RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 306 - Testo
della trasmissione di giovedì 2 novembre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
La
prolusione del cardinale Renato Martino alla Settimana sociale di Spagna aperta oggi a Toledo
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
I
vescovi maroniti del Libano condannano la confusione che regna nel loro Paese
Iraq in preda al caos e alla violenza:
un documento dell’esercito statunitense descrive la drammatica situazione del Paese
2 novembre 2006
LA CHIESA COMMEMORA I FEDELI DEFUNTI.
IL
PAPA ESORTA I CREDENTI A GUARDARE ALLA
MORTE CON SPERANZA.
NEL
POMERIGGIO
NELLE
GROTTE VATICANE SULLA TOMBA DEI SUOI PREDECESSORI
-
Intervista con mons. Angelo Comastri -
Oggi
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Tutto passa, solo Dio resta – ha affermato ieri il Papa –
“la meta della nostra esistenza” è “l’incontro faccia a faccia con Dio”, eppure
l’uomo sembra non avvedersene:
“L’uomo moderno
l’aspetta ancora questa vita eterna, o ritiene che essa appartenga a una
mitologia ormai superata? In questo nostro tempo, più che nel passato, si è
talmente assorbiti dalle cose terrene, che talora riesce difficile pensare a
Dio come protagonista della storia e della nostra stessa vita. L’esistenza
umana però, per sua natura, è protesa a qualcosa di più grande, che la
trascenda; è insopprimibile nell’essere umano l’anelito alla giustizia, alla
verità, alla felicità piena”.
“L’enigma della morte” – spiegava il Papa un anno fa –
s’intreccia dunque con “la questione di come vivere bene, come trovare la
felicità” e nello stesso tempo con l’attesa “di un giudizio finale che
ristabilisca la giustizia”:
“Felice l'uomo che dona; felice l'uomo che non utilizza la
vita per se stesso, ma dona; felice l'uomo che è misericordioso, buono e
giusto; felice l'uomo che vive nell'amore di Dio e del prossimo. Così viviamo bene e così non dobbiamo aver paura della
morte, perché siamo nella felicità che viene da Dio e che dura sempre”.
Al centro della fede cristiana c’è il mistero della morte
e risurrezione di Cristo: la risurrezione di Gesù - ha detto il Papa al
Convegno di Verona il 19 ottobre scorso - è stata “come un’esplosione di luce,
un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte”. Con
questa certezza i cristiani guardano alla vita eterna non tralasciando i propri
impegni nel mondo: “hanno i piedi sulla terra – ha
detto ieri il Papa - ma il cuore già nel
Cielo, definitiva dimora degli amici di Dio”:
“Vita eterna per noi
cristiani non indica però solo una vita che dura per
sempre, bensì una nuova qualità di esistenza, pienamente immersa nell’amore di
Dio, che libera dal male e dalla morte e ci pone in comunione senza fine con
tutti i fratelli e le sorelle che partecipano dello stesso Amore”.
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La Commemorazione dei fedeli
defunti è strettamente legata, nel calendario liturgico, alla Solennità di
Tutti i Santi: sui motivi di questo legame Giovanni Peduto ha intervistato
l’arcivescovo Angelo Comastri, vicario generale del Papa per
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R. – E’ chiaro che insieme ai Santi del Paradiso
ricordiamo coloro che sono orientati verso il Paradiso, che sono nel Purgatorio
e il Purgatorio non è un Inferno in seconda edizione, il Purgatorio è già una
casa di gioia perché non è altro che l’anticamera del Paradiso. Io mi ricordo
che una volta il mio vecchio parroco diceva che il Purgatorio è come un grande
corso di esercizi spirituali prima di essere ammessi alla festa dei Santi. Le
persone che sono in attesa del Paradiso, tutti i
defunti che ricordiamo il 2 novembre, sono persone che vivono in comunione con
noi. Noi possiamo pregare per loro e loro possono pregare per noi ed è bello
ricordare anche questa seconda parte della comunione dei Santi, cioè tutte le
anime che ancora non sono nella festa piena del Paradiso, ma che sono già
nell’anticamera, sono già nell’attesa, e quindi sono già con il cuore orientato
a Dio. Sentire la comunione con loro, pregare per loro e sapere che anche loro
possono intercedere per noi, anche questo è un motivo che rompe la paura della
solitudine.
D. – Eccellenza, noi oggi viviamo in una società che cerca
in tutti i modi di esorcizzare la morte: un suo commento su questo aspetto
della nostra società?
R. – Si ha paura della morte, quando non si hanno più
risposte davanti al mistero della morte. Certo se si pensa che la vita sia un
salto nel buio, allora la morte fa paura, se non si ha nessuna luce sul mistero
dell’aldilà, allora l’aldilà fa paura. Ma quando si sa che la morte è soltanto
una soglia, che la morte non è la fine, la morte è l’inizio, come la porta è
l’ingresso di una casa, la soglia è l’ingresso di una casa. Quando, illuminati
dalla fede, si ha questa certezza, la morte si può chiamare tranquillamente
‘sorella morte’, come diceva San Francesco. La nostra
società purtroppo si è completamente ripiegata sull’oggi, sull’aldiquà, ma
l’aldiquà non può essere il tutto della vita. Aveva ragione Madre Teresa di
Calcutta, quando diceva: “il più bello deve ancora
venire, il più bello deve ancora compiersi”. Il cristiano che conosce tutto
questo guarda alla morte con estrema serenità. Chi pensa come uno scrittore
contemporaneo, che tra l’altro va per la maggiore, che ha detto: “Io penso che
il ruolo della mia specie non sia superiore a quello delle api o delle formiche
o dei passerotti”, chi pensa questo, per forza ha paura della morte. Ma noi sappiamo
che invece la vita di un uomo è una vita sublime, è una vita che porta in sé un
germe di eternità e noi abbiamo il tempo in questa vita di decidere a quale
eternità vogliamo indirizzarci: l’eternità dell’abbraccio con Dio o l’eternità
del rifiuto di Dio. L’eternità dell’abbraccio con Dio è il Paradiso, l’eternità
del rifiuto di Dio è l’Inferno, perché senza Dio l’uomo è irrealizzato,
senza Dio l’uomo è svuotato completamente e quindi è infelice.
