RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 317 - Testo della trasmissione di lunedì 13 novembre 2006

 

 

Sommario

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Benedetto XVI incoraggia i negoziati per la denuclearizzazione della Corea del Nord, nel discorso al nuovo ambasciatore del Giappone presso la Santa Sede

 

Mondializzare la solidarietà: così l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, a 50 anni dalla fondazione della Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Dibattito in Italia su violenza e bullismo tra i giovani, dopo il grave episodio ai danni del giovane down: con noi Maria Rita Parsi

 

Un missionario della Consolata, in Colombia, per riportare la speranza tra i poveri delle baraccopoli di Bogotà: intervista con padre Gianfranco Testa

 

In edicola, con “Famiglia cristiana”, il nuovo volume dell’opera enciclopedica su “I Santi nella storia”: ce ne parla don Antonio Sciortino

 

CHIESA E SOCIETA’:

Sant’Agostino uomo del dialogo e ponte fra culture diverse: è il messaggio che ha voluto dare il pellegrinaggio della fiaccola accesa in Algeria il 23 ottobre e giunta ieri a Pavia

 

In Somalia le corti islamiche avanzano verso nord, dove sono già state dispiegate le truppe fedeli al presidente ad interim

 

Migliaia di persone hanno partecipato, ieri, alla processione eucaristica tenutasi a Shillong, nell’est dell’India

 

In Cina, due mila persone hanno manifestato contro un ospedale dove un bambino di 4 anni è morto per mancanza di cure

 

In Spagna, al via oggi l’incontro “Francesco Saverio. Ritorno e incontro”, nell’ambito del V centenario della nascita del Santo

 

L’arcivescovo anglicano di York denuncia l’assenza di scene legate alla natività nel francobollo emesso dalle poste britanniche per il Natale

 

24 ORE NEL MONDO:

Ancora morti a Baghdad dopo la sanguinosa domenica: intanto il premier annuncia un maxirimpasto del governo

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

13 novembre 2006

 

 

BENEDETTO XVI INCORAGGIA I NEGOZIATI PER LA DENUCLEARIZZAZIONE

 DELLA COREA DEL NORD, NEL DISCORSO AL NUOVO AMBASCIATORE

 DEL GIAPPONE PRESSO LA SANTA SEDE

 

I delicati negoziati sul nucleare in atto con la Corea del Nord devono avvenire in modo pacifico, grazie al rispetto degli impegni presi. Ad auspicarlo, e ad incoraggiare il confronto, è stato questa mattina Benedetto XVI che ha ricevuto in udienza il nuovo ambasciatore del Giappone presso la Santa Sede, Kagefumi Ueno, per la presentazione delle lettere credenziali. Il Papa si è soffermato anche sull’urgenza dell’aiuto ai Paesi poveri e sull’importanza del dialogo fra culture e religioni. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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La denuclearizzazione della penisola coreana rappresenta, attualmente, un banco di prova della capacità umana di stabilire relazioni per una pace “stabile e duratura” senza ricorrere alle armi. Il caso che interessa da tempo lo scacchiere internazionale, e che riguarda in prima battuta gli sforzi diplomatici del Giappone, è stato preso ad esempio da Benedetto XVI sia per ribadire un dato di fatto - e cioè “che la ricerca della pace fra le nazioni deve essere una priorità delle relazioni internazionali” - sia per rimarcare un principio universale: ovvero, che la “violenza non potrà mai essere una risposta giusta ai problemi della società”, perché essa “distrugge la dignità, la vita e la libertà dell’uomo” che invece “pretende di difendere”. Nel caso in questione, Benedetto XVI ha incoraggiato la prosecuzione dei “negoziati bilaterali o multilaterali”, convinto – ha detto – che la soluzione per la denuclearizzazione della penisola coreana debba essere raggiunta “attraverso mezzi pacifici e nel rispetto degli impegni assunti da tutte le parti in causa”.

 

Il Papa ha affrontato con il diplomatico giapponese anche i temi della difesa della libertà religiosa e della solidarietà con i Paesi poveri. Nel primo caso, Benedetto XVI si è rallegrato del rispetto goduto dalla Chiesa cattolica nel Paese nipponico, e ha invitato al contempo i vescovi e le comunità locali a vivere in stretta comunione di fede e a lavorare per la “riconciliazione fra i popoli”. Ma il Pontefice ha pure apprezzato il “generoso contributo” offerto dal Giappone alle nazioni che più da vicino conoscono la miseria. “In effetti – ha osservato Benedetto XVI – è necessario che i legami di interdipendenza tra i popoli, che crescono sempre più, siano accompagnati da un intenso impegno affinché le conseguenze nefaste dovute alle forti disparità che persistono tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo non si aggravino, ma si trasformino in una solidarietà autentica, stimolando – ha concluso il Papa – la crescita economica e sociale dei Paesi più poveri”.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Nel corso della mattinata, in successive udienze, Benedetto XVI ha ricevuto mons. Joseph Powathil, arcivescovo di Changanacherry in India, il signor Gilton Bazilio Chiwaula, ambasciatore del Malawi in visita di congedo, e nove presuli della Conferenza episcopale della Repubblica Federale di Germania, in visita ad Limina, tra cui il cardinale Friedrich Wetter, arcivescovo di Monaco e Frisinga.

 

Nelle Filippine, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia alla guida dell’arcidiocesi di Zamboanga, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Carmelo Dominator F. Morelos. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Romulo Geolina Valles, finora vescovo di Kidapawan. Il neo presule di Zamboanga, 55 anni, ha studiato presso il “S. Francis Xavier Regional Major Seminary” di Davao City. Dopo l’ordinazione, è stato parroco in patria, quindi ha proseguito gli studi presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma, conseguendo la Licenza in S. Liturgia. Tornato nelle Filippine ha insegnato nel suo antico seminario quindi, nel 1997, Giovanni Paolo II lo ha nominato vescovo di Kidapawan. Nell'ambito della Conferenza Episcopale delle Filippine è presidente della Commissione per la Liturgia.

