RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 86- Testo della trasmissione di lunedì 27 marzo 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Al via oggi, fino al 31 marzo, l’86.ma
Assemblea plenaria della Conferenza episcopale spagnola
Nel 2005, sono stati 117 i difensori dei diritti
umani uccisi nel mondo, di cui 47 solo in Colombia
In
vigore da ieri, nello Stato indiano del Rajasthan,
una legge anti-conversione
Firmato lo statuto del Forum
delle religioni di Milano “strumento di dialogo, pace e solidarietà”
In Ucraina, i
risultati parziali delle elezioni vedono il partito filo russo di Yanucovic che stacca quello del presidente Yushenko. Il voto deciderà la composizione del nuovo Parlamento
27
marzo 2006
GLI
INCONTRI TRA IL PAPA E IL COLLEGIO CARDINALIZIO,
UN’OCCASIONE
PRIVILEGIATA
PER
MEGLIO SERVIRE LA CHIESA: LO HA DETTO BENEDETTO XVI ALL’UDIENZA
CONCESSA
AI NUOVI CARDINALI E ALLE LORO FAMIGLIE
Sorrisi e
acclamazioni e un lunga parentesi dedicata al saluto
personale dei cardinali e di molti dei loro parenti. A tre giorni dal suo primo
Concistoro ordinario pubblico, durante il quale aveva consegnato la berretta
cardinalizia a 15 nuovi presuli, Benedetto XVI è tornato questa mattina ad
incontrare i nuovi porporati e i rispettivi familiari, nell’Aula Paolo VI. I
particolari dell’udienza nel servizio di Alessandro De Carolis.
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Un incontro tra amici, circondati dall’effetto dei
familiari, dopo i giorni straordinari dell’elevazione alla dignità
cardinalizia, ma anche un momento per ribadire l’importanza della
collaborazione del Collegio cardinalizio con il Papa, sulla scorta di quanto
avvenuto nel raduno delle porpore del 23 marzo scorso, il
giorno prima del Concistoro. Un tema importante, dunque, rilanciato in
un’udienza dall’atmosfera particolarmente distesa e incline alla festa, come
quella svoltasi in un’Aula Paolo VI gremita, nella quale Benedetto XVI ha
salutato i nuovi porporati, ciascuno accompagnato da un nutrito gruppo di parenti,
amici e fedeli delle diocesi di provenienza. Presenza, la loro, che – ha
osservato il Pontefice nel suo discorso – “è anche una visibile manifestazione
della comunione feconda di bene che anima la Chiesa”.
Benedetto XVI si è rivolto ai nuovi cardinali nella loro
lingua d’origine con parole di stima, tra i frequenti applausi dell’Aula. A
pochi giorni ormai dal primo anniversario della scomparsa di Papa Wojtyla, il
Papa ha avuto, tra gli altri, un ringraziamento particolare per il cardinale
arcivescovo di Cravovia, Stanislaw
Dziwisz:
“RAZEM Z WAMI WYRAŻAM NOWEMU
KARDYNAŁOWI…
Insieme a voi esprimo al neocardinale la gratitudine per tutti gli
anni passati a fianco di Giovanni Paolo II e per tutto ciò che questo servizio
ha portato per la Chiesa universale. Prego affinché il suo futuro ministero sia
ugualmente fruttuoso”.
E un apprezzamento speciale è andato anche al neo
cardinale sloveno, Franc Rodé,
oggi al servizio della Santa Sede, ma per molti anni a capo dell’arcidiocesi di
Ljubljana:
“V VESELJE MI JE DEJSTVO, DA TUDI CERKEV…
Mi è gradito
costatare che anche la Chiesa in Slovenia offre il suo contributo alla missione
della Sede Apostolica, nella persona del neoeletto cardinale. Il suo incarico
di Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le
Società di Vita Apostolica è di grande importanza. Continuate ad accompagnarlo
in questo suo servizio con la preghiera, affinché la Chiesa possa progredire
sempre meglio nel cammino della santità”.
Prima della benedizione
apostolica, Benedetto XVI, tornando alla lingua italiana, ha voluto concludere
con un nuovo attestato di gratitudine verso i nuovi porporati e una promessa:
“Cari fratelli, grazie ancora per questa vostra visita! Nel rinnovare
a voi, signori cardinali, il mio fraterno saluto, desidero assicurarvi che continuerò
ad accompagnarvi con la preghiera. So, da parte mia, di poter contare sempre
sulla vostra collaborazione, della quale sento di avere bisogno. Gli incontri
dell’intero Collegio Cardinalizio con il Successore di Pietro, come è avvenuto
anche giovedì scorso, continueranno ad essere occasioni privilegiate per
cercare insieme di servire meglio la Chiesa, da Cristo affidata alle nostre
cure”.