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DICHIARAZIONE DELLA SALA STAMPA VATICANA
A
PROPOSITO DEI COMMENTI SULLA POSSIBILE ASSENZA
DEL
PREMIER TURCO ERDOGAN
DURANTE
La Sala Stampa vaticana ha reso noto oggi un comunicato a
proposito dei commenti apparsi sulla stampa circa la possibile assenza del
premier turco Recep Tayyip Erdogan durante la visita del Papa in Turchia dal 28 novembre al 1° dicembre prossimi. “E’ bene precisare – sottolinea la nota - che
LA PONTIFICIA UNIVERSITA’ GREGORIANA
ATTENDE CON GIOIA
DOMANI, DI BENEDETTO XVI. E’ LA 26.MA VOLTA CHE UN PONTEFICE
VARCA
-
Intervista con padre Gianfranco Ghirlanda -
L’intera comunità accademica della
Pontificia Università Gregoriana attende con gioia e trepidazione la visita di
Benedetto XVI, che domani mattina, alle ore 10.30, si recherà nel prestigioso
ateneo di Piazza della Pilotta. Quella di domani è la
26.ma visita di un Papa alla Gregoriana, fondata nel
1564, e di cui Pio XI diceva è “sempre per
il Papa … la sua vera e propria Università: Pontificia in tutto il significato
del nome”. In effetti, questo legame con il Pontefice è particolarmente forte:
è il Papa infatti a nominare il Magnifico Rettore della
Gregoriana, mentre, da statuto, il Gran Cancelliere dell’università è il
prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica. Al Rettore, padre
Gianfranco Ghirlanda, Marco Cardinali ha chiesto innanzitutto quale significato
assuma questa visita del Papa per gli studenti:
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R. – Quando ho pensato di invitare il Santo Padre, subito
ho pensato soprattutto agli studenti, perchè l’università è degli studenti, che
vengono da tutte le parti del mondo e che, quindi, portano qui a Roma la loro
esperienza di fede delle proprie Chiese particolari, anche l’esperienza di fede
di culture tanto diverse. Roma è il centro della cristianità e, quindi, a Roma
e alla Gregoriana si arricchiscono dell’esperienza della universalità della Chiesa.
Fin dalle origini, i vari collegi di Roma, i cui alunni frequentavano le
lezioni al Collegio Romano, furono affidati alla Compagnia di Gesù, per essere,
appunto, gli studenti formati alla fedeltà al Romano Pontefice, in un tempo in
cui in Europa veniva rotta la comunione con il Papa.
La situazione ora è mutata, ma non è meno necessaria una formazione al senso
della comunione con il Pontefice, senso di comunione che porteranno poi nelle loro
Chiese particolari.
D. – C’è anche l’altra parte dell’università che è il corpo
docente. Cosa significa, dunque, la visita per tutti i professori che insegnano
alla Gregoriana?
R. – Ogni docente, nel suo insegnamento, quanto mai qui
all’Università Gregoriana, non può non tener conto del magistero e del
magistero universale della Chiesa, nella sua stessa riflessione e insegnamento.
Ma, nello stesso tempo, è la stessa riflessione dei professori che aiuta il
magistero, che sempre più profondamente va scrutando le verità che nostro
Signore ci ha rivelato. Quindi, si tratta di una fedeltà attiva e di servizio
rispetto al magistero. E, appunto, anche qui l’incontro potremmo dire fisico
con il Pontefice vuole significare questo rapporto, dal quale non si può prescindere.
D. – C’è un’altra peculiarità della Gregoriana, che è il
fatto che è retta dalla Compagnia di Gesù, che da più di 450 anni opera nel
campo culturale, attraverso l’insegnamento e la pedagogia di Sant’Ignazio, che ne è il fondatore. Cosa vuol dire per
R. –
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NOMINE
Il Santo Padre, ieri, ha nominato
vescovo di Bacabal, in Brasile, padre Armando Martín Gutiérrez, dei Figli
dell’Amore Misericordioso, finora formatore della sua Congregazione
nell’arcidiocesi di Fermo, in Italia. Padre Armando Martín
Gutiérrez è nato il 16 dicembre
I DIRITTI UMANI COME FONDAMENTO
PER LA COSTRUZIONE
DI UNA CULTURA UNIVERSALE,
NELLA PROLUSIONE DEL CARDINALE RENATO MARTINO
ALLA XL SETTIMANA SOCIALE DI SPAGNA APERTA OGGI A TOLEDO
La radice dei diritti dell’uomo va
ricercata nella dignità propria di ogni essere umano. Appartenendo
originariamente ed intrinsecamente alle persone, tali diritti sono pertanto naturali,
inalienabili e universali e l’ordine politico – nazionale e internazionale – ha
il compito di riconoscerli, rispettarli, tutelarli e promuoverli. Lo ha
affermato il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e delle Pace, cardinale Renato Raffaele Martino, inaugurando stamani a
Toledo con una prolusione su “I diritti umani come fondamento per la
costruzione di una cultura universale”
Il porporato ha rilevato che “le
culture improntate all’efficientismo, al materialismo pratico, ad un
individualismo utilitarista ed edonista mettono a repentaglio
l’intero corpus dei diritti. Sulla
base di tali culture, che non hanno più il punto di riferimento in una visione
integrale dell’uomo, la stessa tutela
giuridica dei diritti è messa radicalmente in discussione e svuotata di
contenuto”, mentre “il riconoscimento di un fondamento oggettivo dei diritti
della persona può sottrarre le comunità politiche a patti sociali dipendenti
unicamente dal criterio dell’unanimità, della neutralità o della massima
utilità collettiva”. Muovendo dalla considerazione della comune dignità, che
supera ogni differenza e affratella tutti gli esseri umani, il cardinale
Martino ha stigmatizzato ogni forma di discriminazione perpetrata in nome della
razza, dell’etnia, del sesso, della condizione sociale o della religione.
Dedicandosi alla causa dell’uomo e proclamando l’inviolabilità dei diritti
umani, specie dei più poveri,
Il presidente di Giustizia e Pace
non ha mancato di rilevare la reciprocità tra diritti e doveri nella persona e
nella relazione con le altre persone e la difesa particolare da parte della
Chiesa dei diritti-doveri della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e
una donna. Consapevole che la sua missione essenzialmente religiosa include la
difesa e la promozione dei diritti fondamentali dell’uomo, la Chiesa non può
non apprezzare il dinamismo con cui ai nostri giorni i diritti umani vengono promossi ovunque, auspicandone un sempre maggiore
incremento.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano – “I santi una folla senza
numero”: nella Solennità di Tutti i Santi, Benedetto XVI ha presieduto la
celebrazione eucaristica nella Basilica Vaticana.
Servizio estero - Nucleare: soddisfazione per la
ripresa dei negoziati a sei. Restano per ora le sanzioni imposte dall’ONU alla
Corea del Nord.
Servizio culturale - Un articolo di Roberto Morozzo Della Rocca dal titolo “Il cardinale Casaroli e l'America Latina”: pubblicati gli atti di un
convegno di studi.
