RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 149  - Testo della trasmissione di lunedì 29 maggio 2006

 

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La storica preghiera di Benedetto XVI ad Auschwitz ha concluso ieri il viaggio in Polonia.

Sono un Papa che proviene dalla Germania – ha detto il Papa - e come  figlio del popolo tedesco imploro  la grazia della riconciliazione da Dio e dagli uomini

 

Ai nostri microfoni Giuseppe Laras e Leone Paserman e il commento del nostro direttore dei programmi, padre Andrej  Koprowski

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La comunità dell’Arca, fondata da Jean Vanier per l’accoglienza dei disabili mentali, una delle realtà ecclesiali che incontreranno Benedetto XVI nel grande raduno di Pentecoste: intervista con Luisa Rossi

 

CHIESA E SOCIETA’:

Appello dalla Cina per “Non dimenticare”: le madri di Piazza Tiananmen invocano in una lettera aperta alle autorità di Pechino di fare finalmente giustizia

 

Incontro a Roma nella Basilica di Sant’Antonio, il 2 giugno, promosso dalla comunità cattolica Shalom, alla vigilia del raduno mondiale con il Papa dei movimenti e nuove comunità, in preparazione alla Pentecoste

 

Nelle scuole pubbliche saudite si insegna ai bambini l’intolleranza religiosa: lo denuncia l’organizzazione “Freedom house” in un rapporto

 

Si è chiuso a Cannes il 59esimo festival del cinema: Ken Loach conquista la Palma d’Oro con il film The wind that shakes the barley

 

In questo mese di maggio, grande partecipazione dei fedeli cattolici della  Cina ai pellegrinaggi nei diversi santuari mariani del Paese asiatico

 

24 ORE NEL MONDO:

Stato di emergenza in Indonesia: i morti per il terremoto sono oltre 5 mila

 

Almeno 50 persone hanno perso la vita in Afghanistan nel raid aereo delle forze della coalizione contro un presunto covo di talebani

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

29 maggio 2006

 

 

LA STORICA PREGHIERA DI BENEDETTO XVI AD AUSCHWITZ

HA CONCLUSO IERI IL VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA.

SONO UN PAPA CHE PROVIENE DALLA GERMANIA – HA DETTO – E COME

FIGLIO DEL POPOLO TEDESCO IMPLORO

LA GRAZIA DELLA RICONCILIAZIONE DA DIO E DAGLI UOMINI

 

Il silenzio e la preghiera hanno dominato la visita di Benedetto XVI nel campo di sterminio nazista di Auschwitz, ieri pomeriggio a conclusione del suo viaggio apostolico in Polonia. “Sono qui come figlio del popolo tedesco” – ha detto il Papa – Dovevo venire”. In serata la cerimonia di congedo all’aeroporto di Cracovia-Balice alla presenza del presidente polacco Lech Kaczynski. Ha ribadito il suo appello alla Polonia perché possa arricchire la famiglia degli Stati europei con il patrimonio della fede. Rimanete “fedeli custodi – ha detto – del deposito cristiano” e trasmettetelo alle generazioni future… vigilate, state saldi nella fede”. In tarda serata il rientro a Roma. Ma sulla visita ad Auschwitz ascoltiamo il servizio del nostro inviato Sergio Centofanti:

 

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“Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio: un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto?”

 

“Ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo – ha detto ancora il Papa - davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte”.

 

Il Papa varca a piedi il cancello di Auschwitz: passa sotto la cinica iscrizione “Arbeit macht frei”, “il lavoro rende liberi”. In silenzio percorre il viale del campo fino al famigerato Blocco 11: ci sono ad attenderlo alcuni sopravvissuti allo sterminio che saluta uno per uno. Prega davanti al Muro della Morte, dove i nazisti hanno fucilato migliaia di detenuti. Si ferma in preghiera nella cella della fame dove è morto San Massimiliano Kolbe. Ad Auschwitz sono morte un milione e mezzo di persone. In tutti i lager nazisti hanno perso la vita 12 milioni di persone, di cui 6 milioni di ebrei e 500 mila zingari.

 

Sono qui – afferma Benedetto XVI – “per implorare la grazia della riconciliazione – da Dio innanzitutto che, solo, può aprire e purificare i nostri cuori; dagli uomini poi che qui hanno sofferto”. Ricorda la visita ad Auschwitz di Giovanni Paolo II nel 1979, quando disse: “Non potevo non venire qui come Papa". Il popolo polacco accanto agli ebrei è stato quello che più ha sofferto in questo luogo:

 

“Papa Giovanni Paolo II era qui come figlio del popolo polacco.  Io sono oggi qui come figlio del popolo tedesco, e proprio per questo devo e posso dire come lui: Non potevo non venire qui. Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco – figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell'onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell'intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio. Sì, non potevo non venire qui”.

 

Parla del mistero del silenzio di Dio. Cita il Salmo 44, il lamento dell'Israele sofferente: “…Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svégliati, perché dormi, Signore?” Ma “noi – ha sottolineato - ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia.… Dobbiamo rimanere con l’umile ma insistente grido verso Dio”, perché vinca il “fango dell'egoismo”, della paura e dell’indifferenza degli uomini:

 

“Emettiamo questo grido davanti a Dio, rivolgiamolo allo stesso nostro cuore, proprio in questa nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure, nella quale sembrano emergere nuovamente dai cuori degli uomini tutte le forze oscure: da una parte, l'abuso del nome di Dio per la giustificazione di una violenza cieca contro persone innocenti; dall'altra, il cinismo che non conosce Dio e che schernisce la fede in Lui”.

