RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 317 - Testo
della trasmissione di lunedì 13 novembre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Ancora morti a Baghdad dopo la sanguinosa
domenica: intanto il premier annuncia un maxirimpasto del governo
13 novembre 2006
BENEDETTO XVI INCORAGGIA I NEGOZIATI PER
LA DENUCLEARIZZAZIONE
DELLA COREA DEL NORD, NEL DISCORSO AL NUOVO
AMBASCIATORE
DEL GIAPPONE PRESSO LA SANTA SEDE
I delicati negoziati sul nucleare in atto con la Corea del
Nord devono avvenire in modo pacifico, grazie al rispetto degli impegni presi.
Ad auspicarlo, e ad incoraggiare il confronto, è stato questa mattina Benedetto
XVI che ha ricevuto in udienza il nuovo ambasciatore del Giappone presso la
Santa Sede, Kagefumi Ueno,
per la presentazione delle lettere credenziali. Il Papa si è soffermato anche
sull’urgenza dell’aiuto ai Paesi poveri e sull’importanza del dialogo fra
culture e religioni. Il servizio di Alessandro De Carolis:
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La denuclearizzazione della
penisola coreana rappresenta, attualmente, un banco di prova della capacità
umana di stabilire relazioni per una pace “stabile e duratura” senza ricorrere
alle armi. Il caso che interessa da tempo lo
scacchiere internazionale, e che riguarda in prima battuta gli sforzi
diplomatici del Giappone, è stato preso ad esempio da Benedetto XVI sia per
ribadire un dato di fatto - e cioè “che la ricerca della pace fra le nazioni
deve essere una priorità delle relazioni internazionali” - sia per rimarcare un
principio universale: ovvero, che la “violenza non potrà mai essere una
risposta giusta ai problemi della società”, perché essa “distrugge la dignità, la
vita e la libertà dell’uomo” che invece “pretende di difendere”. Nel caso in
questione, Benedetto XVI ha incoraggiato la prosecuzione dei “negoziati
bilaterali o multilaterali”, convinto – ha detto – che la soluzione per la denuclearizzazione della penisola coreana debba essere
raggiunta “attraverso mezzi pacifici e nel rispetto degli impegni assunti da
tutte le parti in causa”.
Il Papa ha affrontato con il diplomatico giapponese anche
i temi della difesa della libertà religiosa e della solidarietà con i Paesi
poveri. Nel primo caso, Benedetto XVI si è rallegrato del rispetto goduto dalla
Chiesa cattolica nel Paese nipponico, e ha invitato al contempo i vescovi e le
comunità locali a vivere in stretta comunione di fede e a lavorare per la
“riconciliazione fra i popoli”. Ma il Pontefice ha pure apprezzato il “generoso
contributo” offerto dal Giappone alle nazioni che più da vicino conoscono la
miseria. “In effetti – ha osservato Benedetto XVI – è necessario che i legami
di interdipendenza tra i popoli, che crescono sempre più, siano accompagnati da
un intenso impegno affinché le conseguenze nefaste dovute alle forti disparità
che persistono tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo non si
aggravino, ma si trasformino in una solidarietà autentica, stimolando – ha
concluso il Papa – la crescita economica e sociale dei Paesi più poveri”.
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ALTRE UDIENZE E NOMINE
Nel corso della
mattinata, in successive udienze,
Benedetto XVI ha ricevuto mons.
Joseph Powathil,
arcivescovo di Changanacherry
in India, il signor Gilton Bazilio Chiwaula, ambasciatore del
Malawi in visita di congedo,
e nove presuli della Conferenza episcopale della Repubblica Federale di
Germania, in visita ad Limina, tra
cui il cardinale Friedrich Wetter, arcivescovo di
Monaco e Frisinga.
Nelle Filippine, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia
alla guida dell’arcidiocesi di Zamboanga, presentata
per raggiunti limiti di età da mons. Carmelo Dominator F.
Morelos. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Romulo Geolina Valles, finora vescovo di Kidapawan.
Il neo presule di Zamboanga, 55 anni, ha studiato
presso il “S. Francis Xavier Regional
Major Seminary” di Davao
City. Dopo l’ordinazione, è stato parroco in patria, quindi ha proseguito gli
studi presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma, conseguendo la Licenza in
S. Liturgia. Tornato nelle Filippine ha insegnato nel suo antico seminario
quindi, nel 1997, Giovanni Paolo II lo ha nominato vescovo di Kidapawan. Nell'ambito della Conferenza Episcopale delle
Filippine è presidente della Commissione per la Liturgia.
Sempre nelle Filippine, il Pontefice ha nominato vescovo
di Laoag mons. Sergio Lasam
Utleg, finora vescovo di Ilagan.
Nato a Solana 63 anni fa, ha svolto gli studi
filosofici e teologici presso l'Università S. Tommaso d'Aquino
a Manila. Ha poi conseguito la Licenza in Teologia a Roma presso la Pontificia
Università Gregoriana nel 1968. Ha svolto il ministero di parroco e
contemporaneamente si è occupato di Pastorale sociale. Eletto nel 1997 coadiutore di Ilagan,
è succeduto due anni più tardi. Nell'ambito della Conferenza Episcopale delle
Filippine è presidente della “Episcopal Commission on Indigenous Peoples”.