Un articolo di Vittorino
Grossi dal titolo “Agostino ponte fra le culture”: il viaggio della “Fiaccola
del Dialogo” da Tagaste a Pavia, sulle orme del
Santo di Ippona.
Servizio italiano - In primo piano il tema della
criminalità. Prodi in visita a Napoli. La città chiede di avere un
futuro.
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2 novembre 2006
LA FAME NEL MONDO, UNA PIAGA CHE NON SI VUOLE SANARE:
DOPO I DATI ALLARMANTI
DELLA FAO, LA RIFLESSIONE DI SERGIO
MARELLI, PRESIDENTE DELLE ONG ITALIANE E DEL MISSIONARIO
COMBONIANO, FABRIZIO
COLOMBO
“Il mondo ignora il grido di chi ha fame”:
così, l’Osservatore Romano commenta i dati del Rapporto della FAO sullo stato
di insicurezza alimentare secondo cui sono almeno 854 milioni le persone
sottonutrite nel mondo. Dato ancor più allarmante se si considera che,
nell’ultimo decennio, il numero di chi soffre la fame non è affatto diminuito.
Il documento delle Nazioni Unite, pubblicato in questi giorni, ha dunque messo
in luce quanto sia lontano il raggiungimento degli
Obiettivi del Millennio, il primo dei quali è proprio il dimezzamento del
numero degli affamati entro il 2015. In tale contesto, si svolge domani a Roma,
presso la sede dell’UNICEF, un seminario internazionale sul tema “Vincere la fame
si deve”, promosso dal Comitato Italiano per la Sovranità Alimentare,
presieduto da Sergio Marelli. A lui, Alessandro
Gisotti ha chiesto una riflessione sulle responsabilità per questo stallo nella
lotta alla fame nel mondo:
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R. – E’ fuori dubbio che la responsabilità, intanto, sta
nei governi nazionali. Spesso si tende ad incolpare le agenzie soprannazionali
e quelle delle Nazioni Unite in modo particolare, ma non possiamo dimenticare
il fatto che queste agiscono solamente con le risorse e con i mandati, e quindi
con le possibilità e le opportunità che le vengono
consegnate dai singoli governi nazionali. Sicuramente anche una responsabilità
da ascrivere, oltre ai Paesi ricchi, anche ai Paesi cosiddetti in via di
sviluppo.
D. – La fame, peraltro, sempre accompagnata da mancanza di
sicurezza dove non addirittura conflitti, guerra …
R. – Sì: è fuori dubbio che i conflitti, le situazioni di
instabilità, il terrorismo e la violenza sono oggi una delle cause maggiori che
vanno proprio a radicarsi, che hanno e che trovano un terreno fertile laddove i
diritti fondamentali, a partire da quelli dell’accesso al cibo, sono in qualche modo violati. E’ una situazione che continua a ricordarci,
e in modo particolare nell’appropinquarsi del 40.mo
della Populorum Progressio,
che si celebrerà il prossimo anno, come quello slogan di Paolo VI “lo sviluppo
è il nuovo nome della pace” sia sicuramente ancora di grande attualità.
D. – Ecco, in questo i richiami della Chiesa e dei
Pontefici che si sono succeduti, in particolare nel secondo dopoguerra,
sottolineano l’importanza della persona al centro delle politiche di sviluppo …
R. – Questa grande coerenza, questa grande continuità
all’interno del messaggio e degli indirizzi della Dottrina sociale della
Chiesa, è sicuramente ancora oggi di grande attualità perché le grandi scelte e
le politiche intraprese dai governi nazionali e in genere a livello planetario
purtroppo continuano a sacrificare la persona umana, continuano a sacrificare
gli individui alla logica del profitto piuttosto, invece, che ripartire da
questa centralità dell’uomo, della persona umana che resta fondamentale, sia
come obiettivo ma che resta fondamentale anche come il vero soggetto che può
davvero cambiare le sorti dello sviluppo del pianeta. Ripartire dai diritti
umani, dalla dignità di vita di ogni singolo e di tutte le persone, resta la
chiave per rendere questi obiettivi raggiungibili e in qualche modo avere successo nella lotta e nello sradicamento della
miseria, della povertà e della violenza nel mondo.
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Nel suo messaggio per la Giornata dell’Alimentazione, il
16 ottobre scorso, Benedetto XVI ha sottolineato che “devono esserci
cooperazione e solidarietà fra Stati, ognuno dei quali dovrebbe essere attento
alle necessità dei suoi cittadini più deboli che sono i primi a soffrire a
causa della povertà”. D’altro canto, già 15 anni fa, nell’Enciclica Centesimus Annus, Giovanni
Paolo II avvertiva che per sconfiggere la fame non basta
attingere al superfluo che il nostro mondo produce in abbondanza, ma cambiare
gli stili di vita. Un’esortazione sulla quale si sofferma il padre comboniano Fabrizio Colombo, per molti anni missionario in
Ciad, al microfono di Alessandro Gisotti:
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R. – Il troppo consumo porta anche il troppo spreco. Un
dato della London University e dell’Università di
Bologna dice che in Italia si sprecano quasi 600 euro di alimenti all’anno per famiglia. Questo spreco potrebbe, quindi,
essere condiviso con le popolazioni che soffrono la fame. Vorrei, però, fare una ulteriore riflessione: se ci mettiamo a guardare la
realtà che ho potuto condividere negli anni che ho passato in Ciad, ci si
accorgere che la fame non è soltanto relativa alla mancanza di cibo, ma è
l’impossibilità di questi Paesi di poter usufruire delle proprie risorse, che a
volte sono proprio rubate da multinazionali o da un sistema economico o di
commercio che non permette all’Africa di “esplodere” nel suo sviluppo. C’è poi
il problema dell’insicurezza della pace e della giustizia ,
dei diritti violati. Posso fare un esempio concreto: ogni domenica avevo la
grazia di poter celebrare l’Eucaristia con una grandissima comunità di ammalati
di AIDS e questi ammalati hanno bisogno ogni mese di 10 euro per comprare la triterapia, che permette loro di sopravvivere. Ovviamente
tutti i dottori dicono che non si possono prendere medicinali senza un’adeguata
alimentazione. C’è poi un altro scandalo: ci siamo infatti
accorti che per quanto riguarda il progetto petrolio, molta gente viene assunta
dall’estero. C’era del personale filippino che veniva a lavorare in Ciad e
quindi la gente non ha neanche la possibilità di poter
guadagnare lavorando. E’ per questo che io dico che il cambiamento della
mentalità, del comportamento del nord del mondo, cammina insieme al cambiamento
del Sud del mondo, in favore di una maggiore giustizia, di una maggiore pace e
di un maggiore sviluppo di questi Paesi.
