RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 332 - Testo della trasmissione di martedì 28 novembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“Ho sempre desiderato visitare la Turchia per approfondirne l’amicizia con la Santa Sede, aiutare l’incontro fra le culture e lavorare per la pace e la riconciliazione”: così Benedetto XVI al suo arrivo in Turchia, per il viaggio apostolico in programma fino al 1° dicembre.

 

Cordiale l’incontro tra il primo ministro turco, Erdogan, e il Papa, che ha poi reso omaggio al Mausoleo del Padre della Patria, Atatürk.

 

La grande attesa, tra preghiere ed emozioni della comunità cattolica turca, che abbraccerà il Papa a Efeso. Il Patriarca ecumenico degli ortodossi, Bartolomeo I, definisce la visita di Benedetto XVI in Turchia “un momento storico”: ne parliamo con il cardinale Paul Poupard, il vescovo di Smirne, Ruggero Franceschini, e l’arcivescovo ortodosso d’America, Demetrios.

 

Da oggi, l’agenzia Zenit, in collaborazione con la nostra emittente e la rivista Oasis inizia la pubblicazione dei suoi bollettini in lingua araba. Sui siti dell’agenzia e della nostra emittente anche la traduzione in arabo dei discorsi che Benedetto XVI pronuncerà nel viaggio apostolico in Turchia

 

Il Papa celebrerà sabato pomeriggio, nella Basilica di San Pietro, i Primi Vespri della I Domenica di Avvento

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Aperto a Riga, in Lettonia, il Vertice della NATO incentrato sul ruolo dell’Alleanza: intervista con Andrea de Guttry

 

Milioni di euro dall’Italia al Mozambico: siglato un accordo bilaterale tra i due Paesi per una nuova stagione di cooperazione allo sviluppo: ai nostri microfoni Valentina Torresani e padre Riccardo Regonesi

 

CHIESA E SOCIETA’:

La Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles ha chiesto al governo britannico di smantellare il proprio arsenale nucleare

 

Nello Sri Lanka, la chiesa di Jaffna ritiene “sincera” la proposta del presidente, Rajapakse, di riaprire la A9 per gli aiuti ai Tamil.  Il leader dei ribelli accusa, invece, Colombo di mascherare dietro il processo di pace la volontà di annientare la  minoranza etnica

 

Assegnato al cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, il Premio “per gli ebrei in Ungheria”

 

Trentotto milioni i bambini analfabeti nell’Africa sub-sahariana, oltre la metà dei quali di sesso femminile: così nel V Rapporto UNESCO sulla scolarizzazione infantile, presentato in questi giorni a Dakar, in Senegal

 

Nel Corno d’Africa, un milione e 800 mila persone colpite dalle peggiori inondazioni degli ultimi 50 anni

 

Per salvare dal degrado i suoi tesori, l’Egitto si appresta a chiudere le tombe della Valle dei Re di Tebe a Luxor: lo ha reso noto, ieri a Il Cairo, il segretario generale del Consiglio Supremo per le antichità del Paese

 

24 ORE NEL MONDO:

Se la tregua non verrà rispettata, riprenderanno gli attacchi nella Striscia di Gaza. Così il ministro degli Esteri israeliano che definisce il cessate il fuoco una chance per la pace

 

In Iraq, il governo chiede di prorogare di un anno il mandato della Forza multinazionale di 160 mila uomini

 

A Riga, in Lettonia, il vertice della NATO incentrato sul ruolo dell’Alleanza per garantire stabilità e sicurezza

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

28 novembre 2006

 

 

“HO SEMPRE DESIDERATO VISITARE LA TURCHIA

PER APPROFONDIRNE L’AMICIZIA CON LA SANTA SEDE,

AIUTARE L’INCONTRO FRA LE CULTURE E LAVORARE

PER LA PACE E LA RICONCILIAZIONE”: COSI’ BENEDETTO XVI ALL’ARRIVO IN TURCHIA,

PER IL SUO QUINTO VIAGGIO APOSTOLICO INTERNAZIONALE,

IN PROGRAMMA FINO AL PRIMO DICEMBRE.

CORDIALE L’INCONTRO DEL PAPA CON IL PRIMO MINISTRO TURCO, ERDOGAN

- Interviste con il cardinale Paul Poupard, il vescovo Ruggero Franceschini

e l’arcivescovo ortodosso Demetrios -

 

Il mio “non è un viaggio politico ma un viaggio pastorale”, all’insegna della pace e del dialogo. E’ iniziato con queste parole programmatiche il quinto viaggio apostolico internazionale di Benedetto XVI, che due ore fa, alle 13 ora della Turchia, è atterrato all’aeroporto internazionale di Ankara. Ai giornalisti presenti sul volo papale - un Airbus 321 dell’Alitalia - il Papa ha subito voluto ribadire il significato autentico della visita, che corona un suo ben noto desiderio. L’aereo con a bordo il Pontefice è decollato poco dopo le 9.20 dall’aeroporto di Fiumicino: ad attendere il Papa allo scalo romano, tra gli altri, il vescovo di Porto e Santa Rufina, Gino Reali.

 

Nel tradizionale scambio di telegrammi con i capi di Stato dei Paesi sorvolati, Benedetto XVI ha scritto al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, di accingersi a “condividere” con i cattolici locali “momenti di forte spiritualità” e di voler “incoraggiare il dialogo ecumenico e interreligioso”. “Sono certo che la sua visita - ha replicato il presidente Napolitano - offrirà un contributo di straordinario valore alla causa della fratellanza e della pace fra i popoli, rafforzando le ragioni profonde di mutua comprensione e di dialogo tra il cristianesimo ed il mondo islamico”.  Ma per ripercorrere i primi passi di Benedetto XVI in terra turca, cediamo la parola a uno dei nostri inviati, Pietro Cocco:      

 

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“Turchia, punto di incontro e crocevia di religioni e culture diverse”, con queste parole – scritte in inglese sul Libro d’oro del Mausoleo di Atatürk, padre della Turchia moderna - Benedetto XVI ha rivolto il suo saluto al Paese, dopo l’arrivo nella capitale Ankara. “In questa terra, cerniera fra l’Asia e l’Europa – sono ancora parole del Papa – volentieri faccio mie le parole del fondatore della Repubblica turca, per esprimere l’augurio: pace in patria, pace nel mondo”. Un messaggio che trova orecchie attente ad ascoltarlo, come ha mostrato la presenza all’aeroporto del primo mnistro Erdoğan, con il quale il Papa si è poi fermato a colloquio per circa una ventina di minuti. Un colloquio cordiale, aperto da una sorridente stretta di mano, che ha contribuito a sciogliere subito, in un rapporto diretto, le difficoltà e i dubbi della vigilia. Come traspare dalle dichiarazioni che, dopo il loro incontro, il primo ministro Erdoğan ha rilasciato ai giornalisti.

