RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 212 - Testo della trasmissione di lunedì 31 luglio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Iniziative
di preghiera, in Europa per la pace in Medio Oriente
In Afghanistan,
al via oggi la nuova missione delle truppe NATO nel Sud del Paese. Otto i morti
in un attentato davanti a una moschea
31 luglio 2006
LA
CHIESA SI UNISCE AL PAPA NELLA PREGHIERA E NELL’IMPEGNO PER LA PACE IN MEDIO
ORIENTE. IL SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI, MONS. GIOVANNI LAJOLO,
A
COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI ISRAELIANO. SI INTENSIFICA LO SFORZO DELLE ORGANIZZAZIONI
CARITATIVE DELLA CHIESA: CON NOI, MONS. GIOVANNI
PIETRO DAL TOSO, SOTTOSEGRETARIO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO COR UNUM
In nome di Dio, deponete le armi: l’accorato appello di
Benedetto XVI per la pace in Medio Oriente, all’Angelus di ieri, ha suscitato
grande emozione, anche perché è stato levato in un giorno segnato dalla strage
di decine di bambini nel villaggio libanese di Cana,
colpito da un raid israeliano. Il Papa ha nuovamente esortato tutti i fedeli ad
unirsi in preghiera per la pace nella martoriata regione. D’altro canto, quello
della Santa Sede per l’immediata cessazione delle ostilità è un impegno a tutto
campo. In tale contesto, ieri sera, il segretario vaticano per i Rapporti con
gli Stati, mons. Giovanni Lajolo, ha avuto un
colloquio telefonico con il ministro degli Esteri israeliano, Tsipi Livni. E grande è anche il
lavoro svolto dalle organizzazioni caritative della Chiesa per i popoli
travolti dal conflitto. Ecco la testimonianza di mons. Giovanni Pietro Dal
Toso, sottosegretario del Pontificio Consiglio Cor Unum, intervistato da
Alessandro Gisotti:
**********
R. - Le necessità sono quelle che si creano sempre in questi
casi di emergenza, e vanno dalla bottiglia d’acqua alla coperta, al medicinale.
Dobbiamo, quindi, renderci conto che ci sono almeno 700 mila persone in
movimento che hanno bisogno di essere assistite, nel Libano, e in questa
direzione si concentrano gli sforzi della Caritas del Libano, che sta
coordinando questo tipo di iniziative. Queste si svolgono a diversi livelli,
partendo dalle parrocchie, dai gruppi fino ad arrivare a livello nazionale.
Caritas Libano, poi, evidentemente agisce in rapporto anche con altre agenzie e
con un coordinamento più alto con Caritas Internationalis
e poi con il nostro Pontificio Consiglio.
D. – Oltre a questa emergenza, ci sono altri interventi
particolari promossi dalla Chiesa cattolica?
R. – Vorrei menzionare il fatto che la Chiesa cattolica
non sta lavorando solo per i profughi che sono presenti in Libano, ma al
momento la Chiesa cattolica, e nello specifico Caritas Libano, sta cercando di
intervenire a favore dei lavoratori stranieri che stanno lavorando in Libano e
che devono essere rimpatriati. Si tratta in particolare di lavoratori
provenienti dallo Sri Lanka, dalle Filippine e
dall’Etiopia.
D. – Cor Unum
porta aiuto al popolo libanese, ma anche agli israeliani colpiti dai razzi
degli hezbollah e ai palestinesi della Striscia di Gaza…
R. – Vorrei proprio mettere in evidenza questa cosa e cioè
che l’attività della Chiesa cattolica al momento non si concentra solamente
nell’assistenza al Libano, che in questo momento è molto provato, ma anche alle
popolazioni del nord della Galilea. Ci sono degli interventi di Caritas a
Gerusalemme, ci sono anche interventi della Custodia di Terra Santa per
assistere quelle popolazioni. Evidentemente portiamo aiuti anche a quei
palestinesi che vivono nei Territori sottoposti all’autorità palestinese e che
si concretano anche in questo caso in aiuti di emergenza e quindi in aiuti
alimentari, medicinali e così via.
