RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 127 - Testo della trasmissione di domenica 7 maggio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
L’impegno della Chiesa in Perù, in
vista della seconda tornata elettorale nel Paese.
In Indonesia, estremisti
islamici minacciano una radio cristiana accusata di proselitismo.
Inaugurato in India meridionale
un Centro teologico per il laicato intitolato a Giovanni Paolo II
Nel Ghana, diminuito nell’ultimo
anno il numero dei contagiati da HIV
In Iraq, nuova ondata di attentati e di uccisioni
sullo sfondo delle trattative per la formazione del
governo.
“Non sospenderemo il piano per l’arricchimento
dell’uranio”: questa la dura replica del governo iraniano alla bozza di
risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
7 maggio 2006
IL
SACERDOZIO E’ SERVIZIO A DIO E ALL’UMANITA’ ATTRAVERSO LA CROCE E L’AMORE
E MAI
UN MEZZO PER FARE CARRIERA.
COSI’
BENEDETTO XVI NELLA MESSA PER L’ORDINAZIONE DI 15 NUOVI SACERDOTI.
AL REGINA COELI, IL PAPA HA INVOCATO ABBONDANZA DI CHIAMATE NELLA
CHIESA
NEL
GIORNO DELLA PREGHIERA MONDIALE PER LE VOCAZIONI
Uomini consacrati da Dio e a servizio di Dio lungo le
strade del mondo, che hanno in cuore l’amore per l’umanità e non i propri
interessi di carriera e gratificazione. E’ un ritratto netto - distinto tra le
luci della vocazione e le ombre della debolezza umana - quello che Benedetto
XVI ha tracciato questa mattina della chiamata al sacerdozio, durante la Messa
di ordinazione presbiterale presieduta dal Papa nella Basilica di San Pietro.
Quindici nuovi diaconi sono stati consacrati dal Pontefice, che si è soffermato
sul rapporto tra il sacerdote e l’immagine del Buon Pastore in rapporto al
mondo cristiano contemporaneo. I particolari della cerimonia, nel servizio di
Alessandro De Carolis:
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(canto)
Chi è il sacerdote? Un amico intimo di Dio e un esperto di
umanità. Un pastore inteso non secondo la visione antica, legata alla terra, ma
secondo la sensibilità moderna: un uomo che riflette nel suo agire l’immagine
di chi l’ha consacrato dall’Alto, e che come Lui segue ciascuno di noi “fin nei
nostri deserti e nelle nostre confusioni”, che sa prendere sulle sue spalle la
“pecorella smarrita” dell’umanità “e la porta a casa”. Senso del sacro, affetto
paterno e commozione si fondono nelle parole con cui Benedetto XVI sceglie di
chiudere l’omelia della Messa. Davanti a lui - con la fascia diagonale sul
petto che di lì a poco diverrà stola appoggiata sulle spalle come quell’umanità di cui hanno scelto di farsi carico – stanno
i 15 diaconi in procinto di prostrarsi a terra per offrire la propria vita
nella vocazione del sacerdozio. Il loro abito bianco domina dove ieri era
l’intreccio cromatico delle Guardie Svizzere, all’interno della
Basilica di S. Pietro nuovamente stipata da migliaia di persone.
(canto litanie)
La liturgia sacramentale – la seconda presieduta da
Benedetto XVI dopo i 21 diaconi ordinati nel maggio 2005 – si è snodata secondo
le modalità solenni e suggestive che le sono proprie. Tra i concelebranti,
il cardinale Camillo Ruini, vicario del Pontefice per
la città di Roma: città che ha donato metà dei 12
nuovi sacerdoti italiani ordinati dal Papa, insieme con un polacco, un israeliano
e un honduregno. Prima di imporre su di loro le mani,
Benedetto XVI ha riflettuto sui molti significati della parabola del Buon
Pastore, proclamata durante il Vangelo. “Tre cose”, ha esordito Benedetto XVI,
Gesù dice sul “vero pastore: egli dà la propria vita per le pecore, le
conosce ed esse lo conoscono, sta a servizio dell'unità”.
Ma prima di approfondire questi concetti, il Papa ha messo in
guardia i diaconi da una tentazione: quella non tanto di entrare nel recinto
delle pecore, quanto di scavalcarlo, per arrivare – come il mercenario della
parabola – “là dove legittimamente non potrebbe arrivare”:
“’Salire’ – si può
qui vedere anche l'immagine del carrierismo, del tentativo di arrivare ‘in alto’, di procurarsi una posizione mediante la Chiesa: servirsi,
non servire. È l'immagine dell'uomo che, attraverso il sacerdozio, vuole farsi
importante, diventare un personaggio; l'immagine di colui che ha di mira la
propria esaltazione e non l'umile servizio di Gesù Cristo. Ma l'unica ascesa
legittima verso il ministero del pastore è la croce. È questa la porta. Non
desiderare di diventare personalmente qualcuno, ma invece esserci per l'altro,
per Cristo”.