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NEL
DIFENDERE LA LIBERTA’ RELIGIOSA, LA CHIESA DIFENDE L’UOMO:
COSI’,
IL PROFESSOR ANDREA RICCARDI, FONDATORE DELLA COMUNITA’
DI SANT’EGIDIO, COMMENTA LE PAROLE DI BENEDETTO XVI, IERI
ALL’ANGELUS,
SUI
CRISTIANI PERSEGUITATI A CAUSA DELLA LORO FEDE
Mai
dimenticare quei cristiani che ancora oggi soffrono persecuzioni a causa della
loro fede. Le parole di Benedetto XVI all’Angelus di ieri hanno destato
particolare emozione. Il Papa si è rivolto “a quelle comunità che vivono nei
Paesi dove la libertà religiosa manca o, nonostante la sua affermazione sulla
carta, subisce di fatto molteplici restrizioni”. Il Pontefice ha anche esortato
tutti i fedeli a non essere indifferenti, ma piuttosto a sentirsi vicini a
quelle comunità cristiane che “versano in condizioni di più grande difficoltà e
sofferenza”. Un passaggio, questo, sul quale si sofferma il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio,
intervistato da Alessandro Gisotti:
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R. - Io credo che questo faccia
parte dell’egocentrismo in cui noi viviamo. E’ strano perché in un mondo globalizzato ci sono più possibilità di sapere, più possibilità di essere vicini, più possibilità di aiutare.
Credo che la teologia di San Paolo dovrebbe diventare spiritualità vissuta del
popolo cristiano cioè soffrire con le membra che soffrono. Penso ai cristiani
in tante parti del mondo, difficili per la persecuzione, per mancanza di
libertà, difficili per la povertà. Queste realtà devono essere presenti anche
ai cristiani ricchi del mondo occidentale ai quali si deve ricordare che noi
non abbiamo sofferto fino al sangue.
D. – Nella dichiarazione conciliare Dignitatis
Humanae si afferma con forza che la libertà
religiosa è un diritto inalienabile della persona umana. Questa conquista
sembra però ancora di là da venire in alcune aree del mondo. In particolare,
dove la maggioranza della popolazione è di fede musulmana. Dunque, cosa fare?
R. – Penso che questo problema della libertà religiosa sia
il grande problema del tempo contemporaneo e penso che sia un punto molto
difficile su cui sia necessario insistere. Oggi noi abbiamo capito che si è
veramente credenti quando si è liberi di essere
credenti, quando si può approfondire la propria fede! Questo è qualcosa che
siamo chiamati anche a comunicare agli altri mondi culturali, agli altri mondi
religiosi, non come un fatto che riguarda solo i cristiani ma come un fatto che
rende il mondo migliore e il mondo più umano. Quando noi difendiamo la libertà
religiosa, noi difendiamo l’uomo, non difendiamo solo l’interesse delle
comunità cristiane.
D. – Il martire cristiano, come da
ultimo insegna don Andrea Santoro, muore per gli altri. Quali frutti
possono nascere dal sacrificio di questi testimoni straordinari dell’amore cristiano?
R. – I martiri cristiani non sono coloro che tolgono la
vita agli altri, ma sono coloro che danno la vita agli altri. E pure essendo vittime
della violenza, la loro morte parla di pace e parla di comprensione. Il martire
si capisce non come una bandiera “contro”, ma il
martire si capisce alla luce dell’Eucaristia cioè del sacrificio, del dono
della vita perché gli altri vivano.
D. – Come lei sa, si parla molto in questo periodo, di
diritto di reciprocità a proposito della libertà religiosa. In alcuni Stati, i
cristiani non possono neanche leggere la Bibbia in pubblico. Come inquadrare
dunque la questione?
R. – Gli Stati hanno dei doveri. Bisognerebbe insistere
sui doveri degli Stati che partecipano alla comunità internazionale. Uno dei
doveri degli Stati è proprio il rispetto della libertà religiosa. Penso che qui
bisogna lavorare molto a diversi livelli di opinione pubblica, di chiese, di
dirigenti politici, per far capire come un Paese che non rispetti la libertà
religiosa dei suoi cittadini, è un Paese profondamente povero. Certo, siamo
ancora lontani da questa presa di coscienza, però i problemi sono posti e non
dobbiamo dimenticarli, non dobbiamo dimenticarli perché magari dobbiamo fare
“affari” con uno Stato o perché è scomodo ricordarli.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - all'Angelus
Benedetto XVI ricorda il sacrificio dei missionari caduti sulle frontiere dell'evangelizzazione
e del servizio all'uomo in diverse parti della terra. La visita di Benedetto
XVI alla parrocchia di Dio Padre Misericordioso di Roma. Bielorussia:
la Presidenza UE condanna le violenze.
Servizio vaticano - l'Udienza
del Papa ai nuovi cardinali creati nel Concistoro con le famiglie. Il cardinale
Levada prende possesso della Diaconia di Santa Maria
in Dominica. Il cardinale Sepe
ordina otto nuovi presbiteri del Pontificio Collegio Urbano nella Basilica
Vaticana.
Servizio estero - Iraq:
un'autobomba provoca una strage in un centro reclutamento a Mossul.
Un ricordo dell'arcivescovo Romero a 26 anni
dall'uccisione a El Salvador.
Servizio culturale - presentato
a Parigi il 500° volume delle "Sources chrétiennes".
Servizio italiano - i temi
delle elezioni e del fisco.
