RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 308 - Testo della trasmissione di sabato 4 novembre 2006

 

 

Sommario

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa ha presieduto stamane la Messa in suffragio dei cardinali e dei vescovi deceduti nel corso dell’anno

 

Mons. Migliore all’ONU: terrorismo, nichilismo e fondamentalismo minacciano la pace nel mondo

 

Sarà proclamato beato, domani in Brasile, padre Mariano de la Mata Aparicio, sacerdote agostiniano “protettore dei bambini e dei poveri”

 

Lo spirito di Assisi rivive nell’incontro giovanile promosso dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, a 20 anni dal raduno voluto da Giovanni Paolo II: intervista con padre Vincenzo Coli

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Entra nel vivo il vertice a Pechino tra Cina e 48 Paesi africani: ai nostri microfoni Alberto Quadrio Curzio

 

Domani in Nicaragua le elezioni presidenziali

 

Firenze ricorda la disastrosa alluvione di 40 anni fa. Messa in Duomo presieduta dal cardinale Antonelli: con noi Andrea Poggiali e Bernardina Bargellini

 

Seminario, a Roma, promosso dall’Azione Cattolica in preparazione alla 45.ma Settimana sociale dei cattolici italiani: con noi il prof. Luigi Alici

 

Il commento di padre Marko Ivan Rupnik al Vangelo di domani

 

CHIESA E SOCIETA’:

Aperta stamani la 43.ma Assemblea plenaria dei vescovi francesi

 

Lettera dei vescovi angolani  “per una giustizia economica”

 

I vescovi svizzeri sostengono la legge federale sulla cooperazione con gli Stati dell’Europa dell’Est, che verrà votata il prossimo 26 novembre

 

In corso ad Istanbul il quarto Simposio islamo-cristiano, sul tema: “La salvezza nell’islam e nel cristianesimo”

 

24 ORE NEL MONDO:

Non si fermano i raid israeliani a Gaza: uccisi altri sei palestinesi. 42 i morti da mercoledì scorso

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

4 novembre 2006

 

 

SONO STATI CHIAMATI A METTERE IN PRATICA LE PAROLE DI SAN PAOLO:

“PER ME VIVERE È CRISTO”. COSÌ BENEDETTO XVI, OGGI,

NELLA BASILICA DI SAN PIETRO, NELLA MESSA IN SUFFRAGIO

DEI CARDINALI E DEI VESCOVI DEFUNTI NEL CORSO DELL’ANNO

 

Benedetto XVI ha presieduto stamani nella Basilica Vaticana una Santa Messa in suffragio dei cardinali e vescovi defunti negli ultimi dodici mesi. Spiegando quale meta ci attende al termine del pellegrinaggio terreno, il Papa ha detto che se la morte priva l’uomo di tutto ciò che è terreno, la Grazia lo conduce, nella vita eterna, al cospetto di Dio, dove risiede la pienezza della vita. Il servizio di Tiziana Campisi:

 

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(musica)

 

“A ciascuno di loro Cristo ‘ha dato le parole’ del Padre ed essi ‘le hanno accolte’”: Benedetto XVI ha ricordato con queste parole i cardinali e i vescovi scomparsi nel corso dell’anno, ed ha voluto menzionare uno per uno i porporati:

 

“Leo Scheffczyk, Pio Taofinu’u, Raúl Francisco Primatesta, Angel Suquía Goicoechea, Johannes Willebrands, Louis-Albert Vachon, Dino Monduzzi e Mario Francesco Pompedda. Mi piacerebbe nominare anche ciascuno degli Arcivescovi e dei Vescovi, ma ci basta la consolante certezza che, come disse un giorno Gesù agli Apostoli, i loro nomi “sono scritti nei cieli”.

 

Nel suo pensiero rivolto a questi pastori che hanno terminato il loro pellegrinaggio terreno, il Santo Padre ha spiegato che se la morte “priva di tutto ciò che è terreno”, è la Grazia ad accompagnare il cristiano - associato al mistero pasquale e rivestito di Cristo - al cospetto di Dio. Ma per giungere dinanzi al Padre giusto e misericordioso il battezzato dovrà essere mondo:

 

“Affinché la veste bianca, ricevuta nel Battesimo, sia purificata da ogni scoria e da ogni macchia, la Comunità dei credenti offre il Sacrificio eucaristico e altre preghiere di suffragio per coloro che la morte ha chiamato a passare dal tempo all’eternità”.

 

Il mistero pasquale di Cristo, ha detto il Papa, insegna che la Parola divina incarnatasi in Gesù è portatrice di speranza. In un mondo che “per molti versi è una valle desolata”, essa reca “il lieto annuncio della vita eterna”. E proprio la vita eterna, ha proseguito Benedetto XVI, è il dono che il Figlio di Dio incarnato ha fatto agli uomini, un dono cui può beneficiare chi conosce Cristo:

“Conoscere Gesù significa conoscere il Padre e conoscere il Padre vuol dire entrare in comunione reale con l’Origine stessa della Vita, della Luce, dell’Amore”.

 

Cardinali e vescovi sono stati chiamati “nella Chiesa a sentire come proprie e a cercare di mettere in pratica le parole dell’apostolo Paolo: ‘Per me vivere è Cristo’, ha concluso il Pontefice, che ha spiegato il senso del cammino, nei sacramenti, di tali pastori:

 

“Attraverso tale itinerario sacramentale, il loro ‘essere in Cristo’ è andato consolidandosi e approfondendosi, così che il morire non è più una perdita – dal momento che tutto avevano già evangelicamente ‘perduto’ per il Signore e per il Vangelo – ma un ‘guadagno’: quello di incontrare finalmente Gesù, e con Lui la pienezza della vita”. 

 

E per i cardinali e i vescovi defunti in questo anno i fedeli hanno pregato perché possano contemplare con Cristo l’eterno splendore di Dio.

 

(musica)

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NOMINE

        

         In Italia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Pistoia presentata da mons. Simone Scatizzi, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Mansueto Bianchi, finora vescovo di Volterra. Mons. Mansueto Bianchi è nato a S. Maria a Colle, in provincia di Lucca, il 4 novembre 1949.  Alunno del Collegio Capranica, ha frequentato la Pontificia Università Gregoriana, conseguendo la Licenza in Teologia Biblica. È stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1974, incardinandosi nella diocesi di Lucca. Dopo l'ordinazione, terminati gli studi ecclesiastici, è stato nominato vice-rettore del Seminario arcivescovile e professore di Sacra Scrittura in Seminario (1977-1988). Dal 1988 al 1998 è stato parroco della parrocchia di S. Giovanni Battista in Arliano. Dal 1988 al 2000 è stato anche docente di Sacra Scrittura presso lo Studio Interdiocesano di Teologia. Dal 1984 all'ordinazione episcopale è stato anche direttore della Scuola Diocesana di Formazione Teologica e, dal 1988, vicario episcopale per i Laici. È stato, inoltre, direttore della Scuola diocesana di formazione all’impegno sociale e politico (1989-2000); assistente dell'Unione Giuristi Cattolici (1989-2000) e decano priore della Parrocchia dei SS. Michele, Paolino e Alessandro in Lucca (1998-2000).Il 18 Marzo 2000 era stato nominato da Giovanni Paolo II vescovo della diocesi di Volterra.

