RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 127  - Testo della trasmissione di domenica 7 maggio 2006

 

 

Sommario

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il sacerdozio è servizio a Dio e all’umanità attraverso la croce e l’amore, e mai un mezzo per fare carriera: lo ha affermato Benedetto XVI nella Messa di oggi in San Pietro, durante la quale il Papa ha ordinato 15 nuovi sacerdoti. E al Regina Coeli, il Pontefice ha invocato abbondanza di chiamate per la Chiesa, nel giorno della preghiera mondiale per le vocazioni.

 

Ieri pomeriggio, cerimonia del giuramento di 33 nuove reclute della Guardia Svizzera in Piazza San Pietro, nell’anno del V centenario di fondazione del Corpo.

 

Domani, nel Santuario di Pompei, la tradizionale supplica alla Madonna del Rosario, presieduta dall’arcivescovo Angelo Comastri

 

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La coesistenza pacifica nel Kosovo e il contributo del dialogo interconfessionale e religioso. Incontro a Pristina tra leader cristiani, ebrei e musulmani. Ai nostri microfoni, don Lush Gjergji

 

L’impegno dei missionari Cappuccini e delle suore Francescane nella difficile lotta all’AIDS in Camerun. Intervista con Luca Piantanida

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’impegno della Chiesa in Perù, in vista della seconda tornata elettorale nel Paese.

 

In Indonesia, estremisti islamici minacciano una radio cristiana accusata di proselitismo.

 

Inaugurato in India meridionale un Centro teologico per il laicato intitolato a Giovanni Paolo II

 

Nel Ghana, diminuito nell’ultimo anno il numero dei contagiati da HIV

 

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq, nuova ondata di attentati e di uccisioni sullo sfondo delle trattative per la formazione del governo.

 

“Non sospenderemo il piano per l’arricchimento dell’uranio”: questa la dura replica del governo iraniano alla bozza di risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

7 maggio 2006

 

 

 

IL SACERDOZIO E’ SERVIZIO A DIO E ALL’UMANITA’ ATTRAVERSO LA CROCE E L’AMORE

E MAI UN MEZZO PER FARE CARRIERA.

COSI’ BENEDETTO XVI NELLA MESSA PER L’ORDINAZIONE DI 15 NUOVI SACERDOTI.

AL REGINA COELI, IL PAPA HA INVOCATO ABBONDANZA DI CHIAMATE NELLA CHIESA

NEL GIORNO DELLA PREGHIERA MONDIALE PER LE VOCAZIONI

 

Uomini consacrati da Dio e a servizio di Dio lungo le strade del mondo, che hanno in cuore l’amore per l’umanità e non i propri interessi di carriera e gratificazione. E’ un ritratto netto - distinto tra le luci della vocazione e le ombre della debolezza umana - quello che Benedetto XVI ha tracciato questa mattina della chiamata al sacerdozio, durante la Messa di ordinazione presbiterale presieduta dal Papa nella Basilica di San Pietro. Quindici nuovi diaconi sono stati consacrati dal Pontefice, che si è soffermato sul rapporto tra il sacerdote e l’immagine del Buon Pastore in rapporto al mondo cristiano contemporaneo. I particolari della cerimonia, nel servizio di Alessandro De Carolis:

 

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(canto)

 

Chi è il sacerdote? Un amico intimo di Dio e un esperto di umanità. Un pastore inteso non secondo la visione antica, legata alla terra, ma secondo la sensibilità moderna: un uomo che riflette nel suo agire l’immagine di chi l’ha consacrato dall’Alto, e che come Lui segue ciascuno di noi “fin nei nostri deserti e nelle nostre confusioni”, che sa prendere sulle sue spalle la “pecorella smarrita” dell’umanità “e la porta a casa”. Senso del sacro, affetto paterno e commozione si fondono nelle parole con cui Benedetto XVI sceglie di chiudere l’omelia della Messa. Davanti a lui - con la fascia diagonale sul petto che di lì a poco diverrà stola appoggiata sulle spalle come quell’umanità di cui hanno scelto di farsi carico – stanno i 15 diaconi in procinto di prostrarsi a terra per offrire la propria vita nella vocazione del sacerdozio. Il loro abito bianco domina dove ieri era l’intreccio cromatico delle Guardie Svizzere, all’interno della Basilica di S. Pietro nuovamente stipata da migliaia di persone.

 

(canto litanie)

 

La liturgia sacramentale – la seconda presieduta da Benedetto XVI dopo i 21 diaconi ordinati nel maggio 2005 – si è snodata secondo le modalità solenni e suggestive che le sono proprie. Tra i concelebranti, il cardinale Camillo Ruini, vicario del Pontefice per la città di Roma: città che ha donato metà dei 12 nuovi sacerdoti italiani ordinati dal Papa, insieme con un polacco, un israeliano e un honduregno. Prima di imporre su di loro le mani, Benedetto XVI ha riflettuto sui molti significati della parabola del Buon Pastore, proclamata durante il Vangelo. “Tre cose”, ha esordito Benedetto XVI, Gesù dice sul “vero pastore: egli dà la propria vita per le pecore, le conosce ed esse lo conoscono, sta a servizio dell'unità”. Ma prima di approfondire questi concetti, il Papa ha messo in guardia i diaconi da una tentazione: quella non tanto di entrare nel recinto delle pecore, quanto di scavalcarlo, per arrivare – come il mercenario della parabola – “là dove legittimamente non potrebbe arrivare”:

 

“’Salire’ – si può qui vedere anche l'immagine del carrierismo, del tentativo di arrivare ‘in alto’, di procurarsi una posizione mediante la Chiesa: servirsi, non servire. È l'immagine dell'uomo che, attraverso il sacerdozio, vuole farsi importante, diventare un personaggio; l'immagine di colui che ha di mira la propria esaltazione e non l'umile servizio di Gesù Cristo. Ma l'unica ascesa legittima verso il ministero del pastore è la croce. È questa la porta. Non desiderare di diventare personalmente qualcuno, ma invece esserci per l'altro, per Cristo”.

