RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L n. 71 - Testo della trasmissione di domenica 12 marzo 2006

 

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa all’Angelus: ascoltate Cristo e ubbidite alla sua voce, specialmente in tempo di Quaresima, poiché la nostra esistenza procede non senza momenti di oscurità e anche di buio fitto

 

Costruire ponti di fraternità fra Europa ed Africa: l’invito di Benedetto XVI ai giovani, nella IV Giornata europea degli universitari

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Colombia oggi al voto per le elezioni legislative, banco di prova per le presidenziali di maggio: intervista con Manuel Baudet

 

80 Paesi lanciano da Porto Alegre un progetto di riforma agraria, che pone al centro i poveri, gli indigeni, le donne: ce ne parla padre Matias Martinho Lenz

 

Quinta edizione di “Mondi riemersi”, l’iniziativa promossa a Frascati dai Missionari Oblati di Maria Immacolata per avvicinare giovani e non a Paesi del Sud del mondo. Quest’anno, appuntamento  con la Thailandia: intervista con Claudio Bertuccio

 

Il solenne atto accademico della Pontificia Università Gregoriana dedicato quest’anno a Sant’Ignazio di Loyola a San Francesco Saverio e al beato Pietro Favre. Ai nostri microfoni, padre Rogelio García Mateo

 

CHIESA E SOCIETA’:

Denuncia dell’arcivescovo di Città del Guatemala, nella Lettera di Quaresima: “In Guatemala, la vita umana non vale nulla!”

 

Eletto ieri a Roma il nuovo presidente nazionale delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani: è Andrea Olivero

 

In Cina, 20 milioni di bambini migranti non possono accedere alla scuola pubblica, perché non sono riconosciuti come residenti

 

L’UNICEF denuncia: 1.358 minori scomparsi nell’ultimo anno in Sri Lanka, reclutati come ‘bambini-soldato’

 

Recuperati dalla Marina indonesiana gli antichi tesori risalenti alla Dinastia Song, custoditi nel relitto di una nave cinese affondata al largo della città di Pontianak, trafugati da un gruppo di sommozzatori

 

24 ORE NEL MONDO:

Nuova udienza nel processo a Saddam Hussein: se condannato sarà subito giustiziato. In Iraq ancora decine di morti

 

Si attendono i risultati dell’autopsia per stabilire le cause della morte dell’ex presidente jugoslavo, Milosevic

Elezioni in Salvador per il rinnovo del Parlamento

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

12 marzo 2006

 

IL PAPA ALL’ANGELUS: ASCOLTATE CRISTO E UBBIDITE ALLA SUA VOCE,

SPECIALMENTE IN TEMPO DI QUARESIMA, POICHÉ LA NOSTRA ESISTENZA

PROCEDE NON SENZA MOMENTI DI OSCURITÀ E ANCHE DI BUIO FITTO

 

“Ascoltare Cristo e ubbidire alla sua voce”: l’invito di Benedetto XVI, in questa II domenica di Quaresima, rivolto alle decine di migliaia di fedeli e turisti raccolti in una piazza San Pietro assolata, ancora battuta da una pungente aria di tramontana. Il servizio di Roberta Gisotti:

 

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Ha raccontato il Papa la sua esperienza di preparazione alla Quaresima, finiti ieri ha ricordato gli Esercizi spirituali predicati nel Palazzo Apostolico dal cardinale Marco , patriarca emerito di Venezia.

        

Sono stati giorni dedicati interamente all’ascolto del Signore, che sempre ci parla, ma s’aspetta da noi una più grande attenzione specialmente in questo tempo di Quaresima”.

        

“Quando si ha la grazia di provare una forte esperienza di Dio – ha spiegato il Santo Padre - è come accadde ai discepoli di Gesù durante la Trasfigurazione sul monte Tabor: “per un momento si pregusta qualcosa di ciò che costituirà la beatitudine del Paradiso”. “Si tratta in genere – ha aggiunto - di brevi esperienze, che Dio a volte concede, specialmente in vista di dure prove”. Ma a nessuno, però, – ha osservato il Papa – è dato di vivere “sul Tabor” mentre si è su questa Terra.  

        

“L’esistenza umana infatti è un cammino di fede e, come tale, procede più nella penombra che in piena luce, non senza momenti di oscurità e anche di buio fitto”.

 

Dunque “il nostro rapporto con Dio avviene più nell’ascolto che nella visione; e la stessa contemplazione si attua” come “ad occhi chiusi, grazie alla luce interiore accesa in noi dalla Parola di Dio”. Così anche Maria, la creatura umana “più vicina a Dio”, ha camminato giorno dopo giorno in un pellegrinaggio di fede. E allora “ascoltare Cristo, come Maria”: questo “il dono e l’impegno per ognuno di noi nel tempo quaresimale”, ha raccomandato Benedetto XVI. Ascoltare Cristo nella Sacra Scrittura e negli eventi della nostra vita per leggervi i messaggi della Provvidenza, ascoltarlo nei fratelli, specialmente piccoli e poveri, dove Gesù ci chiede “amore concreto”:

 

“Ascoltare Cristo e ubbidire alla sua voce: è questa la via maestra, l’unica, che conduce alla pienezza della gioia e dell’amore”.

