.  

 

Servizio culturale - Per la rubrica “Incontri” Franco Patruno intervistato da Mario Spinelli. Il titolo dell’intervista è “L’arte sacra deve essere anzitutto sacra: se non è arte non potrà mai essere sacra”.

 

Servizio italiano - In primo piano la finanziaria.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

30 novembre 2006

 

 

DON ANDREA SANTORO, UN PRETE TRA ROMA E L’ORIENTE:

UN LIBRO RACCONTA LA TESTIMONIANZA DEL SACERDOTE ROMANO,

UCCISO IN TURCHIA LO SCORSO 5 FEBBRAIO,

E RICORDATO DAL PAPA NELLA MESSA DI IERI AD EFESO

- Con noi il prof. Augusto D’Angelo -

                                                                                                 

Una “bella testimonianza”: così, con parole semplici, Benedetto XVI ha voluto ricordare ieri ad Efeso l’esempio di don Andrea Santoro, il sacerdote romano ucciso in Turchia, lo scorso 5 febbraio. La storia di don Andrea sottolinea proprio l’importanza di quel dialogo tra fedi e culture che sta contraddistinguendo il viaggio apostolico del Papa in terra d’Anatolia. Per approfondire questo aspetto dell’eredità del sacerdote romano, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Augusto D’Angelo, docente alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, ed autore di un libro, di ultima uscita, dal titolo “Don Andrea Santoro, un prete tra Roma e l’Oriente”, edito dalla San Paolo:

        

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R. – Va detto che don Andrea aspettava con grande trepidazione la visita di Benedetto XVI in Turchia; ne era al corrente e scrisse anche una lettera, qualche giorno prima di essere ucciso, proprio al Papa per invitarlo a passare anche a Trebisonda a visitare la sua piccola comunità, fatta prevalentemente di donne georgiane che si incontravano anche nella sua chiesa. Penso che ci lasci una sorta di “testimone”: la cura che don Andrea aveva verso questa nazione diventa oggi non soltanto cura del Pontefice, ma diventa anche un po’ cura di tutti noi. Tutti noi siamo chiamati ad amare la Turchia, questo grande popolo che anche Roncalli diceva di amare quando era nunzio lì. Tutti siamo chiamati a ricordare e ad amare quella piccola parte di cristiani che lì vive.

 

D. – Don Andrea Santoro – lei scrive nel libro – è “un prete tra Roma e l’Oriente”, e sicuramente questo viaggio apostolico di Benedetto XVI è un pellegrinaggio tra Roma e l’Oriente. Come leggere la testimonianza di don Andrea Santoro in questo particolare contesto?

 

R. – Don Andrea Santoro ha ricordato a tutti noi, con la sua testimonianza, che la nostra Chiesa, la Chiesa cattolica, non è una chiesa legata soltanto all’Occidente, ma ha una profondissima radice in Oriente. E la Turchia è stata - con la nascita delle prime comunità cristiane visitate dal San Paolo, create da San Paolo - un ponte: un ponte che ha portato il cristianesimo dall’Oriente all’Occidente. Don Andrea Santoro ci teneva soprattutto al fatto che l’Oriente turco andasse “riabilitato”, e dunque quelle terre che hanno visto nascere il cristianesimo non possono accettare di vederlo morire.

 

D. – Qual è l’eredità di don Andrea Santoro per la Chiesa? Ricordiamolo, era un sacerdote fidei donum, quindi anche in questo si può dire che don Andrea Santoro è stato un ponte …

 

R. – C’è un tratto di don Andrea che mi colpisce e che dev’essere fatto proprio da tutti i cristiani: ed è l’amore per la Bibbia e l’incontro con la gente. Lui è un uomo della Bibbia. Ed è un uomo che, nutrendosi della Bibbia e viaggiando tra la sua esperienza quotidiana personale e le parole della Sacra Scrittura, costruisce un suo modo d’essere comunicativo ed evangelizzante. Ecco: questa, secondo me, è l’eredità più vera che don Andrea Santoro ci lascia. Valida a Roma, valida in Occidente, valida in Oriente.

