RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L n. 86- Testo della trasmissione di lunedì 27 marzo 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Gli incontri tra il Papa e il Collegio cardinalizio, un’occasione privilegiata per meglio servire la Chiesa: lo ha detto Benedetto XVI all’udienza concessa ai nuovi porporati e alle loro famiglie

 

Nel difendere la libertà religiosa, la Chiesa difende l’uomo: il commento di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, all’Angelus di ieri di Benedetto XVI

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Dieci anni fa, il rapimento dei dieci monaci trappisti in Algeria, poi assassinati dal fondamentalismo islamico. Presto, per loro, l’avvio della Causa di beatificazione

 

Le prospettive in Serbia dopo la morte di Milosevic: intervista con il nunzio apostolico di Belgrado, l’arcivescovo Eugenio Sbarbaro

 

A Roma, primo summit “Sull’emergenza mine antiuomo”, un problema gravissimo per 84 nazioni e 300 mila persone al mondo: con noi Fabio Mini e Giuseppe Schivello

 

Il film “Le petite Jérusalem” vincitore della 16.mo festival del Cinema africano, d’Asia e America Latina: ce ne parla Anna Maria Gallone

 

CHIESA E SOCIETA’:

Al via oggi, fino al 31 marzo, l’86.ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale spagnola

 

Chiusa con la forza una Chiesa pentecostale domestica in Indonesia, dove è proibito l’uso di case private per le attività religiose

 

Nel 2005, sono stati 117 i difensori dei diritti umani uccisi nel mondo, di cui 47 solo in Colombia

 

In vigore da ieri, nello Stato indiano del Rajasthan, una legge anti-conversione

 

Firmato lo statuto del Forum delle religioni di Milano “strumento di dialogo, pace e solidarietà”

 

24 ORE NEL MONDO:

In Ucraina, i risultati parziali delle elezioni vedono il partito filo russo di Yanucovic che stacca quello del presidente Yushenko. Il voto deciderà la composizione del nuovo Parlamento

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

27 marzo 2006

 

 

GLI INCONTRI TRA IL PAPA E IL COLLEGIO CARDINALIZIO,

UN’OCCASIONE PRIVILEGIATA

PER MEGLIO SERVIRE LA CHIESA: LO HA DETTO BENEDETTO XVI ALL’UDIENZA

CONCESSA AI NUOVI CARDINALI E ALLE LORO FAMIGLIE

 

         Sorrisi e acclamazioni e un lunga parentesi dedicata al saluto personale dei cardinali e di molti dei loro parenti. A tre giorni dal suo primo Concistoro ordinario pubblico, durante il quale aveva consegnato la berretta cardinalizia a 15 nuovi presuli, Benedetto XVI è tornato questa mattina ad incontrare i nuovi porporati e i rispettivi familiari, nell’Aula Paolo VI. I particolari dell’udienza nel servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Un incontro tra amici, circondati dall’effetto dei familiari, dopo i giorni straordinari dell’elevazione alla dignità cardinalizia, ma anche un momento per ribadire l’importanza della collaborazione del Collegio cardinalizio con il Papa, sulla scorta di quanto avvenuto nel raduno delle porpore del 23 marzo scorso, il giorno prima del Concistoro. Un tema importante, dunque, rilanciato in un’udienza dall’atmosfera particolarmente distesa e incline alla festa, come quella svoltasi in un’Aula Paolo VI gremita, nella quale Benedetto XVI ha salutato i nuovi porporati, ciascuno accompagnato da un nutrito gruppo di parenti, amici e fedeli delle diocesi di provenienza. Presenza, la loro, che – ha osservato il Pontefice nel suo discorso – “è anche una visibile manifestazione della comunione feconda di bene che anima la Chiesa”.

 

Benedetto XVI si è rivolto ai nuovi cardinali nella loro lingua d’origine con parole di stima, tra i frequenti applausi dell’Aula. A pochi giorni ormai dal primo anniversario della scomparsa di Papa Wojtyla, il Papa ha avuto, tra gli altri, un ringraziamento particolare per il cardinale arcivescovo di Cravovia, Stanislaw Dziwisz:

 

RAZEM Z WAMI WYRAŻAM NOWEMU KARDYNAŁOWI…

Insieme a voi esprimo al neocardinale la gratitudine per tutti gli anni passati a fianco di Giovanni Paolo II e per tutto ciò che questo servizio ha portato per la Chiesa universale. Prego affinché il suo futuro ministero sia ugualmente fruttuoso”.

 

E un apprezzamento speciale è andato anche al neo cardinale sloveno, Franc Rodé, oggi al servizio della Santa Sede, ma per molti anni a capo dell’arcidiocesi di Ljubljana:

 

“V VESELJE MI JE DEJSTVO, DA TUDI CERKEV…

Mi è gradito costatare che anche la Chiesa in Slovenia offre il suo contributo alla missione della Sede Apostolica, nella persona del neoeletto cardinale. Il suo incarico di Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica è di grande importanza. Continuate ad accompagnarlo in questo suo servizio con la preghiera, affinché la Chiesa possa progredire sempre meglio nel cammino della santità”.

