RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 149 - Testo della trasmissione di lunedì 29 maggio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
La
storica preghiera di Benedetto XVI ad Auschwitz ha
concluso ieri il viaggio in Polonia.
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Stato di emergenza in Indonesia: i morti per il
terremoto sono oltre 5 mila
Almeno 50 persone hanno perso la vita in
Afghanistan nel raid aereo delle forze della coalizione contro un presunto covo
di talebani
29 maggio 2006
LA
STORICA PREGHIERA DI BENEDETTO XVI AD AUSCHWITZ
HA
CONCLUSO IERI IL VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA.
SONO
UN PAPA CHE PROVIENE DALLA GERMANIA – HA DETTO – E COME
FIGLIO
DEL POPOLO TEDESCO IMPLORO
LA
GRAZIA DELLA RICONCILIAZIONE DA DIO E DAGLI UOMINI
Il silenzio e la preghiera hanno dominato la visita di
Benedetto XVI nel campo di sterminio nazista di Auschwitz,
ieri pomeriggio a conclusione del suo viaggio apostolico in Polonia. “Sono qui
come figlio del popolo tedesco” – ha detto il Papa – Dovevo venire”. In
serata la cerimonia di congedo all’aeroporto di Cracovia-Balice
alla presenza del presidente polacco Lech Kaczynski. Ha ribadito il suo appello alla
Polonia perché possa arricchire la famiglia degli Stati europei con il
patrimonio della fede. Rimanete “fedeli custodi – ha detto – del deposito cristiano”
e trasmettetelo alle generazioni future… vigilate, state saldi nella fede”. In
tarda serata il rientro a Roma. Ma sulla visita ad Auschwitz
ascoltiamo il servizio del nostro inviato Sergio Centofanti:
**********
“Prendere la parola
in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo
che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente
difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo
vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio:
un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto?”
“Ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo – ha detto
ancora il Papa - davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno
sofferto e sono stati messi a morte”.
Il Papa varca a piedi il cancello di Auschwitz:
passa sotto la cinica iscrizione “Arbeit macht frei”, “il lavoro rende
liberi”. In silenzio percorre il viale del campo fino al famigerato
Blocco 11: ci sono ad attenderlo alcuni sopravvissuti allo sterminio che
saluta uno per uno. Prega davanti al Muro della Morte, dove i nazisti hanno
fucilato migliaia di detenuti. Si ferma in preghiera nella cella della fame
dove è morto San Massimiliano Kolbe. Ad Auschwitz
sono morte un milione e mezzo di persone. In tutti i lager nazisti hanno perso
la vita 12 milioni di persone, di cui 6 milioni di ebrei e 500 mila zingari.
Sono qui – afferma Benedetto XVI – “per implorare la
grazia della riconciliazione – da Dio innanzitutto che, solo, può aprire e
purificare i nostri cuori; dagli uomini poi che qui hanno sofferto”. Ricorda la
visita ad Auschwitz di Giovanni Paolo II nel 1979,
quando disse: “Non potevo non venire qui come
Papa". Il popolo polacco accanto agli ebrei è stato quello che più ha sofferto
in questo luogo:
“Papa Giovanni Paolo
II era qui come figlio del popolo polacco. Io sono oggi qui come figlio del popolo
tedesco, e proprio per questo devo e posso dire come lui: Non potevo non venire
qui. Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla
verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di
essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo
tedesco – figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il
potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di
ricupero dell'onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di
benessere e anche con la forza del terrore e dell'intimidazione, cosicché il
nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di
distruzione e di dominio. Sì, non potevo non venire qui”.
Parla del mistero del silenzio di Dio. Cita il Salmo 44, il lamento dell'Israele
sofferente: “…Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svégliati,
perché dormi, Signore?” Ma “noi – ha sottolineato - ci
sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia.… Dobbiamo rimanere
con l’umile ma insistente grido verso Dio”, perché vinca il “fango
dell'egoismo”, della paura e dell’indifferenza degli uomini:
“Emettiamo questo
grido davanti a Dio, rivolgiamolo allo stesso nostro cuore, proprio in questa
nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure, nella quale sembrano
emergere nuovamente dai cuori degli uomini tutte le
forze oscure: da una parte, l'abuso del nome di Dio per la giustificazione di
una violenza cieca contro persone innocenti; dall'altra, il cinismo che non
conosce Dio e che schernisce la fede in Lui”.
Il Papa visita il Centro di dialogo e preghiera,
un’istituzione cattolica sorta vicino al campo con la collaborazione di alcune
associazioni ebraiche ed enumera le molteplici iniziative di riconciliazione
che stanno nascendo in questo luogo dell’orrore. Nei pressi del Centro –
ricorda – “si svolge la vita nascosta delle suore carmelitane, che sono
particolarmente unite al mistero della Croce di Cristo e ricordano a noi la
fede dei cristiani, che afferma che Dio stesso è sceso nell’inferno della
sofferenza e soffre insieme con noi”.
