RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 326 - Testo
della trasmissione di mercoledì 22 novembre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Storico accordo di pace in Nepal
tra governo e maoisti: ai nostri microfoni Aldo Daghetta
CHIESA E SOCIETA’:
Nel nord dell’India un cristiano è stato ucciso da
militanti islamici
Messaggio
dei vescovi dell’Ecuador in vista del ballottaggio presidenziale di domenica
prossima
Appello contro le “cluster bombs” dei vescovi
britannici al governo di Londra
Violenza in Iraq: nel mese di ottobre sono stati
oltre 3700 i morti tra la popolazione civile
22 novembre 2006
ALL’UDIENZA
GENERALE IL PAPA CONDANNA L’ASSASSINIO DEL MINISTRO LIBANESE
GEMAYEL,
E INVITA I LIBANESI A NON LASCIARSI VINCERE DALL’ODIO. NELLA CATECHESI, DEDICATA
ANCORA A SAN PAOLO, IL PAPA SOTTOLINEA L’UNITA’
TRA
CRISTO E LA CHIESA: CHI PERSEGUITA
Un accorato appello a “tutti i
libanesi a non farsi vincere dall'odio ma a rinsaldare giustizia e
riconciliazione” per un futuro di pace. Il pensiero particolare di Benedetto
XVI, stamani all’udienza generale, è andato al Libano, sconvolto ieri
dall’assassinio a Beirut del ministro dell’Industria Pierre
Gemayel, leader del partito cristiano maronita. Ad
ascoltare le parole del Pontefice ben 50 mila persone, il doppio di quelle
previste, giunte in piazza San Pietro sfidando una
fortissima pioggia. Il servizio di Alessandro De Carolis:
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E’ appena spuntato un accenno di sole, dopo scrosci anche
violenti di pioggia, quando la cronaca, con il suo carico di drammi, entra per
qualche istante nell’incontro del mercoledì tra il Papa e i fedeli. La morte
crudele di Pierre Gemayel,
il ministro dell’Industria libanese, assassinato ieri a Beirut, suscita il
dolore “profondo” e la solidarietà di Benedetto XVI:
“Nel condannare
fermamente tale brutale attentato, assicuro la mia preghiera e la mia vicinanza
spirituale alla famiglia in lutto e all'amato popolo libanese. Di fronte alle
forze oscure che cercano di distruggere il Paese, invito tutti i Libanesi a non
lasciarsi vincere dall'odio bensì a rinsaldare l'unità nazionale, la giustizia
e la riconciliazione, e a lavorare insieme per costruire un futuro di pace.
Invito infine i Responsabili dei Paesi che hanno a cuore le sorti di quella Regione
a contribuire ad una soluzione globale e negoziata delle diverse situazioni di
ingiustizia che la segnano da ormai troppi anni”.
La quarta riflessione sulla figura e l’apostolato di San
Paolo avevano impegnato poco prima Benedetto XVI. Condotta da Benedetto XVI al
cospetto di una folla zuppa di pioggia ma non per questo invogliata ad
abbandonare Piazza San Pietro - che anzi è andata stipandosi ulteriormente – la
catechesi del Papa ha ripreso le mosse dalla strada di Damasco, che si rivelò decisiva
per la comprensione di S. Paolo, del legame mistico che unisce Gesù alla
Chiesa. Il futuro Apostolo, ha notato Benedetto XVI, non si convertì, come
avvenne per altri, al contatto con la prima comunità cristiana, della quale
anzi divenne un acceso persecutore. Si convertì per iniziativa diretta di
Cristo, che però gli si rivelò come il “perseguitato”,
e dunque, in sostanza, Paolo – ha affermato il Pontefice – “si convertì nello
stesso tempo a Cristo e alla Chiesa”:
“Così è venuta la
sua originale definizione della Chiesa come Corpo di Cristo, che non troviamo
in altri autori cristiani del primo secolo. La radice più profonda di questa sorprendente designazione della Chiesa la troviamo
nel sacramento del Corpo di Cristo. Dice San Paolo: ‘Poiché
c’è un solo un pane, noi pur essendo molti siamo un solo corpo’”.
Per questo San Paolo, ha proseguito Benedetto XVI, non amò
le singole Chiese, che contribuì a fondare con la sua predicazione, in maniera
“fredda e burocratica”, ma “intensa e appassionata”: le considerava
un’“estensione” della “presenza personale” di Cristo nel mondo. Una Chiesa
fatta di membra unite e insieme distinte, guidate dal soffio dello Spirito
Santo:
“Ovviamente
sottolineare l’esigenza dell’unità non significa sostenere che si debba
uniformare o appiattire la vita ecclesiale secondo un unico modo di operare.
Altrove Paolo insegna a non spegnere lo spirito, cioè a fare generosamente
spazio al dinamismo incredibile delle manifestazioni carismatiche dello
spirito, il quale è fonte di energia e di vitalità sempre nuova”.
Ciò che sta a cuore
all’Apostolo, il criterio base, è la
“mutua edificazione” della Chiesa e tutto, dice, deve “concorrere a
costruire il tessuto ecclesiale”, senza “fughe e senza strappi”. In definitiva, ha sintetizzato il
Papa, “è in gioco un rapporto di comunione, quello per così dire verticale tra
Gesù Cristo e tutti noi, ma anche quello orizzontale tra tutti coloro che si
distinguono nel mondo per il fatto di invocare il nome del Signore nostro Gesù
Cristo (...) Così dovrebbero essere le nostre riunioni liturgiche, dove uno che
entri non cristiano, alla fine dica veramente ‘Dio è con voi’”.