 

 In questo modo, ha proseguito Benedetto XVI, il sacerdote si dispone ad essere un “altro Cristo”. E’ poiché il vero pastore dà la vita per le pecore, il sacerdote, che di quel pastore è segno, “dona se stesso” a cominciare dal sacrificio che offriranno d’ora in poi le nuove mani consacrate durante la Messa di ordinazione, l’Eucaristia quotidiana:

 

“L'Eucaristia deve diventare per noi una scuola di vita, nella quale impariamo a donare la nostra vita. La vita non la si dona solo nel momento della morte e non soltanto nel modo del martirio. Noi dobbiamo donarla giorno per giorno. Occorre imparare giorno per giorno che io non possiedo la mia vita per me stesso (…) Donare la vita, non prenderla. È proprio così che facciamo l'esperienza della libertà. La libertà da noi stessi, la vastità dell'essere. Proprio così, nell'essere utile, la nostra vita diventa importante e bella. Solo chi dona la propria vita, la trova”.

 

Il sacerdote come un pastore conosce gli uomini, li segue, va a trovarli, è aperto alle loro domande, alle necessità. Dunque il sacerdote, ha affermato il Papa non può essere “uno che parla soltanto nel proprio nome, attingendo da sé”, ma deve essere cassa di risonanza della “voce del Padre”. E ancora, il sacerdote deve servire l’unità, perché il destino dell’umanità, secondo Dio, è di diventare “un solo gregge” con “un solo pastore”:

 

“La Chiesa non deve mai accontentarsi della schiera di coloro che a un certo punto ha raggiunto. Non può ritirarsi comodamente nei limiti del proprio ambiente. È incaricata della sollecitudine universale, deve preoccuparsi di tutti (…) Ovviamente un sacerdote, un pastore d'anime, deve innanzitutto preoccuparsi di coloro, che credono e vivono con la Chiesa (…) Tuttavia, dobbiamo anche sempre di nuovo – come dice il Signore – uscire ‘per le strade e lungo le siepi’ per portare l'invito di Dio al suo banchetto anche a quegli uomini che finora non ne hanno ancora sentito niente, o non ne sono stati toccati interiormente”.

 

E il servizio dell’unità, ha aggiunto il Papa, prende forma anche nell’impegno “per l’unità interiore della Chiesa, perché essa, oltre tutte le diversità e i limiti, sia un segno della presenza di Dio nel mondo che solo può creare una tale unità”.

 

(canto Regina Coeli)

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E alla preghiera pasquale del Regina Coeli, seguita alla celebrazione in San Pietro, Benedetto XVI ha anzitutto ringraziato Dio per i nuovi sacerdoti appena ordinati nel giorno della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Nel ricordare, alla folla radunatasi sotto la finestra del suo studio, l’importanza di ogni chiamata all’interno della Chiesa – da quella della famiglia alla vita consacrata – il Papa ha ribadito lo stretto rapporto che lega la vita cristiana ai Sacramenti che, ha affermato il Pontefice, rinnovano l’“amicizia personale con Cristo”. E prendendo spunto dal suo Messaggio per la Giornata di preghiera, il Papa ha aggiunto:

 

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“Ecco perché – come ho ribadito nello stesso Messaggio – la missione del sacerdote è insostituibile, e anche se in alcune regioni si registra scarsità di clero, non si deve dubitare che Dio continui a chiamare ragazzi, giovani e adulti a lasciare tutto per dedicarsi alla predicazione del Vangelo e al ministero pastorale”.

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Al momenti dei saluti in più lingue, Benedetto XVI ha avuto parole particolari, tra gli altri, per i familiari e gli amici delle Guardie Svizzere - al centro delle celebrazioni, in questi giorni, per i 500 anni dalla loro fondazione - nonché per gli appartenenti alla Polizia di Stato italiana, che festeggia i 154 anni di servizio.

 

Tra i 15 sacerdoti ordinati questa mattina da benedetto XVI, cinque provengono dal Seminario Romano Maggiore. Il rettore del Seminario, mons. Giovanni Tani, intervistato da Giovanni Peduto, si sofferma sui diversi percorsi vocazionali di un giovane:

 

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R. - Un giovane può rendersi conto di essere chiamato in molti modi, anche fortuiti, ma il vero discernimento vocazionale ha poi bisogno di molta riflessione. Una riflessione che scavi ad esempio nei temi che il Papa espone nel suo Messaggio: il disegno eterno di Dio su ciascuno di noi, chiamati a essere suoi figli. La chiamata alla santità: il Papa ci invita a una contemplazione nella quale ci sentiamo come quegli uomini e quelle donne del Vangelo che hanno seguito Gesù. Il Papa si rende conto di come questi temi siano lontani dalla mentalità che ci circonda: “Che dire della tentazione, molto forte ai nostri giorni, di sentirci autosufficienti fino a chiuderci al misterioso piano di Dio nei nostri confronti”? E dice anche: “Il peso di due millenni di storia rende difficile percepire la novità del mistero affascinante dell’adozione divina”.

 

D. – E, quindi, cosa fare?

 

R. - Credo che potrebbero moltiplicarsi le iniziative nelle quali, selezionando ragazzi e ragazze disposti a fare un percorso vocazionale, si possano affrontare, in un clima di preghiera, questi temi e con la direzione spirituale affiancare ciascuno di loro per aiutarli serenamente a comprendere la volontà di Dio. Questo può avvenire anche in piccoli gruppi, dove sia chiara la motivazione della ricerca vocazionale.