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GIOVANI ROMANI E DI DIVERSI PAESI EUROPEI ED AFRICANI, COLLEGATI VIA SATELLITE, STRETTI IN UN AFFETTUOSO ABBRACCIO SIMBOLICO CON BENEDETTO XVI, 

IN OCCASIONE DELLA IV GIORNATA EUROPEA DEGLI UNIVERSITARI,

CELEBRATA IERI NELL’AULA PAOLO VI

 

Costruite ponti di fraternità fra Europa ed Africa: l’invito di Benedetto XVI agli studenti raccolti ieri pomeriggio nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, in occasione della IV Giornata europea degli universitari, dedicata quest’anno al tema “L’umanesimo cristiano, via per una nuova cooperazione tra Europa ed Africa”. Un’iniziativa promossa dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE) e dal Vicariato di Roma, in collaborazione con i ministeri delle Comunicazioni e degli Esteri, che ha visto in collegamento giovani dei due continenti. Il servizio è di Francesca Sabatinelli:

 

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(musica)


E’ stato un intenso e caldo abbraccio quello che ha stretto gli universitari a Benedetto XVI, durante la veglia mariana, che ha unito giovani di sette paesi europei e tre africani, in collegamento satellitare con l’Aula Paolo VI, “segno - ha detto loro il Papa - della comunione della Chiesa”. Da Madrid, a Nairobi, da Owerri, ad Abidjan, da Dublino, a Salamanca, da Monaco di Baviera, a Friburgo, da San Pietroburgo, a Sofia, i giovani hanno pregato per il progetto di umanesimo cristiano come via di cooperazione tra il continente europeo e quello africano, tema dell’appuntamento. All’ingresso della Croce nell’Aula Paolo VI è seguito quello delle delegazioni dei Paesi europei e africani collegati, che hanno portato con loro le proprie bandiere e una lampada, segno di Gesù Cristo, luce del mondo. I ragazzi, accompagnati dal cardinale vicario Camillo Ruini, hanno riflettuto sulla prima enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas est” ed hanno ascoltato le testimonianze dei giovani in collegamento:

 

(testimonianza di un giovane spagnolo)

 

Hanno raccontato al mondo come l’Università possa essere luogo dove ritrovare Dio dopo lunghi periodi di allontanamento, come possa essere una casa e una seconda famiglia dove maturare la propria vita di cristiani, e come allo stesso tempo possa diventare luogo di sfide anche molto grandi, luogo in cui affrontare l’insidia materialista. Riflessioni importanti quelle dei giovani, sostenuti dai rispettivi pastori, come il cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, che ha ricordato i morti degli attentati che portarono la morte nella capitale spagnola esattamente due anni fa, o come mons. Raphael S. Ndingi Mwana’a Nzeki, arcivescovo di Nairobi, che ha sollecitato i ragazzi africani a accorgersi che ciò che non si è guadagnato non vale nulla, che ha invitato l’umanità a condividere equamente tutte le risorse create da Dio, e che ha chiesto ai governanti del suo continente di adottare il buon governo, nella trasparenza e nella piena responsabilità. I giovani hanno poi recitato il Rosario, presieduto dal Papa, al termine del quale Benedetto XVI si è rivolto direttamente a loro:

 

“Questa veglia mariana, cara al Papa Giovanni Paolo II, getta ponti di fraternità tra i giovani universitari d’Europa, e questa sera li prolunga all’interno del grande continente africano affinché cresca la comunione tra le nuove generazioni e si diffonda la civiltà dell’amore”.

 

Il Papa ha quindi invitato i ragazzi all’appuntamento con la XXI Giornata mondiale della gioventù, Domenica delle Palme, il 6 aprile, in piazza San Pietro, per accogliere la Croce pellegrina proveniente da Colonia e per ricordare, ad un anno dalla sua morte, Giovanni Paolo II. Il Papa ha quindi consegnato ad una delegazione di giovani la “Deus Caritas est”:

 

“Simbolicamente intendo consegnarla a tutti gli universitari d’Europa e d’Africa con l’augurio che la verità fondamentale della fede cristiana - Dio è amore - illumini il cammino di ciascuno di voi e si irradi attraverso la vostra testimonianza ai compagni di studio”.

 

La Veglia è quindi terminata con la Via Crucis dall’Aula Paolo VI alla chiesa di Sant’Agnese in Agone, a piazza Navona.

 

(musica)

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“Dio ha scelto te, servilo con tutta il tuo corpo e con tutta la tua anima”. Così recitava uno dei canti dei gruppi africani che hanno accompagnato la Via Crucis che si è svolta ieri sera da Piazza San Pietro fino alla chiesa di Sant’Agnese in Agone in piazza Navona, dopo la Veglia mariana presieduta da Papa Benedetto XVI. Sette le stazioni animate da diversi movimenti e associazioni cattoliche. Il servizio di Marina Tomarro:

 

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Erano migliaia i giovani europei e africani: tutti insieme sotto la croce di Cristo per chiedere pace in un mondo dove ancora troppe persone muoiono a causa  dell’odio, della violenza, del terrorismo avendo nel cuore l’invito che il Papa ha rivolto loro, cioè quello di diffondere la civiltà dell’amore. Ascoltiamo dalla testimonianza di una dei partecipanti, Beatrice Masciopinto, quale emozione ha lasciato il discorso del Papa nei ragazzi:

 

“Sicuramente tanta forza. Tanta forza per continuare a testimoniare nel mondo dell’Università, nel mondo del lavoro, la fede, quella luce che portiamo dentro e che vorremmo far giungere anche alle persone che sono un po’ lontane da questa luce. Forza, perché non è sempre facile, nella vita di tutti i giorni, con gli altri, poter difendere le proprie convinzioni. Vivere l’amore è un messaggio molto forte; spero di poterlo diffondere nella vita di tutti i giorni”.

 

E quest’anno c’erano anche tanti ragazzi africani che, alla fine della Via Crucis, davanti la chiesa di Sant’Agnese in Agone in Piazza Navona, hanno eseguito dei canti tradizionali. Ma cosa vuol dire portare la croce? Ascoltiamo Alain Illumà Casadì, studente del Congo:

 

“Per me, compiere questa Via Crucis è un modo di portare la sofferenza. La sofferenza che viviamo nel mondo, i conflitti che viviamo dal Nord al Sud del mondo. Ecco, io personalmente voglio portare tutta questa sofferenza davanti alla Croce di Dio, perché è Lui solo che può aiutarci a creare un mondo in cui si possa vivere bene, un mondo con il sorriso, un mondo di gioia e di danza”.

 

E il pensiero dei partecipanti alla Via Crucis è andato anche a Giovanni Paolo II che l’anno scorso, proprio in questi giorni viveva momenti di dolore e malattia.