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IN OLTRE 500 CITTA’ DEL MONDO OGGI SI DICE “NO” ALLA PENA DI MORTE

- Ai nostri microfoni Mario Marazziti -

 

“Non c’è giustizia senza vita”: è questo il titolo della quinta Giornata internazionale “Città per la vita – Città contro la pena di morte” che si celebra oggi in oltre 550 città del mondo. L’evento, organizzato dalla comunità di Sant’Egidio in collaborazione col comune di Roma, l’Università Roma Tre e le principali organizzazioni per i diritti umani è la più grande mobilitazione contro la pena capitale mai realizzata. Il servizio di Giovanni Augello.

 

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Quasi 5.500 esecuzioni capitali sono state eseguite in 24 Paesi nel mondo, soltanto nel 2005, con oltre il 90 per cento delle stesse eseguite in Cina, Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita. Sono questi, in sintesi, i numeri della pena di morte nel mondo, presentati alla quinta Giornata delle città per la vita: l’iniziativa ha raccolto l’adesione di oltre 500 città in tutto il mondo, in cui sono in corso incontri e manifestazioni sul tema. E nonostante il numero delle esecuzioni sia rimasto pressoché invariato rispetto al 2004, non mancano le buone notizie. Negli ultimi anni, infatti, il numero dei Paesi che hanno deciso di abolire la pena capitale per legge o in pratica, è cresciuto, come ci conferma Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio:

 

“La pena di morte è più debole, oggi. Negli ultimi 20 anni, più di 40 Paesi l’hanno abolita e ormai sono più di metà dei Paesi del mondo quelli che vivono senza pena di morte. In realtà, si sta affermando l’idea che la pena di morte sia uno strumento del passato, anche se grandi Paesi come India, Giappone, Stati Uniti o Cina ancora la usano”.

 

Tra le nazioni mantenitrici in cui si segnalano importanti passi avanti, gli Stati Uniti ma anche Taiwan e Corea del Sud; recentemente anche in Cina, Paese che detiene il record con più 1.700 esecuzioni ufficiali nell’ultimo anno, si sono registrati alcuni importanti cambiamenti. Ma il vero segnale di speranza per il futuro giunge dai Paesi in via di sviluppo. Ancora, Mario Marazziti:

 

“Il grande cambiamento è l’Africa. Solo pochi anni fa, erano appena quattro i Paesi abolizionisti, poi dieci. In realtà, oggi siamo a 23 tra abolizionisti per legge e abolizionisti di fatto. Inoltre, si sta muovendo qualcosa anche in Indonesia: c’è un dialogo con la più grande organizzazione musulmana del mondo, indonesiana, proprio per un’iniziativa parlamentare che potrebbe, prima o poi, portare ad una moratoria”.

 

Crescono, inoltre, le adesioni all’appello lanciato dalla stessa Comunità di Sant’Egidio, per una moratoria universale: sono ormai cinque milioni in 150 Paesi, e costituiscono un vero e proprio fronte morale, interreligioso e laico, contro la pena di morte.

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CHIESA E SOCIETA’

30 novembre 2006

                                                                                                    

 

IL RICONOSCIMENTO DELL’INVIOLABILE DIGNITA’ DELLA PERSONA UMANA

QUALE ESSENZIALE CONTRIBUTO DELLA RELIGIONE ALLA SICUREZZA E ALLA STABILITA’ INTERNAZIONALE, NEL DISCORSO DEL CARDINALE MARTINO, PRESIDENTE DI GIUSTIZIA E PACE, ALLA CONFERENZA INTERPARLAMENTARE SU DIRITTI UMANI E LIBERTA’ RELIGIOSA, IN CORSO ALLA GREGORIANA DI ROMA

- A cura di Paolo Scappucci -

 