 

Prima della benedizione apostolica, Benedetto XVI, tornando alla lingua italiana, ha voluto concludere con un nuovo attestato di gratitudine verso i nuovi porporati e una promessa:

 

“Cari fratelli, grazie ancora per questa vostra visita! Nel rinnovare a voi, signori cardinali, il mio fraterno saluto, desidero assicurarvi che continuerò ad accompagnarvi con la preghiera. So, da parte mia, di poter contare sempre sulla vostra collaborazione, della quale sento di avere bisogno. Gli incontri dell’intero Collegio Cardinalizio con il Successore di Pietro, come è avvenuto anche giovedì scorso, continueranno ad essere occasioni privilegiate per cercare insieme di servire meglio la Chiesa, da Cristo affidata alle nostre cure”.

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NEL DIFENDERE LA LIBERTA’ RELIGIOSA, LA CHIESA DIFENDE L’UOMO:

COSI’, IL PROFESSOR ANDREA RICCARDI, FONDATORE DELLA COMUNITA’

DI SANT’EGIDIO, COMMENTA LE PAROLE DI BENEDETTO XVI, IERI ALL’ANGELUS,

SUI CRISTIANI PERSEGUITATI A CAUSA DELLA LORO FEDE

 

Mai dimenticare quei cristiani che ancora oggi soffrono persecuzioni a causa della loro fede. Le parole di Benedetto XVI all’Angelus di ieri hanno destato particolare emozione. Il Papa si è rivolto “a quelle comunità che vivono nei Paesi dove la libertà religiosa manca o, nonostante la sua affermazione sulla carta, subisce di fatto molteplici restrizioni”. Il Pontefice ha anche esortato tutti i fedeli a non essere indifferenti, ma piuttosto a sentirsi vicini a quelle comunità cristiane che “versano in condizioni di più grande difficoltà e sofferenza”. Un passaggio, questo, sul quale si sofferma il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R. - Io credo che questo faccia parte dell’egocentrismo in cui noi viviamo. E’ strano perché in un mondo globalizzato ci sono più possibilità di sapere, più possibilità di essere vicini, più possibilità di aiutare. Credo che la teologia di San Paolo dovrebbe diventare spiritualità vissuta del popolo cristiano cioè soffrire con le membra che soffrono. Penso ai cristiani in tante parti del mondo, difficili per la persecuzione, per mancanza di libertà, difficili per la povertà. Queste realtà devono essere presenti anche ai cristiani ricchi del mondo occidentale ai quali si deve ricordare che noi non abbiamo sofferto fino al sangue.

 

D. – Nella dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae si afferma con forza che la libertà religiosa è un diritto inalienabile della persona umana. Questa conquista sembra però ancora di là da venire in alcune aree del mondo. In particolare, dove la maggioranza della popolazione è di fede musulmana. Dunque, cosa fare?

 

R. – Penso che questo problema della libertà religiosa sia il grande problema del tempo contemporaneo e penso che sia un punto molto difficile su cui sia necessario insistere. Oggi noi abbiamo capito che si è veramente credenti quando si è liberi di essere credenti, quando si può approfondire la propria fede! Questo è qualcosa che siamo chiamati anche a comunicare agli altri mondi culturali, agli altri mondi religiosi, non come un fatto che riguarda solo i cristiani ma come un fatto che rende il mondo migliore e il mondo più umano. Quando noi difendiamo la libertà religiosa, noi difendiamo l’uomo, non difendiamo solo l’interesse delle comunità cristiane.

 

D. – Il martire cristiano, come da ultimo insegna don Andrea Santoro, muore per gli altri. Quali frutti possono nascere dal sacrificio di questi testimoni straordinari dell’amore cristiano?

 

R. – I martiri cristiani non sono coloro che tolgono la vita agli altri, ma sono coloro che danno la vita agli altri. E pure essendo vittime della violenza, la loro morte parla di pace e parla di comprensione. Il martire si capisce non come una bandiera “contro”, ma il martire si capisce alla luce dell’Eucaristia cioè del sacrificio, del dono della vita perché gli altri vivano.

 

D. – Come lei sa, si parla molto in questo periodo, di diritto di reciprocità a proposito della libertà religiosa. In alcuni Stati, i cristiani non possono neanche leggere la Bibbia in pubblico. Come inquadrare dunque la questione?

 

R. – Gli Stati hanno dei doveri. Bisognerebbe insistere sui doveri degli Stati che partecipano alla comunità internazionale. Uno dei doveri degli Stati è proprio il rispetto della libertà religiosa. Penso che qui bisogna lavorare molto a diversi livelli di opinione pubblica, di chiese, di dirigenti politici, per far capire come un Paese che non rispetti la libertà religiosa dei suoi cittadini, è un Paese profondamente povero. Certo, siamo ancora lontani da questa presa di coscienza, però i problemi sono posti e non dobbiamo dimenticarli, non dobbiamo dimenticarli perché magari dobbiamo fare “affari” con uno Stato o perché è scomodo ricordarli.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina - all'Angelus Benedetto XVI ricorda il sacrificio dei missionari caduti sulle frontiere dell'evangelizzazione e del servizio all'uomo in diverse parti della terra. La visita di Benedetto XVI alla parrocchia di Dio Padre Misericordioso di Roma. Bielorussia: la Presidenza UE condanna le violenze.

