RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 318 - Testo
della trasmissione di martedì 14 novembre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
In corso in Canada il Vertice mondiale del microcredito:
intervista con il prof. Stefano Zamagni
CHIESA E SOCIETA’:
Messaggio dei vescovi
argentini a conclusione della 92.ma Assemblea
generale
I
Padri Mercedari denunciano, in un convegno a Roma, le
schiavitù del Terzo Millennio
Il
Giappone per la prima volta rivendica il diritto di possedere armi nucleari
14 novembre 2006
MESSAGGIO
DI BENEDETTO XVI PER LA GIORNATA
MONDIALE DEL MIGRANTE 2007:
I
GOVERNI ADOTTINO LE NECESSARIE MISURE LEGISLATIVE E SOCIALI PER OFFRIRE
ALLE
FAMIGLIE COSTRETTE ALL’ESILIO UNA REALE POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE
Viaggi, o molto spesso fughe, accompagnati dal bisogno di
migliorare la propria condizione, che si rivelano poi “trappole di morte”. E’ l’epilogo
estremo ma frequente per molte famiglie di immigrati,
che ripongono nell’esilio l’idea di un nuovo futuro senza tuttavia un’adeguata
rete di protezione, che garantisca loro anzitutto il più elementare dei
diritti, quello alla sopravvivenza. Alla “Famiglia migrante” è dedicata la
prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che verrà
celebrata il 14 gennaio 2007. Benedetto XVI ha scritto come di consueto un
Messaggio per sottolineare esigenze umane e spirituali e nel contempo denunciare
le violazioni che compongono il complesso fenomeno dell’immigrazione. Messaggio
che è stato presentato stamattina in Sala Stampa vaticana dai vertici del
competente dicastero vaticano. Il servizio di Alessandro De Carolis.
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E’ un dramma antico a fornire un’immagine di speranza ad
un’emergenza moderna, quella dell’immigrazione: la fuga della Famiglia di
Nazareth in Egitto. Benedetto XVI apre il suo Messaggio per la 93.ma Giornata mondiale del migrante e del Rifugiato con la
convinzione che Giuseppe, Maria e Gesù, costretti all’esilio, siano – scrive –
“il modello, l’esempio e il sostegno di tutti gli emigranti e pellegrini di
ogni età e di ogni Paese, di tutti i profughi di qualsiasi condizione che, incalzati dalla persecuzione o dal bisogno, si vedono costretti ad abbandonare la patria, i
cari parenti, i vicini, i dolci amici, e a recarsi in terra straniera”. Rottura
dei legami familiari, abusi da parte di organizzazioni che lucrano sul traffico
di persone, integrazione complicata nei Paesi d’approdo. Sono i rischi tipici
di chi sceglie o è costretto a calarsi nei panni di un emigrante. Un fronte
vastissimo che la Chiesa batte da sempre lungo tutta la sua ampiezza con l’arma
della solidarietà.
Il segretario del Pontificio Consiglio per la Pastrorale dei Migranti, l’arcivescovo Agostino Marchetto,
ha fornito in conferenza stampa alcune cifre che fanno percepire le dimensioni
generali del fenomeno ma anche la filigrana delle singole tragedie che lo compongono.
Sono 20 milioni le persone - nove delle quali rifugiati dallo status riconosciuto – oggetto di aiuto
da parte dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite. Quattro milioni, invece,
sono i palestinesi assistiti dalla specifica agenzia ONU, mentre 6 milioni sono
gli sfollati che da più di cinque anni resistono nei campi di accoglienza in
nazioni del sud del mondo. Con grande realismo, mons. Marchetto ha delineato la
situazione-tipo di una famiglia di questi campi, dove malnutrizione, carenze e
frustrazioni psico-affettive sono all’ordine del
giorno:
“Sostenere una famiglia in tali condizioni è difficile,
evidentemente, con grande e grave impatto sui diversi suoi componenti, ed
influenza negativa nei suoi rapporti interni (…) Inoltre - ed è ancora più
grave - il coinvolgimento dei figli e delle donne nello sfruttamento sessuale
sembra diventare un meccanismo di sopravvivenza. Il Santo Padre menziona questo
dramma nel suo Messaggio, al par. 4. I capi famiglia quindi si sentono inermi e
frustrati, per non poter provvedere ai bisogni basilari dei propri cari. Non è
infrequente dunque che una figlia rimanga incinta solo per ottenere qualche
prodotto igienico o cibo per sfamarsi. Tutto ciò – è evidente - colpisce
negativamente la vita familiare stessa, per cui le
strutture sociali risultano indebolite e le persone perdono i propri valori, la
propria ‘umanità’ e dignità, mentre quello che invece i rifugiati desiderano è
andare oltre l’assistenza ricevuta. Essi vogliono cioè lavorare e contribuire
al benessere della società che li ospita, anche per integrarvisi”.