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27
marzo 2006
PROSSIMA CAUSA DI BEATIFICAZIONE PER I DIECI
TRAPPISTI RAPITI, 10 ANNI FA,
IN ALGERIA DAI TERRORISTI ISLAMICI E
SUCCESSIVAMENTE ASSASSINATI
- Intervista con suor Augusta Tescari
-
Dieci
anni fa a Tibhirine, in Algeria, venivano
rapiti sette monaci trappisti. Barbaramente decapitati due mesi dopo, oggi
fanno parte del gruppo dei 19 religiosi e laici, vittime
del fondamentalismo islamico, per i quali si sta avviando la fase diocesana della
Causa di beatificazione. I religiosi trappisti avevano scelto di restare in
Algeria nonostante gli anni difficili del terrorismo, fedeli al messaggio
evangelico, hanno persino perdonato, nel loro testamento
spirituale, i loro assassini. Ascoltiamo la monaca trappista suor Augusta Tescari, che sta raccogliendo testimonianze sui confratelli
per il processo dei martiri dell’Algeria:
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R. - Vivevo ancora l’impressione
di 10 anni fa quando eravamo veramente sotto shock
aspettando di giorno in giorno la sospirata liberazione che non è avvenuta. E’
stato qualcosa che ci ha fatto approfondire, prendere coscienza della nostra
vocazione cristiana, battesimale. Il battesimo è un’immersione nella morte di
Cristo e questi nostri fratelli hanno dato
praticamente la vita per amore, per fedeltà ad un popolo diverso.
D. – Tutto quello che è successo
in Algeria vi ha provocato delle paure?
R. – No, direi di no, paure no,
perché? E’ nella linea normale del cristianesimo: è quello che ha fatto Gesù
per noi. Certo, non tutti possono vivere in un
ambiente così diverso. La nostra vocazione monastica contemplativa non esige di
farci ammazzare così, in posti dove il rischio della vita è più forte. Però, la
vita cristiana è un combattimento, è un dare la vita per amore, sempre, in ogni
caso, in ogni modo.
D. – Che cosa caratterizzava la
comunità di Nostra Signora dell’Atlante?
R. – Diversi frati c’erano e
tutti di temperamento molto forte, tutti accomunati da un intenso amore per
l’Algeria, per la vita semplice, per la povertà. Erano molto vicini alla gente
del posto: avevano ceduto una grandissima parte della loro proprietà allo Stato
e avevano fatto una piccola cooperativa con quattro padri di famiglia e
lavoravano l’orto lì insieme e poi vendevano i prodotti. Avevano fondato un
gruppo di dialogo islamocristiano; due volte all’anno si riunivano soprattutto religiosi, cristiani ed
anche dei membri di una confraternita Sufi di Medea,
leggevano dei testi delle due tradizioni, pregavano soprattutto in silenzio e
poi stabilivano una parola di vita presa da una tradizione e dall’altra che
sarebbe servita come guida nei sei mesi successivi. Praticamente un cammino di
conversione personale.
D. – E la gente di Tibhirine come ha vissuto il rapimento dei monaci trappisti
e la loro morte?
R. - Con molta sofferenza perché
la gente voleva bene ai fratelli. Si era creata una comunione di amicizia sul
piano umano.
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LE PROSPETTIVE IN SERBIA DOPO LA MORTE DI MILOSEVIC
- Intervista con il nunzio a Belgrado, l’arcivescovo
Eugenio Sbarbaro -
Un ricordo silenzioso, con riti religiosi e commemorazioni
pubbliche dei vertici politici attuali del Paese, ha segnato venerdì scorso in
Serbia il settimo anniversario dell'inizio dei bombardamenti NATO del 1999.
Un’operazione tesa a fermare la repressione della popolazione albanese del Kosovo da parte delle forze militari di Slobodan
Milosevic. Delle prospettive per il popolo serbo dopo
la morte dell’ex presidente jugoslavo, avvenuta l’11 marzo scorso, parla il nunzio apostolico a
Belgrado, l’arcivescovo Eugenio Sbarbaro,
intervistato da Giovanni Bove:
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R. – Per adesso c’è stata una
reazione emotiva da parte di quelli che naturalmente seguivano la sua dottrina,
politicamente, in un modo o nell’altro. Però, dal punto di vista pratico, non
ha avuto quel grande impatto sulla società di Belgrado che tanti temevano.
Invece, quello che si aspetta adesso sarà l’impatto politico, cioè cosa farà il
suo partito, perché prima il partito dei socialisti cercava di aderire e di
attendere le risposte dal defunto Milosevic. Adesso
ci si chiede come sarà questo partito, che strada prenderà… Ecco, si dovrà attendere
questa situazione.
D. – Parliamo dei rapporti con
la Chiesa ortodossa. A che punto sono?