Poi si è recato nel vicino campo di Birkenau,
il cosiddetto Auschwitz 2, che con i suoi 4 forni
crematori era una delle più organizzate macchine di morte. Giunge davanti al
Monumento internazionale dove ci sono le 22 lapidi che in varie lingue
ricordano tutte le vittime del campo di sterminio. Si ferma in preghiera
davanti a ciascuna lapide. Nel cielo piovoso di Birkenau
si staglia all’improvviso un arcobaleno. Il Papa parla della lapide ebraica:
“I potentati del
Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico
nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco dei popoli della terra. Allora le
parole del Salmo: ‘Siamo messi a morte, stimati come
pecore da macello’
si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti,
con l'annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò
Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che
restano validi in eterno”.
“Con la distruzione d’Israele – nota – volevano, in fin
dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana,
sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio
dell’uomo, del forte”.
C'è poi la lapide in lingua polacca: “si
voleva cancellare” un popolo come “soggetto storico autonomo” per renderlo
schiavo, afferma il Papa. Un'altra lapide
è quella scritta nella lingua dei Sinti e dei Rom: “anche qui si voleva far scomparire un intero
popolo … annoverato tra gli elementi inutili della storia universale”.
“Poi c'è la lapide in russo – ha proseguito Benedetto XVI
- che evoca l'immenso numero delle vite sacrificate tra i soldati russi nello
scontro con il regime del terrore nazionalsocialista; al contempo, però – ha
sottolineato - ci fa riflettere sul tragico duplice significato della loro
missione: liberando i popoli da una dittatura, dovevano servire anche a
sottomettere gli stessi popoli ad una nuova dittatura, quella di Stalin e
dell'ideologia comunista”. Poi c’è la
lapide tedesca:
“Ho sentito come
intimo dovere fermarmi in modo particolare anche davanti alla lapide in lingua
tedesca. Da lì emerge davanti a noi il volto di Edith Stein,
Theresia Benedicta a Cruce: ebrea e tedesca scomparsa, insieme con la sorella,
nell'orrore della notte del campo di concentramento tedesco-nazista; come
cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso”.
I tedeschi, che vennero portati
ad Auschwitz-Birkenau e che qui sono morti, erano
visti come il rifiuto della nazione. “Ora però – afferma il Papa - noi li
riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che
anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché
non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in
una notte buia”. Queste lapidi – afferma ancora il Pontefice - “non vogliono
provocare in noi l'odio: ci dimostrano anzi quanto sia terribile l'opera
dell'odio e vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza
contro il male”.
Da Birkenau si elevano preghiere
in varie lingue: rom, russo, polacco, ebraico, inglese. Risuona il Kaddish, canto ebraico per il lutto. Il Papa innalza a Dio
una preghiera in tedesco:
HERR, DU
BIST DER GOTT DES FRIEDENS…
“Signore, tu sei il Dio della pace, tu sei la pace stessa;
un cuore che cerca il conflitto non
ti può capire
una mente orientata alla violenza non
ti può comprendere.
Concedi che tutti
coloro che vivono nella concordia perseverino nella pace,
e tutti coloro che sono divisi si
riconcilino”.
(Canto)
*********
Sui tanti
significati della visita apostolica di Benedetto XVI, riflettono con noi
esponenti del mondo ebraico e il nostro direttore dei programmi, padre Andrzej Koprowski, che è stato al
seguito del Papa
Per avere il punto di vista della
comunità ebraica, Tiziana Campisi ha raggiunto
telefonicamente Giuseppe Laras, presidente dei
rabbini d’Italia, e Leone Paserman, presidente della
comunità ebraica di Roma. Ascoltiamo per primo Giuseppe Laras:
**********
R. – E’ una visita che vuole essere un monito all’umanità
e che vuole essere anche una parola di speranza e di conforto per tutti coloro
che hanno sofferto. Ho letto nelle parole di Benedetto XVI questa sofferenza
per quanto accaduto, per le responsabilità del nazismo, e in una certa parte
anche del popolo tedesco.
D. – Il Papa ha detto che in un luogo come Auschwitz le parole vengono meno, può restare soltanto uno
sbigottito silenzio che è un grido verso Dio, aggiungendo poi che bisogna
interrogarsi anche sul silenzio dell’uomo. Ma il silenzio di Dio, oggi, quali risposte
trova?
R. – Prima di interrogarci sul silenzio di Dio bisogna
interrogarsi sul silenzio dell’uomo, cioè: dov’era l’uomo ad Auschwitz? In fondo l’uomo è una creatura che porta impressa
l’immagine di Dio. E’ una creatura dotata di libertà. Dobbiamo sicuramente
considerare che l’uomo non ha esercitato in maniera
degna il potere della libertà che gli è stato dato da Dio. Quindi prima di
porsi una domanda teologica, forse conviene porsi una domanda etica o sociologica.
D. – Dove sono state spezzate tante vite, nel 1992 è nato
un centro di dialogo e di preghiera. Quali altri frutti possono nascere dal
dolore di Auschwitz?
R. - La consapevolezza di quello che è accaduto e
l’impegno ad affermare “mai più”. Quel luogo di incontro è un luogo in cui
ognuno di noi, a qualunque fede religiosa appartenga, può trovare la forza e lo
stimolo per guardare verso traguardi degni dell’uomo.