Per favorire l’integrazione, dunque,
Benedetto XVI incoraggia la ratifica della Convenzione internazionale del 2003,
che tutela i diritti dei lavoratori migranti, e l’adozione, da parte dei
singoli governi, di “interventi
legislativi, giuridici e sociali”. In loro
assenza, le famiglie oppresse dalle difficoltà dell’integrazione mettono
in atto, rileva il Pontefice, “meccanismi di difesa” che ne impediscono uno
“sviluppo armonico”. “Occorre incoraggiare chi è interiormente distrutto a
recuperare la fiducia in se stesso”, scandisce Benedetto XVI. “Bisogna poi
impegnarsi perché siano garantiti i diritti e la dignità delle famiglie e venga assicurato ad esse un alloggio consono alle loro
esigenze”. Viceversa, aggiunge, “ai rifugiati
va chiesto di coltivare un atteggiamento aperto e
positivo verso la società che li accoglie”. Tutti campi pastorali – compreso
quello degli studenti esteri – che Benedetto XVI consegna all’attenzione delle
Chiese locali, sulla scorta della frase di S. Paolo: “Caritas Christi urget nos”,
la carità di Cristo ci spinge. Così ne ha parlato il presidente del
dicastero vaticano, il cardinale Renato Raffaele
Martino:
“La società civile e le comunità cristiane sono perciò
interpellate dai complessi problemi e difficoltà, ma anche dai valori e dalle
risorse di questa nuova realtà sociale. Ciò comporta lo sviluppo di relazioni
che si traducono, da una parte, in aiuti per l’inserimento nella società e,
dall’altra, in occasioni di crescita personale, sociale ed ecclesiale, per i
cristiani, basata sull’osservanza delle leggi, l’incontro delle culture, delle
religioni e sul reciproco rispetto dei valori, con base sui diritti umani.
Sotto questo profilo, il Diritto Internazionale deve mirare a tutelare l’unità
familiare e a combattere il fenomeno oggi sempre più diffuso dei ‘ricongiungimenti di fatto’
(riunioni di famiglie nella irregolarità), dovuti soprattutto alle
difficoltà incontrate nel raggiungere i requisiti per la riunificazione legale
e per il lungo iter burocratico legato alla sua concessione”.
Nel dibattito successivo suscitato dalle domande dei
giornalisti, sono state affrontate varie questioni, tra cui quella del muro che
dovrebbe dividere la frontiera tra Stati Uniti e Messico – giudicato “inumano”
dai vescovi di entrambi i Paesi – e la questione del velo per le donne
islamiche, che va considerata nell’ambito del rispetto delle leggi dei Paesi
dell’accoglienza. Mons. Marchetto è poi intervenuto
anche su un tema di stretta attualità, ruguardante il
possibile intervento della comunità internazionale in aree di crisi del pianeta:
“La comunità internazionale sta arrivando a capire che non
può stare a braccia conserte ed impotente, di fronte
ai drammi umani all’interno di un Paese. E quindi c’è la possibilità, ci
sarebbe la possibilità - e in questo Giovanni Paolo II ha fatto avanzare molto
la questione - di un intervento indipendentemente, direi, da quello che è
l’autorità statale, di quella situazione concreta. Ma siamo ancora in cammino e
in un cammino non facile, perché ci sono molti che dicono: questa è una realtà
interna al nostro Paese e gli altri non ci devono entrare”.
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IL
PAPA CONVOCA PER IL 16 NOVEMBRE UNA RIUNIONE DEI CAPI DICASTERO
DELLA CURIA ROMANA PER ESAMINARE LA VICENDA DI MONS. EMMANUEL MILINGO
La
Mons. Milingo,
arcivescovo emerito di Lusaka, il 24 settembre
scorso, a Washington, ha conferito l’ordinazione episcopale a quattro sacerdoti
senza mandato pontificio, incorrendo nella scomunica “latae
sententiae”, cioè automatica. Una nota della Sala
Stampa vaticana del 26 settembre sottolineava come
NOMINE
In Argentina, il Santo Padre ha nominato vescovo ausiliare
di Bahía Blanca mons. Pedro María Laxague,
vicario generale di Bahía Blanca,
assegnandoli la sede titolare di Castra Severiana. Mons.
Laxague è nato il 14 settembre 1952, in provincia di
Buenos Aires. Dopo la laurea in ingegneria all’Università Statale della
capitale argentina, si è trasferito a Roma dove, presso l’Angelicum
di Roma, ha ottenuto
il Baccellierato in Filosofia e Teologia e la Licenza
in Diritto Canonico. E’ stato ordinato
sacerdote il 15 luglio 1989 e nel 2000 ha ricevuto il titolo di Prelato
d’onore di Sua Santità.
Sempre in
Argentina, il Santo Padre ha nominato vescovo coadiutore di Catamarca
mons. Luis Urbanc, rettore
del Seminario Maggiore di Tucumán. Mons. Luis Urbanc è nato il 25 luglio 1958 a Buenos Aires. E’ stato
ordinato sacerdote il 30 maggio 1982. A Roma ha conseguito la Licenza in Sacra
Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico. Il 7 ottobre 2000 ha ricevuto
il titolo di Prelato d’Onore di Sua Santità.
Il Papa ha nominato membro del Pontificio Consiglio per la
Promozione dell'Unità dei Cristiani il cardinale Francesco Marchisano,
presidente dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica.
PER
FAR FRONTE ALLE EMERGENZE UMANITARIE,
SERVE
UN MAGGIOR COORDINAMENTO A LIVELLO INTERNAZIONALE:
COSI’, MONS.
CELESTINO MIGLIORE, OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE ALL’ONU DI NEW
YORK, INTERVENUTO IERI AL PALAZZO DI VETRO
Un coordinamento più stretto ed efficace, guidato
dall’ONU, per rispondere alle emergenze umanitarie, causate da guerre e
catastrofi naturali. E’ quanto chiesto dall’arcivescovo Celestino Migliore,
Osservatore permanente della Santa Sede all’ONU, intervenuto ieri alla 61.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso a New
York. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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Dagli uragani alle guerre, gli
anni passati hanno dimostrato che tutti i Paesi sono soggetti a disastri e
catastrofi e che dunque un coordinamento per rispondere alle emergenze
umanitarie si rivela “cruciale”: è quanto sottolineato dall’arcivescovo
Celestino Migliore che nel suo intervento al Palazzo di Vetro ha indicato gli
obiettivi di tale coordinamento: prevenire la “perdita di vite umane”, “aiutare
le comunità” colpite e “stabilire strategie di lungo termine” per la
ricostruzione.