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OGGI IN PRIMO PIANO

12 marzo 2006

 

COLOMBIA OGGI AL VOTO PER LE ELEZIONI LEGISLATIVE,

BANCO DI PROVA PER LE PRESIDENZIALI DI MAGGIO

- Intervista con Manuel Baudet -

 

Oggi si vota per le elezioni legislative in Colombia, dove 26 milioni di elettori determineranno l’assegnazione di 172 seggi alla Camera e 102 al Senato. Si tratta di un banco di prova in vista delle presidenziali del prossimo maggio, quando l’attuale capo di Stato, Alvaro Uribe, chiederà il rinnovo del suo mandato. Per l’appuntamento odierno, l’Esercito di Liberazione Nazionale ha garantito una giornata di tregua armata. Non hanno fatto altrettanto i guerriglieri delle FARC, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, che negli ultimi giorni hanno invece intensificato l’offensiva, provocando la morte 26 persone. Il presidente Uribe ieri ha lanciato un appello alla calma, affinché le operazioni di voto possano svolgersi in un clima sereno. Ma il Paese come ha vissuto queste settimane? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Manuel Baudet, operatore del Movimento dei Laici per l’America Latina:

 

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R. – Da una parte c’è stata in questi ultimi giorni un’offensiva dalla guerriglia, per disturbare evidentemente l’evento elettorale. Dall’altra parte, credo che almeno nelle grandi città la situazione sia molto più calma di quello che si vede nei media. Alla fine saranno delle elezioni abbastanza normali.

 

D. – Bisogna dire che la Colombia è un grande Paese dell’America Latina, schiacciato purtroppo dalla morsa della guerriglia. Come vive la gente in Colombia la vigilia elettorale e quali sono le speranze?

 

R. – La gente ha molte speranze. Soprattutto per quanto riguarda il processo democratico. Sperano che continui a consolidarsi. Evidentemente c’è una grande differenza in Colombia tra la situazione nelle grandi città e la situazione rurale, dove c’è effettivamente la presenza del conflitto armato. Uribe ha un grande consenso perché sta pacificando il Paese. Non è, però, riuscito a risolvere il conflitto.

 

D. – Quali dovrebbero essere le mosse giuste, invece, da parte di Uribe per debellare la guerriglia?

 

R. – Uribe dovrebbe innanzitutto portare avanti il dialogo con tutti gli attori armati. La cosa più importante, quello che la gente si aspetta, però, è che questo dialogo non porti a garantire impunità, nei confronti di quei gruppi che si sono macchiati di crimini terribili.

 

D. – Quali sono le prime emergenze che dovrà affrontare il nuovo Parlamento?

 

R. – Sicuramente dovrà risolvere il problema sociale, che è gravissimo. La Colombia è un Paese che ha forse le più grandi potenzialità dell’America Latina in termini di ricchezza interna. Nonostante questo, vive quotidianamente un’enorme  povertà, cresciuta notevolmente con lo sviluppo del conflitto armato, perché tutte le periferie e le grandi città colombiane sono oggi piene di sfollati. Oltre 2 milioni, secondo gli ultimi dati. 

 

D. – La Colombia, nel prossimo futuro, potrà diventare un punto di riferimento per l’America latina?

 

R. – Sicuramente può diventare un punto di riferimento. Oggi la grande contraddizione fra la Colombia e il resto dell’America latina è che l’intera area sta andando avanti verso un processo di appoggio a forze, che noi in Italia chiameremmo di centro-sinistra; forze che sono in aperto conflitto dialogico  con la politica estera degli Stati Uniti. E Washington, lo ricordiamo, continua ad avere un ruolo di primo piano nella regione. Uribe, invece, è l’uomo di Bush in America Latina e in questo senso ha avuto continui conflitti con il resto del Paese.

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80 PAESI LANCIANO DA PORTO ALEGRE UN PROGETTO DI RIFORMA AGRARIA

CHE PONGA AL CENTRO I POVERI, GLI INDIGENI, LE DONNE

- Intervista con padre Matias Martinho Lenz -

 

Si è svolta in questi giorni a Porto Alegre, in Brasile, la Conferenza internazionale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale promossa dalla FAO e dal governo brasiliano. I delegati di 80 Paesi hanno elaborato una Dichiarazione finale in cui si propone un modello di riforma agraria che metta al centro i poveri, le donne, le popolazioni indigene, la sicurezza alimentare e la salvaguardia dell’ambiente. Sui risultati della Conferenza Silvonei Protz ha sentito il commento di padre Matias Martinho Lenz, rappresentante della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile:

 

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R. – La Conferenza ha ripreso un tema che si era smarrito a livello internazionale. I rappresentanti di 80 Paesi hanno partecipato vivamente alle discussioni per cercare di rinnovare la solidarietà internazionale tra le nazioni perché questo progetto di riforma agraria per lo sviluppo regionale possa andare avanti e contribuire a superare la miseria nel mondo. Sono stati negoziati abbastanza difficili, perché le idee non vanno tutte nella stessa direzione. Per esempio, qui in America Latina e in altri Paesi del Terzo Mondo, abbiamo una visione dei diritti umani secondo una dimensione comunitaria, sociale; invece nel mondo anglosassone questa stessa idea va molto più nella direzione dei diritti individuali, per cui ciascuno deve combattere per avere il proprio spazio. Ed è importante trovare un accordo tra queste due visioni. Anche in altri punti, mi pare che siamo riusciti a progredire abbastanza bene.

 

D. – A che punto è la riforma agraria in Brasile?

 

R. – La riforma agraria in Brasile è andata avanti; il Brasile è uno dei pochi Paesi che ha un progetto nazionale di riforma agraria, ma il problema nostro è che anche se il governo ha la volontà di fare una riforma agraria, sono molti gli ostacoli e le difficoltà, sia per la carenza di risorse sia anche perchè le terre migliori sono privatizzate e devono essere acquistate dal governo e questo rappresenta una limitazione. Però, penso che siamo riusciti a mettere in pratica molti programmi di sviluppo rurale per i contadini. Abbiamo infatti in Brasile alcuni movimenti sociali molto forti, molto articolati, che fanno pressione sul governo. E’ grazie a loro che abbiamo già potuto ottenere una riforma agraria per la ridistribuzione delle terre, che garantisca anche l’accesso dei piccoli contadini agli altri mezzi di produzione e perché possano essere loro stessi produttivi ed inseriti in un processo ampio di sviluppo, di giustizia sociale, di benessere, uno sviluppo anche etico-morale.