R. – Siamo in una stagione di
profonda ripresa del dialogo, sia a livello locale che a livello universale, di
Santa Sede. A livello locale, c’è stato l’incontro tra Santo Sinodo ortodosso e
Conferenza episcopale: incontro che adesso viene
istituzionalizzato e si svolgerà ogni anno. Poi, i grandi incontri che hanno
segnato in modo profondo il dialogo: il primo è avvenuto tre anni fa con
Giovanni Paolo II e da quell’incontro sono emerse varie iniziative. Quindi,
un’altra iniziativa che è venuta, che si è attuata proprio in questi giorni,
che è molto importante, unica nel mondo ortodosso, è lo scambio di professori e
di insegnanti tra la facoltà teologica ortodossa di Belgrado e la Pontificia
Università Lateranense. Sono andati a Roma due vescovi ortodossi a insegnare al
Laterano e questo sarà un altro grosso passo avanti nel dialogo tra le due Chiese.
D. – A questo punto è d’obbligo
una domanda, Giovanni Paolo II non è riuscito a venire in Serbia: Benedetto XVI
verrà?
R. – Tutti ce
l’auguriamo. Tanti ortodossi anche se l’augurano. Bisogna che maturino i
tempi, il Papa quando va in una nazione va per unire
quella nazione, non per dividerla. Se
questo non è possibile è meglio non affrettare i tempi. Se il Papa viene qui,
deve venire per aiutare questa nazione a riunirsi perché è ancora profondamente
disunita.
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A ROMA, IL PRIMO SUMMIT “SULL’EMERGENZA MINE
ANTIUOMO”,
UN PROBLEMA GRAVISSIMO PER 84 NAZIONI E 300 MILA
PERSONE AL MONDO
- Intervista con Fabio Mini e Giuseppe Schivello -
Creare un tavolo di lavoro permanente,
come punto di riferimento a livello internazionale, sullo spinoso problema
delle mine antiuomo e degli ordigni inesplosi: è l’obiettivo del primo Summit
“Sull’emergenza mine antiuomo” che si è svolto in questi giorni a Roma, promosso
dall’organizzazione non governativa Peace Generation Onlus. Il servizio di Marina Tomarro.
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Sono
300 mila le persone che nel mondo a causa di una mina inesplosa hanno subito
mutilazioni, e 84 sono i Paesi che risultano ancora minati, primi fra tutti l’Afghanistan e la Cambogia, e poi la Bosnia,
l’Angola, la Thailandia, e molti altri ancora.
Nel Summit organizzato dalla ONG Peace
Generation si è cercato di avviare un processo di sensibilizzazione verso un
fenomeno che blocca ogni possibilità di ritorno alla vita normale per le popolazione delle aree post-conflitto. Fabio Mini, ex
comandante del contingente NATO in Kosovo:
“Tutti i posti in cui c’è stato
un conflitto - sia internazionale, sia nazionale, intraetnico
o comunque un conflitto qualsiasi - sono minati o comunque tappezzati di questi
ordigni inesplosi, che continuano ad essere dei grandi problemi soprattutto
perché impediscono lo sviluppo successivo”.
E tra le vittime delle mine
antiuomo, moltissimi sono bambini. Ascoltiamo ancora Fabio Mini:
“Le vittime sono sia le persone
che hanno a che fare con la sicurezza, perché ovviamente sono loro che sono più
presenti nelle zone pericolose, ma soprattutto sono quelle che sono ignare del
pericolo e tra queste ovviamente ci sono i bambini. Ci sono quelle che, oltre
al fatto di non sapere che certe cose sono pericolose, sono affascinati da
queste cose perché, paradossalmente, gli ordigni esercitano una specie di
attrazione fatale: sollecitano la curiosità, sono diversi, strani da vedere. Il fatto di essere ignari, di non essere consapevoli del
pericolo, è uno dei grandi pericoli che cambiano un fenomeno che già è
distruttivo per conto suo in una tragedia generale”.
Ma quali sono le possibili
soluzioni per aiutare le popolazioni dei Paesi interessati ad arginare questa
terribile tragedia? Giuseppe Schivello direttore
della Campagna Italiana contro le mine:
“Tanto per cominciare possono
essere fatte una serie di segnalazioni e si può dare spazio a dei progetti che procedono con
quelli bonifica, per informare la popolazione del pericolo di mine in alcuni
territori. In seguito, cercare di capire all’interno di questi territori che
sono stati in qualche modo rilevati e segnalati come
minati, quali hanno la priorità per ripristinare un sistema di vita che possa
guardare al futuro per cui dare la priorità a quelle che sono effettivamente le
esigenze della popolazione civile. Spesso si pensa che sminare una grande
strada possa essere importantissimo, però alle volte questo non è sempre
nell’interesse della popolazione. Magari abbiamo industrie che sono lì, o altre
multinazionali che devono avere accesso a delle fonti d’acqua. Cioè bisogna
veramente valutare bene qual è la prospettiva più giusta per la popolazione
civile”.
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“LA PETITE JÉRUSALEM”, FILM VINCITORE DEL 16.MO
FESTIVAL DEL CINEMA AFRICANO, D’ASIA E AMERICA LATINA. LA PELLICOLA INSIGNITA ANCHE
DEL PREMIO SIGNIS
- Intervista con Anna Maria Gallone -
Si è chiusa ieri, a Milano, la
16.ma edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, il
più importante appuntamento italiano dedicato alla produzione cinematografica
del sud del mondo. Vincitore il film La
petite Jérusalem della regista algerina Karim Albou, che ottiene anche il
riconoscimento della giuria del Premio Signis.
