RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 306 - Testo della trasmissione di giovedì 2 novembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La Chiesa commemora i fedeli defunti. Il Papa esorta i credenti a guardare alla morte con serenità e speranza. Nel pomeriggio la preghiera di Benedetto XVI nelle Grotte Vaticane sulla tomba dei suoi predecessori. La nostra intervista con mons. Angelo Comastri

 

Dichiarazione della Sala Stampa vaticana a proposito dei commenti sulla possibile assenza del premier turco Erdogan durante la prossima visita del Papa in Turchia

 

Domani mattina il Papa visita la Pontificia Università Gregoriana: con noi il rettore padre Gianfranco Ghirlanda

 

La prolusione del cardinale Renato Martino alla  Settimana sociale di Spagna aperta oggi a Toledo 

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La fame nel mondo, una piaga che non si vuole sanare: dopo i dati allarmanti della FAO, la riflessione di Sergio Marelli e padre Fabrizio Colombo

 

La Russia intende raddoppiare il prezzo del metano alla Georgia. Il commento del prof. Giuseppe Bettoni

 

Ieri, al cimitero romano del Verano, la Messa celebrata dal cardinale vicario Camillo Ruini in suffragio dei defunti

 

La scuola non faccia l’occhiolino ad  Halloween, ma raccogliamo  la voglia di ritrovarsi dei  ragazzi: così ai nostri microfoni  mons. Domenico Sigalini

 

CHIESA E SOCIETA’:

I vescovi maroniti del Libano condannano la confusione che regna nel loro Paese

 

Oggi, la chiusura dei lavori ad Abuja, in Nigeria dell’Assemblea generale dell’Unione della radiodiffusione e televisione internazionale dell’Africa

 

Consegnato ieri il Premio della Pace della città di Sydney 2006 ad Irene Khan, prima donna, asiatica, musulmana, eletta nel 2001 segretario generale di Amnesty International

 

Dichiarazione dei vescovi del Venezuela sulla scelta del Consiglio nazionale elettorale di nominare alcuni sacerdoti come presidenti di seggi o scrutatori per le prossime presidenziali

 

Scagionato dopo 25 anni, grazie al test del DNA un detenuto del Texas, condannato a 50 anni di carcere con l’accusa di avere stuprato una donna

 

24 ORE NEL MONDO:

Iraq in preda al caos e alla violenza: un documento dell’esercito statunitense descrive la drammatica situazione del Paese

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

2 novembre 2006

 

LA CHIESA COMMEMORA I FEDELI DEFUNTI.

IL PAPA ESORTA I CREDENTI A GUARDARE ALLA MORTE CON SPERANZA.

NEL POMERIGGIO LA PREGHIERA DI BENEDETTO XVI

NELLE GROTTE VATICANE SULLA TOMBA DEI SUOI PREDECESSORI

- Intervista con mons. Angelo Comastri -

 

Oggi la Chiesa si raccoglie in preghiera per la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Benedetto XVI si recherà nel pomeriggio nelle Grotte Vaticane per pregare per i pontefici suoi predecessori. Ieri il Papa, all’Angelus in Piazza San Pietro, ha svolto un’intensa riflessione sulla morte, sulla vita eterna e sul desiderio, vivo in molti, “di ritrovare nell’aldilà i propri cari”. E durante l’udienza generale tenuta proprio il 2 novembre di un anno fa, il Papa esortava i credenti a guardare “all’enigma della morte con serenità e speranza”, lasciandosi illuminare dalla fede nella risurrezione. Ce ne parla Sergio Centofanti.

 

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Tutto passa, solo Dio resta – ha affermato ieri il Papa – “la meta della nostra esistenza” è “l’incontro faccia a faccia con Dio”, eppure l’uomo sembra non avvedersene:

 

“L’uomo moderno l’aspetta ancora questa vita eterna, o ritiene che essa appartenga a una mitologia ormai superata? In questo nostro tempo, più che nel passato, si è talmente assorbiti dalle cose terrene, che talora riesce difficile pensare a Dio come protagonista della storia e della nostra stessa vita. L’esistenza umana però, per sua natura, è protesa a qualcosa di più grande, che la trascenda; è insopprimibile nell’essere umano l’anelito alla giustizia, alla verità, alla felicità piena”.

 

“L’enigma della morte” – spiegava il Papa un anno fa – s’intreccia dunque con “la questione di come vivere bene, come trovare la felicità” e nello stesso tempo con l’attesa “di un giudizio finale che ristabilisca la giustizia”:

 

“Felice l'uomo che dona; felice l'uomo che non utilizza la vita per se stesso, ma dona; felice l'uomo che è misericordioso, buono e giusto; felice l'uomo che vive nell'amore di Dio e del prossimo. Così viviamo bene e così non dobbiamo aver paura della morte, perché siamo nella felicità che viene da Dio e che dura sempre”.

 

Al centro della fede cristiana c’è il mistero della morte e risurrezione di Cristo: la risurrezione di Gesù - ha detto il Papa al Convegno di Verona il 19 ottobre scorso - è stata “come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte”. Con questa certezza i cristiani guardano alla vita eterna non tralasciando i propri impegni nel mondo: “hanno i piedi sulla terra – ha detto ieri il Papa -  ma il cuore già nel Cielo, definitiva dimora degli amici di Dio”:

 

“Vita eterna per noi cristiani non indica però solo una vita che dura per sempre, bensì una nuova qualità di esistenza, pienamente immersa nell’amore di Dio, che libera dal male e dalla morte e ci pone in comunione senza fine con tutti i fratelli e le sorelle che partecipano dello stesso Amore”.

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La Commemorazione dei fedeli defunti è strettamente legata, nel calendario liturgico, alla Solennità di Tutti i Santi: sui motivi di questo legame Giovanni Peduto ha intervistato l’arcivescovo Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano:

 

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R. – E’ chiaro che insieme ai Santi del Paradiso ricordiamo coloro che sono orientati verso il Paradiso, che sono nel Purgatorio e il Purgatorio non è un Inferno in seconda edizione, il Purgatorio è già una casa di gioia perché non è altro che l’anticamera del Paradiso. Io mi ricordo che una volta il mio vecchio parroco diceva che il Purgatorio è come un grande corso di esercizi spirituali prima di essere ammessi alla festa dei Santi. Le persone che sono in attesa del Paradiso, tutti i defunti che ricordiamo il 2 novembre, sono persone che vivono in comunione con noi. Noi possiamo pregare per loro e loro possono pregare per noi ed è bello ricordare anche questa seconda parte della comunione dei Santi, cioè tutte le anime che ancora non sono nella festa piena del Paradiso, ma che sono già nell’anticamera, sono già nell’attesa, e quindi sono già con il cuore orientato a Dio. Sentire la comunione con loro, pregare per loro e sapere che anche loro possono intercedere per noi, anche questo è un motivo che rompe la paura della solitudine.

 

D. – Eccellenza, noi oggi viviamo in una società che cerca in tutti i modi di esorcizzare la morte: un suo commento su questo aspetto della nostra società?