 

Il Papa visita il Centro di dialogo e preghiera, un’istituzione cattolica sorta vicino al campo con la collaborazione di alcune associazioni ebraiche ed enumera le molteplici iniziative di riconciliazione che stanno nascendo in questo luogo dell’orrore. Nei pressi del Centro – ricorda – “si svolge la vita nascosta delle suore carmelitane, che sono particolarmente unite al mistero della Croce di Cristo e ricordano a noi la fede dei cristiani, che afferma che Dio stesso è sceso nell’inferno della sofferenza e soffre insieme con noi”. 

 

Poi si è recato nel vicino campo di Birkenau, il cosiddetto Auschwitz 2, che con i suoi 4 forni crematori era una delle più organizzate macchine di morte. Giunge davanti al Monumento internazionale dove ci sono le 22 lapidi che in varie lingue ricordano tutte le vittime del campo di sterminio. Si ferma in preghiera davanti a ciascuna lapide. Nel cielo piovoso di Birkenau si staglia all’improvviso un arcobaleno. Il Papa parla della lapide ebraica:

 

“I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo:Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello’  si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l'annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che restano validi in eterno”.

 

“Con la distruzione d’Israele – nota – volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell’uomo, del forte”.

 

C'è poi la lapide in lingua polacca: “si voleva cancellare” un popolo come “soggetto storico autonomo” per renderlo schiavo, afferma il Papa.  Un'altra lapide è quella scritta nella lingua dei Sinti e dei Rom: “anche qui si voleva far scomparire un intero popolo … annoverato tra gli elementi inutili della storia universale”.

 

“Poi c'è la lapide in russo – ha proseguito Benedetto XVI - che evoca l'immenso numero delle vite sacrificate tra i soldati russi nello scontro con il regime del terrore nazionalsocialista; al contempo, però – ha sottolineato - ci fa riflettere sul tragico duplice significato della loro missione: liberando i popoli da una dittatura, dovevano servire anche a sottomettere gli stessi popoli ad una nuova dittatura, quella di Stalin e dell'ideologia comunista”.  Poi c’è la lapide tedesca:

 

“Ho sentito come intimo dovere fermarmi in modo particolare anche davanti alla lapide in lingua tedesca. Da lì emerge davanti a noi il volto di Edith Stein, Theresia Benedicta a Cruce: ebrea e tedesca scomparsa, insieme con la sorella, nell'orrore della notte del campo di concentramento tedesco-nazista; come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso”.

 

I tedeschi, che vennero portati ad Auschwitz-Birkenau e che qui sono morti, erano visti come il rifiuto della nazione. “Ora però – afferma il Papa - noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia”. Queste lapidi – afferma ancora il Pontefice - “non vogliono provocare in noi l'odio: ci dimostrano anzi quanto sia terribile l'opera dell'odio e vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male”.

 

Da Birkenau si elevano preghiere in varie lingue: rom, russo, polacco, ebraico, inglese. Risuona il Kaddish, canto ebraico per il lutto. Il Papa innalza a Dio una preghiera in tedesco:

 

HERR, DU BIST DER GOTT DES FRIEDENS…

         “Signore, tu sei il Dio della pace, tu sei la pace stessa;

un cuore che cerca il conflitto non ti può capire

una mente orientata alla violenza non ti può comprendere.

Concedi che tutti coloro che vivono nella concordia perseverino nella pace,

e tutti coloro che sono divisi si riconcilino”.      

 

(Canto) 

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Sui tanti significati della visita apostolica di Benedetto XVI, riflettono con noi esponenti del mondo ebraico e il nostro direttore dei programmi, padre Andrzej Koprowski, che è stato al seguito del Papa

 

Per avere il punto di vista della comunità ebraica, Tiziana Campisi ha raggiunto telefonicamente Giuseppe Laras, presidente dei rabbini d’Italia, e Leone Paserman, presidente della comunità ebraica di Roma. Ascoltiamo per primo Giuseppe Laras:

 

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R. – E’ una visita che vuole essere un monito all’umanità e che vuole essere anche una parola di speranza e di conforto per tutti coloro che hanno sofferto. Ho letto nelle parole di Benedetto XVI questa sofferenza per quanto accaduto, per le responsabilità del nazismo, e in una certa parte anche del popolo tedesco.

 

D. – Il Papa ha detto che in un luogo come Auschwitz le parole vengono meno, può restare soltanto uno sbigottito silenzio che è un grido verso Dio, aggiungendo poi che bisogna interrogarsi anche sul silenzio dell’uomo. Ma il silenzio di Dio, oggi, quali risposte trova?

 

R. – Prima di interrogarci sul silenzio di Dio bisogna interrogarsi sul silenzio dell’uomo, cioè: dov’era l’uomo ad Auschwitz? In fondo l’uomo è una creatura che porta impressa l’immagine di Dio. E’ una creatura dotata di libertà. Dobbiamo sicuramente considerare che l’uomo non ha esercitato in maniera degna il potere della libertà che gli è stato dato da Dio. Quindi prima di porsi una domanda teologica, forse conviene porsi una domanda etica o sociologica.

 

D. – Dove sono state spezzate tante vite, nel 1992 è nato un centro di dialogo e di preghiera. Quali altri frutti possono nascere dal dolore di Auschwitz?