 

Servizio vaticano - l'Udienza del Papa ai nuovi cardinali creati nel Concistoro con le famiglie. Il cardinale Levada prende possesso della Diaconia di Santa Maria in Dominica. Il cardinale Sepe ordina otto nuovi presbiteri del Pontificio Collegio Urbano nella Basilica Vaticana.

 

Servizio estero - Iraq: un'autobomba provoca una strage in un centro reclutamento a Mossul. Un ricordo dell'arcivescovo Romero a 26 anni dall'uccisione a El Salvador.

 

Servizio culturale - presentato a Parigi il 500° volume delle "Sources chrétiennes".

 

Servizio italiano - i temi delle elezioni e del fisco.

 

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

27 marzo 2006

 

 

PROSSIMA CAUSA DI BEATIFICAZIONE PER I DIECI TRAPPISTI RAPITI, 10 ANNI FA,

IN ALGERIA DAI TERRORISTI ISLAMICI E SUCCESSIVAMENTE ASSASSINATI

- Intervista con suor Augusta Tescari -

 

Dieci anni fa a Tibhirine, in Algeria, venivano rapiti sette monaci trappisti. Barbaramente decapitati due mesi dopo, oggi fanno parte del gruppo dei 19 religiosi e laici, vittime del fondamentalismo islamico, per i quali si sta avviando la fase diocesana della Causa di beatificazione. I religiosi trappisti avevano scelto di restare in Algeria nonostante gli anni difficili del terrorismo, fedeli al messaggio evangelico, hanno persino perdonato, nel loro testamento spirituale, i loro assassini. Ascoltiamo la monaca trappista suor Augusta Tescari, che sta raccogliendo testimonianze sui confratelli per il processo dei martiri dell’Algeria:

 

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R. - Vivevo ancora l’impressione di 10 anni fa quando eravamo veramente sotto shock aspettando di giorno in giorno la sospirata liberazione che non è avvenuta. E’ stato qualcosa che ci ha fatto approfondire, prendere coscienza della nostra vocazione cristiana, battesimale. Il battesimo è un’immersione nella morte di Cristo e questi nostri fratelli hanno dato praticamente la vita per amore, per fedeltà ad un popolo diverso.

 

D. – Tutto quello che è successo in Algeria vi ha provocato delle paure?

 

R. – No, direi di no, paure no, perché? E’ nella linea normale del cristianesimo: è quello che ha fatto Gesù per noi. Certo, non tutti possono vivere in un ambiente così diverso. La nostra vocazione monastica contemplativa non esige di farci ammazzare così, in posti dove il rischio della vita è più forte. Però, la vita cristiana è un combattimento, è un dare la vita per amore, sempre, in ogni caso, in ogni modo.

 

D. – Che cosa caratterizzava la comunità di Nostra Signora dell’Atlante?

 

R. – Diversi frati c’erano e tutti di temperamento molto forte, tutti accomunati da un intenso amore per l’Algeria, per la vita semplice, per la povertà. Erano molto vicini alla gente del posto: avevano ceduto una grandissima parte della loro proprietà allo Stato e avevano fatto una piccola cooperativa con quattro padri di famiglia e lavoravano l’orto lì insieme e poi vendevano i prodotti. Avevano fondato un gruppo di dialogo islamocristiano; due volte all’anno si riunivano soprattutto religiosi, cristiani ed anche dei membri di una confraternita Sufi di Medea, leggevano dei testi delle due tradizioni, pregavano soprattutto in silenzio e poi stabilivano una parola di vita presa da una tradizione e dall’altra che sarebbe servita come guida nei sei mesi successivi. Praticamente un cammino di conversione personale.

 

D. – E la gente di Tibhirine come ha vissuto il rapimento dei monaci trappisti e la loro morte?

 

R. - Con molta sofferenza perché la gente voleva bene ai fratelli. Si era creata una comunione di amicizia sul piano umano.

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LE PROSPETTIVE IN SERBIA DOPO LA MORTE DI MILOSEVIC

- Intervista con il nunzio a Belgrado, l’arcivescovo Eugenio Sbarbaro -

 

Un ricordo silenzioso, con riti religiosi e commemorazioni pubbliche dei vertici politici attuali del Paese, ha segnato venerdì scorso in Serbia il settimo anniversario dell'inizio dei bombardamenti NATO del 1999. Un’operazione tesa a fermare la repressione della popolazione albanese del Kosovo da parte delle forze militari di Slobodan Milosevic. Delle prospettive per il popolo serbo dopo la morte dell’ex presidente jugoslavo, avvenuta l’11 marzo scorso, parla il nunzio apostolico a Belgrado, l’arcivescovo Eugenio Sbarbaro, intervistato da Giovanni Bove:

 

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R. – Per adesso c’è stata una reazione emotiva da parte di quelli che naturalmente seguivano la sua dottrina, politicamente, in un modo o nell’altro. Però, dal punto di vista pratico, non ha avuto quel grande impatto sulla società di Belgrado che tanti temevano. Invece, quello che si aspetta adesso sarà l’impatto politico, cioè cosa farà il suo partito, perché prima il partito dei socialisti cercava di aderire e di attendere le risposte dal defunto Milosevic. Adesso ci si chiede come sarà questo partito, che strada prenderà… Ecco, si dovrà attendere questa situazione.