ROMA. = Riconoscere la naturale e inviolabile dignità della persona umana, cuore dell’insegnamento sociale della Chiesa, è essenziale perché nel mondo si instaurino stabilmente la sicurezza e la pace, secondo la più profonda aspirazione di tutti i popoli. Lo ha riaffermato il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il cardinale Renato Raffaele Martino, parlando alla IV Conferenza interparlamentare annuale su diritti umani e libertà religiosa, in corso alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, per iniziativa dell’Istituto statunitense per la religione e la politica pubblica. Ai numerosi parlamentari di vari Paesi partecipanti alla Conferenza, il porporato ha ricordato la regola d’oro della pacifica convivenza sociale: “Fa’ agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”, regola solennemente proclamata dal Vangelo, ma comune anche alle principali religioni del mondo. Il cardinale Martino non ha mancato di rilevare il contrasto tra questo fondamentale principio religioso e le attuali sfide alla pace e alla sicurezza mondiale, tra cui ha citato espressamente gli esperimenti nucleari in Nord Corea, la drammatica situazione nella regione del Darfur, il conflitto tra Russia e Georgia, le violenze in nome della religione in varie parti del mondo, le perduranti guerre in Iraq e Afghanistan, i combattimenti in Nigeria e Uganda. In veste di presidente anche del dicastero vaticano della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il porporato ha ricordato pure il crescente numero di rifugiati e sfollati, con i motivi sociali, economici e di sicurezza che stanno dietro tali movimenti di popoli. Come riaffermato dal Congresso su mondo e religioni nazionali tradizionali, svoltosi nel 2003 ad Astana, in Kazakhstan, il dialogo promosso dall’autentico spirito religioso è non soltanto un mezzo per risolvere i problemi tra i popoli, ma ciò che più importa è un mezzo per evitare i conflitti. Di qui, l’essenziale contributo che, secondo il cardinale Martino, la religione può dare alla stabilità e alla sicurezza internazionale, essendo suo scopo la realizzazione di un mondo in cui tutti possano vivere, lavorare e riconoscersi reciprocamente come fratelli. Solo così la minaccia e l’aggressione possono essere bandite per far posto alla cooperazione e allo sviluppo. Pace, sicurezza e stabilità – ha concluso il porporato – esisteranno solo quando, come sostenuto da ogni vera religione, la dignità di ciascuna persona umana venga riconosciuta, i diritti umani e le libertà fondamentali promossi e protetti, con la condanna come offesa a Dio e minaccia alla pace di ogni violenza e conflitto in nome della religione.

 

 

“LE VIE DELL’INCONTRO, QUALE DIALOGO CON I MUSULMANI?”: È IL TITOLO

 DEL DOCUMENTO PRESENTATO IERI A BOLZANO DAI VESCOVI DEL TRIVENETO,

CHE INVITANO ALLA CHIAREZZA E AL BUON VICINATO

 

BOLZANO. = Chiarezza e buon vicinato: si può riassumere con questi due concetti il contenuto del documento “Le vie dell’incontro, quale dialogo con i musulmani?”, presentato ieri a Bolzano dalla Commissione regionale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale del Triveneto (CET). “Occorre promuovere il dialogo nella consapevolezza della propria identità – ha affermato mons. Wilhelm Emil Egger, presidente della CET, citato dall’agenzia Sir – perché è proprio la nostra identità cristiana che ci rende capaci di dialogo e noi siamo chiamati a rispondere a questa vocazione che è di ogni cristiano”. Un tema, questo, che il presule ha ripetuto in più occasioni e in diverse sedi negli ultimi mesi. Prendendo le mosse dalla svolta segnata dal Concilio Vaticano II nelle relazioni con le altre religioni, il documento passa in rassegna le tappe principali della storia delle relazioni cattoliche con l’Islam, per arrivare a sottolineare come incontro e dialogo siano intrinsecamente necessari al cammino di fede. Il tutto, come ribadiscono i vescovi della CET, “senza cercare il compromesso o il sincretismo, ma il rispetto delle reciproche diversità”. (R.M.)

 

 

I VESCOVI DELL’ARGENTINA CHIEDONO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI DEL PAESE

DI ARCHIVIARE IL DISEGNO DI LEGGE CHE AUTORIZZA LA VENDITA

E LA DISTRIBUZIONE GRATUITA DELLA “PILLOLA DEL GIORNO DOPO”

 

