RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L n. 75  - Testo della trasmissione di giovedì 16  marzo 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

I leader religiosi hanno la responsabilità di lavorare per la riconciliazione: così il Papa alla delegazione dell’American Jewish Committee, ricevuta in Vaticano

 

Lettera del Papa al cardinale Lubomyr Husar in occasione del 60° anniversario dello pseudo-sinodo di Leopoli, che nel 1946 costrinse la Chiesa greco-cattolica ucraina a “ridiscendere nelle catacombe”

 

Sul mistero del rapporto tra Cristo e la Chiesa, tema scelto da Benedetto XVI per il nuovo ciclo di catechesi nelle udienze del mercoledì, la riflessione del teologo  don Massimo Serretti

 

Proseguono in Vaticano i lavori della Plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali:  intervista con il cardinale Ennio Antonelli

 

Riaperto al pubblico, dopo cinque anni di restauri e ricerche d’archivio, il Museo Cristiano, primo nucleo dei Musei Vaticani: con noi, il dott. Francesco Buranelli

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

All’ONU nasce il nuovo Consiglio sui diritti umani che sostituisce la Commissione di Ginevra. Contrari USA e Israele: intervista con mons. Silvano Maria Tomasi e Kolya Canestrini

 

Si apre oggi a Città del Messico il IV Forum mondiale dell’acqua: con noi Massimo Moretuzzo e Riccardo Putrella

 

Assegnato al cosmologo inglese John Barrow il Premio Templeton per il progresso della religione: ai nostri microfoni il vincitore del Premio

 

CHIESA E SOCIETA’:

Rapporto della campagna “Control Arms” al Consiglio di Sicurezza dell’ONU: denunciati embarghi violati e trafficanti impuniti

 

I movimenti ecclesiali dell’America Latina, riuniti nei giorni scorsi a Congresso a Bogotá, inviano una  lettera di ringraziamento al Papa

 

Ogni anno il Congo, secondo “polmone verde” del mondo, perde un milione di ettari di foreste a causa dell’avanzamento della desertificazione

 

Entro 50 anni a rischio di estinzione la barriera corallina nell’Oceano indiano: allarme degli ecologisti per le Isole Seychelles e Maldive

 

24 ORE NEL MONDO:

Gli Stati Uniti non escludono attacchi preventivi contro l’Iran per la questione nucleare

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

16 marzo 2006

 

 

I LEADER RELIGIOSI HANNO LA RESPONSABILITA’  DI LAVORARE

PER LA RICONCILIAZIONE: COSI’ IL PAPA alla Delegazione

dell’“American Jewish Committee”, ricevuta in Vaticano.

SOTTOLINEATO IL PARTICOLARE LEGAME TRA EBREI E CRISTIANI

 

“I leader religiosi hanno la responsabilità di lavorare per la riconciliazione attraverso un dialogo genuino e atti di solidarietà umana”: è quanto ha sottolineato Benedetto XVI nel saluto alla Delegazione dell’“American Jewish Commit-tee”, ricevuta stamane in Vaticano. Su quanto il Papa ha detto del  particolare rapporto tra ebrei e cristiani, ci riferisce nel servizio Fausta Speranza:

 

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Il legame che c’è tra Ebrei e Cristiani è unico tra le religioni nel mondo: a renderlo tale – dice il Papa – è il “ricco patrimonio comune”:

 

“THE RECENT CELEBRATION OF THE 40TH ANNIVERSARY OF THE …”

 

Benedetto XVI sottolinea concetti importanti ricordando che la recente celebrazione del 40esimo anniversario della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate ha accresciuto il desiderio comune di maggiore conoscenza reciproca e di un crescente dialogo caratterizzato da mutuo rispetto e amore”. La Chiesa non può dimenticare il popolo con il quale Dio ha stretto la santa alleanza, afferma il Papa ricordando, poi, che “Ebraismo, Cristianesimo e Islam” credono in un solo Dio, Creatore del cielo e della terra”. Tutte e tre le religioni monoteistiche “sono chiamate a cooperare per il bene comune dell’umanità, a servire la causa della giustizia e della pace”. E il Papa spiega che grande attenzione deve essere data all’insegnamento del rispetto nei confronti di Dio, delle religioni e dei loro simboli, dei luoghi santi e dei luoghi di culto:

 

“RELIGIOUS LEADERS HAVE A RESPONSIBILITY TO WORK FOR …”

“I leader religiosi hanno la responsabilità – afferma il Papa – di lavorare per la riconciliazione attraverso un dialogo genuino e atti di umana solidarietà”.

 

In conclusione la preghiera che vengano confermati gli sforzi di gettare ponti di comprensione al di là delle barriere.

 

Va detto che nelle sue parole di saluto il presidente dell’“American Jewish Committee” Comitato degli ebrei americani, E. Robert Goodkind, sottolinea la “relazione storica” che il Comitato ha con la Santa Sede, in particolare dal Concilio Vaticano II. E poi ha espressioni di apprezzamento: per la “chiara determinazione” con cui la Santa Sede ha coltivato lo spirito del Concilio in questi anni e per l’impegno del Papa nel condannare l’antisemitismo. 

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ALTRE UDIENZE

 

Sempre stamane il Papa ha ricevuto, in successive udienze, anche alcuni presuli della Conferenza episcopale del Camerun, in visita “ad Limina”, mons. Paul Hinder, vicario apostolico di Arabia, e mons. Camillo Ballin, vicario apostolico di Kuwait.

 

Nel pomeriggio, il Papa riceverà il cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, e il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

 

 

LETTERA DEL PAPA AL CARDINALE LUBOMYR HUSAR

IN OCCASIONE DEL 60.MO ANNIVERSARIO DELLO PSEUDO-SINODO DI LEOPOLI,

CHE NEL 1946 COSTRINSE LA CHIESA GRECO-CATTOLICA UCRAINA

A “RIDISCENDERE NELLE CATACOMBE”

 

Benedetto XVI ha inviato una lettera al cardinale Lubomyr Husar, arcivescovo Maggiore di Kiev-Halič in occasione del 60° anniversario dello pseudo-sinodo di Leopoli, che nel marzo del 1946 costrinse la Chiesa greco-cattolica ucraina a “ridiscendere nelle catacombe”. Ce ne parla Sergio Centofanti.