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TRENTATRÈ NUOVE RECLUTE DELLA GUARDIA SVIZZERA HANNO GIURATO FEDELTÀ AL PAPA. LA CERIMONIA SVOLTASI ECCEZIONALMENTE IN PIAZZA SAN PIETRO, NELL’ANNO DEL QUINTO CENTENARIO DI FONDAZIONE DEL CORPO MILITARE PONTIFICIO

 

Nell’anno giubileo del loro V centenario di fondazione, ieri pomeriggio, le nuove reclute della Guardia Svizzera Pontificia hanno prestato eccezionalmente il loro giuramento sul sagrato della Basilica Vaticana. La solenne cerimonia ha ricordato anche i 147 militari elvetici che il 6 maggio del 1527 morivano a San Pietro in difesa di Clemente VII dai Lanzichenecchi, entrati a Roma per saccheggiarla. Il servizio di Tiziana Campisi:

 

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(musica)

 

Gli squilli delle trombe hanno annunciato l’inizio della cerimonia e il drappello delle reclute ha cominciato la sua marcia verso il sagrato della Basilica di San Pietro. Poi è toccato al cappellano Alois Jehle leggere la formula del giuramento:

 

“Giuro di servire fedelmente, lealmente onorevolmente il Sommo Pontefice Benedetto XVI e i suoi legittimi successori, come pure di dedicarmi a loro con tutte le forze, sacrificando, ove occorra, anche la vita per la loro difesa”.

 

(giuramento di una recluta)

 

“Giuro di osservare fedelmente, lealmente e onorevolmente tutto ciò che in questo momento mi è stato detto. Che Dio e i nostri santi patroni mi assistano”.

 

Con queste parole, i 33 nuovi alabardieri hanno giurato fedeltà a Benedetto XVI. Con la mano sinistra sulla loro bandiera ed alzando tre dita della mano destra al cielo come segno di devozione alla Trinità, le reclute della Guardia Svizzera Pontificia hanno pronunciato l’antica formula che li pone al servizio del Papa. Il giuramento delle reclute è stato preceduto dal discorso del comandante del Corpo, Elmar Mäder, che prima di presentare le nuove Guardie svizzere al rappresentante del Santo Padre - il sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Leonardo Sandri - ha passato in rassegna i ranghi:

 

“Le presento, eccellentissimo monsignor sostituto, 33 Guardie. Essi sono qui con il petto coperto di ferro, ferro che rappresenta la fermezza con la quale assolveranno il loro servizio. Hanno cercato nel loro cuore il sole che sorge e l’hanno trovato in Cristo. Signore, fa’ in modo che le Guardie non cessino mai di guardare Te, il vero Sole”.

 

Quindi, a prendere la parola è stato il cappellano della Guardia Svizzera Pontificia, mons. Alois Jehle:

 

“Care guardie, avete scelto di servire più da vicino la Chiesa di Cristo nella persona del Santo Padre. Cercate anche voi di commentare il libro divino con la vostra vita. Dimostrate il coraggio che vi caratterizza e testimoniate sempre a testa alta la fede nel Signore morto e risorto”.

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DOMANI, LA RECITA DELLA SUPPLICA ALLA MADONNA DEL ROSARIO,

NEL SANTUARIO DI POMPEI. LA CERIMONIA PRESIEDUTA DAL VICARIO DEL PAPA,

L’ARCIVESCOVO ANGELO COMASTRI

- A cura di Roberta Moretti -

 

E’ tradizione ormai, da oltre un secolo, che l’8 maggio e la prima domenica di ottobre, al santuario di Pompei, dedicato alla Madonna del Rosario, si reciti la Supplica: vibrante e corale preghiera di invocazione alla Madonna, composta nel 1883 dal beato Bartolo Longo, in occasione della benedizione della prima campana. Domani, sul sagrato della Basilica, davanti alla facciata dedicata alla Pace Universale, si rinnova questa tradizione con la cerimonia presieduta, quest’anno, dal vicario del Papa per la Città del Vaticano, l’arcivescovo Angelo Comastri. Per unire insieme tutti coloro che si sentono profondamente legati alla Madre di Dio, la preghiera - intitolata “Atto di amore a Maria” - viene recitata contemporaneamente nei cinque continenti a mezzogiorno. Fu definita dal Beato Longo, fondatore della Nuova Pompei, “Ora del mondo”. Sono migliaia i fedeli già arrivati nella cittadina campana per partecipare alla celebrazione. Molti giungono a piedi, come gli abitanti di Pignataro Maggiore, in provincia di Caserta, che, dal 1945, continuano il cammino di fede iniziato dai loro padri per ringraziare la Madonna di Pompei per averli fatti tornare dal Fronte. Quest’anno, per la prima volta, la celebrazione sarà trasmessa in diretta da SAT 2000. Confermata, poi, la diretta su Napoli Canale 21, emittente privata campana che, fin dal 1979, segue le manifestazioni del Santuario di Pompei. Diretta radiofonica anche su Radio Maria e Radio Mater.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

7 maggio 2006

 

 

 

LA COESISTENZA PACIFICA NEL KOSOVO E IL CONTRIBUTO DEL DIALOGO

INTERCONFESISONALE E RELIGIOSO. INCONTRO A PRISTINA

TRA LEADER CRISTIANI, EBREI E MUSULMANI

- Intervista con don Lush Gjergji -

 

