RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 129 - Testo della trasmissione di martedì 9 maggio 2006
IL
PAPA E
OGGI IN PRIMO PIANO:
Convegno a Milano sull’AIDS in Africa: con noi padre
Giordano Rigamonti e don Gianni Cesena
CHIESA E SOCIETA’:
Su Internet un nuovo blog per analizzare
l’informazione sulla Chiesa cattolica nei media
Si è chiusa ieri a Torino la diciannovesima edizione della Fiera
internazionale del libro
Continuano per il secondo giorno consecutivo a Gaza
gli scontri interpalestinesi tra Hamas e Fatah: una decina i feriti
9 maggio 2006
IL
MESSAGGIO DEL PAPA IN OCCASIONE DEI FUNERALI OGGI A ROMA DEI DUE ALPINI UCCISI
IN AFGHANISTAN: HANNO SACRIFICATO
Profondo cordoglio e vicinanza ai familiari di
Manuel Fiorito e Luca Polsinelli, i due alpini morti
dell’attentato di venerdì scorso in Afghanistan, è stato espresso oggi dal Papa
in un telegramma letto ai funerali di Stato nella Basilica di Santa Maria degli
Angeli a Roma. Benedetto XVI ha assicurato “fervide preghiere perché il Signore
accolga nella vita eterna” le giovani vittime “che hanno sacrificato la loro
esistenza” ed ha inviato la benedizione apostolica con un “pensiero speciale
per i militari feriti”.
Presenti alle esequie le massime cariche
istituzionali italiane tra le quali il presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciampi. E oggi alle 17.00 si terranno nel
Duomo di Verona anche i funerali solenni di Enrico Frassanito,
il maresciallo dei carabinieri morto in Italia dopo essere stato vittima di un
attentato a Nassirya in Iraq. Il servizio è di Massimiliano
Menichetti:
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(canto)
Le note del coro, le due bare portate a spalla
dagli Alpini, la commozione. E poi, le parole del Papa ad esprimere vicinanza e
preghiera ai familiari di Manuel e Luca, i due militari uccisi dalla follia del
terrore, venerdì a Kabul.
Ai funerali di Stato, nella Basilica di Santa
Maria degli Angeli a Roma, le parole di Benedetto XVI in un telegramma
indirizzato a mons. Angelo Bagnasco, Ordinario
militare per l’Italia, a firma del cardinale segretario di Stato, Angelo
Sodano, hanno ribadito il suo “sentito cordoglio” per il grave lutto “che
colpisce ancora una volta” l’intera nazione italiana, ed in particolare –
scrive – le Forze armate “impegnate a sostenere con generosa abnegazione
l’azione di pace fra popolazioni duramente provate”.
E mons. Bagnasco,
aprendo l’omelia, ha ricordato anche la recente morte dei militari caduti a
Nassiriya:
“A distanza di una settimana, la viltà
terroristica ha rinnovato il dolore dell’Italia, aprendo nuove ferite. La
lucida e ignobile follia di chi non vuole la pace e disprezza i diritti umani, ha
stroncato le giovani vite del tenente Manuel Fiorito e del maresciallo Luca Polsinelli, Alpini in servizio di pace a Kabul. Il dolore è
grande, sconfinato ma senza panico. Se lo scopo è di seminare confusione e
panico attraverso il dolore e la morte, la forza della ragione e dello spirito
risponde con ferma saggezza”.
Evidenziato come il lavoro dei giovani alpini fosse considerato da loro stessi come un servizio agli
altri; ricordata anche la volontà dei giovani di cercare esempi di rigore
morale, di onestà intellettuale, di sacrificio e di abnegazione per il bene
comune. La pace – ha aggiunto mons. Bagnasco – è un
bene che tutti gli uomini di buona volontà desiderano fortemente. Sfonda sulla
giustizia, valore specificamente morale, e richiede venerazione per l’uomo,
immagine e somiglianza di Dio:
“Per questo, i nostri militari sono servitori
della pace, perché questo istinto dell’uomo è radicato nei loro cuori e li
spinge all’amore che, come il Signore Gesù, si dedica con il proprio
sacrificio”.
Grande la commozione durante la lettura della
Preghiera dell’Alpino. Poi, il suono della tromba che ha eseguito il silenzio.
Quindi, il saluto ai feretri, tra la preghiera e l’applauso dei presenti.
(applausi)
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NEL
CELEBRARE “LA GIORNATA PER L’EUROPA”, I VESCOVI DEL CONTINENTE
ESORTANO
I CITTADINI E LE ISTITUZIONI COMUNITARIE A DARE PIU’ RISALTO
ALL’EREDITA’
CRISTIANA, SULLA SCORTA DI QUANTO AFFERMATO
IN
QUESTO PRIMO ANNO DI PONTIFICATO DA BENEDETTO XVI
Per il Vecchio Continente, oggi è un momento di
celebrazioni. Il 9 maggio è stato proclamato dall’Unione “Giornata dell’Europa”
e i vescovi della COMECE, la Commissione degli episcopati comunitari, pur
apprezzando gli elementi sui quali le istituzioni europee hanno puntato
l’attenzione – “democrazia, dialogo e dibattito” – hanno invitato i cittadini
del continente a porre al centro del confronto i temi “dell’essere umano e
della sua dignità”. Il progetto della nuova Europa, sostengono i presuli,
dovrebbe “accordare più attenzione alla fede cristiana e alle convinzioni
etiche di numerose persone in Europa”. Di queste convinzioni strenuo assertore
è sempre stato Benedetto XVI, fin da prima della sua elezione. In questo
servizio, Alessandro De Carolis ripercorre le prese di posizione del Papa sull’Europa
durante il suo primo anno di Pontificato.