In questo modo, ha proseguito Benedetto XVI, il sacerdote
si dispone ad essere un “altro Cristo”. E’ poiché il
vero pastore dà la vita per le pecore, il sacerdote, che di quel pastore è
segno, “dona se stesso” a cominciare dal sacrificio che offriranno d’ora in poi
le nuove mani consacrate durante la Messa di ordinazione, l’Eucaristia
quotidiana:
“L'Eucaristia deve diventare per noi una scuola di vita, nella quale
impariamo a donare la nostra vita. La vita non la si
dona solo nel momento della morte e non soltanto nel modo del martirio. Noi
dobbiamo donarla giorno per giorno. Occorre imparare giorno per giorno che io
non possiedo la mia vita per me stesso (…) Donare la vita, non prenderla. È
proprio così che facciamo l'esperienza della libertà. La libertà da noi stessi,
la vastità dell'essere. Proprio così, nell'essere utile, la nostra vita diventa
importante e bella. Solo chi dona la propria vita, la trova”.
Il sacerdote come un pastore
conosce gli uomini, li segue, va a trovarli, è aperto alle loro domande, alle
necessità. Dunque il sacerdote, ha affermato il Papa non può essere “uno che
parla soltanto nel proprio nome, attingendo da sé”, ma
deve essere cassa di risonanza della “voce del Padre”. E ancora, il sacerdote
deve servire l’unità, perché il destino dell’umanità, secondo Dio, è di
diventare “un solo gregge” con “un solo pastore”:
“La Chiesa non deve mai accontentarsi della schiera di coloro che a un
certo punto ha raggiunto. Non può ritirarsi comodamente nei limiti del proprio
ambiente. È incaricata della sollecitudine universale, deve preoccuparsi di
tutti (…) Ovviamente un sacerdote, un pastore d'anime, deve innanzitutto
preoccuparsi di coloro, che credono e vivono con la Chiesa (…) Tuttavia,
dobbiamo anche sempre di nuovo – come dice il Signore – uscire ‘per le strade e
lungo le siepi’ per portare l'invito di Dio al suo
banchetto anche a quegli uomini che finora non ne hanno ancora sentito niente,
o non ne sono stati toccati interiormente”.
E il servizio dell’unità, ha aggiunto il Papa, prende
forma anche nell’impegno “per l’unità interiore della Chiesa, perché essa,
oltre tutte le diversità e i limiti, sia un segno della presenza di Dio nel
mondo che solo può creare una tale unità”.
(canto Regina Coeli)
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E alla preghiera pasquale del Regina Coeli,
seguita alla celebrazione in San Pietro, Benedetto XVI ha anzitutto ringraziato
Dio per i nuovi sacerdoti appena ordinati nel giorno della Giornata mondiale di
preghiera per le vocazioni. Nel ricordare, alla folla radunatasi
sotto la finestra del suo studio, l’importanza di ogni chiamata all’interno
della Chiesa – da quella della famiglia alla vita consacrata – il Papa ha
ribadito lo stretto rapporto che lega la vita cristiana ai Sacramenti che, ha
affermato il Pontefice, rinnovano l’“amicizia personale con Cristo”. E
prendendo spunto dal suo Messaggio per la Giornata di preghiera, il Papa ha aggiunto:
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“Ecco perché – come
ho ribadito nello stesso Messaggio – la missione del sacerdote è insostituibile,
e anche se in alcune regioni si registra scarsità di clero, non si deve
dubitare che Dio continui a chiamare ragazzi, giovani e adulti a lasciare tutto
per dedicarsi alla predicazione del Vangelo e al ministero pastorale”.
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Al momenti dei saluti in più lingue,
Benedetto XVI ha avuto parole particolari, tra gli altri, per i familiari e gli
amici delle Guardie Svizzere - al centro delle celebrazioni, in questi giorni,
per i 500 anni dalla loro fondazione - nonché per gli appartenenti alla Polizia
di Stato italiana, che festeggia i 154 anni di servizio.
Tra i
15 sacerdoti ordinati questa mattina da benedetto XVI, cinque provengono dal Seminario
Romano Maggiore. Il rettore del Seminario, mons. Giovanni Tani,
intervistato da Giovanni Peduto, si sofferma sui
diversi percorsi vocazionali di un giovane:
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R. - Un giovane può rendersi conto di essere chiamato in
molti modi, anche fortuiti, ma il vero discernimento vocazionale ha poi bisogno
di molta riflessione. Una riflessione che scavi ad esempio nei temi che il Papa
espone nel suo Messaggio: il disegno eterno di Dio su ciascuno di noi, chiamati
a essere suoi figli. La chiamata alla santità: il Papa
ci invita a una contemplazione nella quale ci sentiamo come quegli uomini e
quelle donne del Vangelo che hanno seguito Gesù. Il Papa si rende conto di come
questi temi siano lontani dalla mentalità che ci circonda: “Che dire della
tentazione, molto forte ai nostri giorni, di sentirci autosufficienti fino a
chiuderci al misterioso piano di Dio nei nostri confronti”? E dice anche: “Il
peso di due millenni di storia rende difficile percepire la novità del mistero
affascinante dell’adozione divina”.