 

D. – Parliamo dei rapporti con la Chiesa ortodossa. A che punto sono?

 

R. – Siamo in una stagione di profonda ripresa del dialogo, sia a livello locale che a livello universale, di Santa Sede. A livello locale, c’è stato l’incontro tra Santo Sinodo ortodosso e Conferenza episcopale: incontro che adesso viene istituzionalizzato e si svolgerà ogni anno. Poi, i grandi incontri che hanno segnato in modo profondo il dialogo: il primo è avvenuto tre anni fa con Giovanni Paolo II e da quell’incontro sono emerse varie iniziative. Quindi, un’altra iniziativa che è venuta, che si è attuata proprio in questi giorni, che è molto importante, unica nel mondo ortodosso, è lo scambio di professori e di insegnanti tra la facoltà teologica ortodossa di Belgrado e la Pontificia Università Lateranense. Sono andati a Roma due vescovi ortodossi a insegnare al Laterano e questo sarà un altro grosso passo avanti nel dialogo tra le due Chiese.

 

D. – A questo punto è d’obbligo una domanda, Giovanni Paolo II non è riuscito a venire in Serbia: Benedetto XVI verrà?

 

R. – Tutti ce l’auguriamo. Tanti ortodossi anche se l’augurano. Bisogna che maturino i tempi, il Papa quando va in una nazione va per unire quella nazione,  non per dividerla. Se questo non è possibile è meglio non affrettare i tempi.  Se il Papa viene qui, deve venire per aiutare questa nazione a riunirsi perché è ancora profondamente disunita.

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A ROMA, IL PRIMO SUMMIT “SULL’EMERGENZA MINE ANTIUOMO”,

UN PROBLEMA GRAVISSIMO PER 84 NAZIONI E 300 MILA PERSONE AL MONDO

- Intervista con Fabio Mini e Giuseppe Schivello -

 

         Creare un tavolo di lavoro permanente, come punto di riferimento a livello internazionale, sullo spinoso problema delle mine antiuomo e degli ordigni inesplosi: è l’obiettivo del primo Summit “Sull’emergenza mine antiuomo” che si è svolto in questi giorni a Roma, promosso dall’organizzazione non governativa Peace Generation Onlus. Il servizio di Marina Tomarro.

 

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         Sono 300 mila le persone che nel mondo a causa di una mina inesplosa hanno subito mutilazioni, e 84 sono i Paesi che risultano ancora minati, primi fra tutti l’Afghanistan e la Cambogia, e poi la Bosnia, l’Angola, la Thailandia, e molti altri ancora.  Nel Summit organizzato dalla ONG Peace Generation si è cercato di avviare un processo di sensibilizzazione verso un fenomeno che blocca ogni possibilità di ritorno alla vita normale per le popolazione delle aree post-conflitto. Fabio Mini, ex comandante del contingente NATO in Kosovo:

 

“Tutti i posti in cui c’è stato un conflitto - sia internazionale, sia nazionale, intraetnico o comunque un conflitto qualsiasi - sono  minati o comunque tappezzati di questi ordigni inesplosi, che continuano ad essere dei grandi problemi soprattutto perché impediscono lo sviluppo successivo”.

 

E tra le vittime delle mine antiuomo, moltissimi sono bambini. Ascoltiamo ancora Fabio Mini:

 

“Le vittime sono sia le persone che hanno a che fare con la sicurezza, perché ovviamente sono loro che sono più presenti nelle zone pericolose, ma soprattutto sono quelle che sono ignare del pericolo e tra queste ovviamente ci sono i bambini. Ci sono quelle che, oltre al fatto di non sapere che certe cose sono pericolose, sono affascinati da queste cose perché, paradossalmente, gli ordigni esercitano una specie di attrazione fatale: sollecitano la curiosità, sono diversi, strani da vedere. Il fatto di essere ignari, di non essere consapevoli del pericolo, è uno dei grandi pericoli che cambiano un fenomeno che già è distruttivo per conto suo in una tragedia generale”.

 

Ma quali sono le possibili soluzioni per aiutare le popolazioni dei Paesi interessati ad arginare questa terribile tragedia? Giuseppe Schivello direttore della Campagna Italiana contro le mine:

 

“Tanto per cominciare possono essere fatte una serie di segnalazioni e si può dare spazio a dei progetti  che procedono con quelli bonifica, per informare la popolazione del pericolo di mine in alcuni territori. In seguito, cercare di capire all’interno di questi territori che sono stati in qualche modo rilevati e segnalati come minati, quali hanno la priorità per ripristinare un sistema di vita che possa guardare al futuro per cui dare la priorità a quelle che sono effettivamente le esigenze della popolazione civile. Spesso si pensa che sminare una grande strada possa essere importantissimo, però alle volte questo non è sempre nell’interesse della popolazione. Magari abbiamo industrie che sono lì, o altre multinazionali che devono avere accesso a delle fonti d’acqua. Cioè bisogna veramente valutare bene qual è la prospettiva più giusta per la popolazione civile”.