D. – Quindi anzitutto c’è un problema di formazione, della
mente e del cuore si potrebbe dire, da questa parte del mondo che forse è poco
attento…
R. – Certamente si tratta di un cambiamento del cuore, è
una conversione, è un cambio di rotta anche di noi consumatori del nord del
mondo, che dobbiamo cambiare il nostro modo di consumare. E’ vero c’è anche il
commercio equo e solidale, ci sono dei boicottaggi contro le multinazionali che
sfruttano le persone, ma al di là di tutto questo io credo che sia ancor più
importante poter conoscere questa situazione e quindi l’importanza di
informarsi su quello che realmente succede nel Sud del mondo. E’ poi necessario
proporre delle azioni in tutti campi, da quello economico a quello solidale.
Tutto questo fa parte di questa conversione del cuore. Ovviamente noi come
cristiani abbiamo una priorità su tutti visto che Dio
è carità, come dice Benedetto XVI. Tutta la nostra azione deve essere fatta non
per filantropia, non perché apparteniamo ad una organizzazione
in favore del rispetto delle dignità umana, ma anzitutto perché è Cristo che lo
ha indicato.
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LA
RUSSIA INTENDE RADDOPPIARE IL PREZZO DEL METANO ALLA GEORGIA:
L’ANNUNCIO,
CUI DOVREBBE SEGUIRE UN NEGOZIATO,
RIAPRE
IL CAPITOLO MAI CHIUSO DELLE TENSIONI TRA I DUE PAESI
-
Intervista con il prof. Giuseppe Bettoni -
La Russia intende più che raddoppiare i prezzi del metano
destinato alla Georgia a partire dal primo gennaio 2007, portandoli dagli
attuali 110 dollari per 1000 metri cubi a 230 dollari. E’ quanto hanno fatto
sapere, all'agenzia Interfax, funzionari del colosso energetico russo,
precisando che si tratta di una proposta già ufficialmente inviata a Tbilisi, sulla quale comunque verrà
avviato un negoziato. La mossa si va a
inserire nelle forti tensioni esplose fra le due ex repubbliche ex sovietiche dopo
il breve arresto nella capitale georgiana, il 27 settembre, di quattro
ufficiali russi accusati di spionaggio. Ieri una visita a Mosca del ministro
degli Esteri di Tbilisi Bezhuashvili
sembrava poter riportare toni più distesi nei rapporti fra Russia e Georgia.
Rapporti mai idilliaci dopo il crollo dell'URSS e peggiorati con l'ascesa al
potere dell'attuale presidente georgiano Mikhail Saakashvili, filo-occidentale. Ma non è
una questione personale: Fausta Speranza ha chiesto che cosa, in realtà, ci sia
in gioco al prof. Giuseppe Bettoni, docente di geopolitica
all’Università Tor Vergata di Roma:
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R. – In gioco sicuramente c’è il possibile ruolo di
Georgia, Azerbaigian, Daghestan, che per quanto
riguarda la Russia rappresenta qualcosa di molto importante. I rapporti Georgia-Russia sono tutt’altro
che semplici. Ma, come avviene per tutto quello che riguarda il
Caucaso, per la Russia è molto importante
tenere sotto controllo questo snodo che per diverse ragioni è importante: la
prima è sicuramente l’accesso al Mar Caspio; la
seconda è un controllo di rapporto con l’Asia, con la parte meridionale della
Russia, al di là del Kazakhistan stesso. Quindi il
rapporto Georgia-Russia è uno dei tanti rapporti che
sono delicati in questo – diciamo – insieme di popolazioni estremamente
diversificate.
D. – Ricordare le problematiche di tutta l’area del Caucaso non è impresa giornalistica di un minuto. Ma,
prof. Bettoni, ci aiuta a fotografare qualche punto
chiave?
R. – Sicuramente bisogna ricordare la questione del Nagorno-Karabakh e soprattutto occorre ricordare la
questione dell’Ossezia del Sud e dell’Ossezia del Nord. Tre Paesi
principali – Georgia, Azerbaigian e Armenia – si ritrovano in realtà su un
mosaico densissimo di popolazioni che sono più o meno divisibili in caucasici, indoeuropei e quelli che vengono
chiamati popoli altaici. Ci sono i turcofoni, gli azeri, i caraici, i nogai, i turkmeni, i mongoli: tutta questa gente, in realtà, può
essere più o meno raggruppabile in un macrogruppo identitario.
E porzioni di ogni popolazione sono diffuse in altre parti. Dunque, il punto è
che se la Russia dovesse perdere, ammettiamo ad
esempio la Cecenia e quello che sarebbe ancora peggio
tutto il Daghestan, aprirebbe in realtà una
porta nella parte settentrionale che
potrebbe portare, per esempio, a quella che è la Calmucchia
a sollevarsi e a chiedere l’indipendenza. Significherebbe arrivare a perdere
accesso al Mar Caspio tutto e soprattutto rischiare
di perdere un rapporto con la Russia meridionale, il Kazakhistan
e quindi anche con il resto della Russia asiatica. Questa sarebbe una vera catastrofe
per la Russia, perché a quel punto Mosca potrebbe comunicare con l’Asia solo attraverso
la parte settentrionale della Siberia.
D. – Ecco, questa analisi ha preso le mosse dalla
decisione, dall’annuncio di raddoppiare, anzi più che raddoppiare, il prezzo
del gas alla Georgia. Possiamo dire in definitiva che tutto ciò è in ballo quando la Russia usa il gas come arma di
contrattazione?
R. – Ci possono essere degli elementi estremamente
ridotti, vicini a noi, di oggi, di ieri al massimo, che possono aver provocato
questa cosa. Ma quello che conduce la Russia in una strategia di questo genere
è sicuramente quello che ho appena detto: la paura di perdere il controllo su
un’area profondamente importante per l’esistenza stessa della Russia nella
parte meridionale del continente europeo ed asiatico, a cavallo tra Mar Nero e
Mar Caspio. Quindi, sì, sicuramente va presa in
considerazione questa visione più di medio-periodo e
più su una scala ampia per poter capire la scelta di minacciare un raddoppio
del prezzo del petrolio.
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IERI,
AL CIMITERO ROMANO DEL VERANO,
DAL
CARDINALE VICARIO CAMILLO RUINI IN SUFFRAGIO DEI DEFUNTI
“Celebrare e ricordare tutti i
santi significa operare un grande rovesciamento, un cambiamento dell’immagine
del mondo e della vita che noi normalmente abbiamo”. Così il cardinale vicario
Camillo Ruini ieri pomeriggio al cimitero romano del Verano, durante la Messa celebrata in suffragio dei
defunti. Tra loro il porporato ha ricordato anche Giovanni Paolo II. Il
servizio di Tiziana Campisi.