D. – E, quindi, cosa fare?
R. - Credo che potrebbero moltiplicarsi le iniziative
nelle quali, selezionando ragazzi e ragazze disposti a fare un percorso
vocazionale, si possano affrontare, in un clima di preghiera, questi temi e con
la direzione spirituale affiancare ciascuno di loro per aiutarli serenamente a
comprendere la volontà di Dio. Questo può avvenire anche in piccoli gruppi,
dove sia chiara la motivazione della ricerca vocazionale.
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TRENTATRÈ
NUOVE RECLUTE DELLA GUARDIA SVIZZERA HANNO GIURATO FEDELTÀ AL PAPA. LA
CERIMONIA SVOLTASI ECCEZIONALMENTE IN PIAZZA SAN PIETRO, NELL’ANNO DEL QUINTO
CENTENARIO DI FONDAZIONE DEL CORPO MILITARE PONTIFICIO
Nell’anno giubileo del loro V centenario di fondazione,
ieri pomeriggio, le nuove reclute della Guardia Svizzera Pontificia hanno
prestato eccezionalmente il loro giuramento sul sagrato della Basilica
Vaticana. La solenne cerimonia ha ricordato anche i 147 militari elvetici che
il 6 maggio del 1527 morivano a San Pietro in difesa di Clemente VII dai Lanzichenecchi,
entrati a Roma per saccheggiarla. Il servizio di Tiziana Campisi:
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(musica)
Gli squilli delle trombe hanno annunciato l’inizio
della cerimonia e il drappello delle reclute ha cominciato la sua marcia verso
il sagrato della Basilica di San Pietro. Poi è toccato al cappellano Alois Jehle leggere la formula
del giuramento:
“Giuro di servire fedelmente, lealmente onorevolmente
il Sommo Pontefice Benedetto XVI e i suoi legittimi successori, come pure di
dedicarmi a loro con tutte le forze, sacrificando, ove occorra, anche la vita
per la loro difesa”.
(giuramento di una
recluta)
“Giuro di osservare fedelmente, lealmente e
onorevolmente tutto ciò che in questo momento mi è stato detto. Che Dio e i
nostri santi patroni mi assistano”.
Con queste parole, i 33 nuovi alabardieri hanno
giurato fedeltà a Benedetto XVI. Con la mano sinistra sulla loro bandiera ed
alzando tre dita della mano destra al cielo come segno di devozione alla
Trinità, le reclute della Guardia Svizzera Pontificia hanno pronunciato
l’antica formula che li pone al servizio del Papa. Il giuramento delle reclute
è stato preceduto dal discorso del comandante del Corpo, Elmar
Mäder, che prima di presentare le nuove Guardie
svizzere al rappresentante del Santo Padre - il sostituto della Segreteria di
Stato, l’arcivescovo Leonardo Sandri - ha passato in
rassegna i ranghi:
“Le presento, eccellentissimo monsignor sostituto, 33
Guardie. Essi sono qui con il petto coperto di ferro, ferro che rappresenta la
fermezza con la quale assolveranno il loro servizio. Hanno cercato nel loro
cuore il sole che sorge e l’hanno trovato in Cristo. Signore, fa’ in modo che
le Guardie non cessino mai di guardare Te, il vero Sole”.
Quindi, a prendere la parola è stato il cappellano
della Guardia Svizzera Pontificia, mons. Alois Jehle:
“Care guardie, avete scelto di
servire più da vicino la Chiesa di Cristo nella persona del Santo Padre.
Cercate anche voi di commentare il libro divino con la vostra vita. Dimostrate
il coraggio che vi caratterizza e testimoniate sempre a testa alta la fede nel
Signore morto e risorto”.
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DOMANI,
LA RECITA DELLA SUPPLICA ALLA MADONNA DEL ROSARIO,
NEL
SANTUARIO DI POMPEI. LA CERIMONIA PRESIEDUTA DAL VICARIO DEL PAPA,
- A cura di Roberta Moretti -
E’ tradizione ormai, da oltre un secolo, che l’8 maggio e
la prima domenica di ottobre, al santuario di Pompei, dedicato alla Madonna del
Rosario, si reciti la Supplica: vibrante e corale
preghiera di invocazione alla Madonna, composta nel 1883 dal beato Bartolo Longo, in occasione della benedizione della prima campana.