Mons. Migliore ha ribadito che va dato risalto a
quelle crisi umanitarie che non “ottengono i titoli dei mass media e rimangono sottofinanziate”. Quindi, ha ricordato l’impegno della
Santa Sede, attraverso il pontificio consiglio Cor Unum, per far fronte allo tsunami del 2004 e al terremoto in Pakistan del 2005.
Uno degli aspetti positivi della globalizzazione, ha detto
il presule, è il potenziale di mezzi che possono essere impiegati
nell’assistenza umanitaria. Tuttavia, ha proseguito, la “risposta globalizzata alle emergenze umanitarie richiede un
coordinamento che bilanci attentamente l’efficienza con il rispetto per
l’autonomia dei differenti” soggetti coinvolti. In tale contesto, ha avvertito,
è essenziale che le Nazioni Unite assumano un ruolo nelle attività di
coordinamento, il quale sia “adattato alle esigenze della popolazione” e delle
organizzazioni umanitarie. I coordinatori, ha affermato, devono svolgere un
compito significativo di raccolta e distribuzione delle informazioni, creare
contatti con le autorità locali e dare consigli alle organizzazioni umanitarie.
L’osservatore vaticano ha enumerato tre criteri per una corretta cooperazione.
Primo: il sistema di coordinamento “deve rispettare l’indipendenza e autonomia
delle organizzazioni umanitarie”. Secondo: devono essere favoriti non solo i
grandi organismi ma anche le piccole organizzazioni che svolgano
un ruolo sul territorio. Infine, le agenzie delle Nazioni Unite non devono
sottrarre energie alle ONG presenti sul campo. Criteri, questi, che “assicurano
una risposta” multifunzionale alle crisi umanitarie.
Il presule ha
quindi espresso apprezzamento per l’istituzione del Central Emergency Response
Fund (CERF), che permette una disponibilità di
fondi in tempi brevi per far fronte alle emergenze umanitarie. D’altro canto,
ha concluso mons. Migliore, tale iniziativa non deve limitare la capacità della
società civile e delle organizzazioni religiose di attrarre donazioni private e
governative.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il messaggio di Benedetto XVI
per la 93.ma Giornata Mondiale del Migrante e del
Rifugiato, che sarà celebrata il 14 gennaio 2007.
Servizio estero - Iraq: il premier britannico, Tony
Blair, invita a coinvolgere la Siria e l'Iran nel
difficile processo negoziale.
Per la rubrica dell’ “Atlante
geopolitico” un articolo di Gabriele Nicolò dal
titolo “Sempre più a rischio il bene primario dell’acqua”.
Servizio culturale - Una riflessione di Marco Bellizi dal titolo “Il terribile deficit dell’‘etica
dell'istruzione’”.
Un articolo di Francesco Buranelli
da titolo “Tutto cominciò con il Laocoonte”: ai Musei
Vaticani una mostra incentrata sul capolavoro scoperto nel 1506.
Per l’“Osservatore libri” un
articolo di Claudio Toscani sull'opera poetica di Giovanni Raboni edita dai “Meridiani”.
Servizio italiano - In rilievo il tema della
finanziaria.
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14 novembre 2006
IN
CORSO IN CANADA IL VERTICE MONDIALE DEL MICROCREDITO
- Ai
nostri microfoni il prof. Stefano Zamagni -
Garantire
a 175 milioni di persone l’accesso al microcredito entro il 2015 e assicurare a
100 milioni di famiglie, che oggi vivono con meno di un dollaro al giorno, nuove fonti di sussistenza: è con questi
obiettivi che si sta svolgendo, ad Halifax in Canada, l’annuale Microcredit Global Summit. Il microcredito rappresenta una forma di
sviluppo economico che permette di usufruire di servizi finanziari a coloro che
non potrebbero accedere a prestiti bancari perché poveri, e dunque privi di
garanzie. Ma qual è la filosofia che sta dietro la pratica del microcredito?
Ada Serra lo ha chiesto al professor Stefano Zamagni,
ordinario di Economia Politica all'Università di Bologna:
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R. – Il
credito è un diritto, cioè la persona umana, come ha diritto a tante cose, ha
diritto anche al credito. Essere, dunque, discriminati senza motivi reali
dall’accesso al credito è qualcosa che oggi non può essere accettato. Questa è
la filosofia di fondo.
D. –
Come si sta ponendo il sistema bancario internazionale di fronte a questa nuova
realtà della microfinanza?
R. – Da
qualche anno a questa parte anche le grandi banche commerciali stanno capendo
l’errore che hanno commesso nei due, tre secoli precedenti. Quindi, si avverte
anzitutto un interesse. In secondo luogo, loro stesse stanno aprendo sezioni
speciali di credito, per intercettare la domanda di questi segmenti che fino ad
ora erano stati abbandonati. Quindi, questo è un fatto molto positivo, perchè
l’esperienza del microcredito, nata dal basso da associazioni quasi tutte di
volontariato, ha ottenuto il risultato desiderato, di costringere anche gli
altri a prendere la cosa in seria considerazione.
D. –
Come si spiega invece il fatto che più dell’80 per cento dei beneficiari dei
microprestiti siano donne?