 

Sempre nelle Filippine, il Pontefice ha nominato vescovo di Laoag mons. Sergio Lasam Utleg, finora vescovo di Ilagan. Nato a Solana 63 anni fa, ha svolto gli studi filosofici e teologici presso l'Università S. Tommaso d'Aquino a Manila. Ha poi conseguito la Licenza in Teologia a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana nel 1968. Ha svolto il ministero di parroco e contemporaneamente si è occupato di Pastorale sociale.      Eletto nel 1997 coadiutore di Ilagan, è succeduto due anni più tardi. Nell'ambito della Conferenza Episcopale delle Filippine è presidente della “Episcopal Commission on Indigenous Peoples”.

 

In Colombia, Benedetto XVI ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Cali padre José Alejandro Castaño Arbeláez, degli Agostiniani Recolletti, finora parroco del Sagrado Corazón in Manizales. Il nuovo vescovo ha compiuto gli studi ecclesiastici di Filosofia nel Convento degli Agostiniani Recolletti di Suba, e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Javeriana di Bogotá. Ha conseguito il Dottorato in Teologia della vita religiosa a Madrid, specializzandosi in Teologia biblica presso la Escuela Bíblica di Madrid. È stato, tra l’altro, superiore del Seminario maggiore, consigliere Generale del suo Ordine a Roma, più volte parroco, presidente dell’Accademia Colombiana di Storia ecclesiastica.

 

 

MONDIALIZZARE LA SOLIDARIETA’: COSÌ L’ARCIVESCOVO AGOSTINO MARCHETTO,

SEGRETARIO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI

E GLI ITINERANTI A 50 ANNI DALLA FONDAZIONE DELLA BANCA DI SVILUPPO

DEL CONSIGLIO D’EUROPA

 

Mondializzare la solidarietà: è il titolo dell’intervento del Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, arcivescovo Agostino Marchetto, pronunciato oggi a Parigi in occasione del 50 anniversario di fondazione della Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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“La mondializzazione – sottolinea mons. Marchetto – è caratterizzata soprattutto da fattori economici piuttosto che da fattori politici, sociali o culturali”. In tutto ciò – spiega – “la dimensione umanitaria è spesso dimenticata e vediamo emergere il divario economico tra Paesi ricchi e Paesi poveri e tra ricchi e poveri all’interno dello stesso Paese, con il fenomeno scandaloso dei nuovi schiavi”. C’è qualcosa, però, - aggiunge – che “solleva una vera questione etica”: è il fenomeno migratorio che sembra obbligare tutti alla “ricerca di un nuovo ordine economico internazionale, in vista di una ripartizione più equa dei beni della terra che contribuirà a ridimensionare in maniera significativa gran parte dei flussi di popolazioni in difficoltà”. In generale dunque la cosiddetta mondializzazione ristruttura gradualmente i modi di vivere e influenza sul piano dei mercati finanziari i rapporti tra le persone, la vita quotidiana e il modo di pensare. Ma – avverte mons. Marchetto – questo fenomeno, come tutti i più grandi cambiamenti avvenuti nella storia del passato, andrebbe orientato nel senso dell’umanizzazione e non lasciato, minimizzandone la portata, a se stesso. A questo proposito mons. Marchetto cita Giovanni Paolo II che nella Centesimus annus affermava: “La principale risorsa dell’uomo è l’uomo stesso”. E dunque ecco l’obiettivo dichiarato da mons. Marchetto fin dal titolo del suo intervento: mondializzare la solidarietà. Significa muoversi “attraverso tutte le iniziative che difendono la dignità umana e che sono orientate verso il bene comune universale”. Significa “riuscire a mondializzare con l’economia il dovere della solidarietà e porre le condizioni di una vera partecipazione e di una divisione mondiale dei beni e delle ricchezze, materiali e spirituali”. Un punto fermo indispensabile sembra essere “l’unità nel rispetto delle legittime differenze, soprattutto attraverso la condivisione della conoscenza che – chiarisce mons. Marchetto – contrariamente ai beni materiali arricchisce non solamente chi la riceve ma anche chi la dona”. E poi il Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti indica percorsi concreti: lo sradicamento o almeno la diminuzione progressiva della povertà nel mondo; l’integrazione nel mercato mondiale degli esclusi; l’introduzione e la promozione dei prodotti dei Paesi del terzo mondo; l’assicurazione a tutti dell’accesso alle risorse del pianeta nel rispetto dell’ambiente; lo sviluppo dei paesi poveri anche con l’annullamento dei debiti. 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - "Il dovere della corresponsabilità verso quanti sono privi del pane quotidiano e muoiono di fame": all'Angelus della Giornata del Ringraziamento, Benedetto XVI esorta ogni persona ed ogni famiglia ad adottare "uno stile di vita e di consumo compatibile con la salvaguardia del creato e con criteri di giustizia".

Il discorso del Papa al nuovo ambasciatore del Giappone: nell'occasione il Santo Padre ha ricordato che un autentico dialogo tra le religioni e le culture favorisce una vita comune fraterna e solidale per lo sviluppo dell'uomo. 

 

Servizio estero - L'intervento della Santa Sede sul tema: "E' necessario rinvigorire la riflessione internazionale volta a mettere in opera strumenti che impediscano alle nuove realtà militari di creare problemi umanitari per la popolazione civile".

 

Servizio culturale - Un articolo di Marco Testi sull'ultimo romanzo di Susanna Tamaro intitolato "Ascolta la mia voce".

 

Servizio italiano - In primo piano il tema della finanziaria.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

13 novembre 2006

 

 

DIBATTITO IN ITALIA SU VIOLENZA E BULLISMO TRA I GIOVANI:

SOTTO ACCUSA I MEDIA. MA ATTENZIONE A GRIDARE LO SCANDALO

SENZA CONTRASTARE DAVVERO IL FENOMENO PERCHE’ SI RISCHIA L’EMULAZIONE

- Intervista con Maria Rita Parsi -

 

Fenomeni di bullismo, violenza e aggressività nelle scuole. La cronaca di questi ultimi giorni ha riproposto alcuni casi scioccanti: un bambino down picchiato e irriso dai compagni, il tutto filmato e trasmesso su Internet, dove - prima che una denuncia ne bloccasse la visione - è stato cliccato migliaia di volte; e ancora una ragazza ha pestato a sangue una compagna, rivale in amore e l’aggressione ha fatto il giro della scuola sul videofonino. Il servizio di Roberta Gisotti.