Domani, sul sagrato della Basilica, davanti alla facciata dedicata alla Pace Universale,
si rinnova questa tradizione con la cerimonia presieduta, quest’anno, dal
vicario del Papa per
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7 maggio 2006
LA
COESISTENZA PACIFICA NEL KOSOVO E IL CONTRIBUTO DEL DIALOGO
INTERCONFESISONALE
E RELIGIOSO. INCONTRO A PRISTINA
TRA
LEADER CRISTIANI, EBREI E MUSULMANI
-
Intervista con don Lush Gjergji
-
Il Kosovo e le sue speranze di
rafforzare la pace e il rispetto reciproco tra le varie etnie. E’ stato questo
l’argomento principale dell’incontro interreligioso che si è svolto nei giorni
scorsi nel monastero ortodosso serbo di Peja. A
confrontarsi sono stati leader cattolici, ortodossi, protestanti, ma anche
esponenti musulmani ed ebrei presenti in Kosovo.
L’incontro interreligioso è stato promosso dalle Chiese della Norvegia, una ONG, allo scopo di favorire la coesistenza pacifica, mulktietnica e multireligiosa. Al
termine dell’incontro, è stata firmata una dichiarazione congiunta che il
vescovo ortodosso Teodosije ha auspicato possa toccare
il cuore dei politici locali e di tutti i cittadini in direzione della pace. Il
nostro collega, don Davide Djudjaj, ha intervistato
il rappresentante cattolico, il vicario generale dell’Amministrazione
apostolica di Pristina, don Lush
Gjergji:
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R. – I punti fondamentali sono molto positivi, perché
abbiamo per la prima volta analizzato il passato: non
nella chiave della fossilizzazione, che ci condiziona, ma quel passato che è
stato duro e difficile per tutti, senza entrare in argomenti come, ad esempio,
per chi abbiamo sofferto, per cosa e così via. Abbiamo detto prima di tutto che
noi vogliamo rispettarci gli uni con gli altri, accettare non solo gli
individui, ma anche le comunità, sia nazionali che religiose nella forma
istituzionale, creare la possibilità del dialogo e delle prospettive per il
futuro. Dunque, abbiamo affermato che noi, guide delle comunità religiose,
siamo convinti che l’odio rappresenti la sconfitta di tutto, come anche la
guerra rappresenti la sconfitta di tutti. Tramite l’odio non si può arrivare a
niente, tranne che alle uccisioni. La libertà è la conquista vera: è
sconfiggere dentro di noi l’odio ed essere liberi. Quando siamo liberi
dall’odio e dal male siamo figli di Dio, serviamo Dio, serviamo le nostre
comunità, ci serviamo gli uni con gli altri, e in questo modo rendiamo un
servizio a Dio, un servizio alle nostre comunità e un servizio anche alla
comunità civile.
D. – E’ stato firmato un documento finale al temine del vostro incontro. Cosa avete sottolineato, in
particolare, soprattutto tenendo presente il passaggio delicato che il Kosovo sta vivendo, ossia i negoziati tra Pristina e Belgrado
sullo statuto definitivo del Kosovo?
R. – Noi abbiamo soprattutto accennato che non possiamo
vivere solo gli uni accanto agli altri, come se fossimo oggetti, ma vivere
insieme agli altri e vivere gli uni per gli altri. In
questo modo, noi rispettiamo l’identità e la dignità di ogni persona e di ogni
comunità religiosa e così arriviamo a quello che è fondamentale: l’unità nella
diversità. E parlando del passato abbiamo detto: “Valorizziamo tutte le
sofferenze che sono state causate. Queste non devono essere un ostacolo per vivere
il momento presente e per aprire possibilità al futuro”. Abbiamo unanimemente
condannato l’odio, la guerra, la distruzione delle chiese, sia cattoliche che
ortodosse, delle moschee. Non basta, però, ricostruire e costruire oggetti,
bisogna soprattutto costruire e ricostruire la vita dell’uomo, soprattutto la
mente e il cuore che è stato ferito.
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L’IMPEGNO
DEI MISSIONARI CAPPUCCINI E DELLE SUORE FRANCESCANE
NELLA
DIFFICILE LOTTA ALL’AIDS IN CAMERUN
-
Intervista con Luca Piantanida -
L’AIDS è una delle peggiori piaghe mortali dell’Africa. La
malattia provoca più decessi delle guerre e intere famiglie si stanno
decimando. Anche il Camerun è toccato da questo flagello ed è difficile
monitorare la situazione. Sul posto, operano da tempo i missionari Cappuccini
che a Shinsong, in collaborazione con le Suore
Francescane, hanno messo a punto il progetto “Contro l’Aids in Camerun”. Antonella Villani ha intervistato in proposito padre Luca Piantanida, missionario nel Paese da 4 anni:
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R. – E’ la prima causa di morte anche in Camerun, in una
zona ideale come quella dove sono io.