In Colombia, Benedetto XVI ha nominato ausiliare
dell’arcidiocesi di Cali padre José Alejandro Castaño Arbeláez, degli Agostiniani Recolletti, finora parroco del “Sagrado Corazón” in Manizales. Il
nuovo vescovo ha compiuto gli studi ecclesiastici di Filosofia nel Convento
degli Agostiniani Recolletti di Suba,
e quelli di Teologia presso
MONDIALIZZARE LA SOLIDARIETA’: COSÌ L’ARCIVESCOVO
AGOSTINO MARCHETTO,
SEGRETARIO
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI
E GLI
ITINERANTI A 50 ANNI DALLA FONDAZIONE DELLA BANCA DI SVILUPPO
DEL
CONSIGLIO D’EUROPA
Mondializzare la solidarietà: è il titolo dell’intervento
del Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, arcivescovo Agostino Marchetto, pronunciato
oggi a Parigi in occasione del 50 anniversario di fondazione della Banca di
Sviluppo del Consiglio d’Europa. Il servizio di Fausta Speranza:
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“La mondializzazione – sottolinea mons. Marchetto – è
caratterizzata soprattutto da fattori economici piuttosto che da fattori politici,
sociali o culturali”. In tutto ciò – spiega – “la dimensione umanitaria è
spesso dimenticata e vediamo emergere il divario economico tra Paesi ricchi e
Paesi poveri e tra ricchi e poveri all’interno dello stesso Paese, con il
fenomeno scandaloso dei nuovi schiavi”. C’è qualcosa, però, - aggiunge – che
“solleva una vera questione etica”: è il fenomeno migratorio che sembra
obbligare tutti alla “ricerca di un nuovo ordine economico internazionale, in
vista di una ripartizione più equa dei beni della terra che contribuirà a
ridimensionare in maniera significativa gran parte dei flussi di popolazioni in
difficoltà”. In generale dunque la cosiddetta mondializzazione ristruttura
gradualmente i modi di vivere e influenza sul piano dei mercati finanziari i rapporti
tra le persone, la vita quotidiana e il modo di pensare. Ma – avverte mons.
Marchetto – questo fenomeno, come tutti i più grandi cambiamenti avvenuti nella
storia del passato, andrebbe orientato nel senso dell’umanizzazione e non
lasciato, minimizzandone la portata, a se stesso. A questo proposito mons.
Marchetto cita Giovanni Paolo II che nella Centesimus
annus affermava: “La principale risorsa dell’uomo è
l’uomo stesso”. E dunque ecco l’obiettivo dichiarato da mons. Marchetto fin dal
titolo del suo intervento: mondializzare la solidarietà. Significa muoversi
“attraverso tutte le iniziative che difendono la dignità umana e che sono
orientate verso il bene comune universale”. Significa “riuscire a mondializzare
con l’economia il dovere della solidarietà e porre le condizioni di una vera
partecipazione e di una divisione mondiale dei beni e delle ricchezze,
materiali e spirituali”. Un punto fermo indispensabile sembra essere “l’unità
nel rispetto delle legittime differenze, soprattutto attraverso la condivisione
della conoscenza che – chiarisce mons. Marchetto – contrariamente ai beni
materiali arricchisce non solamente chi la riceve ma anche chi la dona”. E poi il Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i
migranti e gli itineranti indica percorsi concreti: lo sradicamento o almeno la
diminuzione progressiva della povertà nel mondo; l’integrazione nel mercato
mondiale degli esclusi; l’introduzione e la promozione dei prodotti dei Paesi
del terzo mondo; l’assicurazione a tutti dell’accesso alle risorse del pianeta
nel rispetto dell’ambiente; lo sviluppo dei paesi poveri anche con
l’annullamento dei debiti.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - "Il dovere della
corresponsabilità verso quanti sono privi del pane quotidiano e muoiono di
fame": all'Angelus della Giornata del Ringraziamento, Benedetto XVI esorta
ogni persona ed ogni famiglia ad adottare "uno
stile di vita e di consumo compatibile con la salvaguardia del creato e con
criteri di giustizia".
Il discorso del Papa al nuovo ambasciatore del
Giappone: nell'occasione il Santo Padre ha ricordato che un autentico dialogo
tra le religioni e le culture favorisce una vita comune fraterna e solidale per
lo sviluppo dell'uomo.
Servizio estero - L'intervento della Santa Sede sul
tema: "E' necessario rinvigorire la riflessione internazionale volta a
mettere in opera strumenti che impediscano alle nuove realtà militari di creare
problemi umanitari per la popolazione civile".
Servizio culturale - Un articolo di Marco Testi
sull'ultimo romanzo di Susanna Tamaro intitolato "Ascolta la mia
voce".
Servizio italiano - In primo piano il tema della
finanziaria.
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13 novembre 2006
DIBATTITO
IN ITALIA SU VIOLENZA E BULLISMO TRA I GIOVANI:
SOTTO
ACCUSA I MEDIA. MA ATTENZIONE A GRIDARE LO SCANDALO
SENZA
CONTRASTARE DAVVERO IL FENOMENO PERCHE’ SI RISCHIA L’EMULAZIONE
- Intervista con Maria Rita Parsi -
Fenomeni di bullismo, violenza e
aggressività nelle scuole. La cronaca di questi ultimi giorni ha riproposto
alcuni casi scioccanti: un bambino down picchiato e irriso dai compagni, il
tutto filmato e trasmesso su Internet, dove - prima che una denuncia ne
bloccasse la visione - è stato cliccato migliaia di
volte; e ancora una ragazza ha pestato a sangue una compagna, rivale in amore e
l’aggressione ha fatto il giro della scuola sul videofonino.
Il servizio di Roberta Gisotti.
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“E’ tanta la violenza che aggredisce la scuola da dentro
ed è altrettanta quella che reagisce da dentro”, scrive oggi sul giornale “
R. – Mi piace moltissimo il passaggio che dice proprio che
la scuola intende fare la sua parte a 360 gradi. Si parla di aggiornamento
degli insegnanti, di integrazione culturale, fino ad arrivare poi
all’integrazione con il territorio e a quello che da 30 anni si attende di
fare, ovvero alla scuola come centro culturale polivalente, aperto dalla
mattina alla sera. Quindi, nel pomeriggio: laboratori, collegamenti con il
territorio e quindi possibilità di fornire altri strumenti di partecipazione e
di integrazione, di rapporto con i genitori e con le istanze culturali del
territorio. Quindi, un’attività culturale che crei valori che possano bloccare
quest’anomia, questo atteggiamento di assoluto
degrado, legato proprio all’incapacità di educare, che non solo le famiglie o
non solo la scuola, ma anche la società ha, se siamo arrivati ad un uso della
violenza come forma di comunicazione, che sta emergendo e sta emergendo grazie
al virtuale.