 

“Il Papa ha fatto la sua visita nel momento giusto, ha osservato il primo ministro, “in un mondo dove la cultura della violenza dilaga e le diversità vengono in rilievo, è molto significativo che il Papa venga in un Paese dove la maggioranza è musulmana, in un Paese laico e democratico come la Turchia. Con la sua visita si può dare un messaggio di pace e tolleranza. Erdoğan ha aggiunto che il Papa ha parlato in modo positivo a proposito dell’islam e della Turchia nell’Unione Europea. “Sentire queste espressioni, ha osservato, per me significano che il nostro incontro ha avuto un esito positivo”.

 

Anche la stampa turca, oggi rivolge un caloroso benvenuto al Papa, addirittura il quotidiano Sabah lo formula in italiano in prima pagina. Ma anche gli altri quotidiani riportano tutti la foto del Papa in prima pagina, con il volto sorridente e a braccia aperte. Tutti hanno pagine interne dedicate alla visita, e pur sottolineando che si tratta, prima di tutto, di una visita al Patriarca Bartolomeo per progredire nel cammino ecumenico, esprimono l’auspicio che si possano superare le incomprensioni del passato. Su questo punto, il giornalista Hakan Selik, che incontrò il cardinale Ratzinger prima della sua elezione al Soglio pontificio, dalle pagine del quotidiano popolare Posta ricorda che chiese espressamente a lui se era vero che non auspicava l’ingresso della Turchia in Europa. Il cardinale Ratzinger, scrive il giornalista, rispose di essere stato frainteso, e che stimava molto il popolo turco.

 

La piccola comunità cattolica, nei suoi diversi riti, è intanto raccolta in preghiera per questa visita apostolica da cui aspetta incoraggiamento e fiducia per guardare con serenità al futuro in questo paese.

 

Mentre siamo in onda, il Papa sta raggiungendo in auto il palazzo presidenziale di Ankara per la cerimonia di benvenuto ufficiale, dove lo attende il presidente della Repubblica turco, Ahmet Necdet Sezer. Una cerimonia che si svolgerà senza discorsi ufficiali. Il primo discorso della sua visita apostolica, il Papa lo rivolgerà al presidente del Dicastero per gli Affari religiosi, il prof. Ali Bardagoglu. Un discorso molto atteso, non solo in Turchia, come ha sottolineato il presidente della Commissione per il dialogo interreligioso della prestigiosa Università di Al Azhar dell Cairo: “Potrebbe aprire la strada a molte cose. Aspettiamo le sue dichiarazioni con estremo interesse e uno spirito positivo”.

 

Da Istanbul, Pietro Cocco, Radio Vaticana.

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Il volo che lo portava in Turchia ha visto un Benedetto XVI molto cordiale con i presenti sull’aereo, dai giornalisti al personale in servizio. Il Papa è entrato nella cabina di pilotaggio dell’Airbus ed ha ricevuto dai piloti ragguagli sulla rotta. Importante poi, come detto, la conversazione avuta con i cronisti che lo attorniavano circa i motivi pastorali del viaggio in Turchia. Parole delle quali ci riferisce il nostro inviato al seguito del Pontefice, Sergio Centofanti:

 

 

 

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“Lo scopo di questo viaggio – ha detto il Papa, parlando ai giornalisti - è il dialogo, la fraternità, un impegno per la comprensione fra le culture e le religioni, per la riconciliazione”. “Tutti – ha sottolineato – sentiamo la stessa responsabilità in questo momento difficile della storia”. Alla domanda su come affronti questo viaggio in una situazione di tensione, il Papa ha detto che lo intraprende “con grande fiducia e speranza, accompagnato – ne è consapevole – dalla simpatia e la preghiera di tante persone”. “So – ha aggiunto – che il popolo turco è ospitale, aperto e che desidera la pace”.

 

Il Papa sottolinea con forza che questo non è un viaggio politico ma pastorale, con l’obiettivo del dialogo con l’islam e con gli altri fratelli cristiani, in particolare gli ortodossi, per una migliore comprensione reciproca. “Non dobbiamo aspettarci grandi risultati da questo viaggio”, ha precisato. “Il suo valore è simbolico e consiste negli stessi incontri di amicizia e di rispetto in un comune impegno per la pace e la fraternità”.

 

Alla domanda sull’integrazione della Turchia in Europa, il Papa ha ricordato che il Padre della Turchia moderna, Kemal Atatürk, ha preso come modello la Costituzione francese e, quindi, all’origine della Turchia moderna – ha notato – c’è il dialogo con la ragione europea, il suo modo di pensare e di vivere, da realizzare in un contesto storico e religioso diverso. “Perciò – ha detto – il dialogo tra ragione europea e tradizione musulmana è inscritta nell’esistenza stessa della Turchia moderna e in questo – ha affermato – abbiamo una responsabilità reciproca: noi europei dobbiamo ripensare la nostra ragione laicista, che esclude la dimensione religiosa dalla vita pubblica e che porta ad una strada senza uscita. La Turchia, da parte sua, a partire dalla sua storia, deve pensare con gli europei come ricostruire per il futuro il nesso tra laicità e tradizione, tra una ragione aperta e tollerante che ha come elemento fondamentale la libertà e quei valori fondati sulla religione che danno contenuto alla libertà”.

 

Infine, rispondendo all’ultima domanda, relativa all’incontro con il Patriarca Bartolomeo I, Benedetto XVI ha sottolineato, al di là della consistenza numerica, il valore simbolico, storico e spirituale del Patriarcato Ecumenico, come punto di riferimento per tutto il mondo ortodosso. “Si tratta, dunque – ha detto – di un momento molto importante nel cammino verso l’unità dei cristiani”.

 

L’ultimo pensiero il Papa lo ha voluto dedicare all’incontro con la piccola comunità cattolica della Turchia.

 

Da Ankara, Sergio Centofanti, Radio Vaticana.

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Su questo viaggio apostolico si appuntano, dunque, gli auspici della Chiesa cattolica locale ma anche le speranze della Santa Sede. A confermarlo, al microfono di Giovanni Peduto, è il cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso:

 

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R. – La mia grande speranza è che durante questo viaggio e in questo clima divenuto così “caldo” da parte dei media - come ho potuto constatare la settimana scorsa, mentre mi trovavo in India, e poi nel mio passaggio a Vienna: tutti i media di lingua inglese, di lingua tedesca ne parlano, è davvero un fenomeno mondiale – ebbene, giacché l’attenzione di tutto il mondo è puntata su questo viaggio, sono certo che il mondo non potrà non scoprire la semplicità, la bontà, la chiarezza, l’amabilità del nostro Santo Padre, che farà come un commento in rilievo della sua enciclica Deus caritas est, Dio è amore. E’ un unico messaggio, non ce ne sono due: è lo stesso messaggio che va diretto ai fratelli ortodossi, ai fratelli musulmani, ai fratelli e figli cattolici. Lo stesso messaggio: “Dio è amore”. Dunque, una testimonianza di amore e insieme di grande rispetto per questo grande popolo erede di una grande civiltà, popolo-ponte tra due continenti, erede di una grande storia. E questa eredità è pegno di un grande avvenire comune. Io, veramente, sono pieno di speranza.

