RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 309 - Testo
della trasmissione di domenica 5
novembre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
I vescovi argentini si riuniranno da domani per la 92.ma Assemblea plenaria
Sale a 47
morti il bilancio dell’operazione israeliana “Nuvole d’autunno” nel nord della
Striscia di Gaza. Il premier israeliano Olmert accusa
Hamas di usare i civili come “scudi umani”
5 novembre 2006
L’APPELLO PER IL GRAVE DETERIORARSI DELLA SITUAZIONE NELLA STRISCIA DI
GAZA,
NELLE PAROLE DEL PAPA ALL’ANGELUS. UNA
RIFLESSIONE ANCORA SULLA REALTA’
DELLA
MORTE, CHE LA “COSIDDETTA CIVILTA’ DEL BENESSERE CERCA DI RIMUOVERE”
Il Papa
ha espresso viva preoccupazione per le notizie che giungono dalla Striscia di
Gaza, prendendo la parola dopo la recita dell’Angelus. Prima della preghiera
mariana Benedetto XVI è tornato a riflettere sulla realtà della morte,
ricordando che in molte parrocchie si celebra oggi l’ottavario dei
defunti. Si è rivolto alle molte persone
in piazza nonostante il freddo pungente di una mattinata senza sole. Il
servizio di Fausta Speranza:
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Il
pensiero del Papa va alle “popolazioni civili che soffrono le conseguenze degli
atti di violenza”. Il contesto cui si riferisce il Papa in particolare è
“… Dio onnipotente e misericordioso illumini le Autorità israeliane e
palestinesi, come pure quelle delle Nazioni che hanno una particolare
responsabilità nella Regione, affinché si adoperino per far cessare lo
spargimento di sangue, moltiplicare le iniziative di soccorso umanitario e
favorire la ripresa immediata di un negoziato diretto, serio e concreto”.
Prima
della preghiera mariana un richiamo alla commemorazione liturgica dei defunti,
del 2 novembre. Un pensiero ancora sulla realtà della morte che – afferma
Benedetto XVI – la cosiddetta “civiltà del benessere cerca spesso di rimuovere
dalla coscienza della gente, tutta presa dalle preoccupazioni della vita
quotidiana”. E il Papa ricorda che, nonostante tutte le distrazioni, “la
perdita di una
persona cara ci fa riscoprire quello che definisce il ‘problema’, pensando
sempre alla mentalità più comune. E spiega che ci troviamo a “sentire la morte
come una presenza radicalmente ostile e contraria alla nostra naturale
vocazione alla vita e alla felicità”. E dunque il Papa ribadisce che “Gesù ha
rivoluzionato il senso della morte”. Ricorda che non lo ha fatto soltanto con
il suo insegnamento ma affrontando Lui stesso la morte. Il Figlio di Dio ha
condiviso la condizione umana per riaprirla alla speranza. E il Papa usa
un’espressione particolare dicendo: “la morte non è
più la stessa: è stata privata del suo ‘veleno’”. “L’amore di Dio, operante in
Gesù, - aggiunge - ha dato un senso nuovo all’intera esistenza dell’uomo, e
così ne ha trasformato anche il morire”.
“Chi si
impegna a vivere come Lui, viene liberato dalla paura
della morte, che non mostra più il ghigno beffardo di una nemica ma, come
scrive san Francesco nel Cantico delle creature, il volto amico di una
“sorella”, per la quale si può anche benedire il Signore: Laudato
si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale”.
E
Benedetto XVI usa anche parole improvvisate per ricordare il fondamento della
fede cristiana:
“Della morte del corpo non c’è da
aver paura, ci ricorda la fede: sia che viviamo, sia che moriamo, siamo con il
Signore”.
La vita
umana è “passaggio da questo mondo al Padre”, afferma aggiungendo che “la vera
morte che bisogna temere è quella dell’anima” e ricordando che “chi muore in
peccato mortale, senza pentimento, chiuso nell’orgoglioso rifiuto dell’amore di
Dio, si autoesclude dal regno della vita”. Una
preghiera, dunque, a Maria, perché aiuti tutti ad essere pronti a lasciare la
vita per poi dimorare eternamente con il Signore.
Al momento dei saluti in diverse
lingue, in polacco un pensiero alla memoria, ieri, di san Carlo Borromeo. “Questa memoria – spiega Benedetto XVI - invita
ad associare il grande riformatore della Chiesa dopo il Concilio di Trento con
il grande esecutore delle disposizioni del Concilio Vaticano II, Giovanni Paolo
II, Karol Wojtyła”.
In italiano, un saluto ai
pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Taino
e i cresimandi della parrocchia dei Santi Simone e
Giuda in Empoli, con il Parroco, i catechisti e alcuni genitori. A tutti auguro
una buona domenica.
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LA RESPONSABILITA’ DEI GIOVANI NEL DIALOGO
INTERRELIGIOSO, UN IMPEGNO
DA
AFFRONTARE CON CREATIVITA’ E CONVINZIONE PERSONALE:
COSI’
IL CARDINALE ETCHEGARAY AI RAGAZZI DI DIVERSE RELIGIONI, RIUNITI AD ASSISI NEL
VENTENNALE DELL’INCONTRO CONVOCATO DA GIOVANNI PAOLO II
Un braciere acceso in segno di
concordia tra le religioni del mondo. Ad Assisi, questa mattina, i giovani
hanno unito la propria fiamma a quella che arde ininterrottamente dal 2002,
quando Giovanni Paolo II insieme con molti leader religiosi pregò per il mondo
sconvolto pochi mesi prima dall’orrore dell’11 settembre. E’ iniziato con
questo gesto simbolico il primo incontro giovanile, organizzato dal Pontificio
Consiglio per il dialogo interreligioso, nato per celebrare l’evento che trasformò la cittadella francescana in un’icona di concordia
tra fedi differenti: la giornata mondiale di preghiera dell’ottobre 1986. La
cronaca della prima mattina di lavori nel servizio del nostro inviato ad
Assisi, Alessandro De Carolis.