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FIRMATA
DAL CAPO DI STATO ITALIANO LE LEGGE SULL’INDULTO. LA SODDISFAZIONE DEL
CARDINALE MARTINO CHE CHIEDE ACCOGLIENZA PER GLI EX
DETENUTI
-
Intervista con il porporato -
In Italia, la dibattuta legge sull’indulto, dopo la
definitiva approvazione parlamentare di sabato, è stata firmata questa mattina
dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha invitato le forze
in campo a superare la contrapposizione tra politica e istituzionI. Anche dalla Santa Sede è stata espressa
soddisfazione dal presidente di Giustizia e Pace, il
cardinale Renato Martino, che ha lanciato un appello per il
reinserimento sociale di chi lascerà il carcere. L’intervista al porporato è di
Francesca Sabatinelli:
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R. - E’ veramente un bel passo, uno dei primi
provvedimenti importanti che questa legislatura ha compiuto con il consenso di
molti altri, perché c’è stato un consenso trasversale. E’ essenzialmente un
provvedimento di natura umanitaria. Giovanni Paolo II nella visita al Parlamento, 4 anni fa, espresse questo augurio che un
gesto di clemenza fosse compiuto. L’anno scorso avevo parlato della situazione
dei carcerati con sua Santità Benedetto XVI, il quale ha
manifestato grandissima sensibilità. Ha promesso qualche studio che il nostro
Consiglio ha in corso di elaborazione.
D. – Eminenza, lei ha lanciato un appello affinché i
cristiani accolgano i detenuti, molti dei quali
poveri, senza casa e senza sostegni familiari. Ritiene che ci sia questa
mentalità di accoglienza rispetto a chi delinque?
R. – Purtroppo, devo dire che c’è un grande disinteresse
generale. Escludo, naturalmente, tutte le associazioni di volontari. Però, il
pensiero del pubblico in generale verso chi ha commesso un delitto e che poi va
in carcere è quello di dire “giustizia è fatta” e di dimenticare le persone che
stanno dietro le sbarre. C’è gente che soffre, c’è gente che è malata, c’è
gente che soffre di tanti altri abusi dei diritti umani. Questo è un appello
che faccio a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. La pena che i
detenuti hanno scontato deve essere rieducativa ma
anche il reinserimento nella società deve essere accompagnato da gente e
persone di buona volontà. D’altro canto, desidero rivolgermi anche a quelli che
presto saranno liberati, di comportarsi in maniera legale, da buoni cittadini e
da buoni cristiani.
D. – Una mentalità di accoglienza che dovrebbe abbracciare
anche le vittime e i familiari delle vittime che potrebbero, forse, sentirsi in qualche modo traditi con questo provvedimento…
R. – Questo è il passo che bisogna fare, perché alla
giustizia bisogna accompagnare il perdono. E’ evidente che per le famiglie delle
vittime è qualcosa addirittura di sovrumano, ma appunto perché siamo cristiani
dobbiamo abbracciare questo comando dell’amore, di perdono. Anche le famiglie
delle vittime sono invitate a pensare al perdono.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima
pagina - “Immediatamente, nel nome di Dio, si depongano le armi da ogni parte!
Benedetto XVI, nel primo Angelus da Castel Gandolfo, si rivolge a tutti i
responsabili della spirale di violenza.
Medio
Oriente - Israele ferma i bombardamenti per 48 ore dopo la strage di Cana; 60 civili libanesi in gran parte bambini, uccisi in
attacco aereo.
Servizio
vaticano - Un articolo sul 50.mo di ordinazione
episcopale del cardinale Fiorenzo Angelini.
Servizio
estero - Iraq: persistono le sanguinose violenze.
Servizio
culturale - In evidenza un articolo di Piero Viotto
sul dialogo epistolare tra Paul Klaudel
e Jacques Maritain.
Servizio
Italiano - In primo piano un nuovo dramma dell’immigrazione, a largo di Malta.
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31 luglio 2006
DOPO
LA STRAGE DI CANA, CHE HA SUSCITATO GRANDE SCALPORE NEL MONDO,
ISRAELE ANNUNCIA LA
SOSPENSIONE DEI RAID AREI PER 48 ORE
-
Interviste con Antonio Ferrari e con Hicham Hassan -
In Libano sono stati trovati, stamani, 26 corpi senza vita
nel villaggio meridionale di Srifa, colpito da raid
israeliani nei giorni scorsi. Intanto, dopo la strage di Cana
costata la vita ieri ad almeno 57 persone tra cui 37 bambini, Israele ha
annunciato una momentanea sospensione dei raid aerei. Ma la situazione è
comunque molto tesa. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Il governo israeliano ha accettato di sospendere per 48
ore gli attacchi aerei nel sud del Libano e di indagare sul bombardamento di
ieri a Cana. Ma la temporanea interruzione delle
incursioni aeree non sembra, al momento, la premessa per una tregua immediata.