Fra i saluti particolari del dopo-udienza, Benedetto XVI
ne ha rivolto uno ai vescovi di Abruzzo e Molise, primi ad aprire la lunga
serie delle visite ad Limina
dei presuli italiani. “Nel ricordare con animo grato il mio recente viaggio al
Santuario di Manoppello – ha detto loro il Pontefice - desidero incoraggiare
tutti voi, cari amici, a proseguire negli sforzi intrapresi per far sì che il
Vangelo sia il fondamentale punto di riferimento per tutte le vostre comunità.
Dinanzi alla vastità della missione che è affidata alle vostre Chiese non
lasciatevi mai prendere dalla stanchezza o dallo scoraggiamento”. Inoltre,
Benedetto XVI ha invitato giovani, anziani e famiglie a guardare alla figura di
Cristo Re, la cui solennità, domenica prossima, concluderà il Tempo liturgico
ordinario in vista dell’Avvento. In particolare, agli sposi novelli, il Papa ha
rammentato il 25° anniversario dell’Esortazione apostolica Familiaris
consortio, “che diede – ha osservato - grande
impulso alla pastorale familiare nella Chiesa”. Vi auguro, ha concluso, “di
percorrere il vostro cammino matrimoniale sempre uniti a Cristo”.
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INIZIATA
ROWAN
WILLIAMS: DOMANI L’INCONTRO CON BENEDETTO XVI
Il Primate della Comunione Anglicana, l’arcivescovo di
Canterbury, Rowan Williams, ha iniziato ieri
un’attesa visita ufficiale a Roma di sei giorni, il cui momento centrale è
l’incontro domani in Vaticano con Benedetto XVI. L’evento si svolge
nell’occasione del 40.mo anniversario dell’incontro
tra Paolo VI e l’arcivescovo Michael Ramsey nel 1966, che permise l’avvio del dialogo tra cattolici
e anglicani, dopo oltre 4 secoli di separazione. Il servizio di Sergio Centofanti.
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La giornata di domani inizia con la preghiera del Primate
anglicano nella Basilica di San Pietro alle 9.30. Alle 11.00, il colloquio con
il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, seguìto alle 11.30 dall’incontro con Benedetto XVI. Alle
12.15 il Papa e il Primate anglicano si raccoglieranno in preghiera nella
Cappella Redemptoris Mater per la
celebrazione dell’Ora Media.
Stamani, dopo una breve cerimonia nella Cappella Sistina,
sono iniziati i colloqui con il cardinale Walter Kasper,
presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Attualmente il
dialogo ecumenico sta registrando sviluppi positivi e nuove difficoltà. L’anno
scorso è stato pubblicato un importante testo comune sulla figura di Maria, in
cui si afferma che i dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, visti
in un contesto scritturale, possono essere considerati in una luce nuova anche
dagli anglicani. D’altra parte difficoltà nel dialogo sono sorte sui temi della
sessualità umana e dell’ordinazione delle donne all’episcopato. Problemi
sussistono anche per le divisioni interne alla stessa Comunione anglicana, che
rendono complesso per
Ieri pomeriggio l’arcivescovo Rowan
Williams, subito dopo il suo arrivo a Roma, ha tenuto una lezione al Pontificio
Ateneo Sant’Anselmo su San Benedetto e il futuro
dell’Europa. Il Primate anglicano ha indicato la regola di San Benedetto come
modello per la società moderna, che ha bisogno di riscoprire il valore del
tempo, dell’autorità e della partecipazione, se vuole dare significato
all’esistenza senza essere sopraffatta da un materialismo disumano e ossessivo.
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IL
COMMENTO DEL BIBLISTA GIANFRANCO RAVASI ALL’ANNUNCIO
DELLA PROSSIMA PUBBLICAZIONE DEL LIBRO DI
BENEDETTO XVI DAL TITOLO:
“GESÙ DI NAZARETH. DAL BATTESIMO NEL GIORDANO
ALLA TRASFIGURAZIONE”
Come annunciato ieri dalla Sala Stampa
vaticana, in primavera sarà pubblicato il primo libro di Benedetto
XVI “Gesù di Nazareth. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione”.
Incentrato sulla figura di Gesù, il volume, scrive il Pontefice nella
prefazione, vuole offrire delle indicazioni di metodo per poter leggere la
Bibbia e capire chi è realmente Cristo. Sull’argomento Tiziana Campisi ha intervistato il biblista
mons. Gianfranco Ravasi:
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R. – Sicuramente è interessante – a mio avviso – che Ratzinger-Benedetto XVI, con il suo Gesù di Nazareth, si presenti al tempo stesso come Pontefice, ma voglia
soprattutto presentare la sua ricerca personale che non coinvolge direttamente
l’autorità magisteriale, per cui egli dice possibile
la critica, la contraddizione.
D. – Benedetto XVI scrive che dalle diverse pubblicazioni
che negli ultimi decenni hanno cercato di ricostruire la figura di Gesù, si ha
l’impressione che si sappia ben poco di certo su Gesù. Ma quali convinzioni
errate oggi sussistono su Gesù Cristo?
R. – E’ come se su una sponda ci sia Cristo che è
affrontato – direi - in maniera solo devozionale, solo teologica, solo spirituale, che si può incontrare
soltanto attraverso una esperienza intima perché Egli sarebbe soltanto una
sorta di figura aureolata di luce, lontana, intangibile, che entra nei cieli
dorati della sua trascendenza. Dall’altra parte si è invece delineato un Gesù
carnale, dai lineamenti storici, ora indecifrabili, limitati al minimo, oppure
molto marcati, ma ridotti secondo il nostro gusto e secondo le esigenze del
nostro tempo. Ecco allora un Gesù che viene molto
adottato ed adattato alle situazioni concrete delle singole istanze culturali,
sociali e così via.
D. – Lo scopo di Benedetto XVI è quello di presentare il
Gesù dei Vangeli come il vero Gesù: una figura storicamente sensata e
convincente. Come si può arrivare oggi a questa consapevolezza?