 

R. – Si ha paura della morte, quando non si hanno più risposte davanti al mistero della morte. Certo se si pensa che la vita sia un salto nel buio, allora la morte fa paura, se non si ha nessuna luce sul mistero dell’aldilà, allora l’aldilà fa paura. Ma quando si sa che la morte è soltanto una soglia, che la morte non è la fine, la morte è l’inizio, come la porta è l’ingresso di una casa, la soglia è l’ingresso di una casa. Quando, illuminati dalla fede, si ha questa certezza, la morte si può chiamare tranquillamente ‘sorella morte’, come diceva San Francesco. La nostra società purtroppo si è completamente ripiegata sull’oggi, sull’aldiquà, ma l’aldiquà non può essere il tutto della vita. Aveva ragione Madre Teresa di Calcutta, quando diceva: “il più bello deve ancora venire, il più bello deve ancora compiersi”. Il cristiano che conosce tutto questo guarda alla morte con estrema serenità. Chi pensa come uno scrittore contemporaneo, che tra l’altro va per la maggiore, che ha detto: “Io penso che il ruolo della mia specie non sia superiore a quello delle api o delle formiche o dei passerotti”, chi pensa questo, per forza ha paura della morte. Ma noi sappiamo che invece la vita di un uomo è una vita sublime, è una vita che porta in sé un germe di eternità e noi abbiamo il tempo in questa vita di decidere a quale eternità vogliamo indirizzarci: l’eternità dell’abbraccio con Dio o l’eternità del rifiuto di Dio. L’eternità dell’abbraccio con Dio è il Paradiso, l’eternità del rifiuto di Dio è l’Inferno, perché senza Dio l’uomo è irrealizzato, senza Dio l’uomo è svuotato completamente e quindi è infelice.

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DICHIARAZIONE DELLA SALA STAMPA VATICANA

A PROPOSITO DEI COMMENTI SULLA POSSIBILE ASSENZA

DEL PREMIER TURCO ERDOGAN

DURANTE LA PROSSIMA VISITA DEL PAPA IN TURCHIA

 

La Sala Stampa vaticana ha reso noto oggi un comunicato a proposito dei commenti apparsi sulla stampa circa la possibile assenza del premier turco Recep Tayyip Erdogan durante la visita del Papa in Turchia dal 28 novembre al 1° dicembre prossimi.  “E’ bene precisare – sottolinea la nota - che la Santa Sede era già da tempo informata - nel corso della preparazione del viaggio – circa la concomitanza con l’importante impegno del Primo Ministro per il vertice della NATO in Lettonia”. La Sede Apostolica – conclude il comunicato – “era altresì informata che il Capo del Governo avrebbe cercato di essere presente in Turchia per incontrare il Santo Padre ma che non poteva garantirlo, e in caso di assenza sarebbe stato rappresentato da altra importante autorità del Governo, cioè il Vice Primo Ministro”.

 

 

LA PONTIFICIA UNIVERSITA’ GREGORIANA ATTENDE CON GIOIA LA VISITA,

 DOMANI, DI BENEDETTO XVI. E’ LA 26.MA VOLTA CHE UN PONTEFICE

 VARCA LA SOGLIA DEL PRESTIGIOSO ATENEO

- Intervista con padre Gianfranco Ghirlanda -

 

L’intera comunità accademica della Pontificia Università Gregoriana attende con gioia e trepidazione la visita di Benedetto XVI, che domani mattina, alle ore 10.30, si recherà nel prestigioso ateneo di Piazza della Pilotta. Quella di domani è la 26.ma visita di un Papa alla Gregoriana, fondata nel 1564, e di cui Pio XI diceva è “sempre per il Papa … la sua vera e propria Università: Pontificia in tutto il significato del nome”. In effetti, questo legame con il Pontefice è particolarmente forte: è il Papa infatti a nominare il Magnifico Rettore della Gregoriana, mentre, da statuto, il Gran Cancelliere dell’università è il prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica. Al Rettore, padre Gianfranco Ghirlanda, Marco Cardinali ha chiesto innanzitutto quale significato assuma questa visita del Papa per gli studenti:

 

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R. – Quando ho pensato di invitare il Santo Padre, subito ho pensato soprattutto agli studenti, perchè l’università è degli studenti, che vengono da tutte le parti del mondo e che, quindi, portano qui a Roma la loro esperienza di fede delle proprie Chiese particolari, anche l’esperienza di fede di culture tanto diverse. Roma è il centro della cristianità e, quindi, a Roma e alla Gregoriana si arricchiscono dell’esperienza della universalità della Chiesa. Fin dalle origini, i vari collegi di Roma, i cui alunni frequentavano le lezioni al Collegio Romano, furono affidati alla Compagnia di Gesù, per essere, appunto, gli studenti formati alla fedeltà al Romano Pontefice, in un tempo in cui in Europa veniva rotta la comunione con il Papa. La situazione ora è mutata, ma non è meno necessaria una formazione al senso della comunione con il Pontefice, senso di comunione che porteranno poi nelle loro Chiese particolari.

 

D. – C’è anche l’altra parte dell’università che è il corpo docente. Cosa significa, dunque, la visita per tutti i professori che insegnano alla Gregoriana? 

 

R. – Ogni docente, nel suo insegnamento, quanto mai qui all’Università Gregoriana, non può non tener conto del magistero e del magistero universale della Chiesa, nella sua stessa riflessione e insegnamento. Ma, nello stesso tempo, è la stessa riflessione dei professori che aiuta il magistero, che sempre più profondamente va scrutando le verità che nostro Signore ci ha rivelato. Quindi, si tratta di una fedeltà attiva e di servizio rispetto al magistero. E, appunto, anche qui l’incontro potremmo dire fisico con il Pontefice vuole significare questo rapporto, dal quale non si può prescindere.

 

D. – C’è un’altra peculiarità della Gregoriana, che è il fatto che è retta dalla Compagnia di Gesù, che da più di 450 anni opera nel campo culturale, attraverso l’insegnamento e la pedagogia di Sant’Ignazio, che ne è il fondatore. Cosa vuol dire per la Compagnia di Gesù questa visita?

 

R. – La Gregoriana oggi, erede del Collegio Romano, che è stata fondata dallo stesso Sant’Ignazio, qui nel cuore della cristianità, è un’opera affidata dalla Santa Sede alla Compagnia di Gesù e la Compagnia di Gesù allora è consapevole di aver ricevuto e di continuare a ricevere questa missione dal Papa e cerca di assolverla con fedeltà e spirito di servizio, per una maggior gloria di Dio.

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NOMINE

 

Il Santo Padre, ieri, ha nominato vescovo di Bacabal, in Brasile, padre Armando Martín Gutiérrez, dei Figli dell’Amore Misericordioso, finora formatore della sua Congregazione nell’arcidiocesi di Fermo, in Italia. Padre Armando Martín Gutiérrez è nato il 16 dicembre 1954 a Madrid. Ha frequentato gli studi di primo e secondo grado nel Collegio Amore Misericordioso a Lujua, in Spagna, e i corsi di Filosofia e Teologia presso l’Istituto Teologico Marchigiano nella sede di Fermo. Ha conseguito la Licenza in Teologia Morale presso la Pontificia Accademia Alfonsiana di Roma. Ha emesso la prima professione nella Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso l’8 settembre 1974 e quella perpetua nel 1978. È stato ordinato sacerdote il 6 ottobre 1979 a Roma.

 

 

I DIRITTI UMANI COME FONDAMENTO PER LA COSTRUZIONE

 DI UNA CULTURA UNIVERSALE, NELLA PROLUSIONE DEL CARDINALE RENATO MARTINO

ALLA XL SETTIMANA SOCIALE DI SPAGNA APERTA OGGI A TOLEDO

 

La radice dei diritti dell’uomo va ricercata nella dignità propria di ogni essere umano. Appartenendo originariamente ed intrinsecamente alle persone, tali diritti sono pertanto naturali, inalienabili e universali e l’ordine politico – nazionale e internazionale – ha il compito di riconoscerli, rispettarli, tutelarli e promuoverli. Lo ha affermato il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e delle Pace, cardinale Renato Raffaele Martino, inaugurando stamani a Toledo con una prolusione su “I diritti umani come fondamento per la costruzione di una cultura universale” la XL Settimana Sociale di Spagna in corso nella città castigliana fino al 5 novembre sul tema: “Proposte cristiane per la cultura della convivenza”.

