RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 334 - Testo
della trasmissione di giovedì 30 novembre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Legali
da oggi in Sudafrica i matrimoni omosessuali
Pieno appoggio dell'AIEA al rilancio del
negoziato sul nucleare in Corea del nord
E’ salito a oltre 30 morti il bilancio delle alluvioni che
nell’ultimo mese hanno colpito il Kenya
Gli Stati Uniti sono pronti a cambiare strategia
in Iraq. Lo ha detto il presidente Bush incontrando
in Giordania il premier iracheno al Maliki
30 novembre 2006
DAVANTI
AL MONDO CRISTIANO D’ORIENTE E D’OCCIDENTE,
BENEDETTO
XVI E IL PATRIARCA ECUMENICO, BARTOLOMEO I,
SI
SCAMBIANO L’ABBRACCIO DI PACE PREGANDO INSIEME PER IL RAGGIUNGIMENTO
DELLA
PIENA COMUNIONE TRA CATTOLICI E ORTODOSSI.
IL
PAPA HA ASSISTITO ALLA DIVINA LITURGIA NELLA CHIESA PATRIARCALE
DI SAN GIORGIO A ISTANBUL, FIRMANDO AL TERMINE
LA DICHIARAZIONE CONGIUNTA
CON IL
PATRIARCA ORTODOSSO
-
Interviste con il prof. Andrea Riccardi, mons.
Dimitri Salachas, mons. Luigi Padovese
e padre
Federico Lombardi -
Un abbraccio di pace, scambiato con calore, che rende
visibile il “ponte” ecumenico tanto auspicato tra Oriente e Occidente: dalle
parole ai gesti, la Divina Liturgia celebrata oggi dal Patriarca Ecumenico,
Bartolomeo I, nella Chiesa di San Giorgio a Istanbul,
alla presenza di Benedetto XVI, ha reso visibile quel desiderio di unità che
contraddistingue il cammino attuale della Chiesa cattolica e di quella
ortodossa. Particolarmente toccante il momento in cui il Papa ha recitato in
lingua greca la preghiera del Padre Nostro durante la lunga e suggestiva cerimonia,
contraddistinta dai tradizionali canti del rito bizantino. Al momento del suo
discorso, Benedetto XVI ha affermato che le divisioni
esistenti fra i cristiani sono uno “scandalo per il mondo” ed ha rinnovato
l’impegno della Chiesa nel cammino verso la piena comunione: impegno sancito,
verso le 12.30, dalla firma apposta in calce alla Dichiarazione congiunta.
Benedetto XVI era giunto al Patriarcato Ecumenico verso le
nove di questa mattina, ora locale, ma già nel tardo pomeriggio di ieri le
porte dell’antica sede patriarcale ortodossa si erano aperte - 27 anni dopo la
visita di Giovanni Paolo II - per accogliere nuovamente un Pontefice di Roma.
Il Patriarca Bartolomeo I, che aveva atteso il Papa
fin dall’aeroporto di Istanbul, ha accompagnato Benedetto XVI nella chiesa
patriarcale di San Giorgio, dove il Papa ha venerato le
reliquie di San Gregorio di Nazianzo e di San Giovanni
Crisostomo, consegnate nel 2004 da Papa Wojtyla al Patriarcato Ecumenico. Ma
ritorniamo sulla lunga celebrazione che ha scandito questo terzo giorno del
viaggio apostolico, nel servizio di uno dei nostri inviati a Istanbul, Sergio Centofanti:
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La bellezza e la solennità della liturgia ortodossa fanno
intravedere i bagliori del mistero divino attraverso la ricchezza dei segni,
delle immagini, delle luci, dei canti. Tutto converge verso la santità e verso
l’incontro tra l’uomo e lo spirito. Il Papa assiste
con grande attenzione alla Divina liturgia presieduta da Bartolomeo I; c’è il
dolore di non condividere il medesimo pane e lo stesso calice: “Noi ci
inchiniamo con umiltà e pentimento – ha detto il Patriarca Bartolomeo I –
davanti a Nostro Signore Gesù Cristo, la cui tunica tessuta tutta d’un pezzo
noi abbiamo diviso”. Ma c’è la gioia di camminare insieme nell’amore che
manifesta al mondo che si è discepoli di Cristo, e c’è la gioia intensa e la
gratitudine manifestata dal Patriarca Ecumenico perché il Papa è venuto qui, a visitare una Chiesa sorella, piccola per consistenza
numerica ma grande in onore.
E’ l’amore fraterno – spiega il Pontefice nel suo discorso
– che porta il Successore di Pietro nella Chiesa fondata dal fratello Andrea,
l’apostolo che venne chiamato per primo da Gesù. E’
l’impegno all’unità, iniziato nel 1964 da Paolo VI e Atenagora,
che rimossero – afferma il Papa – le tragiche scomuniche del 1054:
“The divisions which exist
among Christians are a scandal to the world and…
Le divisioni
esistenti tra i cristiani sono uno scandalo per il mondo ed un ostacolo per la
proclamazione del Vangelo”, afferma Benedetto XVI. “Alla
vigilia della propria passione e morte il Signore, attorniato dai
discepoli, pregò con fervore che essi fossero uno, cosicché il mondo possa
credere. E’ solo attraverso la comunione fraterna tra i cristiani e attraverso
il reciproco amore che il messaggio dell’amore di Dio per ogni uomo e donna diverrà
credibile”.
La missione evangelizzatrice, continua il Pontefice, è
ancora oggi più urgente visto che anche terre cristiane come l’Europa stanno
smarrendo le loro radici se addirittura non le rifiutano. Nel cammino verso
l’unità con gli ortodossi, c’è in particolare il servizio universale del
Successore di Pietro, l’apostolo che - nonostante la sua personale fragilità -
fu chiamato ad essere la roccia sulla quale la Chiesa sarebbe stata edificata:
“Pope John Paul II spoke of the mercy that
characterizes Peter’s service …
Giovanni Paolo II
parlò della misericordia che caratterizza il servizio
all’unità di Pietro, una misericordia che Pietro stesso sperimentò per primo.
Su questa base, Giovanni Paolo II fece l’invito ad entrare in dialogo fraterno
con lo scopo di identificare vie nelle quali il ministero petrino potrebbe essere oggi esercitato, pur rispettandone la natura
e l’essenza, così da realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e
dagli altri. E’ mio desiderio oggi richiamare e rinnovare tale invito”.