 

 

MONS. CELESTINO MIGLIORE ALL’ONU: TERRORISMO, NICHILISMO

E FONDAMENTALISMO FANATICO MINACCIANO LA PACE NEL MONDO

 

Oggi, “terrorismo, nichilismo e fondamentalismo fanatico minacciano la coesistenza pacifica”  dell’umanità, in quanto separano la pace dalla verità. E’ quanto ha detto ieri l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU, l’arcivescovo Celestino Migliore, durante i lavori dell’Assemblea Generale in corso al Palazzo di Vetro di New York. Il servizio di Sergio Centofanti:

 

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“La pace – ha sottolineato il presule – implica una verità che è comune a tutti i popoli al di là delle differenze culturali, filosofiche e religiose”: la verità che “la dignità di ogni persona” è “intimamente legata al trascendente”. Mons. Migliore ha citato il  Messaggio di  Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace di quest’anno, intitolato “Nella verità, la pace”, in cui il Papa afferma che “l'esaltazione esasperata delle proprie differenze contrasta con questa verità di fondo. Occorre ricuperare la consapevolezza di essere accomunati da uno stesso destino, in ultima istanza trascendente, per poter valorizzare al meglio le proprie differenze storiche e culturali, senza contrapporsi ma coordinandosi con gli appartenenti alle altre culture”.

 

“La mancanza della fondamentale verità della pace sul piano culturale – ha proseguito il rappresentante vaticano – ha indubbiamente prodotto effetti devastanti” in questi ultimi anni. “L’esempio più drammatico è il terrorismo internazionale” le cui radici culturali sono simili a quelle del nichilismo. “I nichilisti – ribadisce mons. Migliore citando Benedetto XVI - negano l'esistenza di qualsiasi verità, mentre i fondamentalisti accampano la pretesa di poterla imporre con la forza. Pur avendo origini e contesti culturali diversi, entrambi mostrano  un pericoloso disprezzo per l'uomo e  la  vita umana e, in ultima analisi, per Dio stesso”. Da qui possono derivare “terrorismo, guerre, genocidi e ingiustizie nazionali e internazionali che … opprimono e abbandonano alla fame intere popolazioni” minacciandone il diritto all’esistenza. In queste situazioni – ricorda mons. Migliore -  la verità della pace è legata al principio della responsabilità da parte della comunità internazionale di proteggere i popoli minacciati.

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SARÀ PROCLAMATO BEATO, DOMANI, PADRE MARIANO DE LA MATA APARICIO,

SACERDOTE AGOSTINIANO “PROTETTORE DEI BAMBINI E DEI POVERI”

 

Nella cattedrale di San Paolo, in Brasile, si terrà domani la Messa per la Beatificazione del Servo di Dio Mariano de la Mata Aparicio, sacerdote dell’Ordine di Sant’Agostino. La Santa Messa sarà presieduta dal cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Su padre Mariano, il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Padre Mariano de La Mata Aparicio, che domani sarà proclamato beato a 23 anni dalla morte, è nato il 31 dicembre 1905 a La Puebla de Valdavia, in Spagna, da una famiglia profondamente cristiana. Seguendo l’esempio dei suoi tre fratelli, è entrato nel 1921 nell’Ordine agostiniano. Nel 1930 è stato ordinato sacerdote e, dopo una breve permanenza in un collegio agostiniano nelle Asturie, è stato inviato in Brasile, dove ha svolto sino alla morte varie attività educative e pastorali. Si è distinto come “messaggero della carità”, sempre attento ai bisognosi, ai bambini, agli anziani. Visitava gli ammalati negli ospedali ed era un consolatore caritatevole. A San Paolo era poi fortemente impegnato nei Laboratori della Carità di Santa Rosa, istituzioni assistenziali per i più indigenti. Percorreva le vie della città brasiliana cercando di confortare i bisognosi e, negli ultimi tempi, era solito visitare centri di assistenza dove si confezionavano vestiti per i più poveri. Padre Mariano è morto il 5 aprile del 1983. I suoi resti riposano nella chiesa di Sant’Agostino a San Paolo e la sua opera continua grazie a numerose attività che, seguendo i suoi insegnamenti, alleviano le sofferenze dei bisognosi. In particolare è sorto un asilo per bambini indigenti, intitolato a padre Mariano, “protettore dei bambini e dei poveri”.

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LO SPIRITO DI ASSISI RIVIVE NELL’INCONTRO GIOVANILE PROMOSSO

DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO,

A 20 ANNI DAL RADUNO VOLUTO DA GIOVANNI PAOLO II

- Intervista con padre Vincenzo Coli -

 

Un centinaio di giovani, 27 nazioni di provenienza, un confronto di culture ma soprattutto di fedi tra le più diverse: cristiani delle varie confessioni, ebrei, islamici, buddisti, zoroastriani. Per la terza volta quest’anno, da domani a martedì prossimo, Assisi torna ad ospitare un evento celebrativo a 20 anni dall’incontro dei leader religiosi convocato nella città francescana da Giovanni Paolo II. A promuovere l’iniziativa, il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, che intende approfondire – attraverso la testimonianza diretta dei giovani – “l’impatto” esercitato da “Assisi 1986” all’interno della Chiesa e nel dialogo tra le fedi. Da tempo, la comunità francescana di Assisi sta preparandosi a questo avvenimento. Il custode del Sacro Convento, padre Vincenzo Coli, spiega in che modo al microfono di Alessandro De Carolis:

 

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R. – C’è attesa, siamo pieni di speranza e di gioia perché le nuove generazioni possano fare memoria di quanto è avvenuto e arricchirsi, in vista del loro impegno nella vita.

 

D. – Il fatto che in questa particolare occasione siano per l’appunto i giovani di diverse fedi a confrontarsi dà speranza al futuro del dialogo e in prospettiva, direi, anche al radicamento della tolleranza tra le religioni…

 

R. – Sì, perché noi crediamo fortemente nell’educazione. Naturalmente, non bisogna attendersi frutti immediati ma sicuramente a medio e lungo termine. I giovani devono immergersi in questo spirito che nasce dall’atteggiamento vitale di San Francesco verso Dio, verso l’uomo, verso le creature, per arricchirsene e poi viverlo nell’incontro della vita di ogni giorno.