 

Il porporato ha rilevato che “le culture improntate all’efficientismo, al materialismo pratico, ad un individualismo utilitarista ed edonista mettono a repentaglio l’intero corpus dei diritti. Sulla base di tali culture, che non hanno più il punto di riferimento in una visione integrale dell’uomo, la stessa tutela giuridica dei diritti è messa radicalmente in discussione e svuotata di contenuto”, mentre “il riconoscimento di un fondamento oggettivo dei diritti della persona può sottrarre le comunità politiche a patti sociali dipendenti unicamente dal criterio dell’unanimità, della neutralità o della massima utilità collettiva”. Muovendo dalla considerazione della comune dignità, che supera ogni differenza e affratella tutti gli esseri umani, il cardinale Martino ha stigmatizzato ogni forma di discriminazione perpetrata in nome della razza, dell’etnia, del sesso, della condizione sociale o della religione. Dedicandosi alla causa dell’uomo e proclamando l’inviolabilità dei diritti umani, specie dei più poveri, la Chiesa attesta che la dignità umana non può essere distrutta, quale che sia la condizione di miseria, di disprezzo, di emarginazione, di malattia, a cui un uomo può trovarsi ridotto.

 

Il presidente di Giustizia e Pace non ha mancato di rilevare la reciprocità tra diritti e doveri nella persona e nella relazione con le altre persone e la difesa particolare da parte della Chiesa dei diritti-doveri della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Consapevole che la sua missione essenzialmente religiosa include la difesa e la promozione dei diritti fondamentali dell’uomo, la Chiesa non può non apprezzare il dinamismo con cui ai nostri giorni i diritti umani vengono promossi ovunque, auspicandone un sempre maggiore incremento.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

Servizio vaticano – “I santi una folla senza numero”: nella Solennità di Tutti i Santi, Benedetto XVI ha presieduto la celebrazione eucaristica nella Basilica Vaticana.

 

Servizio estero - Nucleare: soddisfazione per la ripresa dei negoziati a sei. Restano per ora le sanzioni imposte dall’ONU alla Corea del Nord.

 

Servizio culturale - Un articolo di Roberto Morozzo Della Rocca dal titolo “Il cardinale Casaroli e l'America Latina”: pubblicati gli atti di un convegno di studi.

Un articolo di Vittorino Grossi dal titolo “Agostino ponte fra le culture”: il viaggio della “Fiaccola del Dialogo” da Tagaste a Pavia, sulle orme del Santo di Ippona

 

Servizio italiano - In primo piano il tema della criminalità. Prodi in visita a Napoli. La città chiede di avere un futuro.  

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

2 novembre 2006

 

 

LA FAME NEL MONDO, UNA PIAGA CHE NON SI VUOLE SANARE:

 DOPO I DATI ALLARMANTI DELLA FAO, LA RIFLESSIONE DI SERGIO

MARELLI, PRESIDENTE DELLE ONG ITALIANE E DEL MISSIONARIO

 COMBONIANO, FABRIZIO COLOMBO

 

“Il mondo ignora il grido di chi ha fame”: così, l’Osservatore Romano commenta i dati del Rapporto della FAO sullo stato di insicurezza alimentare secondo cui sono almeno 854 milioni le persone sottonutrite nel mondo. Dato ancor più allarmante se si considera che, nell’ultimo decennio, il numero di chi soffre la fame non è affatto diminuito. Il documento delle Nazioni Unite, pubblicato in questi giorni, ha dunque messo in luce quanto sia lontano il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio, il primo dei quali è proprio il dimezzamento del numero degli affamati entro il 2015. In tale contesto, si svolge domani a Roma, presso la sede dell’UNICEF, un seminario internazionale sul tema “Vincere la fame si deve”, promosso dal Comitato Italiano per la Sovranità Alimentare, presieduto da Sergio Marelli. A lui, Alessandro Gisotti ha chiesto una riflessione sulle responsabilità per questo stallo nella lotta alla fame nel mondo:

 

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R. – E’ fuori dubbio che la responsabilità, intanto, sta nei governi nazionali. Spesso si tende ad incolpare le agenzie soprannazionali e quelle delle Nazioni Unite in modo particolare, ma non possiamo dimenticare il fatto che queste agiscono solamente con le risorse e con i mandati, e quindi con le possibilità e le opportunità che le vengono consegnate dai singoli governi nazionali. Sicuramente anche una responsabilità da ascrivere, oltre ai Paesi ricchi, anche ai Paesi cosiddetti in via di sviluppo.

 

D. – La fame, peraltro, sempre accompagnata da mancanza di sicurezza dove non addirittura conflitti, guerra …

 

R. – Sì: è fuori dubbio che i conflitti, le situazioni di instabilità, il terrorismo e la violenza sono oggi una delle cause maggiori che vanno proprio a radicarsi, che hanno e che trovano un terreno fertile laddove i diritti fondamentali, a partire da quelli dell’accesso al cibo, sono in qualche modo violati. E’ una situazione che continua a ricordarci, e in modo particolare nell’appropinquarsi del 40.mo della Populorum Progressio, che si celebrerà il prossimo anno, come quello slogan di Paolo VI “lo sviluppo è il nuovo nome della pace” sia sicuramente ancora di grande attualità.

 

D. – Ecco, in questo i richiami della Chiesa e dei Pontefici che si sono succeduti, in particolare nel secondo dopoguerra, sottolineano l’importanza della persona al centro delle politiche di sviluppo …

 

R. – Questa grande coerenza, questa grande continuità all’interno del messaggio e degli indirizzi della Dottrina sociale della Chiesa, è sicuramente ancora oggi di grande attualità perché le grandi scelte e le politiche intraprese dai governi nazionali e in genere a livello planetario purtroppo continuano a sacrificare la persona umana, continuano a sacrificare gli individui alla logica del profitto piuttosto, invece, che ripartire da questa centralità dell’uomo, della persona umana che resta fondamentale, sia come obiettivo ma che resta fondamentale anche come il vero soggetto che può davvero cambiare le sorti dello sviluppo del pianeta. Ripartire dai diritti umani, dalla dignità di vita di ogni singolo e di tutte le persone, resta la chiave per rendere questi obiettivi raggiungibili e in qualche modo avere successo nella lotta e nello sradicamento della miseria, della povertà e della violenza nel mondo.

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Nel suo messaggio per la Giornata dell’Alimentazione, il 16 ottobre scorso, Benedetto XVI ha sottolineato che “devono esserci cooperazione e solidarietà fra Stati, ognuno dei quali dovrebbe essere attento alle necessità dei suoi cittadini più deboli che sono i primi a soffrire a causa della povertà”. D’altro canto, già 15 anni fa, nell’Enciclica Centesimus Annus, Giovanni Paolo II avvertiva che per sconfiggere la fame non basta attingere al superfluo che il nostro mondo produce in abbondanza, ma cambiare gli stili di vita. Un’esortazione sulla quale si sofferma il padre comboniano Fabrizio Colombo, per molti anni missionario in Ciad, al microfono di Alessandro Gisotti:

 

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R. – Il troppo consumo porta anche il troppo spreco. Un dato della London University e dell’Università di Bologna dice che in Italia si sprecano quasi 600 euro di alimenti all’anno per famiglia. Questo spreco potrebbe, quindi, essere condiviso con le popolazioni che soffrono la fame. Vorrei, però, fare una ulteriore riflessione: se ci mettiamo a guardare la realtà che ho potuto condividere negli anni che ho passato in Ciad, ci si accorgere che la fame non è soltanto relativa alla mancanza di cibo, ma è l’impossibilità di questi Paesi di poter usufruire delle proprie risorse, che a volte sono proprio rubate da multinazionali o da un sistema economico o di commercio che non permette all’Africa di “esplodere” nel suo sviluppo. C’è poi il problema dell’insicurezza della pace e della giustizia , dei diritti violati. Posso fare un esempio concreto: ogni domenica avevo la grazia di poter celebrare l’Eucaristia con una grandissima comunità di ammalati di AIDS e questi ammalati hanno bisogno ogni mese di 10 euro per comprare la triterapia, che permette loro di sopravvivere. Ovviamente tutti i dottori dicono che non si possono prendere medicinali senza un’adeguata alimentazione. C’è poi un altro scandalo: ci siamo infatti accorti che per quanto riguarda il progetto petrolio, molta gente viene assunta dall’estero. C’era del personale filippino che veniva a lavorare in Ciad e quindi la gente non ha neanche la possibilità di poter guadagnare lavorando. E’ per questo che io dico che il cambiamento della mentalità, del comportamento del nord del mondo, cammina insieme al cambiamento del Sud del mondo, in favore di una maggiore giustizia, di una maggiore pace e di un maggiore sviluppo di questi Paesi.

