RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L n. 87- Testo della trasmissione di martedì 28 marzo 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La Chiesa si prepara a commemorare il primo anniversario della morte di Giovanni Paolo II: Benedetto XVI sarà presente alla veglia di preghiera in Piazza San Pietro la sera del 2 aprile e presiederà la Messa in suffragio di Papa Wojtyla  il 3 aprile alle 17.30

 

E’ lo sguardo di compassione del samaritano l’icona cristiana della solidarietà: un commento del priore di Bose, Enzo Bianchi, al messaggio di Quaresima di Benedetto XVI

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Liberato nella notte Abdul Rahman, il cittadino afgano che rischiava la pena di morte perché convertitosi al cristianesimo. L’Italia si offre di dargli asilo: con noi, padre Justo Lacunza Balda e Fulvio Scaglione

 

Elezioni in Israele: favorito il partito centrista Kadima. Ai nostri microfoni Janichi Cingoli e padre David Jaeger

 

Mons. Giuseppe Betori presenta in una conferenza stampa presso la Radio Vaticana le conclusioni del Consiglio episcopale permanente della CEI

 

Convegno sugli OGM ieri all’Ateneo Regina Apostolorum di Roma: intervista con padre Gonzalo Miranda e con il prof. Francesco Sala

 

CHIESA E SOCIETA’:

E’ morto in Cina, ad 85 anni, il vescovo emerito di Jingxian mons. Pietro Fan Wen-Xing

 

La Chiesa cattolica spagnola intende contribuire al processo di pace nei Paesi baschi

 

Stati Uniti: i vescovi si mobilitano contro la nuova legge sull’immigrazione all’esame del Senato

 

ONU: a sessant’anni di attività la Commissione per i diritti umani viene sostituita da un nuovo organismo, il Consiglio per i diritti umani

 

Cairo: esponenti di varie confessioni e Chiese cristiane, insieme a leader musulmani, chiedono una presa di posizione dell’ONU sul rispetto delle religioni

 

24 ORE NEL MONDO:

Oggi elezioni in Israele: favoriti i centristi di Kadima

Parlamentari in Ucraina: i risultati provvisori danno in testa il partito filorusso di Yanukovich

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

28 marzo 2006

 

BENEDETTO XVI  SARA’ PRESENTE LA SERA DEL 2 APRILE ALLA VEGLIA DI PREGHIERA

IN PIAZZA SAN PIETRO  IN OCCASIONE DEL 1° ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA

DI GIOVANNI PAOLO II.  LUNEDI’ 3 APRILE ALLE 17.30 IL PONTEFICE PRESIEDERA’

LA SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DI PAPA WOJTYLA

 

Siamo ormai vicini al primo anniversario della morte di Giovanni Paolo II che ricorre domenica prossima 2 aprile. Oggi l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice ha reso noto che lunedì 3 aprile, alle ore 17.30, Benedetto XVI presiederà, sul sagrato della Basilica Vaticana, la Santa Messa in suffragio di Papa Wojtyla.

 

Sempre oggi il Vicariato di Roma ha ricordato, in un comunicato, che il 2 aprile la Diocesi di Roma si raccoglierà in preghiera in Piazza San Pietro dove  si svolgerà la recita del Santo Rosario alla presenza di Benedetto XVI per esprimere a Dio la gratitudine di tutta Roma per il dono di Giovanni Paolo II.

 

A partire dalle ore 20.30 il Coro della Diocesi di Roma, diretto da mons. Marco Frisina, animerà la preghiera con canti mariani e letture di testi di Karol Wojtyla. Alle ore 21.00  Benedetto XVI si affaccerà dalla finestra del suo studio e verrà recitato il Santo Rosario. Durante la preghiera saranno letti brani tratti dalla Lettera Apostolica di Giovanni Paolo IIRosarium Virginis Mariae  e altri brani del suo magistero. Alle 21.37 circa, l’ora della morte di Giovanni Paolo II,  Benedetto XVI rivolgerà la sua parola ai fedeli presenti e concluderà la preghiera con la benedizione apostolica.

 

 

E’ LO SGUARDO DI COMPASSIONE DEL SAMARITANO L’ICONA CRISTIANA

DELLA SOLIDARIETA’: UN COMMENTO DEL PRIORE DI BOSE, ENZO BIANCHI,

AL MESSAGGIO DI QUARESIMA DI BENEDETTO XVI

 

Guardare il prossimo in difficoltà e aiutarlo. Per Cristo, questo modo di agire accompagnò ogni giorno la sua predicazione terrena. E da duemila anni, il suo esempio induce moltissimi uomini e donne a fare altrettanto. Ma è prima di tutto quel “guardare” a fare la differenza: si possono vedere molte cose senza però avere quella particolare sensibilità che spinge ad essere realmente solidali. “Il nostro sguardo si misuri su quello di Cristo”, ha scritto Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Quaresima 2006, intitolato “Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione”. Ma perché oggi la compassione appare quasi un sentimento fuori moda? Alessandro De Carolis lo ha chiesto al priore della Comunità monastica di Bose, Enzo Bianchi:

        

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R. – Da un lato, sembra un sentimento fuori moda perché il termine ‘compassione’ in qualche misura si è svilito: sembra dire di uno che prova pietà, e quindi quasi un sentimento indegno, che offende la dignità dell’altro. Ma in realtà, nel linguaggio biblico,compassione’ vuol dire ‘soffrire con’. Gesù che sente ‘compassione’, il Dio che è ‘compassionevole’ – non dimentichiamolo: è uno degli attributi del nostro Dio, rivelato a Mosè – significa la capacità di Dio di sentire con i sentimenti anche dell’uomo, quando i sentimenti sono di sofferenza, sono di dolore: Dio ci sta vicino e condivide questa nostra condizione per portarci consolazione e liberazione. Gesù sente ‘compassione’ delle folle, che cercano qualche volta a tentoni, che non hanno sostentamento: lì Gesù partecipa di questa ‘compassione’ con il suo cuore che è il cuore stesso di Dio.