 

D. – Tra gli appuntamenti previsti dal programma, ci sarà anche un pellegrinaggio dal Sacro Convento, che sarà la sede principale degli incontri, alla chiesa di San Damiano. Qual è il senso di questo particolare momento?

 

R. – Credo che si possa cogliere il senso pieno di questo avvenimento nel fatto che quest’anno ricorre l’ottocentesimo anniversario della conversione di San Francesco. Allora, dai resti mortali della sua esistenza andare verso San Damiano significa rivivere un avvenimento che ha cambiato la vita di Francesco, l’ha fatto fratello universale di tutti: l’incontro con il Cristo. E poi, da San Damiano, passeranno a Rivotorto perché siamo convinti che fare una vera esperienza di Dio, come l’ha fatta Francesco con il Crocifisso di San Damiano, porti inevitabilmente a scoprire e a servire i fratelli. Infatti, a Rivotorto Francesco si mise a servire i fratelli più poveri, i lebbrosi del tempo.

 

D. – In questo clima, ci sarà anche una riflessione del vescovo di Assisi, mons. Sorrentino, sull’impatto di Assisi 1986: 20 anni dopo, qual è la sua impressione sullo spirito di Assisi?

 

R. – Con il documento che il Santo Padre ha mandato allo stesso vescovo – in occasione di un precedente avvenimento celebrativo dell’86 - credo sia un motivo di gioia e di speranza: anche se dobbiamo continuamente ribadire di non fare del sincretismo perché dobbiamo avere tutti una chiara e forte identità. Ma una identità matura, che sappia aprirsi all’incontro, al dialogo, all’arricchimento reciproco nel rispetto delle singole fedi, valori ed ideali.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Servizio vaticano – “Raccomandiamo le loro anime alla divina misericordia”: Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la solenne concelebrazione eucaristica in suffragio dei cardinali e dei vescovi defunti nel corso dell'anno.  

 

Servizio estero - L'intervento della Santa Sede al secondo Comitato dell'Assemblea generale dell’ONU sul tema dello sviluppo sostenibile: “La questione ambientale rappresenta un importante problema dal punto di vista etico, scientifico, economico e sociale”;

L'intervento della Santa Sede nel dibattito sull’“Unrwa”: “Avviare un negoziato serio e concreto, senza pre-condizioni”.

 

Servizio culturale - Un articolo di Franco Patruno dal titolo “La riscoperta di un Rinascimento ‘minore’”: sculture lignee di artisti umbri e marchigiani in una mostra nel convento di San Domenico a Camerino.

 

Servizio italiano - In rilievo il tema degli incidenti sul lavoro.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

4 novembre 2006

 

 

DOPO GLI INCONTRI DEI GIORNI SCORSI,

OGGI E DOMANI SONO LE GIORNATE DECISIVE

 DEL VERTICE A PECHINO TRA LA CINA E 48 PAESI AFRICANI

- Intervita con Alberto Quadrio Curzio -

 

Il governo cinese afferma che la Repubblica popolare è impegnata in Africa per il benessere dei popoli, ma nel rispetto dei modelli sociali e dei sistemi di valori locali: è la sua risposta a Human Rights Watch, l’Organizzazione internazionale che ha affermato che nel Continente africano Pechino indebolisce la lotta per il rispetto dei diritti umani. Si tratta di dichiarazioni che fanno seguito agli incontri, svoltisi nei giorni scorsi, in preparazione del summit, oggi e domani, nella capitale cinese 48 Paesi africani. Al termine del summit, i presidenti di Algeria, Egitto, Guinea-Bissau, Liberia, Seychelles e Sudafrica dovrebbero trattenersi in Cina per una visita ufficiale. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Gli scambi commerciali tra la Cina e l'Africa sono passati dai circa 11 miliardi di dollari del 2000 ai 50 miliardi previsti per il 2006. L'anno scorso la Cina ha investito nel continente 6,27 miliardi di dollari, cioè circa il 10% degli investimenti all'estero. E dal continente africano arriva il 30% delle importazioni cinesi nel settore energetico. Secondo Guido Samarani, docente di Storia della Cina all'Università Ca' Foscari di Venezia, le merci cinesi a basso costo hanno invaso i “mercati africani, soprattutto laddove l'Europa e gli Stati Uniti non sono arrivati o si sono ritirati per ragioni di instabilità politica o di violazioni di diritti umani”. Secondo Ian Taylor della Scuola di Relazioni internazionali della University of St. Andrews, si celano rischi per i Paesi del continente africano. Primo fra tutti è che il boom delle materie prime, con relativo aumento degli introiti, “porti i governi africani a non individuare e adottare le misure necessarie, come gli investimenti nel capitale umano e nelle infrastrutture o l'avvio di riforme istituzionali, per rendere la crescita sostenibile nel medio termine”. Il tutto in un periodo in cui il continente ha registrato i più alti tassi di crescita economica della sua storia recente (più 5,2% nel solo 2005). Altro pericolo, secondo Taylor, è quello della mancata “diversificazione dell'economia”: “un aumento considerevole dell'interesse cinese al petrolio africano minaccia di rafforzare la dipendenza dell'Africa”. Taylor sottolinea che mentre Pechino ''esporta nel continente soprattutto prodotti manifatturieri finiti, l'Africa esporta nel gigante asiatico prevalentemente materie prime che generano capitale”. Ma in che modo la Cina, sempre più potenza economica, incide a livello globale? Lo chiediamo all’economista Alberto Quadrio Curzio:

 

R. - Credo che la Cina abbia già spostato gli equilibri mondiali almeno sotto due profili,  anche se non ce ne rendiamo conto completamente. Un primo profilo è quello del commercio internazionale, perchè la Cina ha un surplus commerciale formidabile, cioè esporta molto di più di quanto importi e ha quindi accumulato un’enorme quantità di riserve valutarie, soprattutto in dollari, che le consentono una capacità di pressione formidabile sugli Stati Uniti. Un’altra ragione è di tipo politico. Tutti sappiamo che questo Paese, dotato di armamenti formidabili e del più grande esercito del mondo, rappresenta pur sempre un interlocutore di cui gli Stati Uniti stessi ormai devono tenere conto e ciò è anche dimostrato dalla relativa cautela che tutto il mondo, ma anche gli Stati Uniti, hanno nei confronti della Cina, quando si tratta di richiamare la stessa al rispetto dei diritti umani.