Il Kosovo e le sue speranze di rafforzare la pace e il rispetto reciproco tra le varie etnie. E’ stato questo l’argomento principale dell’incontro interreligioso che si è svolto nei giorni scorsi nel monastero ortodosso serbo di Peja. A confrontarsi sono stati leader cattolici, ortodossi, protestanti, ma anche esponenti musulmani ed ebrei presenti in Kosovo. L’incontro interreligioso è stato promosso dalle Chiese della Norvegia, una ONG, allo scopo di favorire la coesistenza pacifica, mulktietnica e multireligiosa. Al termine dell’incontro, è stata firmata una dichiarazione congiunta che il vescovo ortodosso Teodosije ha auspicato possa toccare il cuore dei politici locali e di tutti i cittadini in direzione della pace. Il nostro collega, don Davide Djudjaj, ha intervistato il rappresentante cattolico, il vicario generale dell’Amministrazione apostolica di Pristina, don Lush Gjergji:

 

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R. – I punti fondamentali sono molto positivi, perché abbiamo per la prima volta analizzato il passato: non nella chiave della fossilizzazione, che ci condiziona, ma quel passato che è stato duro e difficile per tutti, senza entrare in argomenti come, ad esempio, per chi abbiamo sofferto, per cosa e così via. Abbiamo detto prima di tutto che noi vogliamo rispettarci gli uni con gli altri, accettare non solo gli individui, ma anche le comunità, sia nazionali che religiose nella forma istituzionale, creare la possibilità del dialogo e delle prospettive per il futuro. Dunque, abbiamo affermato che noi, guide delle comunità religiose, siamo convinti che l’odio rappresenti la sconfitta di tutto, come anche la guerra rappresenti la sconfitta di tutti. Tramite l’odio non si può arrivare a niente, tranne che alle uccisioni. La libertà è la conquista vera: è sconfiggere dentro di noi l’odio ed essere liberi. Quando siamo liberi dall’odio e dal male siamo figli di Dio, serviamo Dio, serviamo le nostre comunità, ci serviamo gli uni con gli altri, e in questo modo rendiamo un servizio a Dio, un servizio alle nostre comunità e un servizio anche alla comunità civile.

 

D. – E’ stato firmato un documento finale al temine del vostro incontro. Cosa avete sottolineato, in particolare, soprattutto tenendo presente il passaggio delicato che il Kosovo sta vivendo, ossia i negoziati tra Pristina e Belgrado sullo statuto definitivo del Kosovo?

 

R. – Noi abbiamo soprattutto accennato che non possiamo vivere solo gli uni accanto agli altri, come se fossimo oggetti, ma vivere insieme agli altri e vivere gli uni per gli altri. In questo modo, noi rispettiamo l’identità e la dignità di ogni persona e di ogni comunità religiosa e così arriviamo a quello che è fondamentale: l’unità nella diversità. E parlando del passato abbiamo detto: “Valorizziamo tutte le sofferenze che sono state causate. Queste non devono essere un ostacolo per vivere il momento presente e per aprire possibilità al futuro”. Abbiamo unanimemente condannato l’odio, la guerra, la distruzione delle chiese, sia cattoliche che ortodosse, delle moschee. Non basta, però, ricostruire e costruire oggetti, bisogna soprattutto costruire e ricostruire la vita dell’uomo, soprattutto la mente e il cuore che è stato ferito.

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L’IMPEGNO DEI MISSIONARI CAPPUCCINI E DELLE SUORE FRANCESCANE

NELLA DIFFICILE LOTTA ALL’AIDS IN CAMERUN

- Intervista con Luca Piantanida -

 

L’AIDS è una delle peggiori piaghe mortali dell’Africa. La malattia provoca più decessi delle guerre e intere famiglie si stanno decimando. Anche il Camerun è toccato da questo flagello ed è difficile monitorare la situazione. Sul posto, operano da tempo i missionari Cappuccini che a Shinsong, in collaborazione con le Suore Francescane, hanno messo a punto il progetto “Contro l’Aids in Camerun”. Antonella Villani ha intervistato in proposito padre Luca Piantanida, missionario nel Paese da 4 anni:

 

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R. – E’ la prima causa di morte anche in Camerun, in una zona ideale come quella dove sono io.

 

D. – Voi avete messo a punto un progetto per combattere questa malattia. In che cosa consiste?

 

R. – Costatare quanta gente veniva a chiederci di essere aiutata, abbiamo iniziato una collaborazione con l’ospedale qui vicino, gestito dalle Francescane. Siamo partiti dal loro bisogno di acquistare l’apparecchiatura di laboratorio con cui individuare il livello di malattia e quindi partire con la terapia giusta per ogni malato. Abbiamo contattato i nostri benefattori, li abbiamo aiutati a comprare queste apparecchiature e poi il progetto è proseguito con l’aiuto non solo dei malati che non hanno i soldi per comprare le medicine.

 

D. – Uno dei problemi maggiori è proprio l’acquisto dei farmaci, per l’Africa troppo cari…

 

R. – Dall’anno scorso, il costo è stato ridotto ad un quinto di quello che era prima. Purtroppo, il costo della vita, qui, è comunque proporzionato rispetto ai costi delle medicine che vengono date.

 

D. – Lei vive in Camerun da quattro anni. Cosa ricorda del primo impatto con il Paese?

 

 

R. – Una certa diversità sicuramente nel valutare le cose, il tempo, le persone. Qui la società è un po’ al centro di tutto e l’individuo conta di meno che da noi. Conta molto di più essere parte di un gruppo, di una famiglia e di una tribù.