R. – Il
principio base del microcredito è la fiducia. Nei Paesi in via di sviluppo le
donne meritano molta più fiducia degli uomini, perché la donna è molto più
attenta ai bisogni fondamentali della famiglia che non l’uomo. E allora,
prestando all’uomo, il rischio e la tentazione che dei soldi presi a prestito vengano utilizzati per scopi non funzionali alla crescita e
al progresso della famiglia sono molto elevati. La seconda ragione è che in un
medesimo contesto, a parità di condizioni, le donne sono molto più prone ad
applicare il principio di reciprocità che non gli uomini.
D. –
Nell’Angelus di domenica scorsa, il Santo Padre ha invitato a convertire il
modello di sviluppo globale, perché le risorse del pianeta non siano più
accessibili solo ad una ristretta minoranza, ma alla globalità della
popolazione mondiale…
R. –
L’affermazione del Papa è molto più importante di quanto non si tenda a credere.
Il Papa non ha detto, poiché ci sono 800, 900 milioni di poveri assoluti
mettiamo mano al portafoglio, facciamo uno sforzo di elemosina per aiutarli. Ha
detto una cosa fondamentalmente nuova, e cioè bisogna cambiare il modello di
sviluppo. Questa è veramente un’affermazione impegnativa, su cui dovremmo
tornare a riflettere.
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LA
RIVISTA DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI, CITTA’ NUOVA,
FESTEGGIA
IL SUO 50.MO ANNIVERSARIO. IERI, A ROMA,
UN
CONVEGNO PER PARLARE DI MEDIA, FRATERNITA’ E DIALOGO INTERRELIGIOSO
- Con noi, Vera Araujo, Michele Zanzucchi, Sharazad Housmand -
“Città Nuova, un
progetto chiamato fraternità”. Questo il titolo del Convegno nazionale svoltosi ieri a
Roma in occasione del 50.mo anniversario della
rivista del Movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich.
E’ stata l’ultima tappa di un lungo giro compiuto da Città Nuova in Italia per incontrare i lettori e discutere di volta
in volta di tematiche cruciali per le singole città nell’ottica della
fraternità. A Roma si è parlato di dialogo interreligioso con il mondo dei media. Per noi c’era Gabriella Ceraso:
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Nasce sulle Dolomiti di Primiero, 50 anni fa, Città Nuova, come un foglio di
collegamento fra quanti partecipando ad un incontro della nascente spiritualità
dei Focolari, dopo una esperienza di fraternità
vissuta insieme, pensano di rimanere uniti. Prima poche copie, un giornale poi
di un certo peso, oggi 37 edizioni in 22 lingue nel mondo. La proposta è sempre
la stessa: essere voce per la fraternità universale. Vera Araujo,
sociologa brasiliana del centro studi del Movimento dei Focolari:
R. – La fraternità è una relazione empatica,
che si crea fra persone, gruppi, etnie, istituzioni, in cui gli uni e gli altri
si collegano in un modo che va ben oltre il legame del sangue. Questo paradigma
relazionale ha con Gesù Cristo una portata universale. E’, dunque, una
categoria che crea la coesione sociale, crea una società positiva ed un
rapporto innovativo, che riesce a superare gli ostacoli. Si tratta di una chiave non solo di comprensione, ma anche una chiave di
costruzione della vita umana.
Un progetto originale che in Città Nuova, con le sue rubriche di arte, cultura, musica, religione
ed educazione e con le sue scelte coraggiose nel
panorama editoriale trova una palestra particolare. La riflessione del
redattore Michele Zanzucchi:
R. – Cerchiamo anzitutto di vivere questa fraternità tra di noi in redazione. Nelle interviste cerchiamo sempre
di mettere in luce più il positivo, cerchiamo di non arrivare con un atteggiamento
aggressivo, ma al contrario cerchiamo di valorizzare tutti quei semi di
fraternità, di pace, di uguaglianza, di libertà che esistono nel mondo. La
gente è molto meno stupida di quanto si pensi ed ha
bisogno e vuole cose buone, cose positive, che costruiscano la società. Ecco,
questo è quello che noi cerchiamo di fare.
Tra le pagine di Città
Nuova si incontrano anche religioni e culture diverse senza paura di
perdere, ciascuna, la propria identità, ma anzi con la certezza che il dialogo
rende ricchi. Sharazad Housmand,
teologa iraniana, collaboratrice del Centro interreligioso del Movimento:
R. – Non dobbiamo aver paura, perché se crediamo che Dio è
Uno, che Dio è lo Spirito Vivo dell’Essere, che può soffiare ovunque, allora
ovunque possiamo trovare – come dite voi cristiani – i semi del Vero e – come
dice il Corano – la stessa Parola di Dio uno nell’altro. Se riusciamo veramente
ad entrare nell’amicizia, avere il vero ascolto, questo dialogo non porterà ad
altro se non alla crescita della propria fede e a farci arrivare alla meta
comune, che è la perfezione, la santità e l’unione.
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PER
ESPOSTI
INSIEME NELLA CHIESA DI SANTA MARIA DEL POPOLO A ROMA
I DUE
CELEBRI QUADRI DI
CARAVAGGIO SULLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO
-
Interviste con Claudio Strinati e Giuseppe Barbaglio -
Un evento culturale straordinario: la ‘Conversione di San Paolo’ di Caravaggio, è in mostra a Roma, fino al 25
novembre, nella Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo. Il capolavoro, su
tavola di cipresso della collezione Odescalchi, dopo
un delicato intervento di restauro, torna per la prima volta dopo 400 anni, nel
luogo per il quale fu commissionata e dove, con ogni probabilità, non trovò mai
dimora. La mostra consente inoltre di mettere a confronto l’opera con l’altra
“Conversione di San Paolo”, il dipinto realizzato su tela sempre da Caravaggio,
che misteriosamente sostituì la prima versione su tavola e che dal 1605 decora
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R. – Vedere i due quadri ora vicini, vicinissimi, e quindi
poterli confrontare con i propri occhi è effettivamente un’esperienza
interessantissima da un punto di vista artistico, culturale e teologico.