 

R. - La consapevolezza di quello che è accaduto e l’impegno ad affermare “mai più”. Quel luogo di incontro è un luogo in cui ognuno di noi, a qualunque fede religiosa appartenga, può trovare la forza e lo stimolo per guardare verso traguardi degni dell’uomo.

 

D. - Ma ascoltiamo, sulla scelta di Benedetto XVI di recarsi ai campi di Auschwitz e Birkenau, il parere di Leone Paserman, presidente della comunità ebraica di Roma…

 

R. - E’ un riconoscimento dell’orrore dell’Olocausto. Lo stesso Papa ha voluto sottolineare che non poteva, come tedesco, non venire ad Auschwitz.

 

D. – Che cosa l’ha più colpita nel vedere Benedetto XVI ad Auschwitz?

 

R. - Quando è entrato dal cancello principale. Il volto teso, tirato, solo. E a distanza di alcuni metri, quel piccolo seguito che lo accompagnava.

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Per una riflessione sui significati della visita per la società polacca, per i giovani, e non solo polacchi, e per un commento allo storico momento vissuto da Benedetto XVI al campo di concentramento di Auschvitz- Birkenau, ascoltiamo, nell’intervista di Roberto Piermarini, il nostro direttore dei programmi, padre Andrzej Koprowski, che è stato al seguito del Papa:

 

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R. - La visita del Santo Padre Benedetto XVI in Polonia è stata una stupenda esperienza di fede. La semplicità e la trasparenza evangelica del Papa, il suo sforzo di avvicinare la persona di Gesù Cristo crocifisso e risorto alla comunità missionaria della Chiesa ha avuto una magnifica risposta da parte della popolazione polacca. Nella vita quotidiana la società è divisa, scossa, amareggiata per le difficoltà causate dalle profonde trasformazioni socio-politiche. Ma questa visita ha dimostrato che la società polacca, specialmente i giovani, cerca validi punti di riferimento. Cerca come ‘costruire la casa della propria vita’, nella quale il pane quotidiano sia l’amore, il perdono, la necessità di comprensione; nella quale la verità sia una sorgente da cui sgorga la pace del cuore. Di questa visita rimangono gli applausi prolungati della folla. Nell’incontro con i giovani, per un momento ho pensato che il Papa non riuscisse a pronunciare il discorso. Ma quando ha iniziato a parlare, c’è stato un silenzio assoluto dei circa 400.000 giovani. Da Varsavia fino alla partenza da Cracovia, il suo passaggio è stato salutato da migliaia di striscioni e cartelli variopinti realizzati dagli stessi giovani con scritte in polacco, ma anche in tedesco. E, infine, di questo pellegrinaggio in terra polacca rimane il clima di profondo silenzio e preghiera sui drammi del XX secolo, ad Auschwitz e poi a Birkenau: una tappa storica, accompagnata da una pioggia insistente che, però, con l’arrivo di qualche squarcio di sole  ha lasciato il posto all’arcobaleno che si stagliava nel cielo.

 

D. - Con quale spirito il Papa ha lasciato il campo di Auschwitz e Birkenau?

 

R. - Non so con quale spirito il Papa abbia lasciato Auschwitz, ma la visita è stata un’esperienza profonda per tutti. Certamente tutti i presenti sono stati colpiti dalla forza spirituale e dalla chiarezza del suo pensiero. Le lapidi commemorative parlano del dolore umano, del cinismo di quel potere che trattava gli uomini come oggetti, non riconoscendoli come persone create ad immagine di Dio. Un regime che voleva schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall’elenco dei popoli della terra, perché quel popolo costituisce una testimonianza di quel Dio che ha parlato all’uomo e lo ha riscattato. Con la distruzione di Israele – ha detto il Papa - volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice su cui si basa la nostra fede cristiana. Sulla lapide in lingua polacca il Papa ha commentato che si voleva eliminare l’elite culturale e cancellarne così il popolo come soggetto storico autonomo, per piegarlo, nella misura in cui continuava ad esistere, a un popolo di schiavi. Su un’altra lapide in lingua dei Sinti e dei Rom, ha ricordato il popolo considerato tra gli elementi inutili della storia universale. Sulla lapide in russo, ha evocato l’immenso numero delle vite sacrificate tra i soldati sovietici nello scontro con il regime nazionalsocialista: un dramma della storia che liberando i popoli da una dittatura feroce ha poi servito un altro regime. Sulla lapide tedesca, Benedetto XVI ha ricordato il volto di Edith Stein e di tanti altri martiri, che erano visti come il rifiuto della nazione. In realtà sono davvero loro i testimoni della verità e del bene, che non è mai tramontata nel popolo tedesco, nonostante la barbarie nazista.

 

D. - Quale messaggio ha lasciato il Papa alla Chiesa polacca?

 

R. - Il messaggio del Santo Padre è stato molto semplice: si deve essere consapevoli del presente ma anche dei peccati del passato. Cristo ci ha dato la missione universale di guardare il futuro. Si deve costruire la nostra casa personale e sociale sulla roccia; su Gesù Cristo, crocifisso e risorto, che è stato rifiutato, ignorato, deriso, proclamato re. Oggi anche in Polonia, si vuole accantonare il suo messaggio di salvezza nelripostiglio’ della sfera privata senza parlarne ad alta voce o in pubblico. Se nella costruzione della casa della vostra vita cristiana incontrate coloro che disprezzano il fondamento del messaggio di Gesù - ha detto il Papa - non vi scoraggiate! Costruire sulla roccia significa costruire con saggezza. Significa anche costruire su Pietro e con Pietro, nella Chiesa, nella comunità fondata sulla persona di Gesù. Ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ma anche ai laici cristiani, Benedetto XVI ha ricordato la responsabilità di aiutare le altre società e le altre Chiese particolari, per portare aiuto ai giovani polacchi che, a causa della forte disoccupazione, lasciano il Paese e cercano lavoro altrove. Il Santo Padre ha portato anche l’esperienza della gioia della fede, la gioia di costituire la comunità di credenti.