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QUINTA EDIZIONE DI “MONDI RIEMERSI”, L’INIZIATIVA PROMOSSA A FRASCATI,

DAI MISSIONARI OBLATI DI MARIA IMMACOLATA PER AVVICINARE GIOVANI E NON

A PAESI DEL SUD DEL MONDO. QUEST’ANNO, APPUNTAMENTO  CON LA THAILANDIA

- Con noi, Claudio Bertuccio -

 

Si è rinnovato, anche quest’anno, l’appuntamento con “Mondi riemersi”, l’iniziativa promossa dai Missionari Oblati di Maria Immacolata e dal Comune di Frascati ideata per consentire a giovani e adulti di immergersi nella cultura di uno dei Paesi del Sud del mondo. Giunta alla Quinta edizione, “Mondi Riemersi” si è  concentrato quest’anno sulla Thailandia, la “terra del sorriso”. Ma come si presenta la Thailandia oggi? Alessandro De Carolis lo ha chiesto a padre Claudio Bertuccio, missionario in Thailandia:

 

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R. – C’è una difficoltà a livello politico, che è venuta fuori, una certa protesta contro il primo ministro. Questi ha sciolto le Camere, quindi in questo momento la situazione è un po’ strana perché non si sa bene quale sarà esattamente lo sviluppo. Sono state indette le elezioni anticipate che dovrebbero essere ad aprile, ma l’opposizione sta anche cercando di boicottare queste elezioni dicendo che è troppo presto, che non c’è tempo di organizzarsi. Questo crea, dal punto di vista anche sociale, una grande instabilità perché in questi ultimi anni i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri sono diventati più poveri. La situazione varia molto anche tra la città e la campagna. Credo che in città esista ormai una classe media, ma nelle campagne senza dubbio la classe media non esiste.

 

D. – Tra i vari aspetti del vostro lavoro missionario, vi occupate in particolare anche di promozione sociale e di difesa dei diritti delle minoranze. In che modo?

 

R. – Da questo punto di vista, ci sono due tipi di servizio che si fa. Da una parte, la promozione sociale cercando di creare strutture che diano la possibilità a coloro che non hanno un lavoro nelle zone delle campagne di trovare un impiego, in qualche modo. Allora si sono sviluppati piccoli centri o piccole cooperative che danno la possibilità, per esempio, dello sviluppo di un lavoro artigianale. Un altro è un lavoro con una delle minoranze etniche della Thailandia e tra queste i “mon”, che sono presenti non solo in Thailandia, ma anche in Vietnam, Laos, Cina … Noi lavoriamo soprattutto con questi “mon”. C’è un Centro che si trova in una delle province del Nordest, che cerca di prendersi cura dei “mon” a due livelli: da una parte l’evangelizzazione e dall’altra il rispetto e la promozione della loro cultura. Al momento, uno dei servizi offerti da questo Centro è quello di preparare dei servizi radiofonici per Radio Veritas, nelle Filippine, che poi vengono trasmessi in tutti i Paesi in cui si trovano i “mon”.

 

D. – A livello istituzionale, che rapporti mantiene la Chiesa locale con i buddisti?

 

R. – Di fatto la Chiesa in Thailandia, pur essendo una presenza minuscola, perché la Chiesa cattolica in Thailandia è circa lo 0,5 per cento della popolazione; pur essendo, dunque, una presenza così piccola, la Chiesa cerca di avere la sua influenza a livello della società attraverso la scuola. Le scuole cattoliche sono tra le più prestigiose in Thailandia e tutti sono contenti di mandare i propri figli in queste scuole non solo per il livello educativo, ma anche per i valori che vengono trasmessi. Quando si è così piccoli come presenza, in un Paese, è chiaro che il primo atteggiamento che si può trovare è quello di chiudersi nel proprio mondo. Credo che lentamente la Chiesa stia prendendo coscienza di quanto sia importante aiutarli ad uscire per andare verso l’altro. Nel passato, la Chiesa era molto ripiegata su se stessa in Thailandia. Mi sembra che l’atteggiamento, soprattutto dopo questi anni passati dal Concilio Vaticano II, sia cambiato notevolmente. E vedo che anche a livello di vescovi e di monaci buddisti, mi sembra che ci sia anche un buon rapporto. La Conferenza episcopale in questo momento ha già stabilito, per esempio, un vescovo incaricato a livello nazionale del dialogo interreligioso.

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IL SOLENNE ATTO ACCADEMICO DELLA PONTIFICIA UNIVERSITẢ GREGORIANA

DEDICATO QUEST’ANNO A SANT’IGNAZIO DI LOYOLA,

A SAN FRANCESCO SAVERIO E AL BEATO PIETRO FAVRE

 

Nell’anno in cui si commemorano i 450 anni dalla morte di Sant’Ignazio di Loyola e i 500 anni dalla nascita di San Francesco Saverio e del Beato Pietro Favre, l’annuale e solenne atto accademico della Pontificia Università Gregoriana di Roma è stato dedicato nei giorni scorsi ai tre amici che hanno dato vita alla Compagnia di Gesù. Alla cerimonia che si è svolta nell’aula magna dell’ateneo c’era per noi Tiziana Campisi.

