RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 321 - Testo della trasmissione di venerdì 17 novembre 2006

 

 

Sommario

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

E’ l’ecumenismo dell’amore che illumina il dialogo della verità: così Benedetto XVI alla Plenaria del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani

 

Riaffermato il valore della scelta del celibato sacerdotale nella riunione dei Capi Dicastero presieduta dal Papa ieri in Vaticano. La riflessione di mons. Bruno Forte

 

La Chiesa ha sempre creduto nell’arte per la diffusione del messaggio evangelico: così il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, all’inaugurazione, ieri sera, della mostra “Laocoonte, alle origini dei Musei Vaticani”

 

Aperta stamani a Roma una conferenza internazionale su “Università e dottrina sociale della Chiesa”, con la partecipazione di oltre 150 atenei di tutti i continenti

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Manifestazione per la pace in Terra Santa domani a Milano: ce ne parla Flavio Lotti

 

Da oggi fino a domenica a Roma, grande “convention” per la lotta alle mafie. Intervista con don Luigi Ciotti e mons. Giancarlo Bregantini

 

CHIESA E SOCIETA’:

Bartolomeo I attende con “amore fraterno e grande trepidazione” la visita di Benedetto XVI in Turchia

 

Il valore terapeutico della preghiera: incontro domani a Milano promosso dall’Associazione Medici Cattolici

 

Messaggio dei vescovi della Bolivia a chiusura dell’assemblea plenaria

 

In occasione del 50.mo anniversario dell’indipendenza del Paese i vescovi del Ghana pubblicano un messaggio

 

Terminato in Canada il Vertice mondiale sul microcredito

 

24 ORE NEL MONDO:

Il Sudan apre all’invio di una forza di pace dell’ONU nella martoriata regione del Darfur

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

17 novembre 2006

 

E’ “L’ECUMENISMO DELL’AMORE” CHE ILLUMINA IL “DIALOGO DELLA VERITA’”:

COSI’ BENEDETTO XVI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO

PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI

 

Da quarant’anni a questa parte, dopo il Concilio Vaticano II, il dialogo ecumenico ha fatto moltissimi passi in avanti a livello teologico e spirituale. Pur rimanendo ancora molto da fare, ciò che ora va promosso tra le varie confessioni cristiane è “l’ecumenismo dell’amore” che porti a un confronto basato sulla verità della fede. E’ uno dei concetti centrali del discorso che questa mattina Benedetto XVI ha rivolto alla plenaria del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, che ha dibattuto sul tema “La situazione ecumenica in cambiamento”. I particolari del suo intervento, nel servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Perché il dialogo con i cristiani di altre confessioni si svolga nella verità, tale confronto ha bisogno di un elemento insostituibile: la carità. La seconda illumina la prima: crea fiducia, rinsalda la fede nei valori comuni, allontana il rischio di una pace superficiale a tutti i costi che travisa lo spirito ecumenico anziché renderlo autentico. La valutazione che Benedetto XVI fa dello stato attuale dell’ecumenismo è realistica, guarda alle luci senza nascondere le ombre:

 

“In verità, dal Concilio Vaticano II ad oggi molti passi sono stati fatti verso la piena comunione. Ho davanti agli occhi l’immagine dell’Aula del Concilio, dove gli Osservatori delegati delle altre Chiese e Comunità ecclesiali stavano attenti, ma silenziosi. Questa immagine ha fatto posto nei decenni successivi alla realtà di una Chiesa in dialogo con tutte le Chiese e comunità ecclesiali di Oriente e di Occidente. Il silenzio si è trasformato in parola di comunione (…) La fraternità fra tutti i cristiani è stata riscoperta e ristabilita come condizione di dialogo, di cooperazione, di preghiera comune, di solidarietà”.

 

Davanti ai membri della plenaria, Benedetto XVI ha ripetuto una delle dichiarazioni che un anno e mezzo fa segnarono l’esordio del suo Pontificato. “Il mio intento”, ha ribadito, è lo stesso del Concilio: giungere “all’unità visibile della Chiesa”. Ma questo è tuttavia un cammino per il quale, ha notato il Papa,  “molto” resta da fare, soprattutto in un mondo che con i suoi “rapidi rivolgimenti” condiziona in qualche modo anche l’ambito ecumenico. Ha quindi parlato delle Chiese d’Oriente:

 

“Hanno ricuperato la libertà e sono impegnate in un ampio processo di riorganizzazione e  di rivitalizzazione. Siamo ad esse vicini con i nostri sentimenti e la nostra preghiera. La parte orientale e quella occidentale dell’Europa si stanno riavvicinando; questo stimola le Chiese a coordinare i loro sforzi per la salvaguardia della tradizione cristiana e per l’annuncio del Vangelo alle nuove generazioni”.

 

Benedetto XVI ha speso parole di grande apprezzamento per il “nuovo slancio” avuto dal dialogo teologico tra cattolici e ortodossi, ripreso a settembre in Serbia dopo una lunga sosta. “Anche la mia imminente visita a Sua Santità Bartolomeo I e al Patriarcato ecumenico – ha detto il Papa riferendosi al suo prossimo viaggio in Turchia - sarà un ulteriore segno di considerazione per le Chiese ortodosse, ed agirà come stimolo – così confidiamo - per affrettare il passo verso il ristabilimento della piena comunione”. Anche sul versante occidentale, Benedetto XVI ha definito “aperti e amichevoli” i dialoghi bilaterali in corso specialmente con le Chiese luterana e metodista. Con i primi, il Papa ha menzionato lo storico accordo del 1999 relativo alla “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione”, che nel frattempo ha ottenuto anche l’assenso dei metodisti. Tuttavia, ha chiarito il Pontefice:

 

“Permane innanzitutto la difficoltà di trovare una comune concezione sul rapporto fra il Vangelo e la Chiesa e, in relazione a ciò, sul mistero della Chiesa e della sua unità e sulla questione del ministero nella Chiesa. Nuove difficoltà sono poi apparse in campo etico, con la conseguenza che le differenti posizioni assunte dalle Confessioni cristiane sulle attuali problematiche ne hanno ridotto l’incidenza orientativa nei confronti dell’opinione pubblica”.

 

Su questo punto, il cardinale Walter Kasper, presidente del dicastero vaticano, nell’indirizzo di saluto al Papa aveva schiettamente riconosciuto che pur condividendo con i cristiani della tradizione della Riforma “molti elementi importanti della fede apostolica” e constatando “in molti di loro una nostalgia profonda per la piena comunione”, “sfortunatamente - ha proseguito - abbiamo dovuto anche sperimentare che tra loro altri ribadiscono concezioni ecumeniche diverse e che, nel campo dottrinale come in quello etico, essi stanno abbandonando a volte degli elementi che fino ad ora erano considerati un'eredità comune”. Dalle nostre discussioni, ha aggiunto poi il cardinale Kasper – “sono emersi numerosi suggerimenti e proposte concrete per realizzare sia l'ecumenismo spirituale che l'ecumenismo fondamentale. Speriamo soprattutto che il Vademecum, cioè La guida all'Ecumenismo Spirituale, di imminente pubblicazione in varie lingue, sia un aiuto concreto a livello delle parrocchie e delle comunità ecclesiali”.