 

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“E’ tanta la violenza che aggredisce la scuola da dentro ed è altrettanta quella che reagisce da dentro”, scrive oggi sul giornale “La Repubblica” il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni, chiedendo un fronte comune tra scuola, famiglia, istituzioni, associazioni per contrastare l’abbandono della gioventù ai media, Tv videofonini, dvd, videogiochi, che spesso vanificano qualsiasi opera educativa. Ne parliamo con Maria Rita Parsi, psicopedagogista, autrice di numerosi saggi sull’infanzia e l’adolescenza. Lei è d’accordo con l’analisi del ministro?

 

R. – Mi piace moltissimo il passaggio che dice proprio che la scuola intende fare la sua parte a 360 gradi. Si parla di aggiornamento degli insegnanti, di integrazione culturale, fino ad arrivare poi all’integrazione con il territorio e a quello che da 30 anni si attende di fare, ovvero alla scuola come centro culturale polivalente, aperto dalla mattina alla sera. Quindi, nel pomeriggio: laboratori, collegamenti con il territorio e quindi possibilità di fornire altri strumenti di partecipazione e di integrazione, di rapporto con i genitori e con le istanze culturali del territorio. Quindi, un’attività culturale che crei valori che possano bloccare quest’anomia, questo atteggiamento di assoluto degrado, legato proprio all’incapacità di educare, che non solo le famiglie o non solo la scuola, ma anche la società ha, se siamo arrivati ad un uso della violenza come forma di comunicazione, che sta emergendo e sta emergendo grazie al virtuale.

 

D. - Che cosa spinge questi ragazzi a filmare le proprie malefatte, è una perversione che si va diffondendo con il culto dell’immagine?

 

R. - Direi che sia legata, torno a dire, al tipo di società in cui siamo immersi. Questi ragazzi sono cresciuti davanti alla televisione, cui si è aggiunto poi l’uso delle play-station, dei computer, di internet, dei video telefonini. Sono educati e abituati ad un uso, tra l’altro, non controllato, non mediato da regole, da leggi, da un’educazione di questi media che passi attraverso la scuola. Questi ragazzi sono nati ‘digitando’. Crescono con questi strumenti, comunicano con questi strumenti, giocano. I bambini piccolissimi usano questi strumenti. Quindi, cosa accade? Per loro il fatto di filmare con un video-telefonino fa parte di un gioco, di una modalità di comunicare, che appartiene alla loro generazione, al loro tempo e quindi non c’è da stupirsi se fanno questo o filmano questo. Se anche questo filmato, queste immagini veramente di vergogna, sono state inventate - come alcuni dicono - è comunque il soggetto che dovrebbe far riflettere.

 

D. - Tornando al bullismo, possiamo pensare che il parlarne nei media, senza poi contrastare il fenomeno nella sostanza, possa aumentare il rischio di emulazione?

 

R. – E’ assolutamente così, per questi episodi e tutti gli altri episodi di violenza, di aggressione, legati al mondo della pedofilia, dello sfruttamento, dell’abuso, per tutto quello che riguarda proprio l’orrore nero, drammatico legato ai fatti più atroci, che giornalmente passano nella cronaca, non solo dei giornali, ma in particolare della televisione e degli altri dei media; se a questo non segue un attento lavoro di trasformazione, visibile perché i ragazzi si accorgano che accade qualcosa nella società e che subito c’è una risposta ‘forte’ sociale, civile con manifestazioni, libri, conferenze… ed anche all’interno della scuola, nei luoghi dove loro sono abituati a vivere, non cambiano leggi, atteggiamenti, comportamenti, regole, se tutto questo non avviene, se non c’è un mutamento di fronte a tanto orrore, immediatamente questi episodi diventano una moda, diventano il desiderio di emulare. Perchè, comunque, se questi fatti vengono ampiamente pubblicizzati, si fa un gran baccano, una grande messa in scena, e poi tutto passa, in fondo tutti diventano conniventi. Allora si può continuare a fare quelle azioni, si può ancora giocare con questi fatti.

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UN MISSIONARIO DELLA CONSOLATA, IN COLOMBIA, PER RIPORTARE LA SPERANZA

TRA I POVERI DELLE BARACCOPOLI DI BOGOTA’

- Intervista con padre Gianfranco Testa -

 

Con i suoi 45 milioni di abitanti, la Colombia è uno dei Paesi più popolosi dell’America Latina. A frenare lo sviluppo di una terra ricca, sia sul versante naturale che umano, è una guerra civile che da quarant’anni insanguina il Paese con decine di migliaia di morti. Forti le disuguaglianze sociali ed economiche: il 53% della terra è nelle mani di poco più dell’uno per cento dei colombiani. E la guerra aggrava ulteriormente la situazione dei tanti poveri, come racconta al microfono di Antonella Villani padre Gianfranco Testa, missionario della Consolata che da diversi anni vive a Bogotà:

 

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R. – C’è come una grande indifferenza, soprattutto per la sofferenza dei contadini, la gente che deve scappare, cioè i desplazados. Hanno una mucca, hanno qualche pianta per riuscire a mangiare dei frutti e da un giorno all’altro perdono tutto. Devono scappare e rifugiarsi nelle grandi città, nell’anonimato, nella difficoltà.

 

D. – Lei vive a Bogotà, una città che, come tutto il resto del Paese, ha due volti…

 

R. – Sì, c’è una città molto ricca e poi una città che vive alla giornata, cercando di sopravvivere.

 

D. – Lei opera a Ciudad de Olivar, un quartiere all’estrema periferia meridionale di Bogotà, un quartiere molto difficile…

 

R. – Ci sono quasi un milione di abitanti. Si va lì per stare insieme alla gente. C’è la celebrazione della Messa, ci sono gli incontri con i giovani, ma l’importante mi sembra proprio “camminare”. Il pullman, infatti, non arriva fin lì, bisogna fare un bel pezzo a piedi nel fango, perché la strada non è asfaltata. Il fatto di stare insieme alla gente, credo sia quello che porta la fiducia, la confidenza, il poter ascoltare anche dolori gravi o anche delle confessioni su fatti tristi, perchè alcuni di loro hanno lasciato le armi, ma dentro portano il peso di quello che hanno dovuto fare, perchè erano arruolati in gruppi guerriglieri o paramilitari.

