RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 326 - Testo della trasmissione di mercoledì 22 novembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

All’udienza generale il Papa condanna l’assassinio del ministro libanese, Pierre Gemayel e invita i libanesi a non lasciarsi vincere dall’odio. Nella catechesi, dedicata ancora a San Paolo, sottolinea l’unita’ tra Cristo e la Chiesa:  chi perseguita la Chiesa, perseguita Cristo

 

Iniziata la visita a Roma del Primate della Comunione anglicana, Rowan Williams: domani l’incontro con Benedetto XVI

 

Ai nostri microfoni il biblista Gianfranco Ravasi commenta l’annuncio della prossima pubblicazione del libro di Benedetto XVI sulla figura di Gesù

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Costernazione in Libano e nella comunità internazionale per l’assassinio del ministro Gemayel: con noi Camille Eid

 

Storico accordo di pace in Nepal tra governo e maoisti: ai nostri microfoni Aldo Daghetta

 

Elezioni parlamentari oggi in Olanda. Probabile la prospettiva di una grande coalizione: intervista con Kes Boes

 

No di Ankara alla richiesta dell’UE di aprire porti e aeroporti alle merci greco-cipriote: ce ne parla Andrea Bonanni

 

CHIESA E SOCIETA’:

Nel nord dell’India un cristiano è stato ucciso da militanti islamici

 

Messaggio dei vescovi dell’Ecuador in vista del ballottaggio presidenziale di domenica prossima

 

Oggi, a Bruxelles, il seminario della COMECE in preparazione del Congresso di Roma che celebrerà, a marzo, il 50.mo anniversario dei Trattati di Roma

 

“Federazione russa: tortura e confessioni forzate in detenzione”: è il titolo di un rapporto-denuncia di Amnesty International

 

Appello contro le “cluster bombs” dei vescovi britannici al governo di Londra

 

“Il relativismo e la crisi delle culture negli scritti di Benedetto XVI” è la Conferenza tenutasi lunedì scorso al Palazzo di Vetro di New York

 

24 ORE NEL MONDO:

Violenza in Iraq: nel mese di ottobre sono stati oltre 3700 i morti tra la popolazione civile

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

22 novembre 2006

 

 

ALL’UDIENZA GENERALE IL PAPA CONDANNA L’ASSASSINIO DEL MINISTRO LIBANESE

GEMAYEL, E INVITA I LIBANESI A NON LASCIARSI VINCERE DALL’ODIO. NELLA CATECHESI, DEDICATA ANCORA A SAN PAOLO, IL PAPA SOTTOLINEA L’UNITA’

TRA CRISTO E LA CHIESA: CHI PERSEGUITA LA CHIESA, PERSEGUITA CRISTO

 

Un accorato appello a “tutti i libanesi a non farsi vincere dall'odio ma a rinsaldare giustizia e riconciliazione” per un futuro di pace. Il pensiero particolare di Benedetto XVI, stamani all’udienza generale, è andato al Libano, sconvolto ieri dall’assassinio a Beirut del ministro dell’Industria Pierre Gemayel, leader del partito cristiano maronita. Ad ascoltare le parole del Pontefice ben 50 mila persone, il doppio di quelle previste, giunte in piazza San Pietro sfidando una fortissima pioggia. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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E’ appena spuntato un accenno di sole, dopo scrosci anche violenti di pioggia, quando la cronaca, con il suo carico di drammi, entra per qualche istante nell’incontro del mercoledì tra il Papa e i fedeli. La morte crudele di Pierre Gemayel, il ministro dell’Industria libanese, assassinato ieri a Beirut, suscita il dolore “profondo” e la solidarietà di Benedetto XVI:        

 

“Nel condannare fermamente tale brutale attentato, assicuro la mia preghiera e la mia vicinanza spirituale alla famiglia in lutto e all'amato popolo libanese. Di fronte alle forze oscure che cercano di distruggere il Paese, invito tutti i Libanesi a non lasciarsi vincere dall'odio bensì a rinsaldare l'unità nazionale, la giustizia e la riconciliazione, e a lavorare insieme per costruire un futuro di pace. Invito infine i Responsabili dei Paesi che hanno a cuore le sorti di quella Regione a contribuire ad una soluzione globale e negoziata delle diverse situazioni di ingiustizia che la segnano da ormai troppi anni”.

 

La quarta riflessione sulla figura e l’apostolato di San Paolo avevano impegnato poco prima Benedetto XVI. Condotta da Benedetto XVI al cospetto di una folla zuppa di pioggia ma non per questo invogliata ad abbandonare Piazza San Pietro - che anzi è andata stipandosi ulteriormente – la catechesi del Papa ha ripreso le mosse dalla strada di Damasco, che si rivelò decisiva per la comprensione di S. Paolo, del legame mistico che unisce Gesù alla Chiesa. Il futuro Apostolo, ha notato Benedetto XVI, non si convertì, come avvenne per altri, al contatto con la prima comunità cristiana, della quale anzi divenne un acceso persecutore. Si convertì per iniziativa diretta di Cristo, che però gli si rivelò come il “perseguitato”, e dunque, in sostanza, Paolo – ha affermato il Pontefice – “si convertì nello stesso tempo a Cristo e alla Chiesa”:

 

“Così è venuta la sua originale definizione della Chiesa come Corpo di Cristo, che non troviamo in altri autori cristiani del primo secolo. La radice più profonda di questa sorprendente designazione della Chiesa la troviamo nel sacramento del Corpo di Cristo. Dice San Paolo:Poiché c’è un solo un pane, noi pur essendo molti siamo un solo corpo’”.

 

Per questo San Paolo, ha proseguito Benedetto XVI, non amò le singole Chiese, che contribuì a fondare con la sua predicazione, in maniera “fredda e burocratica”, ma “intensa e appassionata”: le considerava un’“estensione” della “presenza personale” di Cristo nel mondo. Una Chiesa fatta di membra unite e insieme distinte, guidate dal soffio dello Spirito Santo:

 

“Ovviamente sottolineare l’esigenza dell’unità non significa sostenere che si debba uniformare o appiattire la vita ecclesiale secondo un unico modo di operare. Altrove Paolo insegna a non spegnere lo spirito, cioè a fare generosamente spazio al dinamismo incredibile delle manifestazioni carismatiche dello spirito, il quale è fonte di energia e di vitalità sempre nuova”.