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Quando vent’anni fa l’idea del
dialogo fra le religioni viveva qui, sotto le mura della Basilica francescana,
uno storico spartiacque - tanto da far parlare di un “prima” e di un “dopo”
Assisi - molti di loro erano sui banchi di scuola e altri non erano ancora
nati. Vent’anni dopo, un gruppo di giovani – “figli” di quel 27 ottobre 1986 e
del suo spirito di fraternità – si sono ritrovati nello stesso luogo per
celebrare l’intuizione originaria, ma soprattutto per raccogliere un ideale
testimone di impegno da chi, in quel giorno – pope, imam
o rabbino – accettò l’inedita proposta di Giovanni Paolo II di una giornata
condivisa di preghiera e di pace. In circa cento ragazzi e ragazze di religioni
diverse - tra cristiani di varie confessioni, ebrei, musulmani, taoisti, indù, buddhisti, sihk, zoroastriani - hanno preso
posto stamattina nell’antica Sala papale del Sacro Convento di Assisi con
l’obiettivo di riscoprire, oggi da protagonisti, l’intensità dello “spirito di
Assisi”.
La regia dell’avvenimento, con la
collaborazione dei francescani del posto, è stata curata dal Pontificio
Consiglio per il Dialogo interreligioso. Il segretario del
dicastero, l’arcivescovo Pierluigi Celata, ha stimolato i giovani
presenti a sentirsi “capaci di costruire un futuro di pace”, perché “capaci –
ha riconosciuto – di novità e di immaginazione”. La stessa immaginazione che 20
anni fa portò Giovanni Paolo II a cullare l’idea poi sbocciata nella prima
Giornata di preghiera interreligiosa di Assisi. E’ stato il cardinale Roger Etchegaray - che
dell’incontro dell’86 fu il principale organizzatore - a rammentare numerosi
retroscena dell’evento. Oggi, ha affermato il cardinale Etchegaray,
grazie a quella giornata di 20 anni fa, si è “scatenato un movimento
straordinario”, l’elemento interreligioso “comincia ad avere diritto di
cittadinanza” in molte fedi. Ma questo, ha aggiunto, non è sufficiente se non
c’è una capacità di coltivarlo personalmente, in tutto il mondo:
“Il dialogo interreligioso va
sviluppato, ma non solo il dialogo interreligioso, ma anche quello intrareligioso. Dice un grande teologo che ‘dialogo intrareligioso’ vuol
dire che non è sufficiente dialogare fra religioni diverse, ma bisogna vedere
anche come ciascun uomo, ciascuna donna, viva all’interno della propria
comunità la propria religione”.
Tra pochi minuti, a illuminare un
pomeriggio avaro di sole, saranno loro, i giovani, incolonnati in
pellegrinaggio sulla strada che dalla Basilica di Assisi scende verso il
Santuario di Rivotorto, con una sosta intermedia alla
Chiesa di San Damiano. Quattro chilometri lungo i quali – esattamente 800 anni
fa - fiorì la santità che trasformò Francesco di Bernardone
in Francesco di Assisi: dalle sue spoglie mortali in Basilica, alla chiesetta
in cui Gesù gli si manifestò, per concludersi davanti allo spoglio Tugurio di
pietra in cui Francesco visse con i primi compagni servendo i poveri e curando
i lebbrosi.
Da Assisi, Alessandro De Carolis, Radio Vaticana.
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I giovani presenti all’Incontro
interreligioso di Assisi sono attivamente impegnati nel campo del dialogo con
giovani di altre fedi. Ecco l’esperienza di Paolo, appartenente al Movimento
dei focolari di Trento, che racconta al microfono di Alessandro De Carolis in che modo si sia preparato all’appuntamento:
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R. – In spirito di speranza,
speranza di poter toccare con mano quella che è la gioia di una famiglia. Alla
famiglia del genere umano, appartiene chiunque, di qualunque razza o religione.
In questi giorni avremo la possibilità di approfondire ciò che venti anni fa è
iniziato. E’ giusto che anche noi abbiamo la possibilità di chiedere, di approfondire
e di provare quello che è il vivere in famiglia rispettandosi nelle differenze,
ma con la voglia di comunicare e dialogare, il dialogo credo che sia – come
dice anche il Papa - la chiave per la pace.
D. – Hai qualche esperienza
diretta di rapporto, di confronto con giovani della tua età di altre religioni?
R. – Sì, per motivi di studio ho
avuto modo di conoscere musulmani ed ebrei. La cosa che più mi ha colpito nel
mio rapporto con loro è che è proprio la nostra diversità che ci fa forti. Noi
portiamo la nostra religione e siamo consapevoli della nostra religione, ma
siamo aperti all’altro. La possibilità che abbiamo di trattare vari temi, anche
teologici, oltre che temi di amicizia, ci rendono consapevoli di vedere in modo
diverso. La cosa importante è constatare il rispetto che abbiamo fra di noi e forse la cosa di cui abbiamo più bisogno, è un
rapporto di amicizia che è fondato proprio sul rispetto e sul dialogo.