 

D. – Per imparare ad avere ‘un cuore che vede’, come dice anche il Papa nella sua prima Enciclica, come si fa? Come lo insegnerebbe lei, ad un giovane?

 

R. – Io direi di prestare quell’attenzione che ci viene detta nella parabola del Buon Samaritano. In fondo, il Buon Samaritano, rispetto al Levita e al sacerdote che sono passati oltre, è uno che ha guardato, che ha avuto la capacità di vedere innanzitutto l’altro nel bisogno, l’altro nella sofferenza, l’altro che era stato colpito e che era ferito. Ma questo sguardo certamente noi lo impariamo se abbiamo un’attenzione del cuore. Anche Saint-Exupéry diceva: “Si vede soltanto veramente con il cuore”. Tanto più questo sguardo, quando deve diventare uno sguardo di compassione, di capacità di sostenere l’altro, di aiutare l’altro, di consolare l’altro.

 

D. – In una civiltà, dove anche quando si fa il bene si pensa soprattutto a ‘fare’, avere un cuore che ‘vede’ significa anche avere un’anima più grande…

 

R. – Secondo me, fare il bene non dipende tanto da quel che si fa, perché si possono fare molte cose da distratti o farle per protagonismo. Se invece si fanno le cose proprio a partire dal cuore, dalla ‘commozione’ del cuore – come racconta sovente il Vangelo per Gesù – che ci spinge alla compassione, noi non diamo solo un aiuto materiale agli altri, noi diventiamo solidali con gli altri. E allora, la nostra azione anche per l’altro ha un più grande significato: non è semplicemente unfare qualcosa’, ma un atto con il quale l’altro può sentire in noi uno che è – come lui – capace di sofferenza, di compassione, di condivisione.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina - Medio Oriente: gli elettori israeliani alle urne per rinnovare il Parlamento. Iraq: “Al Qaeda” rivendica la strage di Azki Kalak. Lega Araba: molte assenze al vertice di Khartoum. 11 settembre: il progetto dei terroristi prevedeva un quinto aereo contro la Casa Bianca. Nucleare: l’AIEA sollecita l’Iran a ristabilire la fiducia internazionale. Appello UE alla Bielorussia per la liberazione dei manifestanti arrestati.

 

Servizio vaticano - Un volume di mons. Pier Giorgio Deberardi sulla religiosa francescana Madre Luisa Maria Claret de La Touche. Un articolo sulla figura e l’esempio di san Luigi Orione, fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza.

 

Servizio estero - Ucraina: la comunità internazionale elogia lo svolgimento democratico del voto. L’Atlante geopolitico sulla difficile strada verso l’integrazione.

 

Servizio culturale - Una mostra ad Atene su Leonardo e il mondo classico. Per L’OR Libri: il volume “Antonio Gramsci 1891-1937” di Antonio A. Santucci.

 

Servizio italiano - II temi delle elezioni e dell’immigrazione.

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

28 marzo 2006

 

        

LIBERATO NELLA NOTTE ABDUL RAHMAN, IL CITTADINO AFGANO

CHE RISCHIAVA LA PENA DI MORTE PERCHE’ CONVERTITOSI AL CRISTIANESIMO.

L’ITALIA SI OFFRE DI OSPITARLO

- Con noi, padre Justo Lacunza Balda e Fulvio Scaglione -

 

E’ stato rilasciato questa notte Abdul Rahman, il cittadino afgano che rischiava la pena di morte per essersi convertito al Cristianesimo dall’Islam. Nell’annunciarne la scarcerazione, il ministro della Giustizia, Sarwar Danish, ha premesso che la ragione principale del provvedimento è stata la scadenza del termine entro cui si sarebbe dovuto aprire il processo a suo carico. Dal canto suo, il ministro degli Esteri italiano, Gianfranco Fini, ha annunciato che l’Italia offrirà asilo al convertito, che pur se liberato rischia la vita nel suo Paese. Nei giorni scorsi, il Papa aveva inviato una lettera al presidente afgano Karzai chiedendo la grazia per Abdul Rahman. Il commento di Fulvio Scaglione, vice-direttore di Famiglia Cristiana, intervistato da Salvatore Sabatino:

 

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R. – E’ abbastanza indicativo che intorno a questo caso si sia creata una mobilitazione internazionale, come – per essere molto franchi – quasi mai si riesce a creare intorno ai casi in cui in molte parti del mondo i cristiani sono vittime di persecuzioni.

 

D. – Perché tutta questa attenzione dei media internazionali?

 

R. – L’attenzione, secondo me, è dovuta in larga parte ai fatto che ci troviamo in Afghanistan, cioè un Paese che è stato liberato dal governo dei talebani con una spedizione militare e che è una specie di caso di studio, perché se la Sharìa con tutte le sue implicazioni fosse stata applicata proprio in un Paese, appunto, liberato dai talebani e tutto sommato ancora pienamente sottoposto alla tutela delle potenze occidentali, certamente sarebbe stato uno smacco molto forte anche dal punto di vista politico, non solo religioso e civile.

 

D. – La decisione di scarcerare Rahman non può in qualche modo danneggiare la posizione già fragile del presidente Karzai?