 

Ciò che sta a cuore all’Apostolo, il criterio base, è la  “mutua edificazione” della Chiesa e tutto, dice, deve “concorrere a costruire il tessuto ecclesiale”, senza “fughe e senza strappi”. In definitiva, ha sintetizzato il Papa, “è in gioco un rapporto di comunione, quello per così dire verticale tra Gesù Cristo e tutti noi, ma anche quello orizzontale tra tutti coloro che si distinguono nel mondo per il fatto di invocare il nome del Signore nostro Gesù Cristo (...) Così dovrebbero essere le nostre riunioni liturgiche, dove uno che entri non cristiano, alla fine dica veramente ‘Dio è con voi’”.

 

Fra i saluti particolari del dopo-udienza, Benedetto XVI ne ha rivolto uno ai vescovi di Abruzzo e Molise, primi ad aprire la lunga serie delle visite ad Limina dei presuli italiani. “Nel ricordare con animo grato il mio recente viaggio al Santuario di Manoppello – ha detto loro il Pontefice - desidero incoraggiare tutti voi, cari amici, a proseguire negli sforzi intrapresi per far sì che il Vangelo sia il fondamentale punto di riferimento per tutte le vostre comunità. Dinanzi alla vastità della missione che è affidata alle vostre Chiese non lasciatevi mai prendere dalla stanchezza o dallo scoraggiamento”. Inoltre, Benedetto XVI ha invitato giovani, anziani e famiglie a guardare alla figura di Cristo Re, la cui solennità, domenica prossima, concluderà il Tempo liturgico ordinario in vista dell’Avvento. In particolare, agli sposi novelli, il Papa ha rammentato il 25° anniversario dell’Esortazione apostolica Familiaris consortio, “che diede – ha osservato - grande impulso alla pastorale familiare nella Chiesa”. Vi auguro, ha concluso, “di percorrere il vostro cammino matrimoniale sempre uniti a Cristo”.

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INIZIATA LA VISITA A ROMA DEL PRIMATE DELLA COMUNIONE ANGLICANA,

ROWAN WILLIAMS: DOMANI L’INCONTRO CON BENEDETTO XVI

 

Il Primate della Comunione Anglicana, l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ha iniziato ieri un’attesa visita ufficiale a Roma di sei giorni, il cui momento centrale è l’incontro domani in Vaticano con Benedetto XVI. L’evento si svolge nell’occasione del 40.mo anniversario dell’incontro tra Paolo VI e l’arcivescovo Michael Ramsey nel 1966, che permise l’avvio del dialogo tra cattolici e anglicani, dopo oltre 4 secoli di separazione. Il servizio di Sergio Centofanti.

 

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La giornata di domani inizia con la preghiera del Primate anglicano nella Basilica di San Pietro alle 9.30. Alle 11.00, il colloquio con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, seguìto alle 11.30 dall’incontro con Benedetto XVI. Alle 12.15 il Papa e il Primate anglicano si raccoglieranno in preghiera nella Cappella Redemptoris Mater per la celebrazione dell’Ora Media.

 

Stamani, dopo una breve cerimonia nella Cappella Sistina, sono iniziati i colloqui con il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Attualmente il dialogo ecumenico sta registrando sviluppi positivi e nuove difficoltà. L’anno scorso è stato pubblicato un importante testo comune sulla figura di Maria, in cui si afferma che i dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, visti in un contesto scritturale, possono essere considerati in una luce nuova anche dagli anglicani. D’altra parte difficoltà nel dialogo sono sorte sui temi della sessualità umana e dell’ordinazione delle donne all’episcopato. Problemi sussistono anche per le divisioni interne alla stessa Comunione anglicana, che rendono complesso per la Chiesa cattolica il riferimento nei colloqui ad un unico partner. Da sottolineare che il 14 novembre scorso i vescovi inglesi cattolici e anglicani, riuniti in uno storico incontro a Leeds, hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui riconoscono l’importanza di lavorare insieme, al di là delle differenti posizioni, per dare una testimonianza cristiana comune ad una società che sta dimenticando le sue radici cristiane.

 

Ieri pomeriggio l’arcivescovo Rowan Williams, subito dopo il suo arrivo a Roma, ha tenuto una lezione al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo su San Benedetto e il futuro dell’Europa. Il Primate anglicano ha indicato la regola di San Benedetto come modello per la società moderna, che ha bisogno di riscoprire il valore del tempo, dell’autorità e della partecipazione, se vuole dare significato all’esistenza senza essere sopraffatta da un materialismo disumano e ossessivo.

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IL COMMENTO DEL BIBLISTA GIANFRANCO RAVASI ALL’ANNUNCIO

 DELLA PROSSIMA PUBBLICAZIONE DEL LIBRO DI BENEDETTO XVI DAL TITOLO:

GESÙ DI NAZARETH. DAL BATTESIMO NEL GIORDANO ALLA TRASFIGURAZIONE

 

Come annunciato ieri dalla Sala Stampa vaticana, in primavera sarà pubblicato il primo libro di Benedetto XVI “Gesù di Nazareth. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione”. Incentrato sulla figura di Gesù, il volume, scrive il Pontefice nella prefazione, vuole offrire delle indicazioni di metodo per poter leggere la Bibbia e capire chi è realmente Cristo. Sull’argomento Tiziana Campisi ha intervistato il biblista mons. Gianfranco Ravasi:

 

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R. – Sicuramente è interessante – a mio avviso – che Ratzinger-Benedetto XVI, con il suo Gesù di Nazareth, si presenti al tempo stesso come Pontefice, ma voglia soprattutto presentare la sua ricerca personale che non coinvolge direttamente l’autorità magisteriale, per cui egli dice possibile la critica, la contraddizione.