 

D. – Che cosa ha imparato da questo lungo soggiorno?

 

R. – Guardo alla mia vita in Italia, come si vive in Europa: sicuramente ho acquisito un coraggio a prendere le cose in un modo diverso, con più pazienza, con più serenità. La vita, qui, è una cosa molto più semplice di come si vive da noi. Da noi, in Occidente, è tutto complicato, tutto di corsa, tutto fatto con ansia, con preoccupazione. Qui, insomma, la vita è vissuta anche con serenità nonostante i problemi che ci sono, nonostante la povertà. Dove sei nato vivi con poco e questo è tutto quello che c’è. Qui la malattia e la morte fanno parte della vita.

 

D. – Che cosa significa portare la Parola di Dio in un ospedale come quello dove opera lei?

 

R. – Qui la parola di Dio è accolta con molta semplicità. Senza l’acredine, a volte il dubbio, a volte la rabbia anche, con cui è accolta da noi. Qui la fede ce l’hanno tutti, fa parte della vita. Non si può neanche pensare che l’uomo non abbia fede. Dunque, si porta la certezza di una speranza, si porta la certezza che Dio è lì e ti aiuta.

 

D. – A questo punto il suo appello…

 

R. – Per le persone che vivono qui: non solo come persone che hanno bisogno, ma come persone che hanno da insegnarci una saggezza della vita che non siamo abituati a vedere, che forse viene dimenticata. E poi, data la povertà che c’è qui, un appello a continuare ad aiutarci perché i bisogni sono tanti.

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CHIESA E SOCIETA’

7 maggio 2006

 

 

 

UN VOTO NON PENSATO È UN VOTO PERSO”: COSÌ, IL PRESIDENTE DELLA

CONFERENZA EPISCOPALE DEL PERU’, MONS. CABREJOS VIDARTE, IN UN COMUNICATO PUBBLICATO IN VISTA DELLA SECONDA TORNATA ELETTORALE NEL PAESE,

IN PROGRAMMA IL 4 GIUGNO PROSSIMO

 

LIMA. = “Riaffermo la disponibilità della Chiesa, la cui prima responsabilità è l’evangelizzazione, a continuare a collaborare con il Perù per il suo sviluppo storico, culturale e morale, come riconosce la sua Costituzione politica, senza dimenticare che attualmente la Chiesa continua a compiere un ruolo sussidiario importante negli strati più poveri della nostra società e nei posti più nascosti del Paese”: è quanto afferma il presidente della Conferenza episcopale peruviana, mons. Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, arcivescovo di Trujillo, in un comunicato pubblicato in vista della seconda tornata elettorale nel Perù, per il ballottaggio che si svolgerà il 4 giugno prossimo. La prima convocazione elettorale aveva avuto luogo il 9 aprile. Come riporta l’agenzia Fides, davanti a questa seconda chiamata alle urne, mons. Héctor chiede di “approfondire i programmi per vincere la povertà, migliorare la salute e sviluppare l’educazione, punti inevitabili e prioritari in qualunque agenda di governo”. Chiede poi ai cittadini di “riflettere seriamente sul valore del voto” e di prendere una decisione responsabile e ponderata, “poiché un voto non pensato è un voto perso”. Infine, il presule chiede al Signore di “illuminare gli elettori e i candidati in questo secondo turno elettorale, affinché tutti insieme possano costruire un Paese fondato sulla giustizia sociale e sulla libertà, assi fondamentali per raggiungere l’autentico sviluppo che tutti desiderano”. (R.M.)

 

 

IN INDONESIA, ESTREMISTI ISLAMICI MINACCIANO UNA RADIO CRISTIANA:

“FA PROSELITISMO – ACCUSANO – E DEVE CHIUDERE LE TRASMISSIONI”

JAKARTA. = Estremisti islamici in Indonesia hanno lanciato una campagna per la chiusura di un’emittente radio cristiana, che accusano di proselitismo. “Radio Suara Gratia, “La Voce della Grazia”, ha sede a Cirebon, 250 chilometri a est di Jakarta. Secondo AsiaNews, a fine aprile attivisti del Muslim Community Front (FUI) e dell’Anti-Separatism Youth Movement (GAPAS) hanno intimato ai dirigenti della radio di interrompere i programmi. Andi Mulia, del FUI, giustifica così l’iniziativa: “‘Suara Gratia’ dice di aver lanciato e trasmesso un programma speciale diretto alle comunità cristiane, ma noi abbiamo scoperto che la licenza di trasmissione è per ‘uso generale’”. “Cirebon – continua Mulia – è una zona a maggioranza musulmana, il programma di questa radio è inutile qui”. Taufik, il presidente del GAPAS a Cirebon, la pensa allo stesso modo: “Un programma rivolto ai cristiani disorienterà fortemente i cittadini musulmani”. “Se non interrompono le trasmissioni – accusa – vuol dire che il loro intento è proprio il proselitismo”. Jimmy Gideon, direttore di ‘Suara Gratia’, spiega che “non tutti i programmi sono di carattere religioso e con contenuti cristiani”. “In determinati orari – ammette – trasmettiamo un programma speciale solo per le comunità cristiane, ma questo non viola i regolamenti, sebbene la nostra licenza sia peruso generale’ del mezzo”. (R.M.)