Il movimento politico militare degli Hezbollah ha reso noto che gli attacchi contro
lo Stato ebraico avranno termine soltanto quando
quest’ultimo porrà fine all'intera offensiva oltre confine e richiamerà in
patria le proprie truppe. L’esercito israeliano ha reso noto, inoltre, di
riservarsi il diritto di attaccare in qualsiasi momento gli Hezbollah in presenza di una minaccia immediata per Israele. Una
linea, questa, che Israele sembra aver già seguito. Un portavoce militare ha
dichiarato, infatti, che l’aviazione ebraica ha
attaccato oggi obiettivi nei pressi di un villaggio del sud del Libano, in
appoggio alle truppe di terra. Il ministro della Difesa israeliano, Amir Peretz, ha annunciato, poi,
il proseguimento delle operazioni militari in Libano, estendendo l’area di azione di
un’eventuale forza di interposizione multinazionale. Un contingente
multinazionale, ha detto Peretz intervenendo al
Parlamento, deve essere dislocato non solo sul confine tra Libano ed Israele,
ma anche su quello fra Libano e Siria “per impedire ulteriori forniture
militari agli Hezbollah”.
Le dichiarazioni di Peretz
seguono quelle rilasciate, ieri, dal presidente siriano, Bashar
al-Assad, che aveva condannato
l’attacco israeliano a Cana definendolo “terrorismo
di Stato”. Nonostante l’acuirsi delle tensioni nella regione mediorientale e la
strage di Cana, il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, si dichiara
comunque ottimista sul fatto che, entro la settimana, si possa arrivare ad una
tregua. In Libano, intanto, il patriarca maronita, Nasrallah
Sfeir, ha denunciato e condannato il massacro
compiuto a Cana. “Il Libano – ha detto il patriarca –
non è più in grado di sopportare, il nostro popolo è in stato di agonia mentre il mondo sta a guardare”. “Il crimine – ha
aggiunto – deve essere condannato da tutti”. Ma le risposte della comunità
internazionale non sono, secondo diversi osservatori, così nette. Il Consiglio
di sicurezza dell’ONU, ad esempio, ha approvato una dichiarazione nella quale
si esprime “estremo turbamento e angoscia”, senza però condannare
esplicitamente l’attacco sul villaggio sciita.
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In Libano, intanto, sembra ormai delinearsi, soprattutto
dopo la strage di Cana, un nuovo rischio: quello
della compattezza di tutte le componenti libanesi di fronte alle offensive di
Israele. Ascoltiamo, al microfono di Amedeo Lomonaco, l’inviato del Corriere
della Sera, Antonio Ferrari:
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R. - Il primo ministro libanese, Fuad
Sinora, è arrivato al punto di ringraziare gli Hezbollah, ieri, dopo la strage di Cana. Ha ringraziato i guerriglieri che stanno lottando e
sacrificando la loro vita per l’indipendenza e la sovranità del Libano. Questa
mattina, il giornale libanese L’orient le jour ha scritto: “Nessuno è mai riuscito a ricompattare completamente il Paese”. Quindi, ormai, di
fronte non c’è soltanto il movimento Hezbollah che è bene radicato nel
territorio. Il gruppo sciita è ben più grande di una piccola formazione
terrorista come qualcuno ci voleva far credere: sono una forza importante,
anche politica, molto radicata che gode anche del rispetto di chi, in fondo,
potrebbe esserle politicamente avversario. Quindi, avendo creato una situazione
del genere qual è il rischio che si corre? E’ che l’intero Libano si senta in
guerra contro Israele.
D. - L’ipotesi di una tregua completa adesso è legata solo
all’invio di una forza internazionale o si possono ipotizzare altre soluzioni?
R. - E’ chiaro che una forza internazionale adesso non può
partire, anche se c’è una tregua di 48 ore che ha l’aria, però, di essere una
tregua umanitaria. Se una forza internazionale arriva adesso, quando sono in
corso i combattimenti, si corre veramente il rischio dell’aumento esponenziale
degli attori: anche di quelli che non vogliono entrare in un conflitto armato
ma che cercano di promuovere la pace. Non si può pensare che, a questo punto,
ci siano ancora le condizioni per una forza di pace, a meno che il Consiglio di
sicurezza dell’ONU e i membri permanenti non si mettano completamente d’accordo
tra di loro e non ci sia una richiesta chiara, netta
forte e precisa per il cessate-il-fuoco. Allora, se Israele accettasse e se si
creassero le condizioni, a quel punto si potrebbe partire o comunque potrebbero
cominciare i preparativi per l’invio di una forza di pace.