 

R. – Questo è difficile dirlo. Potrebbe in un certo senso indebolirlo, in un certo senso rafforzarlo se questa decisione fosse poi difesa con atti conseguenti e con un certo coraggio da parte del presidente. Riguardo a Karzai, però, bisogna fare un discorso, secondo me, molto franco e pragmatico, senza illuderci troppo: Karzai, tutto sommato, sta in piedi un po’ come i dirigenti iracheni, perché è sostenuto dalla presenza delle truppe occidentali. Difficilmente di suo Karzai riuscirebbe a resistere alle pressioni dei signori della guerra convertiti al cristianesimo o no.

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La vicenda di Abdul Rahman ha portato nuovamente in primo piano la questione della libertà religiosa nei Paesi a maggioranza islamica. Un tema sul quale si sofferma padre Justo Lacunza Balda, preside del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R. – Il Corano lo dice testualmente nel capitolo 2, versetto 256, che non c‘è costrizione nell’islam. Questo è quello che il Corano dice. Bisogna vedere esattamente non soltanto quello, ma occorre vedere come questo versetto viene tradotto nella prassi reale di una società. Altro aspetto è la questione della legislazione, che è sempre un’interpretazione. E qui bisogna dire che anche grandi dotti musulmani, diverse scuole di pensiero musulmane, oggi, difendono e sottolineano che bisogna guardare molto attentamente per vedere come funziona la libertà religiosa per le altre minoranze, anche per i gruppi musulmani che non appartengono alla stragrande maggioranza di gruppi sunniti.

 

D. – Il concetto di separazione fra Stato e Chiesa, tipico del Cristianesimo, è assente nel mondo islamico. Quali conseguenze comporta tale aspetto della religione musulmana nella relazione con le altre fedi?

 

R. – Io direi che il mondo musulmano ha molti sistemi di governo: da sultanati a emirati, da repubbliche a monarchie... Qui occorre, dunque, individuare ogni singolo Paese. Prendo un esempio come il Qatar, dove è in atto la costruzione di una chiesa cattolica in terreni che sono stati donati dal governo del Paese, perché vuole avere rispetto per la libertà religiosa e, in questo caso, il governo del Qatar vede non soltanto un’opportunità, ma una necessità che tutti quelli che hanno una fede diversa, che contribuiscono allo sviluppo del Paese, debbano avere anche uno spazio religioso e culturale, pure materiale, come edificio di culto.

 

D. – Quindi, secondo lei, ci sono comunque dei segni di speranza? In questo senso, possiamo dire che il dialogo interreligioso, anche se non mancano le difficoltà, sta dando buoni frutti?

 

R. – Innanzitutto, non bisogna perdere la speranza. Bisogna dire molto chiaramente, senza far polemica, che la libertà religiosa è un diritto fondamentale di ogni uomo e di ogni donna. Secondo elemento, la strada è quella del dialogo interculturale, del dialogo interreligioso. Questa strada si percorre con la documentazione, con la conoscenza, non con le ideologie. Penso che le parole del Pontefice siano state delle parole estremamente importanti, di una grande dimensione, per sottolineare un elemento fondamentale della vita di ogni uomo: la dignità della sua persona e insieme a questa dignità la necessità del rispetto profondo e incondizionato alla sua espressione di culto, alla sua espressione religiosa, a qualunque estrazione sociale o etnica appartenga.

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APERTE LE URNE NELLO STATO EBRAICO: ISRAELE SCEGLIE IL DOPO SHARON.

FAVORITO IL PARTITO DI CENTRO ‘KADIMA’ GUIDATO DAL PREMIER AD INTERIM OLMERT

- Interviste con Janichi Cingoli e padre David Jaeger -

 

Si sono aperti stamani i seggi in Israele per le elezioni legislative. Le urne saranno chiuse alle 22. Il premier ad interim israeliano Ehud Olmert, il cui partito di centro Kadima è dato per favorito dai sondaggi, ha invitato tutti gli elettori a recarsi alle urne. Ma i primi dati fanno registrare una bassa partecipazione. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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I dati sull’affluenza non sono confortanti: ha votato finora appena il 21 per cento degli aventi diritto. Si tratta della più bassa affluenza della storia di Israele. I seggi sono stati aperti tra straordinarie misure di sicurezza  per il timore di attentati ma la l’ondata di violenze non si è arrestata:  due israeliani sono morti dopo essere stati colpiti da un razzo lanciato da estremisti palestinesi sulla parte meridionale dello Stato ebraico. Il voto si colloca in un quadro complesso segnato dalle lacerazioni legate al ritiro da Gaza, da uno sconvolgimento politico dopo l’ictus che ha colpito il premier Sharon, dalla nascita del nuovo partito Kadima, e dalla vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi I primi exit poll saranno diffusi questa sera, dopo la chiusura del voto. I sondaggi prevedono la vittoria del partito di centro Kadima, fondato dall'ex premier Ariel Sharon - oggi in coma dopo un’emorragia cerebrale - e guidato attualmente dal primo ministro ad interim Olmert. Al di là del risultato elettorale, è evidente che anche il prossimo governo israeliano dovrà essere di coalizione. Il premier Olmert ha già escluso di respingere il piano di ritiro unilaterale da parte della Cisgiordania e ha accennato a un possibile accordo con i laburisti e con lo schieramento di sinistra Meretz. Il Likud spera, invece, in un buon risultato delle destre per impedire a Olmert di guidare il prossimo esecutivo e propone il proprio leader, Netanyahu, per l’incarico di primo ministro.

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Ma quale clima si respira in Israele? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Janichi Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente.

 

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R. – C’è una ragionevolezza che punta sulla moderazione, sul fatto che si possa sul terreno creare una situazione meno drammatica, con meno terrorismo… Quindi, sostanzialmente, è un clima che rifugge dai doppi estremismi. E Kadima esprime questa grande tendenza di fondo: quella di rifuggire dagli ideologismi e di concentrarsi su quello che si può fare in concreto a breve termine.