 

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L’Ucraina faceva parte allora dell’Unione Sovietica.  Prima di quei “tristi eventi” – scrive il Papa – “i credenti in Cristo dell’Ucraina, erano rimasti fedeli” nonostante “fossero perseguitati, oppressi, privati dei propri Pastori da un apparato statale ideologico e disumano”. Ma in quei giorni del 1946 – ricorda il Pontefice – “un gruppo di ecclesiastici, raccolti in uno pseudo-sinodo che si arrogò il diritto di rappresentare la Chiesa, attentò gravemente all’unità ecclesiale. Si intensificarono poi le violenze contro quanti erano rimasti fedeli all'unità con il Vescovo di Roma, provocando ulteriori sofferenze e costringendo la Chiesa a ridiscendere nelle catacombe”. Ma, “pur tra indicibili prove e patimenti, la Divina Provvidenza non permise la scomparsa di una comunità che, per secoli, era stata considerata legittima e vivace parte dell'identità del popolo ucraino. La Chiesa greco-cattolica continuò così a rendere la propria testimonianza all'unità, alla santità, alla cattolicità e apostolicità della Chiesa di Cristo”.

 

“Il ricordo di quanto avvenne sessant'anni fa – scrive Benedetto XVI - deve diventare stimolo per la comunità affidata alle sollecitudini pastorali della riorganizzata Gerarchia greco-cattolica in Ucraina ad approfondire il suo intimo e convinto legame con il Successore di Pietro. Da quella Chiesa, purificata dalle persecuzioni, sono sgorgati fiumi di acqua viva non soltanto per i cattolici ucraini, ma per l’intera Chiesa cattolica sparsa nel mondo”.

 

Il Papa sottolinea che per conservare l’integrità del patrimonio ecclesiale ucraino “è importante assicurare la presenza dei due grandi filoni dell'unica Tradizione – il filone latino e quello orientale - ambedue con la molteplicità di manifestazioni storiche che l’Ucraina ha saputo esprimere. Duplice è la missione affidata alla Chiesa greco-cattolica in comunio­ne piena con Pietro: è suo compito, da una parte, mantenere visibile nella Chiesa cattolica la tradizione orientale, dall'altra, favorire l'incontro delle tradizioni, testimoniando non solo la loro compatibilità, ma anche la loro profonda unità nella diversità”.

 

Il Papa prega infine affinché quest’anniversario diventi “supplica allo Spirito Paraclito, perché faccia crescere tutto ciò che favorisce l'unità”, “l'amore fraterno, il perdono delle offese e delle ingiustizie subite nella storia”, nella consapevolezza “di obbedire al comando di Cristo: Ut unum sint”.

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 SUL MISTERO DEL RAPPORTO TRA CRISTO E LA CHIESA, TEMA SCELTO DA

 BENEDETTO XVI PER IL NUOVO CICLO DI CATECHESI NELLE UDIENZE DEL MERCOLEDI’, LA RIFLESSIONE DI DON MASSIMO SERRETTI, DOCENTE DI CRISTOLOGIA

ALLA PONTIFICIA UNIVERSITA’ LATERANENSE

 

I dodici Apostoli sono “il segno più evidente della volontà di Gesù” riguardo all’“esistenza e alla missione della sua Chiesa”, la “garanzia che fra Cristo e la Chiesa non c’è alcuna contrapposizione”: è uno dei passaggi forti della riflessione di Benedetto XVI all’udienza generale di ieri. Proprio in tale occasione, il Papa ha inaugurato un nuovo ciclo di catechesi “sul mistero del rapporto tra Cristo e la Chiesa”. Dopo aver concluso, dunque, le precedenti catechesi dedicate alla Liturgia delle Ore, secondo un percorso di riflessioni iniziato da Papa Wojtyla, Benedetto XVI si sofferma su un tema di carattere ecclesiologico. Su questa scelta, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di don Massimo Serretti, docente di Cristologia alla Pontificia Università Lateranense:

 

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R. – Il tema si lega da un lato all’insegnamento esplicito di Giovanni Paolo II, anche se dobbiamo dire che coglie un aspetto di integrazione. Infatti, tra le grandi Encicliche, le prime sulla questione trinitaria a partire da “Cristo, Redentore dell’uomo”… tra tutti questi grandi documenti magisteriali di Giovanni Paolo II era assente un documento dedicato, specifico che attenesse alla Chiesa. C’è poi un’altra continuità che dobbiamo osservare perché il giovane Joseph Ratzinger , nel 1951, l’anno in cui è stato ordinato sacerdote, aveva portato a termine un lavoro proprio di ecclesiologia, intitolato “Popolo e Casa di Dio in Sant’Agostino”. Quindi, l’amore alla Chiesa, il pensiero sulla Chiesa - già da prima del Vaticano II - era ben presente nelle preoccupazioni del giovane dottorando Joseph Ratzinger.

 

D. – Dopo un’Enciclica sull’amore cristiano, il Papa dedica ora le sue catechesi all’indissolubile legame tra Cristo e la Chiesa. Si può dire che il Pontefice senta quasi l’esigenza di soffermarsi sui fondamenti del messaggio evangelico?

 

R. – Sì, sicuramente! Il Papa dice di voler abbordare la questione del mistero del rapporto tra Cristo e la Chiesa. Questa è la sua formulazione. Estremamente importante è l’ordine in cui i termini sono posti. Consultavo prima la sintesi breve che Benedetto XVI ha fatto ai pellegrini di lingua tedesca, nella quale si trova un’altra affermazione importante per capire la logica con cui il Santo Padre intraprende questa meditazione. Laddove lui parla di una realtà, la realtà della Chiesa, questa ha in Dio la sua origine... Quindi quando il Papa dice il rapporto tra Cristo e la Chiesa intende mostrare in modo evidente come la realtà concreta della Chiesa sia legata in modo misterioso, ma effettivo e reale, a tutto il mistero di Cristo.

 

D. – Benedetto XVI ha sottolineato con forza che fra Cristo e la Chiesa non c’è alcuna contrapposizione. Il Papa ha aggiunto: è inaccettabile lo slogan di moda alcuni anni fa: “Gesù sì, Chiesa no”. E’ ancora presente questo rischio di una concezione individualistica della fede?