 

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La riscoperta dell’interiorità e il dialogo con Dio. Sono stati questi i primi frutti delle conversazioni spirituali fra Sant’Ignazio di Loyola, San Francesco Saverio e il Beato Pietro Favre. Un’amicizia che ha dato vita a molti frutti la loro. Nel solenne atto accademico che ieri alla Pontificia Università Gregoriana ha voluto ricordare gli iniziatori della Compagnia di Gesù è stata evidenziata proprio la singolare esperienza di agape, la condivisione fraterna, da loro vissuta. Ma come fare tesoro oggi di quanto hanno sperimentato questi tre amici che hanno scelto di seguire Cristo povero, impegnandosi ad alleviare le miserie materiali e spirituali di indigenti e peccatori? Ci risponde il padre gesuita Rogelio García Mateo, docente dell’Istituto di spiritualità della Gregoriana:

 

R. – Questa amicizia non è soltanto di tipo “io – tu” maio-Dio-tu”, un’amicizia fondata sull’esperienza di Cristo, cioè l’esperienza dell’agape, della fratellanza, che fa che l’amicizia umana sia più feconda, più piena.

 

D. – La conversazione spirituale fra i tre amici - gli esercizi di Ignazio insomma - in che modo oggi consente di scoprire l’interiorità?

 

R. – Gli esercizi portano proprio ad una conversazione spirituale, non solo con il direttore degli esercizi spirituali ma soprattutto con Dio. Il vero maestro degli esercizi è Dio stesso. Nel momento del dubbio, quando non si sa cosa fare, l’accompagnatore, certamente è necessario, ma il vero maestro degli esercizi è lo stesso Dio. Questo consente di raggiungere la propria interiorità al di là del semplice esercizio esterno della preghiera.

 

D. – Ma Sant’Ignazio di Loyola, San Francesco Saverio e il beato Pietro Favre cosa suggeriscono a chi cerca Dio? Lo abbiamo chiesto al padre gesuita José Carlos Coupeau, anche lui docente dell’Istituto di spiritualità della Gregoriana.

 

R. – Anzitutto ho notato in loro la capacità di ascolto, il non avere fretta nel dare risposte agli interlocutori, l’essere in grado di ascoltare il profondo della persona. Ignazio stesso l’ha imparato nella sua profonda esperienza spirituale e nel silenzio.

 

D. – La spiritualità ignaziana cosa insegna all’uomo moderno?

 

R. – La spiritualità ignaziana è una spiritualità apostolica, che crede nella presenza di Dio nel mondo, che percepisce ed abita il mondo con gioia e non dimentica tante sofferenze, anche perché oltre queste c’è molto di più. Ad esempio nel dialogo con l’altro, con la persona che ci sta di fronte e che è diversa da noi. Ma c’è anche tanta ricchezza in ciascuno di noi e occorre anzitutto accettare se stessi come chiamati alla beatitudine, alla comunione con Dio che ha il tempo e che sa aspettare il nostro cambiamento, la nostra trasformazione.

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CHIESA E SOCIETA’

12 marzo 2006

 

“IN GUATEMALA, LA VITA UMANA NON VALE NULLA!”:

COSI’, L’ARCIVESCOVO DI CITTÀ DEL GUATEMALA,

CARDINALE RODOLFO QUEZADA TORUÑO,

NELLA LETTERA PASTORALE DIFFUSA PER LA QUARESIMA

 

CITTA’ DEL GUATEMALA. = “Ai giorni nostri, la cosa più triste è che, nonostante si parli di diritti umani, in realtà essi non si accettano e non si accolgono in tutta la loro profondità”: è quanto ha denunciato il cardinale Rodolfo Quezada Toruño, arcivescovo di Città del Guatemala, nella Lettera pastorale da lui diffusa in vista della Pasqua. “La Quaresima – ha spiegato – ci trova a vivere in un tempo in cui violenza sfrenata e gravi minacce alla vita incombono sulla nostra popolazione guatemalteca”. Il porporato ha sottolineato la necessità di recuperare “la coscienza della dignità e del valore della persona umana”, constatando che “purtroppo molti vivono influenzati da una mentalità particolarmente sensibile alle tentazioni dell’egoismo”. “‘In Guatemala la vita umana non vale niente’, abbiamo denunciato recentemente noi vescovi del Guatemala. Si tratta di una cultura della morte in cui ciascuno cura i propri interessi”, ha aggiunto il cardinale Quezada Toruño. “Si incrementa il relativismo morale – ha precisato – e l’affanno smisurato del proprio benessere individuale impedisce alla creatura umana di aprirsi al Creatore e ai suoi simili”. Alcuni dei frutti di questa cultura sono “lo sfruttamento dell’uomo, l’indifferenza per la sofferenza altrui, la violazione delle norme morali e dei diritti umani, le molteplici minacce contro la vita umana dal suo concepimento alla fine naturale”. Il porporato ha anche avvertito di come sia importante che gli aiuti non si limitino ai “momenti di grande necessità”, dimenticando poi l’impegno “a promuovere una società aperta alla vita, in cui i bisognosi trovino la loro promozione personale e comunitaria, i deboli godano dell’aiuto che richiedono e tutti vedano rispettati la propria dignità e i propri diritti”. Tutto il panorama tracciato fa della Quaresima “un momento propizio per accogliere l’invito del Signore a fermarci per riflettere”: “Questo – ha concluso il porporato – deve essere un tempo di rinnovamento interiore, di conversione totale, di riconciliazione con Dio e con gli uomini”.  (R.M.)

 

 

E’ ANDREA OLIVERO IL NUOVO PRESIDENTE NAZIONALE

DELLE ASSOCIAZIONI CRISTIANE DEI LAVORATORI ITALIANI.