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DIVENTA BEATO PADRE MARIANO DE LA MATA APARICIO,
“MESSAGGERO DELLA CARITÀ” SEMPRE ATTENTO AI BISOGNOSI,
AI BAMBINI E AGLI ANZIANI
- Intervista con padre Fernando Rojo -
Nella cattedrale di San Paolo, in
Brasile, oggi
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R. – Nato in Spagna nel
D. – La caratteristica peculiare
della sua attività …
R. - Era sempre presente tra le
persone bisognose: faceva sentire il calore fraterno di una mano amica. Non
scrisse nessun libro, nemmeno un breve articolo in qualche rivista. Si
conservano sue lettere ai familiari in Spagna e alcune circolari durante il suo
mandato come vice provinciale. Le sue opere furono soltanto opere
assistenziali, opere di carità.
D. – Qualche particolare saliente
della sua vita?
R. - La puntualità non costituiva
una delle sue virtù. D’altronde, non gli risultava facile, dovendo muoversi in
una città come San Paolo. Appena chiamato per assistere un malato, il suo tempo
si fermava. “La morte - diceva - non sempre aspetta. Non vorrei che qualcuno
muoia senza sacramenti per rispettare orari”. La comunità capiva e accettava il
suo comportamento, come anche quel giorno prima di Natale, quando nel mezzo
della preghiera corale suscitò una sonora risata il suo arrivo proprio mentre il lettore recitava l’antifona: “Veni, Domine,
noli tardare”.
D. – E il suo messaggio all’uomo
d’oggi?
R. - Nell’esercizio delle virtù,
praticate con semplicità evangelica e in un continuo crescendo di dedizione e
di gioia, mosso soltanto dall’amore di Dio che gli ardeva nel cuore, risulta un
autentico modello di vita. Un esempio ben chiaro di come, con l’adempimento quotidiano
del proprio dovere, sia possibile a tutti raggiungere i vertici dell’eroismo
cristiano.
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5 novembre 2006
SADDAM HUSSEIN, CONDANNATO A MORTE PER
IL MASSACRO DI 148 SCIITI NEL 1982.
FISSATO A DOMANI IL PROCESSO DI APPELLO
- Con
noi, il prof. Fulco Lanchester, padre Justo Lacunza, padre Michele
Simone -
“Allah è grande, lunga
vita all’Iraq e al popolo iracheno'': con queste
parole, l’ex rais iracheno, Saddam Hussein, ha ascoltato stamani a Baghdad la lettura del
verdetto del Tribunale speciale dell’Iraq, che lo ha condannato a morte per
impiccagione, insieme ad altri due coimputati.
L’accusa è di crimini contro l'umanità per il massacro di 148 sciiti nel
villaggio di Dujail nel 1982. Già domani, il processo
di appello. Il servizio di Roberta Moretti:
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“Non accettate la
volontà degli occupanti. Non sono io lo sconfitto”: visibilmente scosso, in
piedi dietro le sbarre, vestito scuro e camicia bianca, Saddam
Hussein ha provato a interrompere la lettura della
sentenza declamando versetti del Corano e slogan a favore del disciolto partito
Baath e contro il tribunale. Pena capitale anche al
fratellastro ed ex capo dei servizi segreti, Barzan
al Tikriti, e all’ex presidente del tribunale
rivoluzionario del regime, Awad al Bander. Ergastolo, invece, all’ex vice presidente Taha Yassin Ramadan, e 15 anni di
carcere a tre funzionari locali del partito Baath.
Alla lettura delle sentenze, tra gli applausi dei giornalisti, alcuni colpi di
mortaio nel quartiere Adamiya di Baghdad, a
maggioranza sunnita, mentre in altre zone della capitale la popolazione ha
festeggiato con raffiche di arma da fuoco.
A Tikrit, intanto, città natale di Saddam, migliaia di persone in strada scandiscono slogan
contro il tribunale e chiedono vendetta. Già da domani si avvierà la procedura d'appello, automatica in Iraq
in caso di pena capitale. Soddisfazione di Stati Uniti e Gran Bretagna,
rammarico di Hamas, mentre
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Ma che cosa dire sul piano del
diritto? Fausta Speranza lo ha chiesto al preside della Facoltà di Scienze
politiche dell’Università
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R. – Partirei facendo la
riflessione che è una condanna a morte in un processo di primo grado. Quindi,
la questione è ancora aperta. Il secondo punto di vista, che orienta anche la
mia riflessione, è che siamo a due giorni dalle elezioni americane e, quindi,
l’esemplarità sembra una prosecuzione della guerra del presidente degli Stati
Uniti nei confronti dell’Iraq per ragioni interne. Questo pone in evidenza che
il mondo del diritto con questo processo ha dei rapporti più nella forma che
nella sostanza. Esiste un tribunale penale internazionale per i crimini contro
l’umanità, genocidio, crimini di guerra e così via, che non è stato utilizzato.
Saddam Hussein è stato
accusato di una serie di crimini e di una serie di reati molto ‘laterali’, che
possono essere utilizzati per motivi interni in Iraq e per motivi interni negli
Stati Uniti d’America. Se vuole il mio giudizio, qui il diritto c’entra poco,
c’entra più la propaganda.
D. – Professore, il processo è
stato lasciato alle autorità irachene, ma in base a quale carta del diritto? In
base al diritto che vigeva al tempo di Saddam Hussein?
R. – In realtà, è stato lasciato
alle autorità irachene. Sono stati cambiati i membri della Corte. Sono stati
applicati meccanismi giuridici che esistevano ma sono
stati anche innovati. Secondo me, la prospettiva da cui giudicare il processo a
Saddam è quella del processo esemplare e il processo
esemplare non è mai giusto.