D. – Questa “offensiva” in Africa, quanto ulteriormente potrà spostare?

 

R. – E’ chiaro che la Cina ha almeno due strategie: una visibilissima e l’altra intuibile. Quella visibilissima è di avere un rapporto molto forte con un continente dotato di un’enorme quantità di risorse naturali, di cui la Cina ha bisogno essenziale per il proprio sviluppo. E questo potrà creare problemi economici ad altri Paesi. La seconda ragione di questo intensificarsi dei rapporti è intuibile, ma non è ancora prefigurabile in modo definito, e cioè che la Cina intende rafforzare la sua posizione in Africa, anche come interlocutore politico, prendendo il posto di quella che una volta era stata l’Unione Sovietica, la cui influenza su molti Paesi dell’Africa era stata assai rilevante. Quindi, lo scenario mondiale è davvero cambiato.

 

D. – Professore, guardiamo tutto dal punto di vista dell’Europa. Come sposta gli equilibri per l’Europa?

 

R. – A mio avviso l’Europa potrebbe avere un ruolo assai più rilevante in tutto quanto sta accadendo nel mondo. Più rilevante, perché l’Europa è certamente un’area altamente democratica, con un grado di civiltà avanzato, con un formidabile rispetto dei diritti umani, anche se in tutto ciò bisogna pur sempre migliorare. Tuttavia, l’Europa, che è tecnicamente il più grande “Paese” sviluppato del mondo, con 450 milioni di abitanti, un reddito totale grossomodo uguale a quello degli Stati Uniti, ahimè, non è sufficientemente coeso al suo interno. Io reputo, però, che l’Europa abbia nel XXI secolo un ruolo importantissimo per un avanzamento della civiltà, dei grandi valori. Bisognerà vedere che cosa i singoli Stati nazionali intenderanno fare.

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DOMANI IN NICARAGUA ELEZIONI PRESIDENZIALI

 

Elezioni presidenziali domani in Nicaragua. Cinque i candidati alla massima carica dello Stato. Incerto l’esito del voto, cui partecipano oltre 3 milioni e mezzo di aventi diritto, anche se i sondaggi danno per favorito il leader sandinista, Daniel Ortega. Il servizio di Maurizio Salvi da Managua:

 

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La novità dell’appuntamento di domani sancisce la fine del bipartitismo in Nicaragua. Da una parte, infatti, il Fronte sandinista di liberazione nazionale ha subito la scissione del Movimento rinnovatore sandinista; dall’altra, da una costola del Partito liberal-costituzionalista è nata l’Alleanza liberale nicaraguense. Dopo la dura esperienza presidenziale degli anni ’80, in cui il Paese visse anni di guerra civile, il sandinista Daniele Ortega, che intanto ha modificato radicalmente il suo profilo ideologico, tenta per la quarta volta di riconquistare il potere. I pronostici della vigilia sono unanimi nell’indicare in Ortega il favorito anche se non con la certezza di una vittoria al primo turno. Di fronte a questo scenario il leader sandinista fa il massimo sforzo per raggiungere il 40 per cento dei voti: un eventuale ballottaggio potrebbe essere infatti per lui un ostacolo insormontabile.

 

Da Managua, Maurizio Salvi, Ansa, per la Radio Vaticana.

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Ma per una valutazione dell’importanza del voto di domani in Nicaragua, la nota di Luis Badilla:  

 

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Indipendentemente dal nome del possibile vincitore, Ortega o Montealegre, ormai è chiaro a tutti il livello di  drammaticità e di urgenza delle sfide che attendono il nuovo presidente, nonché le forze politiche cha avranno una rappresentanza parlamentare. Il Nicaragua, insieme con Haiti e la Bolivia, è nell'elenco delle tre nazioni più povere del continente americano e, soprattutto, è il Paese dove è più forte la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza.

 

         Alla fine dell'amministrazione del presidente uscente, Enrique Bolaños, sembra evidente che il "Programma per ridurre la povertà e facilitare la crescita" (PRGF), negoziato con il Fondo Monetario, non ha dato i frutti attesi. Infatti, il 79,9 per cento della popolazione nicaraguense vive con meno di 2 dollari al giorno e il 45 per cento con meno di un dollaro. Pensiamo che in Bolivia  solo il 34.3 per cento sopravvive con due dollari e il 14,4 per cento con uno.

 

         Questa apprezzabile differenza tra gli indici di povertà dei due Paesi è data dal fatto che i livelli di povertà della popolazione non dipendono solo dal livello dell'entrata media pro-capite del Paese, ma anche dalla distribuzione diseguale delle risorse.  Il Nicaragua ha un livello di scolarità elementare molto inferiore a nazioni come il Bangladesh e la Cambogia che hanno redditi pro-capite più bassi di circa il 50 – 60 per cento. Un altro dato importante del Nicaragua è che la popolazione infantile, secondo l'UNICEF, rappresenta il 51 per cento di tutta la popolazione. La maggior parte dei minori vivono nelle famiglie con entrate più basse e, dunque, sono tra i più colpiti dalla povertà.

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A FIRENZE, SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DELLE VITTIME DELL’ALLUVIONE DEL 1966.

NEL CAPOLUOGO TOSCANO, ARRIVATI OLTRE 2.200 “ANGELI DEL FANGO”

PER RICORDARE IL 40.MO ANNIVERSARIO DI QUELLA TRAGEDIA

- Ai nostri microfoni Andrea Poggiali e Bernardina Bargellini -

 

Con una messa nel Duomo, l’arcivescovo di Firenze, cardinale Ennio Antonelli, ha commemorato questa mattina le 35 vittime dell’alluvione che travolse il capoluogo toscano il 4 novembre del 1966. Dopo 40 anni, Firenze non sembra però ancora attrezzata per far fronte ad una eventuale, nuova emergenza: il capo della protezione civile italiana, Guido Bertolaso, ha dichiarato che “resta ancora da completare un’opera che se rimanesse realizzata in modo parziale potrebbe mitigare possibili danni, ma certamente non evitarli”. Ma torniamo alla drammatica alluvione del 1966, con il servizio di Isabella Piro:

 

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(Voce di Paolo VI)

 

(…) Fiorentini, ai cento titoli, che voi potete avanzare per la Nostra affezione, per la Nostra stima, per l’umana e cristiana comunione, un altro titolo si è aggiunto, che ora, più d’ogni altro, Ci ha messi in cammino: il vostro dolore, così grande, così singolare, così fiero e così degno(…).