D. - Ecco, proprio da questo punto di vista, professor
Strinati, confrontando i due quadri la prima osservazione che viene in mente
anche al più profano è che sembra strano che in pochi anni un artista come
Caravaggio abbia cambiato così tanto il tema iconografico. Nella “prima
conversione”, San Paolo è accecato dalla luce divina, e come ad un passo da
Lui, trattenuto da un angelo, si vede anche Dio. Nella
seconda, Dio, invece, non si vede più e come è noto c’è questa grande
idea che Dio è rappresentato da una luce che arriva dall’alto. Come si può spiegare
questo cambiamento di tema iconografico così netto?
R. – Il punto della questione è che ci si può attenere
alla prima idea, cioè che l’uomo viene accecato per
poi riprendere la vita e viene frastornato dalla voce divina affinché comprenda
e si converta. Questa impostazione è illustrata nella prima versione in cui
Saulo cade da cavallo, si porta istintivamente le mani agli occhi e la figura
divina scende verso di lui come a portarlo a sé. Nell’altra versione è vero che
c’è un cambio di idea fortissimo. Se Caravaggio cambiò idea in modo fulmineo o
gradualmente questo noi non lo possiamo sapere; però possiamo sapere, perchè lo
vediamo, che il cambio dell’idea è clamoroso, perché nella versione finale,
quella su tela, la figura divina non si vede e questo è più coerente con gli
Atti degli Apostoli. Si parla soltanto di luce, di voce, e
infatti si vede Saulo che è caduto a terra e alza le braccia verso la
luce. Quindi, come se Caravaggio avesse avuto un’intuizione di rappresentare la
storia degli Atti degli Apostoli come un’allegoria della vera nascita del
cristiano che muore come pagano, e rinasce come cristiano assorbendo la luce
divina.
Papa Benedetto XVI durante l’udienza generale dello scorso
25 ottobre presentava
e commentava la conversione di San Paolo apostolo. Sempre con davanti agli
occhi le due versioni della conversione di San Paolo così come sono state
dipinte dal Caravaggio, cerchiamo di esplorare questa conversione, che per
tradizione avviene con la caduta da cavallo. Lo facciamo con Giuseppe
Barbaglio, biblista, tra i massimi esperti in Italia
della figura di San Paolo. Quanto è importante nella figura di questo apostolo
il fatto che questa conversione avvenga sulla via di Damasco in questa
maniera potremmo dire anche traumatica?
R. – Certamente è stato un trauma, quello di Paolo. Lui
non dice mai che c’è stato un lungo percorso prima di
arrivare ad affidarsi a Cristo, ma è stata piuttosto un’esperienza mistica, noi
diremmo, e cioè Paolo ha incontrato il Cristo risorto e diciamo si è lasciato
cambiare da Cristo risorto.
D. - Lei ha potuto confrontare le due conversioni così
come sono state dipinte dal Caravaggio. Cosa pensa di questo confronto, anche
dal punto di vista dei contenuti di queste iconografie ?
R. – Intanto c’è un elemento comune ed è la luce: cioè,
come ha detto il Papa, Paolo è stato illuminato dalla luce divina. La
caratteristica del quadro che adesso è stato esposto - e mi pare un elemento abbastanza
originale - è che c’è Dio che protende le sue braccia verso Paolo
come ad accoglierlo, come a prenderlo in braccio.
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14 novembre 2006
l’agenzia
di stampa della Conferenza episcopale italiana, SIR, ha diffuso una nota in
merito al decreto del ministero della Salute italiano
che
innalza da mezzo grammo a un grammo il quantitativo di cannabis che il
consumatore potrà tenere con se’ senza incorrere nel
reato di spaccio
- A
cura di Eugenio Bonanata -
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ROMA. = Un decreto che si presta alle polemiche. Così la
nota del SIR definisce questo provvedimento che inevitabilmente provoca
divisioni. C’è chi lo vede come un passo avanti verso la liberalizzazione e un
incentivo al consumo di droga e chi invece ritiene che in questo modo si
limitano i danni per quanti troppo presto potrebbero “varcare le soglie del
carcere”. In realtà - afferma la nota –
gli uni e gli altri devono riflettere su un dato: il diffuso fenomeno degli
abusi tra i giovani. E questo non è un problema che riguarda solo il consumo di
droga o di alcol ma soprattutto la generale ricerca di atteggiamenti estremi di
cui molto spesso sono protagonisti i giovani. Che si tratti del successo del
video che ritrae un ragazzo down malmenato a scuola o delle corse in automobile
è lo stesso. Bisogna capire cosa c’è dietro questi atteggiamenti al limite,
quasi di sfida delle regole. Cosa fare, dunque? Al di là della natura
repressiva dello Stato – che deve pur garantire la legalità – serve cura e
capacità di ascolto verso le nuove generazioni che, spesso senza tante parole,
chiedono aiuto e prospettive. C’è bisogno di un’azione educativa che passi
certo attraverso la famiglia e la scuola, ma anche attraverso politiche di
supporto per la casa, per il lavoro, per la famiglie
disagiate. Insomma – si legge ancora nel comunicato – occorre una
visione di società che non può essere descritta e vissuta solo come trama di
rapporti economici, dominata dal “mercato”, da relazioni utilitaristiche, dalle
logiche del “do ut des”.
Tutto questo - conclude la nota dell’agenzia di stampa dei vescovi italiani -
sta stretto a quanti, coscienti o meno, portano nel cuore desideri di futuro e
di “altro”.