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Saddam
Hussein, ascoltando la sentenza, ha gridato “Dio è
grande”. Lui che ha improntato il suo regime al laicismo. Nell’intervista di
Fausta Speranza, la riflessione al proposito di padre Justo
Lacunza, esperto di questioni orientali:
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R. - Saddam
Hussein ha ripetuto questa frase islamica, che è
impressa nella bandiera dell’Iraq. Nella bandiera irachena si vede scritta in
lingua araba questa frase, che i musulmani pronunciano spesso durante i periodi
della preghiera rituale, nei grandi momenti di sfiducia, di dolore, nei grandi
momenti di felicità, nei grandi momenti della vita. Si può spiegare anche il
laicismo, che in Iraq non è mai stato contro l’islam, anzi, negli ultimi anni
della storia irachena possiamo dire che l’islam sia stato il coagulante delle
varie frazioni, dei vari gruppi, delle varie comunità. Pure se sunniti e sciiti
sono ai ferri corti possiamo dire che loro sono alla ricerca di quello che vuol
dire essere musulmani in un contesto come quello dell’Iraq o quello dell’Iran o
quello del Medio Oriente. Una terza riflessione è che questa frase di Saddam Hussein è come se volesse
dire: “Voi non capite la storia. Voi avete sbagliato la storia. Io non ho
niente da rimproverare in quello che avete fatto. Soltanto Dio, però, nella sua
misericordia, potrà capire esattamente chi sono, che cosa ho fatto e quello che
ho voluto fare”.
D. – Padre, secondo lei, nel mondo
orientale in genere e in particolare in Iraq poteva esserci una sentenza
diversa dalla condanna a morte?
R. – A livello dei principi, può
darsi che non ci fosse spazio al di fuori di una
condanna a morte. La nostra vita reale, però, quella individuale e familiare,
quella collettiva e sociale, quella politica, religiosa e culturale, cammina e
viaggia sul binario della realtà. Personalmente penso che condannare a morte
colui che è stato presidente dell’Iraq per molti e molti anni e con il quale l’Occidente, Paesi di Europa, l’America, vari Paesi
asiatici, mediorientali, africani, insomma tutto il mondo, hanno collaborato
con questo signore, hanno cercato di costruire ponti, penso non sia la buona
strada per arrivare a trovare delle soluzioni reali per quello che succede in
Iraq. Innanzitutto, penso che una condanna a morte, in questo preciso momento,
sia controproducente per quello che accadrà nei prossimi giorni.
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Ma una condanna a morte può
davvero far fare i conti con la storia? Fausta Speranza ne ha parlato con padre
Michele Simone, vicedirettore di Civiltà Cattolica:
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R. – Certamente no, la situazione
dell’Iraq non si risolve con questa condanna a morte. Molti cattolici – e noi tra di loro – sono contrari per principio alla condanna a
morte. E anche in una situazione come quella dell’Iraq, nella quale le condanne
a morte, di fatto, ogni giorno, sono centinaia, un’altra aggiunta a tutte
queste non serve a nulla. Certo, nella mentalità comune
degli iracheni, la mancata condanna a morte, forse, per motivi di politica
interna, sarebbe interpretata come un privilegio, perché le morti ormai sono
all’ordine del giorno. Ma salvare una vita - il che non vuol dire accettare
tutto ciò che ha fatto Saddam Hussein
- è sempre un fatto positivo.
D. – In una situazione come quella
irachena, come difendere il valore della vita? Lei lo ricordava: è una
carneficina giornaliera…
R. – Bisogna far funzionare molto
di più la politica per trovare una soluzione politica ad una guerra rovinosa e
fatta chissà per quali motivi. Non è certamente con la violenza e con le morti
che si risolvono questo tipo di situazioni.
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SCATTATO
A NAPOLI IL ‘PIANO SICUREZZA’
PER CONTRASTARE
LA
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. IL PIANO PREVEDE UN MAGGIORE CONTROLLO
DEL
CAPOLUOGO CAMPANO ANCHE ATTRAVERSO SISTEMI DI VIDEOSORVEGLIANZA
-
Intervista con padre Massimo Rastrelli -
“Napoli non è un Far West e chi la
dipinge così fa un’opera che danneggia la città”. Lo ha detto il ministro
italiano dell’Interno, Giuliano Amato, firmando il “piano sicurezza” per la
città partenopea. L’obiettivo, si legge in una nota del ministero dell’Interno,
è quello di “garantire la sicurezza dei cittadini in modo duraturo e
permanente”, oltre ad “introdurre un controllo capillare e integrato del
territorio, strada per strada”, dando “nuovo impulso al contrasto della
criminalità organizzata” e sviluppando “la cultura della legalità”. Sulla
situazione a Napoli, Debora Donnini ha intervistato
padre Massimo Rastrelli, presidente della Consulta nazionale antiusura che ha
sede proprio nella città partenopea:
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R. - A Napoli non è possibile
trovare lavoro. Nella regione ci sono 850 mila disoccupati di cui circa 300
mila non disponibili al lavoro. Questa gente vive di espedienti, l’aiuto
all’inserimento nel lavoro è fino a 29 anni. Dopo i 29 anni non si trova
facilmente lavoro perché non c’è nessuna possibilità di inserimento
quando la gente è analfabeta - perché oggi la terza media è
analfabetismo – e quando non ha nessun mestiere. Poi a Napoli si è creata
l’idea che si ha addirittura diritto ad uno stipendio senza lavorare, al
sussidio di cittadinanza. Sono mentalità sociali gravissime che si sono
alimentate. Oggi Prodi dice: “Ci vuole un intervento sistematico”. Questo io
l’ho sempre detto nelle varie dichiarazioni che ho potuto fare.