 

R. – Qui il giudizio di Benedetto XVI è molto preciso e va a negare che la genesi della Chiesa derivi dalla composizione di singole volontà. La Chiesa non nasce da questo individualismo. La ricchezza di questa catechesi che il Santo Padre va ad iniziare insiste, invece, costruttivamente, positivamente sulla nozione di popolo. Gesù viene, interviene annunciando, avendo come interlocutore il popolo, il popolo eletto, il popolo che Dio aveva costituito come tale. Quindi i suoi interlocutori non sono i singoli presi in se stessi, ma i singoli dentro la realtà del popolo, una realtà teologica. L’insistenza sulla chiamata dei dodici ha questo preciso significato. Quindi “Gesù sì, Chiesa no” è un’aberrazione da questo punto di vista, perché chi dice Chiesa no, in realtà dice Gesù no.

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PROSEGUONO IN VATICANO I LAVORI DELLA PLENARIA DEL PONTIFICIO

CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

- Intervista con il cardinale Ennio Antonelli -

 

Prosegue in Vaticano la plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, in Vaticano: al centro dei lavori figura l’attuazione dell’ultima Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II ai responsabili delle comunicazioni sociali dal titolo “Il rapido sviluppo”. Ma cosa sta emergendo dai lavori di questi giorni? Giovanni Peduto lo ha chiesto all’arcivescovo di Firenze il cardinale Ennio Antonelli:

 

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R. – Sta emergendo che la Chiesa e i molti soggetti ecclesiali di tutto il mondo credono nell’importanza dei media per l’evangelizzazione, ma si rendono conto anche dei rischi gravi che ci possono essere per la fede, la vita cristiana e anche del rischio di non comunicazione a cui molte volte  i media, i mezzi di comunicazione sociale, possono indurre.

 

D.- Il tema che l’ha colpito in modo particolare in questi giorni?

 

R. – Mi ha colpito in modo particolare la testimonianza che hanno dato molti vescovi, molti consultori del Dicastero, di varie nazioni, della grande risonanza che ha avuto la morte, il funerale del Papa Giovani Paolo II, e anche l’inizio del nuovo Pontificato, presso perfino i non cristiani, perfino gente di altre religioni, con grande commozione e grande interrogarsi molto forte, molto pensoso.

 

D. – Ma la Chiesa utilizza efficacemente i mass media, a suo parere, o ha ancora molto da fare?

 

 R. – La Chiesa sta sempre meglio e sempre di più utilizzando i media. A me pare, però, ci sia molto da fare specialmente a livello di pastorale ordinaria.

 

 D. -  Manca spesso un coordinamento tra i vari enti radiotelevisivi cattolici, forse a volte c’è un po’ di campanilismo?

 

R. – Certo è necessario un maggiore coordinamento per diminuire le spese, per migliorare i programmi e il Pontificio Consiglio sta organizzando un convegno internazionale proprio per questo motivo.

 

D. – Come annunciare meglio Cristo oggi attraverso i mass media?

 

R. – Credo che si debba sviluppare una comunicazione interattiva, la reciprocità, specialmente dialogando attraverso Internet. Questa mi  sembra una frontiera  nuova su cui la pastorale ordinaria a livello diocesano ed anche a livello parrocchiale si deve impegnare.

 

D. -  Eminenza, un suo consiglio ai giornalisti e un suo invito agli utenti dei mass media…

 

R. – Ai giornalisti direi di non lasciarsi tentare dallo scoop, dal sensazionalismo, dagli interessi economici, ma di rispettare la verità, di essere il più possibile attenti alla realtà e rispettare le persone. Agli utenti di sviluppare la loro formazione che oggi è indispensabile.

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RIAPERTO AL PUBBLICO, DOPO CINQUE ANNI DI RESTAURI E RICERCHE D’ARCHIVIO,

IL MUSEO CRISTIANO, PRIMO NUCLEO DEI MUSEI VATICANI

- Con noi, il dott. Francesco Buranelli -

 

“Accrescere lo splendore di Roma e confermare la Verità della religione cristiana”: questo, l’intento con cui, nel 1756, papa Benedetto XIV diede vita al Museo Cristiano, che stamani, dopo cinque anni di restauri e ricerche d’archivio, è stato riaperto al pubblico presso i Musei Vaticani. L’iniziativa rientra nelle celebrazioni per il quinto centenario della fondazione dei Musei, avvenuta dopo il ritrovamento sul Colle Oppio, il 14 gennaio del 1506, del gruppo statuario del Laocoonte. Il servizio di Roberta Moretti:

 

 

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A Roma, centro della Cristianità, mancava un museo “sacro”, accanto a quello “profano” del Campidoglio. Per colmare questa lacuna, Benedetto XIV decise di raccogliere, nell’area del cortile del Belvedere, i manufatti provenienti dalle catacombe e dalle domus erette sulle vie consolari che conducevano alla Città
Eterna. Nel 1854, poi, sotto il Pontificato di Pio IX, la maggioranza delle testimonianze epigrafiche e scultoree del Museo Cristiano venne trasferita nel Palazzo Apostolico Lateranense, per dar vita al Museo Pio-Cristiano. Rimasero così nella sede originaria solo le opere appartenenti alle arti decorative, quali gemme, avori, sigilli, monete, vasellame, vetri dorati e incisi, anelli e medaglie devozionali. Splendidi manufatti, che oggi trovano un più moderno e razionale allestimento nel nuovo Museo Cristiano. Il direttore dei Musei Vaticani, Francesco Buranelli:

 

“E’ il primo evento che presentiamo per i nostri 500 anni, perché fu il primo a definirsi tale. Poi, tanti altri Papi hanno accresciuto e creato nuovi musei, per cui si è arrivati ben presto alla dizione plurale. Segna il lento e graduale ampliamento delle raccolte che, dalla prima collezione rinascimentale, voluta da Giulio II della Rovere, arrivò alla realizzazione di un museo aperto al pubblico, con Benedetto XIV”.