R. – L’autenticità della figura di Cristo non si ottiene
ritagliando i dati storiografici verificabili e rispedendo poi alle competenze
del teologo le componenti che sono cristologiche e
teologiche, bensì tenendo il tutto ben compatto, nell’unità di una sola
persona, che è storicamente sensata e convincente - queste sono le parole usate
dal Papa – e che contiene in sé una dimensione trascendente.
D. – E sono proprio questi i criteri che il Papa
suggerisce di adottare nel leggere la Bibbia: metodo storico e fede. In che
modo usarli correttamente?
R. – Lo studioso deve un po’ come camminare su un crinale.
Da un lato, c’è il versante storico che è in penombra e in cui emerge il Cristo
nella sua pienezza di uomo, conosciuto dai discepoli che gli sono attorno, e di
figura trasfigurata; dall’altra parte si dirama il versante abbagliato dalla
Gloria della divinità, della resurrezione, della trasfigurazione. Benedetto
XVI, come teologo e come anche storico, suggerisce di camminare stando su
questo crinale che è molto tagliente, molto delicato, ma tenendo presente anche
l’altro versante. Dunque la figura di Cristo può essere conosciuta restando
saldi sull’uno e l’altro versante.
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NOMINE
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo
pastorale dell’arcidiocesi di Maceió, in Brasile,
presentata da mons. José Carlos
Melo, dei Lazzaristi, per raggiunti limiti di età.
Gli succede mons. Antônio Muniz
Fernandes, dell’Ordine Carmeliatano,
finora vescovo di Guarabira. Mons.
Antônio Muniz Fernandes è nato a Princesa Isabel, nello Stato brasiliano di Paraíba,
nel 1952. E’ stato ordinato sacerdote nel 1980. Negli anni 1983-1986 è stato a
Roma dove, nella Pontificia Università Gregoriana, ha ottenuto
Sempre in Brasile, il Papa ha nominato vescovo di São Carlos mons. Paulo Sérgio Machado, finora vescovo di
Ituiutaba. Mons. Machado è nato il 22 novembre 1945 nella città di Patrocínio, nella diocesi di Patos de Minas.
Ha conseguito la
Licenza in Teologia Pastorale presso
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - La catechesi e la cronaca
dell’udienza generale.
Servizio estero - Libano: sdegno, cordoglio e
inquietudine per il mortale agguato a Pierre Gemayel.
Intervento della Santa Sede sul tema: “Coinvolgere
tutte le parti interessate per eliminare la fondamentale ingiustizia che è al
cuore del conflitto israelo-palestinese”.
Servizio culturale - Un articolo di Jorge Mejia dal titolo “La Bibbia
prima dell’anno Mille”: una mostra a Washington presenta preziosi manoscritti
per la prima volta visibili al pubblico.
Una monografica - a cura di mons. Giuseppe Liberto
- in merito ai cinquant’anni dalla morte di Lorenzo Perosi.
Servizio italiano - In primo piano il tema degli
incidenti sul lavoro.
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22 novembre 2006
COSTERNAZIONE
IN LIBANO E NELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
PER L’ASSASSINIO DEL MINISTRO GEMAYEL
- Il
servizio di Giancarlo La Vella -
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Le parole del Papa di stamani all’udienza generale
disegnano icasticamente la difficile situazione che
sta vivendo il Libano. Le “forze oscure” hanno agito indisturbate. Un commando
di tre persone a volto scoperto ha speronato in piena Beirut, con la proprio auto, quella dove era il giovane ministro
dell’Industria, Pierre Gemayel,
aprendo poi il fuoco su di lui e sulla sua scorta: anche un agente è rimasto
ucciso. Un omicidio avvenuto proprio nel giorno in cui il Consiglio di
Sicurezza dell’ONU ha istituito il Tribunale penale internazionale che dovrà
giudicare sull'assassinio dell'ex premier libanese, Rafik
Hariri, anch’egli ucciso in un attentato il 14
febbraio 2005 sempre a Beirut; a significare che la comunità internazionale
continua a credere in un Libano libero, sovrano e democratico, dopo la recente
uscita dalla sfera di influenza siriana. Intanto, stamani il feretro di Gemayel è stato trasferito a Bifkaya,
città d'origine della sua famiglia, a nord est di Beirut, accolto da centinaia
di sostenitori del Partito falangista, che, dopo i
disordini di ieri nella capitale nell’immediatezza della notizia
dell’attentato, hanno accolto con tutti gli onori la salma. Il padre di Pierre, l'ex presidente libanese Amin
Gemayel, visivamente addolorato ha esortato la folla
alla calma promettendo che la morte del figlio non rimarrà impunita. Già nel
1982 la famiglia era stata scossa dall’altro attentato a Bashir
Gemayel, zio di Pierre e
anch’egli ex presidente del Paese dei Cedri, un Paese che le “forze oscure”,
rifacendoci alle parole del Papa, cercano di ancorare al terrore della violenza
e della guerra. E, a commento delle parole del Santo Padre, sentiamo il
giornalista libanese, Camille Eid,
del quotidiano “Avvenire”:
R. – La definizione “forze oscure”, come ha detto
benissimo il Papa, dimostra che per tutti gli assassinii
che si sono susseguiti, da quello di Hariri, nel febbraio
dell’anno scorso, a quello di ieri, nessun responsabile è stato mai fermato. E’
vero che molti puntano il dito contro la Siria, presente in Libano fino all’anno scorso, ma nessun esecutore o mandante è stato
arrestato e portato in Tribunale. Quindi “forze oscure”, forse, anche per
questo motivo.
D. – Perché l’obiettivo di queste forze è stato proprio il
ministro Gemayel?