 

D. – Tutti i sondaggi danno in testa il partito Kadima, questa nuova formazione creata da Sharon. E’ lo stesso risultato auspicato dalla comunità internazionale, questo?

 

R. – A me è capitato di incontrare recentemente Abu Mazen e siamo rimasti tutti molto stupiti quando il presidente palestinese ha detto di sperare in una affermazione di Olmert. Quindi, non solo la comunità internazionale, ma anche questa componente più moderata che fa capo ad Al Fatah, punta su Olmert come un possibile interlocutore. La questione è che, forse,l’idea di riprendere la road-map come se non fosse successo niente è un po’ desueta. La mia impressione è che sta tornando di attualità quella che è la cosiddetta “proposta” della Lega Araba, avanzata a Beirut nel 2002: la promessa, cioè, che tutti gli Stati arabi riconoscano Israele in cambio del ritiro di Israele dai Territori occupati nel ’67, compresa Gerusalemme Est, e della creazione di uno Stato palestinese. Ora, questa ipotesi – che fu allora respinta da Israele – potrebbe rendere possibile ad Hamas, in un contesto che non è bilaterale, ma pan-arabo, di abbandonare il suo rifiuto di riconoscere Israele. E’ a questa ottica più complessiva che è necessario guardare, perché solamente guardando oltre l’orizzonte si può costruire una pace effettiva in Medio Oriente.

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Nel programma del partito Khadima sono indicate, soprattutto, due priorità: risolvere la questione dei Territori occupati e disegnare i confini di Israele. Quale effetto potrà avere questa linea politica sul processo di pace israelo-palestinese? Risponde, al microfono di Fabio Colagrande, padre David Jaeger, frate minore francescano esperto in questioni politiche e religiose in terra Santa:

 

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R. – E’ una strategia che prescinde dal dialogo di pace, che è basata sulla presunzione che la pace non sia possibile nel futuro. Secondo Kadima, Israele dovrebbe agire unilateralmente, nell’attesa che in un futuro non meglio determinato, anche l’altra parte voglia incominciare un negoziato di pace. Quindi, la questione è se è vero che la pace non sia possibile. Il partito laburista crede, invece, di poter ancora avviare negoziati di pace. Però, anche i laburisti, in definitiva sarebbero pronto a prendere delle misure unilaterali qualora i negoziati di pace, così come voluti da Israele, risultassero non possibili.

 

D. – Padre Jaeger, quanto la situazione alla vigilia delle elezioni è stata influenzata dall’ombra della presenza di Hamas a capo del governo in Palestina?

 

R. – Non vedo alcun impatto sostanziale. Anche prima del voto palestinese, non c’erano spazi dal punto di vista israeliano per i negoziati, perché l’apertura da parte palestinese, da tutti i soggetti politici in Palestina, è sempre legata al ritiro di Israele dai Territori occupati.

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MONS. GIUSEPPE BETORI PRESENTA, IN UNA CONFERENZA STAMPA

PRESSO LA RADIO VATICANA, LE CONCLUSIONI  DEL CONSIGLIO EPISCOPALE

PERMANENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

 

Sono state presentate presso la Sala Marconi della nostra emittente le conclusioni della sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente della CEI. Il segretario generale mons. Giuseppe Betori ha sottolineato l’impegno e la preoccupazione della Chiesa per le aree di crisi internazionali e la libertà di religione. La CEI inoltre ribadisce la decisione di non coinvolgersi in alcuna scelta di schieramento in vista dell’appuntamento elettorale italiano del 9 e 10 aprile. Il servizio è di Stefano Leszczynski.

 

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La gratitudine dei Vescovi italiani verso Benedetto XVI riguarda nello specifico la riconferma del presidente della CEI, il cardinale Camillo Ruini, e il “dono grande” per la Chiesa e l’umanità dell’Enciclica Deus caritas est. L’impegno di carità e di assistenza – ispirato peraltro dai principi contenuti nel Magistero papale – viene rinnovato dalla CEI in relazione alle crisi che stanno colpendo l’Africa orientale, l’Iraq, la Terra Santa. Preoccupazione è stata espressa nel documento finale per la necessità di garantire la libertà religiosa, con riferimento alla situazione del cittadino afghano convertitosi al cristianesimo e all’uccisione in Turchia di don Andrea Santoro. Con riferimento al dibattito su un eventuale insegnamento della religione islamica nelle scuole pubbliche per i vescovi la strada è percorribile, anche se prematura e sottolineano comunque come la questione nulla abbia a che vedere con la pretestuosa proposta di sopprimere l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, che – ricorda la CEI – trae le sue motivazioni dal riconoscimento concordatario. Nel quadro del contesto pre-elettorale italiano, i vescovi ribadiscono la decisione di non coinvolgersi in alcuna scelta di schieramento politico o partitico, mentre agli elettori ed ai futuri eletti la CEI ripropone “quei contenuti irrinunciabili fondati sul primato e sulla centralità della persona umana”. Mons. Betori ha quindi ribadito il pensiero dei vescovi riguardo alla partecipazione politica dei cattolici finora impegnati in associazioni e movimenti ecclesiali:

 

 

“Questi cattolici si impegnano a titolo puramente personale, per scelta personale, libera, che noi ci auguriamo possa essere illuminata nell’adempimento delle loro eventuali funzioni di parlamentari con la stessa coscienza cristianamente illuminata con cui hanno svolto il loro lavoro ecclesiale fino adesso. Questo fenomeno è stato un fenomeno che ha accompagnato da sempre la vita della Chiesa, non è la prima volta che dei cattolici passano da un impegno ecclesiale ad un impegno nella vita sociale e direttamente nella vita politica. La novità sta nel fatto che ormai da circa dieci anni non c’è più un partito di riferimento per il mondo cattolico, per cui i cattolici che scelgono di entrare in politica si vanno a collocare nelle diverse appartenenze di partito che loro stessi scelgono. L’auspicio è che qualsiasi sia il luogo in cui vanno ad esprimere questa loro testimonianza, possano essere fermento di una testimonianza di valori umani su cui aggregare non solo i cattolici ma tutti”.