D. - Che cosa spinge questi ragazzi a filmare le proprie
malefatte, è una perversione che si va diffondendo con il culto dell’immagine?
R. - Direi che sia legata, torno a dire, al tipo di
società in cui siamo immersi. Questi ragazzi sono cresciuti davanti alla
televisione, cui si è aggiunto poi l’uso delle play-station,
dei computer, di internet, dei video telefonini. Sono educati e abituati ad un
uso, tra l’altro, non controllato, non mediato da regole, da leggi, da
un’educazione di questi media che passi attraverso la scuola. Questi ragazzi
sono nati ‘digitando’. Crescono con questi strumenti, comunicano con questi
strumenti, giocano. I bambini piccolissimi usano questi strumenti. Quindi, cosa
accade? Per loro il fatto di filmare con un video-telefonino fa parte di un
gioco, di una modalità di comunicare, che appartiene alla loro generazione, al
loro tempo e quindi non c’è da stupirsi se fanno questo o filmano questo. Se
anche questo filmato, queste immagini veramente di vergogna, sono state
inventate - come alcuni dicono - è comunque il soggetto che dovrebbe far
riflettere.
D. - Tornando al bullismo,
possiamo pensare che il parlarne nei media, senza poi
contrastare il fenomeno nella sostanza, possa aumentare il rischio di emulazione?
R. – E’ assolutamente così, per questi episodi e tutti gli
altri episodi di violenza, di aggressione, legati al mondo della pedofilia,
dello sfruttamento, dell’abuso, per tutto quello che riguarda proprio l’orrore
nero, drammatico legato ai fatti più atroci, che giornalmente passano nella
cronaca, non solo dei giornali, ma in particolare della televisione e degli
altri dei media; se a questo non segue un attento
lavoro di trasformazione, visibile perché i ragazzi si accorgano che accade
qualcosa nella società e che subito c’è una risposta ‘forte’ sociale, civile
con manifestazioni, libri, conferenze… ed anche all’interno della scuola, nei
luoghi dove loro sono abituati a vivere, non cambiano leggi, atteggiamenti,
comportamenti, regole, se tutto questo non avviene, se non c’è un mutamento di
fronte a tanto orrore, immediatamente questi episodi diventano una moda,
diventano il desiderio di emulare. Perchè, comunque, se questi fatti vengono ampiamente pubblicizzati, si fa un gran baccano, una
grande messa in scena, e poi tutto passa, in fondo tutti diventano conniventi.
Allora si può continuare a fare quelle azioni, si può ancora giocare con questi
fatti.
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UN
MISSIONARIO DELLA CONSOLATA, IN COLOMBIA, PER RIPORTARE
TRA I
POVERI DELLE BARACCOPOLI DI BOGOTA’
-
Intervista con padre Gianfranco Testa -
Con i suoi 45 milioni di
abitanti,
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R. – C’è come una grande indifferenza, soprattutto per la
sofferenza dei contadini, la gente che deve scappare, cioè i desplazados. Hanno una mucca, hanno qualche pianta
per riuscire a mangiare dei frutti e da un giorno all’altro perdono tutto. Devono
scappare e rifugiarsi nelle grandi città, nell’anonimato, nella difficoltà.
D. – Lei vive a Bogotà, una
città che, come tutto il resto del Paese, ha due volti…
R. – Sì, c’è una città molto ricca e poi una città che
vive alla giornata, cercando di sopravvivere.
D. – Lei opera a Ciudad de Olivar, un quartiere all’estrema periferia meridionale di Bogotà, un quartiere molto difficile…
R. – Ci sono quasi un milione di abitanti. Si va lì per
stare insieme alla gente. C’è la celebrazione della Messa, ci sono gli incontri
con i giovani, ma l’importante mi sembra proprio “camminare”. Il pullman,
infatti, non arriva fin lì, bisogna fare un bel pezzo a piedi nel fango, perché
la strada non è asfaltata. Il fatto di stare insieme alla gente, credo sia
quello che porta la fiducia, la confidenza, il poter ascoltare anche dolori
gravi o anche delle confessioni su fatti tristi, perchè alcuni di loro hanno
lasciato le armi, ma dentro portano il peso di quello che hanno dovuto fare,
perchè erano arruolati in gruppi guerriglieri o paramilitari.
D. – Il quartiere è anche molto violento. Cosa vuol dire
portare la parola di Dio in mezzo a chi spara?
R. – Cerchiamo sempre di fare un discorso di vita, perchè
nessuno può entrare nel campo di Dio per strappare quelle che considera le
erbacce, le quali poi magari con il tempo possono anche dare buoni frutti.
Quindi, questa parola è a difesa della vita. Dobbiamo rispettarci. Se qualcuno
ha delle difficoltà nel vivere, bisogna aiutarlo a recuperare il senso della
sua vita, ad avere delle ragioni per vivere. Ci vuole molta pazienza. Non si
condanna nessuno: bisogna avere sempre le porte aperte, perché si deve dare
fiducia affinchè sentano che
D. – Come vive la comunità cristiana in questo quartiere?
R. – All’inizio venivano a Messa dieci,
dodici persone. Adesso la casa si riempie di gente. La seconda Messa la celebro
in una vera baracca, dove non c’è il pavimento. Quindi, è un polverone e quando
piove c’è tanto fango. Non abbiamo una presenza della Chiesa visibile. La
presenza della Chiesa è questo prete che cammina in mezzo alla gente, che li
saluta. Saluto tutti, perchè la gente ha bisogno di Dio, ha bisogno di un
momento di preghiera.
D. – Voi avete bisogno di aiuti mirati?
R. – Io dico sempre che nel quartiere arrivano troppi
aiuti, che creano una dipendenza. Io credo che la cosa più importante sia la
formazione che libera la mente, la formazione tecnica per imparare certi
mestieri e l’organizzazione della gente.
D. – Anche perché, altrimenti, non si riusciranno mai a
mettere d’accordo tante anime diverse riunite sotto uno stesso quartiere…
R. – Il quartiere è realmente una fotografia di tutto il
Paese. Ci sono neri, indigeni, gente che è scappata da
tutte le parti. Sono culture diverse. Quindi, bisogna mettere insieme quantità
di cammini, di strade, di storie, di tradizioni, di culture e formare un
ambiente dove tutti abbiano il diritto di stare
insieme, collaborare, mantenendo la propria fisionomia.