 

D. – Quindi anzitutto c’è un problema di formazione, della mente e del cuore si potrebbe dire, da questa parte del mondo che forse è poco attento…

 

R. – Certamente si tratta di un cambiamento del cuore, è una conversione, è un cambio di rotta anche di noi consumatori del nord del mondo, che dobbiamo cambiare il nostro modo di consumare. E’ vero c’è anche il commercio equo e solidale, ci sono dei boicottaggi contro le multinazionali che sfruttano le persone, ma al di là di tutto questo io credo che sia ancor più importante poter conoscere questa situazione e quindi l’importanza di informarsi su quello che realmente succede nel Sud del mondo. E’ poi necessario proporre delle azioni in tutti campi, da quello economico a quello solidale. Tutto questo fa parte di questa conversione del cuore. Ovviamente noi come cristiani abbiamo una priorità su tutti visto che Dio è carità, come dice Benedetto XVI. Tutta la nostra azione deve essere fatta non per filantropia, non perché apparteniamo ad una organizzazione in favore del rispetto delle dignità umana, ma anzitutto perché è Cristo che lo ha indicato.

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LA RUSSIA INTENDE RADDOPPIARE IL PREZZO DEL METANO ALLA GEORGIA:

L’ANNUNCIO, CUI DOVREBBE SEGUIRE UN NEGOZIATO,

RIAPRE IL CAPITOLO MAI CHIUSO DELLE TENSIONI TRA I DUE PAESI

- Intervista con il prof. Giuseppe Bettoni -

 

La Russia intende più che raddoppiare i prezzi del metano destinato alla Georgia a partire dal primo gennaio 2007, portandoli dagli attuali 110 dollari per 1000 metri cubi a 230 dollari. E’ quanto hanno fatto sapere, all'agenzia Interfax, funzionari del colosso energetico russo, precisando che si tratta di una proposta già ufficialmente inviata a Tbilisi, sulla quale comunque verrà avviato un negoziato.  La mossa si va a inserire nelle forti tensioni esplose fra le due ex repubbliche ex sovietiche dopo il breve arresto nella capitale georgiana, il 27 settembre, di quattro ufficiali russi accusati di spionaggio. Ieri una visita a Mosca del ministro degli Esteri di Tbilisi Bezhuashvili sembrava poter riportare toni più distesi nei rapporti fra Russia e Georgia. Rapporti mai idilliaci dopo il crollo dell'URSS e peggiorati con l'ascesa al potere dell'attuale presidente georgiano Mikhail Saakashvili, filo-occidentale. Ma non è una questione personale: Fausta Speranza ha chiesto che cosa, in realtà, ci sia in gioco al prof. Giuseppe Bettoni, docente di geopolitica all’Università Tor Vergata di Roma:

 

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R. – In gioco sicuramente c’è il possibile ruolo di Georgia, Azerbaigian, Daghestan, che per quanto riguarda la Russia rappresenta qualcosa di molto importante. I rapporti Georgia-Russia sono tutt’altro che semplici. Ma, come avviene per tutto quello che riguarda il Caucaso,  per la Russia è molto importante tenere sotto controllo questo snodo che per diverse ragioni è importante: la prima è sicuramente l’accesso al Mar Caspio; la seconda è un controllo di rapporto con l’Asia, con la parte meridionale della Russia, al di là del Kazakhistan stesso. Quindi il rapporto Georgia-Russia è uno dei tanti rapporti che sono delicati in questo – diciamo – insieme di popolazioni estremamente diversificate.

 

D. – Ricordare le problematiche di tutta l’area del Caucaso non è impresa giornalistica di un minuto. Ma, prof. Bettoni, ci aiuta a fotografare qualche punto chiave?

 

R. – Sicuramente bisogna ricordare la questione del Nagorno-Karabakh e soprattutto occorre ricordare la questione dell’Ossezia del Sud e dell’Ossezia del Nord. Tre Paesi principali – Georgia, Azerbaigian e Armenia – si ritrovano in realtà su un mosaico densissimo di popolazioni che sono più o meno divisibili in caucasici, indoeuropei e quelli che vengono chiamati popoli altaici. Ci sono i turcofoni, gli azeri, i caraici, i nogai, i turkmeni, i mongoli: tutta questa gente, in realtà, può essere più o meno raggruppabile in un macrogruppo identitario. E porzioni di ogni popolazione sono diffuse in altre parti. Dunque, il punto è che se la Russia dovesse perdere, ammettiamo ad esempio la Cecenia e quello che sarebbe ancora peggio tutto il Daghestan, aprirebbe in realtà una porta  nella parte settentrionale che potrebbe portare, per esempio, a quella che è la Calmucchia a sollevarsi e a chiedere l’indipendenza. Significherebbe arrivare a perdere accesso al Mar Caspio tutto e soprattutto rischiare di perdere un rapporto con la Russia meridionale, il Kazakhistan e quindi anche con il resto della Russia asiatica. Questa sarebbe una vera catastrofe per la Russia, perché a quel punto Mosca potrebbe comunicare con l’Asia solo attraverso la parte settentrionale della Siberia.

 

D. – Ecco, questa analisi ha preso le mosse dalla decisione, dall’annuncio di raddoppiare, anzi più che raddoppiare, il prezzo del gas alla Georgia. Possiamo dire in definitiva che tutto ciò è in ballo quando la Russia usa il gas come arma di contrattazione?

 

R. – Ci possono essere degli elementi estremamente ridotti, vicini a noi, di oggi, di ieri al massimo, che possono aver provocato questa cosa. Ma quello che conduce la Russia in una strategia di questo genere è sicuramente quello che ho appena detto: la paura di perdere il controllo su un’area profondamente importante per l’esistenza stessa della Russia nella parte meridionale del continente europeo ed asiatico, a cavallo tra Mar Nero e Mar Caspio. Quindi, sì, sicuramente va presa in considerazione questa visione più di medio-periodo e più su una scala ampia per poter capire la scelta di minacciare un raddoppio del prezzo del petrolio.

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IERI, AL CIMITERO ROMANO DEL VERANO, LA MESSA CELEBRATA

DAL CARDINALE VICARIO CAMILLO RUINI IN SUFFRAGIO DEI DEFUNTI

 

“Celebrare e ricordare tutti i santi significa operare un grande rovesciamento, un cambiamento dell’immagine del mondo e della vita che noi normalmente abbiamo”. Così il cardinale vicario Camillo Ruini ieri pomeriggio al cimitero romano del Verano, durante la Messa celebrata in suffragio dei defunti. Tra loro il porporato ha ricordato anche Giovanni Paolo II. Il servizio di Tiziana Campisi.