 

Ma cosa contraddistingue i reperti custoditi nel Museo Cristiano? Ancora il dott. Buranelli:

 

“Ogni oggetto documenta una conversione, un martirio, un atto devozionale. Forse questo è il grande valore delle opere d’arte conservate nel Museo Cristiano, perché è il graduale affermarsi della religione cristiana nella grande Roma capitale dell’Impero romano e, allo stesso tempo, poi, pure la qualità artistica che è stata raggiunta. Il Museo Cristiano possiede la più bella edizione esistente al mondo e la più importante di fondi oro. Veramente, siamo di fronte ad una qualità elevatissima di arti decorative dei primi secoli dopo la nascita di Cristo”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina – L’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituisce il Consiglio dei diritti umani.

 

Servizio vaticano – L’udienza di Benedetto XVI alla Delegazione dell’“American Jewish Committee”: nell’occasione il Papa ha ricordato che Ebraismo, Cristianesimo ed Islam sono chiamati a cooperare per il bene comune dell’umanità servendo la causa della giustizia e della pace.

La Benedizione del Santo Padre alla Chiesa greco-cattolica in Ucraina in una recente lettera inviata al cardinale Lubomyr Husar.

 

Servizio estero - Iraq: prima sessione del nuovo Parlamento.

 

Servizio culturale - Un articolo di Marco Impagliazzo dal titolo “Dall’abisso del nazismo all’approdo in Argentina”: testimonianze di sopravvissuti alla Shoah

 

Servizio italiano - Un articolo dal titolo “Aspre polemiche dopo le frasi del leghista Calderoli”: l’ex Ministro ha detto di aver scritto volutamente una legge elettorale dannosa.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

16 marzo 2006

                 

ALL’ONU NASCE IL NUOVO CONSIGLIO SUI DIRITTI UMANI CHE SOSTITUISCE

LA COMMISSIONE DI GINEVRA. CONTRARI USA E ISRAELE

- Intervista con mons. Silvano Maria Tomasi e Kolya Canestrini -

 

Storica decisione ieri all’ONU. L’Assemblea Generale ha approvato la riforma che sostituisce la Commissione dei Diritti Umani, con Sede a Ginevra, con un Consiglio più ristretto, in cui potranno entrare solo quei Paesi che non abbiano regimi dittatoriali e nei quali non si registrino lesioni delle prerogative fondamentali dell’uomo. Per il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, si tratta di un passo fondamentale che dà alle Nazioni Unite strumenti più efficaci per una maggiore tutela dei diritti umani nel mondo. Il servizio, da New York, di Paolo Mastrolilli.

 

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Hanno votato a favore 170 membri, fra cui l’Italia, contro quattro, cioè Stati Uniti, Israele, Palau ed Isole Marshall, e tre si sono astenuti, cioè Iran, Venezuela e Bielorussia. La Commissione di Ginevra aveva perso credibilità, perché al suo interno sedevano Paesi accusati di violare i diritti umani. Il segretario generale, Kofi Annan, nel progetto di riforma presentato a marzo del 2005, aveva proposto di chiuderla e sostituirla con un Consiglio più piccolo, i cui membri dovevano essere eletti individualmente con una maggioranza di due terzi dell’Assemblea generale. La proposta era stata recepita dal vertice dei capi di Stato e di governo, tenuto a settembre a New York, ma il negoziato era rimasto aperto sui dettagli. Alla fine di febbraio, il presidente dell’Assemblea generale, lo svedese Jan Hegelson, ha presentato il compromesso che è stato votato ieri. Il nuovo Consiglio nascerà a giugno e sarà formato da 47 membri, invece degli attuali 53. I Paesi che entreranno a farne parte saranno ancora scelti su base regionale, ma dovranno essere eletti individualmente con la maggioranza dei voti dell’Assemblea, cioè 96. I membri dovranno rispettare i diritti umani e se li violeranno potranno essere cacciati con il voto di due terzi degli Stati che comporranno il Consiglio. Annan ha commentato che questo è un compromesso rispetto alla sua proposta iniziale, ma fa comunque avanzare la causa dei diritti umani. Gli Stati Uniti hanno votato contro, perché volevano che i Paesi membri fossero eletti con una maggioranza di due terzi, rendendo ancora più difficile l’accesso dei responsabili di abusi e chiedevano di vietare l’entrata nel Consiglio di Paesi sottoposti a sanzioni per violazione di diritti umani. Washington, però, ha promesso che finanzierà la nuova istituzione e collaborerà con essa. 

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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E per i commenti sulla nascita del nuovo organismo dell’ONU a tutela dei diritti umani, sentiamo il servizio di Giancarlo La Vella:

 

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La comunità internazionale pone in primo piano la difesa delle prerogative fondamentali dell’essere umano. Con la creazione del Consiglio dell’ONU per i diritti umani, la strada per la pace sembra segnata ancora più nettamente, una strada che passa innanzitutto attraverso un concetto di giustizia che guardi in particolare alle posizioni primarie dell’essere umano come singolo, per poi aprirsi alla comunità intera. Sentiamo il commento di mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra:

 

R. – E’ un passo positivo in avanti nella promozione dei diritti umani. Quindi, si cerca di portare sempre di più il discorso, partendo dai diritti delle persone e dai diritti dei popoli.

 

D. – Cosa è auspicabile per far funzionare al meglio il nuovo Consiglio dell’ONU sui diritti umani?

 

R. – Mi sembra che un Consiglio dei diritti umani più forte, che dipende direttamente dall’Assemblea generale, e che ha la capacità di escludere al limite anche i Paesi che fossero dei diritti umani, potrebbe funzionare e portare anche un contributo maggiore nel promuovere sempre di più i rapporti umani basati sui diritti.

 

D. – Anche se c’è sempre l’aspetto sanzionatorio che rappresenta un po’ una falla?

 

R. – Certo alle volte bisogna che la comunità internazionale prenda delle posizioni concrete per bloccare violazioni estreme come sta capitando in questo momento in qualche regione dell’Africa. Quindi bisogna che ci siano strumenti più chiari nelle mani della comunità internazionale per bloccare quelle forze che veramente usano la loro autonomia per violare i diritti.