 

In conclusione, mons. Betori ha comunicato la nomina del primo coordinatore pastorale per le comunità cattoliche cinesi in Italia, don Pietro Cui Xingang, della diocesi di Yixian.

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CONVEGNO SUGLI OGM IERI A ROMA, ALL’ATENEO REGINA APOSTOLORUM

- Intervista con padre Gonzalo Miranda e con il prof. Francesco Sala -

 

“Dieci anni di OGM: minaccia o speranza?”: questo il titolo del seminario internazionale che si è tenuto ieri presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma. Il convegno ha cercato di fare il punto sullo stato della ricerca scientifica del settore per valutare il rapporto rischi-benefici delle piante geneticamente modificate, con uno sguardo particolare ai problemi etici. Il servizio è di Isabella Piro.

 

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Anno 1996: i primi prodotti biotech nel campo della coltivazione e dell’alimentazione vengono commercializzati. Anno 2006: le biotecnologie vegetali come soia, mais e cotone vengono coltivate da 8,5 milioni di agricoltori in 400 milioni di ettari di 21 Paesi del mondo, tra cui Cina, India e Iran. Ma c’è da considerare il rispetto dell’etica, che non può essere violato nemmeno in nome della scienza, come spiega padre Gonzalo Miranda, decano della Facoltà di Bioetica del Regina Apostolorum:

 

“Quello che la Chiesa chiede sempre, è di rispettare determinati valori. In questo caso si tratta della salute delle persone e della lotta contro la fame. Allora la Chiesa dice:Guardiamo come stanno i fatti’. Se i fatti ci dicessero – io credo che non sia così – che si tratta di organismi molto pericolosi, che non si possono controllare e che, dunque, possono intaccare la salute delle persone, forse di milioni di persone, la Chiesa dovrebbe dire – non perché esperta in OGM, ma perché tenta di essere esperta nei valori umani – direbbe: ‘Fermiamo tutto’. Se invece non è così, piuttosto gli OGM si rivelano una speranza, una risorsa, apriamo le porte anche a questa speranza”.

 

Oggi, il 90% degli agricoltori che coltiva OGM vive in Paesi in via di sviluppo, come le Filippine e il Sudafrica. Gli alimenti biotech sono quindi una possibilità concreta per sconfiggere la fame e la povertà. Ancora padre Miranda:

 

“Una cosa importante è capire che, quando si dice che eventualmente gli OGM potrebbero aiutare nella lotta contro la fame nel mondo, non si dice – almeno non dobbiamo dire – che possa essere l’unica soluzione. Ci sono tantissimi altri problemi da affrontare, dalla distribuzione delle conoscenze nel mondo, alla distribuzione delle risorse in modo equo, a trovare altre vie per aiutare a vincere questa piaga della fame che non è ammissibile nel 2006”.

 

Il principio scientifico di precauzione non deve trasformarsi in principio di blocco della ricerca, ha precisato il professor Francesco Sala, membro del Comitato per la sicurezza delle biotecnologie della Presidenza del Consiglio. L’importante – ha aggiunto – è valutare caso per caso i singoli rischi:

 

“La scienza non dà mai delle certezze assolute. Diciamo che le certezze che abbiamo sugli OGM sono molto, molto più grandi delle certezze che abbiamo sulla innocuità dei cibi tradizionali ma anche del cibo biologico”.

 

E c’è infine il lato economico degli OGM, che si scontra con gli interessi delle multinazionali. Ancora il prof. Sala:

 

“Fare gli OGM costa poco: tant’è vero che possiamo farli anche noi, in Italia, che abbiamo pochissimi soldi per la ricerca. Gli OGM hanno un grosso difetto: quello di produrre qualcosa che costa meno del cibo tradizionale, e per questo abbiamo grosse obiezioni nei nostri Paesi. E chi ha interessi commerciali su questi cibi, preferisce andare su altri, come ad esempio sul cibo biologico.

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CHIESA E SOCIETA’

28 marzo 2006

 

 

È MORTO IN CINA, AD 85 ANNI, IL VESCOVO EMERITO DI JINGXIAN. PIETRO FAN

WEN-XING. OLTRE AD ESSERSI DEDICATO AD ATTIVITÀ PASTORALI HA SVOLTO

LA PROFESSIONE DI MEDICO IN UN OSPEDALE DELLA SUA DIOCESI

 