 

 

ACCRESCERE IL CONTRIBUTO DEI LAICI AL RINNOVAMENTO E

ALLA MISSIONE DELLA CHIESA: CON QUESTO INTENTO, È STATO INAUGURATO

NEI GIORNI SCORSI, NELL’INDIA MERIDIONALE, UN CENTRO TEOLOGICO PER IL LAICATO, INTITOLATO A GIOVANNI PAOLO II

 

COCHIN. = Un nuovo Centro teologico per il Laicato, intitolato a Giovanni Paolo II, è stato inaugurato nei giorni scorsi nell’arcidiocesi di Changanacherry dei Malabaresi, nello Stato indiano meridionale del Kerala. Il Centro appartiene alla comunità di rito siro-malankarese – uno dei tre riti della Chiesa cattolica indiana, accanto a quello latino e a quello siro-malabarese – ed è aperto a tutti: studenti, padri e madri di famiglia, operatori pastorali e sociali, fedeli di altre confessioni cristiane, che intendano seguire gli studi teologici e specializzarsi in alcuni settori per la catechesi o per il servizio. Intervenendo all’inaugurazione, l’arcivescovo di Changancherry, Joseph Powathil, ha sottolineato che “esso intende dare un contributo ad accrescere la consapevolezza dei fedeli laici, del loro importante ruolo nella missione della Chiesa, delle loro responsabilità nella comunità per l’evangelizzazione, soprattutto mentre la Chiesa affronta le sfide della modernità, della scienza e delle nuove tecnologie”. Il laicato – hanno sottolineato alcuni fedeli che hanno partecipato all’inaugurazione – oggi è chiamato a svolgere la gran parte del lavoro missionario in India, a partire dalle famiglie, da piccoli gruppi che poi si espandono, mettendo al centro della vita la Parola di Dio e l’amore per i poveri. Occorre dunque – hanno aggiunto – creare nei laici e nei giovani una nuova consapevolezza della loro responsabilità di battezzati per la diffusione del Vangelo nella società e nel mondo”. In India, la All India Catholic Union (AICU), associazione laicale fra le più importanti nella nazione, opera per rendere i laici protagonisti nella vita della Chiesa e per difendere l’identità cristiana nella società, svolgendo un prezioso lavoro di sensibilizzazione ed evangelizzazione, in accordo con la Dottrina sociale della Chiesa. “Oggi – hanno sottolineato i rappresentanti dell’organizzazione – non è più tempo di aspettare passivamente: i laici devono impostare il proprio futuro con forza e consapevolezza, a partire dalle questioni spinose e dalle sfide che ci attendono nel presente e che toccano il futuro dei cittadini cattolici nella società indiana”. E hanno concluso: “Dobbiamo e vogliamo contribuire al rinnovamento della Chiesa e del Paese”. (R.M.)

 

 

NEL GHANA, DIMINUITO NELL’ULTIMO ANNO DAL 3,1 AL 2,7 PER CENTO

 IL NUMERO DEI CONTAGIATI DA HIV

 

ACCRA. = La percentuale di cittadini del Ghana contagiati da HIV, precursore dell’AIDS, è scesa dal 3,1 per cento del 2004 al 2,7 per cento del 2005: lo rende noto il Programma nazionale di controllo della sindrome (NACP), precisando che, confrontato con gli anni precedenti, il miglioramento è ancora più marcato. Secondo Nili Akwei, dirigente del NACP, la diminuzione in corso indicherebbe una prossima stabilizzazione della malattia. “Questo apre nuove prospettive, ma anche nuovi problemi”, ha aggiunto, precisando che sarà necessario ora trovare nuove strategie e metodi di comunicazione per non abbassare la guardia in nessun settore sociale. I dati a disposizione del NACP dimostrano che la riduzione maggiore di persone affette da HIV si è registrata nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 24 anni (dal 3,5 per cento del 2002 all’attuale 1,9), mentre il maggior tasso di contagio (5 per cento) si è avuto tra i quarantenni. (R.M.)

 

 

LA SINDONE: LITURGIA, TEOLOGIA E PASTORALE”: È IL TITOLO DEL SIMPOSIO CHE HA CHIUSO IERI A TORINO LA MANIFESTAZIONE “1506-2006: GUARDARE LA SINDONE.

500 ANNI DI LITURGIA SINDONICA”

- A cura di Fabrizio Accatino -

 

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TORINO.= Si sono chiuse ieri, con un Simposio di due giorni dal titolo “La Sindone: liturgia, teologia e pastorale”, le celebrazioni torinesi dedicate alla Sindone e al cinquecentenario della concessione ad essa di una liturgia propria. Storici, teologi e sindonologi hanno approfondito i vari aspetti della pastorale sindonica, che negli ultimi quattro secoli è cambiata nelle forme, acquistando progressivamente in intensità. Si è trattato del primo convegno dedicato alla reliquia in una prospettiva non scientifica, ma liturgica. “E’ stata un’occasione – ha dichiarato mons. Giuseppe Ghiberti, membro della Commissione diocesana per la Sindone e coordinatore del convegno – per visitare una tematica un po’ diversa dalla solita: la liturgia nelle sue varie manifestazioni durante questi cinquecento anni; la storia dell’impegno pastorale della Chiesa riguardo alla presenza della Sindone; riflessioni anche di natura filosofica e teologica”. Nel corso dei secoli, anche il linguaggio sindonico ha conosciuto un’evoluzione – da ‘reliquia’ a ‘immagine’ a ‘cimelio’ – pur prendendo le distanze da una conservazione ‘museale’ di questo patrimonio, promuovendo anzi una sua frequentazione ‘vivente’, quale risorsa per la fede cristiana. “Occorre guardare la Sindone con gli occhi della liturgia e la liturgia con gli occhi della Sindone”, ha spiegato l’arcivescovo di Torino, cardinale Severino Poletto, il quale ha aggiunto: “Ho voluto osservare un po’ di più i testi della liturgia approvata da Giulio II. Nella colletta, cioè nell’orazione della Sindone, si dice proprio che sia raffigurata l’immagine di Cristo. Ma al di là del grande dilemma, se stabilire o no se sia autentica – ha concluso – per noi la Sindone è già di per sé un grande messaggio”.