BUENOS AIRES. = Archiviare il disegno di legge che autorizza la vendita e la distribuzione gratuita in Argentina della “pillola del giorno dopo”, che attenta contro la vita umana, considerata inviolabile dalla Costituzione “fin dal momento del concepimento”: è quanto chiedono i vescovi argentini, rivolgendosi in un comunicato alla Camera dei Deputati del Paese, che si appresta a esaminare un disegno di legge che autorizza la vendita e la distribuzione gratuita delle pillole, definite “anticoncezionali d’emergenza”. Come riferisce l’agenzia Zenit, i presuli ricordano che “gli organismi di controllo sanitario riconoscono che, tra le sue conseguenze, questo farmaco impedisce l’annidamento o l’impianto dell’embrione nell’utero materno”. I vescovi, “che hanno espresso ripetutamente la propria preoccupazione per la difesa della vita”, fanno “appello alla coscienza dei legislatori nazionali” e chiedono, “come cittadini, l’archiviazione definitiva del suddetto disegno”. (R.M.)

 

 

APPELLO ALLA CONCILIAZIONE E AL DIALOGO DEL CARDINALE JULIO TERRAZAS SANDOVAL, PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA BOLIVIA, DI FRONTE AL CLIMA CONFLITTUALE VISSUTO NEL PAESE

SANTA CRUZ DE LA SIERRA. = “Il Signore ci chiede di instaurare la pace, è un grido di Pace che non è invenzione di un gruppo di persone, ma il canto degli angeli durante il tempo natalizio”: sono parole del cardinale Julio Terrazas Sandoval, presidente della Conferenza episcopale della Bolivia e arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra, che nella sua omelia per la Messa dello scorso 26 novembre, nella Cattedrale della città, ha rivolto un appello alla conciliazione e al dialogo tra i boliviani di fronte al clima conflittuale vissuto nel Paese. Come riferisce l’agenzia Zenit, il porporato ha ricordato la difficile situazione che si è creata in Bolivia a causa della posizione intransigente del governo e dei partiti d’opposizione, entrambi polarizzati su temi come il sistema di votazione per 2/3 per l’assemblea costituente. All’opposizione, che si trova da vari giorni in sciopero della fame, ha ricordato che si tratta di una misura che non porterà a una soluzione, perché gli spazi per trovare soluzioni sono lo scenario della vita e il dialogo. “Invito i fratelli e le sorelle che hanno preso questa misura – ha detto – a tornare allo scenario della vita. Li vogliamo pieni di vitalità, perché i cadaveri non risolvono il problema, e ci sono già troppi cadaveri ambulanti che cercano un po’ di luce”. Rivolgendosi poi ai governanti, il porporato ha ricordato loro che sono chiamati al servizio e che devono liberarsi dai discorsi vuoti che esortano alla rivalsa e alla violenza: “Non possono ricorrere a un discorso facile – ha spiegato – e dire ‘questo non è dei nostri’ o ‘questi hanno già mangiato troppo’”. “Questa forma burlesca di trattare la vita del Paese – ha aggiunto – ci sta portando sull’orlo della disperazione e a non incontrarci più”. (R.M.)

 

 

LEGALI DA OGGI IN SUDAFRICA I MATRIMONI OMOSESSUALI. “SONO UNIONI CONTRARIE ALLA LEGGE NATURALE”, AVEVA AFFERMATO NEI GIORNI SCORSI LA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE

 

CITTÀ DEL CAPO. = Dopo Olanda, Belgio, Canada e Spagna, il Sudafrica è il quinto Stato al mondo a parificare pienamente il matrimonio tra persone omosessuali. La normativa, che era stata approvata dal Parlamento qualche settimana fa, è stata firmata stamani dal vice presidente, Phumzile Mlambo-Ngcuka,  mentre il presidente, Thabo Mbeki, si trova in Nigeria per una conferenza. La legge arriva dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale, che lo scorso dicembre aveva dato un anno di tempo affinché il governo riconoscesse legalmente l’omosessualità. In Sudafrica, già dal 2002 sono legali le adozioni per le coppie gay, mentre da decenni ormai sono riconosciute quelle ai single. Di recente, anche i vescovi sudafricani erano intervenuti nel dibattito sull’argomento, sottolineando come le unioni omosessuali fossero “contrarie alla legge naturale” e “in nessun modo simili al matrimonio”. “Attraverso le culture e i differenti credi religiosi – avevano affermato – il matrimonio è il fondamento della famiglia, (…) una relazione d’amore duratura tra un uomo e una donna, una relazione aperta alla vita e al futuro della razza umana”. (R.M.)