D. - Ma ascoltiamo, sulla scelta di Benedetto XVI di
recarsi ai campi di Auschwitz e Birkenau,
il parere di Leone Paserman, presidente della
comunità ebraica di Roma…
R. - E’ un riconoscimento dell’orrore dell’Olocausto. Lo
stesso Papa ha voluto sottolineare che non poteva, come tedesco, non venire ad Auschwitz.
D. – Che cosa l’ha più colpita nel vedere Benedetto XVI ad
Auschwitz?
R. - Quando è entrato dal cancello principale. Il volto
teso, tirato, solo. E a distanza di alcuni metri, quel piccolo seguito che lo
accompagnava.
**********
Per una riflessione sui significati della visita per la
società polacca, per i giovani, e non solo polacchi, e per un commento allo
storico momento vissuto da Benedetto XVI al campo di concentramento di Auschvitz- Birkenau, ascoltiamo,
nell’intervista di Roberto Piermarini, il nostro direttore dei programmi, padre
Andrzej Koprowski, che è
stato al seguito del Papa:
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R. - La visita del Santo Padre Benedetto XVI in Polonia è
stata una stupenda esperienza di fede. La semplicità e la trasparenza
evangelica del Papa, il suo sforzo di avvicinare la persona di Gesù Cristo
crocifisso e risorto alla comunità missionaria della Chiesa ha avuto una
magnifica risposta da parte della popolazione polacca. Nella vita quotidiana la
società è divisa, scossa, amareggiata per le difficoltà causate dalle profonde
trasformazioni socio-politiche. Ma questa visita ha dimostrato che la società
polacca, specialmente i giovani, cerca validi punti di riferimento. Cerca come
‘costruire la casa della propria vita’, nella quale
il pane quotidiano sia l’amore, il perdono, la necessità di comprensione; nella
quale la verità sia una sorgente da cui sgorga la pace del cuore. Di questa
visita rimangono gli applausi prolungati della folla. Nell’incontro con i
giovani, per un momento ho pensato che il Papa non riuscisse a pronunciare il
discorso. Ma quando ha iniziato a parlare, c’è stato un silenzio assoluto dei
circa 400.000 giovani. Da Varsavia fino alla partenza da Cracovia, il suo
passaggio è stato salutato da migliaia di striscioni e cartelli variopinti
realizzati dagli stessi giovani con scritte in polacco, ma anche in tedesco. E,
infine, di questo pellegrinaggio in terra polacca rimane il clima di profondo silenzio
e preghiera sui drammi del XX secolo, ad Auschwitz e
poi a Birkenau: una tappa storica, accompagnata da
una pioggia insistente che, però, con l’arrivo di qualche squarcio di sole ha lasciato il posto
all’arcobaleno che si stagliava nel cielo.
D. - Con quale spirito il Papa ha lasciato il campo di Auschwitz e Birkenau?
R. - Non so con quale spirito il Papa abbia lasciato Auschwitz, ma la visita è stata un’esperienza profonda per
tutti. Certamente tutti i presenti sono stati colpiti dalla forza spirituale e
dalla chiarezza del suo pensiero. Le lapidi commemorative parlano del dolore
umano, del cinismo di quel potere che trattava gli uomini come oggetti, non
riconoscendoli come persone create ad immagine di Dio. Un regime che voleva
schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall’elenco dei
popoli della terra, perché quel popolo costituisce una testimonianza di quel
Dio che ha parlato all’uomo e lo ha riscattato. Con la distruzione di Israele –
ha detto il Papa - volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice su cui
si basa la nostra fede cristiana. Sulla lapide in lingua polacca il Papa ha
commentato che si voleva eliminare l’elite culturale e cancellarne così il
popolo come soggetto storico autonomo, per piegarlo, nella misura in cui continuava
ad esistere, a un popolo di schiavi. Su un’altra lapide in lingua dei Sinti e dei Rom, ha ricordato il
popolo considerato tra gli elementi inutili della storia universale. Sulla
lapide in russo, ha evocato l’immenso numero delle vite sacrificate tra i
soldati sovietici nello scontro con il regime nazionalsocialista: un dramma
della storia che liberando i popoli da una dittatura feroce ha poi servito un
altro regime. Sulla lapide tedesca, Benedetto XVI ha ricordato il volto di
Edith Stein e di tanti altri martiri, che erano visti
come il rifiuto della nazione. In realtà sono davvero loro i testimoni della
verità e del bene, che non è mai tramontata nel popolo tedesco, nonostante la
barbarie nazista.
D. - Quale messaggio ha lasciato il Papa alla Chiesa polacca?
R. - Il messaggio del Santo Padre è stato molto semplice:
si deve essere consapevoli del presente ma anche dei peccati del passato.
Cristo ci ha dato la missione universale di guardare il futuro. Si deve
costruire la nostra casa personale e sociale sulla roccia; su Gesù Cristo,
crocifisso e risorto, che è stato rifiutato, ignorato, deriso, proclamato re.