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24 ORE NEL MONDO

7 maggio 2006

                                                                                                                                        

 

- A cura di Andrea Cocco -

 

Nuova ondata di attentati in Iraq. Questa mattina oltre 30 persone sono morte a seguito di tre esplosioni a Baghdad, mentre all’alba un attentato suicida colpiva la città di Karbala. Tra le vittime anche diversi civili. Secondo osservatori locali, gli attacchi mirano a provocare una nuova ondata di violenze tra la popolazione sciita e la minoranza sunnita. Il servizio di Andrea Cocco

 

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E’ una delle giornate più pesanti delle ultime settimane in Iraq con quattro attentati messi a segno sin dall’alba. In mattinata, a colpire sono due autobombe, fatte esplodere quasi contemporaneamente nel quartiere di Adamia, noto come bastione degli integralisti sunniti: il primo ordigno viene fatto saltare contro un posto di blocco dell'esercito mentre l’altro a 200 metri di distanza, nei pressi di una scuola. Poche ore dopo, il bersaglio di un nuovo attentato è il quotidiano governativo Al-Sabah davanti alla cui sede un’altra autobomba avrebbe provocato almeno un morto. Ma è dalla città di Karbala, 100 chilometri a sud della capitale, che giunge il bilancio più pesante. Un attentatore suicida si è fatto esplodere in mattinata contro un chek-point all’ingresso della città. Tra le vittime ci sarebbero anche molti civili che si trovavano in coda in attesa del controllo.

 

Sullo sfondo di questa nuova carneficina, la stretta conclusiva nelle trattative sul nuovo governo, non ancora formato nonostante siano trascorsi cinque mesi dalle elezioni legislative. Il premier designato, lo sciita Nouri al-Maliki, ha assicurato di essere oramai vicino a uno sbocco nei colloqui con le varie forze politiche del Paese e che un accordo per la nomina dei ministri potrebbe essere pronto addirittura domani. A completare il quadro, l’inquietante notizia diffusa dalle autorità irachene circa il ritrovamento di 43 cadaveri in diversi quartieri della capitale, alcuni dei quali trovati con gli occhi bendati ed evidenti segni di tortura. Ancora non è chiaro se si tratti di civili militari o guerriglieri, ma la scoperta porta a circa un centinaio il numero dei corpi ritrovati in condizioni simili, frutto, secondo corrispondenti locali, della faida tra sanniti e sciiti.

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Secca replica del governo iraniano alle trattative in corso all’interno dell’ONU per porre un freno al programma nucleare della Repubblica islamica. Hamid Reza Assefi, portavoce della diplomazia iraniana, ha avvertito che Theran non sospenderà il suo piano per l’arricchimento dell’uranio e che un eventuale decisione su questo punto da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe provocare la rottura delle relazioni con l’Agenzia internazionale dell’energia atomica. I 15 membri del Consiglio di sicurezza dovrebbero riunirsi nuovamente lunedì per trovare un’intesa sulla risoluzione contro il programma nucleare iraniano, ma le bozza presentata da Francia e Gran Bretagna non ha ancora trovato il beneplacito di Russia e Cina.

 

Stabili le condizioni dei quattro alpini italiani rimasti feriti nell’attentato di venerdì a Kabul e rimpatriati questa notte con uno volo speciale. E’ atteso per questa sera invece l’arrivo all’aeroporto di Ciampino delle salme dei due militari uccisi nello stesso agguato. La procura di Roma, che ha aperto un’indagine per “strage con finalità di terrorismo”, ha intanto disposto il sequestro e il rimpatrio del veicolo su cui i militari viaggiavano e al cui passaggio è stato fatto esplodere l’ordigno. Ma come percepisce la popolazione locale questi continui attacchi della guerriglia nei confronti del contingente internazionale presente in Afghanistan? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al padre barnabita Giuseppe Moretti, superiore della “Missio Sui Iuris” di Kabul:

 

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R. – I sentimenti della popolazione, quando la popolazione ovviamente viene a conoscenza di questi fatti, credo siano come quelli di tutta la gente semplice di questo mondo di dolore, anche perché essa percepisce ciò che, nel caso specifico, i nostri militari fanno concretamente per loro. E’ chiaro che esiste anche il senso della gratitudine soprattutto nella gente semplice, negli afghani. Oltretutto, non si deve confondere questo gruppo di terroristi con la popolazione stessa.

 

D. – Sappiamo che c’è una situazione drammatica dal punto di vista umanitario. Voi cosa state facendo?

 

R. – Facciamo quello che è possibile fare. Qui c’è la Caritas internazionale, ci sono programmi abbastanza consistenti. E’ chiaro che non possono competere con le cooperazioni internazionali, che hanno molti soldi da spendere, ma fanno del loro meglio: lavorano molto bene nel campo sanitario, nel campo scolastico, nella costruzione di scuole, di ambulatori. Certo, non si può pretendere di risolvere da soli tutti i problemi dell’Afghanistan.

 

D. – Come definire l’Afghanistan oggi?

 

R. – L’Afghanistan è un Paese che sta camminando verso la democrazia con molta determinazione, ma nello stesso tempo tra mille ostacoli. E’ un Paese che deve nascere, che deve essere educato alla democrazia, alla pace. E’ un Paese diviso, che viene da 25 anni di guerra.

 

D. – Cosa può fare la comunità internazionale per aiutare questo Paese diretto – come diceva - faticosamente verso la democrazia?

 

R. – La comunità internazionale può formare i dirigenti che dovranno poi guidare il Paese: dalla scuola alla sanità, alla burocrazia, alla politica, all’esercito e alla polizia. Senza imporre quello che è un modello occidentale, ma educando ai principi.