 

D. – Benedetto XVI scrive che dalle diverse pubblicazioni che negli ultimi decenni hanno cercato di ricostruire la figura di Gesù, si ha l’impressione che si sappia ben poco di certo su Gesù. Ma quali convinzioni errate oggi sussistono su Gesù Cristo?

 

R. – E’ come se su una sponda ci sia Cristo che è affrontato – direi - in maniera solo devozionale, solo teologica, solo spirituale, che si può incontrare soltanto attraverso una esperienza intima perché Egli sarebbe soltanto una sorta di figura aureolata di luce, lontana, intangibile, che entra nei cieli dorati della sua trascendenza. Dall’altra parte si è invece delineato un Gesù carnale, dai lineamenti storici, ora indecifrabili, limitati al minimo, oppure molto marcati, ma ridotti secondo il nostro gusto e secondo le esigenze del nostro tempo. Ecco allora un Gesù che viene molto adottato ed adattato alle situazioni concrete delle singole istanze culturali, sociali e così via.

 

D. – Lo scopo di Benedetto XVI è quello di presentare il Gesù dei Vangeli come il vero Gesù: una figura storicamente sensata e convincente. Come si può arrivare oggi a questa consapevolezza?

 

R. – L’autenticità della figura di Cristo non si ottiene ritagliando i dati storiografici verificabili e rispedendo poi alle competenze del teologo le componenti che sono cristologiche e teologiche, bensì tenendo il tutto ben compatto, nell’unità di una sola persona, che è storicamente sensata e convincente - queste sono le parole usate dal Papa – e che contiene in sé una dimensione trascendente.

 

D. – E sono proprio questi i criteri che il Papa suggerisce di adottare nel leggere la Bibbia: metodo storico e fede. In che modo usarli correttamente?

 

R. – Lo studioso deve un po’ come camminare su un crinale. Da un lato, c’è il versante storico che è in penombra e in cui emerge il Cristo nella sua pienezza di uomo, conosciuto dai discepoli che gli sono attorno, e di figura trasfigurata; dall’altra parte si dirama il versante abbagliato dalla Gloria della divinità, della resurrezione, della trasfigurazione. Benedetto XVI, come teologo e come anche storico, suggerisce di camminare stando su questo crinale che è molto tagliente, molto delicato, ma tenendo presente anche l’altro versante. Dunque la figura di Cristo può essere conosciuta restando saldi sull’uno e l’altro versante.

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NOMINE

 

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Maceió, in Brasile, presentata da mons. José Carlos Melo, dei Lazzaristi, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Antônio Muniz Fernandes, dell’Ordine Carmeliatano, finora vescovo di Guarabira. Mons. Antônio Muniz Fernandes è nato a Princesa Isabel, nello Stato brasiliano di Paraíba, nel 1952. E’ stato ordinato sacerdote nel 1980. Negli anni 1983-1986 è stato a Roma dove, nella Pontificia Università Gregoriana, ha ottenuto la Licenza in Teologia Biblica. È stato consacrato vescovo nel 1998.

 

Sempre in Brasile, il Papa ha nominato vescovo di São Carlos mons. Paulo Sérgio Machado, finora vescovo di Ituiutaba. Mons. Machado è nato il 22 novembre 1945 nella città di Patrocínio, nella diocesi di Patos de Minas. Ha conseguito  la Licenza in Teologia Pastorale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. E’ stato ordinato sacerdote nel 1972 e consacrato vescovo nel 1989.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - La catechesi e la cronaca dell’udienza generale.

 

Servizio estero - Libano: sdegno, cordoglio e inquietudine per il mortale agguato a Pierre Gemayel.

Intervento della Santa Sede sul tema: “Coinvolgere tutte le parti interessate per eliminare la fondamentale ingiustizia che è al cuore del conflitto israelo-palestinese”.

 

Servizio culturale - Un articolo di Jorge Mejia dal titolo “La Bibbia prima dell’anno Mille”: una mostra a Washington presenta preziosi manoscritti per la prima volta visibili al pubblico.

Una monografica - a cura di mons. Giuseppe Liberto - in merito ai cinquant’anni dalla morte di Lorenzo Perosi.

 

Servizio italiano - In primo piano il tema degli incidenti sul lavoro.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

22 novembre 2006

 

COSTERNAZIONE IN LIBANO E NELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

 PER L’ASSASSINIO DEL MINISTRO GEMAYEL

- Il servizio di Giancarlo La Vella -

 

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Le parole del Papa di stamani all’udienza generale disegnano icasticamente la difficile situazione che sta vivendo il Libano. Le “forze oscure” hanno agito indisturbate. Un commando di tre persone a volto scoperto ha speronato in piena Beirut, con la proprio auto, quella dove era il giovane ministro dell’Industria, Pierre Gemayel, aprendo poi il fuoco su di lui e sulla sua scorta: anche un agente è rimasto ucciso. Un omicidio avvenuto proprio nel giorno in cui il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha istituito il Tribunale penale internazionale che dovrà giudicare sull'assassinio dell'ex premier libanese, Rafik Hariri, anch’egli ucciso in un attentato il 14 febbraio 2005 sempre a Beirut; a significare che la comunità internazionale continua a credere in un Libano libero, sovrano e democratico, dopo la recente uscita dalla sfera di influenza siriana. Intanto, stamani il feretro di Gemayel è stato trasferito a Bifkaya, città d'origine della sua famiglia, a nord est di Beirut, accolto da centinaia di sostenitori del Partito falangista, che, dopo i disordini di ieri nella capitale nell’immediatezza della notizia dell’attentato, hanno accolto con tutti gli onori la salma. Il padre di Pierre, l'ex presidente libanese Amin Gemayel, visivamente addolorato ha esortato la folla alla calma promettendo che la morte del figlio non rimarrà impunita. Già nel 1982 la famiglia era stata scossa dall’altro attentato a Bashir Gemayel, zio di Pierre e anch’egli ex presidente del Paese dei Cedri, un Paese che le “forze oscure”, rifacendoci alle parole del Papa, cercano di ancorare al terrore della violenza e della guerra. E, a commento delle parole del Santo Padre, sentiamo il giornalista libanese, Camille Eid, del quotidiano “Avvenire”:

 

R. – La definizione “forze oscure”, come ha detto benissimo il Papa, dimostra che per tutti gli assassinii che si sono susseguiti, da quello di Hariri, nel febbraio dell’anno scorso, a quello di ieri, nessun responsabile è stato mai fermato. E’ vero che molti puntano il dito contro la Siria, presente in Libano fino all’anno scorso, ma nessun esecutore o mandante è stato arrestato e portato in Tribunale. Quindi “forze oscure”, forse, anche per questo motivo.