Oggi anche in Polonia, si vuole accantonare il suo messaggio di salvezza nel ‘ripostiglio’ della sfera privata senza parlarne ad alta
voce o in pubblico. Se nella costruzione della casa della vostra vita cristiana
incontrate coloro che disprezzano il fondamento del messaggio di Gesù - ha
detto il Papa - non vi scoraggiate! Costruire sulla roccia significa costruire
con saggezza. Significa anche costruire su Pietro e con Pietro, nella Chiesa,
nella comunità fondata sulla persona di Gesù. Ai sacerdoti, ai religiosi, alle
religiose, ma anche ai laici cristiani, Benedetto XVI ha ricordato la
responsabilità di aiutare le altre società e le altre Chiese particolari, per
portare aiuto ai giovani polacchi che, a causa della forte disoccupazione,
lasciano il Paese e cercano lavoro altrove. Il Santo Padre ha portato anche
l’esperienza della gioia della fede, la gioia di costituire la comunità di
credenti.
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“Giorni indimenticabili di arricchimento nella
fede”: di ritorno a Roma, il Papa invia telegrammi ai capi di Stato dei Paesi
sorvolati, che invita a mantenere salda la custodia dei valori cristiani
Di ritorno in
Vaticano, Benedetto XVI ha inviato messaggi di saluto a tutti i Capi di Stato
dei Paesi sorvolati da Cracovia a Roma. Il Papa si rivolge “con cuore grato” al
presidente della Repubblica polacca, Lech Kaczynski.
“Sono stati giorni indimenticabili - scrive - di incontro con la patria e con
la nazione di Giovanni Paolo II, un tempo di vicendevole arricchimento e di
consolidamento nella fede”. E conclude: “Affido i frutti di questo viaggio al
buon Dio e auguro alla nazione polacca ogni prosperità”. Nel messaggio al
presidente della Slovacchia, Ivan Gasparovic, il Papa
implora la benedizione divina sul popolo slovacco. Così anche nel telegramma al
presidente federale dell’Austria, Heinz Fischer.
“Fortemente
impressionato e grato a Dio per la ricca esperienza di questi giorni - scrive
il Pontefice al presidente della Repubblica di Slovenia, Janez
Drnovsek - auguro anche a lei e ai suoi concittadini
di attingere sempre alle fonti della nobile tradizione umanistico-cristiana
ispirazione e forza per il futuro”. Al presidente della Croazia, Stjepan Mesic, il Pontefice invia
“un cordiale saluto unito all'assicurazione di uno speciale ricordo nella
preghiera perché la Croazia si mantenga salda nella custodia dei valori
cristiani, nella concordia e nella fraterna convivenza fra tutti i suoi
abitanti, sui quali invoco una speciale benedizione”. Infine, al presidente
della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, il Papa scrive: “Desidero
rendere grazie a Dio per l'opportunità che mi ha concesso di incontrare le
autorità e la gente di una nazione europea consapevolmente fiera delle proprie
radici cristiane”. (A.G.)
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il dettagliato resoconto del
viaggio del Papa in Polonia. I servizi dell'inviato Giampaolo Mattei. La rassegna della stampa internazionale.
Servizio estero - In evidenza l'Indonesia, dove ha
assunto dimensioni sempre più devastanti il terremoto di sabato.
Servizio culturale - Un articolo di Livia Possenti
dal titolo "Opere commissionate come souvenirs
per non dimenticare le struggenti vedute del Bel Paese": un volume sulla
pittura di paesaggio in Italia nel XVIII secolo.
Servizio italiano - In rilievo il tema dei conti
pubblici.
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29 maggio 2006
PER
FONDATA
DA JEAN VANIER PER L’ACCOGLIENZA DEI DISABILI MENTALI
- Intervista con Luisa Rossi -
Reinserire le persone affette
da handicap mentali in una nuova famiglia, “una comunità con relazioni
amichevoli e stabili”. Ha questo desiderio nel cuore Jean
Vanier
quando nel 1964 si stabilisce con due disabili mentali nella casa di un
piccolo villaggio francese, a nord di Parigi. Nasce così la Comunità dell’Arca
che, in oltre 40 anni di impegno, ha riprodotto questo esempio di solidarietà
in 30 nazioni e 110 comunità. La Comunità dell’Arca è una delle realtà
ecclesiali che saranno in Piazza San Pietro con il Papa per il grande incontro
nella veglia di Pentecoste. Oggi, dunque, proseguiamo la carrellata di
interviste con i responsabili dei vari movimenti dando la parola a Luisa Rossi, direttrice della Comunità “Il Chicco”, realtà
italiana che fa parte della Federazione internazionale dell’Arca:
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R. – Alla vigilia dell’incontro con Benedetto XVI, c’è in
me e in noi tanta gioia nel vedere che un cammino è stato fatto dal primo
raduno, che esiste una comunione sempre più forte tra i vari movimenti, le
varie realtà, che c’è tanta bella vitalità.
D. – Lei parlava di crescita di comunione tra i movimenti:
quali relazioni si sono sviluppate tra la vostra realtà e gli altri movimenti
ecclesiali in questi 8 anni dal primo incontro?