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IN
EDICOLA, CON “FAMIGLIA CRISTIANA”,
IL
NUOVO VOLUME DELL’OPERA ENCICLOPEDICA SU “I SANTI NELLA STORIA”
-
Intervista con don Antonio Sciortino -
E’ in edicola, insieme all’ultimo numero del settimanale
“Famiglia cristiana”, il secondo volume della serie “I santi nella storia”.
Un’opera enciclopedica che presenterà oltre 3000 santi in 13 volumi: uno per
ogni mese dell’anno, più l’ultimo contenente gli indici, i patroni e molte
altre curiosità. Ogni giorno esperti, come Bruno
Forte, Gianfranco Ravasi, Enzo Bianchi, Vincenzo
Paglia, Franco Cardini, raccontano vita, opere ed insegnamenti dei santi più
importanti e più amati, a cominciare dai Padri della Chiesa ai grandi maestri e
fondatori, fino a quelli del ventesimo secolo. Preziosi per conoscere la storia
della Chiesa, i volumi sono accuratamente illustrati da importanti opere
artistiche tratte dai musei, dalle biblioteche e dagli archivi fotografici
internazionali. In totale quest’opera, che ha caratteristiche inedite, conterà
2000 pagine e più di 5000 immagini d’arte. Ad ogni volume viene
poi allegato un santino a colori su carta pergamena con fondo d’oro. Su
quest’opera, Padre Vito Magno ha
intervistato il direttore di “Famiglia Cristiana”, don Antonio Sciortino:
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R. – Io credo che sia un’impresa richiesta e soprattutto
necessaria, perchè mai come oggi c’è bisogno di dare contenuti alla nostra fede
e al nostro credere. Questa iniziativa non è un’iniziativa isolata, perché
nelle case dei nostri lettori noi abbiamo già fatto arrivare i classici della
tradizione cristiana, una storia della Chiesa e adesso aggiungiamo un altro
mattone per costruire questa grande biblioteca cristiana.
D. – Cosa ha di originale questa biblioteca cristiana?
R. – Questa biblioteca cristiana vuole portare nelle case
degli italiani quei libri che non possono assolutamente mancare e appunto la
conoscenza della vita dei Santi di cui noi portiamo il nome, ma di cui spesso
non conosciamo assolutamente nulla; di coloro che sono stati testimoni del Vangelo,
di coloro che hanno incarnato la fede cristiana nella storia. Questo è risultato
evidente anche da un sondaggio che abbiamo fatto per lanciare questa grande inedita
iniziativa editoriale di Famiglia Cristiana.
D. – Nello scegliere i Santi, anche se sono 3 mila, non si
è corso il pericolo di far restare fuori qualcuno?
R. – Noi abbiamo detto e scritto che questa è un’opera
aperta, perchè per quanto sia vasta e imponente c’è sempre qualcosa che resta
fuori o qualcosa che si può ancora approfondire o allargare.
D. – Don Antonio Sciortino,
prima accennava ad un sondaggio, che sorprese sono venute fuori?
R. – La sorpresa più grande è che c’è tanta devozione in
Italia. L’Italia è ancora radicata nella fede popolare, perchè il 70 per cento
del campione rappresentativo della popolazione dei cattolici italiani si è
rivolto ad un Santo o porta con sé un Santo in casa, in macchina, o nel
portafoglio. A questa grande devozione popolare, però, spesso manca un
contenuto, manca una conoscenza, per cui questa devozione
rischia, se non alimentata dalla Parola di Dio, di diventare veramente
superstizione o idolatria. Viene fuori questa immagine: credenti molto devoti,
ma spesso anche tanto ignoranti. Ad esempio, solo un
terzo del campione sa chi è la Santa patrona d’Italia e molti confondono Santa
Chiara con Santa Caterina. C’è molto da lavorare per dare contenuto alla nostra
fede. E questa nostra iniziativa è proprio in questo senso. E’ un’opera
culturale nel senso che ci dà dei contenuti, ma è anche un’opera pastorale perchè
ci dà la testimonianza di coloro che hanno saputo incarnare il cristianesimo
lungo i secoli.
D. – Fatto più eclatante, ripreso poi da numerosi
giornali, è che il 2 per cento degli italiani prega
Gesù, mentre in testa alla classifica c’è Padre Pio con addirittura il 31 per
cento. Si è un po’ esagerato con le devozioni in Italia o no?
R. – La percentuale che lei citava è un dato, in qualche
modo, preoccupante, perché non si riesce neanche a distinguere i vari piani
della santità e addirittura i Santi e Gesù Cristo. Per cui alla domanda “A
quale Santo ti sei rivolto?”, a volte, non si distingue neppure il Santo da
Gesù Cristo. Veramente l’eccesso di devozione, se non ha contenuti forti, come
dicevo della Parola di Dio, rischia di diventare un fatto che poi degenera.
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13 novembre 2006
SANT’AGOSTINO UOMO DEL DIALOGO E PONTE FRA CULTURE
DIVERSE: E’ QUESTO
IL
MESSAGGIO CHE HA VOLUTO DARE IL PELLEGRINAGGIO DELLA FIACCOLA ACCESA
IN ALGERIA IL 23 OTTOBRE E GIUNTA IERI A PAVIA
- A
cura di Tiziana Campisi -
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PAVIA. = “La fiaccola del dialogo di Sant’Agostino
è segno dell’incontro fra civiltà diverse e ora offre nuove opportunità di
dialogo”. Così il vescovo di Pavia, Giovanni Giudici, ieri pomeriggio nella
Basilica pavese di San Pietro in Ciel d’Oro. Il
presule ha presieduto una Messa solenne, alla quale hanno preso parte rappresentanti di diverse confessioni religiose, dopo
l’arrivo della fiaccola, accesa il 23 ottobre in Algeria, dove Sant’Agostino è nato e ha esercitato il ministero episcopale.