 

D. – Perché l’obiettivo di queste forze è stato proprio il ministro Gemayel?

 

R. – Perché l’intenzione è quella di far cadere il governo. Abbiamo ormai sei ministri dimissionari, uno che è stato sostituito da un ministro ad interim, che è quello dell’Interno, ed ora uno assassinato: siamo arrivati ad otto ministri eliminati su 24 e se si raggiungere il numero di nove su 24, il governo viene automaticamente considerato dimissionario.

 

D. – Con l’eventuale caduta del governo, quale scenario si aprirebbe per il Paese?

 

R. – Sarebbe il caos istituzionale, perché avremmo in questo modo la presidenza della Repubblica e quella del Parlamento in mano alle forze già vicine alla Siria, mentre il governo, che è attualmente l’unica istituzione in mano alla maggioranza antisiriana, verrebbe ovviamente messo da parte. Questo aprirebbe quindi la strada a tutte le ipotesi, tra cui proprio quella della confusione e del caos politico.

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SPERANZE DI PACE IN NEPAL DOPO LO STORICO ACCORDO TRA GOVERNO E MAOISTI

CHE DOVREBBE PORRE FINE A 10 ANNI DI GUERRA CIVILE

- Ai nostri microfoni Aldo Daghetta -

 

Futuro di pace per il Nepal. Ieri a Kathmandu governo e ribelli maoisti hanno siglato uno storico accordo di pace che mette fine ad un’estenuante guerra civile che, in circa dieci anni, ha provocato oltre 13 mila morti. Il nuovo corso  del piccolo Regno himalayano era cominciato sette mesi fa quando i partiti dell'alleanza, ora al potere, e i maoisti si sono alleati costringendo il re Gyanendra ad assumere  un ruolo puramente formale. Soddisfazione per l’intesa è stata espressa da tutta la comunità internazionale. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:

 

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Almeno sulla carta da ieri il Nepal è in pace. Il ministro nepalese Girija Prasad Koirala, che guida l’alleanza di sette partiti, e il leader dei maoisti, conosciuto con il nome di battaglia di Prachanda, hanno siglato ieri a Kathmandu un accordo che cambierà i destini del Regno himalayano. Non è ancora chiaro quale sarà il futuro di Gyanendra, spogliato di ogni potere dopo le sollevazioni antimonarchiche dello scorso aprile. L’intesa prevede che i maoisti entrino nel Parlamento e poi nel Governo provvisorio, dopo aver deposto le armi e dislocato le loro truppe nelle caserme, sotto il controllo di osservatori delle Nazioni Unite. Forse il prossimo anno saranno poi indette le elezioni per un’Assemblea costituente che deciderà il nuovo sistema politico del Nepal. L’accordo, che prevede anche un cessate-il-fuoco permanente è stato accolto con gioia dalla popolazione. Oggi è stata dichiarata festa nazionale a Kathmandu per la fine di dieci anni di violenze e soprusi che hanno trasformato il Nepal, il tetto del mondo come viene chiamato, in un dei Paesi più poveri dell’Asia.

 

Da Nuova Delhi, per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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Sull’importanza di questo accordo, Stefano Leszczynski ha intervistato Aldo Daghetta, portavoce di PANGEA Onlus, esperto di Nepal:

 

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R. – E’ sicuramente l’occasione migliore degli ultimi anni e quindi le speranze che questo accordo sia veramente reale sono tante. Per la prima volta il leader maoista Prachanda ha firmato direttamente lui l’accordo e ha soprattutto firmato un accordo in cui dichiara che ci sarà un disarmo anche da parte dei maoisti.

 

D. – Un accordo che nasce anche su una nuova sistemazione istituzionale del Paese…

 

R. – Sì, questa era una delle richieste principali che sono state portate avanti per abbattere di fatto la monarchia assoluta e cercare di instaurare una situazione più democratica. E, in effetti, questa via transitoria di una via costituzionale dà delle speranze concrete che effettivamente questo possa avvenire.

 

D. – Il governo attuale e i ribelli hanno trovato, tutto sommato, una piattaforma comune nella volontà di ridimensionare il potere della monarchia in Nepal…

 

R. – Parlando anche con la responsabile di un’organizzazione non governativa, con cui lavoriamo in Nepal, che ha grossi contatti con le realtà impegnate per i diritti civili locali, ci diceva che la linea di far entrare nelle istituzioni i maoisti è la via migliore per essere sicuri che il disarmo sia reale e che quindi anche la trasformazione costituzionale abbia delle basi forti, per cui poi andare a formare la Costituente e soprattutto arrivare a delle elezioni, perché non dimentichiamo che elezioni reali, elezioni libere, il Nepal non le vede da parecchi anni.

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DOPO LA CRISI A LUGLIO SCORSO, L’OLANDA VOTA OGGI

PER IL RINNOVO DEI 150 SEGGI DEL PARLAMENTO.