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“LA PETITE JÉRUSALEM”, FILM VINCITORE DEL 16.MO FESTIVAL DEL CINEMA AFRICANO, D’ASIA E AMERICA LATINA. LA PELLICOLA INSIGNITA ANCHE DEL PREMIO SIGNIS

- Intervista con Anna Maria Gallone -

 

Si è chiusa ieri, a Milano, la 16.ma edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, il più importante appuntamento italiano dedicato alla produzione cinematografica del sud del mondo. Vincitore il film La petite Jérusalem della regista algerina Karim Albou, che ottiene anche il riconoscimento della giuria del Premio Signis. Servizio di Luca Pellegrini.

 

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La grande sorpresa è la vitalità del cinema di molti Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina che spesso sono purtroppo associati a ben altre realtà, più dolorose e problematiche. Invece, merito del Festival che ogni anno vede un pubblico sempre attento e numeroso – in crescita quello delle comunità straniere – convergere nelle sale, è quello di rendere la produzione cinematografica un interessante strumento per affrontare i tanti problemi di carattere sociale, politico, religioso ed umano, di porli all’attenzione dell’Occidente distratto, di darne spesso una visione poetica e propositiva. Così, come hanno fatto molte delle belle opere che sono state insignite dei premi finali, come ci informa Anna Maria Gallone, della direzione artistica del Festival:

 

“Sì, devo dire che quest’anno le giurie hanno lavorato in grande armonia e a partire dal gran premio del lungometraggio assegnato a “La Petite Jérusalem”, di Karin Albou, una regista di origine magrebina che ha affrontato il tema delicatissimo del dogmatismo religioso. La storia di due sorelle ebree che vivono grandi difficoltà in Francia nei loro rapporti interpersonali. Altro film vincitore del premio speciale, assegnato quest’anno al miglior film africano, è stato dato a “Barakat” che significa “basta” ed è una specie di “Thelma e Luise” algerino: la storia di due donne in una specie di road movie, cercando di liberare il marito di una delle due che era stato rapito dai fanatici, imparano anche a conoscerci. Affrontano team generazionali e soprattutto dimostrano come sia importante il ruolo delle donne nelle democrazie. Vorrei inoltre citare il premio del pubblico che è sempre un premio molto importante. Anche questo è nato come un film difficile, di un regista iraniano che ci parla di una rinuncia raccontata attraverso gli occhi di uno spazzino: una storia d’amore, di poesia, in mezzo all’immondizie, quella girata dal regista Ahmadi dell’Iran. Poi, ci sarebbero tante altre menzioni da citare, altri che non ho citato come il film politico di Nassim Amaouche che ha avuto il primo premio del concorso documentario “Quelques miettes pour les oiseaux” di Nassim Amaouche appunto, che racconta una storia sul confine tra l’Iraq e Giordania, estrema poesia ma anche estrema denuncia. Devo dire che è un cinema non astratto, fortemente legato a quelli che sono i grandi problemi del mondo di oggi e ne parla con grande sensibilità”.

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CHIESA E SOCIETA’

27 marzo 2006

 

 

AL VIA OGGI, FINO AL 31 MARZO, L’86.MA ASSEMBLEA PLENARIA DELLA CONFERENZA

EPISCOPALE SPAGNOLA. TRA I TEMI IN AGENDA,

LA NUOVA LEGGE SULLE TECNICHE DI RIPRODUZIONE ASSISTITA

 

MADRID. = Sono giorni di intensa attività per la Conferenza episcopale spagnola (CEE), che da oggi, fino al 31 marzo, è riunita a Madrid per la sua 86.ma Assemblea plenaria. I vescovi della Spagna riprenderanno la riflessione sulla nuova legge in materia di tecniche di riproduzione assistita, oggetto della “Nota” emanata lo scorso nove febbraio dal Consiglio permanente dell’episcopato, dal titolo: “Davanti alla licenza giuridica per la clonazione di esseri umani e alla protezione negata alla vita umana nascente”. Dovrà inoltre essere approvato il messaggio per l’Incontro mondiale delle famiglie, in programma a Valencia dal primo al nove luglio, con la partecipazione di Benedetto XVI. Tra gli altri documenti da sottoporre all’attenzione dell’Assemblea, figurano il nuovo piano pastorale della Chiesa spagnola e la bozza del primo catechismo per l’infanzia, intitolato “Gesù è il Signore”. L’ordine del giorno include anche la presentazione delle proposte circa il tema della prossima Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi e la comunicazione dell’arcivescovo di Pamplona, mons. Fernando Sebastián Aguilar, sulle manifestazioni per il V centenario della nascita di San Francesco Saverio. (R.M.)

 

 

 

CHIUSA CON LA FORZA UNA CHIESA PENTECOSTALE DOMESTICA IN INDONESIA,

DOVE È PROIBITO L’USO DI CASE PRIVATE PER LE ATTIVITÀ RELIGIOSE.