 

 

DIMESSA DAL REPARTO DI TERAPIA INTENSIVA DEL POLICLINICO GEMELLI DI ROMA CHIARA LUBICH. LA FONDATRICE DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI ERA STATA

 RICOVERATA IL 2 NOVEMBRE SCORSO PER UN’INSUFFICIENZA RESPIRATORIA

 CAUSATA DA UN EPISODIO INFETTIVO POLMONARE

 

ROMA. = Sono in progressivo miglioramento le condizioni di salute di Chiara Lubich, ricoverata al Policlinico Gemelli di Roma il 2 novembre scorso per un’insufficienza respiratoria causata da un episodio infettivo polmonare. Mentre continuano a giungerle espressioni di affetto, solidarietà e preghiere per la sua guarigione, la fondatrice del Movimento dei Focolari è stata dimessa dal reparto di terapia intensiva. Il direttore del reparto, il prof. Massimo Antonelli, ha dichiarato che “la risposta positiva alle terapie ha consentito il raggiungimento di un quadro clinico stabile e soddisfacente”. Il Movimento ha espresso “viva riconoscenza per le cure prestate, per la disponibilità e la competenza del direttore e dei suoi collaboratori”. Martedì 21 novembre, il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, aveva fatto visita a Chiara Lubich al Gemelli, dopo aver presieduto la Messa per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica. Insieme a una nuova benedizione del Papa, le aveva consegnato a suo nome un rosario. (R.M.)

 

 

DOPO 4 ANNI DI ASSENZA DALLA NORD COREA, L’AGENZIA INTERNAZIONALE

PER L’ENERGIA ATOMICA RILANCIA I NEGOZIATI CON LA NORD COREA PER POTER

 ASSICURARE LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE SUGLI SCOPI PACIFICI DELLE ATTIVITA’ NUCLEARI DEL PAESE ASIATICO

 

TOKYO. = Pieno appoggio dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica al rilancio del negoziato sul nucleare nordcoreano. In una conferenza stampa, oggi a Tokyo, Mohamed El Baradei, direttore dell’AIEA, ha dichiarato che l'Agenzia dell’ONU è pronta a lavorare con Pyongyang per verificare e garantire alla comunità internazionale “che tutte le attività nucleari nella Repubblica democratica popolare di Corea siano esclusivamente per scopi pacifici”. Il direttore dell’AIEA ha ricordato che gli ispettori dell'Agenzia sono ormai assenti da quattro anni dalla Corea del Nord, ma si è detto soddisfatto delle nuove prospettive di dialogo, apertesi per rilanciare la trattativa internazionale di Pechino. Secondo El Baradei, il caso di Pyongyang sottolinea tutta l'importanza di una stretta e tempestiva collaborazione fra la comunità internazionale e l'Agenzia dell'ONU. Ormai, ha detto il direttore, è indispensabile ''porre sotto controllo multinazionale qualsiasi nuova operazione di arricchimento dell'uranio e di separazione del plutonio''. Quanto al nucleare iraniano, El Baradei ha detto che al momento sui progetti di Teheran “pesa ancora un grande interrogativo”. (R.G.)

 

 

È SALITO A OLTRE 30 MORTI IL BILANCIO DELLE ALLUVIONI CHE NELL’ULTIMO MESE HANNO COLPITO IL KENYA

 

NAIROBI. = Altre 11 persone sono morte nelle ultime due settimane in Kenya a causa delle alluvioni, portando a 34 il bilancio delle vittime delle piogge e degli straripamenti dell’ultimo mese. Lo ha reso noto un portavoce della Croce Rossa kenyano, precisando che “una persona è morta nella provincia Nordorientale e 10 nella provincia Orientale”. Come riferisce l’agenzia MISNA, il governo invece sottostima il numero dei morti. “Secondo le nostre stime sono solo 20 le persone morte sinora”, ha dichiarato Wario Ali, viceministro per i Programmi speciali, aggiungendo che finora l’esecutivo ha stanziato 2,2 milioni di euro per le operazioni di soccorso. Secondo il quotidiano locale The Nation, solo lunedì notte nove persone sarebbero morte: cinque bambini tra i cinque e gli otto anni nel distretto di Makueni e quattro persone nei distretti di Keiyo, Uasin Gishu e Lunari. Mentre i meteorologi prevedono che le piogge continueranno sino a gennaio, sono almeno 800 mila le persone colpite dalle alluvioni che hanno distrutto abitazioni, strutture pubbliche, raccolti e allevamenti, e che adesso rischiano di facilitare la trasmissione di malattie infettive, mentre sono già stati accertati almeno 20 casi di bambini colpiti da malaria. (R.M.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