 

In questo panorama diversificato, Benedetto XVI ha concluso con ciò che egli ritiene imprescindibili per il futuro del cammino ecumenico:

 

“Ciò che, comunque, va innanzitutto promosso, è l’ecumenismo dell’amore, che discende direttamente dal comandamento nuovo lasciato da Gesù ai suoi discepoli. L’amore accompagnato da gesti coerenti  crea fiducia, fa aprire i cuori e gli occhi. Il dialogo della carità per sua natura promuove e illumina il dialogo della verità: è infatti nella piena verità che si avrà l’incontro definitivo a cui conduce lo Spirito di Cristo. Non sono certamente il relativismo o il facile e falso irenismo che risolvono la ricerca ecumenica. Essi anzi la travisano e la disorientano. Va poi intensificata la formazione ecumenica partendo dai fondamenti della fede cristiana, cioè dall’annuncio dell’amore di Dio che si è rivelato nel volto di Gesù Cristo e contemporaneamente in Cristo ha svelato l’uomo all’uomo e gli ha fatto comprendere la sua altissima vocazione”.

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RIAFFERMATO IL VALORE DELLA SCELTA DEL CELIBATO SACERDOTALE NELLA RIUNIONE DEI CAPI DICASTERO PRESIEDUTA DAL PAPA IERI IN VATICANO

- Intervista con mons. Bruno Forte -

 

Il Papa ha presieduto ieri nel Palazzo Apostolico, una delle periodiche riunioni dei Capi Dicastero della Curia Romana, per una riflessione comune.  “I partecipanti alla riunione – spiega una nota della Sala Stampa Vaticana - hanno avuto una informazione accurata sulle richieste di dispensa dall’obbligo del celibato presentate negli ultimi anni e sulla possibilità di riammissione all’esercizio del ministero di sacerdoti che al presente si trovano nelle condizioni previste dalla Chiesa”. E’ stato poi “riaffermato – continua la nota - il valore della scelta del celibato sacerdotale secondo la tradizione cattolica ed è stata ribadita l’esigenza di una solida formazione umana e cristiana, sia per i seminaristi che per i sacerdoti già ordinati”.

 

In un comunicato diffuso martedì scorso, la Sala Stampa vaticana precisava che l’incontro era stato convocato dal Pontefice anche per esaminare la vicenda di mons. Emmanuel Milingo, arcivescovo emerito di Lusaka, che ha promosso una nuova Associazione di sacerdoti coniugati ed è incorso nella scomunica latae sententiae, cioè automatica, per aver conferito, il 24 settembre scorso a Washington, l’ordinazione episcopale a quattro sacerdoti senza mandato pontificio. Ma sul valore della scelta del celibato sacerdotale ascoltiamo la riflessione del vescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, al microfono di Tiziana Campisi:

 

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R. – Il celibato viene concepito in una triplice direzione fondamentale. La prima, è quella cristologica: Gesù non è stato sposato per consacrarsi totalmente alla causa del Regno di Dio. Il presbitero si sente chiamato ad essere – come lo è teologicamente – una ripresentazione del Cristo-Capo, e lo ripresenta anche in questa sequela di Gesù, nella scelta di una incondizionata dedizione di tutto il suo essere alla causa del Regno di Dio. Un secondo significato è quello ecclesiologico, e cioè l’essere celibe consente quella dedizione totale alla Chiesa-sposa che fa del presbitero il padre nella comunità, analogamente a come nella Chiesa antica la Chiesa tutta è considerata la Ecclesia mater. Dunque c’è una sorta di sponsalità tra colui che è la ripresentazione del Cristo-Capo e la comunità. E finalmente, una terza indicazione è quella escatologica: il celibato è un’anticipazione della condizione del Regno in cui non ci sarà né uomo né donna ma tutti saremo uno in Cristo Gesù. E, in un certo senso, vuol dire essere testimoni del futuro di Dio e quindi testimoni di speranza. Specialmente in contesti come quelli del mondo nord-occidentale, dove la diffusa situazione di benessere induce piuttosto a situazioni di comodità, il celibato è anche un segno escatologico per il motivo di essere una testimonianza vivente della fede nell’assoluto primato di Dio e del suo Regno su ogni altra cosa. Questi mi sembrano i valori preziosi che il celibato contiene e come tale, anche da parte di chi ha messo in discussione l’opportunità del celibato sacerdotale per questioni più o meno pratiche, pastorali, esigenze o bisogni delle Chiesa, non si è messo mai in discussione il valore del celibato. Io credo che questo sia molto importante perché solo se se ne capisce fino in fondo il valore e si cerca di realizzarlo e di educare ad esso, allora il celibato conserva quella carica profetica che lo rende nella Chiesa un annuncio del Regno di Dio e della sequela di Gesù.

 

D. – Nella riunione è stata anche ribadita l’esigenza di una solida formazione umana e cristiana, sia per i seminaristi che per i sacerdoti già ordinati. Lei cosa può dirci in proposito?

 

R. – Ma certamente, in un mondo come quello in cui noi viviamo, dove sul piano della sessualità e dell’affettività ci sono tante, tante fragilità, è necessario che la persona che risponde ad una chiamata alla vocazione celibataria lo faccia con una grande maturità di vita. Ecco perché è necessario darne in profondità le motivazione ma è necessario soprattutto assicurarsi che chi si sente chiamato a questa consacrazione, le motivazioni le abbia interiorizzate sul piano non solo spirituale ma anche – direi – umano e psicologico.

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UDIENZE

 

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in successive udienze: l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Antonio Guterres, accompagnato da un seguito; il sig. Roland Koch, Ministro Presidente del Land tedesco dell’Assia, con la consorte e il seguito; alcuni presuli della Conferenza Episcopale tedesca, in visita "ad Limina". Questo pomeriggio il Papa riceverà un altro gruppo di vescovi tedeschi guidati dal cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia.