“SE LA CHIUDETE – HA DICHIARATO IL PASTORE LOCALE –

DITEMI DOVE POSSO PREGARE CON I MIEI FEDELI”

 

BOGOR. = Ieri, una chiesa pentecostale allestita in una casa privata nella città indonesiana di Bogor, nel West Java, è stata costretta a chiudere i battenti, mentre al suo interno si stava celebrando la Messa alla presenza di numerosi fedeli. L’attacco, perpetrato da una folla di residenti della città a maggioranza musulmana, non è stato interrotto dalla polizia locale. La motivazione del gesto – informa l’agenzia AsiaNews - risiede nell’assenza del permesso, per la comunità cristiana, di celebrare servizi religiosi all’interno di un ambiente domestico. Secondo un recente decreto emanato in Indonesia, i luoghi di culto debbono vantare almeno 90 fedeli e ottenere il beneplacito di almeno 60 persone di altre fedi religiose che abitano nella zona. Durante un colloquio con il pastore cristiano che stava celebrando l’Eucaristia al momento dell’attacco, Fekky Tatulus, la polizia ha invitato il leader religioso e la sua comunità ad “abbandonare la zona e lasciar stare ogni forma di attività religiosa”. Il pastore ha però rifiutato di firmare il documento che le autorità gli presentavano, con cui si accettavano le richieste della folla. Tatulus ha spiegato che lui e la sua comunità hanno bisogno di un luogo dove poter svolgere il servizio domenicale e che la sua chiesa domestica è nata nel 1987, tre anni prima della promulgazione del Regolamento del West Java sui luoghi di culto, che impedisce l’uso di case private per le attività religiose. “Per favore – ha detto poi il pastore alla folla inferocita – ditemi dove 190 cristiani possono partecipare al servizio domenicale, se mi chiudete con la forza anche questa casa”. In Indonesia vivono 220 milioni di persone, il 90 per cento dei quali di religione musulmana. (R.M.)

 

 

NEL 2005, SONO STATI 117 I DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI UCCISI NEL MONDO,

DI CUI 47 SOLO IN COLOMBIA: È QUANTO EMERGE DAL RAPPORTO ANNUALE

DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DEI DIRITTI DELL’UOMO (FIDH)

E DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE CONTRO LA TORTURA (OMCT)

- A cura di Roberta Moretti -

 

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PARIGI. = È la Colombia il Paese in cui, con l’uccisione di 47 attivisti, i diritti dell’uomo sono stati più calpestati nel 2005: lo documenta il rapporto annuale della Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo (FIDH) e dell’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura (OMCT), che denunciano l’intensificarsi della repressione con 1172 casi recensiti in 90 Paesi. Il rapporto rileva 117 omicidi, 92 casi di tortura e 56 di aggressione fisica, stimando che “le tecniche repressive si stanno universalizzando, nella più grande impunità”. “Nel 2005 – si legge nel documento – i difensori dei diritti dell’uomo hanno dovuto confrontarsi con un contesto nazionale e internazionale dominato dal moltiplicarsi di misure eccezionali in nome della lotta anti-terrorismo”. Il rapporto cita inoltre “il fallimento del processo di transizione democratica in numerosi Paesi; la persistenza di conflitti e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario; la rinascita degli estremismi religiosi e dell’intolleranza; l’incremento delle ineguaglianze dovute alla deriva della mondializzazione”. Tra i casi elencati dalle due organizzazioni internazionali, l’esecuzione di una suora che difendeva i contadini senza terra in Brasile; l’uccisione di sindacalisti e agricoltori in Colombia; i sequestri e gli omicidi di osservatori della missione dell’Unione Africana in Darfur, nel Sudan occidentale; la repressione iraniana contro i ‘cyberdissidenti’ e i ‘blogger’, che “denota – si legge nel documento – una volontà di rafforzare il controllo su Internet”. In Asia, si segnalano poi 120 arresti e 104 detenzioni arbitrarie, in gran parte in Cina, Iran e Nepal, ma anche nelle Filippine, dove sono stati accertati 21 casi di omicidio o di tentativi di uccisione. Quanto a Paesi come la Birmania, la Corea del Nord, il Laos e il Vietnam, “il grado di repressione è rimasto uguale all’anno precedente” e non esistono ONG indipendenti per la difesa dei diritti dell’uomo.

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IN VIGORE DA IERI, NELLO STATO INDIANO DEL RAJASTHAN,

UNA LEGGE ANTI-CONVERSIONE. FINO A CINQUE ANNI DI RECLUSIONE PER CHI TENTA DI CONVERTIRE TRAMITE FRODE O MANIPOLAZIONE

 

JAIPUR. = Il governo del Rajasthan, Stato centro-orientale dell’India, ha approvato ieri una legge anti-conversione che prevede pene severe “per coloro che portano avanti attività di conversione tramite frode o manipolazione”. Diversi gruppi per i diritti umani definiscono il decreto “una norma che cerca di impedire o limitare la presenza di gruppi di minoranza nel Paese”. “Questa legge – afferma mons. Oswald Lewis, vescovo della capitale Jaipur, all’agenzia AsiaNews – va contro la costituzione e limita le libertà personali. Abbiamo il timore che venga usata contro di noi”. Tale norma permette alle autorità “l’uso di ogni mezzo per impedire le conversioni” e prevede una pena che va dai due ai cinque anni di reclusione per i colpevoli. Leggi simili sono già in vigore nell’Orissa, nel Madhya Pradesh, nel Gujarat e nel Tamil Nadu. In quest’ultimo Stato il decreto è stato annullato da un’ordinanza statale, che viene però ignorata in maniera deliberata dalle autorità locali. Nel Rajasthan i cristiani rappresentano lo 0,11 per cento della popolazione, i musulmani l’8 per cento e gli indù l’89 per cento. (R.M.)