“Non si accende una lucerna per metterla sotto il mogio, ma sopra il lucerniere, perchè faccia luce”, dice il Vangelo di Matteo.
Accogliendo la parola di Gesù, gli agostiniani vogliono portare la luce di
Cristo al mondo, attraverso quel chiarore donato alla Chiesa da Sant’Agostino, con gli scritti e il ministero episcopale.
L’impegno dei religiosi, che vivono secondo la regola del vescovo di Ippona, è quello di servire con generosità ed entusiasmo
l’umanità, nella carità, nel servizio pastorale, nello studio. E a
simboleggiare questo impegno, dalla fiaccola del dialogo di Sant’Agostino
sono state accese 56 lampade votive. Ora ardono intorno all’arca marmorea che
custodisce le reliquie del vescovo di Ippona. Rappresentano
tutte le realtà agostiniane nel mondo, che vogliono portare in tutta la terra
il dialogo e la pace. Per questo, ad accompagnare l’accensione delle lampade
c’erano diversi ambasciatori presso la Santa Sede. La loro presenza - ha detto
mons. Giovanni Giudici - è segno di una preziosa alleanza tra i popoli che può
costruire tanta solidarietà. Il presule ha voluto ricordare l’esperienza
personale di Sant’Agostino che – ha detto – ha
insegnato all’uomo a pensare, prestando attenzione al proprio cuore e a
camminare verso Dio amando gli altri. E nell’anno in cui l’Ordine di Sant’Agostino festeggia 750 anni, la fiaccola del dialogo
vuole essere segno d’amore, gettando luce lì dove ancora esistono
incomprensioni, perchè sia il dialogo il primo mattone per costruire la pace.
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IN
SOMALIA LE CORTI ISLAMICHE AVANZANO VERSO NORD, DOVE SONO GIA’
STATE
DISPIEGATE
LE TRUPPE FEDELI AL PRESIDENTE AD INTERIM. SI TEMONO NUOVI SCONTRI DOPO LA
VIOLENTA BATTAGLIA DI IERI, COSTATA LA VITA A 13 PERSONE
MOGADISCIO. = In Somalia, è in corso un ingente
dispiegamento di truppe in una delle principali città della regione autonoma
del Puntland, feudo del presidente ad interim somalo Abdullahi Yusuf. Lo riferiscono
fonti locali precisando che le forze armate della provincia settentrionale
potrebbero tentare, già oggi, di riprendere il controllo di Bandiradley,
la strategica cittadina conquistata ieri dalle milizie delle Corti islamiche
dopo intensi combattimenti costati la vita ad almeno 13 persone. Diventano
dunque sempre più difficili gli sforzi per la pace: parlando all’agenzia
missionaria MISNA il presidente del Parlamento somalo, Sharif Hassan Sheikh
Aden, ha ribadito nei giorni scorsi che “l’unica strada percorribile per il futuro
della Somalia è il dialogo”. Il presidente
dell’Assemblea si trova a Mogadiscio, alla guida di una delegazione formata da circa 60 deputati, per
rilanciare i negoziati. Intanto da Baidoa, sede
del governo provvisorio a 250 chilometri dalla capitale somala, un portavoce
dell’esecutivo ha giudicato “inaccettabile” un accordo firmato, nei giorni
scorsi, tra l’Unione delle Corti islamiche e la delegazione di deputati. E’
stato anche elaborato un documento per la riconciliazione, sostenuto dal
presidente del Parlamento somalo, che prevede la riapertura del processo di
pace tra esecutivo del Paese africano e Corti islamiche. Il processo di pace, avviato
a giugno con la mediazione della Lega Araba, era stato interrotto lo scorso
primo novembre. Le trattative con le corti islamiche appaiono, adesso, in una
grave fase di stallo: il portavoce delle corti ha dichiarato, ieri, che le
milizie islamiche avanzeranno fin quando “la sharia non sarà legge in tutta la Somalia”. (A.L.)
“SIAMO
VENUTI PER ADORARTI, GESÙ”. E’ LA PREGHIERA RIPETUTA DA DECINE
DI
MIGLIAIA DI PERSONE CHE HANNO PARTECIPATO, IERI, ALLA PROCESSIONE
EUCARISTICA
TENUTASI A SHILLONG, NELL’EST DELL’INDIA
SHILLONG. = Più di 60.000 cattolici hanno preso parte ieri
alla Processione Eucaristica a Shillong, capitale
dello Stato di Meghalaya, nell’India nordorientale. Il vescovo di Tura, mons. George Mamalassery – riferisce
l’Agenzia Vaticana Fides - ha portato il Santissimo Sacramento attraverso la
città su un carro addobbato e migliaia di persone hanno atteso l’arrivo della
processione lungo i lati della strada. L’evento è stato trasmesso anche da
radio e televisioni. “Come i primi cristiani - ha detto mons. Mamalassery - ci riconosceranno discepoli di Gesù
dall’amore che avremo gli uni per gli altri”. Un sacerdote, padre Michael Marbaniang, ha poi auspicato
che “la testimonianza della nuova speranza che il Signore Risorto ci ha dato
possa cambiare in positivo la vita delle persone”. Rivolgendosi ai fedeli, il
ministro per l’Energia dello Stato di Manipur, Francis Najope, ha quindi ricordato
sua figlia Elizabeth di 8 anni, rapita e uccisa tre anni fa. “Noi l’abbiamo
amata – ha detto il ministro – ma Dio la ama di più”. “Padre
– ha quindi aggiunto Francis Najope
pronunciando le parole di Gesù - perdonali perché non sanno quello che
fanno". Il ministro e sua moglie hanno
ringraziato, infine, il Signore per il dono del perdono, e hanno pregato
insieme con le decine di migliaia di fedeli che hanno manifestato la loro fede
in Gesù presente nell’Eucaristia. (A.L.)