SEMBRA PIU’ CHE PROBABILE LA PROSPETTIVA DI UNA GRANDE COALIZIONE

 

In un clima di incertezza circa 12 milioni di olandesi stanno votando per il rinnovo dei 150 seggi del Parlamento. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Si tratta di una consultazione anticipata, dopo la crisi che, nel luglio scorso, ha investito la coalizione di centrodestra, guidata dal primo ministro Jan Peter Balkenende.  Per ora i sondaggi danno il Partito cristiano-sociale (CDA) di Balkenende in vantaggio. Sembra un riconoscimento del buon andamento dell'economia, con una previsione di crescita per il 2006 del 3,5 per cento ed una riduzione della disoccupazione al 5,2. Il dubbio è se riuscirà a mantenere la maggioranza relativa. Elemento certo è che per formare il governo sarà necessaria una coalizione. Si parla di un esecutivo costituito dai due maggiori gruppi politici – democristiani e laburisti – che già in passato hanno governato insieme. Così, dopo Germania ed Austria, un terzo Paese europeo potrebbe scegliere la grande coalizione. Ma come il Paese guarda a questa prospettiva? Risponde Kes Boes, caporedattore dell’agenzia nazionale olandese ANP a Bruxelles:

 

R. – It hasn’t been

Non è successo in Olanda per anni, per decenni. Sarebbe un grande esperimento. Sembra che in Germania abbia funzionato molto bene. Una grande coalizione in Olanda significherebbe cristiano-democratici e laburisti. 

 

D. – E’ stato detto che il populismo è rimasto fuori da questo voto …

 

R. – Yes, there was not …

Sì, non c’è stato tanto populismo, ma il dibattito sull’immigrazione sta avendo meno importanza di quanta ne avesse 4, 5 anni fa. In quel periodo, i membri islamici in Olanda non erano stati messi in discussione dai politici. I politici in quel momento cercarono di evitare di discutere di questo e di evitare di agitare il problema. Ma poi questa cosa è venuta fuori ed ha sollevato un grande dibattito. Theo Van Gogh, il regista cinematografico, è stato ucciso  per la sua visione del mondo islamico…

 

D. – Anche l’Unione Europea non è stata al centro della campagna elettorale …

 

R. – No, as for migration …

No, per quanto riguarda l’immigrazione e il dibattito europeo, non era in programma. I politici europei si lamentano di questo pubblicamente, ma la maggior parte degli olandesi sono euroscettici, non importa loro molto di Bruxelles, non vogliono discutere di questo durante le elezioni.

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FERMA LA RISPOSTA NEGATIVA DI ANKARA ALLA RICHIESTA DI BRUXELLES

DI RICONOSCERE A TUTTI GLI EFFETTI LA REPUBBLICA DI CIPRO,

APRENDO PORTI E AEROPORTI. DOPO IL RECENTE rapporto CRITICO di Bruxelles sulle riforme della Turchia, SEMBRA ALLONTANARSI SEMPRE DI PIU’

IL PROCESSO DI ADESIONE

- Con noi Andrea Bonanni -

 

         “Fuori questione. Non se ne parla nemmeno”. E’ stata netta, e apparentemente priva di spiragli per un ripensamento, la risposta negativa data ieri da Ankara all’ultimatum della presidenza finlandese dell’UE che aveva invitato la Turchia ad aprire “entro il 6 dicembre” i suoi porti ed aeroporti alle merci provenienti dalla parte greca dell’isola divisa di Cipro. Dopo il recente rapporto di Bruxelles che metteva in luce forti limiti nei passi in avanti sulle riforme della Turchia in vista dell’avvicinamento all’Unione Europea, sembra sempre più probabile, ora, la sospensione del processo di adesione della Turchia. Ma si è trattato di un ultimatum da parte di Bruxelles, come affermato dalle autorità turche o di un atto dovuto visto l’ingresso di Cipro nell’UE nel 2004? E quali potranno essere le prossime mosse dell’Unione Europea? Fausta Speranza ne ha parlato con Andrea Bonanni, analista di questione europee per il quotidiano la Repubblica:

 

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R. – E’ un ultimatum nel senso che, se entro il 6 dicembre l’apertura di porti e aeroporti, che era dovuta da due anni, non verrà messa in pratica, è evidente che l’Europa dovrà in qualche modo congelare il negoziato di adesione della Turchia. E’, però, evidentemente, un atto che la Turchia si era impegnata a fare da tempo, ma non ha mantenuto questa promessa.

 

D. – Le conseguenze, più o meno evidenti, di questa presa di posizione della Turchia?

 

R. – In realtà, si continua a negoziare dietro le intransigenze reciproche ed è sempre possibile un miracolo. Fermo restando questo, bisognerà vedere quanto sarà duro il congelamento che verrà deciso dall’Unione Europea, cioè se bloccare solo una parte dei negoziati, quelli che riguardano le questioni doganali e commerciali, e lasciare andare avanti i capitoli che, comunque, sono di più lungo respiro e che richiederanno comunque anni di negoziato, o se bloccare tutto il processo negoziale. Su questo punto in Europa ci sono sensibilità diverse. Paesi come la Gran Bretagna, e in parte anche l’Italia, tendono a cercare di lasciare aperte le porte alla Turchia. Paesi, invece, come la Francia, l’Austria, Cipro, evidentemente, e la Grecia, sono più netti sulla necessità di congelare completamente il negoziato. La decisione sarà presa probabilmente sulla base della raccomandazione della Commissione, dai ministri degli Esteri, che si riuniranno dopo il 6 dicembre.

 

D. – Andrea Bonanni, l’Unione Europea ha chiesto l’apertura di porti e aeroporti turchi alle merci greco-cipriote entro il 6 dicembre e la presidenza finlandese ha sottolineato che al vertice di metà dicembre bisogna discutere di altro …

 

R. – La posizione espressa dal presidente finlandese tende ad evitare - visto che con ogni probabilità l’Unione Europea dovrà assumere un atteggiamento duro e negativo nei confronti della Turchia, anche se non è chiaro fino a che punto - che questo atteggiamento sia preso dai capi di Stato e di governo e cerca di delegare la questione ai ministri degli Esteri. Questo è il vero motivo.

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CHIESA E SOCIETA’

22 novembre 2006

 

 

NEL NORD DELL’INDIA UN CRISTIANO UCCISO DA MILITANTI ISLAMICI.