D. – Il presidente del Consiglio
ha anche detto che l’esercito non è necessario e che la criminalità, appunto, è
il più grande ostacolo allo sviluppo del Mezzogiorno. Lei è d’accordo?
R. – Io dico che certamente la
criminalità impedisce il lavoro perché chiede tangenti che non possono pagare.
Il lavoro autonomo non è possibile perché la criminalità lo soffoca, il lavoro
dipendente non c’è.
D. – Lei cosa pensa che si debba
fare per Napoli?
R. – Bisogna fare un fronte
compatto: l’amministrazione, la scuola, la famiglia, cioè tutti
insieme, la Chiesa anche, dobbiamo tutti insieme fare leva sulla
coscienza del popolo in un compito non di illusione ma di educazione.
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L’INCAPACITA’
CRESCENTE DEGLI ADULTI DI COMUNICARE CON I BAMBINI
E GLI ADOLESCENTI: NEL LIBRO “HO SENTITO IL
TUO CUORE CHE BATTE”
L’INVITO
A RIPARTIRE DALL’ASCOLTO E DAL GESTO AMOREVOLE
-
Intervista con Masal pas Bagdadi -
Comunicare con bambini e
adolescenti: non sempre siamo capaci di farlo, a volte perdiamo i contatti e li
abbandoniamo a loro stessi. Cosa fare per recuperare? Occorre ripartire
dall’ascolto e dall’abbraccio per partecipare le loro emozioni, spiega Masal pas Bagdadi
nel suo ultimo libro intitolato “Ho sentito il tuo cuore che batte”. Edito da
Franco Angeli, è incentrato sul metodo educativo del ‘contenimento’.
Di che cosa si tratta? Roberta Gisotti ha intervistato la dott.ssa
Bagdadi, psicoterapeuta, già autrice di numerosi
saggi sull’infanzia:
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R. – E’ un modo di relazionarsi,
dai bambini piccoli ai più grandi, per poter contenere le loro emozioni ed i
loro pensieri, dando loro così la possibilità di crescere in autonomia. Faccio
un semplice esempio: se un bambino di tre anni vuole mangiare il gelato prima di cena e la mamma non glielo dà, cosa fa
allora? Si butta per terra disperato; se la mamma lo
lascia buttato per terra a gestire l’ansia e la rabbia che ha nel corpo,
finisce che il bambino si sente solo con i suoi sentimenti. Io consiglio di
tenerlo in braccio, anche se piange, anche se è arrabbiato, in modo che il
bambino sente che c’è, comunque, una persona adulta, responsabile sulla sua
vita, capace di contenere anche queste emozioni molto forti. Penso che questo
metodo possa servire a chiunque, con i propri figli, a scuola e non solo per
fare una terapia. Sappiamo, infatti, che viviamo in una società profondamente
slegata e priva di comunicazioni più intime e più profonde, perché i bambini
sono distratti dalla televisione, dai computer e da mille attività che fanno.
Ma, in realtà, sono un po’ abbandonati a loro stessi. Non è che queste cose non
le devono fare, ma le devono fare con misura. Se noi perdiamo questo filo di
comunicazione, i bambini sono veramente in pericolo.
D. – Lei sottolinea di avere
sempre agito con la collaborazione di genitori, nonni o altre figure familiari
perché è con loro che il bambino costruisce la sua identità. Dunque la
famiglia, ancora una volta al centro dello sviluppo della personalità?
R. – Io penso che non abbiamo inventato ancora qualcosa come la famiglia, che
riesce a trasmettere le cose, certamente sia in bene che in male. La famiglia è
l’elemento principale, ma c’è poi anche la scuola, l’asilo, il nido, anche
perché i bambini stanno fuori di casa e, quindi, fuori dalla
famiglia tante ore al giorno. Per questo bisogna anche stare attenti a non
scaricare la responsabilità dalla scuola alla famiglia o dalla famiglia alla
scuola: ognuno ha un suo pezzo di responsabilità nei confronti dei bambini e
questa responsabilità bisogna assumersela. Lo smarrimento è un elemento così
forte, anche per i genitori stessi, che sono spesso disperati perché non sanno
come fare. Una mamma di un bambino di due anni mi ha detto ieri: “Non riesco a
tenere mio figlio”. Si tratta di un bambino di due anni, che non ha neanche un
metro di altezza.
D. – Perché, sempre più spesso, i
genitori trovano difficoltà appunto a relazionarsi con i propri figli?
R. – Perché anzitutto hanno paura
di interferire nella loro vita, anche se pensano che sia sbagliato. Hanno paura
dell’aggressività dei figli e spesso usano, quando sentono un senso di
impotenza, punizioni che sono proprio fuori luogo. Quando il genitore dà la
punizione finisce che si sente debole nei confronti del bambino. Cosa si fa
allora? Si tolgono le cose che piacciono e quindi la televisione, il computer.
Ma questo non risolve il problema di base, anzi crea un’altra tensione ancora
più grave, perché non basta dare la punizione, ma è necessario comunicare con
il bambino e fare altre cose in modo che il bambino non si attacchi alla
televisione, vedendola come una mamma sostituita, così come il computer, etc.