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Con un
accorato appello in difesa del “bene comune e del dialogo”,
domenica
scorsa si sono conclusi i lavori
della 92.MA Assemblea generale dell’Episcopato argentino
- A
cura di Luis Badilla -
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BUENOS AIRES. = “Il bene comune è l'insieme delle
condizioni della vita sociale che rendono possibile, a ciascuno dei suoi
membri, il raggiungimento pieno e più facile della propria dignità". E’
quanto ribadito dai vescovi argentini che – citando il compendio della dottrina
cattolica – ricordano come “la persona da sola non può trovare le condizioni
per la sua realizzazione, prescindendo dal suo essere ‘con’ e ‘per’ gli altri”.
Questo, peraltro, rende necessario un ampio e sincero dialogo. Dialogo
considerato dai vescovi “un grande strumento per la costruzione e il
consolidamento della democrazia”. L’impegno della Chiesa col dialogo – precisano
i vescovi – “nasce dalla fede in Gesù e nella verità del Vangelo. Questa realtà
– proseguono - ci obbliga a dare priorità al dialogo lungo tutta la nostra
convivenza. E ciò impegna, in primo luogo, noi stessi perché testimoni della
fede che predichiamo”. Nel comunicato non manca un richiamo alla realtà sociale
del Paese. In Argentina, infatti, nonostante gli sforzi di molti in questi
anni, sono tuttora alti i livelli di povertà, di esclusione sociale e di
iniquità. In questo quadro bisogna essere più solidali con le classi disagiate,
affermano i presuli: vivere cioè con più austerità per accrescere le ricchezze
del Paese e poi distribuirle con maggiore equità. L’invito, rivolto a tutti i
cittadini, è chiaro: esercitare un maggiore protagonismo nella costruzione
della società civile per realizzare concretamente le condizioni che rendono
possibile il bene comune.
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“Trasmettere il messaggio in tempi di difficoltà”.
Questo il tema
del XIII simposio di teologia storica promosso dalla
Facoltà di Teologia “San Vicente Ferrer”, che si aprirà domani a Valencia in
Spagna
MADRID. = Al via domani a Valencia il XIII simposio di
teologia storica, promosso dalla Facoltà di Teologia “San Vicente
Ferrer”, che esamina le situazioni di crisi e le
modalità dell’annuncio kerygmatico nelle varie epoche
storiche. Un percorso che ha visto
Prostituzione, traffico di organi e sfruttamento
della manodopera
infantile. E’
dei mercedari nel primo convegno internazionale a
roma
dedicato all’argomento
ROMA. = Nel mondo più di 270 milioni di persone sono
sottomesse e sono oltre 200 milioni i bambini sfruttati, di questi più di 50
milioni solo in Asia. E’ la nuova mappa della schiavitù delineata dalla
Famiglia Mercedaria in occasione del suo primo
convegno internazionale, svoltosi in questi giorni a Roma e dedicato proprio al
tema “Le schiavitù del Terzo millennio e la risposta dei Mercedari”.
L’incontro – come riporta l’agenzia Zenit - ha sottolineato che “la schiavitù
non è una mostruosità del passato di cui ci siamo definitivamente liberati, ma
qualcosa che continua ad esistere in tutto il mondo, persino in Paesi
sviluppati come
sei ambasciatori si mobilitano per il cessate-il-fuoco
fra Manila ed i ribelli dell’arcipelago di mindanao
MINDANAO. = Massimo aiuto per il processo di pace
nell’arcipelago meridionale di Mindanao, teatro
decennale di scontri violenti fra i guerriglieri separatisti musulmani e
l’esercito regolare. E’ la promessa da sei ambasciatori – provenienti da Stati
Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Canada, Nuova Zelanda
ed Australia – che sono giunti ieri nella regione, dove hanno incontrato i
comandanti militari ed i funzionari locali del governo. Come riporta AsiaNews,
i diplomatici, esprimendo “un sentimento comune”, hanno ricordato che i Paesi
da loro rappresentati “intendono aiutare lo sviluppo di queste isole, tormentate
dalla guerra”. I dialoghi di pace con Manila sono interrotti dallo scorso anno,
quando il governo ha rifiutato di concedere ai ribelli un nuovo appezzamento di
terreno pari a 3mila ettari. Il principale interlocutore per quanto riguarda i
guerriglieri è senza dubbio il Moro Islamic Liberation Front (MILF), che combatte da anni per ottenere
una parziale indipendenza della zona, dove risiede la gran parte della
minoranza musulmana. Nel tentativo di fermare la strage di civili e militari,
sono scesi in campo anche diversi esponenti religiosi cristiani e musulmani,
che hanno invitato le fazioni a “sedersi e dialogare, l’unica strada verso una
soluzione soddisfacente”. (E. B.)
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14 novembre 2006
- A cura di Fausta Speranza -
Ancora morti in Iraq, mentre a Baghdad si è verificato lo
scioccante sequestro di un centinaio di persone. Il nostro servizio:
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Uomini armati con le divise della polizia irachena hanno
fatto irruzione all’interno di un edificio del ministero dell’Istruzione
Superiore a Karrada, un quartiere periferico della capitale.