R. – L’Arca è una Federazione internazionale e, dunque,
per ogni comunità ci sono certamente dei legami particolari all’interno del
rispettivo contesto di inserimento. Qui, per quanto ci riguarda, penso ad
alcuni movimenti presenti intorno a noi – come i Focolarini
oppure Sant’Egidio - realtà con le quali abbiamo legami magari più stretti: per
noi è importante avvertire che si è vicini e che si porta avanti con loro un
discorso comune rispettando le realtà di ognuno, i rispettivi carismi che sono
comunque abbastanza diversi.
D. – In che modo si esprime per voi la
“bellezza di essere cristiani e la gioia di comunicarlo”, come recita il
titolo del congresso di Rocca di Papa?
R. - La bellezza di essere cristiani
penso consista proprio nello sguardo degli uni verso gli altri. Noi viviamo e
operiamo con persone che in genere non sono viste come molto “belle”.
L’approccio di una persona con un handicap mentale spesso disturba, perché non
sono persone fisicamente molto armoniose. Penso che proprio questo sguardo del
Vangelo, questo sguardo della persona amata, faccia scoprire una bellezza che
va al di là delle apparenze. Ciò è possibile grazie alla scoperta d’amore che
si fa con la fede cristiana. Penso quindi che la nostra forza sia quella di
trasmettere questo amore verso tutte le persone, al di là delle loro apparenze,
e di poter dire che c’è una bellezza interiore, una bellezza del cuore.
Cerchiamo di comunicare questo, semplicemente, attraverso una vita vissuta,
attraverso la gioia di stare insieme al di là delle diversità e delle cose che
ci possono disturbare.
D. – Qual è oggi, secondo lei, il “cuore” dell’esperienza
di Jean Vanier?
R. – Fondamentalmente, l’accoglienza dell’altro diverso,
della persona fragile. Secondo me, nel messaggio di Jean
Vanier c’è che questa accoglienza della diversità che
è qualcosa che ci aiuta ad essere costruttori di pace.
D. – Quando si partecipa ad un incontro, come quello di
Pentecoste, si porta un’esperienza, ma si pensa anche di ricevere qualcosa.
Cosa pensa di ricevere la Comunità del Chicco?
R. – Spero la forza per continuare a vivere ciò che stiamo
vivendo.
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29 maggio 2006
APPELLO DALLA CINA PER “NON
DIMENTICARE”: LE MADRI DI PIAZZA TIANANMEN
INVOCANO IN UNA LETTERA APERTA ALLE
AUTORITA’ DI PECHINO DI FARE FINALMENTE GIUSTIZIA SU QUEI TRAGICI EVENTI DEL
3-4 GIUGNO DEL 1989 E DI SMETTERLA
DI PERSEGUITARE ANCORA OGGI LE
VITTIME DELLA REPRESSIONE
PECHINO. = Le Madri di Piazza Tiananmen rinnovano, in una lettera aperta resa nota oggi
dal gruppo umanitario Human Rights
in China, le loro richieste alle autorità cinesi: rivedere il giudizio di
condanna del movimento studentesco conclusosi col massacro del 3-4 giugno 1989;
aprire un'inchiesta ufficiale e punire i colpevoli; risarcire ed assistere le
famiglie delle vittime. L'Associazione delle Madri di Piazza Tiananmen è stata fondata nel 1991 da Ding
Zilin, una professoressa universitaria in pensione il
cui figlio Jiang Jielian,
che allora aveva 17 anni, fu ucciso durante quei tragici eventi. Nella prima
parte del documento le madri - che sono oltre cento - ricostruiscono gli avvenimenti
di quella notte. Il gruppo ha
identificato 186 persone che sono
state uccise e 70 che sono state ferite. Si tratta ancora - sottolineano le “madri”
- di una ''piccola percentuale” delle persone che persero la vita che, secondo
le stime, sarebbero state centinaia. La seconda parte della lettera è dedicata
ad illustrare il metodo di protesta non violenta scelto dal gruppo e i suoi
slogan: “dire sempre la verità”, “non dimenticare mai”,
“cercare di ottenere giustizia” e “fare appello alle coscienze”. Nella terza
parte del documento le “madri” ricordano che i loro “principi basilari” sono
quello di “preservare la dignità delle vittime” e quello di “rifiutare l'evasione
dei principi della legalità, con soluzioni amministrative e trattative private”.
Inoltre, il gruppo presenta alle autorità cinesi una serie di richieste
immediate: mettere fine a tutte le attività di controllo e di limitazione della
libertà delle vittime; permettere che le famiglie commemorino i loro cari
scomparsi; mettere fine alle interferenze con gli aiuti che vengono sia dalla Cina che dall’estero; fornire aiuto umanitario alle persone
che continuano a soffrire psicologicamente o finanziariamente a causa della
repressione; rimuovere le discriminazioni politiche e sociali contro le vittime;
restituire i diritti e il benessere fisico delle persone detenute, imprigionate
o disoccupate a causa della loro partecipazione al movimento democratico del
1989. Fino ad oggi le autorità non hanno
mai risposto alle “madri” e, in ogni anniversario del massacro, le esponenti del
gruppo e altri dissidenti vengono messi agli arresti
domiciliari di fatto. Nel suo giudizio ufficiale, il Partito Comunista Cinese
ha definito il movimento studentesco del 1989 un “moto controrivoluzionario”. (R.G.)