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 “Giorni indimenticabili di arricchimento nella fede”: di ritorno a Roma, il Papa invia telegrammi ai capi di Stato dei Paesi sorvolati, che invita a mantenere salda la custodia dei valori cristiani

 

Di ritorno in Vaticano, Benedetto XVI ha inviato messaggi di saluto a tutti i Capi di Stato dei Paesi sorvolati da Cracovia a Roma. Il Papa si rivolge “con cuore grato” al presidente della Repubblica polacca, Lech Kaczynski. “Sono stati giorni indimenticabili - scrive - di incontro con la patria e con la nazione di Giovanni Paolo II, un tempo di vicendevole arricchimento e di consolidamento nella fede”. E conclude: “Affido i frutti di questo viaggio al buon Dio e auguro alla nazione polacca ogni prosperità”. Nel messaggio al presidente della Slovacchia, Ivan Gasparovic, il Papa implora la benedizione divina sul popolo slovacco. Così anche nel telegramma al presidente federale dell’Austria, Heinz Fischer.

 

“Fortemente impressionato e grato a Dio per la ricca esperienza di questi giorni - scrive il Pontefice al presidente della Repubblica di Slovenia, Janez Drnovsek - auguro anche a lei e ai suoi concittadini di attingere sempre alle fonti della nobile tradizione umanistico-cristiana ispirazione e forza per il futuro”. Al presidente della Croazia, Stjepan Mesic, il Pontefice invia “un cordiale saluto unito all'assicurazione di uno speciale ricordo nella preghiera perché la Croazia si mantenga salda nella custodia dei valori cristiani, nella concordia e nella fraterna convivenza fra tutti i suoi abitanti, sui quali invoco una speciale benedizione”. Infine, al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, il Papa scrive: “Desidero rendere grazie a Dio per l'opportunità che mi ha concesso di incontrare le autorità e la gente di una nazione europea consapevolmente fiera delle proprie radici cristiane”. (A.G.)

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Il dettagliato resoconto del viaggio del Papa in Polonia. I servizi dell'inviato Giampaolo Mattei. La rassegna della stampa internazionale. 

 

Servizio estero - In evidenza l'Indonesia, dove ha assunto dimensioni sempre più devastanti il terremoto di sabato.

 

Servizio culturale - Un articolo di Livia Possenti dal titolo "Opere commissionate come souvenirs per non dimenticare le struggenti vedute del Bel Paese": un volume sulla pittura di paesaggio in Italia nel XVIII secolo.

 

Servizio italiano - In rilievo il tema dei conti pubblici.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

29 maggio 2006

 

 

PER LA NOSTRA RASSEGNA SUI MOVIMENTI IN VISTA DELL’APPUNTAMENTO CON IL PAPA ALLA PENTECOSTE, ABBIAMO OGGI LA COMUNITA’ DELL’ARCA,

FONDATA DA JEAN VANIER PER L’ACCOGLIENZA DEI DISABILI MENTALI

- Intervista con Luisa Rossi -

 

Reinserire le persone affette da handicap mentali in una nuova famiglia, “una comunità con relazioni amichevoli e stabili”. Ha questo desiderio nel cuore Jean Vanier quando nel 1964 si stabilisce con due disabili mentali nella casa di un piccolo villaggio francese, a nord di Parigi. Nasce così la Comunità dell’Arca che, in oltre 40 anni di impegno, ha riprodotto questo esempio di solidarietà in 30 nazioni e 110 comunità. La Comunità dell’Arca è una delle realtà ecclesiali che saranno in Piazza San Pietro con il Papa per il grande incontro nella veglia di Pentecoste. Oggi, dunque, proseguiamo la carrellata di interviste con i responsabili dei vari movimenti dando la parola a Luisa Rossi, direttrice della Comunità “Il Chicco”, realtà italiana che fa parte della Federazione internazionale dell’Arca:

 

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R. – Alla vigilia dell’incontro con Benedetto XVI, c’è in me e in noi tanta gioia nel vedere che un cammino è stato fatto dal primo raduno, che esiste una comunione sempre più forte tra i vari movimenti, le varie realtà, che c’è tanta bella vitalità.

 

D. – Lei parlava di crescita di comunione tra i movimenti: quali relazioni si sono sviluppate tra la vostra realtà e gli altri movimenti ecclesiali in questi 8 anni dal primo incontro?

 

R. – L’Arca è una Federazione internazionale e, dunque, per ogni comunità ci sono certamente dei legami particolari all’interno del rispettivo contesto di inserimento. Qui, per quanto ci riguarda, penso ad alcuni movimenti presenti intorno a noi – come i Focolarini oppure Sant’Egidio - realtà con le quali abbiamo legami magari più stretti: per noi è importante avvertire che si è vicini e che si porta avanti con loro un discorso comune rispettando le realtà di ognuno, i rispettivi carismi che sono comunque abbastanza diversi.