 

 

LA CHIESA HA SEMPRE CREDUTO NELL’ARTE PER LA DIFFUSIONE DEL

MESSAGGIO EVANGELICO: COSI’ IL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO,

TARCISIO BERTONE, ALL’INAUGURAZIONE, IERI SERA, DELLA MOSTRA

 “LAOCOONTE, ALLE ORIGINI DEI MUSEI VATICANI”

 

E’ stata inaugurata, ieri sera, dal cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone e dal presidente del Governatorato della Città del Vaticano, mons. Giovanni Lajolo, la mostra “Laocoonte. Alle origini dei Musei Vaticani”. L’evento rappresenta il culmine delle celebrazioni per il V centenario dello straordinario museo fondato da Papa Giulio II. Protagonista dell’esposizione è il gruppo scultoreo del Laocoonte, rinvenuto a Roma il 14 gennaio 1506 sul Colle Oppio. Il capolavoro costituì il primo nucleo attorno al quale si sarebbe sviluppata la collezione di scultura antica dei Musei Vaticani. Ma torniamo all’inaugurazione della mostra, seguita per noi da Alessandro Gisotti:

 

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(Voce dell’attore Remo Girone)

 

 Laocoonte acceso d’ira corse giù dalla rocca e da lontano:

‘O sciagurati! Quale follia cittadini,

credete i nemici partiti o pensate che un dono dei Danai sia senza frode?

Così conoscete Ulisse? Non vi fidate del cavallo, Troiani…

Qualunque cosa sia, temo i Danai, soprattutto se portano doni”.

 

Sono gli ultimi, drammatici momenti della vita di Laocoonte, narrati da Virgilio nel Libro II dell’Eneide. La voce calda dell’attore Remo Girone, che ne dà lettura, accompagna l’inaugurazione della mostra ai Musei Vaticani. Protagonista, dunque, è il mito del sacerdote troiano che tenta vanamente di salvare la patria e muore assieme ai figli, ucciso da due serpenti marini inviati dall’implacabile dea Atena. La mostra, ha sottolineato il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, è un evento che sottolinea il “valore del linguaggio della bellezza che parla all’intelligenza e al cuore” dell’uomo. Nel mito di Laocoonte, rileva il porporato, “viene riproposto il dramma del dolore, della vita della morte”. Temi che interrogano ogni cristiano:

 

“Questi temi che ritornano di frequente nei poemi e nelle vicende tragiche della mitologia pagana avranno in seguito la piena risposta di senso in Cristo e nel suo Vangelo di salvezza. Nella grande tradizione della Chiesa, il dolore e la morte sono infatti illuminati dal mistero della morte e della Risurrezione di Cristo, Redentore dell’uomo e Signore dell’universo”.

 

Il cardinale Bertone, nel portare il ringraziamento del Papa ai curatori della mostra, ha ricordato che la Chiesa ha sempre creduto nell’arte e investito in essa molte energie con lungimirante preveggenza. L’amore dei Pontefici per l’arte, ha proseguito, ha permesso la realizzazione di un patrimonio che non è a disposizione del solo mondo cattolico, ma di tutta l’umanità. Quindi, ha messo l’accento “sull’importanza dell’arte nella diffusione del messaggio evangelico”:

 

“Il grande servizio che l’arte può offrire all’uomo contemporaneo è quello di aiutarlo a volgere lo sguardo verso ciò che trascende la sua condizione, verso ciò che gli offre la pienezza di senso della vita. Afferma San Bonaventura nella Legenda Maior che San Francesco contemplava nelle cose belle il Bellissimo”.

 

La mostra, aperta al pubblico fino al 28 febbraio, si articola in cinque sezioni che ricostruiscono la storia e la fortuna della statua nel corso dei secoli, con l’apporto di studi ed opere della Biblioteca Apostolica e dell’Archivio Segreto Vaticano e di prestiti dei maggiori musei dal Metropolitan al British, ancora al Louvre e l’Hermitage. Il percorso espositivo testimonia la straordinaria attenzione di cui fu oggetto il “Laocoonte” attraverso le repliche e le rielaborazioni di artisti come Rubens, Bernini e Dalì. L'evento espositivo viene celebrato con un annullo speciale delle Poste Vaticane.

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POSSIBILITA’ ED URGENZA DI UNA FECONDA COLLABORAZIONE

TRA UNIVERSITA’ CATTOLICHE E DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

IN VISTA DI UN NUOVO UMANESIMO INTEGRALE E SOLIDALE,

AL CENTRO DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE APERTA STAMANE A ROMA

CON LA PARTECIPAZIONE  DI OLTRE 150 ATENEI DI TUTTI I CONTINENTI

- A cura di Paolo Scappucci -

        

Le Università cattoliche sono il luogo dove meglio si può e si deve sviluppare la dimensione interdisciplinare della dottrina sociale della Chiesa, nel senso dell’approfondimento del fecondo rapporto tra la stessa dottrina, teologia e filosofia, da una parte, e scienze umane, dall’altra. Ciò allo scopo che il Vangelo permei sempre più le realtà sociali per la piena realizzazione della dignità umana, del bene comune, della solidarietà della giustizia e della pace. Questo il concetto di fondo della Conferenza internazionale apertasi stamani all’Hotel Ergife di Roma per iniziativa della Congregazione per l’Educazione Cattolica e del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, con la partecipazione di rappresentanti di oltre 150 atenei cattolici dei cinque continenti. Il servizio di Paolo Scappucci:

 

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Incontro più intimo e collaborazione più intensa tra università cattoliche e dottrina sociale della Chiesa, nel compito comune di realizzare un nuovo umanesimo integrale e solidale, sono stati invocati dal presidente del Pontificio Consiglio, cardinale Renato Martino, nel discorso di apertura della Conferenza. “La luce del Vangelo, che è luce di carità e di intelligenza ad un tempo – ha detto il porporato – è auspicabile che fecondi i saperi umani e, nella legittima autonomia di metodi e linguaggi, ma senza perdere di vista la necessaria unità del sapere, animi anche la costruzione di una convivenza sociale di giustizia e di pace”.

 

Dal canto suo, il prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, cardinale Zenon Grocholewski, si è soffermato sulla necessità che la dottrina sociale della Chiesa sia non solo insegnata ma vissuta ed anche arricchita in seno alle università cattoliche, specialmente attraverso gli strumenti della ricerca e dell’interdisciplinarietà. Il porporato ha ricordato in proposito la famosa frase di Paolo VI, riportata nella Evangelii Nuntiandi, secondo cui: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.

 

Svolgendo quindi il tema: “Questione antropologica e questione sociale oggi”, il Vicario del Papa per la Città di Roma e presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Camillo Ruini, ha sostenuto che “la questione antropologica assume sempre più una dimensione planetaria e quindi sul suo cammino influiscono ormai tutte le grandi tradizioni culturali e spirituali dell’umanità. Difficilmente però essa potrà imboccare quel percorso rispettoso della specificità e dignità umana se la spinta in questo senso non verrà anzitutto dal mondo del cristianesimo, secondo il quale chiunque abbia un volto umano possiede come tale la dignità e il destino di essere uomo”, creatura ad immagine e somiglianza di Dio. Rilevante contributo viene perciò da popoli e culture che hanno la loro fondamentale matrice nel cristianesimo e che costituiscono una parte assai rilevante del genere umano. Anche essi possiedono, infatti, nel loro codice genetico i grandi principi dell’amore fraterno e della libertà.