 

D. – Il quartiere è anche molto violento. Cosa vuol dire portare la parola di Dio in mezzo a chi spara?

 

R. – Cerchiamo sempre di fare un discorso di vita, perchè nessuno può entrare nel campo di Dio per strappare quelle che considera le erbacce, le quali poi magari con il tempo possono anche dare buoni frutti. Quindi, questa parola è a difesa della vita. Dobbiamo rispettarci. Se qualcuno ha delle difficoltà nel vivere, bisogna aiutarlo a recuperare il senso della sua vita, ad avere delle ragioni per vivere. Ci vuole molta pazienza. Non si condanna nessuno: bisogna avere sempre le porte aperte, perché si deve dare fiducia affinchè sentano che la Chiesa li accetta, li accoglie con simpatia.

 

D. – Come vive la comunità cristiana in questo quartiere?

 

R. – All’inizio venivano a Messa dieci, dodici persone. Adesso la casa si riempie di gente. La seconda Messa la celebro in una vera baracca, dove non c’è il pavimento. Quindi, è un polverone e quando piove c’è tanto fango. Non abbiamo una presenza della Chiesa visibile. La presenza della Chiesa è questo prete che cammina in mezzo alla gente, che li saluta. Saluto tutti, perchè la gente ha bisogno di Dio, ha bisogno di un momento di preghiera.

 

D. – Voi avete bisogno di aiuti mirati?

 

R. – Io dico sempre che nel quartiere arrivano troppi aiuti, che creano una dipendenza. Io credo che la cosa più importante sia la formazione che libera la mente, la formazione tecnica per imparare certi mestieri e l’organizzazione della gente.

 

D. – Anche perché, altrimenti, non si riusciranno mai a mettere d’accordo tante anime diverse riunite sotto uno stesso quartiere…

 

R. – Il quartiere è realmente una fotografia di tutto il Paese. Ci sono neri, indigeni, gente che è scappata da tutte le parti. Sono culture diverse. Quindi, bisogna mettere insieme quantità di cammini, di strade, di storie, di tradizioni, di culture e formare un ambiente dove tutti abbiano il diritto di stare insieme, collaborare, mantenendo la propria fisionomia.

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IN EDICOLA, CON “FAMIGLIA CRISTIANA”,

IL NUOVO VOLUME DELL’OPERA ENCICLOPEDICA SU “I SANTI NELLA STORIA”

- Intervista con don Antonio Sciortino -

 

E’ in edicola, insieme all’ultimo numero del settimanale “Famiglia cristiana”, il secondo volume della serie “I santi nella storia”. Un’opera enciclopedica che presenterà oltre 3000 santi in 13 volumi: uno per ogni mese dell’anno, più l’ultimo contenente gli indici, i patroni e molte altre curiosità. Ogni giorno esperti, come Bruno Forte, Gianfranco Ravasi, Enzo Bianchi, Vincenzo Paglia, Franco Cardini, raccontano vita, opere ed insegnamenti dei santi più importanti e più amati, a cominciare dai Padri della Chiesa ai grandi maestri e fondatori, fino a quelli del ventesimo secolo. Preziosi per conoscere la storia della Chiesa, i volumi sono accuratamente illustrati da importanti opere artistiche tratte dai musei, dalle biblioteche e dagli archivi fotografici internazionali. In totale quest’opera, che ha caratteristiche inedite, conterà 2000 pagine e più di 5000 immagini d’arte. Ad ogni volume viene poi allegato un santino a colori su carta pergamena con fondo d’oro. Su quest’opera, Padre Vito Magno ha intervistato il direttore di “Famiglia Cristiana”, don Antonio Sciortino:

 

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R. – Io credo che sia un’impresa richiesta e soprattutto necessaria, perchè mai come oggi c’è bisogno di dare contenuti alla nostra fede e al nostro credere. Questa iniziativa non è un’iniziativa isolata, perché nelle case dei nostri lettori noi abbiamo già fatto arrivare i classici della tradizione cristiana, una storia della Chiesa e adesso aggiungiamo un altro mattone per costruire questa grande biblioteca cristiana.

 

D. – Cosa ha di originale questa biblioteca cristiana?

 

R. – Questa biblioteca cristiana vuole portare nelle case degli italiani quei libri che non possono assolutamente mancare e appunto la conoscenza della vita dei Santi di cui noi portiamo il nome, ma di cui spesso non conosciamo assolutamente nulla; di coloro che sono stati testimoni del Vangelo, di coloro che hanno incarnato la fede cristiana nella storia. Questo è risultato evidente anche da un sondaggio che abbiamo fatto per lanciare questa grande inedita iniziativa editoriale di Famiglia Cristiana.

 

D. – Nello scegliere i Santi, anche se sono 3 mila, non si è corso il pericolo di far restare fuori qualcuno?

 

R. – Noi abbiamo detto e scritto che questa è un’opera aperta, perchè per quanto sia vasta e imponente c’è sempre qualcosa che resta fuori o qualcosa che si può ancora approfondire o allargare.

 

D. – Don Antonio Sciortino, prima accennava ad un sondaggio, che sorprese sono venute fuori?

 

R. – La sorpresa più grande è che c’è tanta devozione in Italia. L’Italia è ancora radicata nella fede popolare, perchè il 70 per cento del campione rappresentativo della popolazione dei cattolici italiani si è rivolto ad un Santo o porta con sé un Santo in casa, in macchina, o nel portafoglio. A questa grande devozione popolare, però, spesso manca un contenuto, manca una conoscenza, per cui questa devozione rischia, se non alimentata dalla Parola di Dio, di diventare veramente superstizione o idolatria. Viene fuori questa immagine: credenti molto devoti, ma spesso anche tanto ignoranti. Ad esempio, solo un terzo del campione sa chi è la Santa patrona d’Italia e molti confondono Santa Chiara con Santa Caterina. C’è molto da lavorare per dare contenuto alla nostra fede. E questa nostra iniziativa è proprio in questo senso. E’ un’opera culturale nel senso che ci dà dei contenuti, ma è anche un’opera pastorale perchè ci dà la testimonianza di coloro che hanno saputo incarnare il cristianesimo lungo i secoli.

 

D. – Fatto più eclatante, ripreso poi da numerosi giornali, è che il 2 per cento degli italiani prega Gesù, mentre in testa alla classifica c’è Padre Pio con addirittura il 31 per cento. Si è un po’ esagerato con le devozioni in Italia o no?