IN CINA, DUE MILA PERSONE HANNO MANIFESTATO CONTRO
UN OSPEDALE DOVE UN BAMBINO DI 4 ANNI E’ MORTO PER MANCANZA DI CURE. LA
FAMIGLIA NON AVEVA
PAGATO LA SOMMA RICHIESTA PER IL RICOVERO
PECHINO. = Due mila persone
hanno manifestato in Cina, nella provincia del Sichuan,
contro un ospedale di Guangan, dove un bambino è
morto a causa della mancanza di cure perché la famiglia non poteva pagarne il
ricovero. Le proteste sono state veementi e, negli scontri con la polizia, sono
rimaste uccise almeno 3 persone. Le autorità, che non hanno ufficialmente
confermato questi decessi, hanno aperto un’inchiesta. Sulla vicenda, non sono
state fornite molte informazioni: secondo fonti locali,
un bambino di 4 anni è stato portato d’urgenza all’ospedale dopo aver ingerito
per errore un pesticida. Il nonno ha riferito che non è stata fatta la lavanda
gastrica, perché i suoi familiari non potevano versare la somma richiesta
dall’ospedale, circa 70 euro. Il bambino – spiega poi l’Agenzia Asia News - è
morto due ore dopo il suo ingresso nel nosocomio. Si tratta dell’ultimo di una lunga serie di casi collegati alla sanità pubblica
cinese. Negli ultimi mesi - denunciano attivisti per i diritti civili - i
governi locali cinesi hanno cercato di coprire con il silenzio diversi episodi
di malasanità. Secondo il ministro della Sanità, il
problema nasce dalla carenza di fondi statali destinati all’assistenza medica. In
Cina, dove ogni anno si registrano importanti tassi di crescita economica, la
mancanza di fondi costringe gli ospedali e i centri medici a far pagare i
servizi agli ammalati per coprire le spese e a vendere i medicinali ad un prezzo 10 volte più alto. (A.L.)
IN
SPAGNA, AL VIA OGGI L’INCONTRO “FRANCESCO SAVERIO. RITORNO E INCONTRO”, NELL’AMBITO
DEL V CENTENARIO DELLA NASCITA DEL SANTO. LO SCOPO È
DI
DIVULGARE IL MODO IN CUI LE VARIE COMUNITÀ CRISTIANE INTEGRANO
IL
LORO VISSUTO CON IL SERVIZIO ACCANTO AI BISOGNOSI
JAVIER. = Nell’ambito del V centenario della nascita di
San Francesco Saverio, prende il via oggi a Javier,
in Spagna, un incontro dal titolo “Francesco
Saverio. Ritorno e incontro. Missione e impegno per una vita degna e per la
giustizia”. L’iniziativa, che si concluderà giovedì prossimo, è organizzata
dalla Provincia gesuita di Loyola, insieme
con Alboan, organizzazione di cooperazione
internazionale della Compagnia di Gesù e dall’Università di Deusto.
E’ previsto l’intervento di gesuiti e laici impegnati in attività di assistenza
a malati di AIDS, emarginati, bambini vittime di
violenze e immigrati. Attraverso la presentazione e la condivisione di
esperienze nei quattro Continenti, si intende mettere in luce l’impegno con cui
le comunità cristiane, di differenti latitudini, integrano il loro vissuto con
il servizio accanto ai sofferenti. Si vuole così approfondire il significato di
tali esperienze per la vita di tutta
L’ARCIVESCOVO ANGLICANO DI YORK DENUNCIA L’ASSENZA DI SCENE LEGATE
ALLA NATIVITÀ NEL FRANCOBOLLO EMESSO DALLE POSTE BRITANNICHE PER
IL NATALE. SI TRATTA, SECONDO L’ARCIVESCOVO, DI UNA ULTERIORE CONFERMA
DELLA “SISTEMATICA EROSIONE” DEL CRISTIANESIMO
YORK. = In Gran
Bretagna, l’arcivescovo anglicano di York, John Sentamu, ha criticato le Poste britanniche per il
francobollo emesso in occasione del Natale di quest’anno: sul francobollo non c’è
alcuna scena di natività e alcun simbolo cristiano. Secondo l’arcivescovo, si
tratta di un’ulteriore conferma di una “sistematica erosione” del cristianesimo.
L’arcivescovo fa anche notare che molti rappresentanti di governo, in occasione
del Natale, non inviano più biglietti di auguri con scritto ‘Happy Christmas’ e preferiscono, invece, ‘Season's
Greetings’ (auguri per le festività). E questa
“sistematica erosione” del cristianesimo, continua il presule anglicano, è
evidenziata anche da altre decisioni: a Torbay, ad
esempio, è stata tolta la Croce da un crematorio e a Plymouth è stato abolito
il parcheggio gratuito per chi si reca a Messa la domenica mattina.
Intervenendo sulla questione del francobollo, le Poste britanniche hanno detto
che quest’anno non c’è una scena della natività perché nella scelta ha pesato
la “rotazione dei soggetti”. (A.L.)
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13 novembre 2006
- A cura di Roberta
Moretti -
Ancora sangue in
Iraq. Almeno 16 persone sono rimaste uccise in due diversi attentati nel
quartiere al Shaab di Baghdad. Il primo, e più
sanguinoso, è stato opera di un kamikaze che si è fatto saltare in aria vicino
a un autobus. Pochi minuti dopo, un'autobomba è esplosa vicino a un ristorante
popolare. Sempre
nella capitale le forze americane hanno ucciso 8 “insorti” ed hanno arrestato
altri 41 sospetti estremisti durante una serie di blitz. Assassinati,
inoltre, un alto ufficiale della polizia irachena e il suo autista a Baghdad e
un cameraman del canale tv iracheno ‘Al Sharqiya’ a Mosul, nel nord. A Latifiya,
infine, le forze di sicurezza hanno ritrovato i corpi decapitati di 9 delle 13
persone rapite sabato nella cittadina di Diwaniya, a
sud di Baghdad. Sul fronte politico, il premier iracheno, al Maliki, ha ribadito l’intenzione di dissolvere le milizie
che alimentano la violenza settaria.