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(canto)
Una lode a Dio: questa è stata la celebrazione al cimitero
del Verano, un canto levato al cielo, nel ricordo di
quanti sono entrati nella vita eterna e nella prospettiva di trovarsi dinanzi
al volto del Padre. Un volto d’amore, che rivela la pienezza della verità e che
già una moltitudine di santi contempla. Tale moltitudine, ha detto il cardinale
Camillo Ruini, ci fa capire che nel mondo “non prevalgono
la cattiveria o l’infelicità, ma il bene e la gioia”, per tale motivo
festeggiare i Santi è guardare le cose con una prospettiva diversa:
“Significa in qualche modo operare un grande
rovesciamento, un cambiamento dell’immagine del mondo e della vita, che noi
normalmente abbiamo”.
Nella sua omelia il porporato si è soffermato sulle
beatitudini rivelate nelle pagine del Vangelo di Matteo. Seppure queste paiono al di sopra delle nostre forze, ha spiegato il cardinale
Ruini, hanno avuto e continuano ad avere una moltitudine
di seguaci, imperfetti ma sinceri e portati alla perfezione dall’amore e dalla
misericordia di Dio:
“In questa moltitudine possiamo aver parte anche noi. E
vogliamo ricordare questa sera uno di costoro che fanno parte della grande
moltitudine: Giovanni Paolo II, perché oggi ricorre il 60.mo
anniversario della sua ordinazione a sacerdote a Cracovia, nella cattedrale del
Wawel”.
Quindi il porporato ha spiegato che la gioia senza fine
nella quale vivono i Santi è la speranza della Chiesa, una gioia che è dono
dell’amore di Dio:
“Questo è il grande spartiacque tra la fede cristiana e la
mancanza di questa fede; credere o non credere in questo amore di Dio, nella
realtà e nella forza di questo amore.
Infine, il cardinale Ruini ha
esortato i fedeli a chiedere aiuto a quanti già si trovano al cospetto di Dio,
perché possano pure loro volgere preghiere per il mondo, che ha bisogno della
luce e della misericordia di Dio.
(canto)
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COSÌ
AI NOSTRI MICROFONI MONS. DOMENICO SIGALINI
CHE
INVITA A RACCOGLIERE LA VOGLIA DI RITROVARSI DEI RAGAZZI
Una festa finita in
tragedia: è il drammatico epilogo della notte di Halloween,
costata la vita in Italia a due bambini. Un bimbo di 7 anni è morto per un incendio
causato da una candela nascosta in una zucca ed un altro di 10 è stato investito
da un’auto mentre giocava a fare il mago. Una gigantesca rissa si è poi
verificata in un paese in provincia di Avellino, dove il parroco è sceso in
strada per fermare due bande di giovani che si stavano affrontando a colpi di
bastoni e coltelli. Nella notte di Halloween, tra il
31 ottobre ed il primo di novembre, i bambini sono soliti vestirsi da vampiri o
piccoli mostri. Bussano alle porte delle case e chiedono dei dolci. Ma Halloween è semplicemente una moda, una festa consumistica
o, piuttosto, l’occasione per un’esaltazione del macabro? Risponde, al microfono di Amedeo Lomonaco, il vescovo di Palestrina, mons. Domenico Sigalini, già responsabile del Servizio
nazionale di pastorale giovanile della CEI:
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R. – Io credo che sia più una moda che si sta imponendo,
perchè c’è una forza economica dietro che la spinge. I nostri ragazzi hanno
voglia di far festa. Cercano continuamente qualcosa per potersi incontrare. Il
mondo nel quale si trovano è fatto di cose programmate. Non riusciamo a reggere
il confronto di fronte a questo martellamento economico che, evidentemente,
crea tutti gli spazi che vuole. E’ chiaro che, però, i soldi da soli non fanno
mai il tutto se non c’è dietro anche un indice di gradimento antropologico.
Questo indice potrebbe essere la scoperta del macabro.
D. – La festa di Halloween cerca
di esorcizzare la morte, ma non è anche il tentativo di esaltare il mondo
dell’esoterico?
R. – Secondo me, non esorcizza troppo la morte. Cerca
soltanto di mettere dentro questo discorso, che sicuramente fa arrivare alle
persone delle grosse domande, cerca di superare il problema. Superando il
problema, evidentemente crea un vuoto ancora maggiore. Dipende anche dalla
nostra comunità cristiana quanto riesce a far vivere meglio, invece, la festa
dei Santi e la commemorazione dei defunti.
D. – A questo proposito, quanto Halloween
allontana, soprattutto i giovani, dalla comprensione della solennità di Tutti i
Santi e della commemorazione dei defunti?
R. – Per me li allontana moltissimo, anche perché
purtroppo la solennità dei Santi e la commemorazione dei defunti sta uscendo
dal loro giro di sensibilizzazione, di preparazione. Rendiamoci conto: quanti
sono i ragazzi in Italia che frequentano una parrocchia? Sono il 15 per cento.
Per tutti gli altri l’unica proposta che c’è, è quella della grande
distribuzione economica, dei grandi elementi promozionali dei supermercati.
Bisogna chiamare allora in causa la comunità cristiana che fa del suo meglio;
oggi e ieri siamo stati nei cimiteri e stiamo lì con fede profonda e con la
capacità di far riflettere le persone. Se mancano, però, questi elementi nella
vita di famiglia e qualche struttura di società che potrebbe spendersi di più,
noi siamo impotenti di fronte a questa esasperazione del fenomeno.
D. – Digitando la parola Halloween
in un motore di ricerca, molti siti offrono informazioni sul mondo
dell’occultismo…
R. – Questa è un’esca. A mio avviso, la scuola deve farsi
carico di questo. Invece di fare l’occhiolino ad Halloween, facesse un po’ più di informazione, facesse
vedere i limiti, senza demonizzare assolutamente la voglia di ritrovarsi dei
ragazzi. Ogni elemento, però, che viene proposto dalla
società ha bisogno di essere collocato dentro una visione della vita. Una visione
del mondo e una visione del bene, in maniera da aiutare i ragazzi a non far
diventare questo una porta per delle cose non più controllabili. La festa di Halloween è un’occasione di incontro fra i ragazzi, con
caratteristiche che io non approvo, ma che non può essere demonizzata.