 

R. – La percentuale che lei citava è un dato, in qualche modo, preoccupante, perché non si riesce neanche a distinguere i vari piani della santità e addirittura i Santi e Gesù Cristo. Per cui alla domanda “A quale Santo ti sei rivolto?”, a volte, non si distingue neppure il Santo da Gesù Cristo. Veramente l’eccesso di devozione, se non ha contenuti forti, come dicevo della Parola di Dio, rischia di diventare un fatto che poi degenera.

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CHIESA E SOCIETA’

13 novembre 2006

 

 

SANT’AGOSTINO UOMO DEL DIALOGO E PONTE FRA CULTURE DIVERSE: E’ QUESTO

IL MESSAGGIO CHE HA VOLUTO DARE IL PELLEGRINAGGIO DELLA FIACCOLA ACCESA

 IN ALGERIA IL 23 OTTOBRE E GIUNTA IERI A PAVIA

- A cura di Tiziana Campisi -

 

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PAVIA. = “La fiaccola del dialogo di Sant’Agostino è segno dell’incontro fra civiltà diverse e ora offre nuove opportunità di dialogo”. Così il vescovo di Pavia, Giovanni Giudici, ieri pomeriggio nella Basilica pavese di San Pietro in Ciel d’Oro. Il presule ha presieduto una Messa solenne, alla quale hanno preso parte rappresentanti di diverse confessioni religiose, dopo l’arrivo della fiaccola, accesa il 23 ottobre in Algeria, dove Sant’Agostino è nato e ha esercitato il ministero episcopale. “Non si accende una lucerna per metterla sotto il mogio, ma sopra il lucerniere, perchè faccia luce”, dice il Vangelo di Matteo. Accogliendo la parola di Gesù, gli agostiniani vogliono portare la luce di Cristo al mondo, attraverso quel chiarore donato alla Chiesa da Sant’Agostino, con gli scritti e il ministero episcopale. L’impegno dei religiosi, che vivono secondo la regola del vescovo di Ippona, è quello di servire con generosità ed entusiasmo l’umanità, nella carità, nel servizio pastorale, nello studio. E a simboleggiare questo impegno, dalla fiaccola del dialogo di Sant’Agostino sono state accese 56 lampade votive. Ora ardono intorno all’arca marmorea che custodisce le reliquie del vescovo di Ippona. Rappresentano tutte le realtà agostiniane nel mondo, che vogliono portare in tutta la terra il dialogo e la pace. Per questo, ad accompagnare l’accensione delle lampade c’erano diversi ambasciatori presso la Santa Sede. La loro presenza - ha detto mons. Giovanni Giudici - è segno di una preziosa alleanza tra i popoli che può costruire tanta solidarietà. Il presule ha voluto ricordare l’esperienza personale di Sant’Agostino che – ha detto – ha insegnato all’uomo a pensare, prestando attenzione al proprio cuore e a camminare verso Dio amando gli altri. E nell’anno in cui l’Ordine di Sant’Agostino festeggia 750 anni, la fiaccola del dialogo vuole essere segno d’amore, gettando luce lì dove ancora esistono incomprensioni, perchè sia il dialogo il primo mattone per costruire la pace.

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IN SOMALIA LE CORTI ISLAMICHE AVANZANO VERSO NORD, DOVE SONO GIA’ STATE

DISPIEGATE LE TRUPPE FEDELI AL PRESIDENTE AD INTERIM. SI TEMONO NUOVI SCONTRI DOPO LA VIOLENTA BATTAGLIA DI IERI, COSTATA LA VITA A 13 PERSONE

 

MOGADISCIO. = In Somalia, è in corso un ingente dispiegamento di truppe in una delle principali città della regione autonoma del Puntland, feudo del presidente ad interim somalo Abdullahi Yusuf. Lo riferiscono fonti locali precisando che le forze armate della provincia settentrionale potrebbero tentare, già oggi, di riprendere il controllo di Bandiradley, la strategica cittadina conquistata ieri dalle milizie delle Corti islamiche dopo intensi combattimenti costati la vita ad almeno 13 persone. Diventano dunque sempre più difficili gli sforzi per la pace: parlando all’agenzia missionaria MISNA il presidente del Parlamento somalo, Sharif Hassan Sheikh Aden, ha ribadito nei giorni scorsi che “l’unica strada percorribile per il futuro della Somalia è il dialogo”. Il presidente dell’Assemblea si trova a Mogadiscio, alla guida di una delegazione formata da circa 60 deputati, per rilanciare i negoziati. Intanto da Baidoa, sede del governo provvisorio a 250 chilometri dalla capitale somala, un portavoce dell’esecutivo ha giudicato “inaccettabile” un accordo firmato, nei giorni scorsi, tra l’Unione delle Corti islamiche e la delegazione di deputati. E’ stato anche elaborato un documento per la riconciliazione, sostenuto dal presidente del Parlamento somalo, che prevede la riapertura del processo di pace tra esecutivo del Paese africano e Corti islamiche. Il processo di pace, avviato a giugno con la mediazione della Lega Araba, era stato interrotto lo scorso primo novembre. Le trattative con le corti islamiche appaiono, adesso, in una grave fase di stallo: il portavoce delle corti ha dichiarato, ieri, che le milizie islamiche avanzeranno fin quando “la sharia non sarà legge in tutta la Somalia”. (A.L.)

 

 

“SIAMO VENUTI PER ADORARTI, GESÙ”. E’ LA PREGHIERA RIPETUTA DA DECINE

DI MIGLIAIA DI PERSONE CHE HANNO PARTECIPATO, IERI, ALLA PROCESSIONE

EUCARISTICA TENUTASI A SHILLONG, NELL’EST DELL’INDIA

 

SHILLONG. = Più di 60.000 cattolici hanno preso parte ieri alla Processione Eucaristica a Shillong, capitale dello Stato di Meghalaya, nell’India nordorientale. Il vescovo di Tura, mons. George Mamalassery – riferisce l’Agenzia Vaticana Fides - ha portato il Santissimo Sacramento attraverso la città su un carro addobbato e migliaia di persone hanno atteso l’arrivo della processione lungo i lati della strada. L’evento è stato trasmesso anche da radio e televisioni. “Come i primi cristiani - ha detto mons. Mamalassery - ci riconosceranno discepoli di Gesù dall’amore che avremo gli uni per gli altri”. Un sacerdote, padre Michael Marbaniang, ha poi auspicato che “la testimonianza della nuova speranza che il Signore Risorto ci ha dato possa cambiare in positivo la vita delle persone”. Rivolgendosi ai fedeli, il ministro per l’Energia dello Stato di Manipur, Francis Najope, ha quindi ricordato sua figlia Elizabeth di 8 anni, rapita e uccisa tre anni fa. “Noi l’abbiamo amata – ha detto il ministro – ma Dio la ama di più”. “Padre – ha quindi aggiunto Francis Najope pronunciando le parole di Gesù - perdonali perché non sanno quello che fanno". Il ministro e sua moglie hanno ringraziato, infine, il Signore per il dono del perdono, e hanno pregato insieme con le decine di migliaia di fedeli che hanno manifestato la loro fede in Gesù presente nell’Eucaristia. (A.L.)