 

Così, nella Messa del Santo Natale celebrata il 24 dicembre 1966 nel Duomo di Firenze, Papa Paolo VI rese omaggio alla città. Poco meno di 2 mesi prima, all’alba del 4 novembre, il capoluogo toscano si era svegliato invaso dal fango. Le piogge battenti degli ultimi giorni avevano fatto crescere a dismisura l’Arno, che aveva rotto gli argini. 35 persone morirono, sepolte dalle acque melmose che sfiorarono i 5 metri. A migliaia persero i loro averi, il loro lavoro. Ma non persero la dignità, quella fierezza, la chiamò Papa Montini, che li spinse a rimboccarsi le maniche. Due giorni dopo l’ondata di piena, il fiume si ritirò, lasciando Firenze sepolta da una montagna di detriti. Ed è proprio allora che arrivarono loro, i così detti “Angeli del Fango”: erano giovani volontari italiani e stranieri. Risposero all’appello delle autorità locali per portare aiuto alla popolazione, ma anche per portare in salvo quell’immenso patrimonio artistico e culturale che ancora oggi rende grande Firenze. Adriano Poggiali era uno di quegli angeli del fango; aveva solo 14 anni all’epoca, ma quei giorni non li dimenticherà mai:

 

“L’atmosfera era ovviamente di sconcerto e di sconforto. Stando tra noi, però, si creò quel feeling, quell’entusiasmo che nei momenti di tragedia questa città in qualche modo riesce ancora a dare. Si toccava nella gente questa voglia di riscatto e di ritornare alla normalità”.

 

Nella desolazione del novembre ‘66, ci fu un uomo che si dedicò anima e corpo alla città: si chiamava Piero Bargellini ed era il sindaco di Firenze. La sua casa, collocata nel quartiere Santa Croce, fu una delle prime ad essere travolta dall’Arno. Eppure, il primo cittadino non accettò i soccorsi, finché non fu certo che il resto della popolazione era al sicuro. La figlia Bernardina ci racconta come il sindaco affrontò l’emergenza:

 

“Fu bravissimo e fortissimo. Scherzava con le persone. Mi ricordo quando venne Montanelli. Arrivò alla casa di mio padre e non ebbe il coraggio di entrare. Al babbo, mentre usciva vestito da palombaro, perchè aveva gli stivaloni, Montanelli disse: ‘Che fai?’ E il babbo ridendo disse: ‘Che faccio? Faccio i fanghi, vedi. Me li hanno portati a domicilio’”.

 

Anche il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha voluto ricordare gli “Angeli del fango”, definendoli un “esempio indelebile di passione civile ed ideale”. Ed a loro, eroica gente di buona volontà, oggi Firenze ha detto grazie.

 

(musica)

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SEMINARIO, A ROMA, PROMOSSO DALL’AZIONE CATTOLICA

IN PREPARAZIONE ALLA 45.MA SETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI ITALIANI

- Ai nostri microfoni professor Luigi Alici -

 

“Bene comune e ‘valori non negoziabili’ in una società post-secolare”: con questo tema si è svolto oggi a Roma un seminario organizzato dal centro studi dell’Azione Cattolica Italiana, in preparazione alla 45.ma Settimana sociale dei cattolici italiani, che si terrà in Toscana, nell’ottobre del prossimo anno, a un secolo esatto dalla prima edizione. Sulla scia dell’impegno significativo dell’Azione Cattolica in occasione del Convegno ecclesiale di Verona, ecco che quest’associazione, che pone tra i suoi principali obiettivi il servizio alla Chiesa, promuove un’iniziativa di riflessione su quello che sarà un altro evento importante per la Chiesa italiana. Ma come si sta preparando l’Azione Cattolica alla Settimana sociale del prossimo anno? Ada Serra lo ha chiesto al presidente nazionale, il professor Luigi Alici:

 

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R. – L’intenzione è di riflettere sul bene comune, sottolineandone il valore aggiunto, cioè il fatto che il bene comune sia molto di più della somma dei beni individuali e sicuramente cosa diversa dalla somma degli egoismi individuali. C’è bisogno oggi di riflettere sulla “comune”, cioè sul dono che ci accomuna, che ci fa scoprire vincolati gli uni agli altri da un orizzonte che ci oltrepassa, mentre nell’immaginario collettivo si pensa al bene comune in termini prevalentemente aritmetici.

 

D. – Come si caratterizza la società post-secolare di cui parlate e come affrontare le sfide che pone?

 

R. – E’ importante sottolineare che dopo decenni di dibattito sulla secolarizzazione si incomincia a riconoscere che in una società multiculturale si fronteggia meglio la sfida della convivenza, non azzerando lo spazio pubblico, cioè neutralizzandolo, ma riconoscendo quei valori condivisi, anche minimali, che costituiscono il pavimento etico su cui tutti possiamo camminare.

 

D. – E allora quali sono i ‘valori non negoziabili’ che, secondo voi, devono accompagnare la ricerca del bene comune oggi?

 

R. – Ci sono una serie di equivoci su questa espressione che è importante dissipare, cominciando prima di tutto a distinguere tra i valori negoziabili, che sono essenzialmente i valori di carattere economico e sociale, e i valori non negoziabili, che indicano quell’orizzonte di principi che riteniamo irrinunciabili per il bene della società. E possono essere individuati, in un certo senso, a due livelli. Ad un primo livello come valori naturali, che possono essere considerati patrimonio comune dell’umanità. Ad un secondo livello, ci sono anche valori identitari, come sono i valori delle grandi confessioni religiose. I conflitti che nascono a questo livello sono conflitti che possono essere risolti con il rispetto reciproco.

 

D. – Come si può concretizzare, secondo l’Azione Cattolica, l’impegno dei laici cristiani nell’attuale contesto politico e sociale italiano?

 

R. – Da questo punto di vista riprenderei la lezione, purtroppo da alcuni fraintesa, di Papa Benedetto XVI, a Regensburg, dove il Papa ha invitato sostanzialmente a tenere insieme questi due livelli di cui parlavo precedentemente. Lo si può fare nella misura in cui si riconosce che la difesa dei valori confessionali è una difesa che non può mai prescindere dall’esercizio della razionalità, perchè nel momento in cui abbandona questa vigilanza del logos, come dice il Papa, il vissuto religioso è esposto al pericolo della violenza. Credo che il compito precipuo di un’associazione di laici sia quello di spendersi per tenere insieme questi due livelli, per mostrare il raccordo interno che li collega. Quindi, sostanzialmente, per mettere insieme quella riflessione intorno alla dimensione originariamente naturale dell’essere umano, con la riflessione che accoglie nel dono della fede la rivelazione cristiana.