Il Libano alle
prese con una grave crisi interna, che rischia di gettare il Paese nuovamente
nel caos. Stamane nuove dimissioni dal governo
libanese guidato da Fouad Siniora,
rassegnate da Yaacub Sarraf,
finora ministro dell’Ambiente, molto vicino al presidente della Repubblica filosiriano, Emile Lahoud. E’ il sesto membro dell’esecutivo a farsi da parte,
dopo i cinque ministri sciiti che si erano dimessi sabato in seguito al
fallimento dei negoziati per ritrovare l’unità ai vertici delle istituzioni.
Questa ennesima rinuncia è giunta a ridosso della riunione in cui è stata
decisa l’istituzione di una corte penale internazionale, incaricata di processare
i sospetti responsabili dell’omicidio di Rafik al-Hariri, l’ex premier assassinato nel febbraio 2004 a
Beirut. Stefano Leszczynski ha intervistato Camille Eid, giornalista di Avvenire esperto della questione
libanese:
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R. – Si assiste ad una
spaccatura molto profonda perché abbiamo due schieramenti molto precisi, con
delle accuse reciproche. Uno schieramento che accusa l’altro di trascinare il
Libano in un asse Damasco-Teheran
e di impedire la costituzione di un tribunale internazionale che dovrebbe
giudicare poi i responsabili e i mandanti e gli esecutori dell’assassinio
dell’ex premier Hariri, e l’altro schieramento che
accusa il primo di trascinare il Libano in un asse Tel Aviv-Washington
e quindi portare il Libano al di fuori del suo contesto regionale in una crisi
molto più ampia.
D. – Nuovamente si presenta il
Libano come terreno di scontro di una geopolitica internazionale
ma è effettivamente così o il Libano deve fare i conti con problemi di
politica interna tra diversi gruppi?
R. – Purtroppo la presenza di
molte confessioni in Libano rende facile usare il Libano a scopi che non
riguardano i suoi interessi diretti. Purtroppo la comunità sciita è sempre
stata a una strumentalizzazione di questo tipo da parte della Siria e dell’Iran mentre
le altre comunità sono più o meno compatte dietro i loro leader nel campo
avverso.
D. – Il presidente del
Parlamento, che tra l’altro è un leader sciita, ha ammonito le parti e ha detto
che c’è il rischio, se si lascia incancrenire la crisi, di arrivare ad una
nuova guerra civile…
R. – Questo rischio per ora è
abbastanza lontano perché nessun partito e formazione politica intende portare
il Libano di nuovo a questo pericolo. Ovviamente ci sono interessi da parte
della Siria o di altri Paesi a fomentare una crisi di questo tipo con
l’obiettivo di impedire la formazione del tribunale internazionale.
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Medio Oriente. Proseguono
oggi a Damasco, in Siria, i contatti per la costituzione di un governo
palestinese di unità nazionale, mentre il presidente dell’ANP, Abu Mazen, si è recato ad Amman
per illustrare al re Abdallah II di Giordania la probabile
nuova coalizione che includerà Hamas e al-Fatah. Intanto, la situazione medio-orientale è al centro dei colloqui, con i
vertici statunitensi, del premier israeliano Olmert,
che oggi a Washington incontrerà il presidente USA, Bush.
Ieri, l’incontro a porte chiuse con il segretario di Stato americano, Condoleeza Rice. E in un’intervista al quotidiano
palestinese al-Quds, Olmert
ha espresso la possibilità di un dialogo con Hamas, se il partito accetterà le
condizioni di USA, UE, ONU e Russia, e cioè, il ripudio della violenza, il
riconoscimento di Israele e l'impegno a rispettare gli accordi sottoscritti
dall'ANP.
Israele è condannato “alla sparizione e alla distruzione”:
lo ha dichiarato ieri, in una riunione del governo, il presidente iraniano, Ahmadinejad, secondo cui “le grandi potenze hanno creato il
regime sionista per estendere il loro dominio nella regione” mediorientale. Da
parte sua, il ministro degli Esteri Israeliano, Livni,
ha replicato che l’Iran è una minaccia per la comunità internazionale. Intanto,
mentre a Washington si discute se coinvolgere Iran e Siria per stabilizzare la
situazione in Iraq, un portavoce del governo di Teheran
ha auspicato che gli Usa compiano “una virata di 180 gradi” e cessino la loro
“politica guerrafondaia” nella regione.
Catturato dalle forze americane in Afghanistan
un militante di al Qaida
evaso dalla prigione nella base USA di Bagram. L’uomo, identificato come Abu Nasir al-Qhatani, è stato fermato
insieme ad altri 5 “estremisti” durante un’operazione
nella provincia di Khost. Intanto, uno studio
congiunto del governo di Kabul, dei Paesi sostenitori e dell’ONU, rivela che
nel 2006 sono morte almeno 3700 persone per la violenza in Afghanistan, almeno
mille delle quali civili. Un numero quattro volte superiore
alle vittime degli scorsi anni.
E sull’Afghanistan “l’opzione politica non può
essere messa in atto se non si mantiene un’opzione militare sul territorio”: è
quanto ha dichiarato il premier italiano, Romano Prodi, circa un eventuale
ritiro del contingente italiano dall’Afghanistan. Prodi si è augurato che la
proposta per una Conferenza internazionale sul Paese abbia
successo.
Stato di allerta nei 36 aeroporti del Pakistan, dopo
informazioni dei servizi di intelligence su possibili attacchi terroristici. Lo
riferisce il principale giornale locale, The Dawn,
secondo cui due aeroporti della provincia del Beluchistan
sono in “allarme rosso”.
Potrebbero ricominciare all’inizio di dicembre, in una
sede ancora da stabilire, i colloqui a sei sul riarmo nucleare nord-coreano,
cui partecipino anche rappresentanti di Pyongyang: lo ha dichiarato l’ambasciatore russo a Tokyo.
Una decisione dovrebbe essere presa alla fine della settimana, quando a Hanoi, in Vietnam, si riuniranno i leader degli altri
cinque Stati coinvolti nei colloqui, cioè, USA, Cina, Giappone, Corea del Sud e
la stessa Russia.