30 novembre 2006

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Ada Serra -

 

 

Dopo tensioni e polemiche si è svolto, questa mattina ad Amman, in Giordania, l’atteso incontro tra il presidente statunitense Bush ed il premier iracheno Al Maliki. Il nostro servizio:

 

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Bush ha sottolineato che il successo del governo del premier al Maliki è cruciale per l’Iraq. E’ importante – ha aggiunto – che l’esecutivo di Baghdad riesca a fermare la violenza. Il presidente americano ha poi confermato la sua fiducia al premier iracheno all’indomani della pubblicazione di un memorandum riservato della Casa Bianca. Nel testo si esprimono dubbi sulle capacità del governo di Baghdad di arginare le violenze di matrice confessionale in atto da mesi nel Paese. Bush ha dichiarato, inoltre, che gli Stati Uniti sono pronti a modificare le loro tattiche per meglio sostenere l’esecutivo iracheno e ha spiegato che le truppe statunitensi rimarranno in Iraq fin quando la loro missione non sarà compiuta. Dal canto suo, il primo ministro iracheno ha espresso il desiderio di costruire un Paese unito e democratico e ha indicato, tra le minacce più gravi, il terrorismo e l’estremismo. Al Maliki ha poi affermato di essere aperto al dialogo e pronto a cooperare con i Paesi vicini. Bush e al Maliki si sono trovati d’accordo anche nella loro opposizione a una divisione dell’Iraq in tre zone separate e semiautonome. Questo tipo di divisione – hanno concordato – porterebbe ad una escalation delle violenze. Sul Medio Oriente, infine, il presidente statunitense Bush ha ribadito la sua visione di due Stati, Israele e la Palestina, che vivano in pace l’uno accanto all’altro.

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E mentre il presidente Bush è all’opera sul fronte della diplomazia irachena, il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha incontrato a Gerico il presidente palestinese, Abu Mazen. I due hanno concordato sull’esigenza di estendere il cessate il fuoco, in vigore da domenica scorsa nella Striscia di Gaza, anche alla Cisgiordania. Il segretario di Stato americano ha sottolineato, in particolare, la necessità che Israele compia una serie di azioni umanitarie per alleviare le dure condizioni di vita della popolazione palestinese. Il presidente Abu Mazen, dal canto suo, ha affermato che i colloqui con Hamas, per arrivare a un governo di unità nazionale, sono in una fase di stallo. Intanto, Condoleezza Rice è arrivata poco fa a Gerusalemme per incontrare il premier dello Stato ebraico, Ehud Olmert, ed il ministro degli Esteri, Tzipi Livni. Le autorità israeliane hanno poi rivelato di aver rilasciato, ieri, il ministro dei Lavori Pubblici palestinese, Abdel Rahman Zidan, che era stato incarcerato all’inizio di novembre, insieme con altri 60 tra ministri e parlamentari dopo il rapimento, nel giugno scorso, del caporale israeliano Ghilad Shalit.

 

E intanto, nel vicino Libano, c’è tensione per la manifestazione che si svolgerà domani pomeriggio nel centro di Beirut, per chiedere la formazione di un governo di unità nazionale. Il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha invitato tutti i libanesi di diverse affiliazioni politiche e religiose a scendere in piazza contro il governo guidato da Fuad Sinora. Il governo “non ha rispettato – ha detto il leader del movimento sciita libanese - il suo programma e i suoi impegni sin da quando è stato formato, oltre un anno fa”.