I sequestratori hanno separato uomini e donne, chiudendo queste ultime in una
stanza e togliendo loro i telefoni cellulari. Quindi i presenti di sesso
maschile, tra cui dipendenti ministeriali, guardie di sicurezza e semplici
visitatori, sono stati costretti a seguirli. Il tutto mentre continua la
drammatica conta dei morti: da una parte, il bombardamento delle forze
americane contro un quartiere nel centro del capoluogo della provincia sunnita di al Anbar, tra la tarda serata
di ieri e le prime ore di oggi, che ha provocato almeno 30 morti e 17 feriti civili. Dall’altra, a Baghdad,
l’esplosione in un’area commerciale con almeno 10 persone che hanno perso la
vita e 25 feriti. E in relazione all’Iraq, va detto
che una squadra di avvocati internazionali ha presentato denuncia alla procura generale federale tedesca contro l’ex
segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld per il suo ruolo presunto nei casi di torture di
prigionieri in Iraq ma anche a Guantanamo. Vengono chiamati in causa anche cinque esperti legali dell’amministrazione Bush, tra cui l’attuale ministro della Giustizia Alberto Gonzales.
Intanto il presidente
americano Bush ha incontrato i responsabili della
commissione incaricata di studiare una strategia di stabilizzazione per l’Iraq.
Dovrà esprimere le sue raccomandazioni sull’Iraq entro dicembre. Oggi il
confronto con i Democratici, che hanno già annunciato di lavorare per un ritiro
progressivo delle truppe che cominci fra 4 -6 mesi.
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I discorsi pronunciati ieri da Bush e Blair evidenziano un
cambio di strategia politica e bellica di Stati Uniti e Gran Bretagna in Iraq,
anche se con alcune differenze. Il capo della Casa Bianca ha chiuso la porta a
colloqui diretti con Teheran, mantenendo aperto,
invece, uno spiraglio con la Siria. L’inquilino di Downing
Street ha spinto sull’acceleratore della pace, coinvolgendo Iran e Siria nel
processo negoziale. Ma è possibile che le posizioni assunte da Washington e Londra
siano il primo atto del ritiro dei loro eserciti dal Paese del Golfo? Salvatore
Sabatino lo ha chiesto ad Arduino Paniccia, docente
di Studi Strategici presso l’Università di Trieste:
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R. – E’ iniziata una nuova fase strategica. A mio parere,
si può concludere con un parziale se non totale ritiro delle truppe dall’Iraq, ma credo sarà necessaria una grande conferenza di
pacificazione per poter arrivare a questo risultato, nella quale un elemento
indispensabile potrà essere l’istsituzione di un Iraq
federale e non più centralizzato.
D. – Professore, l’Iraq non rischia, a questo punto, di
indebolire l’alleanza strategica tra Londra e Washington?
R. – Ciò che può andar bene oggi per Blair
e per Bush e addirittura per l’Iran e per la Siria,
può invece essere non gradito agli iracheni. Questo è il vero grande problema.
Si tratta ora di capire quali riforme effettuare per tentare di pacificare il
Paese che è sulla strada di una potenziale guerra civile. C’è una serie di
operazioni da fare. In primis, ritengo
debba essere fatta l’amnistia, gestendo il “caso-Saddam” nella dovuta maniera diplomatica
e vedendo che cosa può essere fatto per la componente sciita. Quindi, non è
soltanto un problema di volontà: la questione dell’Iraq dev’essere
gestita da parte della coalizione con personaggi di altissimo livello. Fino a
questo momento, non li abbiamo visti. La gestione è stata disastrosa, ma
speriamo nel futuro. L’Europa potrebbe dare un gran contributo, non solo Blair, che è molto debole …
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Il Quartetto per il Medio Oriente (Stati Uniti, Russia, UE
e ONU) si riunirà domani al Cairo, contemporaneamente ad una visita del
presidente dell’Autorità
nazionale palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)
che informerà le autorità egiziane sugli
sviluppi nella formazione del nuovo
governo di unità nazionale. Lo riferiscono fonti diplomatiche al Cairo.
Alla riunione parteciperanno il sottosegretario di Stato americano per il Medio
Oriente, David Welch, il vice ministro degli Esteri
russo, Alexander Soltanov,
l’inviato dell’Unione Europea, Marc Otte, e un inviato dell’ONU. Abu Mazen oggi al Cairo, incontra il segretario generale della
Lega araba, Amr Moussa, e
domani il presidente egiziano Hosni Mubarak.
Un portavoce di Hezbollah ha dichiarato che il movimento
sciita libanese e i suoi alleati prosiriani
scenderanno in piazza per ribadire la loro richiesta di un “governo di unità”
che, a detta di Sayyed Hassan
Nasrallah, leader dello stesso Hezbollah, “sta decisamente
arrivando”. Il responsabile per la comunicazione di Hezbollah, Hussein Rahhal,
ha dichiarato che il movimento sciita, sostenuto da Siria e Iran, “userà tutti
i mezzi democratici e pacifici” per manifestare la sua opposizione al governo
del premier Fuad
Siniora, appoggiato dall’Occidente.
“In
Somalia, è in corso un ingente dispiegamento di truppe in una delle principali
città della regione autonoma del Puntland, feudo del
presidente ad interim somalo Abdullahi Yusuf”. Lo riferiscono fonti locali precisando che le forze
armate della provincia settentrionale potrebbero tentare, già domani, di
riprendere il controllo di Bandiradley, la strategica
cittadina conquistata due giorni fa dalle milizie delle Corti islamiche.