D. – Voi avete messo a punto un progetto per combattere
questa malattia. In che cosa consiste?
R. – Costatare quanta gente veniva a chiederci di essere
aiutata, abbiamo iniziato una collaborazione con l’ospedale qui vicino, gestito
dalle Francescane. Siamo partiti dal loro bisogno di acquistare
l’apparecchiatura di laboratorio con cui individuare il livello di malattia e
quindi partire con la terapia giusta per ogni malato. Abbiamo contattato i
nostri benefattori, li abbiamo aiutati a comprare queste apparecchiature e poi
il progetto è proseguito con l’aiuto non solo dei malati che non hanno i soldi
per comprare le medicine.
D. – Uno dei problemi maggiori è proprio l’acquisto dei
farmaci, per l’Africa troppo cari…
R. – Dall’anno scorso, il costo è stato ridotto ad un
quinto di quello che era prima. Purtroppo, il costo della vita, qui, è comunque
proporzionato rispetto ai costi delle medicine che vengono
date.
D. – Lei vive in Camerun da quattro anni. Cosa ricorda del
primo impatto con il Paese?
R. – Una certa diversità sicuramente nel valutare le cose,
il tempo, le persone. Qui la società è un po’ al centro di tutto e l’individuo
conta di meno che da noi. Conta molto di più essere parte di un gruppo, di una
famiglia e di una tribù.
D. – Che cosa ha imparato da questo lungo soggiorno?
R. – Guardo alla mia vita in Italia, come si vive in
Europa: sicuramente ho acquisito un coraggio a prendere le cose in un modo
diverso, con più pazienza, con più serenità. La vita, qui, è una cosa molto più semplice di come si vive da noi. Da noi, in
Occidente, è tutto complicato, tutto di corsa, tutto fatto con ansia, con
preoccupazione. Qui, insomma, la vita è vissuta anche con serenità nonostante i
problemi che ci sono, nonostante la povertà. Dove sei nato vivi con poco e questo
è tutto quello che c’è. Qui la malattia e la morte fanno parte della vita.
D. – Che cosa significa portare la Parola di Dio in un
ospedale come quello dove opera lei?
R. – Qui la parola di Dio è accolta con molta semplicità.
Senza l’acredine, a volte il dubbio, a volte la rabbia anche, con cui è accolta
da noi. Qui la fede ce l’hanno tutti, fa parte della
vita. Non si può neanche pensare che l’uomo non abbia fede. Dunque, si porta la
certezza di una speranza, si porta la certezza che Dio è lì e ti aiuta.
D. – A questo punto il suo appello…
R. – Per le persone che vivono qui: non solo come persone
che hanno bisogno, ma come persone che hanno da insegnarci una saggezza della
vita che non siamo abituati a vedere, che forse viene
dimenticata. E poi, data la povertà che c’è qui, un appello a continuare ad
aiutarci perché i bisogni sono tanti.
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7 maggio 2006
“UN VOTO NON PENSATO È UN VOTO
PERSO”: COSÌ, IL PRESIDENTE DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE DEL PERU’,
MONS. CABREJOS VIDARTE, IN UN COMUNICATO PUBBLICATO IN VISTA DELLA
SECONDA TORNATA ELETTORALE NEL PAESE,
IN PROGRAMMA IL 4 GIUGNO
PROSSIMO
LIMA. = “Riaffermo la
disponibilità della Chiesa, la cui prima responsabilità è l’evangelizzazione, a
continuare a collaborare con il Perù per il suo sviluppo storico, culturale e
morale, come riconosce la sua Costituzione politica, senza dimenticare che attualmente
IN INDONESIA, ESTREMISTI ISLAMICI MINACCIANO UNA
RADIO CRISTIANA:
“FA PROSELITISMO – ACCUSANO – E DEVE CHIUDERE LE
TRASMISSIONI”
JAKARTA. = Estremisti islamici in
Indonesia hanno lanciato una campagna per la chiusura di un’emittente radio
cristiana, che accusano di proselitismo. “Radio Suara Gratia”,
“La Voce della Grazia”, ha sede a Cirebon,
ACCRESCERE IL CONTRIBUTO DEI
LAICI AL RINNOVAMENTO E
ALLA MISSIONE DELLA CHIESA: CON
QUESTO INTENTO, È STATO INAUGURATO
NEI GIORNI SCORSI, NELL’INDIA
MERIDIONALE, UN CENTRO TEOLOGICO PER IL LAICATO, INTITOLATO A GIOVANNI PAOLO II
COCHIN. = Un nuovo
Centro teologico per il Laicato, intitolato a Giovanni Paolo II, è stato
inaugurato nei giorni scorsi nell’arcidiocesi di Changanacherry
dei Malabaresi, nello Stato indiano meridionale del Kerala. Il Centro appartiene alla comunità di rito siro-malankarese – uno dei tre riti della Chiesa cattolica