Andiamo in
Africa. Storico incontro ieri in sud Sudan tra il coordinatore degli affari umanitari
dell’ONU, Jan Egeland, e Joseph Kony, uno dei massimi capi
ribelli dell’Uganda. Il leader cerca di evitare di essere messo alla sbarra
dalla Corte Penale Internazionale in cambio del sensibile progresso del
processo di pace ugandese. Giulio Albanese:
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Jan Egeland
ha avuto prima un
incontro con il numero due del cosiddetto Esercito di liberazione del signore, Vincent Otti, e poi con il capo
del gruppo armato, Joseph Kony, il quale ha chiesto
aiuto per ottenere la revoca del mandato di cattura emesso contro di lui e
altri membri del suo gruppo dalla Corte penale internazionale dell’Aja. I colloqui, che sono avvenuti in una tenda dell’ONU,
mentre al di fuori si fronteggiavano, armi in pugno, i sudanesi dell’SPLA, ora
integrati nelle forze armate, e i ribelli ugandesi,
hanno evidenziato il vero nodo da sciogliere per una soluzione della crisi che
affligge il nord Uganda: il destino di Kony. Se infatti
rimanesse nella clandestinità, il processo di pace potrebbe essere pregiudicato
o quanto meno davvero partire male.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Per la seconda volta in 14 anni, l’Ossezia
del Sud, piccola regione separatista della Georgia, ha confermato con un
referendum la sua volontà di indipendenza da Tbilisi,
per entrare nell’area di influenza della Russia, e di essere riconosciuta a
livello internazionale. Schiacciante la maggioranza per l’indipendenza: i voti
favorevoli all’indipendenza sono stati il 99% di quelli espressi. L’esito del
voto, che non è stato riconosciuto dalla Georgia e dall’Unione Europea, rischia
di rendere ancora più tesi i rapporti non solo tra
Russia e Georgia, ma anche tra Mosca e Bruxelles. Sulle conseguenze politiche
immediate del voto Giancarlo La Vella ha intervistato
Luigi Geninazzi del quotidiano “Avvenire”:
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R. – La cosa interessante e preoccupante è il momento in
cui cade questo referendum e cioè il fatto che il braccio di ferro tra Putin e Saakashvili, il
presidente georgiano, dura ormai da parecchio tempo e ultimamente ha raggiunto
un livello veramente drammatico, pensiamo solo ad una misura odiosa presa dal
Cremlino come il rimpatrio forzato degli immigrati georgiani. Questa volta, a
differenza di quello che era successo in passato, penso che Putin
abbia intenzione di prenderlo sul serio e di alzare il livello dello scontro
con la Georgia.
D. – Dietro la vicenda russa georgiana c’è l’Unione
Europea accusata da Mosca di voler disgregare la compattezza dei Paesi che
facevano parte dell’ex Unione sovietica. Qual è l’obiettivo di Bruxelles?
R. – Qui il problema è veramente delicato, perché Putin ha già detto in modo molto chiaro che se l’Unione
Europea, e in generale l’Occidente, vorrà arrivare all’indipendenza del Kosovo – come sappiamo, su questo problema c’è stata una
guerra della NATO nel ’99 – allora la Russia si
sentirà in diritto di aprire le porte anche ai fratelli russi che vogliono fare
la secessione dalle altre repubbliche sovietiche, come la Georgia. Quindi la
sfida è veramente pesante in questo caso. Sappiamo che già c’è stata una prima
conseguenza, abbastanza immaginabile: si attendeva una decisione della comunità
internazionale sullo status del Kosovo per la fine di
quest’anno e la cosa è saltata ancora un’altra volta ma
è chiaro che così la vicenda internazionale si complica.
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Il rappresentante dell’Unione Europea per la Politica
estera, Javier Solana, si è
detto d’accordo con la decisione del caponegoziatore
ONU, Martti Ahtisaari, di
rinviare il rapporto sullo status finale del Kosovo, in attesa dell’esito delle elezioni in Serbia. “Sarà meglio
dare una possibilità alle elezioni in Serbia e vedere se può arrivare un
governo democratico forte che sarebbe di beneficio per tutti”, ha affermato Solana arrivando a una riunione dei ministri della Difesa
dei Venticinque a Bruxelles.
E ieri si è votato anche in
Polonia. Il partito conservatore Diritto e Giustizia (PIS) dei fratelli Lech e Jaroslav Kaczynski, rispettivamente presidente e pre-mier polacco,
risulta più forte nei consigli provinciali e comunali, mentre la Piattaforma
Civica (PO) di centro, la maggiore forza di opposizione, vince nei consigli
regionali. I risultati finali non si conosceranno comunque prima di mercoledì
prossimo. Su
oltre 30 milioni di aventi diritto al voto,
l’affluenza complessiva risulta intorno al 45%. Ballottaggio il 26
novembre per il sindaco di Varsavia, tra l’ex premier, Kasimierz
Marcinkiewicz, e Hanna Gronkiewicz Waltz
dell’opposi-zione.
Almeno 24 minatori sono rimasti uccisi ieri sera in Cina
in seguito a un’esplosione in una miniera di carbone nel distretto di Lingshi, nella provincia settentrionale dello Shanxi. La deflagrazione sarebbe stata causata da un uso
improprio di esplosivi. Il 5 novembre scorso, sempre
nel Nord del Paese, un’altra esplosione in una miniera aveva fatto 35 morti.
Australia e Indonesia hanno firmato uno “storico” accordo
in materia di antiterrorismo, sicurezza dei confini e intelligence, che
riallaccia ed espande i legami di sicurezza fra i due Paesi, bruscamente
interrotti sette anni fa dall'allora presidente indonesiano, Suharto. Allora l’Australia si era impegnata a sostenere la
lotta di Timor est per l’indipendenza dopo 25 anni di dura occupazione indonesiana,
poi ottenuta ad un alto prezzo di sangue. Oltre alla cooperazione militare, già
prevista nell’accordo firmato nel 1995 con Suharto
dall’allora premier laburista Paul Keating, il
nuovo accordo riguarda fra l’altro la condivisione della tecnologia,
l’immigrazione, e la repressione della pesca illegale in acque australiane.
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