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(musica)
Davanti agli occhi del mondo, Benedetto XVI entra
fisicamente nel cuore dell’Europa a bordo di un battello. E’ il 18 agosto 2005
e lo scenario è il Reno, che il Papa solca per raggiungere Colonia, teatro
della sua prima GMG in veste di Pontefice. A metà del percorso, il Pontefice da
poco eletto fa riecheggiare tra i giovani, ma anche in chiunque stia ascoltando
il suo primo discorso all’“estero”, un concetto accarezzato da sempre. Nel ringraziare
Dio per il dono della fede, esorta i ragazzi a manifestarlo al mondo “da questa
terra – dice – posta al centro dell’Europa, di un’Europa che molto deve al
Vangelo e ai suoi testimoni lungo i secoli”. Del resto, all’Europa e ai suoi
fondamenti spirituali il cardinale Joseph Ratzinger ha dedicato molto spesso in passato alcune delle
più belle riflessioni: lezioni magistrali passate agli archivi e che ora fanno
da trama alle affermazioni del magistero petrino. E profondamente “europeo” è
il nome scelto il 19 aprile 2005, giorno dell’elezione. Otto giorni più tardi,
durante la prima udienza generale, il nuovo Papa, ricordando l’“enorme
influsso” della predicazione benedettina nel continente, osserva:
“Costituisce un
fondamentale punto di riferimento per l’unità dell’Europa e un forte richiamo
alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà”.
(musica)
L’inizio del ministero apostolico ha permesso a Benedetto
XVI di approfondire ora questo, ora quell’aspetto di
un argomento coltivato con estrema cura. Il 30 settembre 2005, in un Messaggio
alla plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, il Papa è
reciso nell’affermare che in un continente dove è aumentato il pluralismo
religioso e dove è forte la crescita della presenza islamica sia ancora più
importante e urgente per i cristiani “prendere coscienza del fatto che il
Vangelo non può essere tenuto per sé”. Annunciare Cristo “senza sconti”,
dunque: un impegno al quale Benedetto XVI esorta e coinvolge per primi i
vescovi. E’ vero che “dobbiamo usare prudenza”, dichiara il 5 novembre 2005
nell’udienza ai presuli austriaci. “Però la prudenza non ci deve trattenere
dall’esporre la Parola di Dio in tutta chiarezza, anche i punti che di solito vengono ascoltati meno volentieri”. Le affermazioni si
succedono come tasselli su un mosaico. Il 26 gennaio di quest’anno, gli
interlocutori sono i delegati di episcopati e organismi ecumenici europei. Il
pensiero di Benedetto XVI è questo:
“Dopo la caduta del
Muro, che divideva i Paesi dell’Oriente e dell’Occidente in Europa, è più
facile l’incontro tra i popoli; ci sono più opportunità
per accrescere la conoscenza e la stima reciproca, con un arricchente mutuo
scambio di doni; si avverte il bisogno di affrontare uniti le grandi sfide del
momento, a iniziare da quella della modernità e della secolarizzazione.
L’esperienza dimostra ampiamente che il dialogo sincero e fraterno genera
fiducia, elimina le paure e i preconcetti, scioglie le difficoltà e apre al
confronto sereno e costruttivo”.
Ai giovani universitari, lo scorso 6 marzo, il Papa chiede
la costruzione di un nuovo umanesimo “che riproponga, attualizzandole, le
radici cristiane d’Europa”. E il 30 marzo, con i parlamentari del Partito
popolare europeo, Benedetto XVI incalza sui “principi non negoziabili” che
attengono alla dignità umana:
“La protezione della
vita in tutte le sue fasi, dal momento del concepimento fino alla morte
naturale; il riconoscimento e la promozione della struttura naturale della
famiglia, come una unione tra un uomo e una donna
fondata sul matrimonio, e la sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente
equivalente a forme di unione radicalmente diverse che in realtà le recano danno e contribuiscono alla sua
destabilizzazione, oscurando il suo particolare carattere e il suo
insostituibile ruolo sociale; la protezione del diritto dei genitori a educare
i loro figli”.
E siamo ai
giorni nostri, con il recente incontro - quattro giorni fa – tra il Papa e il
presidente della Commissione europea, Manuel Barroso.
Un colloquio che Benedetto XVI ha vissuto all’insegna della “fiducia”: fiducia
con la quale, “nonostante le ombre” attuali, la Santa Sede e i vertici comunitari
guardano “al processo di integrazione e di consolidamento delle istituzioni
europee”.
(musica)
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l'Iraq con
la notizia dell'assassinio di due giornalisti iracheni. Trovata una fossa
comune con decine di corpi.
Servizio vaticano - L'omelia
del cardinale Angelo Sodano durante la Concelebrazione Eucaristica a Lecce per
l'apertura del Congresso Eucaristico Diocesano.