INCONTRO A ROMA NELLA BASILICA DI SANT’ANTONIO, IL 2 GIUGNO ALLE ORE 17,
PROMOSSO DALLA COMUNITÀ CATTOLICA
SHALOM,
ALLA VIGILIA DEL RADUNO MONDIALE
CON IL PAPA DEI MOVIMENTI
E NUOVE COMUNITA’, IN PREPARAZIONE
ALLA PENTECOSTE
- A cura di Giovanni Peduto -
ROMA. = Un grande incontro preparato dalla Comunità
Cattolica Shalom si svolgerà sul tema “Gesù soffiò su di loro e disse: ricevete
lo Spirito Santo” (Gv 20,22) il prossimo 2 giugno,
presso la basilica romana di Sant’Antonio in via Merulana, alle ore 17. L’evento s’inserisce nel contesto
del grande raduno mondiale, per
IN
QUESTO MESE DI MAGGIO, GRANDE PARTECIPAZIONE DEI
FEDELI CATTOLICI DELLA CINA AI PELLEGRINAGGI
NEI DIVERSI
SANTUARI MARIANI DEL PAESE ASIATICO
PECHINO.= Durante il mese di maggio, che la devozione
popolare dedica ad onorare in modo particolare la Vergine Maria, i cattolici
cinesi si sono mobilitati in tutto il Paese per compiere pellegrinaggi a
diversi Santuari mariani. E’ quanto sottolinea l’agenzia Fides, che spiega come
diverse parrocchie insieme a vari movimenti e gruppi cattolici, si siano messi
in cammino per rendere omaggio alla Madre Celeste. Sabato 13 maggio, riferisce
Fides, è stato uno dei momenti di maggiore affluenza. Come raccontano i
sacerdoti responsabili di diversi Santuari mariani, “tutte le chiese intorno ai
santuari sono rimaste aperte per soddisfare la richiesta continua dei diversi
gruppi per la celebrazione eucaristica. Il suono solenne delle campane di tutte
le chiese risuonava dalla cima della montagna alla pianura. I canti delle
celebrazioni non hanno mai smesso... I fedeli stessi sono stati fortificati, i neo battezzati sono maturati, i non cristiani sono rimasti
colpiti”. Secondo un sondaggio non completo, solo il giorno della festa della
Madonna, 13 maggio, il Santuario mariano di “Our Lady
of the Peak” ha accolto oltre 5.000 fedeli e più di mille visitatori da tutte
le parti del Paese. Il Santuario di Ban Si Shan dedicato alla Madonna
della Grazie, nella diocesi di Tai Yuan, provincia di Shan Xi, è stato visitato da diverse migliaia di fedeli che
hanno celebrato la Via Crucis e animato momenti di preghiera. Tanti gruppi di
pellegrini si sono radunati sotto la grande statua di bronzo di Gesù, alta 8
metri e pesante 8 tonnellate, per condividere l’esperienza della loro fede. Nel
1987 sono state ricostruite la chiesa e la strada che porta verso il santuario,
situato sulla cima della montagna. La chiesa è stata consacrata e aperta nella
solennità dell’Assunzione della Vergine dello stesso anno. Il Santuario della
Montagna della Croce, un piccolo Santuario che si trova nella diocesi di Wei Nan della provincia di Shaan Xi, accoglie oltre 10.000
pellegrini l’anno. (A.G.)
NELLE SCUOLE PUBBLICHE SAUDITE SI
INSEGNA AI BAMBINI L’INTOLLERANZA RELIGIOSA:
LO DENUNCIA L’ORGANIZZAZIONE “FREEDOM HOUSE” IN
UN RAPPORTO, PUBBLICATO
NEGLI STATI UNITI,
SULL’INSEGNAMENTO RELIGIOSO NEL PAESE ARABO
WASHINGTON. = “Il curriculum dell'intolleranza”: è il
titolo provocatorio di un rapporto pubblicato negli Stati Uniti
dall’Organizzazione Freedom House, che accusa
l'Arabia Saudita di instillare nei bambini “l'odio per i cristiani, gli ebrei,
i politeisti e i non credenti”, inclusi tra questi ultimi i musulmani che non
aderiscono alla setta wahhabita, che domina il Paese
arabo. “Ciò che viene insegnato oggi nelle scuole
pubbliche saudite sui rapporti tra musulmani e altre religioni, avvelenerà le
menti di una nuova generazione di sauditi”: denuncia Nina Shea,
curatrice dello studio sull’insegnamento religioso in Arabia Saudita. Nonostante
anni di dibattito e di interventi da parte del Governo di Riad,
i libri di testo utilizzati in Arabia Saudita – secondo il rapporto - continuano
a propagandare l'odio per le altre religioni. Freedom
House ha analizzato 12 testi ufficiali dei corsi scolastici di religione
approvati dal ministero dell'Educazione saudita ed ha indicato una lunga serie
di passaggi che sollevano preoccupazioni. In prima elementare, ai bambini viene insegnato che “ogni
altra religione che non sia l'Islam è falsa” e l'insegnante deve chiedere ai
bambini di fornire “esempi di religioni false, come quelle ebrea, cristiana
ecc.”. In quinta elementare, si insegna che “è proibito per un musulmano essere
vero amico con qualcuno che non crede in Dio e nel suo profeta, o qualcuno che
combatte la religione dell'Islam”. Nei libri di testo – rivela inoltre lo studio
- vengono avvalorate teorie cospirative che accusano
massoneria, Lions e Rotary
Club di tramare contro i musulmani. (R.G.)