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Il governo sudanese si è detto disposto a far entrare nella martoriata regione del Darfur un contingente per il mantenimento della pace delle Nazioni Unite. L’invio dei caschi blu, che dovrebbero prendere il posto delle forze messe in campo dall’Unione Africana, rientra nel quadro degli accordi di pace siglati venerdì dal governo di Karthoum e il principale gruppo ribelle del Darfur, il Movimento di Liberazione del Sudan (SLM). Proseguono intanto gli sforzi della comunità internazionale per tentare di includere nel processo di pacificazione anche i ribelli del Movimento per la giustizia e l’eguaglianza, gruppo minoritario, che insieme ad un’ala dissidente del SLM, si è rifiutato di firmare l’accordo.

 

Proseguirà anche oggi il vertice tra il presidente palestinese Abu Mazen e Ismaïl Haniyeh, leader della formazione Hamas e attuale primo ministro. Non è bastata la riunione di ieri per mettere fine alle divergenze su come uscire dalla pesante crisi finanziaria che colpisce i Territori a seguito della sospensione degli aiuti da parte di Stati Uniti e Unione Europea. Secondo il portavoce di Abu Mazen, il leader del movimento islamico non ha accettato di modificare la propria politica nei confronti di Israele e tentare così di distendere le relazioni con la comunità internazionale. A gettare benzina sul fuoco, un articolo apparso questa mattina sul quotidiano britannico Sunday Times, secondo cui Hamas aveva messo a punto, prima delle elezioni legislative dello scorso 25 gennaio, un piano per uccidere Abu Mazen. Intanto, una decina di coloni israeliani sono state evacuati questa mattina dalla città di Hebron, a sud della Cisgiordania, per ordine del governo di Ehud Olmert, intenzionato a dare a Israele dei confini definiti entro il 2010. L’operazione, durata due ore, è stata accompagnata dal lancio di pietre e oggetti da parte dei coloni e avrebbe portato al ferimento di almeno dodici poliziotti israeliani.

 

E’ ancora lontano un accordo tra i due schieramenti sul nome del nuovo presidente della Repubblica. L’Unione insiste nel proporre la candidatura del presidente DS, Massimo D’Alema. La Casa delle libertà risponde un secco no e chiede una rosa di nomi sui cui discutere. Domani, alle 16, la prima votazione del Parlamento in seduta comune. Le modalità dell’elezione del capo dello Stato nel servizio di Giampiero Guadagni.

 

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Sono 1.010 i grandi elettori del presidente della Repubblica: 630 deputati, 322 senatori e 58 rappresentanti delle Regioni. Le votazioni sono a scrutinio segreto. Nelle prime tre, la maggioranza richiesta per l’elezione è quella dei due terzi dei componenti l’Assemblea, cioè 674 voti. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, dunque 506 voti.  All’Unione appartengono complessivamente 541 parlamentari, alla Casa delle Libertà 460. A questi, vanno aggiunti i sette senatori a vita più un deputato e un senatore indipendenti eletti nella circoscrizione estero. Dunque dalla quarta votazione, il centrosinistra è in grado almeno sulla carta di eleggere da solo il nuovo capo dello Stato. Soluzione in assoluto non auspicabile. Tutti, infatti, hanno ricordato in questi giorni il cosiddetto “metodo Ciampi”, il modo cioè in cui si arrivò sette anni fa all’elezione del Capo dello Stato, con una scelta condivisa e di garanzia istituzionale per tutti. E che sia stata una scelta giusta, lo dimostra l’affetto e la stima che continua a circondare lo stesso Ciampi.

 

Nel frattempo, va detto, la riforma della Costituzione, che sarà sottoposta a fine giugno ad un referendum confermativo, ha introdotto alcune novità anche per il presidente della Repubblica. Oggi, per essere eletto, deve aver compiuto 50 anni, mentre in futuro ne basteranno 40. Il presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Con la riforma, diviene il capo dello Stato, rappresenta la nazione ed è garante della Costituzione e dell’unità federale della Repubblica. Cambieranno anche i poteri. Oggi, il presidente della Repubblica può sciogliere le Camere o anche solo una di esse. In futuro, potrà sciogliere le Camere ma solo su richiesta del premier o in caso di sfiducia. Avrà però alcuni nuovi poteri: la nomina dei presidenti delle Autorità indipendenti, del presidente del CNEL e del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura.  

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni

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Da ieri, il Brasile fa parte del ristretto club degli stati dotati delle infrastrutture necessarie per arricchire l’uranio. L’annuncio è stato fatto ufficialmente venerdì in occasione dell’inaugurazione del nuovo impianto nucleare di Resende, nello Stato di Rio de Janeiro. Secondo gli scienziati che hanno progettato l’impianto, le attrezzature attualmente in dotazione allo Stato brasiliano sono in assoluto le più avanzate rispetto a quelle di tutte le altre potenze nucleari. Il Brasile ha una delle più estese riserve di uranio al mondo, ma fino ad oggi è sempre stato costretto ad esportarlo per il processo dell’arricchimento. L’apertura ufficiale del nuovo impianto giunge dopo una lunga contrattazione con l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA).

 

Un centro di intervento rapido con sede nel porto di Mombasa, in Kenya, ed espressamente incaricato di contrastare gli atti di pirateria. L’Organizzazione marittima internazionale ha deciso di mettere in campo tutte le proprie forze per contrastare un fenomeno oramai dilagante nell’Oceano Indiano: gli assalti alle navi commerciali dirette o provenienti dal Mar Rosso. Secondo le autorità del Kenya, nell’ultimo anno i pirati, che hanno le loro basi sulle coste somale, avrebbero messo a segno almeno 40 assalti. Il centro, dotato di moderne apparecchiature, dovrebbe consentire un intervento più tempestivo per contrastare il fenomeno.

 

 

 

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