DIECI ANNI FA SI ERA CONVERTITO AL CRISTIANESIMO ED ERA IMPEGNATO NELL’EVANGELIZZAZIONE E IN PROGETTI SOCIALI

 

SRINAGAR. = Due fondamentalisti islamici hanno ucciso nello Stato settentrionale indiano di Jammu un cristiano convertito dall’islam, fortemente impegnato in progetti sociali e nell’evangelizzazione. Lo riferisce l’Agenzia AsiaNews precisando che l’uomo, Bashir Ahmad Tantray, si era convertito circa 10 anni fa. Dopo la conversione al cristianesimo, era stato minacciato di morte ed era fuggito dal suo villaggio, dove era tornato alcuni anni dopo. Nello Stato settentrionale dell’India sono in aumento le violenze contro i cristiani locali. Circa due anni fa, alcuni militanti islamici avevano lanciato delle granate contro la scuola missionaria di Pulwama, mentre nel luglio scorso un’autobomba aveva danneggiato un’altra scuola cristiana. “Bashir Ahmad Tantray - afferma il presidente del Consiglio dei cristiani indiani - è un martire della fede. Possiamo solo pregare che il suo sangue diventi seme di evangelizzazione”. (A.L.)

 

 

SI ANNUNCIA UN TESTA A TESTA IN ECUADOR AL BALLOTTAGGIO PRESIDENZIALE

DI DOMENICA TRA IL CANDIDATO DELLA DESTRA, ALVARO NOBOA,

E QUELLO DELLA SINISTRA, RAFAEL CORREA

- A cura di Luis Badilla -

 

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QUITO. = In Ecuador, sembra sempre più incerto l’esito del ballottaggio presidenziale di domenica prossima, al quale sono chiamati oltre 9 milioni di elettori: secondo gli ultimi sondaggi dell’istituto “CedatosGallup”, il candidato del Partito rinnovatore istituzionale, Alvaro Noboa, può contare su quasi il 52 per cento dei voti mentre il suo rivale, il candidato della sinistra Rafael Correa avrebbe raggiunto circa il 48 per cento delle preferenze. Il risultato appare molto incerto a causa dell’inattesa crescita, secondo i sondaggi, dei consensi verso il socialdemocratico Rafael Correa. Il candidato della sinistra è riuscito, in particolare, a conquistare l’appoggio della potente confederazione delle popolazioni indigene e di altri partiti che, nel primo turno dello scorso 15 ottobre, non hanno indicato preferenze di voto ai propri sostenitori. Sul ballottaggio si sono espressi, con un recente documento, anche i vescovi dell’Ecuador: “Poiché entrambi i candidati – scrivono i presuli - si dichiarano cristiani cattolici, attendiamo da parte loro una testimonianza di servizio nei piani che propongono, orientati verso la giustizia e la libertà, nonché un responsabile e serio impegno”. “Ci aspettiamo – aggiungono - profondi cambiamenti, necessari ed urgenti per ridurre la distanza fra ricchi e poveri, e per produrre più ricchezza e per migliorarne la distribuzione”. Nel documento i vescovi auspicano, poi, alcuni importanti progressi tra i quali un accesso rapido e facile per i poveri e per i malati ai servizi sanitari, un riscatto della moralità pubblica e l’eliminazione della corruzione. I presuli chiedono anche una maggiore difesa della famiglia e la tutela della vita in tutte le sue fasi. “Ci aspettiamo – concludono - politiche sociali in favore dei contadini e dei lavoratori; politiche orientate sempre alla promozione dei più poveri ed emarginati. In questo contesto occorre più legalità nella distribuzione delle terre, più lavoro e più crescita economica”.

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OGGI, A BRUXELLES, IL SEMINARIO DELLA COMECE IN PREPARAZIONE

DEL CONGRESSO DI ROMA CHE CELEBRERÀ, A MARZO, IL 50.MO ANNIVERSARIO

DEI TRATTATI DI ROMA

 

BRUXELLES. = Approfondire la fase finale dei lavori in preparazione delle celebrazioni, previste nella capitale italiana dal 23 al 25 marzo, per il 50.mo anniversario dei Trattati di Roma del 1957 che hanno portato alla nascita della Comunità Economica Europea (CEE). E’ lo scopo del seminario della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE) che si apre oggi a Bruxelles con un’agenda molto densa: tra i temi previsti, ci sono le sfide dell’Unione Europea, quali la politica energetica, la ricerca bioetica ed il dialogo interculturale. I principali obiettivi della COMECE sono: l’analisi del processo politico e della legislazione dell’Unione Europea e la promozione di una riflessione basata sull’insegnamento sociale della Chiesa. In particolare, il 50.mo anniversario dei Trattati di Roma sarà per le Chiese europee una preziosa occasione per riflettere sui valori che hanno ispirato i padri dell’Unione Europea, per rafforzare la responsabilità dei cittadini e per approfondire il ruolo dei cristiani nel processo di unificazione. (A.L.)

 

 

“FEDERAZIONE RUSSA: TORTURA E CONFESSIONI FORZATE IN DETENZIONE”:

È IL TITOLO DI UN RAPPORTO-DENUNCIA DI AMNESTY INTERNATIONAL,

PUBBLICATO IN COINCIDENZA CON IL SUMMIT UNIONE EUROPEA-RUSSIA

 

LONDRA. = “Tutte le forme di tortura e di maltrattamento sono proibite in qualunque tempo e circostanza in virtù dei diritti umani internazionali. Ciononostante, ispettori di polizia fanno uso della tortura nei centri di detenzione di tutta la Russia”: lo afferma Nicola Duckworth, direttore del programma per l’Europa e l’Asia centrale di Amnesty International, in occasione della pubblicazione di un rapporto che denuncia l’uso della tortura nelle carceri russe. Sulla base di testimonianze verificate, Amnesty afferma che, per estorcere confessioni si fa ricorso ad abusi e sevizie. A volte sono gli stessi prigionieri a eseguire pestaggi in cambio dell’ottenimento di privilegi. Tutto ciò, “in violazione degli obblighi nazionali e internazionali” della Russia. Secondo l’ONG, poliziotti sottopagati e senza un’adeguata formazione, estorcono “confessioni” in qualunque modo. Il rapporto è stato pubblicato alla vigilia del summit tra Russia e Unione Europea, in programma per venerdì 24. Amnesty chiede all’UE di invitare il presidente russo, Vladimir Putin, a ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e di creare un sistema di indagini in linea con gli obblighi internazionali. Si chiede anche di garantire ai detenuti l’accesso all’assistenza legale e il diritto alla scelta del proprio medico. (A.S.)