 

D. – In che modo si esprime per voi la “bellezza di essere cristiani e la gioia di comunicarlo”, come recita il titolo del congresso di Rocca di Papa?

 

R. - La bellezza di essere cristiani penso consista proprio nello sguardo degli uni verso gli altri. Noi viviamo e operiamo con persone che in genere non sono viste come molto “belle”. L’approccio di una persona con un handicap mentale spesso disturba, perché non sono persone fisicamente molto armoniose. Penso che proprio questo sguardo del Vangelo, questo sguardo della persona amata, faccia scoprire una bellezza che va al di là delle apparenze. Ciò è possibile grazie alla scoperta d’amore che si fa con la fede cristiana. Penso quindi che la nostra forza sia quella di trasmettere questo amore verso tutte le persone, al di là delle loro apparenze, e di poter dire che c’è una bellezza interiore, una bellezza del cuore. Cerchiamo di comunicare questo, semplicemente, attraverso una vita vissuta, attraverso la gioia di stare insieme al di là delle diversità e delle cose che ci possono disturbare.

 

D. – Qual è oggi, secondo lei, il “cuore” dell’esperienza di Jean Vanier?

 

R. – Fondamentalmente, l’accoglienza dell’altro diverso, della persona fragile. Secondo me, nel messaggio di Jean Vanier c’è che questa accoglienza della diversità che è qualcosa che ci aiuta ad essere costruttori di pace.

 

D. – Quando si partecipa ad un incontro, come quello di Pentecoste, si porta un’esperienza, ma si pensa anche di ricevere qualcosa. Cosa pensa di ricevere la Comunità del Chicco?

 

R. – Spero la forza per continuare a vivere ciò che stiamo vivendo.

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CHIESA E SOCIETA’

29 maggio 2006

 

 

APPELLO DALLA CINA PER “NON DIMENTICARE”: LE MADRI DI PIAZZA TIANANMEN

INVOCANO IN UNA LETTERA APERTA ALLE AUTORITA’ DI PECHINO DI FARE FINALMENTE GIUSTIZIA SU QUEI TRAGICI EVENTI DEL 3-4 GIUGNO DEL 1989 E DI SMETTERLA

DI PERSEGUITARE ANCORA OGGI LE VITTIME DELLA REPRESSIONE

 

PECHINO. = Le Madri di Piazza Tiananmen rinnovano, in una lettera aperta resa nota oggi dal gruppo umanitario Human Rights in China, le loro richieste alle autorità cinesi: rivedere il giudizio di condanna del movimento studentesco conclusosi col massacro del 3-4 giugno 1989; aprire un'inchiesta ufficiale e punire i colpevoli; risarcire ed assistere le famiglie delle vittime. L'Associazione delle Madri di Piazza Tiananmen è stata fondata nel 1991 da Ding Zilin, una professoressa universitaria in pensione il cui figlio Jiang Jielian, che allora aveva 17 anni, fu ucciso durante quei tragici eventi. Nella prima parte del documento le madri - che sono oltre cento - ricostruiscono gli avvenimenti di quella notte. Il gruppo ha

identificato 186 persone che sono state uccise e 70 che sono state ferite. Si tratta ancora - sottolineano le “madri” - di una ''piccola percentuale” delle persone che persero la vita che, secondo le stime, sarebbero state centinaia. La seconda parte della lettera è dedicata ad illustrare il metodo di protesta non violenta scelto dal gruppo e i suoi slogan: “dire sempre la verità”, “non dimenticare mai”, “cercare di ottenere giustizia” e “fare appello alle coscienze”. Nella terza parte del documento le “madri” ricordano che i loro “principi basilari” sono quello di “preservare la dignità delle vittime” e quello di “rifiutare l'evasione dei principi della legalità, con soluzioni amministrative e trattative private”. Inoltre, il gruppo presenta alle autorità cinesi una serie di richieste immediate: mettere fine a tutte le attività di controllo e di limitazione della libertà delle vittime; permettere che le famiglie commemorino i loro cari scomparsi; mettere fine alle interferenze con gli aiuti che vengono sia dalla Cina che dall’estero; fornire aiuto umanitario alle persone che continuano a soffrire psicologicamente o finanziariamente a causa della repressione; rimuovere le discriminazioni politiche e sociali contro le vittime; restituire i diritti e il benessere fisico delle persone detenute, imprigionate o disoccupate a causa della loro partecipazione al movimento democratico del 1989.  Fino ad oggi le autorità non hanno mai risposto alle “madri” e, in ogni anniversario del massacro, le esponenti del gruppo e altri dissidenti vengono messi agli arresti domiciliari di fatto. Nel suo giudizio ufficiale, il Partito Comunista Cinese ha definito il movimento studentesco del 1989 un “moto controrivoluzionario”. (R.G.)