 

Nel pomeriggio la Conferenza continua con le relazioni del cancelliere della Pontificia Accademia di Scienze Sociali, Mons. Marcelo Sànchez Sorondo su: “Dottrina sociale della Chiesa e Filosofia”, e della prof.ssa Barbara Hallensleben, dell’Università di Friburgo, su: “Dottrina sociale e Teologia”. Domani, invece, si tratteranno i rapporti tra Dottrina sociale della Chiesa e ricerca scientifica, e formazione.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - L'udienza di Benedetto XVI ai partecipanti alla sessione plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani.

 

Servizio estero - Intervento della Santa Sede sul tema: “Numerose sfide per la protezione di rifugiati e sfollati”.

 

Servizio culturale - Un articolo di Fernando Salsano dal titolo L'influenza di Guido Guinizzelli e di Guido Cavalcanti sull'opra di Dante”.  

 

Servizio italiano - In primo piano il tema della finanziaria.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

17 novembre 2006

 

 

DOMANI A MILANO MANIFESTAZIONE PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE PER STRINGERE

IN UN UNICO ABBRACCIO I POPOLI ISRAELIANO E PALESTINESE E TUTTE LE

VITTIME DI ODIO E VIOLENZE. APPELLO ALLA STAMPA PERCHE’ AL DI LA’

DELLE CRONACHE DI SANGUE INFORMI SULLE CAUSE DEI CONFLITTI E METTA

A CONFRONTO LE POSSIBILI SOLUZIONI POLITICHE

- Intervista con Flavio Lotti -

        

Una grande manifestazione che interpella l’Europa per la pace e la giustizia in Medio Oriente, contro la violenza e il terrore che continuano a seminare stragi e sofferenze in Terra Santa. Appuntamento domani a Milano, alle ore 14 a Porta Venezia, da dove partirà il corteo per raggiungere Piazza Duomo. L’iniziativa è stata organizzata da una trentina di organizzazioni della società civile, tra cui numerosi associazioni e movimenti cristiani e diversi enti locali ed è stata preceduta da una Lettera aperta rivolta alla stampa perché dica “no alla cronaca dell’orrore, alla cronaca senza capo né coda, senza prima né dopo”. Roberta Gisotti ha intervistato Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, che ha promosso la manifestazione:

 

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R. – E’ una nuova occasione, quella che proponiamo a tutti a Milano, per stringere anzitutto in un grande abbraccio il popolo palestinese, il popolo israeliano e tutti gli altri popoli del Medio Oriente, che continuano ad essere vittime di una spirale di odio e di violenza davvero inaccettabile. Non possiamo, però, fermarci qui; non possiamo soltanto rilanciare appelli perché tutto ciò abbia fine, ma abbiamo il dovere e la responsabilità dell’azione. Spetta alla Comunità internazionale, e noi lo chiediamo anzitutto al Governo italiano, di assumere una iniziativa nuova, forte, per aiutare questi due popoli a rompere definitivamente questo ciclo di violenza e ritrovare la strada per quella pace che gli permetterà di convivere in due Stati, uno vicino all’altro, autonomi, indipendenti, con la stessa sicurezza, la stessa dignità ed anche con gli stessi diritti.

 

D. – In vista di questa manifestazione avete anche rivolto una Lettera aperta al mondo dell’informazione dal titolo “Non parlate di noi, parlate di loro”. Ci sono gravi accuse alla stampa nel modo di trattare il conflitto in Medio Oriente e in generale i conflitti nel mondo?

 

R. – Purtroppo si dedica ancora troppa poca attenzione a questi grandi problemi del mondo che sono, poi, anche i nostri problemi. Se soltanto si dedicasse un po’ meno spazio alle polemiche di ‘casa nostra’, che occupano anche lo spazio di una giornata e si dissolvono poi senza lasciare traccia… Bisognerebbe che il mondo dell’informazione ci aiutasse – tutti noi cittadini di questo Pianeta – a capire non solo quali sono i problemi ed i loro drammi più evidenti, ma anche le cause e le soluzione possibili, che esistono! Perché nessuno di questi problemi è irrisolvibile. Non dobbiamo piegarci all’impotenza, alla rassegnazione.

 

D. – Una pura informazione del numero dei morti ammazzati nel mondo non ha, dunque, molto senso?

 

R. – Non è di questa informazione che abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di mettere a confronto le soluzioni politiche, i responsabili politici, tutti coloro che hanno tra le mani la possibilità di cambiare il corso degli eventi. Ma abbiamo bisogno di dare voce anche a quella società civile, che tanto in Israele quanto in Palestina, chiede ai propri Governi di cambiare strada. Insomma, non tutto è buio, ci sono anche delle luci. L’informazione ha la grande responsabilità di metterle in primo piano, prima che l’irreparabile accada, come è successo la scorsa estate in Libano e come rischia di accadere, ancora oggi e nelle prossime settimane, in Medio Oriente, semplicemente perché siamo stati troppo distratti.

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A ROMA GLI STATI GENERALI DELLA LOTTA ALLE MAFIE

- Intervista con don Luigi Ciotti e mons. Giancarlo Bregantini -

 

 “Una nuova stagione di impegno nella lotta alle mafie”: è l’obiettivo di “Contromafie”, gli Stati Generali della guerra alle cosche, che da oggi a domenica a Roma vedrà confrontarsi società civile, politici, forze dell’ordine, magistrati e familiari delle vittime dei clan. L’appuntamento é promosso da “Libera”, l’associazione di don Luigi Ciotti, che nel presentare l’evento ha sottolineato che “siamo davanti a una vera e propria guerra” ricordando come negli ultimi dieci anni i morti di mafia in Italia siano stati 2.500: tra questi 155 vittime innocenti, dei quali 37 adolescenti e bambini. Su questo incontro Fabio Colagrande ha sentito il vescovo di Locri-Gerace, mons. Giancarlo Bregantini e lo stesso don Luigi Ciotti. Al presidente di “Libera” ha chiesto cosa vuole essere questo appuntamento:

 

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R. – Vuole essere proprio un momento di lavoro: l’abbiamo organizzato con la pochezza dei mezzi, con la coscienza dei nostri limiti, non riuscendo a raggiungere tutti. Ma partecipano 2500 persone giunte da ogni parte di Italia, anche con molti sacrifici, e hanno voglia di confrontarsi. Devono essere giornate di lavoro, di impegno, sedici gruppi di grande approfondimento; non vogliono essere passerelle, cerchiamo di dare la voce a tutti. Abbiamo chiesto agli uomini delle istituzioni, agli uomini di governo di andare a lavorare nei gruppi e abbiamo chiesto a tutti di mettersi sullo stesso livello di ascolto, di elaborazione, di progettualità. Non era mai successo. Chi viene a questo appuntamento sono realtà che le si sporcano le mani tutti i giorni, questo bisogna dirlo. Sono persone che ogni giorno generosamente si impegnano e che hanno voglia di dare continuità a tutto questo. Non è un incontro punto e basta, anzi siamo molto preoccupati dei troppi convegni che si fanno, dei troppi dibattiti, abbiamo bisogno di dare una coerenza tra il dire e il fare. Siamo consapevoli che la prima mafia da combattere è quella della parole, se ne fanno troppe in questo Paese. C’è bisogno di concretezza: piccole cose, ma reali e concrete

 

D. – Lei ha detto, e il nome dell’associazione “Libera”, lo ricorda che in questo momento non siamo liberi qui in Italia, perché?