 

 

FIRMATO IERI LO STATUTO DEL FORUM DELLE RELIGIONI DI MILANO (FRM),

“STRUMENTO DI DIALOGO, PACE E SOLIDARIETA’”

 

MILANO. = “Permettere una reciproca accoglienza tra le diverse comunità religiose, facilitare la conoscenza dei fondamenti e delle prassi di ciascuna comunità e promuovere una cultura di dialogo, di solidarietà e di pace”: con questi intenti, è stato firmato ieri lo statuto del Forum delle religioni di Milano (FRM), “strumento di dialogo stabile e permanente nella società”. In un’intervista all’agenzia MISNA, uno dei promotori del Forum, don Augusto Casolo, ha spiegato che la firma, con la partecipazione di comunità buddiste, musulmane, ebree e cristiane, costituisce “l’inizio di un cammino che rimane aperto all’adesione di altre organizzazioni e comunità religiose”. A questo scopo, il Forum si propone “di partecipare alle ricorrenze festive di ogni confessione religiosa”. Riferendosi alle recenti violenze e agli atti terroristici contro alcune religioni, don Casolo ha sottolineato che il contributo del Forum consiste nello “smascherare la maliziosa coperta religiosa assunta purtroppo da certi scopi politici”. “Le organizzazioni religiose presenti a Milano – ha concluso il sacerdote –intendono promuovere inoltre rapporti di collaborazione con le autorità civili milanesi e italiane”. (R.M.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

27 marzo 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

             

In Ucraina, la commissione elettorale centrale ha reso noto alcuni risultati parziali delle elezioni parlamentari svoltesi ieri. I dati, riferiti al 10 % delle schede scrutinate, confermerebbero gli exit pool che ieri davano in testa il Partito del filo-russo Yanukovic, nettamente staccato dagli uomini del presidente Yushenko. Intanto, gli osservatori dell'Organizzazione per la Sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) hanno giudicato regolare lo svolgimento del voto. Ce ne parla Giuseppe D’Amato:

 

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Gli exit-pool segnalano che il “Partito delle regioni” dell’ex premier Ianukovic è nettamente in testa con il 27,31 per cento delle preferenze. Segue il blocco della cosiddetta “pasionaria” della rivoluzione arancione, Yulia Timoshenko, con il 22,24. Staccatissimo invece il filo-presidenziale “Nostra Ucraina” con il 15. Solo altre tre formazioni, sulle 45 totali presentatesi, avrebbero superato la barriera del 3 per cento per entrare nella Rada. Saranno loro forse ad essere l’ago della bilancia. Dopo settimane di tentennamenti, il presidente Iushenko ha aperto ieri alla Timoshenko. Inizieranno presto colloqui per la formazione di un governo arancione. Yanukovic ha invece annunciato che il candidato premier del suo partito sarà l’oligarca più ricco di Ucraina, Rinata Kmetov. L’ex rivale di Iushenko prevede un ottimo rapporto con la Russia e sostegno dell’Unione Europea.

 

Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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Centinaia di persone sono scese in piazza nel nord dell’Afghanistan per protestare contro la decisione del governo di liberare Abdul Rahman, il cittadino afghano che rischia la pena di morte per essersi convertito al cristianesimo. I dimostranti chiedono che l’uomo venga giudicato secondo la legge islamica. Ieri la corte suprema di Kabul aveva interrotto il processo per verificare le capacità mentali dell’uomo, accendendo così le speranze per la sua salvezza.

 

Ancora una giornata di orrore in Iraq, dove si contano decine di vittime. L’attentato più grave è avvenuto a Mosul, nel nord del Paese, dove un’autobomba esplosa in un centro di reclutamento della polizia irachena ha fatto almeno trenta morti. Risale invece a ieri il macabro ritrovamento, a Baquba, di una trentina di corpi decapitati, vittime della violenza tra sciiti e sunniti. Intanto, gli Stati Uniti si dichiarano del tutto estranei all’irruzione, la notte scorsa, nella moschea sciita di Mustafa a Bagdad, dove sono rimasti uccisi almeno 16 membri della milizia del leader radicale sciita, Moqtada Al Sadr.