R. – Perché l’intenzione è quella di far cadere il
governo. Abbiamo ormai sei ministri dimissionari, uno che è stato sostituito da
un ministro ad interim, che è quello dell’Interno, ed ora uno
assassinato: siamo arrivati ad otto ministri eliminati su 24 e se si
raggiungere il numero di nove su 24, il governo viene automaticamente considerato
dimissionario.
D. – Con l’eventuale caduta del governo, quale scenario si
aprirebbe per il Paese?
R. – Sarebbe il caos istituzionale, perché avremmo in
questo modo la presidenza della Repubblica e quella del Parlamento in mano alle
forze già vicine alla Siria, mentre il governo, che è attualmente l’unica
istituzione in mano alla maggioranza antisiriana, verrebbe
ovviamente messo da parte. Questo aprirebbe quindi la strada a tutte le
ipotesi, tra cui proprio quella della confusione e del caos politico.
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SPERANZE
DI PACE IN NEPAL DOPO LO STORICO ACCORDO TRA GOVERNO E MAOISTI
CHE
DOVREBBE PORRE FINE A 10 ANNI DI GUERRA CIVILE
- Ai
nostri microfoni Aldo Daghetta -
Futuro di pace per il Nepal. Ieri a Kathmandu
governo e ribelli maoisti hanno siglato uno storico accordo di pace che mette
fine ad un’estenuante guerra civile che, in circa dieci anni, ha provocato
oltre 13 mila morti. Il nuovo corso del piccolo Regno himalayano
era cominciato sette mesi fa quando i partiti dell'alleanza, ora al potere, e i
maoisti si sono alleati costringendo il re Gyanendra
ad assumere un ruolo puramente formale.
Soddisfazione per
l’intesa è stata espressa da tutta la comunità internazionale. Il servizio di
Maria Grazia Coggiola:
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Almeno sulla carta da ieri il Nepal è in pace. Il ministro
nepalese Girija Prasad Koirala, che guida l’alleanza di sette partiti, e il leader
dei maoisti, conosciuto con il nome di battaglia di Prachanda,
hanno siglato ieri a Kathmandu un accordo che
cambierà i destini del Regno himalayano. Non è ancora
chiaro quale sarà il futuro di Gyanendra, spogliato di ogni potere
dopo le sollevazioni antimonarchiche dello scorso aprile. L’intesa prevede che
i maoisti entrino nel Parlamento e poi nel Governo provvisorio, dopo aver
deposto le armi e dislocato le loro truppe nelle caserme, sotto il controllo di
osservatori delle Nazioni Unite. Forse il prossimo anno saranno poi indette le
elezioni per un’Assemblea costituente che deciderà il nuovo sistema politico
del Nepal. L’accordo, che prevede anche un cessate-il-fuoco permanente è stato accolto con gioia
dalla popolazione. Oggi è stata dichiarata festa nazionale a Kathmandu per la fine di dieci anni di violenze e soprusi
che hanno trasformato il Nepal, il tetto del mondo come viene
chiamato, in un dei Paesi più poveri dell’Asia.
Da Nuova Delhi, per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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Sull’importanza di
questo accordo, Stefano Leszczynski ha intervistato
Aldo Daghetta, portavoce di PANGEA Onlus, esperto di Nepal:
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R. – E’ sicuramente
l’occasione migliore degli ultimi anni e quindi le speranze che questo accordo
sia veramente reale sono tante. Per la prima volta il leader maoista Prachanda ha firmato direttamente lui l’accordo e ha
soprattutto firmato un accordo in cui dichiara che ci sarà un disarmo anche da
parte dei maoisti.
D. – Un accordo che
nasce anche su una nuova sistemazione istituzionale del Paese…
R. – Sì, questa era
una delle richieste principali che sono state portate avanti per abbattere di fatto la monarchia assoluta e cercare di instaurare una
situazione più democratica. E, in effetti, questa via transitoria di una via
costituzionale dà delle speranze concrete che effettivamente questo possa avvenire.
D. – Il governo
attuale e i ribelli hanno trovato, tutto sommato, una piattaforma comune nella
volontà di ridimensionare il potere della monarchia in Nepal…
R. – Parlando anche con la
responsabile di un’organizzazione non governativa, con cui lavoriamo in Nepal,
che ha grossi contatti con le realtà impegnate per i
diritti civili locali, ci diceva che la linea di far entrare nelle istituzioni
i maoisti è la via migliore per essere sicuri che il disarmo sia reale e che
quindi anche la trasformazione costituzionale abbia delle basi forti, per cui
poi andare a formare
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DOPO
LA CRISI A LUGLIO SCORSO, L’OLANDA VOTA OGGI
PER IL
RINNOVO DEI 150 SEGGI DEL PARLAMENTO.
SEMBRA
PIU’ CHE
PROBABILE LA PROSPETTIVA DI UNA GRANDE COALIZIONE
In un clima di incertezza circa 12 milioni di olandesi
stanno votando per il rinnovo dei 150 seggi del Parlamento. Il servizio di
Fausta Speranza:
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Si tratta di una consultazione anticipata, dopo la crisi
che, nel luglio scorso, ha investito la coalizione di centrodestra, guidata dal
primo ministro Jan Peter Balkenende. Per ora
i sondaggi danno il Partito cristiano-sociale (CDA) di Balkenende
in vantaggio. Sembra un riconoscimento del buon andamento dell'economia, con
una previsione di crescita per il 2006 del 3,5 per cento ed una riduzione della
disoccupazione al 5,2. Il dubbio è se riuscirà a mantenere la maggioranza
relativa. Elemento certo è che per formare il governo sarà necessaria una
coalizione. Si parla di un esecutivo costituito dai due maggiori gruppi
politici – democristiani e laburisti – che già in passato hanno governato
insieme. Così, dopo Germania ed Austria, un terzo Paese europeo potrebbe
scegliere la grande coalizione. Ma come il Paese guarda a questa prospettiva?