 

R. – Dobbiamo liberare la libertà: la libertà va liberata, perchè le mafie non ci rendono liberi, l’usura non rende liberi, il pizzo non rende liberi, la droga non rende liberi, la tratta degli esseri umani non rende liberi, rende schiave le persone il lavoro nero, il caporalato, la povertà non rende liberi. Dobbiamo liberare la libertà.

 

D. – Mons. Bregantini, la reazione alla mafia da parte della Chiesa quale deve essere?

 

R. – Deve essere quella di fra Cristoforo, lo dico sempre a tutti. Con i suoi problemi con le sue angosce, quest’uomo non è stato don Abbondio, che pure aveva una sua esemplarità ma non aveva il coraggio, non aveva la speranza. Fra Cristoforo ha trasformato i suoi grandi problemi interiori ed esteriori in coraggio e speranza, ed è stato quello che al momento giusto ha sfidato don Rodrigo e gli ha detto ‘verrà un giorno’ … e il romanzo, che è l’immagine e lo specchio della nostra terra, si chiude dicendo:il mafioso è sconfitto, la vittoria del testimone di Cristo è vincitrice fino in fondo’. L’immagine di fra Cristoforo per me rappresenta una Chiesa che sa reagire, per cui arriviamo a dire una cosa, anche se difficile: le insidie della mafia ci costringono, provvidenzialmente a livello evangelico, ad essere più autentici testimoni di Cristo risorto, come abbiamo detto a Verona, fragili ma coraggiosi per la sua presenza e la sua forza.

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CHIESA E SOCIETA’

17 novembre 2006

 

 

BARTOLOMEO I ATTENDE BENEDETTO XVI CON “AMORE FRATERNO E GRANDE

TREPIDAZIONE”. LA VISITA DEL PAPA IN TURCHIA “SARA’ MOLTO IMPORTANTE PER IL NOSTRO PAESE”, DICE UNA NOTA DEL PATRIARCATO ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI

 

ISTANBUL. “Attendiamo la visita del Papa con amore fraterno e grande trepidazione”. Così Bartolomeo I, in una nota emessa dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, in vista della visita di Benedetto XVI in Turchia dal 28 novembre al 1° dicembre. Un evento che “sarà molto importante per il nostro Paese e per i rapporti cattolico-ortodossi”, scrive il Patriarca che si presenta come “il leader spirituale di oltre 300 milioni di fedeli ortodossi in tutto il mondo”. L’arrivo del Santo Padre segue l’invito personale di Bartolomeo I per la festa di Sant’Andrea apostolo, fratello maggiore di San Pietro, il fondatore della Chiesa di Costantinopoli, antico nome di Istanbul. Bartolomeo I è dunque il 269mo successore della bimillenaria Chiesa cristiana locale, iniziata da Sant’Andrea. Nel comunicato si sottolinea che il “Patriarca Ecumenico è una testimonianza vivente per il mondo della lotta dolorosa e redentrice dell’ortodossia per la libertà religiosa e l’innata dignità del genere umano”. “Come cittadino della Turchia” – aggiunge la nota – “ha un’esperienza personale che gli fornisce una prospettiva unica sul continuo dialogo tra i mondi cristiano, ebraico e islamico”. E “per i suoi sforzi ispiratori a favore della libertà religiosa e dei diritti umani”, Bartolomeo I è stato proclamato “Costruttore di Pace e insignito della Medaglia d’Oro Congressuale da parte del Congresso degli Stati Uniti nel 1997”.

 

 

IL VALORE TERAPEUTICO DELLA PREGHIERA: INCONTRO DOMANI A MILANO PROMOSSO DALL’ASSOCIAZIONE MEDICI CATTOLICI. A CONFRONTO LAICI E CREDENTI

- A cura di Fabio Brenna -

 

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MILANO. = La preghiera medicina del corpo oltre che dell’anima. L’Associazione medici cattolici di Milano per il suo Convegno annuale mette di fronte credenti e laici sul valore terapeutico del pregare. L’appuntamento è per domani, sabato 18 novembre, a partire dalle 9 presso il Centro congressi di Assolombarda a Milano. Dopo il saluto dell’arcivescovo, il cardinale Dionigi Tettamanzi, il filosofo e sindaco di Venezia Massimo Cacciari porterà il suo contributo sul tema “pregare-pensare”. Una religiosa poi, suor Ignazia Angelini, badessa del Monastero delle Benedettine presso l’abbazia di Viboldone, proporrà una riflessione sul valore della preghiera per il credente, tema che verrà poi ripreso ed approfondito dal biblista, mons. Gianfranco Ravasi. Molto attesa è anche la testimonianza personale del regista Ermanno Olmi, che si soffermerà sull’aspetto della preghiera come contemplazione. In chiusura, l’intervento del prof. Alfredo Anzani, vicepresidente della Federazione europea delle Associazioni dei Medici cattolici. Agli effetti terapeutici della preghiera sono stati dedicati almeno 200 studi negli ultimi 10 anni, soprattutto negli Stati Uniti, dove, secondo un recente sondaggio, il 79% degli intervistati si dice convinto che la fede può aiutare a guarire da una malattia.