 

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(canto)

 

Una lode a Dio: questa è stata la celebrazione al cimitero del Verano, un canto levato al cielo, nel ricordo di quanti sono entrati nella vita eterna e nella prospettiva di trovarsi dinanzi al volto del Padre. Un volto d’amore, che rivela la pienezza della verità e che già una moltitudine di santi contempla. Tale moltitudine, ha detto il cardinale Camillo Ruini, ci fa capire che nel mondo “non prevalgono la cattiveria o l’infelicità, ma il bene e la gioia”, per tale motivo festeggiare i Santi è guardare le cose con una prospettiva diversa:

 

“Significa in qualche modo operare un grande rovesciamento, un cambiamento dell’immagine del mondo e della vita, che noi normalmente abbiamo”.

 

Nella sua omelia il porporato si è soffermato sulle beatitudini rivelate nelle pagine del Vangelo di Matteo. Seppure queste paiono al di sopra delle nostre forze, ha spiegato il cardinale Ruini, hanno avuto e continuano ad avere una moltitudine di seguaci, imperfetti ma sinceri e portati alla perfezione dall’amore e dalla misericordia di Dio:

 

“In questa moltitudine possiamo aver parte anche noi. E vogliamo ricordare questa sera uno di costoro che fanno parte della grande moltitudine: Giovanni Paolo II, perché oggi ricorre il 60.mo anniversario della sua ordinazione a sacerdote a Cracovia, nella cattedrale del Wawel”.

 

Quindi il porporato ha spiegato che la gioia senza fine nella quale vivono i Santi è la speranza della Chiesa, una gioia che è dono dell’amore di Dio:

 

“Questo è il grande spartiacque tra la fede cristiana e la mancanza di questa fede; credere o non credere in questo amore di Dio, nella realtà e nella forza di questo amore.

 

Infine, il cardinale Ruini ha esortato i fedeli a chiedere aiuto a quanti già si trovano al cospetto di Dio, perché possano pure loro volgere preghiere per il mondo, che ha bisogno della luce e della misericordia di Dio.

 

(canto)

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LA SCUOLA NON FACCIA L’OCCHIOLINO AD  HALLOWEEN:

COSÌ AI NOSTRI MICROFONI MONS. DOMENICO SIGALINI

CHE INVITA A RACCOGLIERE LA VOGLIA DI RITROVARSI DEI  RAGAZZI

 

Una festa finita in tragedia: è il drammatico epilogo della notte di Halloween, costata la vita in Italia a due bambini. Un bimbo di 7 anni è morto per un incendio causato da una candela nascosta in una zucca ed un altro di 10 è stato investito da un’auto mentre giocava a fare il mago. Una gigantesca rissa si è poi verificata in un paese in provincia di Avellino, dove il parroco è sceso in strada per fermare due bande di giovani che si stavano affrontando a colpi di bastoni e coltelli. Nella notte di Halloween, tra il 31 ottobre ed il primo di novembre, i bambini sono soliti vestirsi da vampiri o piccoli mostri. Bussano alle porte delle case e chiedono dei dolci. Ma Halloween è semplicemente una moda, una festa consumistica o, piuttosto, l’occasione per un’esaltazione del macabro? Risponde, al microfono di Amedeo Lomonaco, il vescovo di Palestrina, mons. Domenico Sigalini, già responsabile del Servizio nazionale di pastorale giovanile della CEI:

 

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R. – Io credo che sia più una moda che si sta imponendo, perchè c’è una forza economica dietro che la spinge. I nostri ragazzi hanno voglia di far festa. Cercano continuamente qualcosa per potersi incontrare. Il mondo nel quale si trovano è fatto di cose programmate. Non riusciamo a reggere il confronto di fronte a questo martellamento economico che, evidentemente, crea tutti gli spazi che vuole. E’ chiaro che, però, i soldi da soli non fanno mai il tutto se non c’è dietro anche un indice di gradimento antropologico. Questo indice potrebbe essere la scoperta del macabro.

 

D. – La festa di Halloween cerca di esorcizzare la morte, ma non è anche il tentativo di esaltare il mondo dell’esoterico?

 

R. – Secondo me, non esorcizza troppo la morte. Cerca soltanto di mettere dentro questo discorso, che sicuramente fa arrivare alle persone delle grosse domande, cerca di superare il problema. Superando il problema, evidentemente crea un vuoto ancora maggiore. Dipende anche dalla nostra comunità cristiana quanto riesce a far vivere meglio, invece, la festa dei Santi e la commemorazione dei defunti.

 

D. – A questo proposito, quanto Halloween allontana, soprattutto i giovani, dalla comprensione della solennità di Tutti i Santi e della commemorazione dei defunti?

 

R. – Per me li allontana moltissimo, anche perché purtroppo la solennità dei Santi e la commemorazione dei defunti sta uscendo dal loro giro di sensibilizzazione, di preparazione. Rendiamoci conto: quanti sono i ragazzi in Italia che frequentano una parrocchia? Sono il 15 per cento. Per tutti gli altri l’unica proposta che c’è, è quella della grande distribuzione economica, dei grandi elementi promozionali dei supermercati. Bisogna chiamare allora in causa la comunità cristiana che fa del suo meglio; oggi e ieri siamo stati nei cimiteri e stiamo lì con fede profonda e con la capacità di far riflettere le persone. Se mancano, però, questi elementi nella vita di famiglia e qualche struttura di società che potrebbe spendersi di più, noi siamo impotenti di fronte a questa esasperazione del fenomeno.

 

D. – Digitando la parola Halloween in un motore di ricerca, molti siti offrono informazioni sul mondo dell’occultismo…

    

R. – Questa è un’esca. A mio avviso, la scuola deve farsi carico di questo. Invece di fare l’occhiolino ad Halloween, facesse un po’ più di informazione, facesse vedere i limiti, senza demonizzare assolutamente la voglia di ritrovarsi dei ragazzi. Ogni elemento, però, che viene proposto dalla società ha bisogno di essere collocato dentro una visione della vita. Una visione del mondo e una visione del bene, in maniera da aiutare i ragazzi a non far diventare questo una porta per delle cose non più controllabili. La festa di Halloween è un’occasione di incontro fra i ragazzi, con caratteristiche che io non approvo, ma che non può essere demonizzata.

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CHIESA E SOCIETA’

2 novembre 2006

 

 

I VESCOVI MARONITI DEL LIBANO CONDANNANO LA CONFUSIONE CHE REGNA

NEL LORO PAESE SU QUESTIONI CHIAVE COME LA FORMAZIONE DEL TRIBUNALE INTERNAZIONALE CHE DEVE GIUDICARE I CRIMINI POLITICI COMMESSI A PARTIRE

DAL 2004, LA SOSTITUZIONE DEL GOVERNO DI FOUAD SINIORA ED UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE

 