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IL VANGELO DI DOMANI

 

 

Domani, 5 novembre, 31.ma Domenica del Tempo Ordinario, la Liturgia ci presenta il Vangelo in cui uno scriba chiede a Gesù quale sia il primo di tutti i comandamenti. Il Signore risponde:

 

 «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi».

 

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del teologo gesuita, padre Marko Ivan Rupnik:

 

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Lo scriba conosce molto bene la legge e i comandamenti e si sente autorizzato ad interrogare Cristo e a valutare la sua risposta. Cristo, vedendo la sua competenza gli dice: “Non sei lontano dal Regno di Dio”. Questo “non sei lontano” indica la distanza tra il sapere e il vivere. La fede è soprattutto una questione di relazione con Dio, anzi di amore per Dio. L’inganno molto facile è quello di pensare a Dio, di sapere ciò che è il rapporto giusto verso Dio e di illuderci che questo già basti, che questo già costituisca la relazione con Dio. Invece rimane ancora quel “non sei lontano”. Questa distanza viene superata da Dio stesso che, proprio nel suo Figlio divenuto uomo, ci raggiunge con il suo amore e ci trasfigura in suoi figli. In Cristo il sapere e il conoscere diventano vita, stile di vita.

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CHIESA E SOCIETA’

4 novembre 2006

 

 

“FRATERNITÀ E FIDUCIA, INDISPENSABILI PER LA CRESCITA DI UNA SOCIETÀ

VERAMENTE UMANA”: COSÌ, IL CARDINALE JEAN-PIERRE RICARD,

PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE FRANCESE,

ALL’APERTURA STAMANI DELLA 43.MA ASSEMBLEA PLENARIA DEI VESCOVI DI FRANCIA

 

LOURDES. = Con un invito alla fraternità e alla fiducia – due doni di Cristo “particolarmente preziosi per i tempi in cui viviamo” e “indispensabili per la crescita personale e di una società veramente umana” – il cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e presidente della Conferenza episcopale francese, ha aperto stamani i lavori della 43.ma Assemblea plenaria dei vescovi di Francia. Il porporato ha citato i prossimi appuntamenti elettorali nel Paese, “occasione per riflettere sulla nostra società”, incitando alla “fiducia interiore”, che consente quel “distacco necessario per analizzare più razionalmente la situazione”. “L’impegno di tutti – ha precisato – nel prepararci a questo evento è tanto auspicabile quanto indispensabile”. Citando poi il messaggio del Consiglio permanente in vista delle elezioni presidenziali e poi legislative che si svolgeranno nella prima metà del 2007, pubblicato lo scorso 18 ottobre, il cardinale Ricard ha ricordato i tre “cantieri della fraternità” individuati dai vescovi: la famiglia; il lavoro e l’occupazione; la globalizzazione e l’immigrazione. In particolare, ha sottolineato che i vescovi di Francia sono convinti dell’importanza di sostenere oggi il matrimonio e la famiglia”. Il porporato ha poi presentato il programma dell’Assemblea, durante la quale verranno illustrati gli esiti della riflessione dei tre gruppi di lavoro istituiti nel novembre 2005 per lo studio di altrettanti temi: “Le differenze strutturanti della vita sociale”; “La missione dell’insegnamento cattolico nella Chiesa e nella società”, “Il ministero dei presbiteri e la vita delle comunità cristiane”. Tra gli ospiti alla Plenaria, il cardinale Marc Ouellet, arcivescovo di Québec, che interverrà domani pomeriggio sul prossimo Congresso Eucaristico Internazionale, in programma a Québec dal 15 al 22 giugno del 2008, soffermandosi su diversi aspetti della vita della Chiesa cattolica in Canada. Mons. Anthony Fisher, Ausiliare di Sydney, farà invece il punto sullo stato di preparazione della prossima Giornata mondiale della gioventù, che l’Australia si prepara a ospitare dal 15 al 20 luglio 2008. (R.M.)

 

 

“UNA MAGGIORE TRASPARENZA NELLA GESTIONE DELLE RISORSE DELL’ANGOLA,

IN PARTICOLARE PETROLIO E DIAMANTI, E’ INDISPENSABILE PER USCIRE

DAL SOTTOSVILUPPO”: COSÌ, I VESCOVI ANGOLANI NELLA LETTERA PASTORALE

“PER UNA GIUSTIZIA ECONOMICA”

 

LUANDA. = “Desiderosi di garantire la dignità umana nella sua pienezza, vogliamo (…) dare un nostro contributo ad una visione economica più equa, efficiente, trasparente e partecipativa, di cui tanto necessita il nostro Paese”: è quanto scrivono i vescovi dell’Angola nella Lettera Pastorale “Per una giustizia economica”, citata dall’agenzia Fides. “La realtà angolana – affermano i presuli – vive una grande contraddizione: da un lato, siamo privilegiati per l’abbondanza di acqua, terre fertili, risorse ittiche e diverse altre risorse naturali. L’Angola è il secondo produttore di petrolio nell’Africa sub-sahariana e il quarto maggiore produttore di diamanti del mondo. Dall’altro lato – continuano – siamo uno dei Paesi più poveri del mondo in termini di sviluppo umano. Questo mette in evidenza, in modo chiaro, un fenomeno chiamato ‘paradosso di abbondanza’”. Si tratta di una teoria economica che afferma che i Paesi dipendenti dalle risorse naturali sono caratterizzati da un’economia viziata, causa di povertà, ingiustizia e di conflitti. I presuli ricordano comunque che “in verità, l’Angola fu colpita per 30 anni da una guerra civile che ha assorbito molte delle sue risorse naturali e che non solo ha impedito gli investimenti nei settori sociali e produttivi, ma ha anche distrutto la maggior parte delle infrastrutture esistenti”. Tutto questo su uno sfondo di profonda disuguaglianza sociale perché, sottolineano i vescovi, “se la grande maggioranza vive in uno stato di povertà impressionante, allo stesso tempo una piccola minoranza vive in una lussuosa opulenza. Il 68 per cento della popolazione angolana vive con meno di un dollaro al giorno. Le conseguenze di tali ingiustizie sono chiaramente visibili: criminalità, violenza e prostituzione”. “Ma vi sono motivi di speranza”, affermano i vescovi, che mettono in evidenza l’aumento delle entrate petrolifere statali da 5,7 miliardi di dollari del 2004 ai 10,5 miliardi del 2005. I vescovi riaffermano però la necessità di investire i proventi petroliferi per garantire il futuro delle nuove generazioni, visto che si prevede l’esaurimento delle risorse petrolifere entro il 2030. Occorre inoltre investire nei servizi pubblici – in particolare nella scuola e nella sanità – nell’agricoltura, creando le infrastrutture necessarie a rivitalizzare il settore, oltre che a garantire l’assistenza sociale alle famiglie e agli anziani. Nel contempo occorre un controllo democratico della spesa pubblica e maggiore trasparenza nella gestione dei proventi dell’industria petrolifera e diamantifera. “In un clima di pace”, concludono i presuli, “non vi è alcuna motivazione perché esista una simile disparità”. (R.M.)