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I VESCOVI DELLA BOLIVIA, IN CHIUSURA DELL’ASSEMBLEA PLENARIA, ESPRIMONO

APPREZZAMENTO PER LE MISURE ADOTTATE “PER RECUPERARE LE RISORSE NAZIONALI, IMPORTANTI PER LO SVILUPPO DEL PAESE” E SOTTOLINEANO I PROGRESSI

NELLA LOTTA CONTRO LA CORRUZIONE

- A cura di Luis Badilla -

 

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LA PAZ. = Le autorità dell’episcopato boliviano, tra cui il presidente, il cardinale Julio Terrazas, arcivescovo di Santa Cruz, hanno illustrato alla stampa il documento finale che oltre all'analisi della situazione nazionale riflette in modo approfondito sulla realtà ecclesiale interna e, in particolare, sulle dinamiche pastorali in atto nella prospettiva della V Conferenza generale degli episcopati latinoamericani, che si terrà in Brasile dal 13 al 31 maggio 2007, con la presenza di Benedetto XVI. I presuli rivolgono a tutti i cattolici un accorato ringraziamento per il grande contributo che ciascuno ha dato all'elaborazione del cosiddetto “Documento di partecipazione”, che riassume le proposte che la Chiesa boliviana farà durante l'incontro continentale che si svolgerà presso il Santuario della Madonna de “La Aparecida”. Dall’altra parte, sul delicato e non facile processo costituente in corso dal mese di agosto, che dovrebbe portare ad una nuova Costituzione, i presuli ribadiscono: “Occorre che il nuovo testo riconosca i principi e i valori cristiani che hanno forgiato la vita della nostra patria e che mantengono tuttora la loro vitalità nel cuore del popolo”. “Come Chiesa, siamo partecipi di questo progetto e abbiamo speranza. Sappiamo con certezza che nessun progetto politico si identifica col Regno di Dio. Il compito dei cristiani però consiste nel dare sostegno a tutto ciò che conduce verso la giustizia e la verità” e tutti siamo “chiamati ad evangelizzare in ogni momento e in ogni luogo per far sì che il piano di Dio raggiunga la sua pienezza”. Infine, i presuli boliviani, dopo le ultime polemiche in merito alle proposte di riforma del sistema educativo nazionale, ribadiscono che “Lo Stato adempie la sua funzione sociale nella misura in cui garantisce l'esercizio dei diritti sociali. Fra questi il diritto all'educazione, alla salute e alla sicurezza sociale. I genitori sono i principali e i primi responsabili dell'educazione dei propri figli – sottolineano i vescovi – e dunque hanno il dovere di decidere quale sia la più conveniente”.

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MESSAGGIO DEI VESCOVI DEL GHANA PER IL 50.MO ANNIVERSARIO

DELL’INDIPENDENZA. IL PAESE, DICONO, HA COMPIUTO ENORMI PROGRESSI MA NUOVI MALI AFFLIGGONO LA SOCIETA’, TRA CUI CORRUZIONE E DIFFUSIONE DELLE SETTE

- A cura di Lisa Zengarini -

 

ACCRA. = In questi 50 anni il Ghana ha fatto enormi progressi, ma deve affrontare diversi mali che affliggono oggi la società ghanese. Lo scrivono i vescovi del Ghana in un messaggio per il 50° anniversario dell’indipendenza, diffuso al termine dell’Assemblea plenaria a Nsuta, nella diocesi di Jasikan. Come il Giubileo nell’Antico Testamento – si legge nel documento – questo anniversario è un’occa-sione per tracciare un bilancio della situazione della nazione e ringraziare Dio “per i meravigliosi risultati ottenuti negli ultimi 50 anni”, a cui ha contribuito anche la Chiesa. Tra questi, i presuli segnalano “la sostanziale buona volontà dimostrata da tutti i governi, passati e presenti, nel loro tentativo di ottenere il meglio per tutti i Ghanesi”, ma  anche la “pazienza, il coraggio e la magnanimità con cui i Ghanesi hanno sopportato i momenti difficili”, una pazienza che ha contribuito “a trasformare il Ghana in un’oasi di relativa pace nella sub-regione”. I vescovi elogiano poi i risultati ottenuti nel settore delle infrastrutture e la capacità di mantenere la propria identità culturale. Dal punto di vista sociale, essi rilevano poi con soddisfazione come il Paese abbia saputo evitare la degenerazione delle tensioni interetniche locali in “lunghi e aspri conflitti” e come la mobilità sociale e i matrimoni misti abbiano favorito l’armonia tra le varie etnie. Un’armonia – osservano – che si riscontra anche nei rapporti interreligiosi. Accanto a questi risultati positivi, il messaggio mette in luce anche i mali che oggi affliggono il Paese: l’aumento della criminalità e dell’illegalità, la degenerazione dei costumi sessuali, la corruzione nel settore pubblico e privato, la diffusione delle sette e di pratiche dell’occulto. Di fronte a queste nuove sfide, i vescovi ghanesi invocano un riscatto morale al quale sono chiamati tutti, specie coloro che hanno posizioni di responsabilità, ma invitano anche a lottare contro la povertà che ancora affligge gran parte della popolazione. Un progresso economico che si può raggiungere, in primo luogo con l’educazione, che gioca “un ruolo vitale nello sviluppo nazionale” e per la quale la Chiesa intende continuare a offrire il suo indispensabile contributo. Già Costa d’Oro, il Ghana è indipendente dal Regno Unito dal 7 marzo 1957 ed è oggi membro del Commonwealth.

 

 

BISOGNA PRESTARE PIU’ ATTENZIONE AL MICROCREDITO SE SI VUOLE CREARE

UN MONDO LIBERO DALLA POVERTÀ: È QUESTO IL MESSAGGIO DI MUHAMMAD YUNUS,

PREMIO NOBEL PER LA PACE DI QUEST’ANNO,

A CONCLUSIONE DEL VERTICE MONDIALE SUL MICROCREDITO

 

HALIFAX. = “La povertà è una minaccia per la pace”: è quanto ha affermato il premio Nobel per la pace, Muhammad Yunus, nel suo discorso a conclusione del summit mondiale sul microcredito, tenutosi in Canada e a cui hanno partecipato più di duemila delegati da tutto il mondo. Nelle parole dell’economista del Bangladesh, emerge una vera e propria denuncia del fatto che l’accesso al credito “resta un miraggio per molti individui, non solo nei Paesi poveri”. Difatti, secondo i dati forniti da CreSud, uno dei maggiori operatori italiani di microcredito presenti al summit, le istituzioni che si occupano di microfinanza sono circa 2 mila nel mondo, ma di queste solo 240 sono raggiunte dai grandi investitori internazionali. Yunus ha poi insistito sulla necessità di mantenere l’autonomia del settore, sostenendo che “il sistema della microfinanza è solido solo se non deve contare su risorse esterne ma si sorregge da solo”. L’accusa più dura rivolta dal Nobel per la pace è stata però quella nei confronti della Banca Mondiale che, pur essendo fra i donatori più ricchi, spende solo l’un per cento del suo bilancio nel microcredito. Pertanto, ha affermato che “è tempo di prestare più attenzione a questo strumento se si vuole creare un mondo libero dalla povertà”. Intanto, a conclusione del summit di Halifax, diversi sono stati gli impegni presi dai rappresentanti degli Stati presenti. Manuel Zelaya, presidente dell’Honduras, ha annunciato, ad esempio, l’istituzione di un Ministero del microcredito. Dal canto loro, l’agenzia statunitense di sviluppo internazionale e l’istituzione di microfinanza Finca International hanno reso noto un nuovo programma di credito rurale in Afghanistan per 10 milioni di dollari. Infine, il Bangladesh si è impegnato a presentare una risoluzione all’Assemblea generale dell’ONU affinché la comunità internazionale si attivi per il perseguimento dei nuovi obiettivi della campagna del microcredito: raggiungere, entro il 2015, 175 milioni di poveri in tutto il mondo, attraverso il microprestito, e assicurare, a 100 milioni di famiglie che oggi vivono con meno di un dollaro al giorno, nuove fonti di sussistenza. (A.S.)    