 

All’indomani della decisione della Commissione Europea di raccomandare una parziale sospensione delle trattative per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, il nodo da sciogliere resta la questione dei rapporti commerciali con la Repubblica di Cipro greco-cipriota e del suo riconoscimento da parte di Ankara. Ma sulla questione, i pareri degli Stati membri dell’UE sono discordanti. Il servizio di Giovanni Del Re:

 

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Quello che la Commissione propone è un congelamento parziale, dunque, non uno stop totale ai negoziati. Il treno non si ferma – ha spiegato il commissario all’allargamento, Oli Rehn; continua a muoversi, rallenta soltanto. In effetti, il commissario ha sottolineato che per l’Europa è cruciale una Turchia prospera, democratica e stabile così come la Turchia ha bisogno dell’Europa, politicamente ed economicamente. Il problema è ancora Cipro: Ankara continua a rifiutare di aprire le proprie porte alle navi greco-cipriote, insistendo che prima l’Europa deve mantenere la sua promessa del 2004 di rompere l’isolamento della Repubblica turco-cipriota del nord dell’Isola. Così facendo, però, la Turchia viola il protocollo di Ankara che estende a tutti i membri dell’UE, Cipro inclusa, l’unione doganale. La Commissione propone di sospendere otto dei 35 capitoli negoziali, tutti quelli, insomma, in qualche modo collegati con la questione dei porti. Si tratta certamente di una “frenata” che ha provocato la reazione negativa di Ankara: “E’ inaccettabile”, ha detto il premier turco Erdogan, che però ha sottolineato che le riforme comunque vanno avanti. Per il resto, a decidere sulla raccomandazione della Commissione, saranno i ministri degli Esteri dei Venticinque, l’11 dicembre a Bruxelles. Da qui a quel giorno, molto potrà accadere, visto che l’UE è spaccata tra chi chiede severità, come Francia, Grecia, Cipro, Austria o Danimarca e chi invece, come Svezia, Gran Bretagna, Spagna e Italia, pensano che la Commissione si stia mostrando troppo rigida.

 

Da Bruxelles, per la Radio Vaticana, Giovanni Del Re, AKI.

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Caso Aleksandr Litvinenko: il team di scienziati che sta seguendo l’inchiesta sulla morte dell’ex spia del KGB ha rinvenuto tracce di polonio 210 su due aerei della British Airways. La compagnia aerea sta al momento contattando tutti i passeggeri che di recente hanno viaggiato sui velivoli. E’ fuori pericolo, intanto, l’ex premier russo Egor Gaidar ricoverato in ospedale a Mosca, dopo essersi misteriosamente sentito male durante un soggiorno in Irlanda. I medici sostengono, secondo quanto riporta oggi il giornale russo ‘Kommersant’, che i sintomi indicano l’avvelenamento.

 

Il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, ha chiesto un immediato impegno per far fronte alla tragedia della martoriata regione sudanese del Darfur. In un appello al Consiglio dei diritti umani, Annan ha esortato i Paesi membri ad occuparsi, con urgenza, del Darfur. Dal febbraio del 2003 sono morte, a causa di scontri, oltre 200 mila persone.

 

Violente proteste, nell’ovest dell’India, hanno provocato almeno tre vittime e più di 40 feriti. A scatenare la tensione è stato un atto vandalico contro una statua di Bhimrao Ramji Ambedkar, uno dei primi difensori dei diritti dei dalit, la casta degli “intoccabili”. Sono stati incendiati alcuni treni e autobus. Si registrano, inoltre, scontri tra gruppi di dalit e agenti della polizia in diverse località. Le autorità hanno imposto un coprifuoco in alcune città e sono stati ordinati più di 1.500 arresti preventivi.

 

Il Parlamento etiope ha approvato oggi una risoluzione in cui si autorizza il governo a “prendere tutte le misure necessarie per difendere” l’Etiopia dalle Corti islamiche somale. Le truppe etiopi sono già schierate sia ai confini che all’interno della Somalia. Sul terreno, le Corti islamiche hanno annunciato di aver fatto esplodere, ieri, un veicolo militare etiope. Il governo di transizione somalo sostiene che non vi sono state vittime, anche se diverse testimonianze parlano di almeno 14 morti e numerosi feriti.

 

 

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