 

 

INCONTRO A ROMA NELLA BASILICA DI SANT’ANTONIO, IL 2 GIUGNO ALLE ORE 17,

PROMOSSO DALLA COMUNITÀ CATTOLICA SHALOM,

ALLA VIGILIA DEL RADUNO MONDIALE CON IL PAPA DEI MOVIMENTI

E NUOVE COMUNITA’, IN PREPARAZIONE ALLA PENTECOSTE

- A cura di Giovanni Peduto -

 

ROMA. = Un grande incontro preparato dalla Comunità Cattolica Shalom si svolgerà sul tema “Gesù soffiò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22) il prossimo 2 giugno, presso la basilica romana di Sant’Antonio in via Merulana, alle ore 17. L’evento s’inserisce nel contesto del grande raduno mondiale, per la Pentecoste, dei movimenti e delle nuove Comunità con il Benedetto XVI. La Comunità Cattolica Shalom è un’associazione privata di fedeli, nata in Brasile, fondata da un laico, Moysés Louro de Azevedo Filho, nel 1982, con un carisma proprio vincolato all’annuncio della Pace, realizzato tramite attività di evangelizzazione, come gruppi di preghiera, corsi di formazione sulla dottrina della Chiesa, ritiri e concerti. Sulla stessa scia del carisma i membri svolgono lavori di promozione umana diretti ai tossicodipendenti, bambini di strada, oltre all’assistenza caritatevole a famiglie bisognose e l’adozione a distanza. I suoi missionari sono presenti in quasi tutte le principali città del Brasile ed anche in Uruguay, Canada, Israele, Svizzera, Inghilterra, Francia e Italia. Il programma di venerdì pomeriggio prevede l’Adorazione Eucaristica, la Santa Messa, testimonianze, un Concerto con artisti brasiliani e momenti di convivialità. Saranno presenti il fondatore della Comunità e la sua cofondatrice, insieme a un gruppo di pellegrini dal Brasile e da tutta l’Europa. L’evento vedrà anche la partecipazione del prof. Gusmán Carriquiry, sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici. 

 

 

IN QUESTO MESE DI MAGGIO, GRANDE PARTECIPAZIONE DEI

 FEDELI CATTOLICI DELLA CINA AI PELLEGRINAGGI NEI DIVERSI

SANTUARI MARIANI DEL PAESE ASIATICO

 

PECHINO.= Durante il mese di maggio, che la devozione popolare dedica ad onorare in modo particolare la Vergine Maria, i cattolici cinesi si sono mobilitati in tutto il Paese per compiere pellegrinaggi a diversi Santuari mariani. E’ quanto sottolinea l’agenzia Fides, che spiega come diverse parrocchie insieme a vari movimenti e gruppi cattolici, si siano messi in cammino per rendere omaggio alla Madre Celeste. Sabato 13 maggio, riferisce Fides, è stato uno dei momenti di maggiore affluenza. Come raccontano i sacerdoti responsabili di diversi Santuari mariani, “tutte le chiese intorno ai santuari sono rimaste aperte per soddisfare la richiesta continua dei diversi gruppi per la celebrazione eucaristica. Il suono solenne delle campane di tutte le chiese risuonava dalla cima della montagna alla pianura. I canti delle celebrazioni non hanno mai smesso... I fedeli stessi sono stati fortificati, i neo battezzati sono maturati, i non cristiani sono rimasti colpiti”. Secondo un sondaggio non completo, solo il giorno della festa della Madonna, 13 maggio, il Santuario mariano di “Our Lady of the Peak” ha accolto oltre 5.000 fedeli e più di mille visitatori da tutte le parti del Paese. Il Santuario di Ban Si Shan dedicato alla Madonna della Grazie, nella diocesi di Tai Yuan, provincia di Shan Xi, è stato visitato da diverse migliaia di fedeli che hanno celebrato la Via Crucis e animato momenti di preghiera. Tanti gruppi di pellegrini si sono radunati sotto la grande statua di bronzo di Gesù, alta 8 metri e pesante 8 tonnellate, per condividere l’esperienza della loro fede. Nel 1987 sono state ricostruite la chiesa e la strada che porta verso il santuario, situato sulla cima della montagna. La chiesa è stata consacrata e aperta nella solennità dell’Assunzione della Vergine dello stesso anno. Il Santuario della Montagna della Croce, un piccolo Santuario che si trova nella diocesi di Wei Nan della provincia di Shaan Xi, accoglie oltre 10.000 pellegrini l’anno. (A.G.)

 

 

NELLE SCUOLE PUBBLICHE SAUDITE SI INSEGNA AI BAMBINI L’INTOLLERANZA RELIGIOSA:

LO DENUNCIA L’ORGANIZZAZIONE  “FREEDOM HOUSE” IN UN RAPPORTO, PUBBLICATO

NEGLI STATI UNITI, SULL’INSEGNAMENTO RELIGIOSO NEL PAESE ARABO

 

WASHINGTON. = “Il curriculum dell'intolleranza”: è il titolo provocatorio di un rapporto pubblicato negli Stati Uniti dall’Organizzazione Freedom House, che accusa l'Arabia Saudita di instillare nei bambini “l'odio per i cristiani, gli ebrei, i politeisti e i non credenti”, inclusi tra questi ultimi i musulmani che non aderiscono alla setta wahhabita, che domina il Paese arabo. “Ciò che viene insegnato oggi nelle scuole pubbliche saudite sui rapporti tra musulmani e altre religioni, avvelenerà le menti di una nuova generazione di sauditi”: denuncia Nina Shea, curatrice dello studio sull’insegnamento religioso in Arabia Saudita. Nonostante anni di dibattito e di interventi da parte del Governo di Riad, i libri di testo utilizzati in Arabia Saudita – secondo il rapporto - continuano a propagandare l'odio per le altre religioni. Freedom House ha analizzato 12 testi ufficiali dei corsi scolastici di religione approvati dal ministero dell'Educazione saudita ed ha indicato una lunga serie di passaggi che sollevano preoccupazioni. In prima elementare, ai bambini viene insegnato  che “ogni altra religione che non sia l'Islam è falsa” e l'insegnante deve chiedere ai bambini di fornire “esempi di religioni false, come quelle ebrea, cristiana ecc.”. In quinta elementare, si insegna che “è proibito per un musulmano essere vero amico con qualcuno che non crede in Dio e nel suo profeta, o qualcuno che combatte la religione dell'Islam”. Nei libri di testo – rivela inoltre lo studio - vengono avvalorate teorie cospirative che accusano massoneria, Lions e Rotary Club di tramare contro i musulmani. (R.G.)