indiana, accanto a quello latino e a quello siro-malabarese
– ed è aperto a tutti: studenti, padri e madri di famiglia, operatori pastorali
e sociali, fedeli di altre confessioni cristiane, che intendano seguire gli
studi teologici e specializzarsi in alcuni settori per la catechesi o per il
servizio. Intervenendo all’inaugurazione, l’arcivescovo di Changancherry,
Joseph Powathil, ha
sottolineato che “esso intende dare un contributo ad accrescere la
consapevolezza dei fedeli laici, del loro importante ruolo nella missione della
Chiesa, delle loro responsabilità nella comunità per l’evangelizzazione, soprattutto mentre
NEL
GHANA, DIMINUITO NELL’ULTIMO ANNO DAL 3,1 AL 2,7 PER CENTO
IL NUMERO DEI CONTAGIATI DA HIV
ACCRA. = La percentuale di cittadini
del Ghana contagiati da HIV, precursore dell’AIDS, è scesa dal 3,1 per cento
del 2004 al 2,7 per cento del 2005: lo rende noto il Programma nazionale di
controllo della sindrome (NACP), precisando che, confrontato con gli anni
precedenti, il miglioramento è ancora più marcato. Secondo Nili
Akwei, dirigente del NACP, la diminuzione in corso
indicherebbe una prossima stabilizzazione della malattia. “Questo apre nuove
prospettive, ma anche nuovi problemi”, ha aggiunto, precisando che sarà
necessario ora trovare nuove strategie e metodi di comunicazione per non abbassare
la guardia in nessun settore sociale. I dati a disposizione del NACP dimostrano
che la riduzione maggiore di persone affette da HIV si è registrata nella
fascia d’età compresa tra i 15 e i 24 anni (dal 3,5 per cento del 2002
all’attuale 1,9), mentre il maggior tasso di contagio (5 per cento) si è avuto
tra i quarantenni. (R.M.)
“
500
ANNI DI LITURGIA SINDONICA”
- A
cura di Fabrizio Accatino -
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TORINO.= Si sono chiuse ieri, con un Simposio di due
giorni dal titolo “
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7 maggio 2006
- A cura di Andrea Cocco -
Nuova ondata di attentati in Iraq. Questa mattina oltre 30
persone sono morte a seguito di tre esplosioni a Baghdad, mentre all’alba un
attentato suicida colpiva la città di Karbala. Tra le vittime anche diversi civili. Secondo
osservatori locali, gli attacchi mirano a provocare una nuova ondata di
violenze tra la popolazione sciita e la minoranza sunnita.
Il servizio di Andrea Cocco
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E’ una delle giornate più pesanti delle ultime settimane
in Iraq con quattro attentati messi a segno sin dall’alba. In
mattinata, a colpire sono due autobombe, fatte
esplodere quasi contemporaneamente nel quartiere di Adamia, noto come
bastione degli integralisti sunniti: il primo ordigno viene fatto saltare
contro un posto di blocco dell'esercito mentre l’altro a 200 metri di distanza,
nei pressi di una scuola. Poche ore dopo, il bersaglio di un nuovo attentato è
il quotidiano governativo Al-Sabah davanti alla cui
sede un’altra autobomba avrebbe provocato almeno un
morto. Ma è dalla città di Karbala, 100 chilometri a
sud della capitale, che giunge il bilancio più pesante. Un attentatore suicida
si è fatto esplodere in mattinata contro un chek-point
all’ingresso della città. Tra le vittime ci sarebbero anche molti civili che si
trovavano in coda in attesa del controllo.
Sullo sfondo di questa nuova carneficina, la
stretta conclusiva nelle trattative sul nuovo governo, non ancora formato
nonostante siano trascorsi cinque mesi dalle elezioni legislative. Il premier
designato, lo sciita Nouri al-Maliki,
ha assicurato di essere oramai vicino a uno sbocco nei colloqui con le varie
forze politiche del Paese e che un accordo per la nomina dei ministri potrebbe
essere pronto addirittura domani. A completare il quadro, l’inquietante notizia diffusa
dalle autorità irachene circa il ritrovamento di 43 cadaveri in diversi
quartieri della capitale, alcuni dei quali trovati con gli occhi bendati ed
evidenti segni di tortura. Ancora non è chiaro se si tratti di civili militari
o guerriglieri, ma la scoperta porta a circa un centinaio il numero dei corpi
ritrovati in condizioni simili, frutto, secondo corrispondenti locali, della
faida tra sanniti e sciiti.