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In più occasioni, alla vigilia del viaggio, Benedetto XVI ha manifestato il proprio affetto nei confronti della piccola comunità ecclesiale della Turchia che, lo ricordiamo, costituisce lo 0,4% della popolazione totale. Qual è allora lo stato d’animo dei cattolici, che domani avranno, con la Messa al Santuario di Efeso, la prima occasione di stringersi attorno al Papa? Il nostro inviato Sergio Centofanti lo ha chiesto all’arcivescovo di Smirne, Ruggero Franceschini, presidente della Conferenza episcopale della Turchia, che si sofferma in modo circostanziato sulla situazione dei cattolici nel Paese:

 

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R. – La piccola comunità cristiana lo attende con gioia. All’inizio c’era qualche timore, adesso è scoppiata la gioia.

 

D. – Qual è la situazione della comunità cattolica in Turchia?

 

R. – E’ un’“assenza di presenza”. Noi abbiamo codificato così il nostro modo di essere qui. Non potendo fare tanto apostolato, dobbiamo essere presenti e testimoni, testimoni con la vita semplice, con la vita sorridente, con una vita accogliente.

 

D. – Per quanto riguarda lo status giuridico, voi che cosa chiedete alle autorità?

 

D. – Chiediamo di essere riconosciuti come ente morale. Adesso noi non siamo riconosciuti in alcun modo. Io sono sì arcivescovo, ma sono il signor Franceschini Ruggero e basta. Noi, come Chiesa, non siamo riconosciuti e chiediamo di esserlo, perché, abbiamo detto, non si può dialogare con chi non esiste. Loro, le autorità, lo hanno capito. Noi non chiediamo niente di più. Allora, potremo riparare le nostre chiese, potremo avere piccoli seminari per costruire, come Chiesa, il nostro futuro. Ecco, chiediamo solo questo, niente di più. Non sarà facile risolvere questi problemi, ma con un minimo di lungimiranza sanno che, venendo in Europa, dovranno farlo. Vogliamo essere riconosciuti come cittadini liberi di praticare la propria religione, liberi di parlare, tranquilli e sereni come tutti gli altri.

 

D. – In Turchia ci sono seminari?

 

R. – No, nessuno.

 

D. – Attualmente non si possono costruire chiese?

 

R. – Si dovrebbe, perchè come si possono costruire moschee, in uno Stato laico, si dovrebbero poter costruire anche chiese. Ma qui non si capisce come la giurisdizione si fermi. Comunque, chiese non se ne possono costruire. D’altra parte, per quanto riguarda le tasse, le moschee ne sono esenti, ma le nostre chiese non ne sono esenti.

 

D. – Come sono i rapporti con i musulmani, i rapporti di tutti i giorni?

 

R. – I rapporti di tutti i giorni sono correttissimi. C’è un’ottima convivenza. Lavoriamo insieme. Addirittura ci avevano chiesto di andare a fare scuola di italiano nelle fabbriche, perchè molte fabbriche sono a capitale misto italo-turco. Noi abbiamo qui i nostri aiutanti, quattro persone, che ci aiutano nell’episcopio, e sono tutti turchi. Sono molto bravi.

 

D. - La visita del Papa ad Efeso, questa città così importante per i cristiani, che significato ha per voi?

 

R. – Un grande significato, nel senso che ci incoraggia. Abbiamo delle comunità stanche. Anche dal lato economico, in fondo, siamo dei “figli di nessuno”. Se non avessimo creato delle amicizie… Io sono un emiliano e ho persone che a Modena, Reggio Emilia, mi sostengono tutta la diocesi, altrimenti non ce la faremmo. Noi abbiamo bisogno anche di persone che vengano qui per due, tre mesi. Il volontariato sarà la nostra salvezza, visto che non potranno venire persone stabilmente. Inventeremo nuovi modi per farci aiutare.

 

D. – Ad Efeso, secondo un antica tradizione, è stata assunta in cielo Maria…

 

R. – Certo, e noi custodiamo questa Casa di Maria nella quale lei ha vissuto con Giovanni, sul colle che si chiama “Colle dell’usignolo”, dove c’è il Santuario di Maria Madre, isolato in mezzo al bosco. Ma è triste adesso, perché il bosco ha subito un incendio clamoroso alla fine dell’estate e di un secondo ancora. Si è salvata soltanto la piccola area del Santuario, della casa dei Frati cappuccini e delle suore.

 

D. – Un incendio doloso?

 

R. – Nessuno dice questo aggettivo... Ma noi ci passiamo sopra, perchè abbiamo visto che le persone turche musulmane hanno lavorato con una tenacia, con una laboriosità incredibile e hanno spento l’incendio.

 

D. – I rapporti tra cattolici e ortodossi come sono?

 

R. – I rapporti sono molto buoni e sono buoni ancora di più ai livelli bassi, cioè a livello di amicizia, per esempio fra coinquilini dello stesso palazzo. Ci si invita gli uni alle feste degli altri, tranquillamente. Si è realizzato un ecumenismo di fatto. La gente che crede, armena, ortodossa, cattolica, supera le divisioni.

 

D. – Quali sono le sue speranze e quale parola attendono dal Papa le comunità cristiane in Turchia?

R. - Crediamo che la visita del Papa riaccenda veramente una speranza. E’ un’ottima occasione per i turchi per dichiararsi laici e veri musulmani, perché possono essere religiosi, ma laici e rispettosi degli altri. E’ un’occasione da non perdere, anche per noi, rinnovandoci.

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Anche il Patriarca ecumenico Bartolomeo I esprime “la grande gioia” con cui si appresta ad accogliere il Papa, in un articolo pubblicato sulla prima pagina dell’Osservatore Romano di oggi. Bartolomeo I definisce il viaggio apostolico del Papa in Turchia un “momento storico”. Questa visita, si legge nell’articolo, “mostra anche la nostra profonda convinzione e la nostra disponibilità ad intensificare” il dialogo “teologico di amore, di verità e di rispetto reciproco”. Ancora, il Patriarca ecumenico si dice convinto che la visita di Benedetto XVI offrirà un’opportunità per “rinnovare” l’impegno “a proseguire il cammino spirituale comune verso l’unità della Chiesa”. Sulle aspettative per la visita di Benedetto XVI da parte del Patriarcato Ecumenico, una delle nostre inviate, Philippa Hitchen, ha intervistato Sua Eminenza l’arcivescovo ortodosso Demetrios di America, coordinatore delle comunicazioni durante il viaggio papale per contro del Patriarcato Ecumenico:

 

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R. - THE EXPECTED PRESENCE…

L’attesa per la sua presenza è molto forte a livello internazionale. Personaggi come Papa Benedetto XVI aiutano a migliorare diverse condizioni, innanzitutto la libertà di religione e poi la possibilità da parte delle varie comunità religiose di svilupparsi sempre di più.