 

APPELLO CONTRO LE “CLUSTER BOMBS” DI VESCOVI BRITANNICI

E DI RAPPRESENTANTI DI ALTRE FEDI AL GOVERNO DI LONDRA

 

LONDRA. = Un appello al governo britannico per sostenere il trattato internazionale per la messa al bando delle “cluster bombs”, gli ordigni a grappolo che mietono vittime, soprattutto tra i civili, è stato rivolto ieri dal vescovo ausiliare di Birmingham, mons. William Kenney. L’appello – riferisce l’Agenzia SIR – è contenuto in una lettera firmata da altri vescovi cattolici, da esponenti delle Chiese metodista e battista e da rappresentanti della comunità ebraica e musulmana. “La pena tra i civili provocata da queste armi durante e dopo i conflitti – ha detto mons. Kenney – è documentata da tempo ed è in aumento. Queste armi provocano morte e ferite ai civili durante gli attacchi e gli effetti durano per anni a causa della contaminazione letale che provocano”. Il presule, che è anche portavoce dei vescovi britannici per le questioni europee, ha chiesto al governo britannico di mostrare “un chiaro impegno per la protezione dei civili durante i conflitti. Ogni azione sarà benvenuta come atto di pace dalle persone di ogni fede”.

 

 

LA RAGIONE E’ LO STRUMENTO CHE I CREDENTI CRISTIANI POSSONO

E DEVONO UTILIZZARE PER STABILIRE RELAZIONI CON ALTRI CREDENTI”.

LO HA DETTO L’EX PRESIDENTE DEL SENATO, MARCELLO PERA, INTERVENENDO

ALLA CONFERENZA TENUTASI LUNEDI’ NELLA SEDE DELL’ONU E INTITOLATA

“IL RELATIVISMO E LA CRISI DELLE CULTURE NEGLI SCRITTI DI BENEDETTO XVI”

 

NEW YORK = I pericoli del relativismo e del nichilismo ed il ruolo della ragione nel complesso intreccio tra religioni e culture sono stati al centro di un incontro tenutosi lunedì a New York, al palazzo delle Nazioni Unite. Alla Conferenza, intitolata “Il relativismo e la crisi delle culture negli scritti di Benedetto XVI” e organizzata dalla Missione permanente della Santa Sede presso l’ONU, hanno partecipato l’ex presidente del Senato italiano, Marcella Pera, ed il teologo statunitense, Geroge Weigel. Il dibattito, introdotto dall’osservatore permanente alle Nazioni Unite mons. Celestino Migliore, ha preso in esame in particolare il libro scritto nel 2005 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger “L’Europa di Benedetto nella crisi di culture”, edito dalla Cantagalli e con prefazione a cura di Marcello Pera. Nel suo intervento, il senatore ha sottolineato l’importanza dell’invito, rivolto da Benedetto XVI, per il recupero di una ragione che non sia solo quella “empirica” della scienza. Ribadendo la centralità del dialogo tra fede e ragione e tra religioni, l’ex presidente del Senato ha poi analizzato alcuni rischi. “Oltre al relativismo – ha spiegato – un altro atteggiamento sbagliato verso la religione è quello di privatizzarla, ossia di confinarla all’interno della sfera personale”. “In realtà – ha fatto notare Marcello Pera – le religioni sono modi per orientarci nel mondo e svolgono, quindi, un ruolo nella vita pubblica, dando forma alle società”. “La distinzione tra Stato e Chiesa – ha poi sottolineato il senatore – è un accordo utile per stabilire rapporti reciproci tra istituzioni ma non è uguale alla distinzione tra politica e religione, che equivale invece a una proibizione ideologica nociva agli individui e alle società”. Marcello Pera ha preso in esame, infine, il rapporto tra cristianesimo e islam. “E’ dall’islam – ha detto Pera – che si aspetta una interpretazione o una presentazione di sé in termini tali da permettere un dialogo interculturale”. Sta all’islam – ha concluso – fermare tutte le interpretazioni sbagliate del suo pensiero centrale, soprattutto quando sono violente o aggressive”. (A.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

22 novembre 2006

 

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Un palestinese è stato ucciso e altri due feriti dal colpo esploso da un tank israeliano nel campo profughi di Jabaliya, a nord della città di Gaza. Il morto è un miliziano di Hamas, Abu Matiq, 32 anni. E’ stato colpito durante un’operazione lanciata dall’esercito israeliano per cercare di fermare il lancio di razzi da parte dei palestinesi di Gaza in territorio israeliano. Intanto, dopo la felice e veloce risoluzione del sequestro dei due operatori della Croce Rossa internazionale, ieri pomeriggio a Gaza, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, “ha chiesto scusa” agli italiani di quanto avvenuto a Gian Marco Onorato e Claudio Moroni, e ha poi incontrato i due in mattinata. Da parte sua, il Comitato internazionale della Croce Rossa fa sapere che non lascerà Gaza ma continuerà le sue attività. 

 

Tre poliziotti iracheni sono stati uccisi da guerriglieri stamane a Baquba, cittadina a maggioranza sunnita a 60 chilometri a nord di Baghdad. E’ l’ultimo episodio di violenza in ordine di tempo, mentre si fa il drammatico bilancio del mese di ottobre, quando il computo dei morti tra la popolazione in Iraq ha toccato un nuovo record: 3.709 contro i 3.345 di settembre. Sono dati ONU che si basano sulle cifre rese note dal Ministero della sanità a Baghdad. E dall’invasione americana del Paese, le persone fuggite dall’Iraq sono oltre due milioni, aggiunge l’ONU. Baghdad è l’epicentro della violenza: 5.000 persone uccise tra settembre e ottobre, su un totale di 7.054. Molti dei morti presentavano segni di torture. E ci sono poi gravi situazioni come quella di Mosul, dove continue intimidazioni e insistenti richieste di versare denaro per finanziare attività di un gruppo islamico locale hanno costretto la Caritas della città a chiudere i battenti. A raccontarlo a AsiaNews è stata un’operatrice stessa del Centro Caritas.