Servizio estero - Un articolo
di Pierluigi Natalia sulle conclusioni del Convegno, all'Università Gregoriana,
dedicato al tema: "Etica dell'informazione nelle relazioni
internazionali".
Servizio culturale - Un
articolo di Luigi Alici dal titolo "La linfa segreta che riconduce al
pensiero dell'Ipponate": l'"Introduzione
generale a Sant'Agostino" di P. Trapè.
Per l' “Osservatore
libri" un articolo di Danilo Veneruso dal titolo
" "Operazione Sunrise". La resa
tedesca in Italia: 2 maggio 1945"; una nuova interpretazione storica nel
saggio di Elena Aga-Rossi e Bradley
F. Smith.
Servizio italiano - Quirinale: a vuoto il primo scrutinio. Schieramenti ancora
in trattativa.
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9 maggio 2006
OGGI, FESTA DELL’EUROPA: RIUNITI SIMBOLICAMENTE
I 450
MILIONI DI CITTADINI DELL’UNIONE EUROPEA
- Il
servizio di Fausta Speranza -
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Il 9 maggio di quest’anno, a parte le innumerevoli
iniziative in tutti i Paesi membri, si celebra anche con la ratifica della
Costituzione europea, proprio oggi, da parte del parlamento dell’Estonia: sale
così a 15 il numero degli Stati membri che hanno già approvato il Trattato. E
presto saranno 16, visto l’impegno assunto dalla Finlandia che dal primo luglio
diventa presidente di turno dell’UE.
Dunque, in qualche modo continua il processo di
ratificazione nonostante il ‘no’ di Francia e Olanda
ai rispettivi referendum. ‘No’ che ha messo in crisi
un po’ tutta l’Unione: ha bloccato il tentativo di revisione delle istituzioni,
necessario visto l’allargamento e vista l’urgenza di dare più forza politica a
un’Unione che ha marciato finora soprattutto sul binario commerciale e
economico. Dal momento di choc per il ‘no’ di francesi e olandesi è passato un anno, preso come
“pausa di riflessione”, che rischia però di diventare immobilismo.
Ma non si può dire che tutto sia fermo: ad esempio, ci
sono nuove forme di collaborazione in tema di giustizia e sicurezza, annunciate
proprio in questi giorni dal commissario europeo Frattini.
E poi restano motivi di fondo per festeggiare, come spiega il direttore della
Rappresentanza della Commissione europea a Roma, Pier Virgilio Dastoli:
R. – Innanzitutto dobbiamo festeggiare una cosa che forse
è la cosa più importante: 61 anni di pace tra i nostri Paesi. In un continente
che era abituato a risolvere i conflitti fra gli Stati con le guerre, dal 1945
ad oggi i nostri Paesi non sono soltanto amici, ma hanno deciso di condividere
la loro sovranità. Ed è qualcosa che si ha tendenza a dimenticare, soprattutto
i ragazzi. Il secondo valore raggiunto dall’Europa è il fatto che è uno spazio
di libertà: offre non soltanto le libertà classiche, che sono quelle di
circolare o di far circolare i capitali o di far circolare le merci, ma in
qualche modo ha esteso e ampliato la nostra libertà. La terza cosa che bisogna
ricordare è che l’Unione Europea si fonda sul diritto, e si fonda in
particolare su una stratificazione diversa di diritti che hanno inciso positivamente
sulla vita di tutti i giorni. Prendiamo l’esempio delle leggi per i
consumatori: praticamente l’80 per cento di tutte le registrazioni
professionali in materia di protezioni dei consumatori deriva da leggi comunitarie.
Noi non ce ne rendiamo conto ma anche soltanto quando andiamo a fare la spesa
al supermercato, il fatto che sui prodotti alimentari ci sia la data di scadenza
o ci siano le indicazioni del contenuto dei prodotti alimentari è qualcosa che
deriva da una norma comunitaria. Ho citato soltanto alcuni esempi, che però danno il senso di quanto l’Europa oggi sia un
valore aggiunto rispetto agli Stati nazionali.
Ma per una riflessione sulla fase che l’Unione dei 25 attraversa, ascoltiamo
mons. Aldo Giordano, segretario del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa:
R. – Anch’io vedo che l’Europa è in un momento di
passaggio, quasi un po’ sul crinale, con qualche rischio o tentazione di
decadere, di cadere all’indietro, ma anche con dei segnali che dicono che è
possibile fare un salto di qualità. I segni più tristi di decadenza sono sotto i
nostri occhi: ci sono dei segnali di stanchezza … lei citava quelli del
Trattato costituzionale, possiamo citare il campo della politica estera o anche
la mancanza di una leadership. Dall’altra parte, davanti alle sfide del mondo,
mi sembra che l’Europa si stia anche rimettendosi alla ricerca, stia
valorizzando le chances
che ha. E le sfide che la spingono a questa nuova ricerca sono le sfide del
nuovo ordine mondiale, per esempio il confronto con la Cina
e con l’India che emergono sui mercati e nella politica, oppure sono le sfide
nel campo della bioetica, oppure quelle della pace o quelle dell’ambiente.
Ecco: mi sembra che il punto sia che l’Europa debba decidere che lavorare per
il bene comune è qualcosa di superiore, di più interessante, di più utile, che
non lavorare solo per il bene dei singoli.