 

D. - Soffermiamoci sulla non facile situazione che gli ortodossi e le altre minoranze cristiane affrontano qui in Turchia. Può spiegarci meglio le difficoltà del rapporto con le autorità?

 

R. – I WOULD EMPHASIZE…

Io sottolineerei quattro aspetti. Il primo: che il Patriarcato non ha uno status legale e questo è importante anche per le minoranze, perché proibisce un numero di attività che di solito sono associate ad un normale status delle comunità religiose. Secondo, c’è una reiterata confisca della proprietà su vasta scala. Sto parlando di centinaia e centinaia di proprietà di tutti i tipi. Terzo, un aspetto legato specificamente al Patriarcato, ossia il rifiuto di riconoscerne il titolo di “ecumenico”, un titolo che è stato associato ad esso per 15 secoli. Questa è storia, non possiamo dire all’improvviso: “Non lo riconosciamo!” L’ultima questione, molto importante, è che continuano a tenere chiusa la scuola teologica, dal 1971. Questa scuola era l’unica istituzione che formava il clero per le chiese. Se non si ha un’istituzione in grado di formare un clero, allora non si ha un clero, e si conduce così la Chiesa verso l’estinzione.  

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Fitta anche l’agenda pomeridiana di Benedetto XVI che, a partire dalle 16 di oggi, incontrerà, tra gli altri, il presidente per gli Affari religiosi della Turchia, Ali Bardakoglu, e quindi si intratterrà con il Corpo diplomatico nella Nunziatura apostolica di Ankara. La nostra emittente trasmetterà questo incontro in radiocronaca diretta a partire dalle 17.20, con commento in italiano per la zona di Roma, sull’onda media di 585 kHz e sulla modulazione di frequenza di 105 MHz.

 

 

DA OGGI L’AGENZIA ZENIT, IN COLLABORAZIONE CON LA NOSTRA EMITTENTE

E LA RIVISTA OASIS, INIZIA LA PUBBLICAZIONE DEI SUOI BOLLETTINI IN LINGUA ARABA. SUI SITI DELL’AGENZIA E DELLA NOSTRA EMITTENTE

ANCHE LA TRADUZIONE IN ARABO DEI DISCORSI

CHE BENEDETTO XVI PRONUNCERÀ NEL VIAGGIO APOSTOLICO IN TURCHIA

- A cura di Tiziana Campisi -

 

L’agenzia di informazioni ZENIT, in collaborazione con il programma arabo della nostra emittente e con la rivista del patriarcato di Venezia “Oasis”, inizia da oggi la pubblicazione dei suoi bollettini in lingua araba. In occasione del viaggio del Papa in Turchia, l’agenzia tradurrà tutti i discorsi di Benedetto XVI in arabo e li pubblicherà sul proprio sito Internet, www.zenit.org, insieme alle notizie prodotte dal nostro programma arabo. A sua volta, anche sul nostro sito www.vaticanradio.org sarà possibile leggere in arabo i discorsi del Santo Padre. L’edizione in arabo di ZENIT è in parte finanziata da “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. L’agenzia ha lanciato questo servizio per rispondere alle richieste delle comunità cristiane dei Paesi arabi che chiedono di leggere la parola del Papa e di conoscere i grandi avvenimenti della vita della Chiesa direttamente nella propria lingua. Attraverso un’informazione rigorosa, il progetto cerca di essere un ponte di dialogo tra culture e religioni.

 

 

NOMINA

 

In Francia, il Papa ha nominato vescovo di La Rochelle mons. Bernard Housset, finora vescovo di Montauban. Nato il 1° giugno 1940 a Saint-Michel-de-Port, nella diocesi di Bayonne, mons. Bernard Housset ha studiato filosofia e teologia presso il Seminario di Bayonne. Ha completato gli studi teologici all’Istituto Cattolico di Tolosa, dove ha anche conseguito la licenza in Teologia. È stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1965 per la diocesi di Bayonne ed ha ricoperto diversi incarichi. Eletto vescovo di Montauban il 17 maggio 1996, è stato consacrato il 15 settembre dello stesso anno.

 

 

IL PAPA CELEBRERÀ SABATO POMERIGGIO, NELLA BASILICA DI SAN PIETRO,

I PRIMI VESPRI DELLA I DOMENICA DI AVVENTO

- A cura di Tiziana Campisi -

 

Subito dopo il suo ritorno dalla Turchia, Benedetto XVI presiederà sabato alle 17, nella Basilica Vaticana, la celebrazione dei Primi Vespri della Prima domenica di Avvento. La nostra emittente seguirà l’evento in diretta. Le quattro settimane dell’Avvento, scrive il maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, l’arcivescovo Piero Marini, “sono un tempo di grazia per rivivere la lunga attesa che ha preceduto l’Incarnazione, un periodo in cui la Chiesa celebra, nel mistero, il compimento della salvezza, nell’attesa dell’ultima venuta del Signore”.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Il dettagliato resoconto della visita pastorale del Papa in Turchia.

 

Servizio estero - NATO: si apre a Riga un cruciale vertice sul nuovo ruolo dell'Alleanza Atlantica nel XXI secolo.

 

Servizio culturale - Un articolo dal titolo “Nel 1468 le mani abili di un orefice di Lodi portarono a Milano la rivoluzionaria arte della stampa”: un convegno di studi e un volume per il V centenario della morte di Filippo Cavagni, primo tipografo meneghino.

Per l'“Osservatore libri” un articolo di Claudio Toscani dal titolo “Ilsalto nel sogno’ di uno scrittore dall'ampia vena narrativa”: “Romanzi” di Mario Soldati nei “Meridiani”.  

 

Servizio italiano - In primo piano il tema degli incidenti sul lavoro.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

28 novembre 2006

 

 

APERTO A RIGA, IN LETTONIA, IL VERTICE DELLA NATO INCENTRATO

SUL RUOLO DELL’ALLEANZA

- Intervista con Andrea de Guttry -

 

Un’Europa più forte, capace di assumere anche un onere militare “adeguato”, è la chiave del rafforzamento della NATO, nella cornice di un mondo in cui terrorismo internazionale, nazionalismi aggressivi e la volontà di potenza di taluni Stati costituiscono i nuovi pericoli per la pace. E’ quanto ha auspicato il presidente francese, Chirac, in vista del vertice della NATO, che si apre oggi in Lettonia. L’amministrazione americana invoca una maggiore “organizzazione di sicurezza globale”. L’Europa insiste, invece, per preservarne la natura transatlantica, sia pure aperta a missioni “fuori area”. Ma quale sarà la posizione che prevarrà nel prossimo futuro? Salvatore Sabatino lo ha chiesto ad Andrea de Guttry, docente di Diritto internazionale presso la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa:

 

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R. – E’ difficile fare delle previsioni, anche se probabilmente si raggiungerà un certo compromesso tra le posizioni americane e quelle europee. Quello che è certo è che la NATO si trova di fronte ad un momento particolarmente complicato della sua vita: necessita di una nuova strategia che identifichi meglio quello che è il ruolo della NATO nel mutato scenario internazionale.