Ma come la popolazione somala sta vivendo questo conflitto tra corti islamiche
e governo interinale di Baidoa? Christopher
Altieri, della nostra redazione inglese, lo ha chiesto mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e
amministratore apostolico a Mogadiscio:
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R. – L’unione delle Corti islamiche ha continuato la sua
espansione durante questi ultimi due mesi ed è giunta al sud, al confine con il
Kenya. Invece, nella zona del centro-nord, attorno a Galkaayo, in questi ultimi tempi, ci sono
stati degli scontri violenti. Questi scontri si spiegano per il fatto che nel
cosiddetto Puntland,
cioè la zona a nord-est della Somalia, esiste un
governo locale che non è paragonabile alla situazione dei “signori della
guerra”, che avevamo nel centro-sud della Somalia. Qui, allora, entriamo in un
vero conflitto di potere. In un certo senso, la maggior parte della popolazione
al centro-sud, dove i tribunali islamici si sono diffusi, rimane favorevole
alla loro presenza, perché i tribunali islamici, o le Corti islamiche,
continuano a dare quella sicurezza che prima non avevano e continuano a dare
anche un’assistenza dal punto di vista educativo e sanitario. Il problema nasce
con alcuni esponenti dell’elite somala, che si sono visti le loro libertà
ridotte e vedono la loro libertà minacciata. Ecco perché si sta manifestando un
certo dissenso al livello delle persone che hanno ricevuto una certa
formazione.
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Il viceministro degli Esteri sudcoreano, Chun Yung Woo è partito oggi per Hanoi in vista di un rilancio del dialogo sul nucleare nordcoreano a margine del Forum economico
Asia Pacifico. In dichiarazioni radiofoniche prima della partenza, Chun ha auspicato che la trattativa internazionale in
proposito possa
riprendere entro metà dicembre. Il viceministro
è il rappresentante di Seoul ai negoziati a sei sul
nucleare di Pyongyang che hanno sede a Pechino ma sono in stallo dallo scorso anno.
Il Giappone rivendica
ufficialmente per la prima volta il diritto a disporre di armamenti nucleari. In risposta a un’interrogazione scritta alla Camera, il governo
dichiara che, su un piano puramente legale, ritiene di avere diritto a un
“minimo necessario” di armi atomiche per autodifesa. Un primo passo in tal
senso era stato compiuto due settimane fa dal ‘numero due’ del governo, Yasuhisa Shiozaki. Il documento governativo, in particolare,
sostiene che la Costituzione pacifista del dopoguerra “non necessariamente
vieta al Paese di possedere armi, anche se si tratta di armi atomiche, se sono
il minimo necessario per l’autodifesa”. Sul piano della politica estera, gli
osservatori si domandano anche quanto la dichiarazione odierna possa giovare
all’imminente serie di consultazioni internazionali che il Giappone si appresta
ad avere ai massimi livelli in occasione del forum dell’APEC ad
Hanoi. Nato come convegno di cooperazione economica,
il forum ha ormai assunto forti valenze politiche per tutta la regione Asia-Pacifico e ai suoi margini è prevista tutta una serie
di incontri di primo piano, tra cui il primo faccia a faccia di Abe con il presidente americano, Bush,
e quello russo, Putin. In occasione del convegno potrebbero
essere inoltre discussi i tempi e i modi di un rilancio dei negoziati sul
nucleare nordcoreano.
La risposta alle sfide globali del nuovo millennio non può
essere che il multilateralismo e in questo senso la
partnership strategica tra Europa e Cina è un banco di prova fondamentale in
cui l’UE deve trovare una strategia politica unitaria. E’ questo il filo conduttore
della lectio solemnis
tenuta dal ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, all’Università
di Beida a Pechino, in uno degli ultimi appuntamenti
della sua visita nella capitale cinese prima di trasferirsi a Shanghai. Il titolare della Farnesina
ha portato due esempi di approcci multilaterali alle aree di crisi. Da un lato
il Libano, dove, anche grazie alla presa di posizione italiana, l’Europa ha
assunto, per la prima volta, responsabilità dirette di sicurezza sul teatro
mediorientale. Dall’altro lato, c’è la Cina, “che ha avuto un ruolo chiave nella crisi coreana
senza il quale non ci sarebbe stata né la risoluzione di condanna dei test
nucleari da parte dell’ONU, né la ripresa dei colloqui a sei”. Resta l’urgenza
dell’Iraq, dove c’è bisogno di “risposte consensuali” sulle misure da
prendere.
La Russia non ha alcun piano per costituire un super
cartello del gas e ricattare i consumatori della sua energia: lo ha dichiarato
una fonte del Cremlino, citata dall’agenzia Interfax. Secondo
alcuni media occidentali, fra cui il Financial Times nella sua edizione odierna, la
Russia progetta un super cartello del gas con la partecipazione di Algeria, Qatar,
Libia ed alcuni stati dell’Asia
centrale: una sorta di ‘OPEC del gas’ nel tentativo di aumentare ulteriormente il suo
già alto potere contrattuale nei
confronti degli importatori di gas, in
particolare europei. Il Financial Times, in particolare, cita uno studio di esperti
economici della NATO, inviato la scorsa settimana agli ambasciatori dei 26 Stati
membri dell’Alleanza atlantica, che parla di un uso ‘politico’ dell’energia da
parte del Cremlino. Il FT sostiene che la maggiore minaccia per i prezzi del
gas viene dai limitati investimenti della Russia, e da una possibile manovra
per convincere altri produttori, come l’Algeria, a fare lo stesso”.
Con la presenza dei ministri dell’Ambiente di mezzo mondo
e con l’autorevole introduzione del segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, da domani entra nel
vivo la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici a Nairobi. Dal 6 novembre
scorso, giorno d’inzio di questo
megaraduno in terra kenyota, oltre 6 mila fra esperti, scienziati, rappresentanti
dei governi e delle associazioni ambientaliste appartenenti a 189 Paesi,
discutono e approfondiscono le informazioni circa le conseguenze concrete
sull’ambiente e sulla vita quotidiana dei popoli determinate dal
surriscaldamento del pianeta.
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