L’ELEZIONE, IERI A ROMA, DA PARTE DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE ACLI

 

ROMA. = Andrea Olivero, 36 anni, piemontese, è il nuovo presidente nazionale delle ACLI, il dodicesimo nei 60 anni di storia delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. Olivero è stato eletto ieri mattina a Roma dal Consiglio nazionale delle ACLI, con 101 voti favorevoli su un totale di 108. Succede a Luigi Bobba, dimessosi lo scorso 28 febbraio in ragione della sua candidatura al Senato per le prossime elezioni politiche. Nato a Cuneo il 24 febbraio 1970, laureato in Lettere classiche a Torino, insegnante, Olivero rivestiva già dal 2004 la carica di vicepresidente nazionale delle ACLI, con delega al welfare e alle politiche sociali. “Siamo e saremo un’associazione ‘inquieta’ che rischia, che osa il futuro”, ha detto il neo presidente di fronte ai consiglieri nazionali. Olivero ha quindi indicato le priorità del suo impegno in continuità con il suo predecessore: “Le ACLI – ha affermato – seguiteranno ad operare per la difesa dei diritti dei lavoratori, a partire dai precari e dagli immigrati, e per la tutela e la promozione della famiglia, della vita e della pace”. “Continueremo a dare il nostro contributo di idee, proposte e critiche per un diverso modello di welfare – ha aggiunto – ma anche, più in generale, per rigenerare e riformare dal basso, con passione e autonomia, una politica sempre più asfittica e meno credibile”. A tale proposito, Olivero ha ribadito l’impegno delle ACLI per “cancellare con il referendum la cosiddetta ‘devolution’” e l’invito ad aprire una nuova “stagione costituente”. Quanto ai rapporti con il mondo ecclesiale, il presidente ha sintetizzato il carattere dell’identità delle ACLI, nella “piena appartenenza alla Chiesa” e nell’“esercizio consapevole dell’autonomia laicale”. Le ACLI contano complessivamente in Italia circa 870 mila iscritti e 7.800 strutture territoriali, tra cui 4 mila circoli, 104 sedi provinciali e 21 regionali. (R.M.)

 

 

IN CINA, 20 MILIONI DI BAMBINI MIGRANTI NON POSSONO ACCEDERE ALLA SCUOLA PUBBLICA, PERCHÉ NON SONO RICONOSCIUTI COME RESIDENTI: E’ QUANTO EMERGE

DA UNO STUDIO DELL’ACCADEMIA DELLE SCIENZE SOCIALI DI PECHINO

 

PECHINO. = La tragedia dei migranti cinesi ha molte facce: i 130 milioni di lavoratori che devono spostarsi dalle campagne per andare a lavorare nelle grandi città della costa orientale, infatti, portano con loro almeno 20 milioni di bambini sotto i 18 anni, per i quali è difficile, se non impossibile, trovare posto in una scuola. Come riporta l’agenzia AsiaNews, nella sola Pechino vi sono circa 300 mila bambini migranti: il governo municipale riconosce che 70 mila non vanno alla scuola di base e l’80 per cento non frequenta la scuola secondaria superiore. Nel Paese, infatti, ogni cittadino deve avere un certificato di residenza, che può essere “urbano” o “rurale”. Chi ha la residenza “urbana” accede a servizi come la scuola o la sanità, forniti dall’autorità municipale, ma perde i diritti sulla terra e la casa lasciata in campagna. Per cui, molti preferiscono non registrarsi. Nel 2003 – riferisce Han Jialing, docente dell’Accademia delle Scienze sociali di Pechino – uno studio su 31 mila famiglie di migranti abitanti a Pechino ha mostrato che il 20 per cento viveva con 500 yuan al mese e il 43 per cento con un reddito tra 500 e mille yuan. Le tasse scolastiche annue erano di 1.200 yuan per la scuola primaria e di 2 mila yuan per la media inferiore, maggiori di quelle pagate dai residenti. Sempre nel 2003, il governo centrale ha ritenuto che la città dovesse provvedere all’istruzione anche dei bambini migranti ed ha ordinato di eliminare simili discriminazioni. Dal 2004, per disposizione della Commissione municipale di Pechino per l’Educazione, i bambini migranti pagano quanto i residenti: fino a un massimo di 267 yuan a semestre per la scuola primaria e fino a 355 yuan per la scuola media inferiore. Ma nella capitale permangono altre discriminazioni. Così, gli amministratori scolastici del centrale distretto di Doncheng temono che accettare i migranti significhi far diminuire il rendimento scolastico medio, con perdita di finanziamenti. Di fatto, a Pechino tra 80 e 90 mila bambini ancora frequentano scuole private, condotte da volontari o da migranti. Queste scuole, che chiedono tasse di circa 500 yuan l’anno, hanno strutture carenti e minimi mezzi e molte non sono autorizzate e rischiano la chiusura. Gli insegnanti sono sottopagati. Ma solo grazie a loro molti bambini riescono ad avere un’istruzione. (R.M.)

 

 

IN SRILANKA, I RIBELLI DELLE ‘TIGRI PER LA LIBERAZIONE DELLA PATRIA TAMIL’ (LTTE) CONTINUANO A RECLUTARE BAMBINI-SOLDATO: E’ QUANTO HA DICHIARATO L’UNICEF, DENUNCIANDO LA SCOMPARSA , NELL’ULTIMO ANNO, DI 1358 MINORI

 

COLOMBO. = I ribelli delle ‘Tigri per la liberazione della patria Tamil’ (LTTE) starebbero continuando a reclutare bambini-soldato in Sri Lanka: lo sostiene l’UNICEF, il Fondo per l’infanzia delle Nazioni Unite, affermando che dal 31 gennaio 2005 nel Paese sarebbero stati sequestrati 1.358 minori. Come ha spiegato ai media locali Junko Mitani, responsabile della comunicazione per l’UNICEF, l’organismo dell’ONU e la Missione di monitoraggio del processo di pace in corso nell’ex Ceylon continueranno a collaborare per valutare la situazione, condividere informazioni e discutere dei problemi dei bambini, specialmente nelle situazioni più delicate. Tuttavia, l’UNICEF ha respinto come “informazione non verificabile” una notizia circolata di recente sui media, che ha destato scalpore nella popolazione, di due bambini sfuggiti all’LTTE, che avrebbero raccontato di un campo di addestramento in cui un centinaio di minori venivano addestrati. Per il momento, il movimento guerrigliero, attivo dal 1983 nel nord e nell’est e firmatario di un cessate-il-fuoco nel 2002, non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale sui dati forniti dall’UNICEF.

 

 

RECUPERATI DALLA MARINA INDONESIANA GLI ANTICHI TESORI CUSTODITI

NEL RELITTO DI UNA NAVE CINESE AFFONDATA A LARGO DELLA CITTÀ DI PONTIANAK.