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2 novembre 2006
I
VESCOVI MARONITI DEL LIBANO CONDANNANO LA CONFUSIONE CHE REGNA
NEL LORO PAESE SU
QUESTIONI CHIAVE COME
DAL 2004, LA SOSTITUZIONE DEL GOVERNO DI FOUAD SINIORA ED UNA NUOVA
LEGGE ELETTORALE
BEIRUT. = Ferma condanna dei vescovi maroniti
per la “confusione” che regna in Libano e che coinvolge questioni chiave per il
futuro del loro Paese. I presuli, riuniti ieri a Bkerke,
sotto la presidenza del patriarca maronita, cardinale Nasrallah
Sfeir – come riferisce AsiaNews - hanno affrontato le
ultime polemiche suscitate dal presidente libanese Lahoud
che ha rigettato la bozza di statuto del Tribunale internazionale dell'ONU,
incaricato di giudicare i responsabili dei 14 attentati compiuti in Libano nel
2004 e 2005. Secondo Lahoud la bozza sarebbe “in contraddizione
con l'articolo 52 della Costituzione, che affida al presidente della Repubblica
la competenza ordinaria di stipulare accordi internazionali”. Una presa di
posizione giudicata dai Partiti antisiriani come tentativo di bloccare
l’istituzione stessa del Tribunale, che porterebbe sul banco degli accusati
anche esponenti di primo piano di Damasco e, forse, lo stesso Lahoud. Nella nota finale dei lavori i vescovi maroniti
esprimono dunque “rammarico” per “la confusione che regna in Libano e la
divisione dei libanesi in fazioni antagoniste di cui è difficile capire ciò che
vogliono: la divisione verte sul Tribunale internazionale, il governo che si
vuole rimpiazzare o modificare, la legge elettorale ed altre questioni
politiche. La situazione impone che i libanesi facciano prevalere l’interesse
nazionale sugli interessi particolari, per trovare una soluzione”. Il documento
rileva poi che “continuano le violazioni dello spazio aereo libanese da parte
degli israeliani, malgrado la presenza della Forza di
interposizione delle Nazioni Unite, con il pretesto che armi continuano ad
essere fornite a gruppi armati attraverso la frontiera libanese. Questa è una
situazione che non ispira fiducia, ma che, al contrario, fa temere una ripresa
dei combattimenti dei quali tutti i libanesi conoscono i mali”. Da parte sua,
il patriarca Sfeir, che continua con forza d'animo
eccezionale a guidare la sua Chiesa maronita, non manca di esprimere ai suoi
ospiti la sua preoccupazione di un ulteriore peggioramento della situazione nel
Paese. Lo ha ripetuto mercoledì, rinnovando il suo prudente invito ad un
“maggior controllo delle posizioni dei leader politici”, che cercano di
“facilitare le interferenze internazionali e la tutela delle forze regionali
sul Paese dopo il ritiro dell'esercito siriano nel mese di aprile del
OGGI,
- A
cura di padre Joseph Ballong
-
ABUJA. = L’immagine dell’Africa, la radio diffusione e gli
imperativi economici: è il tema al centro della 43.ma Assemblea generale dell’Unione della Radiodiffusione
e Televisione internazionale dell’Africa (URTNA) e della sesta Biennale di “Africast”, che si svolgono ad Abuja
in Nigeria. Martedì, alla seduta congiunta di apertura dei due avvenimenti, i
vari oratori - tra cui il ministro nigeriano dell’Informazione e
dell’Orientamento nazionale - hanno sottolineato il ruolo importante, anzi,
indispensabile dei comunicatori per lo sviluppo economico e umano dell’Africa,
chiamata a mettere a profitto la nuova era della tecnologia digitale. Dal canto
suo, Alì Mazrui, professore
in Scienze economiche e umane nelle Università
americane, ha deplorato il fatto che l’Africa dipende in modo sproporzionato
dalle informazioni diffuse dalle agenzie occidentali e l’incapacità dei Paesi
africani – tranne il Sud Africa e il Kenya – di mandare squadre di reporter nei
teatri degli avvenimenti, come ad esempio nella regione sudanese del Darfur. In questo contesto, l’URTNA rimane un partner
indispensabile per far sentire la voce dell’Africa e darne un’immagine
positiva, reale. L’URTNA deve essere l’interfaccia tra il continente e
l’esterno, ha ribadito da parte sua il presidente uscente dell’URTNA, il
nigeriano Eddie Iroh.
Durante la seduta di ieri pomeriggio, i partecipanti hanno accolto con
soddisfazione il messaggio di saluto e di incoraggiamento del direttore
generale della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi. Inoltre, l’Assemblea,
per meglio rispondere alle sfide odierne del mondo della comunicazione, ha
adottato i nuovi statuti dell’Unione che diventa Unione Africana delle Radiodiffusioni,
UAR, e non più URTNA. La chiusura dei lavori è prevista oggi pomeriggio.
CONSEGNATO
IERI IL PREMIO DELLA PACE DELLA CITTA’ DI SIDNEY 2006 AD IRENE KHAN, PRIMA
DONNA, ASIATICA, MUSULMANA, ELETTA NEL 2001 SEGRETARIO GENERALE DI AMNESTY
INTERNATIONAL. NEL RICEVERE IL RICONOSCIMENTO
CHE
NEGLI ULTIMI ANNI HANNO NUOCIUTO ALLA CAUSA DEI DIRITTI DELLE DONNE
SYDNEY. = Irene Khan, prima donna asiatica e musulmana,
eletta nel 2001 segretario generale di Amnesty International, ha ottenuto il
Premio per la pace della città di Sydney 2006. Il
riconoscimento le è stato tributato ieri sera nell'Università della città
australiana per la ''coraggiosa difesa dei diritti umani” e in particolare per
gli sforzi profusi “per eliminare la violenza verso le donne, sia essa causata
dalla povertà, dall'abuso di potere degli uomini, da norme culturali o
tradizioni religiose”.
- A cura di Luis A. Badilla Morales -
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CARACAS. = I vescovi venezuelani pur esprimendo
gratitudine per il fatto che "siano stati inclusi numerosi sacerdoti in un
servizio cittadino necessario e nobile", ricordano che il Codice di
Diritto Canonico "vieta ai sacerdoti di accettare cariche pubbliche che
comportano la partecipazione nell'esercizio della potestà civile". (C. 285 § 3). "La condizione sacerdotale - spiega il
comunicato - esige piuttosto che i sacerdoti non prendano parte come arbitri in
materie elettorali e dunque siano sempre un fattore di pace, di contributo alla
soluzione dei conflitti e di unità del popolo venezuelano". La nota
rammenta che i "sacerdoti sono fortemente
obbligati nel compimento dei loro compiti pastorali, principalmente il sabato e
la domenica, in tutte le parrocchie e in ogni luogo in cui si renda necessaria
la loro presenza e ciò rende incompatibile per il sacerdote qualsiasi altro
compito da svolgere in quei stessi giorni".