D. – Noi ci ritroviamo adesso con 450 milioni di cittadini
che sono legati, essenzialmente, da un patto di pace. Dunque, è possibile –
secondo lei – ripartire da qui?
R. – Io credo che sia essenziale ripartire da qui, però ci
vuole anche una novità. Abbiamo bisogno, per riscoprire questa radice, in
qualche maniera di un supplemento divino, un supplemento di trascendenza, un
supplemento di senso, un supplemento di visione e, in sintesi, di amore. Per
garantire la vittoria sul terrorismo, deve ritrovare vigore il progetto
dell’Unione per garantire che non sprofondiamo in conflitti di civiltà. Credo
che un’Europa un po’ più umile sia un’Europa che crede al contributo di una ragione,
crede al contributo delle scienze, delle tecniche, crede nelle politiche ma che
è più umile e sente che tutto va illuminato da un qualcosa di più profondo. E
questo ‘qualcosa’ di più profondo è la visione dell’uomo, del sociale che noi
crediamo essere dentro il Vangelo. Questo vale per le Chiese e credo che valga per le società …
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QUESTA SERA AL PALAZZO DI VETRO
L’ELEZIONE DEI 47 MEMBRI
DEL NUOVO CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI.
SOSTITUIRA’
- Intervista con Kolja Canestrini
-
“Questa è una
grande opportunità per un nuovo inizio”. Così il segretario generale delle
Nazioni Unite, Kofi Annan,
ha commentato l’elezione di questa sera, in Assemblea generale, dei 47 membri
del Consiglio dei diritti umani. La nuova entità giuridica, che avrà sede
a Ginevra, sostituirà la vecchia Commissione per i diritti umani, finita più
volte al centro delle polemiche per una politica di veti incrociati che ha
permesso ad alcuni Paesi di rimanere impuniti. Ma quali sono le differenze tra
i due organismi? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Kolja
Canestrini, docente di Diritti umani e mediazioni nei conflitti, presso
l’Università di Ferrara:
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R. – Il Consiglio da un punto
di vista tecnico manterrà alcuni aspetti e meccanismi già propri della
Commissione, ad esempio, il sistema degli esperti indipendenti, ma anche la
partecipazione della società civile. Ci sono, invece, delle caratteristiche nuove.
Innanzitutto, i membri del Consiglio saranno sottoposti a delle verifiche o a degli
esami periodici. Inoltre, l’elezione dei membri del Consiglio richiederà la
maggioranza assoluta dell’Assemblea generale, con una votazione segreta. Vi è,
peraltro, da segnalare che alcuni, soliti, attori internazionali si sono
opposti a questo nuovo organismo, tra cui gli Stati Uniti d’America.
D. – La vecchia Commissione per
i diritti umani era finita più volte al centro delle polemiche per i veti
incrociati che permettevano ad alcuni Paesi di rimanere impuniti. Non c’è il
rischio che avvenga di nuovo?
R. – Certamente sì. Come si suol dire molto spesso, il
diritto internazionale è un diritto che trova la sua legittimazione più
profonda nell’accordo degli Stati membri. Il sistema dei veti è un sistema che
certamente impedisce, molte volte, una piena attuazione dei diritti umani, ma
che nel contempo ci dà la misura di quanto gli Stati stessi - che pure si proclamano
esportatori di democrazia o esportatori di diritti umani - non vogliano consentire
un’ingerenza altrui nei propri affari domestici.
D. – La prima sessione del
Consiglio per i diritti umani è stata fissata per il prossimo 19 giugno.
Professore, praticamente, di cosa si occuperà? Quali potrebbero essere i primi
impegni concreti?
R. – Le situazioni da
affrontare ed analizzare certo non mancano. Sappiamo che il nostro pianeta è
flagellato da conflitti ad alta o a bassa intensità; conflitti in cui i diritti umani
vengono quotidianamente calpestati. Abbiamo in Africa, ma anche in Asia, delle
situazioni di grave pregiudizio, grave rischio dei diritti umani. Alcuni degli
Stati più democratici sono essi stessi gravemente imputati di violazione per i
diritti umani. Credo che questo sarà il primo banco di prova sul quale si dovrà
misurare la reale ed effettiva capacità di incidenza di questo nuovo organismo.
D. – Lo ricordava lei in fase
di istituzione, il Consiglio per i diritti umani ha incassato il “no”, tra gli
altri, di Washington, ma anche di Israele, mentre Iran, Bielorussia
e Venezuela si sono astenuti. Come si comporteranno questi Stati da domani in
poi?
R. – E’ difficile che questi
Stati possano negare la legittimità “tout
court” di questo nuovo organismo. Quello a cui si
assisterà sarà, probabilmente, un’azione di disturbo dei lavori, rifiutando
evidentemente ogni loro apporto positivo.
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CONVEGNO A MILANO PER RIPORTARE ALL’ATTENZIONE DELL’OPINIONE
PUBBLICA
LA
PIAGA DELL’AIDS IN AFRICA
- Interviste
con padre Giordano Rigamonti e don Gianni Cesena -
Una strage silenziosa che sta cancellando un’intera
generazione, creandone un’altra di orfani. Sono gli effetti della pandemia da
HIV-AIDS in Africa, a cui un gruppo di associazioni e
realtà della Chiesa milanese hanno dedicato, ieri e oggi, una due giorni di
iniziative, fra cui convegni per addetti ai lavori, un incontro pubblico ed uno
dedicato agli studenti delle scuole medie superiori, che si terrà il 15 maggio
prossimo. Da Milano, Fabio Brenna.