Risponde Kes Boes, caporedattore
dell’agenzia nazionale olandese ANP a Bruxelles:
R. – It
hasn’t been …
Non è successo in Olanda per anni, per decenni. Sarebbe un
grande esperimento. Sembra che in Germania abbia funzionato molto bene. Una
grande coalizione in Olanda significherebbe cristiano-democratici
e laburisti.
D. – E’ stato detto che il populismo è rimasto fuori da questo voto …
R. – Yes, there was not …
Sì, non c’è stato tanto populismo, ma il dibattito
sull’immigrazione sta avendo meno importanza di quanta ne
avesse 4, 5 anni fa. In quel periodo, i membri islamici in Olanda non erano
stati messi in discussione dai politici. I politici in quel momento cercarono
di evitare di discutere di questo e di evitare di agitare il problema. Ma poi
questa cosa è venuta fuori ed ha sollevato un grande dibattito. Theo Van Gogh, il regista
cinematografico, è stato ucciso per la sua visione del mondo islamico…
D. – Anche l’Unione Europea non è stata al centro della
campagna elettorale …
R. – No, as for migration …
No, per quanto riguarda l’immigrazione e il dibattito
europeo, non era in programma. I politici europei si lamentano di questo
pubblicamente, ma la maggior parte degli olandesi sono euroscettici,
non importa loro molto di Bruxelles, non vogliono discutere di questo durante
le elezioni.
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FERMA LA RISPOSTA NEGATIVA DI ANKARA ALLA
RICHIESTA DI BRUXELLES
DI RICONOSCERE A TUTTI GLI EFFETTI LA
REPUBBLICA DI CIPRO,
APRENDO PORTI E AEROPORTI. DOPO IL
RECENTE rapporto CRITICO di Bruxelles sulle riforme
della Turchia, SEMBRA ALLONTANARSI SEMPRE DI PIU’
IL PROCESSO DI ADESIONE
- Con noi Andrea Bonanni -
“Fuori
questione. Non se ne parla nemmeno”. E’ stata netta, e apparentemente priva di
spiragli per un ripensamento, la risposta negativa data ieri da Ankara
all’ultimatum della presidenza finlandese dell’UE che aveva invitato la Turchia
ad aprire “entro il 6 dicembre” i suoi porti ed aeroporti alle merci
provenienti dalla parte greca dell’isola divisa di Cipro. Dopo il recente rapporto di
Bruxelles che metteva in luce forti limiti nei passi in avanti sulle riforme
della Turchia in vista dell’avvicinamento all’Unione Europea, sembra sempre più
probabile, ora, la sospensione del processo di adesione della Turchia. Ma si è
trattato di un ultimatum da parte di Bruxelles, come affermato dalle autorità
turche o di un atto dovuto visto l’ingresso di Cipro nell’UE nel 2004? E quali
potranno essere le prossime mosse dell’Unione Europea? Fausta Speranza ne ha
parlato con Andrea Bonanni, analista
di questione europee per il quotidiano
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R. – E’ un ultimatum nel senso che, se entro il 6 dicembre
l’apertura di porti e aeroporti, che era dovuta da due
anni, non verrà messa in pratica, è evidente che l’Europa dovrà in qualche modo
congelare il negoziato di adesione della Turchia. E’, però, evidentemente, un
atto che la Turchia si era impegnata a fare da tempo, ma non ha mantenuto
questa promessa.
D. – Le conseguenze, più o meno evidenti, di questa presa
di posizione della Turchia?
R. – In realtà, si continua a negoziare dietro le
intransigenze reciproche ed è sempre possibile un miracolo. Fermo restando
questo, bisognerà vedere quanto sarà duro il congelamento che verrà deciso dall’Unione Europea, cioè se bloccare solo una
parte dei negoziati, quelli che riguardano le questioni doganali e commerciali,
e lasciare andare avanti i capitoli che, comunque, sono di più lungo respiro e
che richiederanno comunque anni di negoziato, o se bloccare tutto il processo
negoziale. Su questo punto in Europa ci sono sensibilità diverse. Paesi come la
Gran Bretagna, e in parte anche l’Italia, tendono a cercare di lasciare aperte
le porte alla Turchia. Paesi, invece, come la Francia,
l’Austria, Cipro, evidentemente, e la Grecia, sono più netti sulla necessità di
congelare completamente il negoziato. La decisione sarà presa probabilmente
sulla base della raccomandazione della Commissione, dai ministri degli Esteri,
che si riuniranno dopo il 6 dicembre.
D. – Andrea Bonanni, l’Unione
Europea ha chiesto l’apertura di porti e aeroporti turchi alle
merci greco-cipriote entro il 6 dicembre e la
presidenza finlandese ha sottolineato che al vertice di metà dicembre bisogna
discutere di altro …
R. – La posizione espressa dal presidente finlandese tende
ad evitare - visto che con ogni probabilità l’Unione Europea dovrà assumere un
atteggiamento duro e negativo nei confronti della Turchia, anche se non è
chiaro fino a che punto - che questo atteggiamento sia
preso dai capi di Stato e di governo e cerca di delegare la questione ai
ministri degli Esteri. Questo è il vero motivo.
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22 novembre 2006
NEL NORD DELL’INDIA UN CRISTIANO
UCCISO DA MILITANTI ISLAMICI.