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Secca replica del governo iraniano alle trattative
in corso all’interno dell’ONU per porre un freno al programma nucleare della
Repubblica islamica. Hamid Reza
Assefi, portavoce della diplomazia iraniana, ha
avvertito che Theran non sospenderà il suo piano per
l’arricchimento dell’uranio e che un eventuale decisione
su questo punto da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
potrebbe provocare la rottura delle relazioni con l’Agenzia internazionale
dell’energia atomica. I 15 membri del Consiglio di sicurezza dovrebbero
riunirsi nuovamente lunedì per trovare un’intesa sulla risoluzione contro il programma
nucleare iraniano, ma le bozza presentata da Francia e
Gran Bretagna non ha ancora trovato il beneplacito di Russia e Cina.
Stabili le condizioni dei quattro alpini italiani rimasti
feriti nell’attentato di venerdì a Kabul e rimpatriati questa notte con uno volo speciale. E’ atteso per questa sera invece l’arrivo
all’aeroporto di Ciampino delle salme dei due
militari uccisi nello stesso agguato. La procura di Roma, che ha aperto
un’indagine per “strage con finalità di terrorismo”, ha intanto disposto il
sequestro e il rimpatrio del veicolo su cui i militari viaggiavano e al cui passaggio
è stato fatto esplodere l’ordigno. Ma come percepisce la popolazione locale
questi continui attacchi della guerriglia nei confronti del contingente
internazionale presente in Afghanistan? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al
padre barnabita Giuseppe Moretti, superiore della “Missio
Sui Iuris” di Kabul:
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R. – I
sentimenti della popolazione, quando la popolazione ovviamente viene a conoscenza
di questi fatti, credo siano come quelli di tutta la gente semplice di questo
mondo di dolore, anche perché essa percepisce ciò che, nel caso specifico, i
nostri militari fanno concretamente per loro. E’ chiaro che esiste anche il
senso della gratitudine soprattutto nella gente semplice, negli afghani.
Oltretutto, non si deve confondere questo gruppo di terroristi con la
popolazione stessa.
D. –
Sappiamo che c’è una situazione drammatica dal punto di vista umanitario. Voi
cosa state facendo?
R. –
Facciamo quello che è possibile fare. Qui c’è la Caritas internazionale, ci
sono programmi abbastanza consistenti. E’ chiaro che non possono competere con
le cooperazioni internazionali, che hanno molti soldi da spendere, ma fanno del
loro meglio: lavorano molto bene nel campo sanitario, nel campo scolastico,
nella costruzione di scuole, di ambulatori. Certo, non si può pretendere di
risolvere da soli tutti i problemi dell’Afghanistan.
D. –
Come definire l’Afghanistan oggi?
R. –
L’Afghanistan è un Paese che sta camminando verso la democrazia con molta determinazione,
ma nello stesso tempo tra mille ostacoli. E’ un Paese che deve nascere, che
deve essere educato alla democrazia, alla pace. E’ un Paese diviso, che viene
da 25 anni di guerra.
D. –
Cosa può fare la comunità internazionale per aiutare questo Paese diretto –
come diceva - faticosamente verso la democrazia?
R. – La
comunità internazionale può formare i dirigenti che
dovranno poi guidare il Paese: dalla scuola alla sanità, alla burocrazia, alla
politica, all’esercito e alla polizia. Senza
imporre quello che è un modello occidentale, ma
educando ai principi.
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Il
governo sudanese si è detto disposto a far entrare nella martoriata regione del
Darfur un contingente per il mantenimento della pace
delle Nazioni Unite. L’invio dei caschi blu, che dovrebbero prendere il posto
delle forze messe in campo dall’Unione Africana, rientra nel quadro degli
accordi di pace siglati venerdì dal governo di Karthoum
e il principale gruppo ribelle del Darfur, il
Movimento di Liberazione del Sudan (SLM). Proseguono intanto gli sforzi della
comunità internazionale per tentare di includere nel processo di pacificazione
anche i ribelli del Movimento per la giustizia e l’eguaglianza, gruppo
minoritario, che insieme ad un’ala dissidente del SLM,
si è rifiutato di firmare l’accordo.