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5 novembre 2006
DIALOGO
TRA CRISTIANI E ISLAMICI, IL RUOLO DEI LAICI NELLE COMUNITÀ CRISTIANE E DRAMMA
DELL’IMMIGRAZIONE PROVENIENTE DALL’AREA SUB-SAHARIANA:
TRA I
TEMI AFFRONTATI DAI VESCOVI DEL NORD AFRICA, A TUNISI
NEI GIORNI SCORSI
TUNISI. = Per i vescovi del
nord-Africa occorre una buona formazione delle persone per affrontare la
difficile questione della continuità della presenza cristiana nei luoghi dove
non vi è un’azione pastorale diretta. È quanto è emerso nel corso dell’incontro
della Conferenza dei vescovi della Regione Nord dell’Africa, che si è svolto
nella capitale della Tunisia, dal 26 al 29 ottobre. I presuli, scrive l’agenzia
Fides, hanno discusso anche del dialogo tra cristiani e islamici, del ruolo dei
laici nelle piccole comunità cristiane e del dramma dell’immigrazione
proveniente dall’Africa sub-sahariana. In un comunicato diffuso al termine
dell’assemblea, i vescovi “hanno reso grazie per l’opera dello Spirito nelle
diverse regioni dove esercitano il loro servizio, con una coscienza più viva
dei frutti d’amore e di speranza che vi sussistono”. Attualmente, nei diversi
Paesi del nord-Africa, a sostenere l’opera volenterosa di sacerdoti, religiosi
e religiose, vi sono diversi laici: “In seno a comunità modeste e spesso
fragili, i vescovi costatano il dinamismo apportato dai laici – si legge nel
documento della CERNA – sia coloro che sono presenti da tempo, sia quelli che
sono arrivati da poco da diverse parti del mondo”. I vescovi hanno ribadito il
loro desiderio e impegno “di condividere con le Chiese di altre regioni del
mondo, le loro esperienze di dialogo tra cristiani e musulmani”. In
particolare, invitano le comunità cattoliche a comprendere che il mondo
musulmano è altrettanto diversificato quanto quello cristiano. “È urgente
rendersi conto – afferma l’episcopato – che viviamo in un mondo pluralista e
che bisogna imparare a vivere insieme”. Particolare preoccupazione è stata poi
espressa dai vescovi per i continui flussi migratori provenienti dall’Africa
sub-sahariana, frutto delle difficoltà politiche ed economiche persistenti in quell’area. I vescovi hanno apprezzato e ringraziato
TRE
UOMINI SARANNO PROCESSATI PER L’UCCISIONE DELLE TRE RAGAZZE CRISTIANE
LO
SCORSO ANNO A POSO, IN INDONESIA. SONO ACCUSATI DI TERRORISMO
JAKARTA. = Coinvolti in “un atto
di terrorismo che con l’uso della forza ha causato perdite di vite umane”: con
questa accusa saranno processati, per la decapitazione delle tre ragazze
cristiane a Poso, provincia indonesiana delle Sulawesi
centrali, Hasanuddin, Lilik
Pur nomo, alias Haris, e Irwanto
Irano. Il giudizio, riferisce l’agenzia Asianews, è stato disposto in base alla legge
anti-terrorismo. Il 29 ottobre dello scorso anno, tre giovani si stavano
avviando verso casa quando sono state aggredite e
decapitate con un machete nella zona di Gebang Rejo. Un particolare triste e agghiacciante è che due delle
loro teste furono rinvenute vicino ad una stazione di polizia e la terza davanti
ad una chiesa. Il caso ha scosso l’opinione pubblica in Indonesia e all’estero.
Anche il presidente Susilo Bambang
Yudhoyono ha condannato il triplice omicidio, che Benedetto XVI ha definito un
“barbaro assassinio”. Il dossier sui tre presunti terroristi è stato presentato
alla Corte distrettuale di Jakarta lo scorso 30
ottobre. Definiti i capi d’accusa, ora si attende l’apertura del processo.
(T.C.)
I
VESCOVI ARGENTINI SI RIUNIRANNO DA DOMANI PER LA 92.MA
ASSEMBLEA PLENARIA. LITURGIA, EDUCAZIONE CATTOLICA E MISSIONE AL CENTRO
DEL
CONFRONTO
BUENOS
AIRES. = Si aprono domani a Buenos Aires, in Argentina, sotto la presidenza
dell’arcivescovo della capitale sudamericana, il cardinale Jorge
Mario Bergoglio, i lavori della 92° Assemblea
plenaria della Conferenza episcopale. I presuli discuteranno soprattutto dell’attività della
Caritas nazionale seguendo il rapporto che sarà illustrato dal direttore mons.
Fernando Bargalló, vescovo di Merlo-Moreno.
Altri due temi importanti saranno la revisione del Piano pastorale nazionale,
“Navigare mare addentro”, e l’analisi dei contributi che dovranno essere
presentati alla V° Conferenza generale degli
episcopati latinoamericani in programma, il prossimo anno, in Brasile, nel mese
di maggio. I vescovi, inoltre, prenderanno visione delle relazioni di numerose
commissioni episcopali, tra cui quella sulla liturgia, la vita consacrata,
l’educazione cattolica, le missioni, la catechesi e la pastorale biblica.
Intanto, oggi, si conclude, sempre a Buenos Aires, il primo congresso
sull’evangelizzazione della cultura sul tema “I cattolici nella società civile
e nella politica”. Ampie le riflessioni sulla possibilità di dar vita ad
incontri, dibattiti ed iniziative per uomini e donne impegnati nel mondo della
cultura”. Fra i temi, il “Servizio della fede e della vita
cristiana alla ragione e alla prassi politica attraverso la mediazione
culturale”; “La Chiesa e la politica nell’ottica dei mezzi di comunicazione
sociale”; “Verso una nuova cultura della solidarietà e del lavoro”; infine, i
“Laici e la nuova evangelizzazione nelle culture latinoamericane”.
(T.C.)