Sant’Andrea - spiega ancora il Papa - ebbe un altro
incarico dal Signore, quello di favorire il fruttuoso incontro tra il messaggio
cristiano e la cultura ellenica. Diversi ruoli, dunque, ma una medesima
missione: amare fino alla fine. E sia San Pietro che Sant’Andrea hanno subito
il martirio della croce. E’ l’unità che raccoglie tanti cristiani ai piedi di
Cristo crocifisso e che obbliga la Chiesa, sottolinea il Papa, a proseguire il
suo pellegrinaggio tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio:
“For its part, the century that has just ended also
saw courageous …
Anche il secolo
appena trascorso ha visto coraggiosi testimoni della fede, sia in Oriente sia
in Occidente. Anche oggi vi sono molti di tali testimoni in diverse parti del
mondo. Li ricordiamo nella nostra preghiera e in ogni modo possibile offriamo
loro il nostro sostegno, mentre chiediamo con insistenza a tutti i leader del
mondo di rispettare la libertà religiosa come diritto umano fondamentale”.
Al termine della Divina liturgia, il Papa e il Patriarca
Ecumenico hanno raggiunto il balcone del palazzo patriarcale, benedicendo in
latino e in greco i fedeli presenti. Tanti gli applausi, cui hanno risposto
salutando con le mani unite, levate in alto. Poi si è svolta la cerimonia della
firma della Dichiarazione congiunta in cui Benedetto XVI e Bartolomeo
I esprimono la gioia di sentirsi fratelli e rinnovano l’impegno in vista
della piena comunione.
Da Istanbul, Sergio Centofanti,
Radio Vaticana.
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Dopo l’abbraccio tra Paolo VI e il Patriarca
Ecumenico Athenagoras, del 1964, una nuova immagine
di concordia ecumenica è stata consegnata oggi alla storia del mondo cattolico
e di quello ortodosso. Lo conferma il fondatore della Comunità di Sant’Egidio,
il prof. Andrea Riccardi, intervistato a caldo al
termine della cerimonia di stamani da Sergio Centofanti:
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R. - Credo che sia un grande evento, perché Benedetto XVI
ha affrontato con un’attitudine molto aperta, simpatica, umile, compiendo
questa visita, che è un grande segno, in questa antica cattedrale, piccola:
piccola, ma dalla quale si parla al mondo ortodosso.
D. - Che cosa dire del’immagine
di Benedetto XVI e del Patriarca Bartolomeo che stringono in alto le mani
unite, salutando i presenti…
R. - Qui siamo al Phanar, nel
luogo in cui ha vissuto da sempre la comunità greca. Vedere il Papa di Roma che
benedice con il Patriarca ecumenico la gente che è radunata qui, è un grande
segno di speranza. Di speranza, perché si guarda insieme al futuro, e direi che
c’è stata una grande accelerazione in questa unità. Il Papa si muove non solo
con il passo sicuro del teologo, ma anche con l’umiltà dell’uomo di fede, in
questa strada.
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Ma soffermiamoci ora sull’importanza dei contenuti
dottrinali dell’incontro tra Benedetto XVI e Bartolomeo I
con l’intervista di Fabio Colagrande a mons. Dimitri Salachas, consultore del Pontificio consiglio per la
Promozione dell’Unità dei cristiani, che fa parte della Commissione mista di
dialogo tra cattolici ed ortodossi:
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R. - L’incontro di oggi è veramente storico, nella
tradizione sacra dei rapporti tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli.
Il Santo Padre, fin dall’inizio del suo Pontificato, ha dichiarato che
l’ecumenismo, cioè la ricerca dell’unità, è una delle priorità del suo ministero.
Oggi, il Santo Padre ancora una volta ha confermato questa priorità. E oggi,
essa è stata anche confermata da parte del Patriarca Ecumenico. Ovviamente, il
Patriarca Bartolomeo I non è il Papa della Chiesa ortodossa, quindi deve fare
più fatica a coordinare questo impegno. Comunque, anche il Patriarca Ecumenico,
in comunione con 16 Chiese ortodosse, ha rinnovato in questo incontro con il
Papa la volontà dell’Ortodossia di continuare il dialogo teologico. Tutti e due
conoscono le difficoltà, ma quello che abbiamo visto oggi era anche una
testimonianza liturgica. Senza poter comunicare, senza poter concelebrare, si è trattato tuttavia di un incontro
profetico, perché abbiamo pregustato ciò di cui speriamo che il Signore ci
faccia la grazia: la piena comunione.
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I primi due giorni, vissuti all’insegna della
cordialità e della disponibilità al confronto, hanno visto un radicale
cambiamento di considerazione nei riguardi di Benedetto XVI da parte dei media
turchi. “Il Papa ha conquistato il cuore della Turchia”, ha titolato oggi il Posta, il quotidiano più venduto del Paese. Notevole
risalto è stato dato alla frase “Io amo i turchi”, che Benedetto XVI ha
pronunciato ieri da Efeso, citando Giovanni XXIII. Su questo aspetto e sul
carattere interreligioso della visita papale, si sofferma mons. Luigi Padovese, vicario apostolico d’Anatolia, intervistato dalla
nostra collega della redazione polacca a Istanbul, Beata Zajaczkowska:
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R. - Sì, l’atteggiamento è cambiato, credo per diverse
ragioni. Innanzitutto, perché ci sono stati dei contatti a livello politico,
che hanno in certo modo spostato l’ago della bilancia – per così dire - dal
“freddo” al “caldo”, in un atteggiamento più positivo. Poi, anche per via delle
espressioni che il Santo Padre ha usato anche nei riguardi della popolazione
turca, dando ad essa un riconoscimento della sua dignità,
il riconoscimento della sua laicità, cioè di quei valori che veramente la
Turchia possiede.
D. - Che significato ha per il popolo turco, Agia Sofia e la Moschea Blu? La sosta in quest’ultima è
stata aggiunta all’ultimo momento…
R. - Sì, nel viaggio del Santo Padre ci sono state delle
modifiche significative. La prima, secondo me, ha riguardato l’incontro con il
prof. Bardokoglu: va inteso come una manifestazione
di una volontà di dialogo, di far capire che la sua intenzione non era quella
di offendere né quella di mettere in cattiva luce l’islam. Evidentemente, la visita
a Santa Sofia e alla Moschea Blu sono significative. La prima, di fatto, è diventata
un museo che parla di storia, quindi è un museo che raccoglie un’eredità cristiana
che è stata presente per un millennio in quel luogo e al tempo stesso, la realtà
di un’altra espressione religiosa come l’islam, presente per più di 400 anni.