 

D. – Infatti la NATO, così come l’ONU, ha bisogno certamente di una revisione. Come dovrebbe essere la NATO del futuro per essere efficace sui vari scenari internazionali?

 

R. – C’è una condivisione di massima sul fatto che la NATO debba essere ristrutturata e questo perché oggi è chiamata ad operare in un scenario internazionale totalmente diverso rispetto a quello esistente al momento della sua costituzione. Le nuove sfide - la lotta al terrorismo, la lotta contro la proliferazione delle armi e i vari problemi che sono sorti in questi ultimi tempi - richiedono un’organizzazione diversa, più flessibile. La situazione precedente prevedeva la NATO sostanzialmente come un’organizzazione di mutua difesa. La grande sfida è quella di capire se c’è veramente la volontà di tutti gli Stati membri di riorganizzare la NATO.

 

D. – Il primo banco di prova è sicuramente l’Afghanistan, dove la NATO guida una missione di 32 mila uomini: una missione che – lo ricordiamo – quest’anno ha pagato un prezzo altissimo, con oltre 150 morti. Quale potrebbero essere i risultati di questo summit, proprio da questo punto di vista?

 

R. – E’ noto che un gruppo di Stati – e in modo particolare gli Stati Uniti, il Canada, i Paesi Bassi e la Gran Bretagna - vorrebbero un ruolo molto forte della NATO in Afghanistan e, soprattutto, nella zona sud e nell’area al confine con il Pakistan. Gli altri Stati, che sono molto più numerosi all’interno della NATO, sono invece molto scettici riguardo a questa direzione. Preferiscono, infatti, un ruolo molto più di basso profilo. E’ necessario che la NATO decida esattamente quale strategia adottare in Afghanistan, affinché questa situazione di incertezza certamente contribuisce a rafforzamento delle posizioni dei talebani, cosa che nessuno gradisce in questo momento.

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MILIONI DI EURO DALL’ITALIA AL MOZAMBICO: SIGLATO UN ACCORDO BILATERALE

TRA I DUE PAESI PER UNA NUOVA STAGIONE DI COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO

- Interviste con Valentina Torresani e padre Riccardo Regonesi -

 

Il governo italiano e quello del Mozambico hanno siglato due importanti accordi in materia di cooperazione, di decentramento amministrativo e di dialogo politico. I fondi garantiti dall’Italia e presentati nel corso di una visita ufficiale guidata dal viceministro degli Esteri con delega alla cooperazione, Patrizia Sentinelli, ammontano ad oltre 6 milioni di euro e rappresentano una prima inversione di tendenza in termini di finanziamento allo sviluppo, dopo anni di costanti tagli. Gli aiuti premiano un Paese spesso presentato come modello di stabilità, dopo una lunga e sanguinosa guerra civile. Ma non mancano le ombre. Il servizio di Lucas Dùran.

 

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La firma degli accordi bilaterali in materia di cooperazione rilanciano l’antica amicizia, come l’ha definita l’on. Patrizia Sentinelli, tra Italia e Mozambico. Un percorso che ha avuto il suo culmine a livello politico con gli accordi di pace siglati a Roma nel 1992, patrocinati dalla Comunità di Sant’Egidio. Quattordici anni dopo quella storica firma, il quadro economico del Mozambico è contraddittorio. Grazie anche alla stabilità politica conseguita, il prodotto interno lordo del Paese africano è cresciuto negli ultimi dieci anni con una media del 7%. Eppure, il Mozambico resta uno degli Stati fra i più poveri al mondo. Più di un terzo della popolazione urbana e i due terzi di quella rurale vivono in condizioni di povertà assoluta. La dimostrazione la si ha recandosi nei sobborghi della capitale Maputo. Qui, sorgono spesso discariche di ogni sorta. Nel quartiere di Hulene ce n’è una legale, l’unica ad essere organizzata per ricevere rifiuti solidi urbani. E qui opera l’Associazione di cooperazione e volontariato internazionale con il progetto “Recicla” finanziato per larga parte dalla Caritas italiana. Valentina Torresani è la coordinatrice di Recicla:

 

“Ci sono circa 800 persone del quartiere che gravitano intorno a questa discarica. E’ un quartiere periferico rispetto al centro di Maputo, a quella che si chiama “città di cemento”, ed è un quartiere sicuramente tra i più poveri della città: mancano servizi di base, come quelli sanitari, non c’è nessun posto di salute al suo interno, anche il sistema scolastico è carente, ma questo è chiaro in tutta la città e soprattutto in periferia. E’ appunto anche un quartiere che ha notevoli problemi ambientali, proprio per la presenza della discarica, per cui rifiuti per autocombustione liberano fumi comunque dannosi per la salute o per il colato di questi rifiuti che si infiltra nella falda sotterranea e quindi inquina tutta la falda. Essendoci ancora numerosi pozzi all’interno del quartiere, sappiamo bene cosa significa”.

 

Resta il fatto che in una città come Maputo i poveri cha vagano alla ricerca di soldi e cibo sono tantissimi. Ad accoglierli, in prima linea, sono i missionari. Padre Riccardo Regonesi, Dehoniano originario di Bergamo, si confronta ogni giorno con il dilemma tra carità e scarse risorse.

 

“Io dico sempre a tutti che soldi, soldi no, a nessuno o a pochi. Sentendo un po’ ciascuno e il suo problema cerchi di capire se sia vero o no, se ha bisogno o non ha bisogno: però per tutti quelli che passano in casa c’è sempre un po’ da mangiare”.

 

Eppure, nonostante i tanti problemi, la diffusione crescente dell’AIDS, la criminalità urbana in ascesa verticale, il Mozambico resta una speranza nel quadro conflittuale del continente africano. E il rinnovato interesse dell’Italia per questo Paese è una dimostrazione di fiducia non indifferente.