 

Ma il Consiglio dell’ONU dei Diritti Umani servirà realmente a realizzare una maggiore tutela ed un controllo capillare delle situazioni più a rischio? Ci risponde Kolya Canestrini, direttore del Centro Studi italiano per la pace ed esperto di Diritto umanitario:

 

R. – Dobbiamo evidentemente augurarci di sì. Ci sono alcuni elementi che in realtà mi fanno ritenere che non sarà così. Il problema di fondo è che i diritti umani sono una coperta un po’ troppo corta a seconda di chi la usa. Vi sono cioè delle situazioni in cui lo Stato, che palesemente viola i diritti umani, si propone come paladino di essi, ed altri in cui chi sembra essere il maggiore nemico dei diritti umani, in realtà persegue una giustizia sociale. In via di principio sarà difficile trovare uno Stato che si opponga alle dichiarazioni di principio sui diritti umani. Ciò che invece sarà molto facile è che gli incolpati di violazione si difenderanno, dicendo di essere i primi paladini per la difesa degli stessi diritti. Noi sappiamo che, ahimè, non vi è diritto se non vi può essere una pena per chi lo viola. Bisogna cercare di costringere gli Stati ad essere responsabili delle loro azioni e di rispondere in tutte le sedi delle violazioni da loro commesse.

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SI APRE A CITTA’ DEL MESSICO IL IV FORUM MONDIALE DELL’ACQUA

- Massimo Moretuzzo e Riccardo Putrella -

 

Si apre oggi a Città del Messico il quarto Forum mondiale dell'acqua. Alla sei giorni promossa dal Consiglio mondiale sull’acqua parteciperanno rappresentanti di governo e organizzazioni internazionali. Obiettivo del vertice quello di promuovere una migliore gestione di questa vitale risorsa. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite oltre 1,2 miliardi di persone, un quinto della popolazione del pianeta, non hanno accesso all'acqua potabile, mentre 2,5 miliardi non hanno rete fognaria. Il servizio di Andrea Cocco.

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Acqua un bene per tutti. Con queste parole d’ordine si chiudeva nel 2002 a Johannesburg il Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile. Eppure a tre anni di distanza la crisi dell’acqua non appare per nulla ridimensionata. A lanciare l’ultimo allarme il rapporto triennale delle Nazioni Unite su fiumi e laghi, secondo cui più della metà dei 500 maggiori fiumi della terra sono parzialmente o completamente in secca. Tra le cause: l’inquinamento, l’effetto serra e i prelievi eccessivi. E dietro le cifre delle organizzazioni internazionali il timore di vedere moltiplicarsi in un futuro non troppo lontano i conflitti per questa risorsa, oggi definita con sempre maggiore disinvoltura il petrolio del 21° secolo. In occasione del forum dei movimenti per l’acqua che si è chiuso a Roma il 12 marzo, abbiamo raccolto il parere di Massimo Moretuzzo dell’organizzazione Contratto mondiale per l’acqua:

 

“E’ una questione che sta esplodendo nei Paesi del Sud del mondo e che sta peggiorando, tant’è che queste stesse fonti parlano di una mancanza d’acqua per 3 miliardi di persone nel 2015. Quindi, effettivamente è una situazione difficile. Pensiamo alle questioni africane: si pone la questione drammatica di trovare l’acqua per gran parte del continente africano. Tutta la zona sta vivendo questo elemento con grande preoccupazione e il rischio di conflitti è immediato. Queste questioni pongono un problema di priorità, cioè capire, ad esempio, quali possono essere gli usi prioritari”.

 

Il 70% delle risorse idriche mondiali vengono consumate per l’agricoltura, il 20% per l’industria e solo il 10% per altri usi. E il consumo di acqua nel pianeta riflette profonde disparità anche a livello geografico. Mentre un abitante degli Stati Uniti può contare su una media di 425 litri al giorno in Palestina non si superano i 70 litri e in Madagascar i 10, mentre per l’ONU è di 50 litri al giorno il livello minimo indispensabile.

 

“L’esempio più classico che possiamo fare è quello delle grandi metropoli dei Paesi del Sud, dove da un lato della strada ci sono i campi da golf e dall’altra ci sono le baraccopoli delle persone che invece non hanno neanche fonti di acqua di buona qualità ad una distanza accessibile”.

 

La disponibilità di acqua potabile sul pianeta, dicono gli esperti, è sufficiente ai bisogni di tutti. Quali allora i passi fondamentali che la comunità internazionale dovrebbe compiere per una migliore gestione delle risorse idriche. Lo abbiamo chiesto a Riccardo Putrella, economista e presidente dell’acquedotto pugliese:

 

“Riconoscere anzitutto che l’accesso all’acqua è un diritto umano, universale, imprescrittibile e indivisibile. Seconda cosa, riconoscere che l’acqua è un bene comune patrimoniale mondiale. Questo è un principio fondamentale, che però gli Stati non vogliono riconoscerlo, perché ormai hanno distrutto l’acqua per uso umano, diventando sempre più rara. Oggi l’acqua è diventata un elemento di sicurezza strategico”.

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AL COSMOLOGO INGLESE JOHN BARROW

IL PREMIO TEMPLETON PER IL PROGRESSO DELLA RELIGIONE

- Intervista con il vincitore del premio -

 

 

Il prestigioso Premio Templeton per il progresso e la ricerca religiosa è stato assegnato ieri al cosmologo inglese John Barrow, professore all’Università di Cambridge. Gli scritti di Barrow, descritto come uno studioso in possesso di una forte presa popolare, sul rapporto tra la vita, le origini del nostro universo e la natura della conoscenza umana, hanno sfidato sia gli scienziati che i teologi a guardare oltre i confini delle loro discipline. In una intervista esclusiva a Philippa Hitchen, il dottor Barrow ci racconta qualcosa del suo lavoro, per il quale ha ricevuto questa onorificenza:   

 

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R. – WELL, I THINK THE INTEREST…

Penso che l’interesse nel mio lavoro appartenga a quelle persone che lavorano nell’ambito della teologia o che si interessano al rapporto tra scienza e religione. Sono molto interessato agli sviluppi che avvengono nella cosmologia e altre aree correlate. Il mio lavoro, quindi, fornisce solo una sorta di materiale di base per stimolare nuove discussioni, nuovi sviluppi in speciali aree di interesse. La cosmologia è una delle materie che è sempre stata di grande interesse, includendone poi altre come la teologia e l’astronomia. Quindi, è un interesse naturale nello stesso tipo di domande: come è iniziato l’universo? Avrà una fine? E quando ho iniziato a studiare e a lavorare nell’ambito dell’astronomia ero, dunque, interessato proprio a questo tipo di domande.