DOPO
L’ACCERTAMENTO DI UN CASO DI POLIOMIELITE, È PARTITA IERI IN KENYA
UNA
NUOVA CAMPAGNA DI VACCINAZIONI.
NEL
PAESE DA OLTRE 20 ANNI
NAIROBI. = È stata lanciata ieri
dal governo kenyota, in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della
Sanità (Oms) e il Fondo delle Nazioni Unite per
l’Infanzia (Unicef), una nuova campagna di
vaccinazione antipoliomielite. Dopo l’accertamento di un caso e il sospetto di
altri due, scrive l’agenzia MISNA, sono già state disposte vaccinazioni
gratuite nei distretti di Garissa, Ijara, Wajir, Mandera
e Moyale, che interesseranno almeno 250 mila bambini
sotto i cinque anni. A dicembre la campagna partirà in altri 23 distretti
considerati ad “alto rischio”, mentre per gennaio si
prevede la vaccinazione di oltre 5 milioni e mezzo di bambini. Il primo caso di
poliomielite in Kenya, dopo oltre venti anni di assenza della malattia, è stato
riscontrato nelle scorse settimane in un campo profughi al confine con
L’ARCIVESCOVO DI MADRID,
IL CARDINALE ANTONIO ROUCO VARELA,
IN UNA LETTERA PASTORALE,
INVITA I GIOVANI A RESPONSABILIZZARSI
NELLA TRASMISSIONE DELLA
FEDE
MADRID. = Trasmettere la fede in Cristo alle
generazioni più giovani è un bel compito cui tutti siamo chiamati: è quanto
scrive in una lettera pastorale l’arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio
Maria Rouco Varela. Il
porporato, si legge in un comunicato dell’agenzia SIR, ha invitato parroci,
rettori di chiese, direttori di collegi e di centri universitari, presidenti e
responsabili di associazioni e di movimenti ecclesiali a partecipare all’inizio
della Missione giovani che si svilupperà nel corso dell’anno pastorale
2006-2007. Il cardinale Rouco Varela
ha esortato inoltre i giovani a prendere parte alla
settimana a loro dedicata dall’8 al 12 novembre. “Vogliamo invitare i giovani a
diventare responsabili della trasmissione della fede ai loro amici e compagni –
ha detto il porporato – e a celebrare la gioia di saperci seguaci di Cristo nel
mondo attuale. Sono sicuro – ha concluso l’arcivescovo di Madrid – che se tutti
ci porremo a servizio del Vangelo, saremo testimoni di una nuova primavera
nella vita della Chiesa”. (T.C.)
‘COME GESÚ ANNUNCEREBBE OGGI
DEL CONCORSO
PER BAMBINI, LANCIATO DALLA CAMPAGNA
DI
COMUNICAZIONE CATTOLICA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEGLI STATI UNITI
WASHINGTON. = Raccontare come Gesù potrebbe diffondere
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5 novembre 2006
- A cura di Roberta
Moretti -
Medio Oriente.
Quarantasette morti e 250 feriti, 38 dei quali in condizioni gravi: questo, secondo fonti mediche di Gaza, il bilancio aggiornato delle
vittime palestinesi durante l‘operazione ‘Nuvole d’autunno’, lanciata da
mercoledì dall'esercito israeliano per debellare i lanciatori di razzi
appostati nel nord della Striscia. E mentre la presidenza di turno finlandese
dell'Unione Europea condanna “l’uso sproporzionato della forza” da parte di
Israele e invita la dirigenza palestinese “a mettere fine alle attività
terroristiche”, si registrano nuovi combattimenti nella zona della moschea al-Nasr di Beit Hanun e lanci di missili palestinesi a Sderot.
Da Gerusalemme, intanto, il premier dello Stato Ebraico, Ehud
Olmert, assicura che Israele sta agendo “con prudenza
e sensibilità” contro i miliziani di Hamas, che però “usano i civili come scudi
umani”. Da parte sua, Hamas ha aumentato le proprie richieste per la
liberazione del caporale israeliano, Ghilad Shalit, in ostaggio dal 25 giugno scorso, pretendendo in
cambio la liberazione di 1.500 detenuti palestinesi.
L'Iran è pronto ad “esaminare” ogni proposta ufficiale di colloqui
da parte degli Stati Uniti per riportare la pace in Iraq. Lo ha detto il
ministero degli Esteri di Teheran. La Repubblica
islamica si era già detta disposta a tali trattative in primavera, dopo che la
proposta era stata avanzata dalla maggiore organizzazione politica sciita
irachena, il Supremo consiglio per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri), guidata da al Hakim.
E’ stato causato da problemi alla rete
elettrica tedesca il blackout di 30 minuti, che ha interessato nella tarda
serata di ieri vaste regioni della Germania,
della Francia e di altri Paesi dell'Europa occidentale. A riferirlo è stata la Rete francese per il trasporto di elettricità
(RTE), secondo cui l’Europa “ha
sfiorato il blackout totale”. Il cedimento di due linee ad alta tensione da 400
mila Volt in Germania avrebbe infatti provocato uno
squilibrio generale di produzione di elettricità. Ancora da chiarirsi le cause
del danno. “La prima riflessione è la contraddizione tra
avere le connessioni europee e non avere un’autorità unica europea”, ha
commentato il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, che è stato
presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004.
Seggi aperti oggi in Nicaragua per l’elezione del nuovo
presidente. 3.600.000 aventi diritto al voto dovranno decidere sulla
credibilità del discusso candidato del Fronte Sandinista
di liberazione nazionale (Fsln), Daniel Ortega, che il suo principale rivale,
Eduardo Montelegre, dell'Alleanza liberale
nicaraguese (ALN), ha definito “un lupo che perde la pelle, ma mai il vizio”. I
sondaggi vedono Montealegre fermo tra il 22 e il 27
per cento, mentre Ortega oscilla tra il 30 e il 35.