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CHIESA E SOCIETA’

28 novembre 2006

 

LA CONFERENZA EPISCOPALE DI INGHILTERRA E GALLES HA CHIESTO

AL GOVERNO BRITANNICO DI SMANTELLARE IL PROPRIO ARSENALE NUCLEARE

 

LONDRA. = Smantellare l’arsenale nucleare: è quanto ha chiesto la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles al governo britannico. Sette mesi dopo l’analoga richiesta fatta dai presuli scozzesi, anche i vescovi inglesi e gallesi hanno emesso un comunicato in cui citano l’appello del Papa per la Giornata della pace 2006 e avvertono dei pericoli del nucleare nel mondo. La presa di posizione – riferisce l’agenzia SIR – si inserisce nel dibattito pubblico sull’argomento avviato lo scorso giugno dal premier, Tony Blair. “Il Papa – affermano i vescovi – ha spiegato che le armi nucleari non garantiscono la sicurezza di chi le possiede o la pace del mondo. Il Regno Unito – aggiungono – si trova a un punto di non ritorno. La sua capacità nucleare non è sostenibile oltre il 2020 senza notevoli investimenti”. Per questo, “le decisioni iniziali vanno prese da questo Parlamento che potrebbe arrivare al 2010”. Secondo i presuli, il Regno Unito ha “un’opportunità unica di dimostrare alla comunità internazionale che sicurezza e legittima autodifesa sono possibili anche senza la minaccia irragionevole del nucleare e di dare nuovo slancio al processo più ampio di completo disarmo nucleare”. Da parte sua, il vescovo di Portsmouth, mons. Roger Francis Crispian Hollis, presidente del dipartimento per gli Affari Internazionali, ha affermato che “i pericoli del nucleare sono aumentati per la mancanza di stabilità nelle relazioni internazionali”. “La guerra fredda – ha spiegato – era abbastanza ben controllata, ma ora l’elemento di controllo non esiste più”. (R.M.)

 

 

NELLO SRI LANKA, LA CHIESA DI JAFFNA RITIENE “SINCERA”  LA PROPOSTA

DEL PRESIDENTE, RAJAPAKSE, DI RIAPRIRE LA A9 PER GLI AIUTI AI TAMIL. 

IL LEADER DEI RIBELLI ACCUSA INVECE COLOMBO DI MASCHERARE DIETRO IL PROCESSO DI PACE LA VOLONTÀ DI ANNIENTARE LA  MINORANZA ETNICA

 

COLOMBO. = La Chiesa di Jaffna, penisola settentrionale dello Sri Lanka, apprezza l’iniziativa del presidente, Mahinda Rajapakse, di inviare aiuti di prima necessità alla popolazione locale tramite l’autostrada A9, chiusa da agosto in seguito all’escalation di violenza tra esercito e separatisti Tamil. In una lettera inviata al capo di Stato, mons. Thomas Savundaranayagam, vescovo di Jaffna, ha ringraziato il governo per la decisione di riprendere, in via temporanea, gli aiuti alla penisola tagliata fuori da ogni comunicazione. La popolazione è sull’orlo della crisi umanitaria: mancano cibo, medicinali e carburante. Gli unici rifornimenti arrivano via mare, ma le attuali condizioni meteorologiche rendono più lenta e costosa la consegna e la distribuzione. Il presule è convinto che “la proposta di Colombo non sia mera propaganda per soddisfare i grandi donatori, ma un gesto umile e di buona volontà per costruire fiducia tra autorità e popolo tamil”. “Ritengo sincero – ha aggiunto – il desiderio del governo dello Sri Lanka di soddisfare i bisogni della popolazione”. Non è dello stesso parere Velupillai Prabhakaran, leader delle Tigri Tamil, che ha accusato il governo centrale di nascondere dietro i negoziati la volontà di annientare la minoranza etnica. Nel suo discorso annuale ha dichiarato che ai ribelli “non resta altra scelta che l’indipendenza”. Secondo analisti locali, le sue parole sono il colpo di grazia al processo di pace con Colombo. (R.M.)

 

 

ASSEGNATO AL CARDINALE PÉTER ERDŐ, ARCIVESCOVO DI ESZTERGOM-BUDAPEST,

IL PREMIO “PER GLI EBREI IN UNGHERIA”

 

BUDAPEST. = “Per il rafforzamento del dialogo tra la Chiesa cattolica e la comunità ebraica, e per la conservazione della memoria degli ebrei uccisi durante l’Olocausto e di coloro che li salvarono”: con questa motivazione, il premio “Per gli ebrei in Ungheria” è stato assegnato quest’anno al il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente della Conferenza episcopale ungherese. E’ la prima volta che tale riconoscimento va a un esponente della comunità cattolica. “E’ un fatto senza precedenti – ha affermato Péter Feldmájer, presidente della Federazione delle Comunità Ebraiche in Ungheria (MAZSIHISZ) – ma credo che ogni strada positiva debba essere iniziata”. Da parte sua, il cardinale Erdő ha ricordato che il premio “è andato a tutta la Chiesa, attraverso la sua persona”. “Il ritorno al passato e la ricerca comune della verità – ha affermato – possono avere un influsso benefico e curativo sulla società”. (R.M.)

 

 

SONO 38 MILIONI I BAMBINI ANALFABETI NELL’AFRICA SUB-SAHARIANA, OLTRE LA METÀ DEI QUALI DI SESSO FEMMINILE: E’ LA DENUNCIA DEL V RAPPORTO UNESCO SULLA

SCOLARIZZAZIONE INFANTILE, PRESENTATO IN QUESTI GIORNI A DAKAR, IN SENEGAL

 

DAKAR. = Nell’Africa sub-sahariana sono circa 38 milioni i bambini totalmente analfabeti, oltre la metà dei quali di sesso femminile; l’80 per cento in zone rurali. E’ quanto emerge dal V Rapporto annuale dell’UNESCO sulla scolarizzazione infantile, presentato in questi giorni a Dakar, capitale del Senegal, nel corso di un Vertice che riunisce, fino a giovedì, i rappresentanti dei ministeri africani responsabili della prima infanzia, di organizzazioni internazionali come l’UNICEF e la Banca Mondiale e di alcune ONG. Come riferisce l’agenzia MISNA, durante l’incontro è stata sottolineata la necessità di seguire i bambini fin dai primi anni di vita, dando spazio a progetti dedicati alla cura e all’istruzione della prima infanzia. Resta altrettanto importante il ruolo delle istituzioni africane, che dovrebbero impegnarsi ad assumere 1,6 milioni di insegnanti opportunamente formati. Oltre alla presentazione del Rapporto, si analizzano alcuni studi di casi - in particolare, Mauritius, Ghana, Senegal, Malawi, Sudafrica, Mauritania e Kenya - e si discute delle politiche da attuare nei prossimi anni per accelerare il processo di alfabetizzazione. I Paesi oggetto del Rapporto sono stati ordinati in base ad un indice di sviluppo basato su diversi parametri: le prime tre posizioni sono occupate da Regno Unito, Slovenia e Finlandia; le ultime da Burkina Faso, Niger e Ciad. (R.M.)