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LA
SCIENZA A SERVIZIO DELLA GIUSTIZIA: SCAGIONATO DOPO 25 ANNI, GRAZIE
AL
TEST DEL DNA UN DETENUTO DEL TEXAS, CONDANNATO A 50 ANNI DI CARCERE
CON
L’ACCUSA DI AVERE STUPRATO UNA DONNA
WASHINGTON. = La scienza a servizio della giustizia. Un
test del DNA ha restituito la piena libertà ad un detenuto di Dallas,
condannato 25 anni fa per stupro. Larry Fuller, 57 anni, reduce della guerra del Vietnam decorato
per meriti, era stato condannato nel
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2 novembre 2006
- A cura di Fausta Speranza -
L’operazione ‘Nubi d’autunno’, lanciata alle prime ore di
ieri dall’esercito israeliano a Beit Hanun, nel nord della striscia di Gaza, ha fatto registrare
finora l’uccisione di 12 palestinesi e di un soldato. Secondo le fonti locali a
Gaza, il bilancio, provvisorio, degli scontri odierni è di quattro palestinesi
uccisi: tre giovani e un anziano di circa 70 anni, raggiunto alla testa da una
pallottola. Malgrado l’intensa attività militare,
quattro Qassam sono caduti anche oggi in territorio israeliano,
in aree vicine alla striscia di Gaza, senza tuttavia causare vittime e neppure
danni. Secondo le fonti locali, Beit Hanun è stata occupata e
isolata dai soldati che ora stanno conducendo perquisizioni casa per casa alla
ricerca di miliziani armati. Nell’operazione, ha detto il presidente della commissione Esteri e Difesa della Knesset,
Tzahi Hanegbi, l’esercito
sta applicando le lezioni apprese nel corso del recente conflitto contro gli Hezbollah in Libano.
Ancora morti a Baghdad: ucciso il preside della facoltà di
economia dell’Università; colpiti a morte tre poliziotti;
scoperti i cadaveri di 35 persone assassinate, con evidenti tracce di tortura.
Il comando americano fa sapere che un dirigente della rete terroristica al Qaeda in Iraq è stato ucciso in un attacco americano a Ramadi, una delle città più toccate dalla ribellione nella
parte occidentale dell’Iraq. Intanto, aumentano le difficoltà statunitensi in
Iraq con vittime giornaliere tra i soldati. Secondo un documento riservato
dell’esercito americano, il Paese del Golfo sarebbe ormai sull’orlo del caos e
della guerra civile. Il presidente iracheno, Talabani,
ha chiesto che le truppe americane restino in Iraq
ancora almeno per tre anni. Sull’attendibilità del documento americano,
Giancarlo La Vella ha raccolto il
commento di Alberto Negri, inviato speciale del Sole 24 Ore:
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R. – La situazione è degradata ormai da tempo. Sono ormai
due anni che la situazione sfugge sempre di più al controllo sia delle truppe
americane, sia dei nuovi governi iracheni che, uno dopo l’altro, si sono
succeduti e che sempre sono apparsi e appaiano tuttora incapaci di riportare
ordine. E’ un’anarchia sanguinosa, che sta scivolando sempre più in una guerra
civile.
D. – Un’eventuale guerra civile su larga scala in Iraq che
effetti avrebbe per tutta l’area mediorientale?
R. – La conseguenza di instabilità che abbiamo sotto gli
occhi di tutti. Basta vedere il confine con Iran, a sud, e con tutto quello che
si trascina dietro la questione iraniana. Basta vedere la questione del
Kurdistan, con tutto quello che implica per la stabilità del Kurdistan e della
Turchia. Basta pensare poi a quelli che sono i rapporti con il mondo arabo
sunnita, in particolare con la Giordania e l’Arabia Saudita. C’è poi la
questione del petrolio: in queste ultime settimane l’afflusso di petrolio iracheno
è sempre più diminuito. Questo ci dice molte cose anche sull’instabilità di
quelli che sono i rifornimenti petroliferi di questo Paese ed anche questo è un
dato da tenere presente.
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Diversi missili
balistici, tra i quali lo Shahab-3 con gittata di migliaia di chilometri, sono
stati lanciati oggi durante alcune manovre militari iraniane. Le esercitazioni,
effettuate dai Guardiani della rivoluzione, avvengono proprio quando nelle
acque del Golfo Persico gli Stati Uniti e altri cinque Paesi alleati stanno
compiendo operazioni di addestramento militare. Ma come può essere interpretato
il lancio di missili Shahab da parte delle
autorità di Teheran? Giada Aquilino lo ha chiesto al
prof. Fabrizio Battistelli, segretario generale di
Archivio Disarmo:
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R. – Ha sicuramente un significato politico. E’ un momento
in cui l’Iran batte i pugni sul tavolo e sulla scena internazionale,
ribellandosi a quello che ritiene essere un dictat dei Paesi occidentali e in
particolare degli Stati Uniti, relativamente alle sue possibilità di sviluppare
l’energia nucleare e rispetto a quello che dichiara di sentire come un accerchiamento
del suo territorio. Il fatto stesso che in queste ore sono in atto delle
esercitazioni delle Marine Militari occidentali nel Golfo Persico è una riprova
di questa situazione, secondo Teheran.
D. – Nel quadro della crisi nucleare iraniana, queste
esercitazioni quindi come possono essere collocate?
R. – Da parte di Teheran si vuol
dimostrare che il tavolo non è soltanto limitato alla questione nucleare, su
cui peraltro dichiarano ufficialmente di non voler intraprendere uno sviluppo
di armamenti nucleari, ma può e deve essere visto da molti punti di vista in
campo militare, cominciando dalle armi convenzionali, che non sono per questo
meno micidiali se si pensa che i missili con una gettata di tremila chilometri,
come quelli testati dagli iraniani, hanno la possibilità di raggiungere
Israele. In questo senso sono, quindi, strategici almeno tanto e quanto una
bomba nucleare tattica. Io non credo che questa sia l’intenzione del regime
degli Ayatollah, ma sicuramente è loro intenzione agitare questo spettro agli occhi
degli Stati Uniti.
D. – Ma gli ultimi lanci iraniani come influiscono sulle
discussioni in corso all’ONU?
R. – Senz’altro influiranno, nel senso che mostrano la
pertinacia di un governo – quello di Teheran – che
non si dà per vinto.
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E’ stato “cancellato” l’incontro sulla questione cipriota
previsto domenica e lunedì a Helsinki tra la presidenza finlandese dell’UE ed i
rappresentanti turchi e ciprioti: lo ha reso noto la stessa presidenza
finlandese. La sospensione del colloquio giunge pochi giorni prima della
pubblicazione, prevista per l’8 novembre, dell’atteso rapporto della commissione
UE relativo allo stato di avanzamento delle riforme in Turchia nell’ambito del
negoziato di adesione. Per domani, d’altra parte, è previsto a Bruxelles un
colloquio tra il ministro degli Esteri finlandese e il leader turco cipriota.