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CHIESA E SOCIETA’

16 marzo 2006

 

RAPPORTO DELLA CAMPAGNA CONTROL ARMS AL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU,

 A 100 GIORNI DALLA CONFERENZA  MONDIALE SULLE PICCOLE ARMI,

IN PROGRAMMA A GIUGNO, PROMOSSA DALLE NAZIONI UNITE.

LE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE AMNESTY INTERNATIONAL, OXFAM INTERNATIONAL

E IANSA DENUNCIANO EMBARGHI VIOLATI E TRAFFICANTI IMPUNITI

E CHIEDONO NUOVI EFFICACI STRUMENTI DI CONTROLLO

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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NEY YORK. = Ogni anno si producono 8 milioni di armi leggere e nel mondo intero se ne contano 639 milioni. Strumenti di morte che circolano liberamente in molte zone del Pianeta, dove la violenza armata uccide ogni anno mezzo milione di persone. In Africa, in Asia, in Medio Oriente e in America Latina si spendono mediamente per acquistare armi 22 miliardi di dollari l’anno: una somma che permetterebbe a questi Paesi di eliminare l’analfabetismo e ridurre la mortalità infantile e materna, secondo gli obiettivi di sviluppo del Millennio fissati dall’ONU. Ma da qui a 100 giorni – quando di armi leggere si occuperà una Conferenza ad hoc delle Nazioni Unite – moriranno altre 100 mila persone ed altre decine di migliaia verranno ferite in conflitti a fuoco. A fronte di questo drammatico scenario, la Campagna Control Arms denuncia  le ripetute violazioni di tutti gli embarghi a queste armi che sono stati imposti negli ultimi 10 anni e l’impunità dei trafficanti internazionali e dei loro complici nei vari Paesi, dove eserciti regolari e truppe ribelli ne fanno massiccio uso. Per questo Amnesty, Oxfam e Iansa, la Rete internazionale di azione sulle piccole armi, chiedono al Consiglio di sicurezza di garantire l'applicazione degli embarghi e raggiungere un Trattato internazionale sul commercio delle armi per controllare in modo rigoroso i trasferimenti di armi convenzionali. A questo scopo Control Arma ha lanciato una foto-petizione, cui hanno già aderito 800 mila persone prestando il proprio volto per un maxi-manifesto che sarà consegnato ai leader mondiali durante la prossima conferenza a New York, che si svolgerà dal 26 giugno al 7 luglio.

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LETTERA DI RINGRAZIAMENTO AL PAPA DEI MOVIMENTI ECCLESIALI E

 DELLE NUOVE COMUNITA’ DELL’AMERICA LATINA,

RIUNITI NEI GIORNI SCORSI A CONGRESSO A BOGOTA’,

 IN COLOMBIA, SUL TEMA “DISCEPOLI E MISSIONARI DI GESU’ CRISTO OGGI”

 

BOGOTA’. =  “Grazie, Santo Padre per la sua testimonianza, la sua paterna vicinanza e la sue parole orientratrici, mostrate alla nostra Chiesa e ai nostri popoli in un abbraccio pieno d’amore e di speranza”. E’ con questo pensiero che i partecipanti al primo Congresso dei Movimenti ecclesiali e delle nuove Comunità dell’America Latina, svoltosi nei giorni scorsi a Bogotá, in Colombia, hanno espresso la loro gratitudine in una Lettera inviata a Benedetto XVI. Parole di benevolenza per la sollecitudine con cui il Santo Padre ha seguito l’iniziativa, inviando loro un Messaggio dove si affronta il tema della speranza della Chiesa: “I movimenti e le nuove comunità – si legge - contribuiscano a dare un rinnovato impulso all’evangelizzazione di tutti i settori della società, del mondo, della famiglia, della cultura e dell’educazione”. A questo mandato i 122 delegati di 23 Paesi, oltre a 32 vescovi ed una rappresentanza del Pontificio Consiglio per i laici - che hanno preso parte all’Incontro sul tema “Discepoli e missionari di Gesù Cristo, hanno voluto rispondere impegnandosi ad assumere tre impegni fondamentali: la formazione cristiana, l’annuncio forte del Vangelo con una grande portata missionaria e la speciale attenzione per coloro che soffrono, i poveri e gli emarginati. L’aver posto al centro del Congresso il tema del cristiano, ovvero del discepolo di Cristo, è un segno della consapevolezza che la Chiesa dell’America Latina ha di questioni prioritarie in questo momento: la permanenza della fede, la trasmissione della fede, il mettere a frutto la fede in tutte le dimensioni di vita delle persone, delle famiglie, delle nostre Nazioni. “Oggi più che mai – affermano i partecipanti – siamo consapevoli della vera natura della crisi. Non basta parlare di ‘nuova evangelizzazione’ senza interrogarsi sul soggetto che la realizza. E’ necessario risvegliare l’interesse per Gesù Cristo e il suo Vangelo. Abbiamo ferma speranza che questo primo Incontro offra un contributo alla preparazione e alla realizzazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, prevista in Brasile nel maggio 2007, sul tema “Discepoli e missionari” di Gesù Cristo perché in Lui i popoli abbiano la vita”. (S.C.)