JINGXIAN. = È deceduto il 28 febbraio scorso, mons. Pietro Fan Wen-xing, anni 85, vescovo emerito della diocesi di Kinghsien (Jingxian), nella Provincia cinese dell’Hebei. A darne notizia è l’agenzia Fides. I funerali sono stati celebrati il 4 marzo scorso. La salma è stata tumulata nel cimitero del villaggio cattolico di Qingcaoche. Il presule era nato il 27 gennaio del 1921 a Zhujiahe, villaggio a 250 chilometri a sud di Pechino, dove più di 3 mila cattolici furono uccisi durante la rivoluzione cosiddetta dei “boxers”. Proprio dal suo Paese natale, il “villaggio dei Santi”, come lo chiamano nell’Hebei, provengono 5 dei 120 martiri cinesi canonizzati nel 2000 da Giovanni Paolo II. Mons. Fan è entrato nel seminario minore diocesano a 14 anni e, terminati gli studi di teologia a Pechino, all’Università Fu Jen, nel 1948 è stato ordinato sacerdote. Due anni dopo, è stato nominato vicario generale della diocesi. Mons. Fan si è dedicato alle attività pastorali ed ha lavorato come medico in un ospedale di Jingxian, fino agli anni della cosiddetta "rivoluzione culturale" (1966-1976), durante la quale è stato condannato dal regime comunista alla rieducazione e ai lavori forzati in una miniera di sale. Consacrato vescovo di Jingxian nel 1981, mons. Fan si è adoperato immediatamente per la riapertura di case religiose, del seminario minore e per la costruzione di varie chiese. Nel 1999, a causa della salute e dell’età, mons. Fan ha rassegnato le sue dimissioni. A sostituirlo mons. Mattia Chen Xilu, colpito nel 2002 da una paralisi e tuttora in coma. Mons. Peter Feng Xin mao, vescovo coadiutore, testimonia che durante tutti gli anni di malattia che lo hanno costretto a letto o su una sedia a rotelle, mons. Fan non si è mai lamentato, ha solo ringraziato Dio e pregato. Lucido fino agli ultimi istanti, ha salutato i presenti con un “Dio ci benedica!” e si è addormentato nel Signore. Dopo la sua morte, i fedeli e il clero hanno vegliato ininterrottamente in preghiera fino al giorno della sepoltura. La diocesi di Jingxian conta 25 mila fedeli, 27 sacerdoti, 60 religiose, 15 seminaristi nel Seminario maggiore ed 80 nel Minore, 30 chiese, 4 cliniche.  (T.C.)

 

 

LA CHIESA CATTOLICA INTENDE CONTRIBUIRE AL PROCESSO DI PACE NEI PAESI BASCHI. È QUANTO HA AFFERMATO IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE SPAGNOLA, MONS. RICARDO BLAZQUEZ, ALL’APERTURA DEI LAVORI A MADRID

DELLA PLENARIA DEI VESCOVI

 

MADRID. = La Chiesa cattolica è pronta ad agire per la pace nei Paesi baschi: lo ha detto ieri il presidente della Conferenza episcopale spagnola, Ricardo Blazquez, in apertura, a Madrid, dei lavori dell’Assemblea plenaria dei vescovi. Il presule, riferendosi alla tregua permanente dichiarata dall’ETA, ha affermato che l’annuncio “ha suscitato una moltitudine di sentimenti: sollievo, gioia, prudenza, precauzione, responsabilità, e soprattutto speranza” e che, secondo le sue possibilità, la Chiesa intende contribuire al processo di pace. “Dato che i tentativi compiuti nel passato non hanno ottenuto lo scopo desiderato della scomparsa della violenza terrorista e della stessa organizzazione – ha sottolineato mons. Bazquez – rinasce ora in noi a speranza”. Titolare della diocesi di Bilbao il presule nel suo discorso ha dedicato un capitolo specifico alla nuova situazione determinatasi nel Paese con la tregua dell’ETA e ha inoltre precisato che “l’unità di tutti i governanti e i rappresentanti politici, la collaborazione della società, il lavoro paziente, lo sguardo rivolto verso obiettivi alti, e la speranza che sostiene nel cammino, nonostante gli ostacoli, sono una buona garanzia per raggiungere la meta di una pace completa”. (T.C.)

 

 

STATI UNITI: I VESCOVI SI MOBILITANO CONTRO LA NUOVA LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE ALL’ESAME DEL SENATO. LA NORMATIVA PREVEDE PARTICOLARI RESTRIZIONI

E LA COSTRUZIONE DI UN MURO LUNGO LA FRONTIERA TRA MESSICO E USA

 

NEW YORK. = Vescovi e leader di varie confessioni religiose si mobilitano per chiedere una riforma più equa, umana e organica sull’immigrazione negli Stati Uniti. Da mesi – riferisce l’agenzia CNS – si è aperto infatti un ampio dibattito su un testo di legge, già approvato dalla Camera dei Rappresentanti ed ora all’esame del Senato, che introduce norme particolarmente restrittive, trasformando l’immigrazione illegale in un reato penale ed introducendo pene anche per i cittadini che assistono i clandestini. Tra le disposizioni più controverse, figura anche la costruzione di un muro anti-immigrati lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Non poche le critiche e le preoccupazioni, a tal proposito, anche da parte dei vescovi latino-americani. Preoccupazioni condivise dai vescovi statunitensi. Il cardinale Edward M. Egan ha chiesto nei giorni scorsi a due senatori dello Stato di New York, Charles E. Schumer e Hillary Rodham Clinton, di opporsi alla nuova normativa che di fatto criminalizza i clandestini e le organizzazioni caritative che li assistono, e di appoggiare piuttosto misure che tutelino meglio i diritti e la dignità umana degli immigrati. Dello stesso tenore l’intervento dell’arcivescovo di Philadelphia, il cardinale Justin Rigali, che in una petizione, sottoscritta anche protestanti, ebrei e musulmani, ha chiesto un approccio più umano e organico al problema. E un appello ad una riforma che tuteli la dignità umana degli immigrati e promuova il bene comune è stato diffuso nei giorni scorsi anche dai vescovi della California. Nella dichiarazione, i presuli chiedono uno sforzo bipartisan “per creare un nuovo sistema migratorio che rispetti la nostra comune umanità”. (T.C.)

 

 

ONU: A SESSANT’ANNI DI ATTIVITÀ LA COMMISSIONE PER I DIRITTI UMANI

VIENE SOSTITUITA DA UN NUOVO ORGANISMO, IL CONSIGLIO PER I DIRITTI UMANI.