I REPERTI ARCHEOLOGICI, RISALENTI ALLA DINASTIA SONG,

ERANO STATI TRAFUGATI DA UNA GRUPPO DI SOMMOZZATORI

 

PONTIANAK. = Operazione antisaccheggio della Marina indonesiana, che ieri ha sequestrato quattro barche e arrestato 26 persone per aver recuperato illegalmente reperti archeologici dal relitto di una antica nave cinese, affondata nel mar della Cina meridionale, a largo della città di Pontianak, sulle coste occidentali dell’isola del Borneo. I reperti comprendono ceramiche risalenti alla dinastia Song (960-1297). Il sequestro avviene pochi giorni dopo l’arresto, a Jakarta, di due sommozzatori stranieri, un francese e un tedesco, accusati di aver sottratto illegalmente tesori del valore di milioni di dollari da una nave affondata a largo delle isole di Java e Bangka Belitung. I due affermano però di aver agito con regolari permessi, informando sia le autorità sia i media della loro spedizione, e che all’Indonesia sarebbe andata la metà dei proventi per la vendita degli oggetti a musei e a privati. I reperti recuperati comprendono ceramiche cinesi risalenti al 907-960 e antichi manufatti provenienti dall’Egitto, scoperta che induce a riconsiderare le rotte commerciali antiche. Se riconosciuti colpevoli, i due sommozzatori stranieri rischiano 10 anni di prigione, secondo una legge indonesiana del 1993 per la tutela dei tesori marini. Le acque territoriali indonesiane sono tra le più ricche al mondo per la presenza di navi commerciali di ogni epoca, dall’antica Cina ai vascelli olandesi e portoghesi. (R.M.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

12 marzo 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

In Iraq, attacchi della guerriglia continuano ad insanguinare Baghdad. Dopo una notte di violenze che hanno fatto almeno 20 morti, questa mattina una serie di attentati ha provocato altre 13 vittime. In questo clima, ha preso il via la 15esima udienza del processo contro Saddam Hussein. Se l’ex presidente iracheno sarà condannato a morte per la strage di Doujail, sarà giustiziato senza attendere gli altri processi. Lo ha affermato il procuratore iracheno del Tribunale Speciale, al Mussawi, alla tv Al Iraqiya, spiegando che il rais e gli altri 7 imputati saranno giustiziati entro 30 giorni dalla ratifica della sentenza. Saddam, sotto processo per l’uccisione di 148 sciiti, è stato incriminato anche per la strage con armi chimiche nel villaggio curdo di Halabja e la repressione contro gli sciiti nel 1991.

 

In Israele si allontana l’ipotesi di un’eventuale alleanza di governo tra il partito centrista Kadima, fondato da Ariel Sharon e dato per favorito alle elezioni del prossimo 28 marzo, e il partito di destra del Likud. In un’intervista al quotidiano Maariv, lo stesso leader del Likud, Benjamin Netanyahu, ha escluso espressamente questa possibilità. Netanyahu ha poi precisato che questa è una conseguenza delle recenti dichiarazioni del premier ad interim, Olmert, che ha previsto un nuovo ritiro unilaterale di Israele in Cisgiordania.

 

L’Iran non considera più l’ipotesi di trasferire in Russia il proprio programma nucleare di arricchimento dell’uranio. Lo ha affermato il portavoce del ministro degli Esteri, Reza Hasefi, specificando che servono due o tre giorni “per vedere cosa succede” in sede del Consiglio di Sicurezza ONU. Comunque, secondo il portavoce, l’Iran non obbedirà “mai” ad un eventuale ordine delle Nazioni Unite. Da parte sua, il ministro degli Esteri iraniano, Mottaki, ha aggiunto che l’Iran potrebbe prendere in considerazione l'ipotesi di uscire dal Trattato di non proliferazione nucleare (TNP).

 

In Afghanistan sono almeno quattro i morti per un attentato suicida avvenuto stamani a Kabul. L’attacco era diretto con molte probabilità contro il presidente del Senato afghano, che comunque è uscito incolume. Le vittime sarebbero due kamikaze e due passanti mentre altri tre civili sarebbero feriti. L’attuale presidente del Senato, eletto a fine dicembre, dirige la Commissione per la riconciliazione nazionale destinata a reintegrare nella società gli ex combattenti taleban. 

 

L’autopsia è il primo passo per accertare le cause della morte dell’ex presidente della Jugoslavia, Milosevic, trovato senza vita ieri nella prigione del Tribunale Internazionale dell’Aja. E’ quanto ribadito in conferenza stampa oggi dal procuratore capo del Tribunale, Carla del Ponte che ha smentito le voci di un possibile avvelenamento o suicidio sostenute dai legali serbi. Il risultato dell’autopsia potrebbe essere divulgato stasera o domani. Ma la morte di Milosevic quali effetti potrebbe avere nel processo per perseguire i responsabili dei crimini nella ex Jugoslavia? Alessandro Guarasci ha raccolto il parere di Federico Eichberg, analista politico ed esperto di questioni balcaniche.

 

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R. – Il processo intentato nei confronti degli esecutori materiali degli ordini presumibilmente di Milosevic, in qualche misura scorre parallelo. Quindi, Radko Mladic, Radovan Karadzic, probabilmente troveranno nei prossimi mesi la loro giusta via per l’Aja non a caso – a mio avviso – in simultanea con l’infittirsi dei “Kosovo status talks”, cioè dei negoziati per lo status del Kosovo, in cui la Serbia si può presentare, finalmente, con una maggiore – come dire – democraticità.

 

D. – Il TPI ha comunque aperto un’inchiesta. C’è qualcuno che già parla di ‘cospirazione’. Lei lo esclude?

 

R. – Curiosamente – certo, parlando di morti non è mai giusto usare questo avverbio – questo evento avviene a meno di una settimana, mi sembra a cinque giorni complessivamente, dalla morte di Babic, l’ex presidente della Repubblica serba di Krajina, in Croazia. Due morti che riguardano due dei principali attori degli inizi del dramma jugoslavo. Karadziv, Mladic e gli altri che dovranno essere alla sbarra all’Aja, speriamo che possano seguire il corso della giustizia.