Servizio di Luca Pellegrini.
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La grande sorpresa è la vitalità del cinema di
molti Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina che spesso sono
purtroppo associati a ben altre realtà, più dolorose e problematiche. Invece,
merito del Festival che ogni anno vede un pubblico sempre attento e numeroso –
in crescita quello delle comunità straniere – convergere nelle sale, è quello
di rendere la produzione cinematografica un interessante strumento per
affrontare i tanti problemi di carattere sociale, politico, religioso ed umano,
di porli all’attenzione dell’Occidente distratto, di darne spesso una visione
poetica e propositiva. Così, come hanno fatto molte delle belle opere che sono
state insignite dei premi finali, come ci informa Anna Maria Gallone, della direzione
artistica del Festival:
“Sì, devo dire
che quest’anno le giurie hanno lavorato in grande armonia e a partire dal gran
premio del lungometraggio assegnato a “La Petite Jérusalem”, di Karin Albou, una regista di
origine magrebina che ha affrontato il tema delicatissimo
del dogmatismo religioso. La storia di due sorelle ebree che vivono grandi
difficoltà in Francia nei loro rapporti interpersonali. Altro film vincitore
del premio speciale, assegnato quest’anno al miglior film africano, è stato
dato a “Barakat” che significa “basta” ed è una
specie di “Thelma e Luise” algerino: la storia di due donne in una specie di road
movie, cercando di liberare il marito di una delle due che era stato rapito
dai fanatici, imparano anche a conoscerci. Affrontano team generazionali e
soprattutto dimostrano come sia importante il ruolo
delle donne nelle democrazie. Vorrei inoltre citare il premio del pubblico che
è sempre un premio molto importante. Anche questo è nato come un film difficile,
di un regista iraniano che ci parla di una rinuncia raccontata attraverso gli
occhi di uno spazzino: una storia d’amore, di poesia, in mezzo all’immondizie, quella girata dal regista Ahmadi dell’Iran. Poi, ci sarebbero tante altre menzioni da
citare, altri che non ho citato come il film politico di Nassim
Amaouche che ha avuto il primo premio del concorso
documentario “Quelques miettes
pour les oiseaux” di Nassim Amaouche appunto, che
racconta una storia sul confine tra l’Iraq e Giordania, estrema poesia ma anche
estrema denuncia. Devo dire che è un cinema non astratto, fortemente
legato a quelli che sono i grandi problemi del mondo di oggi e ne parla con
grande sensibilità”.
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27
marzo 2006
AL VIA OGGI, FINO AL 31 MARZO, L’86.MA ASSEMBLEA
PLENARIA DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE SPAGNOLA. TRA I TEMI IN AGENDA,
LA NUOVA LEGGE SULLE TECNICHE DI RIPRODUZIONE
ASSISTITA
MADRID. = Sono giorni di intensa
attività per la Conferenza episcopale spagnola (CEE), che da oggi, fino al 31
marzo, è riunita a Madrid per la sua 86.ma Assemblea plenaria. I vescovi della
Spagna riprenderanno la riflessione sulla nuova legge in materia di tecniche di
riproduzione assistita, oggetto della “Nota” emanata lo scorso nove febbraio dal
Consiglio permanente dell’episcopato, dal titolo: “Davanti alla licenza
giuridica per la clonazione di esseri umani e alla protezione negata alla vita
umana nascente”. Dovrà inoltre essere approvato il messaggio per l’Incontro
mondiale delle famiglie, in programma a Valencia dal primo al nove luglio, con
la partecipazione di Benedetto XVI. Tra gli altri documenti da sottoporre
all’attenzione dell’Assemblea, figurano il nuovo piano pastorale della Chiesa
spagnola e la bozza del primo catechismo per l’infanzia, intitolato “Gesù è il
Signore”. L’ordine del giorno include anche la presentazione delle proposte
circa il tema della prossima Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi e la
comunicazione dell’arcivescovo di Pamplona, mons.
Fernando Sebastián Aguilar,
sulle manifestazioni per il V centenario della nascita di San Francesco Saverio.
(R.M.)
CHIUSA CON LA FORZA UNA CHIESA PENTECOSTALE
DOMESTICA IN INDONESIA,
DOVE È PROIBITO L’USO DI CASE PRIVATE PER LE
ATTIVITÀ RELIGIOSE.