 

 

I VESCOVI SVIZZERI SOSTENGONO LA LEGGE FEDERALE SULLA COOPERAZIONE

CON GLI STATI DELL’EUROPA DELL’EST, CHE VERRÀ VOTATA

IL PROSSIMO 26 NOVEMBRE: “ E’ UN CONTRIBUTO ALLA PACE,

 ALLA GIUSTIZIA E ALLA STABILITÀ IN EUROPA”

 

GINEVRA. = Sostegno dei vescovi svizzeri alla legge federale sulla cooperazione con gli Stati dell’Europa dell’Est che verrà votata il prossimo 26 novembre. Se approvata, la normativa costituirà la base giuridica al finanziamento di progetti nei nuovi Stati membri dell’UE per 100 milioni di franchi l’anno per dieci anni. Una legge, affermano i presuli attraverso la Commissione Giustizia e Pace, citata dall’agenzia SIR, che “sottolinea la solidarietà della Svizzera con gli Stati dell’Est in via di trasformazione”. La normativa, continuano, è “un contributo alla pace, alla giustizia e alla stabilità in Europa. Un modo – aggiungono – di ridurre le disparità tra Paesi ricchi e poveri in seno all’UE, un imperativo di giustizia che servirà anche nell’interesse economico, politico e di sicurezza della Svizzera”. Il miliardo di franchi non sarà versato, spiegano i presuli, “né all’UE, né al fondo di coesione, ma sarà dato direttamente dalla Svizzera per la democrazia, la formazione, le infrastrutture, l’ambiente. Spetterà poi al parlamento decidere il finanziamento”. (R.M.)

 

 

CONOSCERSI E RISPETTARSI: CON QUESTO INTENTO, È IN CORSO A ISTANBUL

IL QUARTO SIMPOSIO ISLAMO-CRISTIANO, SUL TEMA: “LA SALVEZZA NELL’ISLAM

E NEL CRISTIANESIMO”. L’INIZIATIVA È PROMOSSA DAI FRATI MINORI CAPPUCCINI,

INSIEME AL PONTIFICIO ISTITUTO DI STUDI ARABI DI ROMA

E ALLA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’UNIVERSITÀ DI MARMARA

- A cura di padre Egidio Picucci -

 

ISTANBUL. = “La salvezza nell’Islam e nel Cristianesimo”: è il tema del quarto Simposio islamo-cristiano promosso a Istanbul dai Frati Minori Cappuccini, in collaborazione con il Pontificio Istituto di Studi Arabi di Roma e la Facoltà teologica dell’università di Marmara. Scopo dell’iniziativa, che si svolge ogni quattro anni, è “conoscersi e rispettarsi”. Secondo gli organizzatori, il modo migliore per raggiungere tale obiettivo è infatti quello di avvicinare il Corano ai cattolici e il Vangelo ai musulmani. Il mondo - è stato detto - diventa sempre più quel villaggio globale sotto gli occhi di tutti. Oltre un miliardo di cattolici sono compagni di viaggio, di lavoro, di sofferenza e di speranza di altrettanti musulmani: come potranno capirsi e accettarsi se non si conoscono? All’excursus sulla salvezza, dall’epoca patristica fino al Vaticano II, della prof.ssa Ilaria Morali e alle riflessioni sugli “altri” nella tradizione biblica e nel “dopo Concilio” di padre Maurice Borrmans, hanno risposto i professori turchi, che si sono soffermati sul concetto di salvezza nel Corano; sulle relazioni dell’Islam con la “gente” del Libro (cristiani ed ebrei) e sui rapporti che il Profeta ebbe con essa, improntati al rispetto delle fedi e dei luoghi di culto. Molto interessante è stata la relazione sul pluralismo religioso nella società attuale, argomentata attraverso citazioni del Corano.

 

 

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24 ORE NEL MONDO

4 novembre 2006

 

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Medio Oriente. Almeno 6 palestinesi, 5 dei quali militanti di Hamas, sono stati uccisi nelle ultime ore in diverse incursioni israeliane nella Striscia di Gaza, portando così a 42 il numero dei morti da mercoledì, quando Israele ha sferrato la nuova offensiva “Nubi d'autunno” per fermare il lancio di razzi contro il suo territorio. Roberta Moretti:

 

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Tra le vittime di oggi c’è anche Louaye al Burnu, responsabile locale delle Brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas, ucciso nella città di Gaza da un razzo dell’aviazione israeliana, mentre si trovava a bordo di un furgone. Nell’operazione sono rimasti feriti altri quattro militanti. Due, invece, i morti a Beit Hanun, il villaggio settentrionale della striscia di Gaza al centro dell’offensiva israeliana: un civile è stato ucciso da un colpo di carro armato contro la sua abitazione e un miliziano dal fuoco delle forze speciali israeliane. E’ di 3 miliziani morti, infine, il bilancio del raid aereo israeliano nella vicina Jabaliya. Ferito gravemente negli scontri anche un soldato dello stato ebraico.

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Due giornalisti sono stati uccisi nelle ultime 24 ore a Baghdad. Lo hanno riferito la polizia irachena e l'Osservatorio per la libertà dei giornalisti. Cinque membri della guardia presidenziale irachena, inoltre, hanno perso la vita ieri sera nell'esplosione di una bomba al passaggio della loro auto presso Kirkuk, nel nord dell'Iraq. Lo ha detto oggi un responsabile curdo dell'Unione patriottica del Kurdistan, il partito del presidente Talabani. Intanto è stato decretato il coprifuoco a Baghdad e in due province irachene nel timore di violenze in occasione della sentenza che verrà emessa domani al processo a  Saddam Hussein: l’ex presidente iracheno, insieme ad altri sette coimputati, è sotto processo per la strage di 148 sciiti nel 1982. Rischiano tutti la pena di morte.

 

“Sto bene, grazie Italia”: sono le uniche parole dette da Gabriele Torsello ai giornalisti subito dopo essere sceso, con il ministro Parisi, dall'aereo che lo ha riportato in Italia. Dopo 22 giorni sotto sequestro in Afghanistan, il fotoreporter ha incontrato innanzitutto i magistrati della Procura di Roma. Poi potrà recarsi dalla sua famiglia ad Alessano, paese natale.