Quindi, direi che è, sì, un museo però un museo che
parla al cuore dei credenti, parla al cuore di noi cristiani e parla anche al
cuore dei musulmani. La visita alla Moschea Blu rientra ancora in questa
volontà del Santo Padre di riconoscere delle identità religiose che hanno dei
valori, perché in fondo Dio ha parlato attraverso suo Figlio Gesù Cristo, ma lo
Spirito non si ferma all’interno della Chiesa ma opera anche al di là e opera
tante volte prima che la Chiesa arrivi. Quindi, il riconoscimento in fondo che
chi cerca Dio è sulla buona strada.
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Con gli importanti eventi succedutisi tra ieri
sera e stamani, dunque, il viaggio apostolico in Turchia ha imposto un sigillo
di rinnovata intesa tra l’Occidente cattolico e l’Oriente ortodosso, oltre ad
aver regalato alla piccola comunità cattolica turca il conforto e la gratitudine
del Papa. E gli appuntamenti del pomeriggio faranno nuovamente risaltare
l’aspetto interreligioso, quando Benedetto XVI sosterà – come appena ricordato
da mons. Padovese - nel Museo di Santa Sofia e, più
ancora, nella Moschea Blu di Istanbul. Per una “lettura” degli ultimi avvenimenti,
ecco il commento del direttore della Sala Stampa vaticana, e
nostro direttore generale, padre Federico Lombardi:
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R. - E’ un grande evento che si colloca in una tradizione
ormai consolidata degli incontri tra i Papi e i Patriarchi di Costantinopoli.
Credo che sia almeno il decimo incontro tra un Papa e
un Patriarca, da quando Paolo VI ha incontrato Atenagora
a Gerusalemme. E quindi è ormai – possiamo dire – quasi un’abitudine. Il
momento è stato molto bello e, direi, molto intenso. A parte lo splendore della
grande liturgia di Sant’Andrea qui, nella cattedrale di San Giorgio, vi sono
stati anche dei discorsi piuttosto ricchi di contenuto e significativi. Nel
discorso del Papa, evidentemente, il punto cruciale è il rinnovo del grande
invito, fatto da Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint, di cercare le vie per intendere
nel modo adeguato oggi il ministero di Pietro con il ministero universale di
unione, di servizio dell’unità e di misericordia: il rilancio di questo grande
invito mi sembra un punto estremamente significativo. C’è stata poi anche la
Dichiarazione congiunta, in cui sono stati firmati tanti argomenti, non tanto
di carattere dottrinale quanto di carattere – diciamo così – pastorale e
pratico sulla missione delle Chiese cristiane nel mondo di oggi. Una missione
importante proprio per il servizio del Vangelo in un tempo di secolarizzazione,
una missione per la conservazione e la rivivificazione
delle radici cristiane dell’Europa, nell’attuale processo di unificazione del
continente, e ancora un servizio per la pace, per il bene della persona umana,
per tutti i grandi problemi dell’umanità di oggi. Ma anche un’attenzione
specifica a conservare viva l’eredità cristiana, non solo in tutta l’Europa, ma
anche e in particolare in questa terra, che ha delle radici storiche cristiane
così importanti per tutti.
D. - La Messa ad Efeso, ieri, e la Messa nella cattedrale
latina dello Spirito Santo ad Istanbul, domani, sono i due momenti forti della
dimensione pastorale del viaggio. Come il Papa sta vivendo il contatto con la
piccola comunità cattolica della Turchia?
R. - Lo vive naturalmente, in un modo intenso. I
rappresentanti di questa comunità sono stati presenti a vari momenti del
viaggio: anche questa mattina ci sono i rappresentanti dei vescovi, inseriti in
questo grande momento ecumenico che stiamo vivendo. Ci sono i vescovi che
seguono, con l’insieme del viaggio, e quindi partecipano a questa esperienza di
incontro: sia di incontro a carattere piuttosto interreligioso e con le autorità
del Paese, nel primo giorno; sia adesso, con l’incontro con le altre
confessioni cristiane. Certamente, la Messa di ieri mattina è stata
particolarmente commovente, è stata un vivere familiarmente, da vicino, con
l’esperienza di fede in questa terra. E certamente, anche la Messa di domani
sarà di nuovo - in questa città di Istanbul, dove c’è un certo numero di
cristiani cattolici - un momento molto importante. Ma credo che anche domani,
la presenza alla Messa cattolica dei rappresentanti più alti delle altre
confessioni cristiane, presenti in Turchia, in particolare anche nella città di
Istanbul, darà a questo incontro fra i cattolici una grande apertura di
carattere ecumenico, una grande speranza.
D. - Tra poche ore, un evento di grande importanza fin
dall’aspetto simbolico: la visita di Benedetto XVI al museo di Santa Sofia e
alla Moschea Blu. Quale il vero significato che si deve dare a questi momenti?
R. – Sono i momenti del riconoscimento della storia e
della attualità di questo Paese, della sua grande eredità culturale e religiosa
che, attraverso i secoli, attraversa esperienze diverse. Naturalmente, in un
viaggio così complesso e variegato come questo, direi che anche questi due atti
così ravvicinati dicono proprio la grandezza della storia della Turchia. E il
fatto che il Benedetto XVI, in atteggiamento di rispetto e di amicizia, passi
in un certo senso attraverso le diverse epoche, i diversi secoli di questo
Paese e le sue diverse esperienze spirituali, è un segno di continuità e di
speranza.
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La Santa Messa che Benedetto XVI presiederà
domattina nella cattedrale latina dello Spirito Santo di Istanbul sarà l’ultimo
atto del viaggio apostolico in Turchia, prima del ritorno in Vaticano. La
nostra emittente seguirà in radiocronaca diretta la celebrazione eucaristica, a
partire dalle ore 8.00, con commento in italiano e tedesco sulle consuete
lunghezze d’onda.