 

 

IN CINA, DUE MILA PERSONE HANNO MANIFESTATO CONTRO UN OSPEDALE DOVE UN BAMBINO DI 4 ANNI E’ MORTO PER MANCANZA DI CURE. LA FAMIGLIA NON AVEVA

PAGATO LA SOMMA RICHIESTA PER IL RICOVERO

 

PECHINO. = Due mila persone hanno manifestato in Cina, nella provincia del Sichuan, contro un ospedale di Guangan, dove un bambino è morto a causa della mancanza di cure perché la famiglia non poteva pagarne il ricovero. Le proteste sono state veementi e, negli scontri con la polizia, sono rimaste uccise almeno 3 persone. Le autorità, che non hanno ufficialmente confermato questi decessi, hanno aperto un’inchiesta. Sulla vicenda, non sono state fornite molte informazioni: secondo fonti locali, un bambino di 4 anni è stato portato d’urgenza all’ospedale dopo aver ingerito per errore un pesticida. Il nonno ha riferito che non è stata fatta la lavanda gastrica, perché i suoi familiari non potevano versare la somma richiesta dall’ospedale, circa 70 euro. Il bambino – spiega poi l’Agenzia Asia News - è morto due ore dopo il suo ingresso nel nosocomio. Si tratta dell’ultimo di una lunga serie di casi collegati alla sanità pubblica cinese. Negli ultimi mesi - denunciano attivisti per i diritti civili - i governi locali cinesi hanno cercato di coprire con il silenzio diversi episodi di malasanità. Secondo il ministro della Sanità, il problema nasce dalla carenza di fondi statali destinati all’assistenza medica. In Cina, dove ogni anno si registrano importanti tassi di crescita economica, la mancanza di fondi costringe gli ospedali e i centri medici a far pagare i servizi agli ammalati per coprire le spese e a vendere i medicinali ad un prezzo 10 volte più alto. (A.L.)

 

 

IN SPAGNA, AL VIA OGGI L’INCONTRO “FRANCESCO SAVERIO. RITORNO E INCONTRO”, NELL’AMBITO DEL V CENTENARIO DELLA NASCITA DEL SANTO. LO SCOPO È

DI DIVULGARE IL MODO IN CUI LE VARIE COMUNITÀ CRISTIANE INTEGRANO

IL LORO VISSUTO CON IL SERVIZIO ACCANTO AI BISOGNOSI

 

JAVIER. = Nell’ambito del V centenario della nascita di San Francesco Saverio, prende il via oggi a Javier, in Spagna, un incontro dal titolo “Francesco Saverio. Ritorno e incontro. Missione e impegno per una vita degna e per la giustizia”. L’iniziativa, che si concluderà giovedì prossimo, è organizzata dalla Provincia gesuita di Loyola, insieme con Alboan, organizzazione di cooperazione internazionale della Compagnia di Gesù e dall’Università di Deusto. E’ previsto l’intervento di gesuiti e laici impegnati in attività di assistenza a malati di AIDS, emarginati, bambini vittime di violenze e immigrati. Attraverso la presentazione e la condivisione di esperienze nei quattro Continenti, si intende mettere in luce l’impegno con cui le comunità cristiane, di differenti latitudini, integrano il loro vissuto con il servizio accanto ai sofferenti. Si vuole così approfondire il significato di tali esperienze per la vita di tutta la Chiesa e per il rapporto tra la Chiesa in Europa e le Chiese nei territori di missione.

 

 

L’ARCIVESCOVO ANGLICANO DI YORK DENUNCIA L’ASSENZA DI SCENE LEGATE

ALLA NATIVITÀ NEL FRANCOBOLLO EMESSO DALLE POSTE BRITANNICHE PER IL NATALE. SI TRATTA, SECONDO L’ARCIVESCOVO, DI UNA ULTERIORE CONFERMA

DELLA “SISTEMATICA EROSIONE” DEL CRISTIANESIMO

 

YORK. = In Gran Bretagna, l’arcivescovo anglicano di York, John Sentamu, ha criticato le Poste britanniche per il francobollo emesso in occasione del Natale di quest’anno: sul francobollo non c’è alcuna scena di natività e alcun simbolo cristiano. Secondo l’arcivescovo, si tratta di un’ulteriore conferma di una “sistematica erosione” del cristianesimo. L’arcivescovo fa anche notare che molti rappresentanti di governo, in occasione del Natale, non inviano più biglietti di auguri con scritto ‘Happy Christmas’ e preferiscono, invece,Season's Greetings’ (auguri per le festività). E questa “sistematica erosione” del cristianesimo, continua il presule anglicano, è evidenziata anche da altre decisioni: a Torbay, ad esempio, è stata tolta la Croce da un crematorio e a Plymouth è stato abolito il parcheggio gratuito per chi si reca a Messa la domenica mattina. Intervenendo sulla questione del francobollo, le Poste britanniche hanno detto che quest’anno non c’è una scena della natività perché nella scelta ha pesato la “rotazione dei soggetti”. (A.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

13 novembre 2006

 

- A cura di Roberta Moretti -

 

Ancora sangue in Iraq. Almeno 16 persone sono rimaste uccise in due diversi attentati nel quartiere al Shaab di Baghdad. Il primo, e più sanguinoso, è stato opera di un kamikaze che si è fatto saltare in aria vicino a un autobus. Pochi minuti dopo, un'autobomba è esplosa vicino a un ristorante popolare. Sempre nella capitale le forze americane hanno ucciso 8 “insorti” ed hanno arrestato altri 41 sospetti estremisti durante una serie di blitz. Assassinati, inoltre, un alto ufficiale della polizia irachena e il suo autista a Baghdad e un cameraman del canale tv iracheno ‘Al Sharqiya’ a Mosul, nel nord. A Latifiya, infine, le forze di sicurezza hanno ritrovato i corpi decapitati di 9 delle 13 persone rapite sabato nella cittadina di Diwaniya, a sud di Baghdad. Sul fronte politico, il premier iracheno, al Maliki, ha ribadito l’intenzione di dissolvere le milizie che alimentano la violenza settaria.