DIECI ANNI FA SI ERA CONVERTITO AL
CRISTIANESIMO ED ERA IMPEGNATO NELL’EVANGELIZZAZIONE E IN PROGETTI SOCIALI
SRINAGAR. = Due fondamentalisti islamici
hanno ucciso nello Stato settentrionale indiano di Jammu
un cristiano convertito dall’islam, fortemente
impegnato in progetti sociali e nell’evangelizzazione. Lo riferisce l’Agenzia AsiaNews precisando che l’uomo, Bashir
Ahmad Tantray, si era convertito
circa 10 anni fa. Dopo la conversione al cristianesimo, era stato
minacciato di morte ed era fuggito dal suo villaggio, dove era tornato alcuni anni
dopo. Nello Stato settentrionale dell’India sono in aumento le violenze contro
i cristiani locali. Circa due anni fa, alcuni militanti islamici avevano
lanciato delle granate contro la scuola missionaria di Pulwama,
mentre nel luglio scorso un’autobomba aveva danneggiato un’altra scuola
cristiana. “Bashir Ahmad Tantray - afferma il presidente del Consiglio dei cristiani
indiani - è un martire della fede. Possiamo solo pregare che il suo sangue diventi
seme di evangelizzazione”. (A.L.)
SI
ANNUNCIA UN TESTA A TESTA IN ECUADOR AL BALLOTTAGGIO
PRESIDENZIALE
DI
DOMENICA TRA IL CANDIDATO DELLA DESTRA, ALVARO NOBOA,
E
QUELLO DELLA SINISTRA, RAFAEL CORREA
- A
cura di Luis Badilla -
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QUITO. = In Ecuador, sembra sempre più incerto l’esito del
ballottaggio presidenziale di domenica prossima, al quale sono chiamati oltre 9
milioni di elettori: secondo gli ultimi sondaggi dell’istituto “Cedatos – Gallup”, il candidato
del Partito rinnovatore istituzionale, Alvaro Noboa,
può contare su quasi il 52 per cento dei voti mentre
il suo rivale, il candidato della sinistra Rafael Correa avrebbe raggiunto
circa il 48 per cento delle preferenze. Il risultato appare molto incerto a
causa dell’inattesa crescita, secondo i sondaggi, dei consensi verso il
socialdemocratico Rafael Correa. Il candidato della sinistra è riuscito, in
particolare, a conquistare l’appoggio della potente confederazione delle popolazioni
indigene e di altri partiti che, nel primo turno dello scorso 15 ottobre, non
hanno indicato preferenze di voto ai propri sostenitori. Sul ballottaggio si
sono espressi, con un recente documento, anche i vescovi dell’Ecuador: “Poiché
entrambi i candidati – scrivono i presuli - si dichiarano cristiani cattolici,
attendiamo da parte loro una testimonianza di servizio nei piani che
propongono, orientati verso la giustizia e la libertà, nonché un responsabile e
serio impegno”. “Ci aspettiamo – aggiungono - profondi cambiamenti, necessari
ed urgenti per ridurre la distanza fra ricchi e poveri, e per produrre più
ricchezza e per migliorarne la distribuzione”. Nel documento i vescovi
auspicano, poi, alcuni importanti progressi tra i quali un accesso rapido e
facile per i poveri e per i malati ai servizi sanitari, un riscatto della moralità
pubblica e l’eliminazione della corruzione. I presuli chiedono anche una
maggiore difesa della famiglia e la tutela della vita in tutte le sue fasi. “Ci
aspettiamo – concludono - politiche sociali in favore dei contadini e dei
lavoratori; politiche orientate sempre alla promozione dei più poveri ed
emarginati. In questo contesto occorre più legalità nella distribuzione delle
terre, più lavoro e più crescita economica”.
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OGGI,
A BRUXELLES, IL SEMINARIO DELLA COMECE IN PREPARAZIONE
DEL
CONGRESSO DI ROMA CHE CELEBRERÀ, A MARZO, IL 50.MO
ANNIVERSARIO
DEI
TRATTATI DI ROMA
BRUXELLES. = Approfondire la fase finale dei lavori in
preparazione delle celebrazioni, previste nella capitale italiana dal 23 al 25
marzo, per il 50.mo anniversario dei Trattati di Roma
del 1957 che hanno portato alla nascita della Comunità
Economica Europea (CEE). E’ lo scopo del seminario della Commissione degli Episcopati della
Comunità Europea (COMECE) che si
apre oggi a Bruxelles con un’agenda molto densa: tra i temi previsti, ci sono
le sfide dell’Unione Europea, quali la politica energetica, la ricerca bioetica
ed il dialogo interculturale. I principali obiettivi della COMECE sono: l’analisi
del processo politico e della legislazione dell’Unione Europea e la promozione
di una riflessione basata sull’insegnamento sociale della Chiesa. In
particolare, il 50.mo anniversario dei Trattati di
Roma sarà per le Chiese europee una preziosa occasione per riflettere sui
valori che hanno ispirato i padri dell’Unione Europea, per rafforzare la
responsabilità dei cittadini e per approfondire il ruolo dei cristiani nel
processo di unificazione. (A.L.)
“FEDERAZIONE RUSSA: TORTURA E CONFESSIONI FORZATE IN DETENZIONE”:
È IL
TITOLO DI UN RAPPORTO-DENUNCIA DI AMNESTY INTERNATIONAL,
PUBBLICATO
IN COINCIDENZA CON IL SUMMIT UNIONE EUROPEA-RUSSIA
LONDRA.
= “Tutte le forme di tortura e di maltrattamento sono proibite in qualunque
tempo e circostanza in virtù dei diritti umani internazionali. Ciononostante,
ispettori di polizia fanno uso della tortura nei centri di detenzione di tutta
APPELLO
CONTRO LE “CLUSTER BOMBS” DI VESCOVI BRITANNICI
E DI
RAPPRESENTANTI DI ALTRE FEDI AL GOVERNO DI LONDRA
LONDRA.