 

Se gli Stati Uniti non cambieranno politica in Medio Oriente e nei confronti dell'Iran, “subiranno la stessa sorte” subita quasi 30 anni fa, con la rivoluzione islamica e la presa degli ostaggi nell'ambasciata a Teheran. E’ quanto ha affermato il presidente del Parlamento iraniano, Haddad Adel, parlando davanti all'ex sede diplomatica americana nel 27.mo anniversario dell'assalto, avvenuto il 4 novembre del 1979. I partecipanti al raduno hanno dato alle fiamme la bandiera degli Stati Uniti e hanno intonato ripetutamente slogan contro l’America e Israele. Cinquantadue dei cittadini americani presi in ostaggio nell'ambasciata rimasero prigionieri per 444 giorni. L'episodio segnò la rottura delle relazioni diplomatiche fra Iran e USA, che perdura a tutt'oggi. 

 

In Algeria, otto militari sono stati uccisi in un'imboscata tesa loro da una trentina di appartenenti ad un gruppo islamico nella regione di Ain Defla, 160 Km ad ovest della capitale Algeri. Dell'episodio, avvenuto giovedì, riferiscono oggi alcuni quotidiani algerini. I giornali Liberté, El Watan e El Khabar che attribuiscono la responsabilità dell'attentato a Katiba, una cellula del Gruppo Salafita per la predicazione ed il combattimento (GSPC) che ha ripetutamente rifiutato le aperture al dialogo da parte del Governo e che, nel settembre scorso, ha annunciato di essersi alleato con Al Qaeda. L'esercito ha inviato nella zona dell'imboscata consistenti rinforzi di artiglieria per rastrellare la macchia circostante alla caccia degli aggressori.

 

Sarà reso noto il 19 dicembre il verdetto del processo a cinque infermiere bulgare e a un medico palestinese accusati, dalla giustizia libica, di avere volontariamente inoculato il virus dell'Aids a 426 bambini ricoverati nell'ospedale di Bengasi, 52 dei quali deceduti. A chiudere la fase dibattimentale del processo sono stati gli interventi della pubblica accusa. Il procuratore generale ha chiesto per tutti gli imputati la “pena massima”, non indicando comunque quale essa possa essere. Dopo la requisitoria del procuratore generale, hanno preso la parola i sei imputati. Tutti hanno ribadito la loro innocenza, ripetendo che la confessione che hanno sottoscritto e' stata loro estorta con la tortura. Nel primo processo - poi annullato dalla Corte suprema – le cinque infermiere bulgare e il medico palestinese erano stati condannati alla pena di morte.

 

La Giordania si prepara a inaugurare l'apertura dell'imminente stagione parlamentare con un nuovo governo: re Abdallah II ha acconsentito al rimpasto del Consiglio dei ministri, richiesto dal premier Marouf Bakhit. La nuova compagine governativa, ha affermato il portavoce del governo, Nasser Judeh, durante una intervista alla televisione di Stato,  Jordan TV, riguarderà la fusione di alcuni dicasteri e il passaggio di altri a nuovi ministri. Il nuovo gabinetto dovrebbe essere definito entro il 28 novembre. L'attuale governo, in carica esattamente da un anno, non ha finora subito alcuna modifica. Il premier Bakhit, con trascorsi diplomatici e nell'intelligence, era stato nominato dal sovrano pochi giorni dopo i tre simultanei attentati suicidi che il 9 novembre 2005 provocarono 61 morti e centinaia di feriti in  altrettanti grandi alberghi della capitale Amman.

 

L'organizzazione indipendentista basca ETA minaccia di interrompere il processo di pace se il premier spagnolo Zapatero non manterrà i suoi impegni. Il servizio di Ignacio Arregui:

 

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Due giornali nazionalisti baschi hanno offerto stamattina un’ampia informazione sulle dichiarazioni dell’ETA pubblicate in un suo bollettino del mese di ottobre. Altri giornali, nelle ore successive, hanno commentato queste dichiarazioni che aggiungono un nuovo motivo di preoccupazione al processo di pace presentato dal presidente Zapatero il 29 giugno. Le dichiarazioni dell’ETA hanno un chiaro tono di ultimatum, minacciano l’interruzione del processo di pace se non vengono compiute le promesse fatte dal presidente Zapatero, se non viene riconosciuto il movimento Batasuna, braccio politico dell’ETA e se continuano, si dice, le misure di “repressione” contro militanti o collaboratori dell’organizzazione armata. Il bollettino ricorda altre rivendicazioni dell’ETA come la cosiddetta “territorialità” dei Paesi Baschi e il diritto all’autodeterminazione. E’ questa la sesta volta che l’ETA rende pubblica qualche dichiarazione sul processo di pace da quando l’organizzazione armata ha decretato unilateralmente una tregua a tempo indeterminato il 22 marzo. Da parte sua, il presidente Zapatero si trova in Uruguay per il Vertice iberoamericano.

 

Dalla Spagna, per la Radio Vaticana, Ignacio Arregui.

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La polizia di Mosca ha già effettuato oltre 200 fermi fra persone presunte partecipanti alla manifestazione ultranazionalista non autorizzata indetta oggi per la festa nazionale russa. Stando ai media elettronici, gli agenti si limitano a  imbarcare i giovani che escono dalla stazione della metropolitana di Park Kulturi, dove i nazionalisti si erano dati  appuntamento, su degli autobus, senza neanche  controllare i documenti. Fra i fermati risultano anche alcuni giornalisti. Nel centro della capitale sono stati fatti affluire rinforzi, e le strade sono presidiate da circa 6.500 agenti.

 

Dalla prossima settimana quasi 200 Paesi saranno rappresentati alla 12.ma Conferenza mondiale sul clima che si svolgerà a Nairobi, in Kenya, dove, in contemporanea, si farà anche il II Meeting delle parti sul Protocollo di Kyoto (MOP2). Sul tavolo i negoziati per il Kyoto 2, cioè per un piano contro le emissioni di gas serra dopo il 2012. I Governi saranno infatti chiamati a fissare ulteriori obiettivi di  riduzione. Ma sul tappeto anche un tema di non poco rilievo, quello dell'adattamento ai cambiamenti climatici. All'ordine del giorno saranno poste, in particolare, le azioni concrete da adottare e le questioni attinenti il finanziamento per i Paesi in via di sviluppo. Sul fronte della riduzione dei gas serra, i Paesi industrializzati che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto auspicano la partecipazione dei principali Paesi emettitori agli sforzi di riduzione dei gas serra, ossia i Paesi industrializzati che non hanno ratificato il Protocollo, come Stati Uniti e Australia, e i Paesi emergenti, quali Cina, India e Brasile.

 

 

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