 

Il Libano alle prese con una grave crisi interna, che rischia di gettare il Paese nuovamente nel caos. Stamane nuove dimissioni dal governo libanese guidato da Fouad Siniora, rassegnate da Yaacub Sarraf, finora ministro dell’Ambiente, molto vicino al presidente della Repubblica filosiriano, Emile Lahoud. E’ il sesto membro dell’esecutivo a farsi da parte, dopo i cinque ministri sciiti che si    erano dimessi sabato in seguito al fallimento dei negoziati per ritrovare l’unità ai vertici delle istituzioni. Questa ennesima rinuncia è giunta a ridosso della riunione in cui è stata decisa l’istituzione di una corte penale internazionale, incaricata di processare i sospetti responsabili dell’omicidio di Rafik al-Hariri, l’ex premier assassinato nel febbraio 2004 a Beirut. Stefano Leszczynski ha intervistato Camille Eid, giornalista di Avvenire esperto della questione libanese:

 

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R. – Si assiste ad una spaccatura molto profonda perché abbiamo due schieramenti molto precisi, con delle accuse reciproche. Uno schieramento che accusa l’altro di trascinare il Libano in un asse Damasco-Teheran e di impedire la costituzione di un tribunale internazionale che dovrebbe giudicare poi i responsabili e i mandanti e gli esecutori dell’assassinio dell’ex premier Hariri, e l’altro schieramento che accusa il primo di trascinare il Libano in un asse Tel Aviv-Washington e quindi portare il Libano al di fuori del suo contesto regionale in una crisi molto più ampia.

 

D. – Nuovamente si presenta il Libano come terreno di scontro di una geopolitica internazionale ma è effettivamente così o il Libano deve fare i conti con problemi di politica interna tra diversi gruppi?

 

 

R. – Purtroppo la presenza di molte confessioni in Libano rende facile usare il Libano a scopi che non riguardano i suoi interessi diretti. Purtroppo la comunità sciita è sempre stata a una strumentalizzazione di questo tipo da parte della Siria  e dell’Iran mentre le altre comunità sono più o meno compatte dietro i loro leader nel campo avverso.

 

D. – Il presidente del Parlamento, che tra l’altro è un leader sciita, ha ammonito le parti e ha detto che c’è il rischio, se si lascia incancrenire la crisi, di arrivare ad una nuova guerra civile…

 

R. – Questo rischio per ora è abbastanza lontano perché nessun partito e formazione politica intende portare il Libano di nuovo a questo pericolo. Ovviamente ci sono interessi da parte della Siria o di altri Paesi a fomentare una crisi di questo tipo con l’obiettivo di impedire la formazione del tribunale internazionale.

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Medio Oriente. Proseguono oggi a Damasco, in Siria, i contatti per la costituzione di un governo palestinese di unità nazionale, mentre il presidente dell’ANP, Abu Mazen, si è recato ad Amman per illustrare al re Abdallah II di Giordania la probabile nuova coalizione che includerà Hamas e al-Fatah. Intanto, la situazione medio-orientale è al centro dei colloqui, con i vertici statunitensi, del premier israeliano Olmert, che oggi a Washington incontrerà il presidente USA, Bush. Ieri, l’incontro a porte chiuse con il segretario di Stato americano, Condoleeza Rice. E in un’intervista al quotidiano palestinese al-Quds, Olmert ha espresso la possibilità di un dialogo con Hamas, se il partito accetterà le condizioni di USA, UE, ONU e Russia, e cioè, il ripudio della violenza, il riconoscimento di Israele e l'impegno a rispettare gli accordi sottoscritti dall'ANP.

 

Israele è condannato “alla sparizione e alla distruzione”: lo ha dichiarato ieri, in una riunione del governo, il presidente iraniano, Ahmadinejad, secondo cui “le grandi potenze hanno creato il regime sionista per estendere il loro dominio nella regione” mediorientale. Da parte sua, il ministro degli Esteri Israeliano, Livni, ha replicato che l’Iran è una minaccia per la comunità internazionale. Intanto, mentre a Washington si discute se coinvolgere Iran e Siria per stabilizzare la situazione in Iraq, un portavoce del governo di Teheran ha auspicato che gli Usa compiano “una virata di 180 gradi” e cessino la loro “politica guerrafondaia” nella regione.

 

Catturato dalle forze americane in Afghanistan un militante di al Qaida evaso dalla prigione nella base USA di Bagram. L’uomo, identificato come Abu Nasir al-Qhatani, è stato fermato insieme ad altri 5 “estremisti” durante un’operazione nella provincia di Khost. Intanto, uno studio congiunto del governo di Kabul, dei Paesi sostenitori e dell’ONU, rivela che nel 2006 sono morte almeno 3700 persone per la violenza in Afghanistan, almeno mille delle quali civili. Un numero quattro volte superiore alle vittime degli scorsi anni.

 

E sull’Afghanistan “l’opzione politica non può essere messa in atto se non si mantiene un’opzione militare sul territorio”: è quanto ha dichiarato il premier italiano, Romano Prodi, circa un eventuale ritiro del contingente italiano dall’Afghanistan. Prodi si è augurato che la proposta per una Conferenza internazionale sul Paese abbia successo.

 

Stato di allerta nei 36 aeroporti del Pakistan, dopo informazioni dei servizi di intelligence su possibili attacchi terroristici. Lo riferisce il principale giornale locale, The Dawn, secondo cui due aeroporti della provincia del Beluchistan sono in “allarme rosso”.