Proseguirà anche oggi il vertice tra il presidente
palestinese Abu Mazen e Ismaïl Haniyeh, leader della
formazione Hamas e attuale primo ministro. Non è bastata la riunione di ieri
per mettere fine alle divergenze su come uscire dalla pesante crisi finanziaria
che colpisce i Territori a seguito della sospensione degli aiuti da parte di
Stati Uniti e Unione Europea. Secondo il portavoce di Abu
Mazen, il leader del movimento islamico non ha accettato
di modificare la propria politica nei confronti di Israele e tentare così di
distendere le relazioni con la comunità internazionale. A gettare benzina sul
fuoco, un articolo apparso questa mattina sul quotidiano britannico Sunday Times, secondo cui Hamas
aveva messo a punto, prima delle elezioni legislative
dello scorso 25 gennaio, un piano per uccidere Abu Mazen. Intanto, una decina di coloni israeliani sono state
evacuati questa mattina dalla città di Hebron, a sud
della Cisgiordania, per ordine del governo di Ehud Olmert, intenzionato a dare
a Israele dei confini definiti entro il 2010. L’operazione, durata due ore, è
stata accompagnata dal lancio di pietre e oggetti da parte dei coloni e avrebbe
portato al ferimento di almeno dodici poliziotti israeliani.
E’ ancora lontano un accordo tra i due schieramenti sul
nome del nuovo presidente della Repubblica. L’Unione insiste nel proporre la
candidatura del presidente DS, Massimo D’Alema. La
Casa delle libertà risponde un secco no e chiede una rosa di nomi sui cui discutere.
Domani, alle 16, la prima votazione del Parlamento in seduta comune. Le modalità
dell’elezione del capo dello Stato nel servizio di Giampiero Guadagni.
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Sono 1.010 i grandi elettori del presidente della
Repubblica: 630 deputati, 322 senatori e 58 rappresentanti delle Regioni. Le
votazioni sono a scrutinio segreto. Nelle prime tre, la maggioranza richiesta
per l’elezione è quella dei due terzi dei componenti l’Assemblea, cioè 674
voti. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, dunque 506 voti. All’Unione appartengono complessivamente 541
parlamentari, alla Casa delle Libertà 460. A questi, vanno aggiunti i sette
senatori a vita più un deputato e un senatore indipendenti eletti
nella circoscrizione estero. Dunque dalla quarta votazione, il
centrosinistra è in grado almeno sulla carta di eleggere da solo il nuovo capo
dello Stato. Soluzione in assoluto non auspicabile. Tutti, infatti, hanno
ricordato in questi giorni il cosiddetto “metodo Ciampi”, il modo cioè in cui
si arrivò sette anni fa all’elezione del Capo dello
Stato, con una scelta condivisa e di garanzia istituzionale per tutti. E che sia stata una scelta giusta, lo dimostra l’affetto e la
stima che continua a circondare lo stesso Ciampi.
Nel frattempo, va detto, la riforma della Costituzione,
che sarà sottoposta a fine giugno ad un referendum confermativo, ha introdotto
alcune novità anche per il presidente della Repubblica. Oggi, per essere
eletto, deve aver compiuto 50 anni, mentre in futuro ne basteranno 40. Il
presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.
Con la riforma, diviene il capo dello Stato, rappresenta la nazione ed è
garante della Costituzione e dell’unità federale della Repubblica. Cambieranno
anche i poteri. Oggi, il presidente della Repubblica può sciogliere le Camere o
anche solo una di esse. In futuro, potrà sciogliere le
Camere ma solo su richiesta del premier o in caso di
sfiducia. Avrà però alcuni nuovi poteri: la nomina dei presidenti delle
Autorità indipendenti, del presidente del CNEL e del vicepresidente del
Consiglio superiore della magistratura.
Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni
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Da ieri, il Brasile fa parte del ristretto club degli
stati dotati delle infrastrutture necessarie per arricchire l’uranio.
L’annuncio è stato fatto ufficialmente venerdì in occasione dell’inaugurazione
del nuovo impianto nucleare di Resende, nello Stato di Rio de Janeiro. Secondo gli
scienziati che hanno progettato l’impianto, le attrezzature attualmente in dotazione
allo Stato brasiliano sono in assoluto le più avanzate rispetto a quelle di
tutte le altre potenze nucleari. Il Brasile ha una delle più estese riserve di
uranio al mondo, ma fino ad oggi è sempre stato costretto ad esportarlo per il
processo dell’arricchimento. L’apertura ufficiale del nuovo impianto giunge
dopo una lunga contrattazione con l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica
(AIEA).
Un centro di intervento rapido con sede nel porto di Mombasa, in Kenya, ed espressamente incaricato di contrastare gli
atti di pirateria. L’Organizzazione marittima internazionale ha deciso di
mettere in campo tutte le proprie forze per
contrastare un fenomeno oramai dilagante nell’Oceano Indiano: gli assalti alle
navi commerciali dirette o provenienti dal Mar Rosso. Secondo le autorità del
Kenya, nell’ultimo anno i pirati, che hanno le loro basi sulle coste somale,
avrebbero messo a segno almeno 40 assalti. Il centro, dotato di moderne
apparecchiature, dovrebbe consentire un intervento più tempestivo per
contrastare il fenomeno.
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