“SE LA CHIUDETE – HA DICHIARATO IL PASTORE LOCALE
–
DITEMI DOVE POSSO PREGARE CON I MIEI FEDELI”
BOGOR. =
Ieri, una chiesa pentecostale allestita in una casa privata nella città
indonesiana di Bogor, nel West Java, è stata
costretta a chiudere i battenti, mentre al suo interno si stava celebrando la
Messa alla presenza di numerosi fedeli. L’attacco,
perpetrato da una folla di residenti della città a maggioranza
musulmana, non è stato interrotto dalla
polizia locale. La motivazione del gesto – informa l’agenzia AsiaNews - risiede
nell’assenza del permesso, per la comunità cristiana, di celebrare servizi
religiosi all’interno di un ambiente domestico. Secondo un recente
decreto emanato in Indonesia, i luoghi di culto debbono vantare almeno 90
fedeli e ottenere il beneplacito di almeno 60 persone di altre fedi religiose
che abitano nella zona. Durante un colloquio con
il pastore cristiano che stava celebrando l’Eucaristia al momento dell’attacco,
Fekky Tatulus, la polizia
ha invitato il leader religioso e la sua comunità ad “abbandonare la zona e
lasciar stare ogni forma di attività religiosa”. Il pastore ha
però rifiutato di firmare il documento che le autorità gli presentavano,
con cui si accettavano le richieste della folla. Tatulus
ha spiegato che lui e la sua comunità hanno bisogno di un luogo dove poter
svolgere il servizio domenicale e che la sua chiesa domestica è nata nel 1987,
tre anni prima della promulgazione del Regolamento del West Java sui luoghi di
culto, che impedisce l’uso di case private per le attività religiose. “Per favore
– ha detto poi il pastore alla folla inferocita – ditemi dove 190 cristiani
possono partecipare al servizio domenicale, se mi chiudete con la forza anche
questa casa”. In Indonesia vivono 220 milioni di persone, il 90 per
cento dei quali di religione musulmana. (R.M.)
NEL 2005, SONO STATI 117 I DIFENSORI DEI DIRITTI
UMANI UCCISI NEL MONDO,
DI CUI 47 SOLO IN COLOMBIA: È QUANTO EMERGE DAL
RAPPORTO ANNUALE
DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DEI DIRITTI
DELL’UOMO (FIDH)
E DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE CONTRO LA TORTURA
(OMCT)
- A cura di Roberta Moretti
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PARIGI.
= È la Colombia il Paese in cui, con l’uccisione di 47 attivisti, i
diritti dell’uomo sono stati più calpestati nel 2005: lo documenta il rapporto
annuale della Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo (FIDH) e
dell’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura (OMCT), che denunciano l’intensificarsi della repressione con 1172 casi recensiti
in 90 Paesi. Il rapporto rileva 117 omicidi, 92 casi di tortura e 56 di
aggressione fisica, stimando che “le tecniche repressive si stanno
universalizzando, nella più grande impunità”. “Nel 2005 – si legge nel
documento – i difensori dei diritti dell’uomo hanno dovuto confrontarsi con un
contesto nazionale e internazionale dominato dal moltiplicarsi di misure
eccezionali in nome della lotta anti-terrorismo”. Il rapporto cita inoltre “il fallimento del processo di
transizione democratica in numerosi Paesi; la persistenza di conflitti e gravi
violazioni del diritto internazionale umanitario; la rinascita degli estremismi
religiosi e dell’intolleranza; l’incremento delle ineguaglianze dovute alla
deriva della mondializzazione”. Tra i casi elencati dalle due organizzazioni internazionali,
l’esecuzione di una suora che difendeva i contadini senza terra in Brasile;
l’uccisione di sindacalisti e agricoltori in Colombia; i sequestri e gli
omicidi di osservatori della missione dell’Unione Africana in Darfur, nel Sudan occidentale; la repressione iraniana
contro i ‘cyberdissidenti’ e i ‘blogger’,
che “denota – si legge nel documento – una volontà di
rafforzare il controllo su Internet”.
In Asia, si segnalano poi 120 arresti e 104 detenzioni arbitrarie, in gran
parte in Cina, Iran e Nepal, ma anche nelle Filippine, dove sono stati
accertati 21 casi di omicidio o di tentativi di uccisione. Quanto a Paesi come
la Birmania, la Corea del Nord, il Laos e il Vietnam, “il grado di repressione
è rimasto uguale all’anno precedente” e non esistono
ONG indipendenti per la difesa dei diritti dell’uomo.
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IN VIGORE DA IERI,
NELLO STATO INDIANO DEL RAJASTHAN,
UNA LEGGE ANTI-CONVERSIONE. FINO A
CINQUE ANNI DI RECLUSIONE PER CHI TENTA DI CONVERTIRE TRAMITE FRODE O
MANIPOLAZIONE
JAIPUR. = Il governo del Rajasthan, Stato centro-orientale dell’India, ha approvato
ieri una legge anti-conversione che prevede pene severe “per coloro che portano
avanti attività di conversione tramite frode o manipolazione”. Diversi gruppi
per i diritti umani definiscono il decreto “una norma che cerca di impedire o
limitare la presenza di gruppi di minoranza nel Paese”. “Questa legge – afferma
mons. Oswald Lewis, vescovo
della capitale Jaipur, all’agenzia AsiaNews – va
contro la costituzione e limita le libertà personali. Abbiamo il timore che venga usata contro di noi”. Tale norma permette alle
autorità “l’uso di ogni mezzo per impedire le conversioni” e prevede una pena
che va dai due ai cinque anni di reclusione per i colpevoli. Leggi simili sono
già in vigore nell’Orissa, nel Madhya Pradesh, nel Gujarat e nel Tamil Nadu. In quest’ultimo Stato
il decreto è stato annullato da un’ordinanza statale, che viene però ignorata
in maniera deliberata dalle autorità locali. Nel Rajasthan
i cristiani rappresentano lo 0,11 per cento della popolazione, i musulmani l’8
per cento e gli indù l’89 per cento. (R.M.)