BEIRUT. = Ferma condanna dei vescovi maroniti per la “confusione” che regna in Libano e che coinvolge questioni chiave per il futuro del loro Paese. I presuli, riuniti ieri a Bkerke, sotto la presidenza del patriarca maronita, cardinale Nasrallah Sfeir – come riferisce AsiaNews - hanno affrontato le ultime polemiche suscitate dal presidente libanese Lahoud che ha rigettato la bozza di statuto del Tribunale internazionale dell'ONU, incaricato di giudicare i responsabili dei 14 attentati compiuti in Libano nel 2004 e 2005. Secondo Lahoud la bozza sarebbe “in contraddizione con l'articolo 52 della Costituzione, che affida al presidente della Repubblica la competenza ordinaria di stipulare accordi internazionali”. Una presa di posizione giudicata dai Partiti antisiriani come tentativo di bloccare l’istituzione stessa del Tribunale, che porterebbe sul banco degli accusati anche esponenti di primo piano di Damasco e, forse, lo stesso Lahoud. Nella nota finale dei lavori i vescovi maroniti esprimono dunque “rammarico” per “la confusione che regna in Libano e la divisione dei libanesi in fazioni antagoniste di cui è difficile capire ciò che vogliono: la divisione verte sul Tribunale internazionale, il governo che si vuole rimpiazzare o modificare, la legge elettorale ed altre questioni politiche. La situazione impone che i libanesi facciano prevalere l’interesse nazionale sugli interessi particolari, per trovare una soluzione”. Il documento rileva poi che “continuano le violazioni dello spazio aereo libanese da parte degli israeliani, malgrado la presenza della Forza di interposizione delle Nazioni Unite, con il pretesto che armi continuano ad essere fornite a gruppi armati attraverso la frontiera libanese. Questa è una situazione che non ispira fiducia, ma che, al contrario, fa temere una ripresa dei combattimenti dei quali tutti i libanesi conoscono i mali”. Da parte sua, il patriarca Sfeir, che continua con forza d'animo eccezionale a guidare la sua Chiesa maronita, non manca di esprimere ai suoi ospiti la sua preoccupazione di un ulteriore peggioramento della situazione nel Paese. Lo ha ripetuto mercoledì, rinnovando il suo prudente invito ad un “maggior controllo delle posizioni dei leader politici”, che cercano di “facilitare le interferenze internazionali e la tutela delle forze regionali sul Paese dopo il ritiro dell'esercito siriano nel mese di  aprile del 2005”. (R.G.)

 

 

OGGI, LA CHIUSURA DEI LAVORI AD ABUJA, IN NIGERIA, DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’UNIONE DELLA RADIODIFUSSIONE E TELEVISIONE INTERNAZIONALE DELL’AFRICA: SOTTOLINEATA LA DIPENDENZA DEI PAESI AFRICANI DALLE FONTI D’INFORMAZIONE OCCIDENTALE E L’ASSENZA DI OPERATORI AFRICANI SUI LUOGHI DEI GRANDI EVENTI

- A cura di padre Joseph Ballong -

 

ABUJA. = L’immagine dell’Africa, la radio diffusione e gli imperativi economici: è il tema al centro della 43.ma Assemblea generale dell’Unione della Radiodiffusione e Televisione internazionale dell’Africa (URTNA) e della sesta Biennale di “Africast”, che si svolgono ad Abuja in Nigeria. Martedì, alla seduta congiunta di apertura dei due avvenimenti, i vari oratori - tra cui il ministro nigeriano dell’Informazione e dell’Orientamento nazionale - hanno sottolineato il ruolo importante, anzi, indispensabile dei comunicatori per lo sviluppo economico e umano dell’Africa, chiamata a mettere a profitto la nuova era della tecnologia digitale. Dal canto suo, Alì Mazrui, professore in Scienze economiche e umane nelle Università americane, ha deplorato il fatto che l’Africa dipende in modo sproporzionato dalle informazioni diffuse dalle agenzie occidentali e l’incapacità dei Paesi africani – tranne il Sud Africa e il Kenya – di mandare squadre di reporter nei teatri degli avvenimenti, come ad esempio nella regione sudanese del Darfur. In questo contesto, l’URTNA rimane un partner indispensabile per far sentire la voce dell’Africa e darne un’immagine positiva, reale. L’URTNA deve essere l’interfaccia tra il continente e l’esterno, ha ribadito da parte sua il presidente uscente dell’URTNA, il nigeriano Eddie Iroh. Durante la seduta di ieri pomeriggio, i partecipanti hanno accolto con soddisfazione il messaggio di saluto e di incoraggiamento del direttore generale della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi. Inoltre, l’Assemblea, per meglio rispondere alle sfide odierne del mondo della comunicazione, ha adottato i nuovi statuti dell’Unione che diventa Unione Africana delle Radiodiffusioni, UAR, e non più URTNA. La chiusura dei lavori è prevista oggi pomeriggio.

 

 

CONSEGNATO IERI IL PREMIO DELLA PACE DELLA CITTA’ DI SIDNEY 2006 AD IRENE KHAN, PRIMA DONNA, ASIATICA, MUSULMANA, ELETTA NEL 2001 SEGRETARIO GENERALE DI AMNESTY INTERNATIONAL. NEL RICEVERE IL RICONOSCIMENTO LA KHAN HA LAMENTATO IL CLIMA DI PAURA ED I FONDAMENTALISMI

CHE NEGLI ULTIMI ANNI HANNO NUOCIUTO ALLA CAUSA DEI DIRITTI DELLE DONNE

 

SYDNEY. = Irene Khan, prima donna asiatica e musulmana, eletta nel 2001 segretario generale di Amnesty International, ha ottenuto il Premio per la pace della città di Sydney 2006. Il riconoscimento le è stato tributato ieri sera nell'Università della città australiana per la ''coraggiosa difesa dei diritti umani” e in particolare per gli sforzi profusi “per eliminare la violenza verso le donne, sia essa causata dalla povertà, dall'abuso di potere degli uomini, da norme culturali o tradizioni religiose”. La Giuria guidata da direttore del Sydney Peace Prize, Stuart Rees, si è detta colpita “dalla diversità di una persona cresciuta come musulmana in Bangladesh, sposata in un'altra  cultura, educata in tre diversi Paesi, e che ha servito le Nazioni Unite per oltre 20 anni''. Irene Khan, ricevendo il Premio ha lamentato che i diritti delle donne abbiano sofferto negli ultimi anni un clima di paura e di fondamentalismi. “Ripensiamo – ha detto - all'apartheid in Sudafrica, all'indignazione quasi universale di allora contro l'apartheid razziale. Dov'è l'indignazione ora verso l'apartheid di genere, in Arabia Saudita ed in altri Paesi islamici?”. Nata in Bangladesh 50 anni fa, Irene Khan è cresciuta in una famiglia relativamente ricca, ma in mezzo alla povertà e alla guerra civile, all'epoca in cui il suo Paese otteneva l'indipendenza dal Pakistan. Fuggita dal Bangladesh, rifugiata nell'Irlanda del Nord, ha poi studiato Legge specializzandosi in diritto pubblico internazionale e diritti umani. Ha lavorato a lungo nell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ed ha poi assunto l'incarico di segretario generale di Amnesty International, proprio nella settimana degli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001. Descrive se stessa anche come madre, avvocato, cittadina del Bangladesh e residente di Londra, affermando che riconoscere le ‘identità multiple’ delle persone è la chiave per evitare gli scontri che rendono impossibile il dialogo. (R.G.)