= Un appello al governo britannico per sostenere il trattato internazionale per
la messa al bando delle “cluster bombs”, gli
ordigni a grappolo che mietono vittime, soprattutto tra i civili, è stato
rivolto ieri dal vescovo ausiliare di Birmingham, mons. William Kenney. L’appello – riferisce l’Agenzia SIR – è contenuto
in una lettera firmata da altri vescovi cattolici, da
esponenti delle Chiese metodista e battista e da rappresentanti della
comunità ebraica e musulmana. “La pena tra i civili provocata
da queste armi durante e dopo i conflitti – ha detto mons. Kenney
– è documentata da tempo ed è in aumento. Queste armi provocano morte e ferite
ai civili durante gli attacchi e gli effetti durano per anni a causa della
contaminazione letale che provocano”. Il presule, che è anche portavoce dei
vescovi britannici per le questioni europee, ha chiesto al governo britannico
di mostrare “un chiaro impegno per la protezione dei civili durante i
conflitti. Ogni azione sarà benvenuta come atto di pace dalle persone di ogni
fede”.
“
E
DEVONO UTILIZZARE PER STABILIRE RELAZIONI CON ALTRI CREDENTI”.
LO HA
DETTO L’EX PRESIDENTE DEL SENATO, MARCELLO PERA, INTERVENENDO
ALLA
CONFERENZA TENUTASI LUNEDI’ NELLA SEDE DELL’ONU E INTITOLATA
“IL
RELATIVISMO E
NEW YORK = I pericoli del relativismo e del nichilismo ed
il ruolo della ragione nel complesso intreccio tra religioni e culture sono
stati al centro di un incontro tenutosi lunedì a New York, al palazzo delle
Nazioni Unite. Alla Conferenza, intitolata “Il relativismo e la crisi delle
culture negli scritti di Benedetto XVI” e organizzata dalla Missione permanente
della Santa Sede presso l’ONU, hanno partecipato l’ex presidente del Senato
italiano, Marcella Pera, ed il teologo statunitense, Geroge
Weigel. Il dibattito, introdotto dall’osservatore
permanente alle Nazioni Unite mons. Celestino Migliore, ha preso in esame in
particolare il libro scritto nel 2005 dall’allora cardinale Joseph
Ratzinger “L’Europa di Benedetto nella crisi di
culture”, edito dalla Cantagalli e con prefazione a cura
di Marcello Pera. Nel suo intervento, il senatore ha sottolineato l’importanza
dell’invito, rivolto da Benedetto XVI, per il recupero di una ragione che non sia solo quella “empirica” della scienza. Ribadendo la
centralità del dialogo tra fede e ragione e tra religioni, l’ex presidente del
Senato ha poi analizzato alcuni rischi. “Oltre al relativismo – ha spiegato –
un altro atteggiamento sbagliato verso la religione è quello di privatizzarla,
ossia di confinarla all’interno della sfera personale”. “In realtà – ha fatto
notare Marcello Pera – le religioni sono modi per orientarci nel mondo e svolgono,
quindi, un ruolo nella vita pubblica, dando forma alle società”. “La
distinzione tra Stato e Chiesa – ha poi sottolineato il senatore – è un accordo
utile per stabilire rapporti reciproci tra istituzioni ma
non è uguale alla distinzione tra politica e religione, che equivale invece a
una proibizione ideologica nociva agli individui e alle società”. Marcello Pera
ha preso in esame, infine, il rapporto tra cristianesimo e islam. “E’
dall’islam – ha detto Pera – che si aspetta una interpretazione
o una presentazione di sé in termini tali da permettere un dialogo
interculturale”. Sta all’islam – ha concluso – fermare tutte le interpretazioni
sbagliate del suo pensiero centrale, soprattutto quando
sono violente o aggressive”. (A.L.)
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22 novembre 2006
- A cura di Fausta Speranza -
Un palestinese è stato ucciso e altri due feriti dal colpo
esploso da un tank israeliano nel campo profughi di Jabaliya, a nord della città di Gaza. Il morto è un
miliziano di Hamas, Abu Matiq,
32 anni. E’ stato colpito durante un’operazione lanciata dall’esercito
israeliano per cercare di fermare il lancio di razzi da parte dei palestinesi
di Gaza in territorio israeliano. Intanto, dopo la felice e veloce risoluzione
del sequestro dei due operatori della Croce Rossa internazionale, ieri
pomeriggio a Gaza, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, “ha chiesto scusa”
agli italiani di quanto avvenuto a Gian Marco Onorato e Claudio Moroni, e ha poi incontrato i due in
mattinata. Da parte sua, il Comitato internazionale della Croce Rossa fa sapere
che non lascerà Gaza ma continuerà le sue
attività.
Tre poliziotti iracheni sono stati uccisi da guerriglieri stamane a Baquba, cittadina a
maggioranza sunnita a 60 chilometri a nord di Baghdad. E’ l’ultimo episodio di
violenza in ordine di tempo, mentre si fa il drammatico bilancio del mese di
ottobre, quando il computo dei morti tra la popolazione in Iraq ha toccato un
nuovo record: 3.709 contro i 3.345 di settembre. Sono dati ONU che si basano
sulle cifre rese note dal Ministero della sanità a Baghdad. E dall’invasione
americana del Paese, le persone fuggite dall’Iraq sono oltre due milioni,
aggiunge l’ONU. Baghdad è l’epicentro della violenza: 5.000 persone uccise tra
settembre e ottobre, su un totale di 7.054. Molti dei morti presentavano segni
di torture. E ci sono poi gravi situazioni come quella di Mosul,
dove continue intimidazioni e insistenti richieste di versare denaro per finanziare
attività di un gruppo islamico locale hanno costretto la Caritas della città a
chiudere i battenti. A raccontarlo a AsiaNews è stata
un’operatrice stessa del Centro Caritas.