 

 

SI APRONO OGGI LE CELEBRAZIONI PER L’OTTAVO CENTENARIO DELLA NASCITA

DI SANTA ELISABETTA D’UNGHERIA. SPOSA A SOLI 15 ANNI, VEDOVA A 20

E MADRE DI TRE FIGLI, ELISABETTA DEDICO’ LA SUA VITA AI POVERI

 E AI MALATI COME TERZIARIA FRANCESCANA

 

ROMA. = Una Messa verrà celebrata questa sera, in apertura delle celebrazioni italiane per l’VIII centenario della nascita di Santa Elisabetta d’Ungheria e di Turingia, penitente francescana, proprio nel giorno in cui la Chiesa ne celebra la memoria. La celebrazione eucaristica si terrà nella Basilica romana dei SS. Cosma e Damiano e sarà presieduta dal cardinal Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest. Concelebreranno i ministri generali francescani. Durante que-st’anno del centenario, diverse saranno le manifestazioni promosse dalla Commissione interfrancescana. In particolare, il prossimo 23 febbraio, presso la Pontificia Università “Antonianum”, si terrà un convegno di studio dedicato alla Santa. Nello stesso mese, una mostra iconografica verrà allestita nel chiostro della Basilica dei SS. Cosma e Damiano. Le celebrazioni per il centenario si concluderanno ad Assisi il 17 novembre 2007, con una Eucaristia concelebrata dai ministri generali francescani nella Basilica di Santa Maria degli Angeli. Figlia del re Andrea d’Ungheria e di Gertrude, Elisabetta ebbe una vita breve. Nata nel 1207, a soli quattro anni fu promessa in moglie a Ludovico, erede del sovrano di Turingia. Si sposò a 14 anni ed ebbe tre figli: Ermanno, Sofia e Gertrude. Suo marito morì nel 1227 a Otranto, mentre attendeva di imbarcarsi per la sesta crociata in Terra Santa. Elisabetta decise allora di trasferirsi in una modesta dimora a Marburgo, in Germania, e nella stessa città fece edificare a proprie spese un ospedale, riducendosi in povertà. Iscrittasi al Terz’ordine francescano, offrì tutta la sua vita agli ultimi, visitando i malati due volte al giorno e facendosi mendicante per raccogliere aiuti. Collocava la sua dedizione in una cornice di normalità, che includeva anche piccoli gesti esteriori, ispirati non a semplice benevolenza ma a vero rispetto per gli altri. La sua scelta di povertà provocò le ire dei cognati, che arrivarono a provarla dei figli. Elisabetta morì a Marburgo il 17 novembre 1231, a soli 24 anni. Papa Gregorio IX l’ha canonizzata nel 1235.

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

17 novembre 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

C’è entusiasmo nella comunità internazionale per l’apertura del Sudan sull’invio di una missione multinazionale di pace nella regione del Darfur, martoriata da una lunga guerra civile. Ieri, infatti, dopo forti opposizioni, Karthoum si è detta favorevole “in linea di principio” all’arrivo nell’area di un contingente misto composto da caschi blu dell’ONU e militari dell'Unione Africana. La notizia è arrivata da Addis Abeba dove si è svolto l’incontro tra il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ed esponenti della Lega Araba e dell'Unione Africana. Tutto questo potrebbe agevolare la soluzione di una delle più drammatiche crisi internazionali contemporanee.

 

Il Vietnam “trent’anni fa ci insegnò una lezione”, per questo “non ce ne andremo dall'Iraq” e dunque “vinceremo”. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, George Bush, in visita ad Hanoi, proprio in Vietnam, per il vertice sulla cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC). Il capo della Casa Bianca ha però aggiunto che per il successo in Iraq ci vorrà del tempo prima che “l’ideologia della speranza” - che è “l’ideologia della libertà” - sopravanzi “l’ideologia dell’odio”, che è quella dei terroristi.

 

Intanto, le notizie che arrivano dall’Iraq non sono positive. Oggi 14 addetti alla sicurezza privata, tra i quali almeno 4 americani, sono stati catturati da finti poliziotti mentre erano di passaggio nei pressi di Nassiriya. Alla luce della difficile situazione nel Paese arabo, nei giorni scorsi, i vescovi americani avevano lanciato un appello per una transizione responsabile in Iraq. Ecco, al microfono di Christopher Altieri, il presidente del comitato Affari Esteri della conferenza episcopale americana, mons. Thomas G. Wenski:

 

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R. – The way out …

L’uscita dall’Iraq nella situazione attuale non sarà facile, ma dobbiamo pianificarne una che sia il più possibile morale, nel senso che non dobbiamo lasciare il Paese in una situazione peggiore di quella che abbiamo trovato. Allo stesso tempo dobbiamo mettere gli iracheni stessi in condizione di assumersi le loro responsabilità, assicurandoci che operino per il bene comune nel loro Paese. Quindi, non possiamo pretendere che sarà facile. Speriamo di offrire il nostro supporto a coloro che sono coinvolti nel conflitto e che stanno eseguendo con responsabilità i loro doveri in questo quadro. Serve una soluzione, per questo si è dibattuto finora: dunque è richiesto un impegno da tutte le parti per cercare di arrivare al bene comune.

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L’Autorità Nazionale Palestinese ha accolto favorevolmente l’annuncio di una conferenza internazionale di pace per il Medio Oriente lanciata ieri da Spagna, Francia e Italia. Scettiche invece le reazioni da parte israeliana. Si spera che la proposta, tesa a pervenire al cessate il fuoco e all’invio di una forza di pace nella Striscia di Gaza, venga approvata anche dal vertice dell’UE. Intanto, mentre la continua minaccia di razzi palestinesi spinge la popolazione israeliana a fuggire da Sderot, sul versante politico palestinese stenta a prendere forma il nuovo governo di unità nazionale. Ieri sera, infatti, si è concluso senza nessun accordo il vertice tra il presidente Abu Mazen e il premier Ismail Haniyeh.

 

Almeno 47 morti, una sessantina di dispersi e centinaia di famiglie sfollate. Questo il bilancio delle violente inondazioni verificatesi in questi giorni nel Sud dell’Afghanistan. La Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF), di stanza nel Paese, ha già inviato i primi soccorsi alla popolazione.