 

 

PREMIATO A CANNES L’IMPEGNO CIVILE E MORALE: SENZA GRANDI PICCHI DI EMOZIONE

SI E’ CHIUSO  IL 59 FESTIVAL DEL CINEMA: KEN LOACH HA CONQUISTATO

LA PALMA D’ORO CON IL FILM THE WIND THAT SHAKES THE BARLEY

- A cura di Luciano Barisone -

 

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CANNES. = Un verdetto sorprendente corona il film di Ken Loach The wind that shakes the Barley vincitore del 59° Festival di Cannes. Il risultato forse sconcerta chi vedeva in Volver di Pedro Almodovar il sicuro favorito alla vittoria finale, ma è sicuramente in linea con la tendenza emersa nei film di questa edizione: un’attenzione costante all’uomo, alla sua coscienza, alla sua responsabilità rispetto al mondo contemporaneo. Se dunque per Loach parlare della storia di ieri, della lotta dei ribelli irlandesi contro la dura colonizzazione inglese, significa riflettere sull’oggi, sulle tante situazioni di guerra e di oppressione disseminate sul pianeta, non diversamente da lui si comportano gli altri vincitori, da Bruno Dumont che con Flandres, Gran Premio della Giuria, ci racconta della difficile strada della grazia in un mondo in preda agli istinti primordiali, a Alejándro Gonzáles Iñarritu, che con Babel, Premio alla Regia, attraverso tre storie e un abile congegno di messa in scena lega le differenti anime del mondo. Almodovar si deve accontentare - e non ci sembra poco del Premio alla Sceneggiatura e di quello per l’Interpretazione Femminile consegnato alle bravissime attrici del film fra cui Penélope Cruz e Carmen Maura. Un altro riconoscimento collettivo è andato agli attori di Indigenes di Rachid Bouchareb, che con impegno ed emozione ci hanno fatto rivivere l’epopea delle truppe africane durante la seconda Guerra Mondiale. A concludere il Palmarès ufficiale, il Premio della Giuria andato all’inglese Red road di Andrea Arnold e la Caméra d’Or, che premia la Miglior Opera Prima e che è andato al rumeno 12.08 a l’est de Bucarest di Corneliu Porumboiu. Ma anche due film che avevano destato sensazione non sono rimasti a bocca asciutta. Marie Antoinette di Sofia Coppola ha vinto il Grand Prix de l’Education Nationale, mentre Bled number one di Rabah Ameur-Zaïmeche si è assicurato il Prix de la Jeunesse. Complessivamente, in un’edizione che non ha avuto grandi picchi di emozione, ci sembra che i verdetti siano corretti, anche perché segnalano per una volta opere di sicuro impegno, civile e morale.

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24 ORE NEL MONDO

29 maggio 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Valentina Corsaletti -

 

In Indonesia, il governo ha proclamato lo stato di emergenza per un periodo di tre mesi e annunciato che è salito ad oltre 5 mila il bilancio, ancora provvisorio, dei morti in seguito al disastroso terremoto che, sabato scorso, ha colpito l’isola di Giava. La tragedia riguarda anche migliaia di sopravvissuti: secondo l’UNICEF, i feriti sono più di 20 mila e i senza tetto almeno 100 mila. Per far fronte a questa emergenza, il governo di Giacarta ha ufficialmente lanciato una richiesta di aiuto. La comunità internazionale si è subito mobilitata: la Chiesa, l’Unione Europea, numerosi organizzazioni internazionali e vari governi hanno approvato lo stanziamento di fondi e il Programma alimentare mondiale dell’ONU ha già iniziato, stamani, la distribuzione di aiuti alimentari. Per oggi pomeriggio è stata fissata inoltre, a Ginevra, una riunione delle agenzie delle Nazioni Unite e della Croce rossa internazionale per organizzare gli interventi di assistenza. Nella vasta zona terremotata operano i missionari saveriani. Giancarlo La Vella ha raggiunto telefonicamente a Giakarta padre Silvano Laurenzi, che è in contatto con i confratelli di Yogyakarta, forse il centro abitato più colpito dal sisma:

 

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R. – Noi qui a Giacarta stiamo seguendo la situazione soprattutto attraverso le famiglie. A Giacarta vivono molte persone originarie dell’isola di Giava e di Yogyakarta. Per cui, i contatti sono continui; molti sono partiti anche dalla nostra parrocchia, cercano di tornare laggiù ma i collegamenti sono difficili. Nei pressi della città, sono anche crollati dei ponti. La situazione è sempre più drammatica. Man mano che trascorre il tempo, si viene a conoscere la portata della distruzione anche perché a Yogyakarta, una città antica, le costruzioni non sono proprio antisismiche e sono di emergenza, spesso precarie. Sappiamo che ci sono molte vittime, sappiamo  che alcune chiese sono andate distrutte, ma i dettagli ancora non ci arrivano. C’è arrivata una lettera ufficiale dalla Curia di Giakarta: l’arcivescovo chiede per domenica prossima di fare una seconda raccolta in chiesa e di mobilitare tutti i giovani e le organizzazioni per raccogliere aiuti; servono anche materiali, medicine, vestiario per questa povera gente. Vicino a Yogyakarta ci sono dei villaggi in cui non sono arrivati soccorsi. La popolazione ha bisogno, soprattutto, di coperte e di tende; gli ospedali sono strapieni. Nei villaggi lontani dalla città la gente è abbandonata a se stessa.