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La popolazione africana rappresenta il 10 per cento della
popolazione umana, ma conta il 60 per cento del numero totale di infettati da
HIV-AIDS. Per la fascia di età dai 15 ai 34 anni l’infezione rappresenta la
prima causa di morte. Una strage che avviene nell’indifferenza del Nord del
mondo, dove sono disponibili quelle cure costose negate ai Paesi in via di
sviluppo. Ma perchè prendersi a cuore questa situazione? Risponde padre
Giordano Rigamonti, responsabile del Comitato Salute
Africa:
R. – Primo, l’Africa interessa all’Italia in modo
particolare; l’Africa interessa all’Europa. Non c’è dubbio, lo dice chiaramente
un esperto politico come Walter Veltroni, che non c’è
futuro senza collegare i due continenti. Perchè parlare di Aids? Perché in Africa
è una pandemia di proporzioni epocali. Perché siamo di fronte ad una migrazione
epocale. C’è un’Africa che si rovescerà sempre di più in Europa ed è un problema
di conseguenza, perché non è che con eventuali controlli ai confini noi controlliamo
la malattia o quant’altro. Senz’altro, c’è in Africa
una disperazione che chiede l’attenzione dell’umanità. Io credo che noi, come
Italia ed Europa, abbiamo un dovere, cioè non basta andare in Africa solo a
prendere diamanti o quant’altro ci serva per i nostri
usi e consumi: dal petrolio, all’oro, all’uranio e così via. Io credo che
bisogna avere il coraggio, ancora una volta, di parlare in nome dell’Africa, metterci
in ascolto dell’Africa. Credo che sia necessario, perché in Africa non c’è solo
disperazione, non c’è solo rassegnazione, ma ci sono anche volontà nuove di costruire
prospettive future.
D. – Ma c’è qualche segnale di speranza che viene
dall’Africa?
R. – Ritengo sia veramente molto interessante che il
presidente dell’Unione Africana dica: “Noi guardiamo al futuro con grande
speranza. Pur consci della tragedia che stiamo vivendo, guardiamo al futuro con
una grande speranza, perchè possiamo fare sintesi che forse altri continenti
più vecchi di noi non riescono più a fare o non sanno fare”.
Sono le donne in Africa a pagare il prezzo maggiore di
questa pandemia. Si calcola, infatti, che il 57 per cento degli ammalati sia di
sesso femminile. Don Gianni Cesena, responsabile dell’Ufficio di pastorale
missionaria della diocesi di Milano:
R. – Per quanto riguarda le donne occorre ricordare che le
donne hanno minori possibilità di difesa, per tutta una serie di fattori
culturali. Evidentemente le donne sono anche quelle più esposte alle fatiche
della vita, alle malattie in genere, alla possibilità di diminuire le loro
difese immunitarie, ma soprattutto sono le più esposte a quello che è un certo
tipo di promiscuità, dovuta anche alla poligamia ed anche ad alcuni retaggi
della cultura, che consegnano la donna sempre in potere dell’uomo, chiunque
esso sia. Cito un caso qualsiasi: una giovane studentessa che si rechi a
studiare in una città, in un’università e che ha uno sponsor è sottoponibile da parte dello stesso sponsor ad azioni di
prostituzione o comunque, per esempio, di promiscuità.
Il Comitato Salute Africa ha lanciato con queste giornate
di Convegno una serie di iniziative destinate a far riflettere sugli aspetti
medici, ma non solo, soprattutto su quelli sociali, di questa pandemia da HIV-AIDS
in Africa.
Da Milano, per
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IL CODICE DELLE AMBIGUITA’: IN ARRIVO NELLE SALE CINEMATOGRAFICHE
IL FILM ISPIRATO AL ROMANZO DI DAN BROWN. LA
RIFLESSIONE
DELLO
STORICO FRANCO CARDINI
“Non ha né credenziali né capacità come storico”: con
queste parole, il 7 aprile scorso, il giudice Peter Smith ha assolto il romanziere Dan
Brown dall’accusa di avere plagiato Il Santo Graal, saggio pubblicato nel 1982, basato su documenti
riconosciuti come falsi. Ora, però, il Codice da Vinci sta per approdare
nelle sale cinematografiche di tutto il mondo accompagnato dallo slogan “La
verità sarà svelata”. Un’ambiguità che non può essere considerata innocua. Ecco
la riflessione dello storico Franco Cardini, intervistato d Alessandro Gisotti:
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R. – Non c’è dubbio che il grande modello di Dan Brown è paraletterario e parastorico.
Dan Brown fa dell’Opus Dei quello che, a partire dal
XVIII secolo, si è fatto della Compagnia di Gesù: la grande associazione di
devoti fanatici, che lavorano al servizio cieco della Santa Sede, che non
arretrano davanti a nulla, pur di affermare la loro potenza. La Compagnia di
Gesù è stata tutt’altro nei secoli, ma dal Settecento
in poi la tradizione, prima protestante e poi anticlericale, ne ha fatto
questo. La chiave di lettura per capire il discorso di Dan
Brown dell’Opus Dei, e la certezza di Dan Brown di avere del successo e di essere, se non compreso,
quantomeno inteso quando usava questo escamotage, è appunto il riferimento alla
Compagnia di Gesù.