PREMIATO A CANNES L’IMPEGNO CIVILE
E MORALE: SENZA GRANDI PICCHI DI EMOZIONE
SI E’ CHIUSO IL 59 FESTIVAL DEL CINEMA: KEN LOACH HA
CONQUISTATO
- A cura di Luciano Barisone -
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CANNES. = Un verdetto sorprendente corona il film di Ken Loach The wind that shakes the Barley vincitore
del 59° Festival di Cannes. Il risultato forse sconcerta chi vedeva in Volver di Pedro Almodovar il sicuro
favorito alla vittoria finale, ma è sicuramente in linea con la tendenza emersa
nei film di questa edizione: un’attenzione costante all’uomo, alla sua
coscienza, alla sua responsabilità rispetto al mondo contemporaneo. Se dunque
per Loach parlare della storia di ieri, della lotta
dei ribelli irlandesi contro la dura colonizzazione inglese, significa riflettere
sull’oggi, sulle tante situazioni di guerra e di oppressione disseminate sul
pianeta, non diversamente da lui si comportano gli altri vincitori, da Bruno Dumont che con Flandres, Gran Premio della Giuria, ci racconta della
difficile strada della grazia in un mondo in preda agli istinti primordiali, a Alejándro Gonzáles Iñarritu, che con Babel, Premio alla Regia, attraverso tre storie e un
abile congegno di messa in scena lega le differenti anime del mondo. Almodovar si deve accontentare - e non ci sembra poco - del Premio alla Sceneggiatura e di quello per l’Interpretazione
Femminile consegnato alle bravissime attrici del film fra cui Penélope Cruz e Carmen Maura. Un
altro riconoscimento collettivo è andato agli attori di Indigenes di Rachid
Bouchareb, che con impegno ed emozione ci hanno fatto
rivivere l’epopea delle truppe africane durante la seconda Guerra Mondiale. A
concludere il Palmarès ufficiale, il Premio della Giuria andato all’inglese Red road di Andrea Arnold
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29 maggio 2006
- A cura di Amedeo
Lomonaco e Valentina Corsaletti -
In Indonesia, il governo ha proclamato lo stato di
emergenza per un periodo di tre mesi e annunciato che è salito ad oltre 5 mila
il bilancio, ancora provvisorio, dei morti in seguito al disastroso terremoto
che, sabato scorso, ha colpito l’isola di Giava. La
tragedia riguarda anche migliaia di sopravvissuti: secondo l’UNICEF, i feriti
sono più di 20 mila e i senza tetto almeno 100 mila.
Per far fronte a questa emergenza, il governo di Giacarta
ha ufficialmente lanciato una richiesta di aiuto. La comunità internazionale si
è subito mobilitata: la Chiesa, l’Unione Europea, numerosi organizzazioni
internazionali e vari governi hanno approvato lo stanziamento di fondi e il
Programma alimentare mondiale dell’ONU ha già iniziato, stamani, la
distribuzione di aiuti alimentari. Per oggi pomeriggio è stata fissata inoltre,
a Ginevra, una riunione delle agenzie delle Nazioni Unite e della Croce rossa
internazionale per organizzare gli interventi di assistenza. Nella
vasta zona terremotata operano i missionari saveriani.
Giancarlo La Vella ha raggiunto
telefonicamente a Giakarta padre Silvano Laurenzi, che è in contatto con i
confratelli di Yogyakarta, forse il centro abitato
più colpito dal sisma:
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R. – Noi qui a Giacarta stiamo
seguendo la situazione soprattutto attraverso le famiglie. A Giacarta vivono molte persone originarie dell’isola di Giava e di Yogyakarta. Per cui, i contatti sono
continui; molti sono partiti anche dalla nostra parrocchia, cercano di tornare laggiù ma i collegamenti sono difficili. Nei pressi della
città, sono anche crollati dei ponti. La situazione è sempre più drammatica.
Man mano che trascorre il tempo, si viene a conoscere la portata della distruzione
anche perché a Yogyakarta, una città antica, le costruzioni
non sono proprio antisismiche e sono di emergenza, spesso precarie. Sappiamo
che ci sono molte vittime, sappiamo che alcune chiese sono andate
distrutte, ma i dettagli ancora non ci arrivano. C’è arrivata una lettera
ufficiale dalla Curia di Giakarta: l’arcivescovo chiede per domenica prossima
di fare una seconda raccolta in chiesa e di mobilitare tutti i giovani e le
organizzazioni per raccogliere aiuti; servono anche materiali, medicine, vestiario
per questa povera gente. Vicino a Yogyakarta
ci sono dei villaggi in cui non sono arrivati soccorsi. La popolazione ha bisogno,
soprattutto, di coperte e di tende; gli ospedali sono strapieni. Nei villaggi
lontani dalla città la gente è abbandonata a se stessa.