 

 

 

NEL CORNO D’AFRICA, UN MILIONE E 800 MILA PERSONE COLPITE DALLE PEGGIORI

INONDAZIONI DEGLI ULTIMI 50 ANNI

 

NAIROBI/MOGADISCIO/ADDIS ABEBA. = Oltre un milione e 800 mila persone sono state colpite nel Corno d’Africa dalle peggiori inondazioni degli ultimi 50 anni, seguite a settimane di piogge torrenziali: intere regioni centrali e meridionali somale sono sommerse, i fiumi Juba e Tana hanno inondato una vasta regione del nordest del Kenya e in Etiopia è stata invasa dalle acque la regione somala. Come riferisce l’agenzia MISNA, ieri in Somalia, nella quarta settimana di forti piogge, sette persone sono morte – tra cui cinque bambini – portando ad almeno 96 morti il bilancio degli straripamenti dei fiumi Shabelle e Juba. Buona parte delle vittime sarebbe stata uccisa dai coccodrilli, trasportati dall’acqua per le vie dei centri abitati. Secondo l’ONU, le alluvioni hanno colpito circa un milione di persone nella nazione somala, costringendone almeno 336 mila ad abbandonare le proprie abitazioni. In Kenya, invece, le piogge torrenziali hanno causato almeno 80 morti e 200 mila sfollati, mentre sono complessivamente 300 mila le persone ad aver bisogno di aiuti umanitari. In entrambe le nazioni sono andati distrutti raccolti, strade, villaggi e si teme il diffondersi di malattie diffuse dall’acqua: in Somalia si sono già riscontrati casi di colera in due zone, mentre in Kenya almeno 60 bambini sono stati ricoverati per dissenteria o malaria. (R.M.)

 

 

PER SALVARE DAL DEGRADO I SUOI TESORI, L’EGITTO SI APPRESTA A CHIUDERE

LE TOMBE DELLA VALLE DEI RE DI TEBE A LUXOR: LO HA RESO NOTO, IERI AL CAIRO,

IL SEGRETARIO GENERALE DEL CONSIGLIO SUPREMO PER LE ANTICHITÀ DEL PAESE

 

IL CAIRO. = Le autorità egiziane si apprestano a chiudere le tombe della Valle dei Re di Tebe a Luxor, quella di Tutankhamon in testa, per salvarle dal degrado, conseguenza dell’assalto del turismo di massa. Lo ha annunciato ieri al Cairo Zahi Hawass, responsabile del patrimonio archeologico egiziano, come segretario generale del Consiglio Supremo per le Antichità. “Le centinaia di visitatori giornalieri – ha spiegato Hawass - con il fiato e il sudore, per non parlare di chi tocca tutto con le mani o usa il flash sfuggendo alla sorveglianza, stanno facendo sparire le pitture, la cui brillantezza e definizione cambia quasi a vista d'occhio”. La soluzione, secondo l’archeologo (ma non si conosce ancora il parere del ministro del Turismo) è puntare ad avere in Egitto la metà dei visitatori, dagli attuali 8-10 milioni l’anno a 4-5 milioni “disposti a pagare per quel che vogliono vedere”. Comunque, per le masse di turisti, Hawass ha spiegato che si sta lavorando alla creazione, per esempio, di una tomba di Tutankhamon in tutto simile e vicina all’originale, con la pittura a grandezza naturale grazie a un sistema di fotoriproduzione laser. (R.M.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

28 novembre 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Ada Serra -

 

La tregua concordata nei giorni scorsi dal premier israeliano, Ehud Olmert, e dal presidente palestinese Abu Mazen riguarda per ora solo la zona di Gaza e non la Cisgiordania. Lo ha ribadito oggi il ministro della Difesa israeliano, Amir Peretz, respingendo le affermazioni di gruppi estremisti palestinesi secondo cui le attività militari in Cisgiordania rappresentano una violazione delle intese. Il nostro servizio:

 

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Peretz ha anche avvertito che se la tregua non verrà rispettata, Israele risponderà duramente. Il ministro della Difesa israeliano ha sottolineato, poi, l’impegno israeliano per promuovere la pace. “Vogliamo dare una chance alla riconciliazione”, ha detto Peretz durante una visita ad una sezione della controversa barriera di difesa presso Gerusalemme. Ma ci sono – ha aggiunto - fazioni estremiste interessate a trascinare la regione verso una escalation delle violenze. Le parole di Peretz giungono dopo che 13 missili Qassam sono stati sparati dalla Striscia di Gaza contro Israele fra domenica e lunedì, malgrado il cessate il fuoco entrato in vigore all’alba di domenica. Oggi non è stato sparato, finora, alcun razzo. Ma il Ministero della difesa israeliano ha comunque cambiato le regole di ingaggio per i soldati lungo il confine con Gaza. Ai militari viene ora permesso di sparare nel caso identifichino militanti palestinesi pronti a lanciare missili. In Cisgiordania, intanto, l’esercito israeliano ha arrestato 13 militanti palestinesi. Sul versante politico, si deve registrare la visita del presidente palestinese Abu Mazen in Giordania per incontrare re Abdallah e discutere della situazione nell’area. Giovedì prossimo è previsto, poi, l’incontro a Gerico del presidente palestinese, Abu Mazen, con il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice.

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Il premier iracheno, Nuri Al Maliki, ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’ONU di prorogare di un anno il mandato della Forza multinazionale di 160 mila uomini in Iraq. Maliki ricorda che la prima priorità del suo governo è di assumere appena possibile il controllo della sicurezza per garantire la stabilità nel Paese, ma che occorre più tempo. A Kirkuk, intanto, una persona è morta per un attentato contro il convoglio di mezzi che scortava il governatore della provincia, sfuggito all’agguato.

 

È di un morto il bilancio provvisorio di un attentato kamikaze contro un mezzo della polizia avvenuto questa mattina in Afghanistan, nella provincia occidentale di Herat. Si tratta del quarto attacco negli ultimi quattro giorni. Intanto, in occasione del vertice NATO che si apre a Riga, l’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch ha inviato al segretario generale dell’Alleanza Atlantica una lettera in cui sostiene che i Servizi segreti afgani avrebbero praticato sevizie e torture nei confronti di alcuni detenuti.

 

Il presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapakse, ha nuovamente invitato i ribelli delle Tigri Tamil a riprendere i negoziati. Il leader delle Tigri ha dichiarato, intanto, che non ci sono altre soluzioni al di fuori dell’indipendenza. Il capo dei ribelli ha anche accusato il governo di Colombo di nascondere dietro i propositi per le trattative di pace, la volontà di discriminare la minoranza tamil, circa 2,5 milioni di persone.