LA PRIMA SESSIONE DI LAVORI È PREVISTA IL 19 GIUGNO A GINEVRA

 

GINEVRA. = Dopo 60 anni di attività, la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti umani lascia il posto ad un nuovo organismo: il Consiglio dei diritti umani. L’ultima riunione della Commissione, non più considerata in grado di promuovere e difendere i diritti fondamentali dell’uomo, si è svolta ieri. La sessione, che ogni anno in primavera riuniva a Ginevra, per sei settimane, centinaia di delegati e militanti, si è conclusa in poche ore. Scarsi anche gli interventi, rivolti principalmente al futuro del nuovo organismo che sostituirà la commissione. Adesso, l’attenzione è puntata al mese di luglio, quando avverrà l’ufficiale sostituzione della vecchia struttura con la nuova, per la quale sono previsti maggiori poteri. I 47 membri del neo Consiglio saranno eletti dall’Assemblea generale con maggioranza assoluta e potranno essere esclusi nell’eventualità di gravi violazioni nella tutela dei diritti fondamentali. La Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani, nata all’indomani della Seconda Guerra mondiale, ha svolto un lavoro normativo fondamentale. Sua la redazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, sotto la presidenza di Eleonor Roosevelt, vedova del presidente Franklin Roosevelt. Con il passare degli anni, l’organismo ha studiato importanti meccanismi di protezione, primi fra tutti i mandati dei relatori speciali incaricati di indagare sulla situazione dei diritti dell'uomo in determinati Paesi o su tematiche particolari, quali i diritti delle donne, la tortura o la libertà di espressione. Benché criticata e discreditata, la Commissione ONU lascia un’eredità da rispettare e salvaguardare. Si attendono adesso i primi passi del nuovo Consiglio che il 19 giugno, a Ginevra, si riunirà per la sua prima sessione. (S.C)

 

 

CAIRO: ESPONENTI DI VARIE CONFESSIONI E CHIESE CRISTIANE, INSIEME AD IMAM ED ESPERTI, CHIEDONO UNA PRESA DI POSIZIONE DELL’ONU SUL RISPETTO DELLE

RELIGIONI. AI GOVERNI L’INVITO A PROMUOVERE CULTURE CHE RISPETTINO LA FEDE

IL CAIRO. = Rappresentanti di chiese e comunità cristiane, imam ed esperti religiosi chiedono all’ONU di proclamare il rispetto per tutte le fedi ed i loro simboli, la difesa della vita umana ed il sostegno ad iniziative di pace. L’appello giunge dal Cairo dove, in questi giorni, come riferisce l’agenzia Asianews, nella sede dell’università di Al Azhar, il massimo centro della cultura sunnita, i leaders di diverse confessioni si sono incontrati al congresso che ha avuto per tema “Il rapporto della religione con i diritti fondamentali dell’uomo ed il legame con gli obblighi di ognuno”. Particolarmente evidenziata la necessità di garantire a tutti il diritto alla libertà religiosa. L’incontro è stato presieduto dal grande imam di Al Azhar, Mouhamad Sayyed El Tantawi, e vi hanno preso parte 15 delegazioni di tutte le confessioni religiose del Medio Oriente, dai copti ai maroniti, dai protestanti agli anglicani, dai greco-melkiti, ai siriaci, agli armeni. Il segretario generale del Congresso, il siriano Gerges Saleh, ha sottolineato “l’unanimità dei partecipanti ed il loro pieno appoggio a qualsiasi  iniziativa che mira a proteggere la presenza di tutte le comunità religiose nel Medio Oriente, senza discriminazioni e senza pressioni”. Ha confermato inoltre le notizie diffuse giorni fa, sulla volontà reciproca dei cristiani e dei musulmani di continuare a combattere tutte le forme di “razzismo religioso ed etnico”. Il comunicato finale del convegno, reso pubblico oggi, ribadisce la piena fede dei partecipanti nella vita umana come “dono di Dio”, l’appoggio a tutte le iniziative sul diritto ad una vita degna ed al guadagno lecito, il diritto di ognuno ad essere protetto ed educato sui propri diritti e doveri. Il documento poi rivolge un invito ai governi a promuovere una cultura basata sul rispetto della fede, chiedendo alle Nazioni Unite di proteggere e difendere i diritti delle minoranze etniche e religiose. Inoltre, proclama il diritto dei popoli alla resistenza contro l’occupazione militare e ideologica. (T.C.)

 

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24 ORE NEL MONDO

28 marzo 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

             

Elezioni in Ucraina: i risultati parziali resi noti dalla Commissione elettorale centrale, con quasi due terzi delle schede scrutinate, attribuiscono la vittoria al partito dell’ex premier filorusso Yanukovich, con oltre il 30 per cento dei voti. Le formazioni filo-occidentali sono nettamente distanziate: lo schieramento di Julia Timoshenko ha ottenuto, finora, circa il 22 per cento dei consensi e il partito del presidente Yushenko ha conquistato poco più del 15 per cento delle preferenze. Il capo di Stato ucraino ha annunciato, intanto, l’intenzione di avviare consultazioni con tutti i partiti per dare vita ad un nuovo governo. Il servizio di Giuseppe D’Amato:

 

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Col passare delle ore, aumenta la tensione per i risultati conclusivi delle parlamentari di domenica. La Commissione elettorale ha comunicato che lo spoglio ha di poco superato il 70 per cento delle schede, ma vi sono seggi elettorali che sono ancora molto indietro. L’arrivo è al fotofinish e bisognerà contare fino all’ultimo voto. Alcuni partiti potrebbero superare la barriera del 3 per cento per una manciata di preferenze e diventare cruciali nel gioco contrapposto delle alleanze.  Il presidente Yushenko, grande sconfitto delle parlamentari, ha preso l’iniziativa incontrando per consultazioni tutti i principali leader delle formazioni sicure di essere rappresentate nella futura Rada. Non si registrano commenti, ma solo impegni per garantire un futuro stabile al Paese slavo. Ufficialmente, il capo dello Stato ha dato mandato al premier uscente Ekhanurov di organizzare colloqui per ricreare una coalizione arancione con la Timoshenko e con i socialisti. In realtà, dietro le quinte, non viene disdegnata nemmeno la possibilità di mettere in piedi una Grosse Koalition con gli arci-rivali filo-russi, ma con Yanukovich sostituito dall’oligarca Akhmetov. Il mondo imprenditoriale preme per questa soluzione. Si attende la conferma delle urne. Solo a conclusione dello spoglio, infatti, ci si renderà conto della distribuzione dei seggi. Numerosi analisti parlano di futuro instabile e di possibili nuove elezioni anticipate entro sei mesi.