 

 

LA CONFERENZA EPISCOPALE DEL VENEZUELA HA RESO NOTO, LO SCORSO 26 OTTOBRE, UN COMUNICATO RIGUARDO ALLA SCELTA DEL CONSIGLIO NAZIONALE ELETTORALE DI NOMINARE ALCUNI SACERDOTI COME PRESIDENTI DI SEGGI O SCRUTATORI PER LE ELEZIONI PRESIDENZIALI DEL 3 DICEMBRE PROSSIMO

- A cura di Luis A. Badilla Morales -

 

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CARACAS. = I vescovi venezuelani pur esprimendo gratitudine per il fatto che "siano stati inclusi numerosi sacerdoti in un servizio cittadino necessario e nobile", ricordano che il Codice di Diritto Canonico "vieta ai sacerdoti di accettare cariche pubbliche che comportano la partecipazione nell'esercizio della potestà civile". (C. 285 § 3). "La condizione sacerdotale - spiega il comunicato - esige piuttosto che i sacerdoti non prendano parte come arbitri in materie elettorali e dunque siano sempre un fattore di pace, di contributo alla soluzione dei conflitti e di unità del popolo venezuelano". La nota rammenta che i "sacerdoti sono fortemente obbligati nel compimento dei loro compiti pastorali, principalmente il sabato e la domenica, in tutte le parrocchie e in ogni luogo in cui si renda necessaria la loro presenza e ciò rende incompatibile per il sacerdote qualsiasi altro compito da svolgere in quei stessi giorni".  La Conferenza episcopale notifica, quindi, al Consiglio nazionale elettorale che "nessun sacerdote è abilitato, per cause legate ad impossibilità giuridica nonché di tempo, a far parte dei seggi elettorali del prossimo 3 dicembre o in qualsiasi altra circostanza in cui possono essere convocati come membri titolari o supplenti oppure come semplice testimoni". I vescovi ringraziano, infine, le autorità elettorali nazionali e regionali invitandole a prendere misure adeguate per sostituire i sacerdoti scelti. La nota porta la firma del presidente dell'episcopato locale mons. Ubaldo Ramón Santana Sequera, arcivescovo di Maracaibo, di mons. Roberto Lückert León, arcivescovo di Coro, primo vice presidente, del cardinale Jorse Urosa Savino, secondo vice presidente e arcivescovo di Caracas e di mons. Ramón José Viloria Pinzón, vescovo di Puerto Cabello, segretario generale. Alle elezioni presidenziali partecipano 20 candidati, ma solo due hanno possibilità di vincere: il presidente uscente, Hugo Chavez, cui i sondaggi attribuiscono il 54/56 per cento di preferenze e il leader dell’opposizione socialcristiana e socialdemocratica, Manuel Rosales, ex governatore dello Stato di Zulia, che avrebbe il 35/37 per cento dei voti.

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LA SCIENZA A SERVIZIO DELLA GIUSTIZIA: SCAGIONATO DOPO 25 ANNI, GRAZIE

AL TEST DEL DNA UN DETENUTO DEL TEXAS, CONDANNATO A 50 ANNI DI CARCERE

CON L’ACCUSA DI AVERE STUPRATO UNA DONNA

 

WASHINGTON. = La scienza a servizio della giustizia. Un test del DNA ha restituito la piena libertà ad un detenuto di Dallas, condannato 25 anni fa per stupro. Larry Fuller, 57 anni, reduce della guerra del Vietnam decorato per meriti, era stato condannato nel 1981 a 50 anni di prigione per avere stuprato una donna. La vittima, che era stata aggredita in casa, lo aveva erroneamente riconosciuto dalle foto segnaletiche. La sua liberazione si deve al gruppo Innocence Project, che negli ultimi 5 anni è riuscita a scagionare 10 carcerati nella sola contea di Dallas. Secondo il gruppo dal 1989 il DNA ha provato l'innocenza di 180 condannati negli Stati Uniti. (R.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

2 novembre 2006

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

 

L’operazione ‘Nubi d’autunno’, lanciata alle prime ore di ieri dall’esercito israeliano a Beit Hanun, nel nord della striscia di Gaza, ha fatto registrare finora l’uccisione di 12 palestinesi e di un soldato. Secondo le fonti locali a Gaza, il bilancio, provvisorio, degli scontri odierni è di quattro palestinesi uccisi: tre giovani e un anziano di circa 70 anni, raggiunto alla testa da una pallottola. Malgrado l’intensa attività militare, quattro Qassam sono caduti anche oggi in territorio israeliano, in aree vicine alla striscia di Gaza, senza tuttavia causare vittime e neppure danni.  Secondo le fonti locali, Beit Hanun è stata occupata e isolata dai soldati che ora stanno conducendo perquisizioni casa per casa alla ricerca di miliziani armati. Nell’operazione, ha detto il presidente della commissione Esteri e Difesa della Knesset, Tzahi Hanegbi, l’esercito sta applicando le lezioni apprese nel corso del recente conflitto contro gli Hezbollah in Libano.

 

Ancora morti a Baghdad: ucciso il preside della facoltà di economia dell’Università; colpiti a morte tre poliziotti; scoperti i cadaveri di 35 persone assassinate, con evidenti tracce di tortura. Il comando americano fa sapere che un dirigente della rete terroristica al Qaeda in Iraq è stato ucciso in un attacco americano a Ramadi, una delle città più toccate dalla ribellione nella parte occidentale dell’Iraq. Intanto, aumentano le difficoltà statunitensi in Iraq con vittime giornaliere tra i soldati. Secondo un documento riservato dell’esercito americano, il Paese del Golfo sarebbe ormai sull’orlo del caos e della guerra civile. Il presidente iracheno, Talabani, ha chiesto che le truppe americane restino in Iraq ancora almeno per tre anni. Sull’attendibilità del documento americano, Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di Alberto Negri, inviato speciale del Sole 24 Ore:

 

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R. – La situazione è degradata ormai da tempo. Sono ormai due anni che la situazione sfugge sempre di più al controllo sia delle truppe americane, sia dei nuovi governi iracheni che, uno dopo l’altro, si sono succeduti e che sempre sono apparsi e appaiano tuttora incapaci di riportare ordine. E’ un’anarchia sanguinosa, che sta scivolando sempre più in una guerra civile.

 

D. – Un’eventuale guerra civile su larga scala in Iraq che effetti avrebbe per tutta l’area mediorientale?

 

R. – La conseguenza di instabilità che abbiamo sotto gli occhi di tutti. Basta vedere il confine con Iran, a sud, e con tutto quello che si trascina dietro la questione iraniana. Basta vedere la questione del Kurdistan, con tutto quello che implica per la stabilità del Kurdistan e della Turchia. Basta pensare poi a quelli che sono i rapporti con il mondo arabo sunnita, in particolare con la Giordania e l’Arabia Saudita. C’è poi la questione del petrolio: in queste ultime settimane l’afflusso di petrolio iracheno è sempre più diminuito. Questo ci dice molte cose anche sull’instabilità di quelli che sono i rifornimenti petroliferi di questo Paese ed anche questo è un dato da tenere presente.

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Diversi missili balistici, tra i quali lo Shahab-3 con gittata di migliaia di chilometri, sono stati lanciati oggi durante alcune manovre militari iraniane. Le esercitazioni, effettuate dai Guardiani della rivoluzione, avvengono proprio quando nelle acque del Golfo Persico gli Stati Uniti e altri cinque Paesi alleati stanno compiendo operazioni di addestramento militare. Ma come può essere interpretato il lancio di missili Shahab da parte delle autorità di Teheran? Giada Aquilino lo ha chiesto al prof. Fabrizio Battistelli, segretario generale di Archivio Disarmo:

 

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R. – Ha sicuramente un significato politico. E’ un momento in cui l’Iran batte i pugni sul tavolo e sulla scena internazionale, ribellandosi a quello che ritiene essere un dictat dei Paesi occidentali e in particolare degli Stati Uniti, relativamente alle sue possibilità di sviluppare l’energia nucleare e rispetto a quello che dichiara di sentire come un accerchiamento del suo territorio. Il fatto stesso che in queste ore sono in atto delle esercitazioni delle Marine Militari occidentali nel Golfo Persico è una riprova di questa situazione, secondo Teheran.