D. - Il conflitto è ancora regionale o è uno scontro che,
con il coinvolgimento sullo sfondo di altre potenze, ha già assunto una
fisionomia internazionale?
R. - C’è il rischio che il conflitto stia
assumendo una fisionomia internazionale, se non l’ha già assunta.
Fortunatamente, non si è ancora allargato troppo ma quello che è successo ieri può
indebolire quei leader moderati che ancora sono riusciti a tenere le masse. Si
possono creare le condizioni per uno scontro più aperto. Non ci siamo ancora
arrivati e speriamo di non arrivarci.
D. - In Libano, quindi, è in gioco il futuro del Medio Oriente
e forse anche di più…
R. - Assolutamente si. Il Libano è il crocevia: lo era
prima e, a maggior ragione, lo è oggi. Direi, anzi, che la situazione attuale
rischia di essere addirittura peggiore di quella creatasi all’inizio della
guerra civile libanese.
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Ma per avere una testimonianza in presa diretta della
situazione nel Sud del Libano, la zona più colpita dal conflitto, Alessandro
Gisotti ha raggiunto telefonicamente nel Paese dei Cedri, Hicham
Hassan, portavoce del Comitato internazionale della
Croce Rossa a Beirut:
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R. – THE
SITUATION REMAIN QUIET DIFFICULT…
Per ora la situazione rimane difficile a causa delle
incessanti operazioni militari. Villaggi e famiglie sono tutt’ora isolati, senza la possibilità di essere raggiunte dai
soccorsi. In alcuni casi, la gente non ha più accesso ad acqua potabile ed è
perciò costretta a bere acqua piovana che ristagna nei pozzi: come può
immaginare, non si tratta certo di un’acqua salubre. C’è poi la carenza di cibo
e di medicinali. Molte di queste persone sono state isolate nelle loro case per
più di 15 giorni, e non sanno nemmeno se i loro vicini di casa siano vivi o
morti. In più, c’e grande difficoltà nel quantificare quante famiglie siano
rimaste nel sud del Libano. Molti di loro hanno troppo paura di lasciare a
piedi le loro case. D’altronde, la situazione è troppo difficile per
permettergli un passaggio sicuro. E dunque, è una situazione davvero preoccupante
per noi.
D. – La tragedia di Cana ha
mostrato drammaticamente che le prime vittime di questa, come di tutte le
guerre, siano i bambini. Cosa fate per alleviare le
loro sofferenze?
R. – WE SUPPORT THE LIBANES RED CROSS
Prestiamo anzitutto soccorso alla Croce Rossa del Libano,
che è stata la prima ad intervenire a Cana. Il lavoro
è consistito, prima di tutto, nel ricercare le persone ed i corpi che sono
ancora intrappolati sotto le macerie. Certamente sono morti tanti bambini.
Stiamo poi cercando di entrare nei villaggi del Sud del Libano per prestare
assistenza e soccorso, ma é davvero molto difficile.
D. - Il governo israeliano ha proclamato la sospensione di
48 ore delle operazioni militari. Quanto è importante questo passo per voi?
R. – WELL,
FOR THE TIME BEING WE NOT HAVE…
In realtà, finora non c’è stata ancora una notifica
ufficiale. Noi attendiamo questa tregua. Ma fino ad allora continueremo nel
nostro lavoro di sempre. Riguardo l’importanza di un
cessate-il-fuoco, sarebbe certamente importantissimo per permettere ad altri
mezzi umanitari di poter essere portati laddove c’è più bisogno. Soprattutto
dove l’azione militare ha fatto sì che sinora risultasse impossibile arrivare.
E’ importante permettere anche un maggiore e più efficiente
coordinamento fra le organizzazione umanitarie.