RINUNCE
E NOMINE
In Camerun, il Santo Padre ha nominato stamani ausiliare
dell’arcidiocesi di Yaoundé, il sacerdote Christophe Zoa, del
clero di Yaoundé, cancelliere dell’arcidiocesi. Il
Papa ha inoltre accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Buéa, nello stesso Camerun, presentata da mons. Pius Suh Awa,
per raggiunti limiti di età ed ha nominato allo stesso incarico mons. Immanuel Bushu, finora vescovo di
Yagoua.
In Canada, il Pontefice ha accettato la rinuncia al
governo pastorale dell’arcidiocesi di Grouard-McLennan,
presentata da mons. Arthé Guimond,
per raggiunti limiti di età ed ha nominato allo stesso incarico padre Gerard Pettipas, parroco di St. Joseph in Grand
Praire, nello Stato di Alberta.
In Thailandia, Benedetto XVI ha infine accettato la
rinuncia al governo pastorale della diocesi di Nakhon
Ratchasima, in Thailandia, presentata da mons. Joachim Phayao Mansap, per raggiunti limiti di età ed ha nominato allo
stesso incarico il sacerdote Joseph Chusak Sirisut, professore al
Seminario Maggiore nazionale e direttore del
Centro di ricerca culturale e religiosa, a Sampran.
LA
MESSA DOMENICALE, SEGNO DI SANTITA’ DEL POPOLO CRISTIANO:
SE NE
PARLA ALLA GIORNATA DI STUDI ANNUALE,
INDETTA
DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL CULTO DIVINO
- Ai
nostri microfoni il cardinale Francis Arinze –
Si tiene domani in Vaticano, l’annuale giornata di studi
promossa dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei
sacramenti, dedicata al tema della Messa domenicale per la santificazione del
popolo cristiano. Si tratta di incontri annuali che si fanno coincidere con
l’anniversario della promulgazione della Costituzione conciliare sulla Sacra
Liturgia Sacrosanctum Concilium del
4 dicembre 1963. Si rifletterà quest’anno sulla Messa domenicale, allo scopo di
mettere costantemente davanti al popolo di Dio l’osservanza del giorno del
Signore, nel quale
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D. – Il giorno del Signore viene sempre meno osservato: i
negozi sono aperti, le attività lavorative si svolgono quasi normalmente come
negli altri giorni della settimana. Cosa ne pensa?
R. – E’ uno sviluppo negativo. La domenica è il giorno del
Signore, fin dal Libro della Genesi. Dio ha santificato quel giorno in modo
speciale, e noi dobbiamo dedicare questo giorno a Dio. Purtroppo, nel mondo di
oggi c’è tanta fretta. Infatti, molti parlano adesso di week-end e, dunque, la
domenica molte persone la vedono unita al sabato, come
tempo per tutte le cose che non hanno avuto il tempo di fare durante la
settimana: dormire di più, andare alla partita di calcio, andare in montagna, a
nuotare, andare al supermercato, visitare amici e avere anche un pranzo con
molte portate e che dura tre ore. Tutte queste cose sono buone, in sé, ma non
sono il cuore della domenica. Il cuore della domenica è verticale: attenzione a
Dio, adorare, ringraziare, cantare le lodi di Dio insieme con gli altri, perché
siamo una parte della comunità, non siamo individui isolati nel bosco. Solo
così, Dio è al centro della domenica. E’ questione di atteggiamento.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il
resoconto della visita pastorale del Papa in Turchia. I servizi del nostro
inviato Giampaolo Mattei.
Servizio estero - In evidenza
l’Iraq; a Baaquba trovata una fossa comune con i
resti di ventotto persone.
Servizio culturale - Per la
rubrica “Incontri” Franco Patruno intervistato da
Mario Spinelli. Il titolo dell’intervista è “L’arte sacra deve essere anzitutto
sacra: se non è arte non potrà mai essere sacra”.
Servizio italiano - In primo
piano la finanziaria.
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30 novembre 2006
DON
ANDREA SANTORO, UN PRETE TRA ROMA E L’ORIENTE:
UN
LIBRO RACCONTA LA TESTIMONIANZA DEL SACERDOTE ROMANO,
UCCISO
IN TURCHIA LO SCORSO 5 FEBBRAIO,
E
RICORDATO DAL PAPA NELLA MESSA DI IERI AD EFESO
- Con
noi il prof. Augusto D’Angelo -
Una “bella testimonianza”: così, con parole semplici,
Benedetto XVI ha voluto ricordare ieri ad Efeso l’esempio di don Andrea
Santoro, il sacerdote romano ucciso in Turchia, lo scorso 5 febbraio. La storia
di don Andrea sottolinea proprio l’importanza di quel dialogo tra fedi e
culture che sta contraddistinguendo il viaggio apostolico del Papa in terra
d’Anatolia. Per approfondire questo aspetto dell’eredità del sacerdote romano,
Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Augusto D’Angelo, docente alla
Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, ed autore
di un libro, di ultima uscita, dal titolo “Don Andrea Santoro, un prete tra
Roma e l’Oriente”, edito dalla San Paolo:
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R. – Va detto che don Andrea aspettava con grande
trepidazione la visita di Benedetto XVI in Turchia; ne era al corrente e
scrisse anche una lettera, qualche giorno prima di
essere ucciso, proprio al Papa per invitarlo a passare anche a Trebisonda a
visitare la sua piccola comunità, fatta prevalentemente di donne georgiane che
si incontravano anche nella sua chiesa. Penso che ci lasci una sorta di
“testimone”: la cura che don Andrea aveva verso questa nazione diventa oggi non
soltanto cura del Pontefice, ma diventa anche un po’ cura di tutti noi. Tutti
noi siamo chiamati ad amare la Turchia, questo grande popolo che anche Roncalli diceva di amare quando
era nunzio lì. Tutti siamo chiamati a ricordare e ad amare quella piccola parte
di cristiani che lì vive.
D. – Don Andrea Santoro – lei scrive nel libro – è “un
prete tra Roma e l’Oriente”, e sicuramente questo viaggio apostolico di
Benedetto XVI è un pellegrinaggio tra Roma e l’Oriente. Come leggere la
testimonianza di don Andrea Santoro in questo particolare contesto?