 

Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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Scioperi e manifestazioni in tutta la Francia contro la norma sui contratti di primo impiego, varata dal governo. Ma il premier, Dominique De Villepin, ha già ribadito di non voler abrogare la legge. Per contestare contro questo provvedimento, incrociano le braccia i lavoratori dei trasporti, degli uffici pubblici e delle banche. Il quotidiano “Le Monde” ha rivelato, intanto, che i cinque principali sindacati francesi non parteciperanno, domani, ai negoziati con il governo. Gli studenti hanno fissato, inoltre, uno sciopero generale, per il 4 aprile, se la legge non sarà ritirata. Il contratto di primo impiego prevede - nei primi due anni - il licenziamento, senza giusta causa, dei giovani con meno di 26 anni.

 

In Pakistan, almeno 26 persone sono rimaste uccise in sanguinosi scontri scoppiati tra formazioni filotalebane rivali nella regione tribale di Khyber, al confine con l’Afghanistan. L’ambasciata americana ad Islamabad ha reso noto, intanto, che il consolato statunitense di Peshawar è stato temporaneamente chiuso in seguito ad una minaccia “precisa e credibile”.

 

In Afghanistan, una bomba esplosa in anticipo ha causato la morte di due kamikaze che si preparavano a compiere un attentato suicida a Kandahar. “Una delle loro bombe è esplosa per un errore tecnico”, ha detto il capo della polizia della provincia afghana. Secondo gli inquirenti le vittime erano ribelli talebani o militanti di Al Qaeda.

 

In Iraq, il tribunale centrale penale ha emesso un’altra condanna a morte per terrorismo, in un processo contro cinque membri di una cellula accusata di numerosi attacchi contro forze di sicurezza governative e  civili. Dal passaggio dei poteri dalle forze americane al disciolto governo dell’ex premier ad interim Iyad Allawi, nel giugno del 2004, le condanne a morte, emesse nel Paese arabo, sono state 138. Le esecuzioni sono state 21.

 

L’11 settembre del 2001 un quinto aereo avrebbe dovuto colpire la Casa Bianca. Lo ha rivelato, ieri, il terrorista di origini marocchine, Zacarias Moussaoui arrestato nell’agosto del 2001 e accusato di non aver fornito informazioni in grado di impedire gli attacchi dell’11 settembre. Zacarias Moussaoui ha anche aggiunto di aver ricevuto l’ordine dal capo di Al Qaeda, Osama Bin Laden.

 

L’Iran ha proposto la creazione di un “centro internazionale” per la fabbricazione di combustibile nucleare sul suo territorio. Lo ha reso noto l’ambasciata della Repubblica islamica a Mosca dopo la richiesta avanzata dal ministro della Difesa russo, Serghei Ivanov, di “una risposta inequivocabile” alla proposta russa di un compromesso per l’arricchimento dell’uranio. Il ministro degli Esteri britannico ha annunciato, intanto, che la complessa questione nucleare iraniana sarà affrontata giovedì prossimo a Berlino in una riunione tra i ministri degli Esteri della Germania e dei cinque membri permanenti dell’ONU (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina).

 

Importante accordo tra Russia e Tajikistan: il numero uno della società russa Gazprom, Aleksei Miller, ha reso noto che i governi di Mosca e Dushanbe hanno concordato la creazione di una joint venture per sviluppare i giacimenti di gas.

 

Il governo sudanese non vuole che nella martoriata regione sudanese del Darfur siano dislocati i caschi blu delle Nazioni Unite. Lo ha ribadito il presidente del Sudan, Omar Al-Beshir, nel corso del vertice della Lega Araba, apertosi oggi a Karthoum. Nel suo discorso di inaugurazione, il presidente algerino Abdel Aziz Bouteflika ha invocato profonde riforme “per preservare l’indipendenza delle decisioni collettive”, sottolineando la necessità di una “maggiore concertazione sugli affari di interesse nazionale”. Tra i temi al centro dell’incontro figurano, poi, la complessa questione israelo-palestinese e la difficile situazione irachena. Il vertice ha fatto registrare alcune defezioni importanti, come quelle del presidente egiziano, Hosni Mubarak, e del re di Giordania, Abdallah II.

 

Sembra sia scomparso nel nulla l’ex presidente della Liberia, Charles Taylor, accusato di crimini di guerra in Sierra Leone negli anni dal 1991 al 2001. Esiliato in Nigeria, l’ex dittatore su richiesta della procura delle Nazioni Unite doveva essere estradato in Liberia per essere poi giudicato dal Tribunale speciale delle Nazioni Unite della Sierra Leone.

 

Cambio al vertice per il ministero dell’Economia in Brasile: Guido Mantega, un economista di 56 anni originario di Genova, ha sostituito Antonio Palocci, coinvolto in un grave scandalo legato a tangenti e corruzione. Il governo del presidente Lula da Silva è coinvolto in una seconda grave crisi. Meno di un anno fa, si registravano infatti le dimissioni del numero due dell’esecutivo, José Dirceu, anche lui accusato di corruzione.

 

 

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