 

 

OGNI ANNO IL BACINO DEL CONGO, CON GLI OLTRE 200 MILIONI DI ETTARI

CONSIDERATO IL SECONDO “POLMONE VERDE” NEL MONDO DOPO L’AMAZZONIA,

PERDE UN MILIONE DI ETTARI DI FORESTE

A CAUSA DELL’AVANZAMENTO DELLA  DESERTIFICAZIONE

 

GINEVRA. = Il concetto di desertificazione si è progressivamente evoluto nel corso degli anni nel tentativo di definire un processo che, seppur caratterizzato da cause locali, sta sempre più assumendo la connotazione di un problema globale. Esso è definito come “il processo che porta ad una riduzione irreversibile della capacità del suolo di produrre risorse e servizi. All’agenzia MISNA, Hama Arba Diallo, direttore del Comitato dell’ONU contro la desertificazione, parlando del bacino del fiume Congo che, con oltre 200 milioni di ettari di foreste, è considerato il secondo “polmone verde” del mondo dopo l’Amazzonia, riferisce: “La desertificazione non è soltanto l’avanzata delle dune di sabbia, ma anche l’erosione del suolo dovuto a tre fattori: le pratiche agricole, l’eccessivo sfruttamento dei pascoli e la deforestazione per l’uso della legna”. La vasta area – che comprende molti Paesi dell’Africa Centrale, dalla Repubblica Democratica del Congo al Burundi, dal Camerun alla Guinea Equatoriale, pari al 30% delle foreste di tutta l’Africa e poco meno del 20% dell’intero Pianeta – perde ogni anno un milione di ettari, a causa soprattutto dei diversi fenomeni di erosione, denunciati da Arba Diallo. “Per ora non è nota la durata delle risorse naturali dell’Africa Centrale, ma la fertilità del suolo ha già iniziato a diminuire a causa della desertificazione del Bacino del Congo”, ha aggiunto l’esperto. Dalla foresta arrivano però alcuni segnali “incoraggianti”: la determinazione dei Pigmei sta rallentando lo sfruttamento indiscriminato di alcune specie di alberi nel nord della Repubblica Democratica del Congo; le popolazioni locali, a differenza di alcune società che commerciano il legname, si battono per mantenere questi alberi, indispensabili al loro eco-sistema e alla loro sopravvivenza. Nelle scorse settimane l’Unione Europea ha stanziato altri 38 milioni di euro per finanziare la quarta fase del programma per la gestione degli ecosistemi forestali dell’Africa centrale (Ecofac), nato nel 1992 nell’ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente a Rio de Janeiro, che ha per obiettivo la “conservazione e lo sfruttamento razionale” delle foreste del bacino del Congo.(S.C.)

 

 

OCEANO INDIANO: ENTRO 50 ANNI A RISCHIO DI ESTINZIONE

LA BARRIERA CORALLINA,

PER CAUSE COLLEGATE ANCHE ALL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO E TERRESTRE.

ALLARME DEGLI ECOLOGISTI PER LE ISOLE SEYCHELLES E MALDIVE

 

NEW DELHI. = La barriera corallina dell'Oceano Indiano potrebbe scomparire entro i prossimi 50  anni. E’ il grido d'allarme lanciato da un gruppo di ricercatori marini, secondo i quali l’innalzamento delle temperature del mare, causato dal surriscaldamento della terra, potrebbe avere conseguenze disastrose sui coralli dell'oceano indiano. “Indagini scientifiche - ha dichiarato Jude Bijoux, del  Centro di Ricerca e Tecnologia marina alle isole Seychelles - mostrano che nel 2050 non ci saranno più coralli. Nel 1998  avevamo già perso circa il 90% delle barriere coralline e il poco che era rimasto è sottoposto a continue minacce”. Nel 1998 il fenomeno meteorologico noto come El Niño, che  causò un rialzo brusco della temperatura del mare, provocò in tutto l'Oceano Indiano danni notevoli alle barriere coralline. Secondo gli scienziati, da allora la situazione non sarebbe migliorata ed anzi i punti dell’Oceano Indiano maggiormente colpiti da El Niño sono destinati a subire ciclicamente – più o meno ogni cinque anni – ulteriori danni. Il surriscaldamento delle acque marine sarebbe imputabile secondo alcuni ricercatori ad   agenti di inquinamento terrestre ed atmosferico. “Se le cose continueranno così, dicono gli scienziati, la maggior parte delle isole coralline scompariranno, in quanto le barriere che le circondano e le proteggono si sfalderanno progressivamente”. La cosa avrebbe ovviamente conseguenze disastrose anche sull’economia di queste zone, fortemente basata sul turismo. Le Seychelles contano 120 isole, di cui solo 65 sono coralline. Le  Maldive invece sono costituite interamente da isole coralline. Secondo il ministro dell’Ambiente, Ronny Jumeau, le autorità dovrebbero prendere maggiori provvedimenti anche vietando in alcune zone la pesca - le reti possono infatti strappare via anche i coralli - e il transito delle  barche. (R.G.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

16 marzo 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Gli Stati Uniti non escludono attacchi preventivi contro terroristi e “Paesi ostili”. L’Iran costituisce per Washington la minaccia più grande. Sono alcuni passi di un rapporto di 49 pagine della Casa Bianca sulle strategie per la sicurezza nazionale. Il documento traccia anche una linea di demarcazione tra il regime degli ayatollah e il popolo iraniano. La nostra strategia – si legge nel rapporto – è quella di bloccare le minacce dell’attuale governo di Teheran e aiutare la gente oppressa dal regime. Gli Stati Uniti esortano inoltre la diplomazia internazionale a compiere ulteriori sforzi per dissuadere l’Iran a portare avanti il suo programma nucleare. Non mancano comunque segnali di distensione tra Teheran e Washington: il segretario del Consiglio supremo della sicurezza nazionale iraniano, Ali Larijani, ha dichiarato infatti che la Repubblica islamica “accetta di negoziare con gli Stati Uniti” per affrontare insieme la difficile situazione irachena.

 

Russia e Cina, due dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, hanno affermato stamani che è possibile una soluzione alla crisi legata al programma nucleare iraniano. “La cooperazione tra Mosca e Pechino ha giocato un ruolo importante nel mantenere la questione nucleare entro i binari della soluzione diplomatica”, ha spiegato l’ambasciatore russo in Cina.

 

Il Parlamento iracheno, eletto lo scorso 15 dicembre, ha aperto stamani la sua prima sessione. Commentando l’insediamento della nuova assemblea, il patriarca caldeo di Baghdad, Emmanuel III Delly, ha dichiarato che il “Parlamento è un mezzo che Dio usa per il bene, la pace e la sicurezza del popolo”. “Speriamo – ha aggiunto – che gli uomini possano riconciliarsi e lavorare per il futuro dell’Iraq”. Ai 275 parlamentari, tra i quali tre cristiani, sono concessi 60 giorni per eleggere il presidente dell’Assemblea nazionale, nominare il nuovo governo e designare il primo ministro. Proprio la scelta del premier sembra l’ostacolo principale da superare: curdi, sunniti e partiti laici non condividono, infatti, la decisione dell’Alleanza sciita di affidare la guida dell’esecutivo iracheno al premier uscente Ibrahim Jaafari.