R. – Don Andrea Santoro ha ricordato a tutti noi, con la
sua testimonianza, che la nostra Chiesa, la Chiesa cattolica, non è una chiesa
legata soltanto all’Occidente, ma ha una profondissima radice in Oriente. E la
Turchia è stata - con la nascita delle prime comunità cristiane visitate dal
San Paolo, create da San Paolo - un ponte: un ponte che ha portato il cristianesimo
dall’Oriente all’Occidente. Don Andrea Santoro ci teneva soprattutto al fatto
che l’Oriente turco andasse “riabilitato”, e dunque quelle terre che hanno
visto nascere il cristianesimo non possono accettare di vederlo morire.
D. – Qual è l’eredità di don Andrea Santoro per la Chiesa?
Ricordiamolo, era un sacerdote fidei donum, quindi anche in questo si può dire che don
Andrea Santoro è stato un ponte …
R. – C’è un tratto di don Andrea che mi colpisce e che dev’essere fatto proprio da tutti i cristiani: ed è l’amore
per la Bibbia e l’incontro con la gente. Lui è un uomo della Bibbia. Ed è un
uomo che, nutrendosi della Bibbia e viaggiando tra la sua esperienza quotidiana
personale e le parole della Sacra Scrittura, costruisce un suo modo d’essere
comunicativo ed evangelizzante. Ecco: questa, secondo me, è l’eredità più vera che don Andrea Santoro ci lascia. Valida a Roma, valida in Occidente,
valida in Oriente.
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IN OLTRE 500 CITTA’ DEL MONDO OGGI SI DICE “NO”
ALLA PENA DI MORTE
- Ai
nostri microfoni Mario Marazziti -
“Non c’è giustizia senza vita”: è questo il titolo della
quinta Giornata internazionale “Città per la vita – Città contro
la pena di morte” che si celebra oggi in oltre 550 città del mondo.
L’evento, organizzato dalla comunità di Sant’Egidio
in collaborazione col comune di Roma, l’Università Roma Tre e le principali
organizzazioni per i diritti umani è la più grande mobilitazione
contro la pena capitale mai realizzata. Il servizio di Giovanni
Augello.
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Quasi 5.500 esecuzioni capitali sono state eseguite in 24
Paesi nel mondo, soltanto nel 2005, con oltre il 90 per cento delle stesse
eseguite in Cina, Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita. Sono questi, in sintesi,
i numeri della pena di morte nel mondo, presentati alla quinta Giornata delle
città per la vita: l’iniziativa ha raccolto l’adesione di oltre 500 città in
tutto il mondo, in cui sono in corso incontri e
manifestazioni sul tema. E nonostante il numero delle esecuzioni sia rimasto
pressoché invariato rispetto al 2004, non mancano le buone notizie. Negli
ultimi anni, infatti, il numero dei Paesi che hanno deciso di abolire la pena
capitale per legge o in pratica, è cresciuto, come ci conferma Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio:
“La pena di morte è più debole, oggi. Negli ultimi 20
anni, più di 40 Paesi l’hanno abolita e ormai sono più di metà dei Paesi del
mondo quelli che vivono senza pena di morte. In realtà, si sta affermando
l’idea che la pena di morte sia uno strumento del
passato, anche se grandi Paesi come India, Giappone, Stati Uniti o Cina ancora
la usano”.
Tra le nazioni mantenitrici in cui si segnalano importanti
passi avanti, gli Stati Uniti ma anche Taiwan e Corea del Sud; recentemente
anche in Cina, Paese che detiene il record con più 1.700 esecuzioni ufficiali
nell’ultimo anno, si sono registrati alcuni importanti cambiamenti. Ma il vero
segnale di speranza per il futuro giunge dai Paesi in via di sviluppo. Ancora,
Mario Marazziti:
“Il grande cambiamento è l’Africa. Solo pochi anni fa,
erano appena quattro i Paesi abolizionisti, poi dieci. In realtà, oggi siamo a
23 tra abolizionisti per legge e abolizionisti di fatto. Inoltre, si sta
muovendo qualcosa anche in Indonesia: c’è un dialogo con la più grande
organizzazione musulmana del mondo, indonesiana, proprio per un’iniziativa
parlamentare che potrebbe, prima o poi, portare ad una moratoria”.
Crescono, inoltre, le adesioni all’appello lanciato dalla
stessa Comunità di Sant’Egidio, per una moratoria
universale: sono ormai cinque milioni in 150 Paesi, e costituiscono un vero e
proprio fronte morale, interreligioso e laico, contro la pena di morte.
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30 novembre 2006
IL RICONOSCIMENTO
DELL’INVIOLABILE DIGNITA’ DELLA PERSONA UMANA
QUALE ESSENZIALE CONTRIBUTO DELLA RELIGIONE ALLA SICUREZZA
E ALLA STABILITA’ INTERNAZIONALE, NEL DISCORSO DEL CARDINALE MARTINO,
PRESIDENTE DI GIUSTIZIA E PACE, ALLA CONFERENZA INTERPARLAMENTARE SU DIRITTI
UMANI E LIBERTA’ RELIGIOSA, IN CORSO ALLA GREGORIANA DI ROMA
- A cura di Paolo Scappucci -
ROMA. = Riconoscere la naturale e inviolabile dignità della
persona umana, cuore dell’insegnamento sociale della Chiesa, è essenziale
perché nel mondo si instaurino stabilmente la sicurezza e la pace, secondo la
più profonda aspirazione di tutti i popoli. Lo ha riaffermato il presidente del
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il
cardinale Renato Raffaele Martino, parlando alla IV Conferenza
interparlamentare annuale su diritti umani e libertà religiosa, in corso alla
Pontificia Università Gregoriana di Roma, per iniziativa dell’Istituto
statunitense per la religione e la politica pubblica. Ai numerosi parlamentari
di vari Paesi partecipanti alla Conferenza, il porporato ha ricordato la regola
d’oro della pacifica convivenza sociale: “Fa’ agli altri quello che vorresti
fosse fatto a te”, regola solennemente proclamata dal Vangelo,
ma comune anche alle principali religioni del mondo. Il cardinale
Martino non ha mancato di rilevare il contrasto tra questo fondamentale
principio religioso e le attuali sfide alla pace e alla sicurezza mondiale, tra
cui ha citato espressamente gli esperimenti nucleari in Nord Corea, la drammatica
situazione nella regione del Darfur, il conflitto tra
Russia e Georgia, le violenze in nome della religione in varie parti del mondo,
le perduranti guerre in Iraq e Afghanistan, i combattimenti in Nigeria e
Uganda. In veste di presidente anche del dicastero vaticano della Pastorale per
i Migranti e gli Itineranti, il porporato ha ricordato pure il crescente numero
di rifugiati e sfollati, con i motivi sociali, economici e di sicurezza che
stanno dietro tali movimenti di popoli. Come riaffermato dal Congresso su mondo
e religioni nazionali tradizionali, svoltosi nel 2003 ad Astana,
in Kazakhstan, il dialogo promosso dall’autentico
spirito religioso è non soltanto un mezzo per risolvere i problemi tra i
popoli, ma ciò che più importa è un mezzo per evitare i conflitti. Di qui,
l’essenziale contributo che, secondo il cardinale Martino, la religione può
dare alla stabilità e alla sicurezza internazionale, essendo suo scopo la
realizzazione di un mondo in cui tutti possano vivere, lavorare e riconoscersi
reciprocamente come fratelli. Solo così la minaccia e l’aggressione possono
essere bandite per far posto alla cooperazione e allo sviluppo. Pace, sicurezza
e stabilità – ha concluso il porporato – esisteranno solo quando, come
sostenuto da ogni vera religione, la dignità di ciascuna persona umana venga riconosciuta, i diritti umani e le libertà
fondamentali promossi e protetti, con la condanna come offesa a Dio e minaccia
alla pace di ogni violenza e conflitto in nome della religione.