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ALTISSIMA
AFFLUENZA ALLE URNE, IERI, PER LE PRIME ELEZIONI LIBERE
DOPO
40 ANNI NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO.
I
RISULTATI DIFFUSI FRA TRE SETTIMANE
- Ai
nostri microfoni don Albino Bizzotto -
Superebbe in media il 70 per cento - con punte di oltre
l’80 – secondo quanto riferisce l’agenzia MISNA,
l’affluenza alle elezioni presidenziali e legislative di ieri nella Repubblica
Democratica del Congo, nel primo voto libero e multipartitico dal 1960. I 50
mila seggi si sono chiusi regolarmente ieri pomeriggio. Solo qualche lieve
incidente ha ostacolato lo svolgimento del voto a Mbuji Mayi,
capitale del Kasai e roccaforte dell’opposizione,
dove riprenderanno oggi le operazioni elettorali in 170 seggi. I primi
risultati del voto si conosceranno solo fra tre settimane. Le consultazioni di
ieri hanno comunque già fatto segnare una vittoria per la popolazione. Ma perché
si è trattato di una giornata storica per i congolesi?
Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Bukavu
- nell’est dell’ex Zaire, al confine col Rwanda - don
Albino Bizzotto, coordinatore degli osservatori
internazionali dei “Beati i costruttori di Pace”:
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R. – Non solo
perché era molto attesa, ma anche e soprattutto perché è stata vissuta con una
grande maturità politica: c’è stata una compostezza, un tipo di partecipazione
e delle modalità straordinarie. E poi questo profondo senso di coscienza della
gente e la consapevolezza che quello che stava avvenendo era veramente molto
grande. Posso dirlo, erano felici. Io credo che ieri si sia trattato della più
grande festa per molte persone.
D. – C’è stato un
episodio particolare che ha segnato la giornata del voto?
R. – L’ordine e la
partecipazione in massa sono state la cosa più particolare della giornata.
Difficoltà di irregolarità od altro non si sono notate, se non in piccole cose,
magari solo per aiutare la gente a votare e non certo per imbrogliare. Credo
che la trasparenza sia stata affermata da tutti i candidati di partito che
erano testimoni ai seggi. Ho trovato una donna che aveva in spalla un
vecchietto, che avrà pesato sì e no 30-35 chili, e che lo stava portando a
votare. Da un’altra parte, ho visto un gruppo di sei persone che portava al
seggio una persona con una gamba ingessata direttamente divano dove si trovata immobilizzata.
D. – Ad urne
chiuse, il presidente uscente Kabila rimane ancora uno dei favoriti?
R. – Nella nostra
zona è favoritissimo. In molte urne, qui a Bukavu, ha
avuto anche il 95 per cento dei voti. Si tratta di una scelta che i cittadini
hanno fatto ed hanno fatto liberamente. Non so quale sia
la situazione nelle altre zone del Congo: certo non avrà avuto lo stesso
consenso, ma credo che rimanga comunque uno dei favoriti.
D. – Da quello che
avete potuto riscontrare sul terreno, quale dovrà essere il primo impegno del
nuovo presidente congolese, dopo la guerra che ha coinvolto ben sette Paesi
africani?
R. – Sarà la
pacificazione e cercare poi di riuscire, in qualche modo, a contenere tutte le
spinte e tutte le tentazioni aggressive che chi non ha avuto il consenso
popolare potrebbe avere, essendo dotato sia di mezzi
che di uomini armati. Credo che il problema del Congo
rimanga questo rapporto forte con la società internazionale per un verso, e
questa pacificazione all’interno dall’altro. Ma, naturalmente, facendo anche
delle scelte che diano delle risposte alle attese della gente, perché la gente
è andata a votare con una grande speranza e con una grande attesa.
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SOLENNI
CELEBRAZIONI IN SPAGNA, IN ITALIA E NEL MONDO
PER IL
450.MO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI SANT’IGNAZIO DI LOYOLA.