 

In Thailandia, sarà presentata domani al governo la proposta per l’abolizione della legge marziale in 40 delle 76 province del Paese. Lo hanno reso noto fonti delle Forze armate thailandesi senza precisare in quali regioni resterà in vigore la legge marziale. La giunta militare ha più volte denunciato la presenza di “correnti sotterranee” nel nord, dove è più forte il sostegno verso l’ex premier Thaksin Shinawatra, deposto con il colpo di Stato incruento dello scorso 19 settembre. Attacchi sferrati da gruppi separatisti hanno causato nel sud della Thailandia, a partire dal gennaio del 2004, più di 1600 morti. Nelle regioni meridionali, la popolazione è di origine malese e maggioranza musulmana. Nel resto del Paese, invece, gli abitanti sono prevalentemente buddhisti.

 

Il conflitto nella martoriata regione sudanese del Darfur ha provocato, a partire dal 2003, la morte di circa 9 mila persone e non ha causato oltre 200 mila vittime come indicato dall’ONU. Lo sostiene il presidente del Sudan, Omar el Bashir, aggiungendo che tutte le statistiche riferite al Darfur “sono false”. Il tasso di mortalità infantile in questa regione non supera quello di Khartoum”, afferma poi il presidente sudanese, che accusa i mezzi di informazione occidentali di gonfiare le cifre per giustificare un intervento nel Paese.

 

Le autorità della Repubblica Centrafricana hanno reso noto che l’esercito ha ripreso, ieri, il controllo della città settentrionale di Birao, a circa 800 km dalla capitale Bangui, conquistata lo scorso 30 ottobre dai ribelli. Fonti locali hanno riferito che l’operazione militare è stata condotta con l’appoggio logistico dei circa 200 militari francesi inviati da Parigi la scorsa settimana per dare sostegno alle forze armate del Paese africano.

 

Le autorità del Rwanda hanno lanciato un ultimatum alle radio, alle agenzie e alle scuole francesi che operano nel Paese africano, dando tempo fino a lunedì prossimo per cessare le loro attività. Radio France International ha già interrotto le trasmissioni e numerosi istituti francesi sono stati chiusi. Il Rwanda ha deciso, nei giorni scorsi, di rompere ogni relazione diplomatica con la Francia. La decisione è arrivata dopo che la Procura francese ha avallato, mercoledì scorso, la richiesta del giudice antiterrorismo di far processare il presidente rwandese, Paul Kagame, davanti al Tribunale penale internazionale per il Rwanda. Secondo l’accusa, Kagame e altri suoi stretti collaboratori sono coinvolti nell’attentato compiuto nel 1994 e costato la vita all’allora capo di Stato rwandese, Juvenal Habyarimana, che godeva del sostegno della Francia.

 

Aumenta la tensione in Somalia. Nel corso di una manifestazione, cui hanno partecipato a Mogadiscio decine di migliaia di persone, il capo del Consiglio esecutivo delle Corti islamiche, Sheik Sharif Sheik Ahmed, ha accusato l’Etiopia di aver bombardato la città di Bandiradley, nel centro del Paese, conquistata dalle corti all’inizio di novembre. Si acuisce così la crisi tra movimento islamico e governo transitorio somalo, appoggiato dall’Etiopia. Le proteste giungono alla vigilia di una seduta del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in cui si valuterà la possibilità inviare una missione in Somalia. Se effettivamente l’ONU inviasse forze, ha aggiunto il leader islamico, “le nostre porte per la jihad sarebbero aperte ai musulmani di tutto il mondo”.

 

Stato di allerta in Kenya, dove crescono i timori per possibili attentati. L’allarme è contenuto, secondo fonti di stampa, in una nota riservata del Ministero degli esteri italiano. A quattro anni dall’attentato che, nel novembre 2002, ha colpito un hotel gestito da israeliani provocando 11 vittime, si teme, in particolare, un nuovo attacco contro strutture alberghiere. Un altro obiettivo sensibile è l’International House, un grattacielo al centro di Nairobi dove, al nono piano, ha sede l’ambasciata d’Italia. Intanto, anche la rappresentanza diplomatica americana a Nairobi ha indicato il Kenya come prossimo obiettivo di Al Qaeda. Secondo fonti statunitensi, diversi militanti dell’organizzazione terroristica si sarebbero stabiliti in Somalia dopo essere statti cacciati dall’Afghanistan.

 

La Corte suprema della Repubblica Democratica del Congo ha ufficialmente reso noto, ieri sera, i risultati definitivi delle elezioni presidenziali dello scorso 29 ottobre: Joseph Kabila è stato proclamato presidente con poco più del 58 per cento dei voti. È stato anche respinto il ricorso dell’altro candidato, Jean-Pierre Bemba. Kabila, che è al secondo mandato e presterà giuramento il prossimo 6 dicembre, ha 35 anni ed è il più giovane capo di Stato in Africa. Sul terreno, intanto, elicotteri della missione ONU nello Stato africano sono intervenuti, ieri, per bloccare l’avanzata di militari ribelli verso la città di Goma, nell’est del Paese. L’operazione non ha fortunatamente causato vittime.

 

In Ecuador, sembra ormai scontata la vittoria del candidato socialdemocratico, Rafael Correa, al ballottaggio per le presidenziali di domenica scorsa: dopo l’ultimo bollettino ufficiale relativo all’85 per cento dei voti scrutinati, Correa è infatti saldamente in testa con oltre il 58 per cento dei voti. Il suo rivale, l’imprenditore di destra Alvaro Noboa, ha ottenuto, finora, poco più del 41 per cento dei consensi.

 

A Cuba si aprono oggi i festeggiamenti per gli 80 anni di Fidel Castro che il leader cubano ha compiuto lo scorso 13 agosto. Per il prossimo 2 dicembre, è stata anche organizzata dal governo una parata, alla quale è prevista la partecipazione di oltre 300 mila persone, per celebrare il 50.mo anniversario della rivoluzione. Fidel Castro ha delegato il potere, dopo 47 anni, al fratello Raul in seguito ad un intervento chirurgico per un’emorragia intestinale.

 

In Cile, la magistratura ha nuovamente ordinato gli arresti domiciliari per l’ex dittatore Augusto Pinochet, nell’ambito delle indagini riguardanti gli omicidi di due guardie del corpo del presidente Salvador Allende, ucciso durante il colpo di Stato del 1973. Pinochet, che sabato ha compiuto 91 anni, era stato già posto nei giorni scorsi agli arresti domiciliari in seguito ad un'altra inchiesta, quella per le torture commesse nel famigerato centro di detenzione “Villa Grimaldi”. A Santiago, intanto, il presidente del Cile, Micelle Bachelet, e il capo di Stato della Colombia, Alvaro Uribe, hanno firmato il trattato di libero commercio. “Il Cile è un esempio di pragmatismo” per i suoi sforzi di integrazione nell’economia internazionale, ha detto Uribe, sottolineando che “occorre concentrarsi più sui risultati che sui dibattiti ideologici”.

 

 

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