 

In Israele è stata rafforzata la sicurezza, per timori di possibili attentati palestinesi in vista delle elezioni politiche di domani. Intanto, il Parlamento palestinese è riunito a Ramallah per votare la fiducia al governo formato dal movimento estremista di Hamas. Ce ne Parla Eugenio Bonanata:

 

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Il candidato premier Ismail Haniyeh, presentando al Parlamento palestinese la lista dei ministri, ha ribadito l’agenda del futuro governo. “Hamas – ha affermato - è pronto a colloqui con il 'quartetto di Madrid' per mettere fine al conflitto in Medio Oriente”. Ma il popolo palestinese ha il diritto di “continuare la lotta” fino alla costituzione di uno Stato indipendente. In questo quadro Haniyeh ha anche chiesto alla comunità internazionale di non avviare ritorsioni contro i palestinesi. “Il popolo palestinese  non dovrebbe essere punito – ha detto – per aver scelto democraticamente i propri leader”. Il voto di fiducia al nuovo governo sembra però slittare almeno a domani, visto il grande numero di oratori. Sul terreno, alcuni episodi di violenza, condotti dall’esercito israeliano, hanno caratterizzato la nottata e le prime ore della giornata nella zona di Gaza. In vista delle elezioni di domani in Israele, lo stato di allerta e' stato intanto elevato al massimo, nel timore di attentati palestinesi. Sul piano delle previsioni, tutti i sondaggi confermano il vantaggio di Kadima, il partito voluto dal vecchio premier Sharon, oggi guidato da Olmert, capo ad interim del governo. Ai blocchi di partenza ci sono 31 partiti che si contendono il voto di cinque milioni di israeliani.

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E’ stata accolta positivamente in tutta l’Africa occidentale la notizia del mandato di cattura spiccato nei confronti di Charles Taylor, l’ex presidente liberiano esiliato in Nigeria. Ieri, il procuratore generale dell’ONU ha chiesto ufficialmente al governo di Abuja di arrestare Taylor per i crimini commessi in Liberia e Sierra Leone. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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Dopo aver resistito per lungo tempo alle pressioni internazionali, il capo dello Stato nigeriano, Obasanjo, aveva accettato sabato di consegnare al governo di Monrovia l’ex capo della guerra liberiana in esilio in Nigeria dall’agosto 2003. Taylor è accusato di aver commesso indicibili crimini di guerra contro l’umanità, durante le guerre civili che nello scorso decennio hanno insanguinato sia la Liberia che la vicina Sierra Leone. Non è ancora stata fornita una informazione sulla data né sulle modalità dell’estradizione dell’ex leader liberiano, che aveva accettato l’esilio nel 2003, nell’ambito di un accordo di pace stipulato per porre fine alla guerra civile durata oltre 14 anni e che in Liberia ha causato oltre 250 mila morti.

 

Per la Radio vaticana, Giulio Albanese.

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In Africa, nella Repubblica democratica di São Tomé e Principe si sono svolte senza disordini le elezioni legislative di ieri per circa 79 mila elettori. Su dieci partiti, sono tre i potenziali aspiranti al futuro governo della ex colonia portoghese: il Movimento di Liberazione di Sao Tome' e Principe, ora al potere, il Movimento Democratico delle Forze per il cambiamento, cui appartiene il presidente della Repubblica in carica, e l’Azione democratica indipendente. La campagna elettorale è stata incentrata sul petrolio e sulle altre risorse energetiche di cui è ricco il Paese.

 

Liberati in Nigeria i tre lavoratori sequestrati cinque settimane fa. Il rilascio dei tre, due americani e un britannico, impiegati della compagnia petrolifera Shell, ha fatto nascere la speranza che si sia alla fine della campagna di sabotaggi e rapimenti che dura da mesi. Il sequestro era stato condotto dai ribelli del Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger, che da anni si battono per l'assegnazione alle popolazioni locali di una quota più consistente dei proventi petroliferi.

 

In Germania, la coalizione di governo tra socialdemocratici e cristiano-democratici è stata promossa degli elettori alle elezioni regionali di ieri, svoltesi in Baden Wuerttenberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt. Il risultato favorevole del voto potrebbe dare ai due partiti una maggioranza qualificata dei due terzi nel Bundestrat, la Camera dei rappresentanti regionali, che faciliterebbe così la strada alle numerose riforme avviate dal governo tedesco.

 

“Rinunciate a destabilizzare la Bielorussia”. Questo il provocatorio invito che il regime bielorusso rivolge all’Occidente. Ieri, il presidente dell’ex Repubblica sovietica, Lukashenko, ha affermato alla tv russa NTV che la repressione dei dissidenti “ha rovinato i piani di espansione” degli europei. In questo quadro, Minsk rinnova la sua vicinanza a Mosca. Intanto, si è appreso che il numero due della rivolta, Kouzolin, è recluso nel carcere della capitale con l’accusa di “incitamento alla rivolta”.

 

Almeno sette detenuti sono morti e altre diciannove persone sono rimaste ferite in Georgia a causa degli scontri tra prigionieri e forze speciali della polizia, in una rivolta scoppiata all'interno del penitenziario di Tbilisi. Lo ha reso noto la televisione, anche se ufficialmente non ci sono informazioni sulle vittime.

 

Nove morti e oltre venti feriti. Questo il bilancio dell’esplosione di una bomba avvenuta in un negozio a Jolo, nelle Filippine meridionali, teatro da anni della lotta separatista condotta dagli integralisti islamici. Al momento, non sono giunte rivendicazioni, tuttavia la polizia sospetta il coinvolgimento di Abu Sayyaf, un movimento fondamentalista musulmano, legato a Al Qaeda e responsabile di numerosi rapimenti.

 

 

 

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