 

D. – Nel quadro della crisi nucleare iraniana, queste esercitazioni quindi come possono essere collocate?

 

R. – Da parte di Teheran si vuol dimostrare che il tavolo non è soltanto limitato alla questione nucleare, su cui peraltro dichiarano ufficialmente di non voler intraprendere uno sviluppo di armamenti nucleari, ma può e deve essere visto da molti punti di vista in campo militare, cominciando dalle armi convenzionali, che non sono per questo meno micidiali se si pensa che i missili con una gettata di tremila chilometri, come quelli testati dagli iraniani, hanno la possibilità di raggiungere Israele. In questo senso sono, quindi, strategici almeno tanto e quanto una bomba nucleare tattica. Io non credo che questa sia l’intenzione del regime degli Ayatollah, ma sicuramente è loro intenzione agitare questo spettro agli occhi degli Stati Uniti.

 

D. – Ma gli ultimi lanci iraniani come influiscono sulle discussioni in corso all’ONU?

 

R. – Senz’altro influiranno, nel senso che mostrano la pertinacia di un governo – quello di Teheran – che non si dà per vinto.

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E’ stato “cancellato” l’incontro sulla questione cipriota previsto domenica e lunedì a Helsinki tra la presidenza finlandese dell’UE ed i rappresentanti turchi e ciprioti: lo ha reso noto la stessa presidenza finlandese. La sospensione del colloquio giunge pochi giorni prima della pubblicazione, prevista per l’8 novembre, dell’atteso rapporto della commissione UE relativo allo stato di avanzamento delle riforme in Turchia nell’ambito del negoziato di adesione. Per domani, d’altra parte, è previsto a Bruxelles un colloquio tra il ministro degli Esteri finlandese e il leader turco cipriota.

 

Vittoria dei nazionalisti moderati alle elezioni di ieri in Catalogna per il rinnovo del Parlamento regionale. Dopo tre anni di governo di sinistra, le urne hanno decretato la sconfitta dei socialisti, anche se si delinea un esecutivo di coalizione. Il servizio di Ignazio Arregui:

 

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L’incertezza ha dominato fino all’ultimo momento lo scrutinio dei voti. Confermando le previsioni fatte prima della votazione, il partito nazionalista moderato, “Convergencia i Unió”, ha vinto queste elezioni migliorando il risultato delle precedenti elezioni del 2003. Al secondo posto, si è classificato il partito socialista catalano ma con un forte calo di voti. Il terzo posto è stato per il partito indipendentista Esquerra Republicana, il quale diventa di nuovo un elemento chiave per la formazione di un governo di coalizione. Il Partito Popolare arriva al quarto posto ma con la perdita di un seggio. La Coalizione di sinistra, sempre al quinto posto, ha migliorato la sua posizione. Il partito della cittadinanza, con i suoi tre seggi in un parlamento con 135 deputati ha fatto il suo ingresso nella scena politica catalana. Sono due i candidati più forti alla presidenza del governo: Artur Mas, del partito nazionalista moderato “Convergencia i Unió”, e José Montilla del partito socialista. Nessuno dei due, con le sue sole forze può ottenere la maggioranza assoluta nel nuovo parlamento. Impossibile per adesso anticipare quale sarà la coalizione che darà luogo al nuovo governo della Catalogna. La partecipazione elettorale è stata molto bassa con solo un 56% degli aventi diritto al voto. Dopo la giornata elettorale di ieri, inizia adesso la fase dei negoziati tra i leader dei partiti.

 

Ignacio Arregui dalla Spagna per Radio Vaticana.

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Le armi illegalmente detenute dalla popolazione hanno fatto circa 10 mila morti dalla fine della guerra in Bosnia (1992-95). Lo denuncia Adam Huskic, membro della Commissione difesa in seno al parlamento, spiegando che si tratta di persone che sono state uccise o si sono suicidate con armi leggere. Alla fine della guerra, nel 1995, c’erano circa 300 mila soldati e “la maggioranza ha conservato almeno un’arma”, fa sapere Huskic, affermando che i sequestri di armi illegali da parte delle forze di mantenimento della pace sono “simbolici”. Dalla fine della guerra, sono state sequestrate a civili circa 52 mila armi leggere, 38.500 mine, 225 mila granate, 33 tonnellate di esplosivo, 15 milioni di munizioni, migliaia di mortai e due carri armati.

 

Dopo il ripetersi di gravi episodi di violenza a Napoli, il presidente del Consiglio, Romano Prodi è giunto oggi nella città campana dell’Italia del Sud. Il primo incontro è stato nella sede della Curia arcivescovile di Napoli, con il cardinale Crescenzio Sepe. Dopo, il vertice in Prefettura con le autorità locali per fare il punto sull’emergenza criminalità a Napoli. Da parte sua, il sindaco del capoluogo campano, Rosa Russo Jervolino, prima di iniziare il vertice ha dichiarato di aspettarsi dal governo “un aiuto stabile e concreto per Napoli”, aggiungendo di prendere atto “con soddisfazione che nel giro di due giorni arrivino il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno, fatto molto importante”.

 

Pur evitando di commentare ufficialmente l’annuncio di una ripresa dei negoziati internazionali sul nucleare nordcoreano, la Corea del Sud ha lasciato trasparire in proposito una cauta soddisfazione. Il nostro servizio:

 

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L’agenzia sudcoreanaYonhap’ ha sottolineato la “crescita di fiducia” che queste notizie hanno provocato fra gli investitori, facendo aprire oggi in netto rialzo la Borsa di Seul. Impegnatasi da otto anni in una sempre più articolata ‘politica del sorriso’ verso il Nord, la Corea del Sud aveva mostrato crescente disagio per le ripercussioni della crisi del riarmo nordcoreano e la settimana scorsa due ministri avevano presentato le dimissioni assieme al direttore dei servizi di informazione. Adesso però non sembra escluso che, con gli ultimi sviluppi da Pechino, tali dimissioni siano destinate a rientrare, soprattutto per quanto riguarda il ministro per l’Unificazione Lee Jong seok, che martedì aveva dichiarato di non considerare  del tutto svanite le prospettive di un vertice fra i presidenti  del Sud e del Nord. 

 

I riflettori della crisi nordcoreana hanno cominciato oggi a spostarsi su Hanoi, dove tra un paio di settimane si terrà per la prima volta il vertice annuale dell’APEC, il Forum di cooperazione Asia Pacifico. E’ la 18/a edizione del Forum e a margine dei suoi due giorni di lavori si svolgerà una serie di incontri cruciali per  dirimere la spinosissima questione del riarmo missilistico e nucleare nordcoreano. In particolare, secondo informazioni provenienti da Seoul, la Cina starebbe adoperandosi per riunire prima del vertice a Pechino tutti i rappresentanti dei sei Paesi che partecipano alla trattativa internazionale sul nucleare di Pyongyang: le due  Coree, la Cina, gli Usa, il Giappone e la Russia.

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Disco verde per Panama nella corsa per conquistare il seggio non permanente di America Latina e Caraibi nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU per il biennio 2007-2008. Dopo settimane di impasse - cadenzate da 47 votazioni infruttuose - Venezuela e Guatemala hanno infatti deciso di ritirarsi dall’agone lasciando così il posto libero a Panama. Adesso, da Guatemala e Venezuela ci si attende un sostegno formale alla candidatura di Panama nella riunione del gruppo che raduna i Paesi latino-americani alle Nazioni Unite che si terrà in giornata.

Il militante cinese cieco Chen Guangcheng, che aveva in passato denunciato aborti forzati e abusi nella politica di controllo delle nascite, ha vinto il processo di appello contro la condanna a quattro anni di carcere emessa alla fine di agosto e ha ottenuto di essere nuovamente giudicato. Lo hanno reso noto la moglie e il suo avvocato. Il tribunale della contea dello Yinan, nella provincia orientale dello Shandong, ha valutato che Chen in prima istanza avesse subito “gravi violazioni nelle procedure legali”. Il 24 agosto scorso Chen, 34 anni, era stato condannato a quattro anni e tre mesi di prigione. 

 

 

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