La nota di Luis Badilla:
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Gli
Stati Uniti sono particolarmente preoccupati per un’eventuale vittoria di Ortega, poiché temono che ciò possa aprire una
"falla" nella compattezza politica della regione centroamericana,
sino ad oggi, abbastanza allineata con le politiche della Casa Bianca.
Ovviamente, si teme che un ‘Ortega
presidente’, in amicizia con altri governanti come
Castro, Lula, Morales e Chávez, possa rappresentare la “porta” per “ingerenze
anti-americane”. Intanto, nello sforzo
di non fallire per la quarta volta il tentativo di accaparrarsi la presidenza,
Daniel Ortega ha abbandonato il rosso come colore di
battaglia, per adottare il bianco, e ha realizzato una decisa sterzata verso il
centro. Questo lo ha portato a stringere un accordo
parlamentare con il Partito liberale costituzionalista (PLC) dell'ex
presidente, Arnoldo Alemán, agli arresti per
corruzione; a scegliere come suo vice, un vecchio nemico della “Contra” antisandinista,
l'imprenditore Jaime Morales
Carazo; a sostenere in parlamento la richiesta di
molti settori sociali e politici, nonché della Chiesa cattolica, contro
l'aborto, spingendo il FSLN a votare per l'annullamento dell'aborto
terapeutico. In questo quadro, nonostante il sistema del doppio turno, Ortega in realtà ha una sola possibilità: vincere subito,
oggi. Nel caso di un ballottaggio tutto gioca contro le sue pretese e dunque
una sconfitta rappresenterebbe il tramonto della sua lunga carriera politica.
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Il governo etiope ha
accusato l'Eritrea di volere mettere in piedi un fronte anti-Addis
Abeba, riunendo movimenti autonomisti etiopi, terroristi e Corti islamiche
somale. L'Eritrea ha immediatamente respinto le accuse, che rischiano di
aumentare la tensione nel Corno d'Africa, già alta dopo il fallimento dei
colloqui di pace a Khartum tra l'Alleanza delle Corti
Islamiche e il governo transitorio somalo di Baidoa.
Intanto, mentre è in corso un nuovo incontro per la ripresa dei negoziati, le
Corti sono tornate ad accusare i governi dei Paesi vicini, sostenendo che
proprio soldati etiopi hanno ucciso due miliziani islamici alle porte di Baidoa.
Riesplode la violenza nel sud
musulmano della Thailandia, nonostante i recenti
tentativi del governo di mettere fine agli scontri con i separatisti islamici
che in tre anni hanno fatto 1700 morti. Almeno tre persone sono morte e altre
sette sono rimaste ferite in diversi attentati, il primo dei quali nella
provincia di Yala, dove un gruppo di ribelli ha fatto
irruzione in un posto di blocco. Esplosi, inoltre, due ordigni rudimentali in
due bar nel distretto di Tak Bai, nella provincia di Narathiwat.
Migliaia di taiwanesi sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni
del presidente, Chen Shui-bian,
soprannominato Ah-Bian, al centro con la sua famiglia
di un vasto scandalo di corruzione. La manifestazione è stata indetta
dall'opposizione e hanno risposto in 30 mila. Chen,
eletto per la prima volta nel 2000 alla testa del Partito progressista
democratico di opposizione (DPP), ponendo fine al monopolio del potere del Kuomintang, e riletto nel 2004 con un margine
ristrettissimo, è accusato di storno di fondi pubblici per più di un milione di
dollari, prelevati dalle casse dello Stato lo scorso anno. Due giorni fa, sua
moglie è stata incriminata per corruzione, falsa testimonianza e falsificazione
di documenti in una vicenda che riguarda lo storno illegale di una somma di 448
mila dollari.
La
Cina
e alcuni Paesi africani hanno siglato accordi commerciali per un totale di 1,9
miliardi di dollari. I contratti, che interessano una dozzina di Paesi, sono
stati siglati nell'ambito di un summit a Pechino tra la dirigenza cinese e
oltre 40 capi di Stato e di governo africani. Le richieste di accordi
riguardano risorse naturali, infrastrutture, finanza, tecnologie e
comunicazione, ha indicato Wan Jifil,
presidente del Consiglio cinese per la promozione del commercio internazionale.
Il ministro allo
Sviluppo Internazionale britannico, Hilary Benn, rompendo con la linea del governo di Londra, chiede
che le bombe a frammentazione siano
messe al bando, com’è avvenuto per le mine antiuomo, perché provocano danni
intollerabili ai civili innocenti. Benn ha scritto
una lettera ai suoi colleghi di governo, pubblicata dal Sunday
Times, sottolineando che questo tipo di armi, usate,
tra gli altri, da USA e Gran Bretagna in Iraq, e da Israele nel recente
conflitto in Libano, provocano migliaia di vittime in maniera insensata.
Circa 12 mila
manifestanti sostenitori della laicità dello Stato hanno sfilato ieri in corteo
ad Ankara, in Turchia, per protestare contro quella
che considerano la crescente influenza degli integralisti islamici con il
governo del primo ministro, Recep Tayyip
Erdogan. Lo ha reso noto l’agenzia Anadolu. I dimostranti, in rappresentanza di 112 ONG, hanno
scandito slogan quali 'La Turchia è laica, resterà laica'
e 'Turchia indipendente', e hanno protestato contro
il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp), di
Erdogan, dalle radici islamiche.
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