 

Intanto un marine statunitense è stato condannato a 21 mesi di reclusione dopo essersi dichiarato colpevole in relazione all’uccisione di un civile iracheno nell’aprile scorso a Hamdania, a nord di Baghdad. Rischiava fino a 15 anni, ma gli è stata inflitta una pena lieve perché ha collaborato con la giustizia. Otto militari in totale - sette marines e un infermiere della Marina - sono stati incriminati in giugno dalla magistratura militare. Finora in tre hanno evitato pene più pesanti accettando di collaborare.

 

Ieri, Iraq e Siria hanno ristabilito dopo 25 anni piene relazioni diplomatiche, mentre allo stesso tempo il presidente iracheno, Jalal Talebani, si accinge a compiere sabato una visita in Iran carica di auspici per l’influenza che Teheran può esercitare sugli sciiti in Iraq e quindi sulla pacificazione del Paese. Su questo nuovo scenario, Stefano Leszczynski ha intervistato Alessandro Colombo, docente di Relazioni internazionali presso l’Università statale di Milano:

 

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R. – Qui andiamo incontro a due fallimenti clamorosi della politica statunitense degli ultimi 3-4 anni. L’occupazione dell’Iraq aveva da un lato, tra i propri obiettivi, quello di mettere sotto pressione il regime siriano e quello iraniano, indebolendoli: ma il risultato di questi tre anni è stato che l’Iran si è estremamente rafforzato e Siria ed Iran, a questo punto, vengono chiamati dall’Iraq perché contribuiscano alla propria stabilizzazione. Questo è già un primo elemento paradossale. Il secondo elemento, che è di portata più generale, è proprio questa rappresentazione del sistema internazionale, come un sistema diviso tra una comunità internazionale di Stati democratici ed alcuni bollati come “Stati-canaglia”, che non possono essere coinvolti. Su questa rappresentazione, l’amministrazione Bush ha investito moltissimo ed è naturale che il coinvolgimento della Siria e dell’Iran nella pacificazione dell’Iraq sarebbe la pietra tombale su questa rappresentazione.

 

D. – L’Iraq istituzionale che esce da questa terra potrà sopravvivere nella regione senza il sostegno militare degli Stati Uniti?

 

R. – Dell’Iraq futuro non sappiamo proprio nulla, perché in questo momento è davvero un Paese al collasso. Anche questo è stato un altro dei paradossi dell’iniziativa militare americana: gli Stati Uniti si sono liberati di quello che definivano uno “Stato-canaglia”, ma hanno creato al suo posto uno Stato al collasso, in un contesto nel quale, per lo stesso riconoscimento di documenti strategici americani, gli Stati al collasso sono ancora più pericolosi degli “Stati-canaglia”.

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La situazione di Eurolandia ora è “più tranquilla”: ma le differenze tra i vari Paesi sul fronte della crescita e dell’inflazione “sono potenzialmente un problema per la coesione della zona dell’euro, se queste invece di diminuire si accresceranno”. A affermarlo è il presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, che raccoglie l’allarme lanciato dal commissario UE agli Affari economici, Jaoquin Almunia. Parlando davanti alla Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo, Juncker si è comunque detto soddisfatto dell’attuale ritmo di crescita dell’economia europea e per un’inflazione che si mantiene su livelli non allarmanti.

 

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato la proroga per un anno del mandato della Forza europea di stabilizzazione in Bosnia-Erzegovina (EUFOR). In una risoluzione adottata ieri all’unanimità, il Consiglio di Sicurezza ha espresso altresì appoggio alle disposizioni dell’accordo di Dayton che, esattamente 11 anni fa, pose fine alla guerra in Bosnia. La risoluzione autorizza gli Stati membri dell’ONU, “agendo con l’intermediazione dell’Unione europea o in cooperazione con essa”, a prolungare per un periodo di un anno la presenza dell’EUFOR. Concluso il 21 novembre 1995, l’accordo di Dayton pose fine a una guerra che, in tre anni e mezzo, aveva causato circa 200 mila morti e oltre due milioni di rifugiati. L’accordo sancì la divisione della Bosnia in due entità, la “Republika Srpska” (RS, serbi) e la Federazione croato-musulmana, ciascuna con proprio governo e Parlamento, unite da istituzioni centrali “leggere”.

 

Accoglienze tiepide a Seul al preannuncio americano sull’estensione di un partenariato speciale con la NATO a cinque Paesi, fra cui la Corea del Sud. Nel riferire oggi la notizia preannunciata dal sottosegretario di Stato USA, Nicholas Burns, l’agenzia Yonhap scrive che fonti della diplomazia sudcoreana hanno parlato di una partecipazione “ridotta e limitata” di Seul ai nuovi progetti di globalizzazione della NATO. Per adesso, ha detto una fonte all’agenzia, tutto è ancora  in discussione e “nulla è stato ancora deciso”. Il preannuncio è stato dato a Washington in vista del vertice della NATO in programma a Riga fra una settimana. Altri due dei cinque Paesi in questione sono extraeuropei, il Giappone e l’Australia. Dalla fine della guerra di Corea, nel 1953, il Sud ospita decine di migliaia di militari americani e la fascia smilitarizzata con il Nord è rimasta l’ultima frontiera della guerra fredda. 

 

Il comproprietario di una piccola banca russa è stato ucciso a Mosca, terzo banchiere in tre mesi a subire tale sorte nella capitale. Lo hanno reso noto  fonti giudiziarie. Konstantin Meshceriakov, comproprietario della Spetsetstroibank, è stato assassinato ieri con colpi d’arma da fuoco davanti a un edificio di abitazioni nella zona nord di Mosca. Secondo l’agenzia Interfax, la Spetsetstroibank è la 405.ma delle banche russe. In settembre, Andrei Kozlov, vicecapo della Banca centrale, era stato ucciso all’uscita da una partita di calcio; il mese successivo è stata la volta di un dirigente della banca Vtb-24. 

 

 

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