“LE
VIE DELL’INCONTRO, QUALE DIALOGO CON I MUSULMANI?”: È IL TITOLO
DEL DOCUMENTO PRESENTATO IERI A BOLZANO DAI
VESCOVI DEL TRIVENETO,
CHE
INVITANO ALLA CHIAREZZA E AL BUON VICINATO
BOLZANO. = Chiarezza e buon vicinato: si può riassumere
con questi due concetti il contenuto del documento “Le vie dell’incontro, quale
dialogo con i musulmani?”, presentato ieri a Bolzano dalla Commissione
regionale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza
episcopale del Triveneto (CET). “Occorre promuovere il dialogo nella
consapevolezza della propria identità – ha affermato mons. Wilhelm
Emil Egger, presidente
della CET, citato dall’agenzia Sir – perché è proprio
la nostra identità cristiana che ci rende capaci di dialogo e noi siamo
chiamati a rispondere a questa vocazione che è di ogni cristiano”. Un tema,
questo, che il presule ha ripetuto in più occasioni e in diverse sedi negli
ultimi mesi. Prendendo le mosse dalla svolta segnata dal Concilio Vaticano II
nelle relazioni con le altre religioni, il documento passa in rassegna le tappe
principali della storia delle relazioni cattoliche con l’Islam, per arrivare a
sottolineare come incontro e dialogo siano intrinsecamente necessari al cammino
di fede. Il tutto, come ribadiscono i vescovi della CET, “senza cercare il
compromesso o il sincretismo, ma il rispetto delle reciproche diversità”.
(R.M.)
I
VESCOVI DELL’ARGENTINA CHIEDONO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI DEL PAESE
DI
ARCHIVIARE IL DISEGNO DI LEGGE CHE AUTORIZZA LA VENDITA
E LA
DISTRIBUZIONE GRATUITA DELLA “PILLOLA DEL GIORNO DOPO”
BUENOS AIRES. = Archiviare il disegno di legge che
autorizza la vendita e la distribuzione gratuita in Argentina della “pillola
del giorno dopo”, che attenta contro la vita umana, considerata inviolabile
dalla Costituzione “fin dal momento del concepimento”: è quanto chiedono i
vescovi argentini, rivolgendosi in un comunicato alla Camera dei Deputati del
Paese, che si appresta a esaminare un disegno di legge che autorizza la vendita
e la distribuzione gratuita delle pillole, definite “anticoncezionali
d’emergenza”. Come riferisce l’agenzia Zenit, i presuli ricordano che “gli
organismi di controllo sanitario riconoscono che, tra le sue conseguenze,
questo farmaco impedisce l’annidamento o l’impianto
dell’embrione nell’utero materno”. I vescovi, “che hanno espresso ripetutamente
la propria preoccupazione per la difesa della vita”, fanno “appello alla
coscienza dei legislatori nazionali” e chiedono, “come cittadini,
l’archiviazione definitiva del suddetto disegno”. (R.M.)
APPELLO ALLA CONCILIAZIONE E AL DIALOGO DEL
CARDINALE JULIO TERRAZAS SANDOVAL, PRESIDENTE DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE DELLA BOLIVIA, DI FRONTE AL CLIMA CONFLITTUALE VISSUTO NEL
PAESE
SANTA CRUZ
DE LA SIERRA. = “Il Signore ci chiede di instaurare la pace, è un grido di Pace
che non è invenzione di un gruppo di persone, ma il canto degli angeli durante
il tempo natalizio”: sono parole del cardinale Julio Terrazas Sandoval, presidente
della Conferenza episcopale della Bolivia e arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra, che nella sua omelia per la Messa dello
scorso 26 novembre, nella Cattedrale della città, ha rivolto un appello alla
conciliazione e al dialogo tra i boliviani di fronte al clima conflittuale vissuto
nel Paese. Come riferisce l’agenzia Zenit, il porporato ha ricordato la difficile
situazione che si è creata in Bolivia a causa della posizione intransigente del
governo e dei partiti d’opposizione, entrambi polarizzati su temi come il sistema
di votazione per 2/3 per l’assemblea costituente. All’opposizione,
che si trova da vari giorni in sciopero della fame, ha ricordato che si tratta
di una misura che non porterà a una soluzione, perché gli spazi per trovare
soluzioni sono lo scenario della vita e il dialogo. “Invito i fratelli e le
sorelle che hanno preso questa misura – ha detto – a tornare allo scenario
della vita. Li vogliamo pieni di vitalità, perché i cadaveri non risolvono il
problema, e ci sono già troppi cadaveri ambulanti che cercano un po’ di luce”.