 

Nel Kurdistan iracheno un ragazzo di 14 anni è rimasto ucciso in scontri tra le forze di sicurezza irachene e manifestanti ad Halabja, nel diciottesimo anniversario del massacro di cinquemila abitanti della città. Centinaia di curdi che protestavano contro la corruzione del governo regionale hanno anche assaltato un memoriale eretto in ricordo delle vittime. Nel 1988, l’ex rais Saddam Hussein ha utilizzato gas tossici per sedare la rivolta dei curdi nel nord del Paese, uccidendo 5 mila persone.

 

In Medio Oriente, ennesima operazione dell’esercito israeliano in Cisgiordania: almeno un militare dello Stato ebraico è rimasto ucciso in seguito ad un violento scontro a fuoco scoppiato questa mattina a Jenin tra soldati israeliani e militanti palestinesi della Jihad islamica. In Israele, intanto, il premier ha escluso, ieri, che dietro il raid condotto nel carcere di Gerico ci siano “ragioni elettorali”. Ma molti analisti credono che le ultime mosse di Olmert siano state dettate dalla necessità di accrescere consensi nella destra, in vista delle prossime legislative. Come interpretare, dunque, la linea politica del premier israeliano? Salvatore Sabatino lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera.

 

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R. – Io credo che le mosse di Olmert seguano l’intento di non perdere i consensi della destra. Gli ultimi avvenimenti avevano in qualche modo riacceso l’attivismo di Netanyau, che pareva convinto di poter uscire da quel percorso che sembrava destinato ad un tracollo. Una certa risalita c’è, anche se si tratta di una risalita modesta. Questo ha preoccupato Olmert. Dopo l’impatto emotivo, dovuto al grave ictus che ha colpito il primo ministro Sharon, c’era la necessità di far fronte anche a quello che era inevitabilmente un certo calo di consensi.

 

D. – Ma non si rischia, a questo punto, di imboccare una strada senza ritorno sul fronte del dialogo?

 

R. – Il rischio esiste, ma non dimentichiamo che dall’altra parte c’è una situazione altrettanto confusa. Hamas, avendo ottenuto una schiacciante maggioranza, pretende di formare il governo. Il presidente palestinese Abu Mazen non può negare questo al gruppo di Hamas, ma non sembra molto convinto. Credo, quindi, che da parte di Israele ci sia la volontà di seguire questo processo, nella speranza di un chiarimento e di una possibile riduzione di consensi verso Hamas nelle elezioni palestinesi.

 

D. – Da una parte, dunque, l’intransigenza di Olmert, dall’altra la debolezza di Abu Mazen. Come vedi il futuro dei rapporti israelo-palestinesi?

 

R. – Forse si potrà vedere qualcosa dopo le elezioni israeliane. E’ una situazione estremamente complicata. In questo momento non c’è proprio da essere ottimisti.

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Clima teso in Bielorussia a tre giorni dal primo turno delle
presidenziali: il capo dei servizi di sicurezza ha minacciato di infliggere il carcere a vita o  la pena di morte ai sostenitori dell’opposizione che domenica protesteranno contro i risultati della consultazione. Il regime del presidente Aleksandr Lukashenko accusa l’opposizione di puntare ad una “presa violenta del potere”. I servizi segreti bielorussi hanno aperto, inoltre, un’inchiesta su un presunto piano terroristico volto a rovesciare l’attuale governo. “'Tutte le persone coinvolte in queste azioni saranno arrestate e processate”, ha annunciato il capo dei servizi di sicurezza.

 

La salma di Slobodan Milosevic, accolta ieri a Belgrado dai vertici del Partito socialista, sarà esposta oggi nel Museo della rivoluzione, a poca distanza dal mausoleo del maresciallo Tito. Il corpo dell’ex presidente jugoslavo sarà sepolto sabato prossimo nel giardino della villa di famiglia a Pozarevac, sua città natale. Il vicepresidente del partito socialista ha detto che saranno presenti anche la vedova e il figlio. Milosevic è morto lo scorso 11 marzo nel carcere di Sheveningen, in Olanda, dov’era sotto processo per crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio.

 

In Spagna, è sempre più grave l’emergenza immigrazione: più di 100 migranti subsahariani provenienti dalla Mauritania sono arrivati nelle ultime ore nell’arcipelago delle Canarie. Ieri, la polizia aveva rinvenuto in mare i corpi senza vita di almeno 24 persone. Il nostro servizio:

 

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Durante la notte, tre imbarcazioni con più di 70 persone a bordo sono arrivate nelle Canarie. Questa mattina è stata avvistata un’altra nave con oltre 50 clandestini. La nuova e consistente ondata di immigrati sembra legata, soprattutto, alla chiusura del passaggio terrestre attraverso le enclave spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla. Ma l’origine di questa emergenza va ricercata in Mauritania, uno dei Paesi africani più poveri, da dove partono ogni giorno imbarcazioni verso la Spagna. Proprio per cercare di arrestare l’esodo di clandestini, il governo spagnolo ha deciso l’invio in Mauritania di pattuglie costiere e di aiuti finanziari. Il premier dello Stato africano ha detto, infatti, che il suo Paese non è in grado di frenare da solo i flussi migratori. La missione di Madrid è dunque necessaria ma la crisi è di dimensioni allarmanti: secondo la polizia spagnola sarebbero più di dieci mila le persone pronte ad imbarcarsi. Tuttavia, accanto alla disperazione di quanti cercano di raggiungere l’Europa, c’è anche il dramma dei naufragi e del traffico degli esseri umani: fonti della Mezzaluna Rossa hanno reso noto che più di 1200 persone sono morte, a partire da novembre, nel tentativo di approdare sulle coste dell’arcipelago spagnolo.

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In Ciad è stato sventato un tentativo di colpo di Stato contro il presidente Deby da parte di un gruppo appartenente alle forze armate. Lo ha riferito ieri il ministro dell’Informazione aggiungendo che gli ideatori del golpe volevano uccidere il presidente Deby abbattendo l’aereo presidenziale di rientro dal viaggio in Guinea Equatoriale.

 

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