  

E’ Ségolène Royal la candidata del Partito socialista per le elezioni presidenziali francesi del 2007. In base ai risultati definitivi delle primarie, svoltesi ieri, ha raccolto il 60,62% dei voti degli iscritti. “Vorrei esprimere tutta la felicità che provo”, ha detto la signora, candidata a essere la prima donna presidente nella storia della Francia e che dovrà vedersela con il probabile candidato della destra, Nicolas Sarkozy. Da Parigi, Francesca Pierantozzi:

 

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Una vittoria netta, indiscutibile al primo turno, è Ségolène Royal la candidata del partito socialista francese alle presidenziali di aprile. Il risultato delle primarie organizzate dal partito non lascia dubbi ed è stato annunciato con largo anticipo sulle previsioni. Ieri sera la Royal, che ha aspettato il responso delle urne delle 4000 sezioni nel suo feudo elettorale nel centro della Francia, ha ottenuto un perentorio 60%. I suoi avversari Dominique Strauss-Kahn e Laurent Fabius sono rimasti fermi al 20. “Vivo un momento di estrema gioia”, ha detto a caldo la Royal, aggiungendo di ricevere un grande slancio da questo voto straordinario. “Adesso - ha concluso - è il momento di unirci”. Per la maggioranza dei tesserati socialisti, erano oltre 220.000, Ségolène Royal è l’unica a poter sconfiggere la destra e a riportare la sinistra all’Eliseo dopo gli anni di François Mitterand. Il compagno di Ségolène Royal, segretario del partito socialista, François Hollande, ha aspettato invece i risultati a Tulles, nella sua roccaforte elettorale. Il suo appello ad una larga partecipazione è stato ascoltato: oltre l’82 % dei militanti ha votato.

        

Francesca Pierantozzi, da Parigi, per la Radio Vaticana.

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La ripresa degli scontri nello Sri Lanka tra ribelli Tamil ed esercito di Colombo rischia di creare un dramma umanitario di proporzioni gravissime. Secondo quanto riferisce il “Consiglio dei rifugiati”, organizzazione non governativa norvegese impegnata in loco, sarebbero già oltre 130 mila gli sfollati senza alcun aiuto di prima necessità ed esposti a qualsiasi rischio di abusi dei diritti umani. A questi bisogna aggiungere le centinaia di migliaia di profughi causati dallo tsunami del 2004. Su questa situazione, Giancarlo La Vella ha intervistato Luca Galassi, portavoce di Peace Reporter:

 

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R. – La situazione è il culmine di un’infinita escalation di violenze, attentati, rappresaglie, raid militari, condotti sia dalle forze governative che dalle Tigri tamil, che chiedono – ricordiamolo – l’indipendenza delle regioni nord orientali del Paese, tra cui la penisola di Jaffna. Questa penisola è la regione più colpita dello Sri Lanka, in quanto una grande strada di comunicazione, unico collegamento con il sud, l’Autostrada 9, è stata chiusa ed è causa adesso di una gravissima crisi umanitaria, che ha appunto provocato il blocco dei rifornimenti dal sud al nord. L’interruzione dell’autostrada, secondo quanto riferiscono i rappresentanti delle Tigri tamil, è diventata una sorta di muro di Berlino, in quanto ha diviso in due un Paese che è devastato dalla guerra civile ormai da una decina d’anni. La situazione è particolarmente grave a Jaffna, dove almeno 600 mila persone sono a rischio di carestia: non ricevono le cure primarie, non ricevono generi alimentari. Quindi, la situazione si sta sempre più aggravando in questo Paese.

 

D. – Appare chiaro come una ripresa del dialogo tra governo di Colombo e tamil debba ormai passare attraverso un impegno su vasta scala della comunità internazionale e non lasciare invece tutto nelle mani dei mediatori norvegesi. C’è la possibilità che si riparli di pace tra le due parti?

 

R. – Purtroppo, il conflitto nello Sri Lanka ha iniziato ad inasprirsi già da diversi mesi e si è cronicizzato. Finché il presidente, Mahinda Rajapakse, che eletto lo scorso novembre aveva condotto la sua campagna elettorale all’insegna della parola d’ordine “Sri Lanka Unito”, quindi, senza concessioni alla minoranza tamil, rimarrà fermo sulle sue posizioni, e finché le Tigri tamil continueranno a condurre attentati, nei quali rimangono vittime anche civili e innocenti, la situazione rimarrà in uno stato di stallo.

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Via libera al Protocollo di Kyoto 2 e alla nascita di un fondo per dare energia elettrica all’Africa. Questi i punti chiave dell’accordo che si profila alla conferenza mondiale sui cambiamenti climatici in via di conclusione a Nairobi. Le trattative per il documento finale, che impegnano le delegazioni dei circa 200 Paesi partecipanti, termineranno stasera o forse domani.

 

Il Senato americano ha approvato ieri il progetto di legge che fissa le condizioni per la ratifica dell’accordo di cooperazione nucleare civile con l’India. Il testo, che ha ottenuto 85 voti a favore e 12 contrari, permetterà a New Delhi, peraltro non firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare (NPT), di accedere alla tecnologia nucleare civile, per lungo tempo negata. In cambio l’India porrà sotto regime di sicurezza globale i suoi reattori.

 

Risorse energetiche ma anche rischi inflazionistici ed eventuali rialzi dei tassi di interesse.  Questi alcuni dei temi nell'agenda dei governatori delle banche centrali del G20, che domani e domenica si incontreranno in Australia, in una blindatissima Melbourne.

 

In Ciad serve un’azione immediata per bloccare gli attacchi contro i civili. E’ l’appello rivolto alle autorità locali dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani, Louise Arbour, che oggi da Ginevra ha condannato gli scontri etnici scoppiati recentemente al confine con la regione sudanese del Darfur e costati la vita ad almeno 300 persone.

 

E' stato consegnato al cantante Peter Gabriel il premio “Uomo della Pace 2006”, in occasione dell’apertura del VII Summit dei premi Nobel per la Pace, a Roma. Lo storico fondatore dei Genesis è stato premiato per il suo impegno nella promozione dei diritti umani e per la pace. Il tema del Summit quest’anno è “Atomo per la pace o per la guerra?”. Assente dalla manifestazione, per motivi di salute, Mikhail Gorbaciov. Dal canto suo, il presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, in un messaggio, ha lodato la strettissima attualità dei temi in agenda e l’iniziativa della ‘Carta per un Mondo non Violento’, che verrà inviata alle Nazioni Unite, ai capi di Stato e di Governo di tutto il mondo.

 

Il Mondo dello sport è in lutto per la morte, ieri sera a Budapest, del grande calciatore ungherese Ferenc Puskas. L’ex attaccante, 79 anni, da sei anni era ricoverato in ospedale perché gravemente ammalato di Alzheimer. Puskas, che giocò anche nel Real Madrid, in Spagna, fu una delle star della gloriosa nazionale ungherese, finalista ai Mondiali del 1954.

 

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