Rivolgendosi poi ai governanti, il porporato ha ricordato loro che sono
chiamati al servizio e che devono liberarsi dai discorsi vuoti che esortano
alla rivalsa e alla violenza: “Non possono ricorrere a un discorso facile – ha
spiegato – e dire ‘questo non è dei nostri’ o ‘questi
hanno già mangiato troppo’”. “Questa forma burlesca
di trattare la vita del Paese – ha aggiunto – ci sta portando sull’orlo della
disperazione e a non incontrarci più”. (R.M.)
LEGALI DA OGGI IN SUDAFRICA I MATRIMONI OMOSESSUALI. “SONO UNIONI
CONTRARIE ALLA LEGGE NATURALE”, AVEVA AFFERMATO NEI GIORNI SCORSI LA CONFERENZA
EPISCOPALE DEL PAESE
CITTÀ DEL CAPO. = Dopo Olanda, Belgio, Canada
e Spagna, il Sudafrica è il quinto Stato al mondo a parificare pienamente il
matrimonio tra persone omosessuali. La normativa, che era stata approvata dal
Parlamento qualche settimana fa, è stata firmata stamani dal vice presidente, Phumzile Mlambo-Ngcuka, mentre il
presidente, Thabo Mbeki, si
trova in Nigeria per una conferenza. La legge arriva dopo il pronunciamento
della Corte Costituzionale, che lo scorso dicembre aveva dato
un anno di tempo affinché il governo riconoscesse legalmente l’omosessualità.
In Sudafrica, già dal 2002 sono legali le adozioni per le
coppie gay, mentre da decenni ormai sono riconosciute quelle ai single. Di recente, anche i vescovi
sudafricani erano intervenuti nel dibattito sull’argomento, sottolineando come
le unioni omosessuali fossero “contrarie alla legge
naturale” e “in nessun modo simili al matrimonio”. “Attraverso le culture e i
differenti credi religiosi – avevano affermato – il matrimonio è il fondamento
della famiglia, (…) una relazione d’amore duratura tra un uomo e una donna, una
relazione aperta alla vita e al futuro della razza umana”. (R.M.)
DIMESSA DAL REPARTO DI TERAPIA
INTENSIVA DEL POLICLINICO GEMELLI DI ROMA CHIARA LUBICH. LA FONDATRICE DEL
MOVIMENTO DEI FOCOLARI ERA STATA
RICOVERATA IL 2 NOVEMBRE
SCORSO PER UN’INSUFFICIENZA RESPIRATORIA
CAUSATA DA UN EPISODIO
INFETTIVO POLMONARE
ROMA. = Sono in progressivo miglioramento le
condizioni di salute di Chiara Lubich, ricoverata al
Policlinico Gemelli di Roma il 2 novembre scorso per un’insufficienza
respiratoria causata da un episodio infettivo polmonare. Mentre continuano a
giungerle espressioni di affetto, solidarietà e
preghiere per la sua guarigione, la fondatrice del Movimento dei Focolari è
stata dimessa dal reparto di terapia intensiva. Il direttore del reparto, il
prof. Massimo Antonelli, ha dichiarato che “la
risposta positiva alle terapie ha consentito il raggiungimento di un quadro
clinico stabile e soddisfacente”. Il Movimento ha espresso “viva riconoscenza
per le cure prestate, per la disponibilità e la competenza del direttore e dei
suoi collaboratori”. Martedì 21 novembre, il cardinale segretario di Stato,
Tarcisio Bertone, aveva fatto visita a Chiara Lubich al Gemelli, dopo aver
presieduto la Messa per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università
Cattolica. Insieme a una nuova benedizione del Papa, le aveva consegnato a suo
nome un rosario. (R.M.)
DOPO 4
ANNI DI ASSENZA DALLA NORD COREA, L’AGENZIA
INTERNAZIONALE
PER
L’ENERGIA ATOMICA RILANCIA I NEGOZIATI CON LA NORD
COREA PER POTER
ASSICURARE
TOKYO. = Pieno appoggio dell'Agenzia internazionale per
l'energia atomica al rilancio del negoziato sul nucleare nordcoreano.
In una conferenza stampa, oggi a Tokyo, Mohamed El Baradei, direttore dell’AIEA,
ha dichiarato che l'Agenzia dell’ONU è pronta a lavorare con Pyongyang per verificare e garantire alla comunità
internazionale “che tutte le attività nucleari nella Repubblica democratica
popolare di Corea siano esclusivamente per scopi pacifici”. Il direttore
dell’AIEA ha ricordato che gli ispettori dell'Agenzia sono ormai assenti da
quattro anni dalla Corea del Nord, ma si è detto soddisfatto delle nuove
prospettive di dialogo, apertesi per rilanciare la trattativa internazionale di
Pechino. Secondo El Baradei,
il caso di Pyongyang sottolinea tutta l'importanza di
una stretta e tempestiva collaborazione fra la comunità internazionale e
l'Agenzia dell'ONU. Ormai, ha detto il direttore, è indispensabile ''porre
sotto controllo multinazionale qualsiasi nuova operazione di arricchimento
dell'uranio e di separazione del plutonio''. Quanto
al nucleare iraniano, El Baradei
ha detto che al momento sui progetti di Teheran “pesa
ancora un grande interrogativo”. (R.G.)
È SALITO A OLTRE 30 MORTI IL BILANCIO DELLE ALLUVIONI CHE NELL’ULTIMO
MESE HANNO COLPITO IL KENYA
NAIROBI. = Altre 11 persone sono morte nelle
ultime due settimane in Kenya a causa delle alluvioni, portando a 34 il
bilancio delle vittime delle piogge e degli straripamenti dell’ultimo mese. Lo
ha reso noto un portavoce della Croce Rossa kenyano,
precisando che “una persona è morta nella provincia Nordorientale
e 10 nella provincia Orientale”. Come riferisce l’agenzia MISNA, il governo
invece sottostima il numero dei morti. “Secondo le nostre stime sono solo 20 le
persone morte sinora”, ha dichiarato Wario Ali, viceministro per i Programmi speciali, aggiungendo che
finora l’esecutivo ha stanziato 2,2 milioni di euro per le operazioni di
soccorso. Secondo il quotidiano locale The Nation,
solo lunedì notte nove persone sarebbero morte: cinque bambini tra i cinque e
gli otto anni nel distretto di Makueni e quattro
persone nei distretti di Keiyo, Uasin
Gishu e Lunari. Mentre i meteorologi prevedono che le
piogge continueranno sino a gennaio, sono almeno 800 mila le persone colpite
dalle alluvioni che hanno distrutto abitazioni, strutture pubbliche, raccolti e
allevamenti, e che adesso rischiano di facilitare la trasmissione di malattie
infettive, mentre sono già stati accertati almeno 20 casi di bambini colpiti da
malaria. (R.M.)