 

D. – Ad oggi possiamo dire che, comunque, la Serbia si sta avviando a grandi passi verso la democrazia?

 

R. – La Serbia ha compiuto dei passi straordinari, questo le va riconosciuto in termini di efficacia della legge, in termini di accordi internazionali, testimoniati dall’apertura ufficiale – il 10 ottobre scorso – degli studi di fattibilità per l’ingresso nell’Unione Europea. Sicuramente la via di Belgrado sarà segnata da altri due grandi processi in corso, processi – questa volta – politici e cioè l’indipendenza del Kosovo e l’indipendenza del Montenegro.

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Il canadese Philippe Kirsch è stato rieletto presidente della Corte Penale  Internazionale (CPI), per un nuovo mandato di tre anni. La Corte penale internazionale, con sede all’Aja, è stata creata in base a un accordo raggiunto nel luglio 1998, che ha  dato luogo al cosiddetto Statuto di Roma. Insediata nel 2002, è il primo tribunale internazionale permanente incaricato di giudicare i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio. Nell’ottobre scorso, la CPI ha emesso i primi mandati di  cattura, contro cinque responsabili di un movimento di guerriglia attivo in Uganda, l’Esercito di resistenza del Signore (LRA).

 

Giornata di voto in Salvador, dove gli elettori sono chiamati alle urne per rinnovare il Parlamento e i 262 municipi del Paese centro americano. Più di 3 milioni e 800 mila votanti eleggeranno gli 84 deputati dell’Assemblea legislativa e i 20 rappresentanti al Parlamento centro americano (PARLACEN), per un periodo di tre anni. Si profila un testa a testa fra il partito al governo, ARENA (Alianza Republicana Nacionalista) e quello progressista del fronte di liberazione nazionale (FLMN). Nelle parole del presidente, Antonio Elias Saca, la speranza è che almeno 2 milioni di persone si recheranno alle urne. Più di 15 mila poliziotti sorvegliano i 400 seggi sparsi nel Paese, che chiuderanno intorno alle 23 (ora italiana). Il Tribunale Elettorale Supremo prevede di diffondere in tarda notte i primi risultati.

 

Ucciso in Algeria un’ex capo integralista che aveva rinnegato il terrorismo. Il suo nome era Abdelakrim Kaddouri, e compariva tra i fondatori del GSPC (Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento), uno dei maggiori gruppi terroristi che hanno insanguinato l’Algeria, vicino ad Al Qaeda. L’assassinio è avvenuto nella località di Al Ued, ad opera di suoi ex compagni. L’emiro Kaddouri aveva deposto le armi nel 1999 ed era riuscito a convincere molti altri integralisti a scegliere la non violenza, per beneficiare delle misure di clemenza del governo. L’assassinio va interpretato come un chiaro segnale del gruppo armato  di continuare la lotta armata per un’Algeria basata sulla Sharìa, contrapposta alla Carta per la pace e la riconciliazione in vigore dal 28 febbraio. Il gruppo GSPC ha già ucciso altri emiri favorevoli alla Carta.

 

In Italia è unanime la condanna da parte del mondo politico, all’indomani delle violenze scoppiate a Milano durante la manifestazione, organizzata dai Centri sociali, in risposta al corteo della Fiamma Tricolore, svoltosi nel pomeriggio. Circa 200 giovani, molti a volto coperto e con bastoni, si sono scontrati con la polizia che ha usato anche i lacrimogeni. Il bilancio parla di 41 persone fermate, di 12 agenti feriti oltre a diverse auto danneggiate e date alle fiamme. Il ministro dell'Interno, Pisanu, ha affermato: “Ci costituiremo parte civile nel processo contro gli arrestati”

 

In Francia proseguono le critiche al governo dopo l’intervento ieri della Polizia per l’evacuazione dell’Università la Sorbona. Questa sera il premier de Villepin interverrà al telegiornale delle 20 per spiegare al Paese quanto accaduto e per rilanciare il dialogo fra le parti. Il premier, secondo indiscrezioni, non ha intenzione di tornare indietro sul Contratto di prima assunzione, rivolto ai giovani sotto i 26 anni, che prevede la possibilità di licenziamento senza giusta causa entro i primi due anni. Intanto, due manifestazioni di protesta sono programmate per il 16 e il 18 marzo prossimi.

 

Cinquanta persone sono rimaste ferite a Dhaka, capitale del Bangladesh, in scontri tra polizia e attivisti dell’opposizione. Durante una manifestazione a favore delle riforme elettorali, centinaia di persone hanno cercato di raggiungere gli uffici della Commissione elettorale ma le Forze dell’ordine hanno utilizzato gas lacrimogeni e violenti getti d’acqua per disperderli. “La situazione ora è sotto controllo”, ha detto un ufficiale di polizia.

 

I colloqui per porre fine alla disputa tra Etiopia ed Eritrea si sono conclusi con ciò che i diplomatici chiamano “un passo avanti”. L’incontro, tenutosi a Londra tra i rappresentanti dei due Paesi, le Nazioni Unite e l’Unione Europea, ha avuto come risultato l’accettazione, da parte dell’Etiopia, del giudizio del Tribunale internazionale istituito per decidere i confini tra i due Paesi. Un Tribunale creato nel 2002 aveva già stabilito un confine, ma l’Etiopia rifiutò la decisione della Corte. Il conflitto tra i due Paesi, conclusosi formalmente sei anni fa, ha causato 76 mila morti.

 

Al via la visita di cinque giorni della regina Elisabetta II d'Inghilterra in Australia. L’arrivo della sovrana, accompagnata dal principe Filippo, è stato accolto da circa 400 persone all’aeroporto di Faribairn, alla presenza del primo ministro, Howard. La regina mercoledì prossimo inaugurerà i Giochi del Common-wealth a Melbourne.

 

 

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