Vittoria dei nazionalisti moderati alle
elezioni di ieri in Catalogna per il rinnovo del Parlamento regionale. Dopo tre
anni di governo di sinistra, le urne hanno decretato la sconfitta dei
socialisti, anche se si delinea un esecutivo di coalizione. Il servizio di Ignazio
Arregui:
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L’incertezza ha dominato fino all’ultimo momento lo
scrutinio dei voti. Confermando le previsioni fatte prima della votazione, il
partito nazionalista moderato, “Convergencia i Unió”, ha vinto queste elezioni
migliorando il risultato delle precedenti elezioni del 2003. Al secondo posto,
si è classificato il partito socialista catalano ma con un forte calo di voti.
Il terzo posto è stato per il partito indipendentista Esquerra
Republicana, il quale diventa di nuovo un elemento chiave
per la formazione di un governo di coalizione. Il Partito Popolare arriva al
quarto posto ma con la perdita di un seggio. La Coalizione di sinistra, sempre
al quinto posto, ha migliorato la sua posizione. Il partito della cittadinanza,
con i suoi tre seggi in un parlamento con 135 deputati ha fatto il suo ingresso
nella scena politica catalana. Sono due i candidati più forti alla presidenza
del governo: Artur Mas, del partito nazionalista
moderato “Convergencia i Unió”, e José Montilla
del partito socialista. Nessuno dei due, con le sue sole forze può ottenere la
maggioranza assoluta nel nuovo parlamento. Impossibile per adesso anticipare
quale sarà la coalizione che darà luogo al nuovo governo della Catalogna. La
partecipazione elettorale è stata molto bassa con solo un 56% degli aventi diritto al voto. Dopo la giornata elettorale di ieri,
inizia adesso la fase dei negoziati tra i leader dei partiti.
Ignacio
Arregui dalla Spagna per Radio Vaticana.
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Le armi illegalmente detenute dalla popolazione hanno
fatto circa 10 mila morti dalla fine della guerra in Bosnia (1992-95). Lo
denuncia Adam Huskic, membro della Commissione difesa
in seno al parlamento, spiegando che si tratta di persone che sono state uccise
o si sono suicidate con armi leggere. Alla fine della
guerra, nel 1995, c’erano circa 300 mila soldati e “la maggioranza ha
conservato almeno un’arma”, fa sapere Huskic, affermando
che i sequestri di armi illegali da parte delle forze di mantenimento della
pace sono “simbolici”. Dalla fine della guerra, sono
state sequestrate a civili circa 52 mila armi leggere, 38.500 mine, 225 mila
granate, 33 tonnellate di esplosivo, 15 milioni di munizioni, migliaia di
mortai e due carri armati.
Dopo il ripetersi di gravi episodi di violenza a Napoli, il
presidente del Consiglio, Romano Prodi è giunto oggi nella città campana
dell’Italia del Sud. Il primo incontro è stato nella sede della Curia
arcivescovile di Napoli, con il cardinale Crescenzio Sepe.
Dopo, il vertice in Prefettura con le autorità locali per fare il punto
sull’emergenza criminalità a Napoli. Da parte sua, il sindaco del capoluogo
campano, Rosa Russo Jervolino, prima di iniziare il vertice ha dichiarato di
aspettarsi dal governo “un aiuto stabile e concreto per Napoli”, aggiungendo di
prendere atto “con soddisfazione che nel giro di due giorni arrivino il presidente
del Consiglio e il ministro dell’Interno, fatto molto importante”.
Pur evitando di commentare ufficialmente l’annuncio di una
ripresa dei negoziati internazionali sul nucleare nordcoreano,
la Corea del Sud ha lasciato trasparire in proposito una cauta soddisfazione.
Il nostro servizio:
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L’agenzia sudcoreana ‘Yonhap’ ha sottolineato la “crescita di fiducia” che queste
notizie hanno provocato fra gli investitori, facendo aprire oggi in netto
rialzo la Borsa di Seul. Impegnatasi da otto anni in una sempre più articolata
‘politica del sorriso’ verso il Nord, la Corea del
Sud aveva mostrato crescente disagio per le ripercussioni della crisi del
riarmo nordcoreano e la settimana scorsa due ministri
avevano presentato le dimissioni assieme al direttore dei servizi di
informazione. Adesso però non sembra escluso che, con gli ultimi sviluppi da
Pechino, tali dimissioni siano destinate a rientrare,
soprattutto per quanto riguarda il ministro per l’Unificazione Lee Jong seok,
che martedì aveva dichiarato di non considerare
del tutto svanite le prospettive di un vertice fra i presidenti del Sud e del Nord.
I riflettori della crisi nordcoreana
hanno cominciato oggi a spostarsi su Hanoi, dove tra
un paio di settimane si terrà per la prima volta il vertice annuale dell’APEC,
il Forum di cooperazione Asia Pacifico. E’ la 18/a edizione del Forum e a
margine dei suoi due giorni di lavori si svolgerà una serie di incontri
cruciali per dirimere
la spinosissima questione del riarmo missilistico e nucleare nordcoreano. In particolare, secondo informazioni provenienti
da Seoul, la Cina starebbe
adoperandosi per riunire prima del vertice a Pechino tutti i rappresentanti dei
sei Paesi che partecipano alla trattativa internazionale sul nucleare di Pyongyang: le due
Coree, la Cina, gli Usa, il Giappone e la Russia.
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Disco verde per Panama nella corsa per conquistare il
seggio non permanente di America Latina e Caraibi nel Consiglio di Sicurezza
dell’ONU per il biennio 2007-2008. Dopo settimane di impasse - cadenzate da 47
votazioni infruttuose - Venezuela e Guatemala hanno infatti
deciso di ritirarsi dall’agone lasciando così il posto libero a Panama. Adesso,
da Guatemala e Venezuela ci si attende un sostegno formale alla candidatura di
Panama nella riunione del gruppo che raduna i Paesi latino-americani alle
Nazioni Unite che si terrà in giornata.
Il militante cinese cieco Chen Guangcheng, che aveva in passato denunciato aborti forzati
e abusi nella politica di controllo delle nascite, ha vinto il processo di
appello contro la condanna a quattro anni di carcere emessa alla fine di agosto
e ha ottenuto di essere nuovamente giudicato. Lo hanno reso noto la moglie e il
suo avvocato. Il tribunale della contea dello Yinan,
nella provincia orientale dello Shandong, ha valutato
che Chen in prima istanza avesse subito “gravi
violazioni nelle procedure legali”. Il 24 agosto scorso Chen,
34 anni, era stato condannato a quattro anni e tre mesi di prigione.
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