D. – C’è anche un richiamo insistito di Dan Brown al cosiddetto principio
del “femminino sacro”…
R. – Un forte riferimento femminista Dan
Brown lo ha preso a livello più basso, perché questo
è il livello con cui si fa successo mass-mediale. Riprende così una vecchia
tradizione che risale addirittura al libro di Margaret
Murray del secolo scorso, “Il Dio delle streghe”, per
riciclare la vecchia storiella, antropologicamente
destituita, di fondamento del Dio originario femminile, fecondatore, buono,
pacifico, sostituito dal Dio degli eserciti, dal Dio dei preti e dei guerrieri,
che sarebbe il Dio monoteistico di Abramo, questo Dio violento, repressivo,
crudele…
D. – Lo spot del film che si ispira al libro annuncia:
“Non importa in ciò che credete, ciò che avete letto, il Codice da Vinci
svelerà il segreto”. Forse questo è il messaggio che irrita molto i credenti e
la Chiesa…
R. – Dà l’idea che il film possa
essere costruito su un’ipotesi anticattolica. E badate dico anticattolica
specificamente. Ciò rende naturalmente tutto più ambiguo. Che vuol dire fare
tabula rasa di quello che si crede e andarsi a godere uno spettacolo? Ci si
gode poi uno spettacolo nel quale ad un certo punto il credente si sente offeso
negli elementi più intimi della propria fede? Evidentemente no.
Questo non è un film innocuo e quindi non lo si può
accettare come un puro parto della fantasia, anche perché si può chiedere
tranquillamente che la fantasia si eserciti su altri oggetti che non offendano
i sentimenti più profondi di nessuno. Mi chiedo se veramente la società civile,
anche quella laica, sarebbe disposta ad accettare un film che offende profondamente
i sentimenti religiosi degli ebrei, dei musulmani, dei buddisti. Ci sarebbe una
corale levata di scudi, anche da parte dei laici, nei confronti di questa offesa
a sentimenti intimi del credente e così via… Ora, mi chiedo perché contro i cattolici
si possano fare cose che nessuno di noi penserebbe concepibile fare nei confronti
degli ebrei, dei musulmani o di altri.
D. – Cosa rispondere a chi invoca la libertà di critica?
R. – La libertà della critica e anche magari della satira
e della fantasia la si potrebbe esercitare
tranquillamente in molte direzioni. Io mi chiedo: sarebbe possibile fare un
film nell’Occidente di oggi che irridesse a quei valori di libertà, di
democrazia, nei quali in modo magari diverso tutti crediamo e tutti
condividiamo? Sarebbe possibile fare un film che irridesse per esempio alla Shoah o che magari, come frutto della fantasia, si mettesse
a dare un’immagine positiva di Adolf Hitler o di Stalin e negativa delle grandi democrazie
occidentali? Non lo accetteremmo.
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9 maggio 2006
IN
OCCASIONE DELL’ODIERNA GIORNATA DELL’EUROPA,
PRESENTATO
AL PARLAMENTO EUROPEO UN ARTICOLATO STUDIO SULLA FAMIGLIA
NEL
CONTINENTE PIU’ INVECCHIATO DEL MONDO
- Servizio
di Roberta Gisotti -
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BRUXELLES. = Un Continente invecchiato, dove gli anziani
superano i giovani, e la famiglia mostra segni evidenti di crisi se ogni
mezz’ora si ‘rompe’ un matrimonio nell’Unione Europea.
Sono i dati evidenziati nel rapporto su “l’Evoluzione della
famiglia in Europa 2006”. Studio affidato dall'Istituto di politica
familiare (IPF), ad una squadra di esperti in diverse aree, per disegnare lo
stato della famiglia in Europa negli ultimi 25 anni dal 1980 al 2005. Ad
illustrare il rapporto, Lola Velarde, presidente
della Rete europea dell’IPF ed Eduardo Hertfelder Aldecoa, presidente
della Federazione internazionale dell’IPF. Lo studio segnala che in soli 15
anni tra 1990 e il 2004 si sono sciolti in Europa più di 10 milioni di
matrimoni, coinvolgendo nelle separazioni oltre 16 milioni di bambini. Maggior
incremento di rotture – quasi il 90 per cento in 10 anni - è in Portogallo,
seguito da Italia e Spagna con circa il 60 per cento. Spagna, Portogallo ed
Italia sono anche i Paesi più ‘canuti’, dove si è maggiormente allargata la
forbice tra i minori di 14 anni gli ultra sessantacinquenni. In 25 anni sono
scomparsi dall’Europa 20 milioni di giovani, oggi poco più del 16 per cento
della popolazione totale. In controtendenza Irlanda e Cipro con una presenza
giovanile superiore al 20 per cento, sopra la media europea. Dati che dimostrano,
sottolinea Hertfelder, che l’Europa “si è dimenticata
della famiglia e si sono messe in moto politiche aberranti” contro la cellula
fondamentale di ogni società. Per questo
l’IPF dedica la terza parte del Rapporto alle proposte per sviluppare politiche
pubbliche a favore della famiglia in Europa e creare in tutti i Paesi
dell’Unione ministeri per la famiglia.