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Continua ad essere tesa la situazione a Timor Est: nella capitale,
le truppe australiane chiamate in soccorso dal governo locale, sono riuscite a
ristabilire l’ordine ma nel Paese aumentano le
pressioni per la richiesta di dimissioni del primo ministro. Una sua decisione
presa nel mese di marzo, quella di licenziare un terzo dei soldati
dell’esercito, ha innescato forti polemiche sfociate, negli ultimi giorni, in
scontri e violenze. Si stima che, nell’ultima settimana, siano morte almeno 27
persone ed oltre 100 mila abbiano lasciato le loro case. Molti sfollati si sono
rifugiati in chiese, scuole e campi profughi improvvisati.
In Afghanistan, una moschea nella
turbolenta provincia meridionale di Helmand è stata
bombardata da aerei delle forze della coalizione. L’azione, secondo
fonti locali, ha causato la morte di almeno 50 persone. Il
vicegovernatore della provincia ha dichiarato che tra le vittime ci sarebbero
diversi “leader talebani”. A Kabul, intanto, soldati americani hanno aperto il
fuoco contro una folla in rivolta in seguito ad un incidente provocato da un convoglio
statunitense e costato la vita a tre persone. Nella sparatoria, sono rimasti
uccisi almeno 7 civili.
In Iraq, una nuova ondata di
violenze ha causato oltre 30 morti: almeno 11 operai sono rimasti uccisi, a
Baghdad, per l’esplosione di una bomba. Sempre nella capitale, altre due
distinte azioni terroristiche hanno causato 15 morti. Almeno tre persone sono rimaste
uccise, poi, per un attacco kamikaze contro un convoglio di agenti iracheni. La
polizia ha annunciato, intanto, che a Baghdad è stato arrestato uno stretto
collaboratore del capo di Al Qaeda in Iraq, Al Zarqawi.
L’Iran “non rinuncerà mai all’arricchimento
dell'uranio sul proprio territorio” ed ogni notizia riguardante il trasferimento
di questa attività in Russia non è fondata. Lo ha ribadito il portavoce del governo
di Teheran assicurando che il processo di
arricchimento dell’uranio sarà utilizzato solo per produrre energia. Il
ministro degli Esteri russo ha dichiarato, intanto, che Russia, Stati Uniti e
Cina sono pronti a garantire il diritto dell’Iran a produrre energia nucleare,
ma solo a scopi civili e a fronte dell’adempimento delle richieste avanzate dall'Agenzia internazionale
per l’energia atomica (AIEA).
Nei Territori palestinesi, Hamas
ha respinto l’ipotesi di un referendum, avanzata dal presidente Abu Mazen, su un piano per l’assetto
del futuro stato palestinese che prevede, implicitamente, il riconoscimento di
Israele. Il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP) ha fatto
sapere, intanto, che è disposto ad entrare nel governo palestinese guidato da Hamas.
In Colombia, Alvaro Uribe, si è
riconfermato nelle presidenziali di ieri, capo di Stato della Colombia, con un
ampio vantaggio sul suo principale sfidante, il candidato di sinistra, Carlos Gaviria. Uribe ha conquistato al primo turno il suo
secondo mandato con il 62,2 per cento dei voti. Ringraziando i propri elettori,
ha dichiarato di voler lavorare “per la costruzione di una nazione pluralista,
multicolore, in un dibattito permanente, ma in una permanente costruzione di
consenso”. La principale sfida, indicata da Uribe, è
quella di far progredire il Paese arginando povertà, disoccupazione e
sottosviluppo. L’economia colombiana ha fatto registrare, lo scorso anno, una
crescita del 5,3 per cento ma rimangono ancora forti
squilibri.
In
Italia, si chiuderanno alle 15 i seggi per il rinnovo delle amministrazioni in
1259 comuni e otto province. Secondo i dati forniti dal Viminale, l’affluenza
alle urne ha subito un calo rispetto alle elezioni di cinque anni fa, che si
erano svolte in un’unica giornata. Alle ore 22.00 di ieri sera, la percentuale
dei votanti è stata del 52 per cento per le comunali, e del 42 per cento per le
provinciali. Anche in Sicilia, dove le operazioni di voto si sono concluse ieri
sera, si è registrato, con il 59,7 per cento, un netto calo di votanti.
Rimaniamo
in Italia, dove è stata sgominata, a Trieste, un’organizzazione criminale bulgara
attiva anche in altri Paesi dell’Unione Europea. I carabinieri hanno arrestato
41 cittadini bulgari: sono accusati di associazione per delinquere finalizzata
alla riduzione in schiavitù, all’immigrazione clandestina e al traffico di stupefacenti.
Secondo le indagini, i minori, venduti da famiglie povere della Bulgaria, venivano impiegati per furti e in altre attività illecite.
Sono anche stati accertati casi di sfruttamento sessuale.
L’influenza
aviaria ha provocato la morte di un’altra persona in Indonesia. Lo ha reso noto
l’Organizzazione mondiale della Sanità precisando che si tratta della 36.ma vittima uccisa, nel Paese asiatico, dal virus H5n1.
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