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30 novembre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco e Ada Serra -
Dopo tensioni e polemiche si è
svolto, questa mattina ad Amman, in Giordania, l’atteso
incontro tra il presidente statunitense Bush ed il
premier iracheno Al Maliki. Il nostro servizio:
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Bush ha sottolineato che il successo
del governo del premier al Maliki è cruciale per
l’Iraq. E’ importante – ha aggiunto – che l’esecutivo di Baghdad riesca a fermare la violenza. Il presidente americano ha poi
confermato la sua fiducia al premier iracheno all’indomani della pubblicazione
di un memorandum riservato della Casa Bianca. Nel testo si esprimono dubbi
sulle capacità del governo di Baghdad di arginare le violenze di matrice
confessionale in atto da mesi nel Paese. Bush ha
dichiarato, inoltre, che gli Stati Uniti sono pronti a modificare le loro tattiche
per meglio sostenere l’esecutivo iracheno e ha spiegato che le truppe
statunitensi rimarranno in Iraq fin quando la loro
missione non sarà compiuta. Dal canto suo, il primo ministro iracheno ha
espresso il desiderio di costruire un Paese unito e democratico e ha indicato,
tra le minacce più gravi, il terrorismo e l’estremismo. Al Maliki
ha poi affermato di essere aperto al dialogo e pronto a cooperare con i Paesi
vicini. Bush e al Maliki si
sono trovati d’accordo anche nella loro opposizione a una divisione dell’Iraq
in tre zone separate e semiautonome. Questo tipo di divisione – hanno
concordato – porterebbe ad una escalation delle
violenze. Sul Medio Oriente, infine, il presidente statunitense Bush ha ribadito la sua visione di due Stati, Israele e
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E mentre il presidente Bush è all’opera sul fronte della diplomazia irachena, il
segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha incontrato a Gerico il
presidente palestinese, Abu Mazen.
I due hanno
concordato sull’esigenza di estendere il cessate il fuoco, in vigore da
domenica scorsa nella Striscia di Gaza, anche alla Cisgiordania.
Il segretario di Stato americano ha sottolineato, in particolare, la necessità
che Israele compia una serie di azioni umanitarie per alleviare le dure
condizioni di vita della popolazione palestinese. Il presidente Abu Mazen, dal canto suo, ha
affermato che i colloqui con Hamas, per arrivare a un
governo di unità nazionale, sono in una fase di stallo. Intanto, Condoleezza Rice è arrivata poco
fa a Gerusalemme per incontrare il premier dello Stato ebraico, Ehud Olmert, ed il ministro degli
Esteri, Tzipi Livni. Le autorità israeliane hanno poi rivelato di
aver rilasciato, ieri, il ministro dei Lavori Pubblici palestinese,
Abdel Rahman Zidan, che era stato incarcerato all’inizio di novembre,
insieme con altri 60 tra ministri e parlamentari dopo il rapimento, nel giugno
scorso, del caporale israeliano Ghilad Shalit.
E intanto, nel vicino Libano, c’è tensione per la manifestazione che si
svolgerà domani pomeriggio nel centro di Beirut, per chiedere la formazione di
un governo di unità nazionale. Il leader di Hezbollah,
Sayyed Hassan Nasrallah, ha invitato tutti i libanesi di diverse
affiliazioni politiche e religiose a scendere in piazza contro il governo
guidato da Fuad Sinora. Il governo “non ha rispettato
– ha detto il leader del movimento sciita libanese - il suo programma e i suoi
impegni sin da quando è stato formato, oltre un anno fa”.
All’indomani della decisione
della Commissione Europea di raccomandare una parziale sospensione delle
trattative per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, il nodo da sciogliere
resta la questione dei rapporti commerciali con
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Quello che
Da Bruxelles, per la Radio Vaticana, Giovanni Del Re, AKI.
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Caso Aleksandr Litvinenko: il team di
scienziati che sta seguendo l’inchiesta sulla morte dell’ex spia del KGB ha
rinvenuto tracce di polonio 210 su due aerei della British
Airways. La compagnia aerea sta al momento
contattando tutti i passeggeri che di recente hanno viaggiato sui velivoli. E’
fuori pericolo, intanto, l’ex premier russo Egor Gaidar
ricoverato in ospedale a Mosca, dopo essersi misteriosamente sentito male
durante un soggiorno in Irlanda. I medici sostengono, secondo quanto riporta
oggi il giornale russo ‘Kommersant’, che i sintomi
indicano l’avvelenamento.
Il segretario
generale dell’ONU, Kofi Annan,
ha chiesto un immediato impegno per far fronte alla tragedia della martoriata
regione sudanese del Darfur. In un appello al
Consiglio dei diritti umani, Annan ha esortato i
Paesi membri ad occuparsi, con urgenza, del Darfur.
Dal febbraio del 2003 sono morte, a causa di scontri, oltre 200 mila persone.
Violente proteste, nell’ovest dell’India,
hanno provocato almeno tre vittime e più di 40 feriti. A scatenare la tensione
è stato un atto vandalico contro una statua di Bhimrao
Ramji Ambedkar, uno dei
primi difensori dei diritti dei dalit, la casta degli
“intoccabili”. Sono stati incendiati alcuni treni e autobus. Si registrano,
inoltre, scontri tra gruppi di dalit e agenti della
polizia in diverse località. Le autorità hanno imposto un coprifuoco in alcune
città e sono stati ordinati più di 1.500 arresti preventivi.
Il Parlamento etiope ha approvato oggi una
risoluzione in cui si autorizza il governo a “prendere tutte le misure
necessarie per difendere” l’Etiopia dalle Corti islamiche somale. Le truppe
etiopi sono già schierate sia ai confini che all’interno della
Somalia. Sul terreno, le Corti islamiche hanno annunciato di aver fatto
esplodere, ieri, un veicolo militare etiope. Il governo di transizione somalo
sostiene che non vi sono state vittime, anche se diverse testimonianze parlano
di almeno 14 morti e numerosi feriti.
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