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Continua ad essere tesa la situazione a Timor Est: nella capitale, le truppe australiane chiamate in soccorso dal governo locale, sono riuscite a ristabilire l’ordine ma nel Paese aumentano le pressioni per la richiesta di dimissioni del primo ministro. Una sua decisione presa nel mese di marzo, quella di licenziare un terzo dei soldati dell’esercito, ha innescato forti polemiche sfociate, negli ultimi giorni, in scontri e violenze. Si stima che, nell’ultima settimana, siano morte almeno 27 persone ed oltre 100 mila abbiano lasciato le loro case. Molti sfollati si sono rifugiati in chiese, scuole e campi profughi improvvisati.

 

In Afghanistan, una moschea nella turbolenta provincia meridionale di Helmand è stata bombardata da aerei delle forze della coalizione. L’azione, secondo fonti locali, ha causato la morte di almeno 50 persone. Il vicegovernatore della provincia ha dichiarato che tra le vittime ci sarebbero diversi “leader talebani”. A Kabul, intanto, soldati americani hanno aperto il fuoco contro una folla in rivolta in seguito ad un incidente provocato da un convoglio statunitense e costato la vita a tre persone. Nella sparatoria, sono rimasti uccisi almeno 7 civili.

 

In Iraq, una nuova ondata di violenze ha causato oltre 30 morti: almeno 11 operai sono rimasti uccisi, a Baghdad, per l’esplosione di una bomba. Sempre nella capitale, altre due distinte azioni terroristiche hanno causato 15 morti. Almeno tre persone sono rimaste uccise, poi, per un attacco kamikaze contro un convoglio di agenti iracheni. La polizia ha annunciato, intanto, che a Baghdad è stato arrestato uno stretto collaboratore del capo di Al Qaeda in Iraq, Al Zarqawi.

 

L’Iran “non rinuncerà mai all’arricchimento dell'uranio sul proprio territorio” ed ogni notizia riguardante il trasferimento di questa attività in Russia non è fondata. Lo ha ribadito il portavoce del governo di Teheran assicurando che il processo di arricchimento dell’uranio sarà utilizzato solo per produrre energia. Il ministro degli Esteri russo ha dichiarato, intanto, che Russia, Stati Uniti e Cina sono pronti a garantire il diritto dell’Iran a produrre energia nucleare, ma solo a scopi civili e a fronte dell’adempimento  delle richieste avanzate dall'Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA).

 

Nei Territori palestinesi, Hamas ha respinto l’ipotesi di un referendum, avanzata dal presidente Abu Mazen, su un piano per l’assetto del futuro stato palestinese che prevede, implicitamente, il riconoscimento di Israele. Il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP) ha fatto sapere, intanto, che è disposto ad entrare nel governo palestinese guidato da Hamas.

 

In Colombia, Alvaro Uribe, si è riconfermato nelle presidenziali di ieri, capo di Stato della Colombia, con un ampio vantaggio sul suo principale sfidante, il candidato di sinistra, Carlos Gaviria. Uribe ha conquistato al primo turno il suo secondo mandato con il 62,2 per cento dei voti. Ringraziando i propri elettori, ha dichiarato di voler lavorare “per la costruzione di una nazione pluralista, multicolore, in un dibattito permanente, ma in una permanente costruzione di consenso”. La principale sfida, indicata da Uribe, è quella di far progredire il Paese arginando povertà, disoccupazione e sottosviluppo. L’economia colombiana ha fatto registrare, lo scorso anno, una crescita del 5,3 per cento ma rimangono ancora forti squilibri.

 

In Italia, si chiuderanno alle 15 i seggi per il rinnovo delle amministrazioni in 1259 comuni e otto province. Secondo i dati forniti dal Viminale, l’affluenza alle urne ha subito un calo rispetto alle elezioni di cinque anni fa, che si erano svolte in un’unica giornata. Alle ore 22.00 di ieri sera, la percentuale dei votanti è stata del 52 per cento per le comunali, e del 42 per cento per le provinciali. Anche in Sicilia, dove le operazioni di voto si sono concluse ieri sera, si è registrato, con il 59,7 per cento, un netto calo di votanti.

 

Rimaniamo in Italia, dove è stata sgominata, a Trieste, un’organizzazione criminale bulgara attiva anche in altri Paesi dell’Unione Europea. I carabinieri hanno arrestato 41 cittadini bulgari: sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, all’immigrazione clandestina e al traffico di stupefacenti. Secondo le indagini, i minori, venduti da famiglie povere della Bulgaria, venivano impiegati per furti e in altre attività illecite. Sono anche stati accertati casi di sfruttamento sessuale.

 

L’influenza aviaria ha provocato la morte di un’altra persona in Indonesia. Lo ha reso noto l’Organizzazione mondiale della Sanità precisando che si tratta della 36.ma vittima uccisa, nel Paese asiatico, dal virus H5n1.

 

 

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