FIRMATO IERI LO STATUTO DEL
FORUM DELLE RELIGIONI DI MILANO (FRM),
“STRUMENTO DI DIALOGO, PACE E SOLIDARIETA’”
MILANO.
= “Permettere una reciproca accoglienza tra le diverse comunità religiose,
facilitare la conoscenza dei fondamenti e delle prassi di ciascuna comunità e
promuovere una cultura di dialogo, di solidarietà e di pace”: con questi
intenti, è stato firmato ieri lo statuto del Forum delle religioni di Milano
(FRM), “strumento di dialogo stabile e permanente nella società”. In un’intervista
all’agenzia MISNA, uno dei promotori del Forum, don Augusto Casolo,
ha spiegato che la firma, con la partecipazione di comunità buddiste, musulmane,
ebree e cristiane, costituisce “l’inizio di un cammino che rimane aperto
all’adesione di altre organizzazioni e comunità religiose”. A questo scopo, il
Forum si propone “di partecipare alle ricorrenze festive di ogni confessione
religiosa”. Riferendosi alle recenti violenze e agli atti terroristici contro
alcune religioni, don Casolo ha sottolineato che il
contributo del Forum consiste nello “smascherare la maliziosa coperta religiosa
assunta purtroppo da certi scopi politici”. “Le organizzazioni religiose
presenti a Milano – ha concluso il sacerdote –intendono promuovere inoltre
rapporti di collaborazione con le autorità civili milanesi e italiane”. (R.M.)
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27 marzo 2006
- A cura di Eugenio Bonanata -
In Ucraina, la commissione elettorale centrale ha reso noto alcuni risultati parziali delle elezioni parlamentari
svoltesi ieri. I dati, riferiti al 10 % delle schede
scrutinate, confermerebbero gli exit pool
che ieri davano in testa il Partito del filo-russo Yanukovic,
nettamente staccato dagli uomini del presidente Yushenko. Intanto, gli osservatori dell'Organizzazione per la Sicurezza e la
cooperazione in Europa (OSCE) hanno giudicato regolare lo svolgimento del voto.
Ce ne parla Giuseppe D’Amato:
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Gli exit-pool segnalano che il “Partito delle regioni” dell’ex premier Ianukovic è nettamente in testa con il 27,31 per cento
delle preferenze. Segue il blocco della cosiddetta “pasionaria”
della rivoluzione arancione, Yulia Timoshenko, con il 22,24. Staccatissimo invece il filo-presidenziale
“Nostra Ucraina” con il 15. Solo altre tre formazioni,
sulle 45 totali presentatesi, avrebbero superato la barriera del 3 per cento
per entrare nella Rada. Saranno loro forse ad essere l’ago della bilancia. Dopo
settimane di tentennamenti, il presidente Iushenko ha
aperto ieri alla Timoshenko. Inizieranno presto colloqui
per la formazione di un governo arancione. Yanukovic
ha invece annunciato che il candidato premier del suo partito sarà l’oligarca
più ricco di Ucraina, Rinata Kmetov. L’ex rivale di Iushenko prevede un ottimo
rapporto con la Russia e sostegno dell’Unione Europea.
Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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Centinaia di persone sono scese in piazza nel nord dell’Afghanistan
per protestare contro la decisione del governo di liberare Abdul
Rahman, il cittadino afghano che
rischia la pena di morte per essersi convertito al cristianesimo. I dimostranti
chiedono che l’uomo venga giudicato secondo la legge
islamica. Ieri la corte suprema di Kabul aveva interrotto il processo per
verificare le capacità mentali dell’uomo, accendendo così le speranze per la
sua salvezza.
Ancora una giornata di orrore in Iraq, dove si contano decine
di vittime. L’attentato più grave è avvenuto a Mosul,
nel nord del Paese, dove un’autobomba esplosa in un centro di reclutamento
della polizia irachena ha fatto almeno trenta morti. Risale invece a ieri il
macabro ritrovamento, a Baquba, di una trentina di
corpi decapitati, vittime della violenza tra sciiti e sunniti. Intanto, gli Stati
Uniti si dichiarano del tutto estranei all’irruzione, la
notte scorsa, nella moschea sciita di Mustafa a Bagdad, dove sono rimasti uccisi almeno 16 membri della
milizia del leader radicale sciita, Moqtada Al Sadr.
In Israele è stata rafforzata la sicurezza, per timori di
possibili attentati palestinesi in vista delle elezioni politiche di domani.