Intanto un marine
statunitense è stato condannato a 21 mesi di reclusione dopo essersi dichiarato
colpevole in relazione all’uccisione di un civile iracheno nell’aprile scorso a
Hamdania, a nord di Baghdad. Rischiava fino a 15
anni, ma gli è stata inflitta una pena lieve perché ha collaborato con la
giustizia. Otto militari in totale - sette marines e un infermiere della
Marina - sono stati incriminati in giugno dalla magistratura militare. Finora
in tre hanno evitato pene più pesanti accettando di
collaborare.
Ieri, Iraq e Siria hanno ristabilito dopo 25
anni piene relazioni diplomatiche, mentre allo stesso tempo il presidente
iracheno, Jalal Talebani, si accinge a compiere
sabato una visita in Iran carica di auspici per l’influenza che Teheran può esercitare sugli sciiti in Iraq e quindi sulla
pacificazione del Paese. Su questo nuovo scenario, Stefano Leszczynski ha
intervistato Alessandro Colombo, docente di Relazioni internazionali presso
l’Università statale di Milano:
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R. – Qui andiamo incontro a due fallimenti clamorosi della
politica statunitense degli ultimi 3-4 anni. L’occupazione dell’Iraq aveva da
un lato, tra i propri obiettivi, quello di mettere sotto pressione il regime
siriano e quello iraniano, indebolendoli: ma il risultato di questi tre anni è
stato che l’Iran si è estremamente rafforzato e Siria ed Iran, a questo punto, vengono chiamati dall’Iraq perché contribuiscano alla
propria stabilizzazione. Questo è già un primo elemento paradossale. Il secondo
elemento, che è di portata più generale, è proprio questa rappresentazione del
sistema internazionale, come un sistema diviso tra una comunità internazionale
di Stati democratici ed alcuni bollati come “Stati-canaglia”,
che non possono essere coinvolti. Su questa rappresentazione, l’amministrazione
Bush ha investito moltissimo ed è naturale che il
coinvolgimento della Siria e dell’Iran nella pacificazione dell’Iraq sarebbe la
pietra tombale su questa rappresentazione.
D. – L’Iraq istituzionale che esce da questa terra potrà
sopravvivere nella regione senza il sostegno militare degli Stati Uniti?
R. – Dell’Iraq futuro non sappiamo proprio nulla, perché
in questo momento è davvero un Paese al collasso. Anche questo è stato un altro
dei paradossi dell’iniziativa militare americana: gli Stati Uniti si sono
liberati di quello che definivano uno “Stato-canaglia”, ma hanno creato al suo posto uno Stato al collasso, in un
contesto nel quale, per lo stesso riconoscimento di documenti strategici
americani, gli Stati al collasso sono ancora più pericolosi degli “Stati-canaglia”.
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La situazione di Eurolandia ora
è “più tranquilla”: ma le differenze tra i vari Paesi sul fronte della crescita
e dell’inflazione “sono potenzialmente un problema per la coesione della zona
dell’euro, se queste invece di diminuire si accresceranno”. A affermarlo è il
presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, che
raccoglie l’allarme lanciato dal commissario UE agli Affari economici, Jaoquin Almunia. Parlando davanti
alla Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo, Juncker si è comunque detto soddisfatto dell’attuale ritmo
di crescita dell’economia europea e per un’inflazione che si mantiene su livelli
non allarmanti.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato la proroga
per un anno del mandato della Forza europea di stabilizzazione in Bosnia-Erzegovina (EUFOR). In una risoluzione adottata ieri
all’unanimità, il Consiglio di Sicurezza ha espresso altresì appoggio alle
disposizioni dell’accordo di Dayton che, esattamente 11 anni fa, pose fine alla guerra in Bosnia. La risoluzione
autorizza gli Stati membri dell’ONU, “agendo con l’intermediazione dell’Unione
europea o in cooperazione con essa”, a prolungare per
un periodo di un anno la presenza dell’EUFOR. Concluso il 21 novembre 1995,
l’accordo di Dayton pose fine a una guerra che, in
tre anni e mezzo, aveva causato circa 200 mila morti e oltre due milioni di
rifugiati. L’accordo sancì la divisione della Bosnia in due entità, la “Republika Srpska” (RS, serbi) e la Federazione croato-musulmana, ciascuna con proprio
governo e Parlamento, unite da istituzioni centrali “leggere”.
Accoglienze tiepide a Seul al preannuncio americano
sull’estensione di un partenariato speciale con la NATO a cinque Paesi, fra cui la Corea del Sud. Nel
riferire oggi la notizia preannunciata dal sottosegretario di Stato USA, Nicholas Burns, l’agenzia Yonhap scrive che fonti della diplomazia sudcoreana hanno parlato di una partecipazione “ridotta e
limitata” di Seul ai nuovi progetti di globalizzazione
della NATO. Per adesso, ha detto una fonte
all’agenzia, tutto è ancora
in discussione e “nulla è stato ancora deciso”. Il preannuncio è
stato dato a Washington in vista del vertice della NATO
in programma a Riga fra una settimana. Altri due dei cinque Paesi in questione
sono extraeuropei, il Giappone e l’Australia. Dalla fine della guerra di Corea,
nel 1953, il Sud ospita decine di migliaia di militari americani e la fascia
smilitarizzata con il Nord è rimasta l’ultima frontiera della guerra
fredda.
Il comproprietario di una piccola banca russa è stato
ucciso a Mosca, terzo banchiere in tre mesi a subire tale sorte nella capitale.
Lo hanno reso noto
fonti giudiziarie. Konstantin Meshceriakov, comproprietario della Spetsetstroibank,
è stato assassinato ieri con colpi d’arma da fuoco davanti a un edificio di
abitazioni nella zona nord di Mosca. Secondo l’agenzia Interfax, la Spetsetstroibank è la 405.ma
delle banche russe. In settembre, Andrei Kozlov, vicecapo della Banca centrale, era stato ucciso all’uscita
da una partita di calcio; il mese successivo è stata la volta di un dirigente
della banca Vtb-24.
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