 

Potrebbero ricominciare all’inizio di dicembre, in una sede ancora da stabilire, i colloqui a sei sul riarmo nucleare nord-coreano, cui partecipino anche rappresentanti di Pyongyang: lo ha dichiarato l’ambasciatore russo a Tokyo. Una decisione dovrebbe essere presa alla fine della settimana, quando a Hanoi, in Vietnam, si riuniranno i leader degli altri cinque Stati coinvolti nei colloqui, cioè, USA, Cina, Giappone, Corea del Sud e la stessa Russia.

 

Andiamo in Africa. Storico incontro ieri in sud Sudan tra il coordinatore degli affari umanitari dell’ONU, Jan Egeland, e Joseph Kony, uno dei massimi capi ribelli dell’Uganda. Il leader cerca di evitare di essere messo alla sbarra dalla Corte Penale Internazionale in cambio del sensibile progresso del processo di pace ugandese. Giulio Albanese:

 

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Jan Egeland ha avuto prima un incontro con il numero due del cosiddetto Esercito di liberazione del signore, Vincent Otti, e poi con il capo del gruppo armato, Joseph Kony, il quale ha chiesto aiuto per ottenere la revoca del mandato di cattura emesso contro di lui e altri membri del suo gruppo dalla Corte penale internazionale dell’Aja. I colloqui, che sono avvenuti in una tenda dell’ONU, mentre al di fuori si fronteggiavano, armi in pugno, i sudanesi dell’SPLA, ora integrati nelle forze armate, e i ribelli     ugandesi, hanno evidenziato il vero nodo da sciogliere per una soluzione della crisi che affligge il nord Uganda: il destino di Kony. Se infatti rimanesse nella clandestinità, il processo di pace potrebbe essere pregiudicato o quanto meno davvero partire male.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Per la seconda volta in 14 anni, l’Ossezia del Sud, piccola regione separatista della Georgia, ha confermato con un referendum la sua volontà di indipendenza da Tbilisi, per entrare nell’area di influenza della Russia, e di essere riconosciuta a livello internazionale. Schiacciante la maggioranza per l’indipendenza: i voti favorevoli all’indipendenza sono stati il 99% di quelli espressi. L’esito del voto, che non è stato riconosciuto dalla Georgia e dall’Unione Europea, rischia di rendere ancora più tesi i rapporti non solo tra Russia e Georgia, ma anche tra Mosca e Bruxelles. Sulle conseguenze politiche immediate del voto Giancarlo La Vella ha intervistato Luigi Geninazzi del quotidiano “Avvenire”:

 

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R. – La cosa interessante e preoccupante è il momento in cui cade questo referendum e cioè il fatto che il braccio di ferro tra Putin e Saakashvili, il presidente georgiano, dura ormai da parecchio tempo e ultimamente ha raggiunto un livello veramente drammatico, pensiamo solo ad una misura odiosa presa dal Cremlino come il rimpatrio forzato degli immigrati georgiani. Questa volta, a differenza di quello che era successo in passato, penso che Putin abbia intenzione di prenderlo sul serio e di alzare il livello dello scontro con la Georgia.

 

D. – Dietro la vicenda russa georgiana c’è l’Unione Europea accusata da Mosca di voler disgregare la compattezza dei Paesi che facevano parte dell’ex Unione sovietica. Qual è l’obiettivo di Bruxelles?

 

R. – Qui il problema è veramente delicato, perché Putin ha già detto in modo molto chiaro che se l’Unione Europea, e in generale l’Occidente, vorrà arrivare all’indipendenza del Kosovo – come sappiamo, su questo problema c’è stata una guerra della NATO nel ’99 – allora la Russia si sentirà in diritto di aprire le porte anche ai fratelli russi che vogliono fare la secessione dalle altre repubbliche sovietiche, come la Georgia. Quindi la sfida è veramente pesante in questo caso. Sappiamo che già c’è stata una prima conseguenza, abbastanza immaginabile: si attendeva una decisione della comunità internazionale sullo status del Kosovo per la fine di quest’anno e la cosa è saltata ancora un’altra volta ma è chiaro che così la vicenda internazionale si complica.

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Il rappresentante dell’Unione Europea per la Politica estera, Javier Solana, si è detto d’accordo con la decisione del caponegoziatore ONU, Martti Ahtisaari, di rinviare il rapporto sullo status finale del Kosovo, in attesa dell’esito delle elezioni in Serbia. “Sarà meglio dare una possibilità alle elezioni in Serbia e vedere se può arrivare un governo democratico forte che sarebbe di beneficio per tutti”, ha affermato Solana arrivando a una riunione dei ministri della Difesa dei Venticinque a Bruxelles.

 

E ieri si è votato anche in Polonia. Il partito conservatore Diritto e Giustizia (PIS) dei fratelli Lech e Jaroslav Kaczynski, rispettivamente presidente e pre-mier polacco, risulta più forte nei consigli provinciali e comunali, mentre la Piattaforma Civica (PO) di centro, la maggiore forza di opposizione, vince nei consigli regionali. I risultati finali non si conosceranno comunque prima di mercoledì prossimo. Su oltre 30 milioni di aventi diritto al voto, l’affluenza complessiva risulta intorno al 45%. Ballottaggio il 26 novembre per il sindaco di Varsavia, tra l’ex premier, Kasimierz Marcinkiewicz, e Hanna Gronkiewicz Waltz dell’opposi-zione.

 

Almeno 24 minatori sono rimasti uccisi ieri sera in Cina in seguito a un’esplosione in una miniera di carbone nel distretto di Lingshi, nella provincia settentrionale dello Shanxi. La deflagrazione sarebbe stata causata da un uso improprio di esplosivi. Il 5 novembre scorso, sempre nel Nord del Paese, un’altra esplosione in una miniera aveva fatto 35 morti.

 

Australia e Indonesia hanno firmato uno “storico” accordo in materia di antiterrorismo, sicurezza dei confini e intelligence, che riallaccia ed espande i legami di sicurezza fra i due Paesi, bruscamente interrotti sette anni fa dall'allora presidente indonesiano, Suharto. Allora l’Australia si era impegnata a sostenere la lotta di Timor est per l’indipendenza dopo 25 anni di dura occupazione indonesiana, poi ottenuta ad un alto prezzo di sangue. Oltre alla cooperazione militare, già prevista nell’accordo firmato nel 1995 con Suharto dall’allora premier laburista Paul  Keating, il nuovo accordo riguarda fra l’altro la condivisione della tecnologia, l’immigrazione, e la repressione della pesca illegale in acque australiane.

 

 

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