Intanto, il Parlamento palestinese è riunito a Ramallah
per votare la fiducia al governo formato dal movimento estremista di Hamas. Ce ne Parla Eugenio Bonanata:
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Il candidato premier Ismail Haniyeh, presentando al Parlamento palestinese la lista dei
ministri, ha ribadito l’agenda del futuro governo. “Hamas
– ha affermato - è pronto a colloqui con il 'quartetto
di Madrid' per mettere fine al conflitto in Medio
Oriente”. Ma il popolo palestinese ha il diritto di “continuare la lotta” fino
alla costituzione di uno Stato indipendente. In questo quadro Haniyeh ha anche chiesto alla comunità internazionale di
non avviare ritorsioni contro i palestinesi. “Il popolo palestinese non dovrebbe essere
punito – ha detto – per aver scelto democraticamente i propri leader”. Il voto
di fiducia al nuovo governo sembra però slittare almeno a domani, visto il
grande numero di oratori. Sul terreno, alcuni episodi di violenza, condotti
dall’esercito israeliano, hanno caratterizzato la nottata e le prime ore della
giornata nella zona di Gaza. In vista delle elezioni di domani in Israele, lo stato
di allerta e' stato intanto elevato al massimo, nel timore di attentati
palestinesi. Sul piano delle previsioni, tutti i sondaggi confermano il vantaggio
di Kadima, il partito voluto dal vecchio premier
Sharon, oggi guidato da Olmert, capo ad interim del
governo. Ai blocchi di partenza ci sono 31 partiti che si contendono il voto di
cinque milioni di israeliani.
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E’ stata accolta positivamente in tutta l’Africa
occidentale la notizia del mandato di cattura spiccato nei confronti di Charles Taylor, l’ex presidente
liberiano esiliato in Nigeria. Ieri, il procuratore generale dell’ONU ha
chiesto ufficialmente al governo di Abuja di arrestare
Taylor per i crimini commessi in Liberia e Sierra Leone.
Il servizio di Giulio Albanese:
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Dopo aver resistito per lungo tempo alle pressioni
internazionali, il capo dello Stato nigeriano, Obasanjo,
aveva accettato sabato di consegnare al governo di Monrovia
l’ex capo della guerra liberiana in esilio in Nigeria dall’agosto 2003. Taylor è accusato di aver commesso indicibili crimini di
guerra contro l’umanità, durante le guerre civili che nello scorso decennio
hanno insanguinato sia la Liberia che la vicina Sierra Leone. Non è ancora
stata fornita una informazione sulla data né sulle
modalità dell’estradizione dell’ex leader liberiano, che aveva accettato
l’esilio nel 2003, nell’ambito di un accordo di pace stipulato per porre fine
alla guerra civile durata oltre 14 anni e che in Liberia ha causato oltre 250
mila morti.
Per la Radio vaticana, Giulio Albanese.
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In Africa, nella Repubblica democratica di São Tomé e Principe si sono svolte
senza disordini le elezioni legislative di ieri per circa 79 mila elettori. Su
dieci partiti, sono tre i potenziali aspiranti al futuro governo della ex
colonia portoghese: il Movimento di Liberazione di Sao
Tome' e
Principe, ora al potere, il Movimento Democratico delle Forze per il cambiamento,
cui appartiene il presidente della Repubblica in carica, e l’Azione democratica
indipendente. La campagna elettorale è stata incentrata sul petrolio e sulle altre
risorse energetiche di cui è ricco il Paese.
Liberati in Nigeria i tre lavoratori sequestrati cinque
settimane fa. Il rilascio dei tre, due americani e un
britannico, impiegati della compagnia petrolifera Shell,
ha fatto nascere la speranza che si sia alla fine della campagna di sabotaggi e
rapimenti che dura da mesi. Il sequestro era stato condotto dai ribelli del Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger, che
da anni si battono per l'assegnazione alle popolazioni locali di una quota più
consistente dei proventi petroliferi.
In Germania, la coalizione di governo tra socialdemocratici
e cristiano-democratici è stata promossa degli elettori alle elezioni regionali
di ieri, svoltesi in Baden Wuerttenberg,
Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt.
Il risultato favorevole del voto potrebbe dare ai due partiti una maggioranza
qualificata dei due terzi nel Bundestrat, la Camera
dei rappresentanti regionali, che faciliterebbe così la strada alle numerose
riforme avviate dal governo tedesco.
“Rinunciate a destabilizzare la Bielorussia”. Questo il provocatorio invito che il regime bielorusso rivolge all’Occidente. Ieri, il presidente
dell’ex Repubblica sovietica, Lukashenko, ha
affermato alla tv russa NTV che la repressione dei dissidenti “ha rovinato i
piani di espansione” degli europei. In questo quadro, Minsk
rinnova la sua vicinanza a Mosca. Intanto, si è appreso che il numero due della
rivolta, Kouzolin, è recluso nel carcere della
capitale con l’accusa di “incitamento alla rivolta”.
Almeno sette detenuti sono morti e altre diciannove
persone sono rimaste ferite in Georgia a causa degli scontri tra prigionieri e
forze speciali della polizia, in una rivolta scoppiata all'interno del penitenziario
di Tbilisi. Lo ha reso noto la televisione, anche se
ufficialmente non ci sono informazioni sulle vittime.
Nove morti e oltre venti feriti. Questo il bilancio dell’esplosione
di una bomba avvenuta in un negozio a Jolo, nelle
Filippine meridionali, teatro da anni della lotta separatista condotta dagli
integralisti islamici. Al momento, non sono giunte rivendicazioni, tuttavia la
polizia sospetta il coinvolgimento di Abu Sayyaf, un movimento fondamentalista
musulmano, legato a Al Qaeda e responsabile di numerosi
rapimenti.
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