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su internet un nuovo blog per
analizzare l’informazione
sulla Chiesa cattolica nei media, soprattutto nella stampa. Il suo autore
è il professore spagnolo di
analisi e pratica dell’informazione
della Pontificia Università della
Santa Croce di Roma, Diego Contreras
ROMA. =
Un nuovo sito in grado di analizzare il modo in cui la Chiesa cattolica viene trattata e interpretata dai mass media. È il nuovo blog creato da Diego Contreras,
professore di analisi e pratica dell’informazione presso la Pontificia Università della
Santa Croce di Roma. Il professore ha spiegato a Zenit, l’agenzia
internazionale di notizie cattoliche, di aver deciso di dar vita a questa
iniziativa “per condividere con alcuni colleghi brevi commenti e riflessioni su
temi legati alla Chiesa e alla stampa, o più in generale alla religione e alla
comunicazione”. Secondo il professore spagnolo, contrariamente a quanto succede
in altri settori dell’informazione giornalistica, il giornalismo religioso è
quello più libero dalle pressioni economiche e di potere. Essere
prima di tutto un professionista, capace di dare rilevanza a questioni
in cui le sfumature sono importanti, è la prima qualità che deve possedere un
giornalista che fa informazione sulla Chiesa. La sua esperienza di corrispondente a Roma –
racconta il professore – gli ha permesso
di rendersi conto della grande importanza che le notizie cattoliche mostrano
per le questioni rilevanti per l’essere umano, credente o meno. “Sono temi importanti
– osserva ancora Conctreras - con i quali, prima o
poi, finiamo per doverci confrontare”. Riconosce poi, “che nell’ambito dei
molti mezzi di comunicazione la religione è stata spesso il ‘fratello
povero’. E in parte lo è ancora – continua
– anche se mi sembra che stia crescendo l’interesse per i temi umani
fondamentali”. “Il giornalismo attuale – ha concluso – è minacciato da vari
virus: uno di essi è l’infotaiment,
la commistione tra informazione e intrattenimento. In definitiva bisogna
riuscire ad essere interessanti senza cadere nella
banalità, e questo non è alla portata di tutti”. (V.C.)
INIZIERA’
DOMENICA PROSSIMA IL VIAGGIO IN ESTREMO ORIENTE DI KOFI ANNAN,
SEGRETARIO
GENERALE DELL’ONU:
PRIMA
TAPPA COREA DEL SUD, POI GIAPPONE, CINA E VIETNAM
SEUL. = Il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, arriverà domenica
prossima in Corea del Sud per la prima tappa di un’impegnativa missione in
quattro Paesi dell'Estremo
Oriente. Come è stato confermato ieri a Seul, il viaggio,
originariamente previsto per lo scorso inverno, comprenderà anche visite in
Giappone, Cina e Vietnam. La scelta della prima tappa in Corea del Sud, dove Annan sarà ricevuto dal presidente Roh
Moo Hyun, appare
particolarmente significativa in relazione alla candidatura dell'attuale
ministro degli Esteri, Ban Ki
Moon, come nuovo segretario generale dell’ONU. (R.G.)
IN
MEMORIA DI MEZZO MILIONE DI ROM E SINTI, VITTIME IN EUROPA DEL NAZISMO,
SARA’
ERETTO A BERLINO UN MONUMENTO NEI PRESSI DEL REICHSTAG
BERLINO. = Un monumento in memoria dei Sinti
e Rom vittime della barbarie nazista sorgerà nel centro di Berlino. Un accordo
in tal senso è stato raggiunto dal governo tedesco che finanzierà l’opera e dal
Consiglio centrale dei Sinti e Rom in Germania. Il
monumento, progettato dall’artista Dani Karavan, verrà eretto nelle
immediate vicinanze del Reichstag (sede del Bundestag,
BILANCIO
TUTTO IN POSITIVO PER
CHIUSA
IERI A TORINO: PRESENZE RECORD DI EDITORI,
DI
LIBRI VENDUTI E DI PUBBLICO GIOVANILE
- A
cura di Fabrizio Accatino -
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TORINO. = 300 mila visitatori, pari al 40% in più rispetto
allo scorso anno. La Fiera Internazionale del Libro all’indomani della chiusura
tira le somme e scopre cifre da record, le più alte della sua storia quasi
ventennale. Lo hanno dimostrato gli 800 incontri in calendario, animati da 2500
relatori, che spesso hanno segnato il tutto esaurito. Moltissimi gli autori
presenti, ma la rivelazione dell’anno è stato senza dubbio
Enzo Bianchi, che nel suo incontro con i lettori ha registrato una
partecipazione di pubblico persino superiore a Paulo Coelho:
il suo libro, “La diversità cristiana”, è stato il più venduto di Einaudi e tra i più venduti dell’intera Fiera. L’assalto di
bibliofili, che ha messo a dura prova la struttura ospitante del Lingotto, di fatto
apre la strada per la prossima edizione all’Oval, il
palazzo del ghiaccio delle Olimpiadi, come sede della manifestazione. Per il
momento, però, ci sono i numeri di questa edizione su cui festeggiare, come
conferma il presidente della Fondazione per il Libro, Rolando Picchioni: “Il successo della Fiera non si può quantificare
perché sarebbe fare una classifica che potrebbe essere antipatica. Però, il
successo che noi vogliamo veramente sottolineare è stata la presenza dei
giovani che quest’anno, alla Fiera, hanno dato qualcosa di più di una visita
così, extra-scolastica!”. Alla fine, i più felici sono i 1236 editori – un
record anche questo – che hanno visto i loro stand letteralmente saltare in
aria: il risultato è stato in media il 30% in più di volumi venduti. Anche il
10% in più di quelli rubati. Gli editori non ne saranno contenti, ma anche
questo – a suo modo – è il segno che il pubblico ha gradito.
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9 maggio 2006
- A cura
di Amedeo Lomonaco -
Sul programma
nucleare iraniano manca ancora, nella comunità internazionale, una strategia
comune: l’incontro tenutosi ieri, a New York, tra i rappresentanti della Germania e dei cinque Paesi membri permanenti del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è concluso, infatti, senza un
accordo. Il nostro servizio:
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Le divergenze
riguardano, soprattutto, la bozza di risoluzione
presentata da Francia e Gran Bretagna e sostenuta dagli Stati Uniti. Al
documento si oppongono invece Russia e Cina, contrarie
al riferimento al capitolo VII della Carta dell’ONU che prevede un eventuale
ricorso a sanzioni economiche o all’uso della forza in caso
di “minaccia o violazione della pace e della sicurezza”. La posizione dell’Iran
di fronte a questa ipotesi è irremovibile: “Volete trattarci come l’Iraq, usare
menzogne per occuparci”, si legge nella lettera inviata ieri, attraverso
l’ambasciata svizzera a Teheran, dal presidente della Repubblica islamica, Mahmoud Ahmadinejad, al capo della Casa Bianca, George Bush. Il segretario di Stato americano, Condoleezza
Rice, ha detto che la lettera non costituisce
“un’apertura diplomatica” perché non affronta in modo concreto i nodi centrali
della questione. Ieri sera sono cominciati a circolare, intanto, diversi
stralci del documento: “La ricerca scientifica – scrive Ahmadinejad – è uno dei
diritti fondamentali delle nazioni”. “I valori religiosi universalmente
condivisi – aggiunge - dovrebbero aiutare a gestire la vita politica”. Il
presidente iraniano traccia, poi, delle analogie tra le motivazioni indicate
dagli Stati Uniti per invadere l’Iraq nel 2003 e le attuali accuse contro
l’Iran. “Con il pretesto dell’esistenza delle armi di distruzione di massa –
sostiene Ahmadinejad - l’enorme tragedia della guerra in Iraq ha intrappolato
sia il popolo occupato sia quello occupante”. La lettera, la prima indirizzata
dopo 27 anni ad un capo di Stato americano, propone comunque anche alcuni toni
concilianti: il presidente iraniano lancia infatti un appello alla cooperazione per individuare “i problemi che stanno
alla radice dell’attuale situazione internazionale”.
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In Iraq, il nuovo governo di unità nazionale sarà pronto entro
oggi o domani. Lo ha annunciato il premier designato, lo sciita Mouri Al Maliki, precisando che è
stata raggiunta un’intesa tra tutti i partiti per l’assegnazione dei cinque
dicasteri chiave: Esteri, Difesa, Petrolio, Finanze e Interni. E
in vista del nuovo corso politico iracheno, proseguono anche le operazioni di
rimpatrio per i militari delle Forze della coalizione. Fonti di stampa sudcoreane hanno rivelato, infatti, che
In Medio Oriente,
almeno dieci persone tra cui 8 bambini sono rimasti feriti nel corso di scontri
tra miliziani di Hamas e Fatah,
scoppiati per il secondo giorno consecutivo nella Striscia di Gaza. Ieri,
sempre in combattimenti tra fondamentalisti appartenenti alle due formazioni, erano
morte tre persone. In Israele, intanto, il governo ha sconsigliato con un
avviso pubblico i cittadini israeliani a recarsi nel Sinai egiziano in seguito
a “concrete minacce”. L’avvertimento giunge due settimane dopo gli attentati
che hanno causato la morte di 21 persone nella località egiziana di Dahab.
E proprio in Egitto,
la polizia ha reso noto che durante un’operazione antiterrorismo è rimasto
ucciso il presunto leader del gruppo responsabile degli attacchi compiuti a Dahab nella penisola del Sinai. Secondo gli inquirenti,
l’uomo era il capo del sedicente movimento “Unione e Jihad”
che ha rivendicato anche gli attentati del
Tragedia nello Yemen: secondo la tv satellitare Al Jazeera,
39 profughi africani sarebbero morti nel golfo di Aden, in seguito al naufragio
della loro imbarcazione. Secondo l’emittente araba, i profughi tentavano di
entrare clandestinamente nello Yemen.
In Italia, non è stato raggiunto
neanche nella seconda votazione il quorum per eleggere
l’11.mo presidente della Repubblica. L’Unione, che ha
candidato alla presidenza il senatore a vita Giorgio Napolitano,
ha optato anche in questo caso per la scheda bianca. Il premier uscente Silvio Berlusconi ha ribadito, inoltre, che la Casa delle Libertà
è contraria ad una elezione di Napolitano.
Nel pomeriggio, è prevista una
terza consultazione. Nei primi tre scrutini per essere eletto, è
necessaria la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea (673 voti). Dalla quarta
votazione in poi, è sufficiente la maggioranza assoluta (506 voti).
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