STASERA
A ROMA LA MESSA PRESIEDUTA DAL PREPOSITO
DELLA
COMPAGNIA DI GESU’, PADRE PETER-HANS KOLVENBACH
- Ai
nostri microfoni Juan Michel
Arregui -
La Chiesa ricorda oggi la figura di Sant’Ignazio di
Loyola. Tante le celebrazioni in Spagna, dove il Santo è nato. Quest’anno le
celebrazioni di commemorazione assumono un significato particolare perché
ricorrono 450 anni dalla morte di Sant’Ignazio e 500 anni dalla nascita di San
Francesco Saverio e del Beato Pierre Favre, i tre
amici che diedero vita alla Compagnia di Gesù. Era la mattina del 31 luglio del
1556, quando, dopo una nottata molto sofferta, Ignazio di Loyola moriva a Roma,
all’età di 65 anni. Questo pomeriggio, nella capitale, alle 19, nella Chiesa
del Gesù, presiederà una messa solenne il preposito generale dei Gesuiti, padre
Peter-Hans Kolvenbach. Per
la circostanza, sarà esposto il reliquiario contenente parte delle ossa del
cranio di Sant’Ignazio. Ma come sarà festeggiato il Santo, in
particolare, a Loyola, dove in questi mesi diverse sono le iniziative religiose
e culturali? Ce lo spiega, al microfono di Tiziana Campisi, il padre gesuita Juán Míguel Arregui, superiore della
Provincia di Loyola:
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R.- La festa propria di Sant’Ignazio si celebra in due
giornate. Il 31, giorno in cui ricorre la memoria liturgica del Santo, si
svolge una celebrazione ad Azpeitia, città vicina a
Loyola, e invece il primo agosto si celebra a Loyola con tutte le autorità. C’è
una processione che si fa il 31 ad Azpeitia e dopo,
il primo d’agosto, con le autorità della regione, si va, dalla parrocchia di Azpeitia, in processione fino a Loyola. I festeggiamenti a
Sant’Ignazio durano in genere 5 giorni in tutto
D. - La figura di Sant’Ignazio che cosa rappresenta per il
popolo basco?
R. – Sono due gli aspetti che di Sant’Ignazio emergono in
particolare. La sua spiritualità - c’è anche un centro spirituale molto
importante a Loyola e sono moltissime le persone che vi si fermano - e poi la
crescita di questa nella Compagnia di Gesù. Questa compagnia ha un aspetto
universale se guardiamo al suo apostolato, alla sua missione, agli ambiti
dell’educazione, del lavoro sociale e del servizio ai più poveri in cui essa
opera. Qui, in questa regione, sentiamo molto vicini
Sant’Ignazio e anche San Francesco Saverio. Di Sant’Ignazio,
ultimamente, si sta recuperando la spiritualità e soprattutto gli esercizi
spirituali nel loro senso originario. Adesso si guarda di più alla sua
esperienza personale dell’incontro con Dio, del discernimento. Accanto a
Sant’Ignazio, poi, la figura di San Francesco Saverio lascia emergere invece
l’aspetto missionario della Compagnia di Gesù. Un aspetto che però trova le sue
basi sempre in questa spiritualità ignaziana, che dà alla missione una sua
specificità. C’è una frase di sant’Ignazio che riesce a far cogliere molto bene
la sua spiritualità: “In tutto amare è servire”. Quest’anno, nel recuperare la
profondità spirituale di Sant’Ignazio, è utile anche ricordare una petizione
assai ricorrente in Ignazio. Lui chiedeva spesso alla Vergine di essere sempre
insieme al Figlio di Dio. Credo che questa è un po’ la radice della
spiritualità ignaziana: chiedere a Maria di essere posti sempre al fianco di
Gesù, suo Figlio, nel mondo e nella nostra missione.
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31 luglio 2006
PARTICOLARI
INIZIATIVE DI PREGHIERA, IN EUROPA, PER
IN
GRAN BRETAGNA,
A
RIUNIRSI OGNI GIORNO PER PREGARE
ROMA. = Sono diverse le iniziative di preghiera che in
tutta Europa sono nate per la pace in Medio Oriente. La diocesi di Paisley, suffraganea di Glasgow,
in Gran Bretagna, riferisce l’agenzia SIR, si è impegnata a pregare fino alla
fine della guerra. Il vescovo della diocesi, mons. Philip
Tartaglia, ha invitato tutte le parrocchie “a riunirsi ogni giorno per un
momento di preghiera per la pace”. Analoghe iniziative e appelli arrivano anche
da altre associazioni e Chiese europee. Pax Christi
Francia invoca la mediazione della comunità internazionale nella convinzione
che “questo intervento è un dovere umanitario”.
IN INDIA, VACCINATI 9 MILIONI DI BAMBINI CONTRO
L’ENCEFALITE GIAPPONESE. L’INFEZIONE VIRALE, TRASMESSA DA
ZANZARE INFETTE,
HA PROVOCATO LO SCORSO ANNO 1.800 VITTIME
NEW
DELHI. = Nove milioni di bambini sono stati vaccinati nei giorni scorsi, in
India, contro l’encefalite giapponese. La campagna di vaccinazione è stata promossa
dal governo e mira alla tutela di 11 milioni di bambini che vivono nelle zone
ad alto rischio di 11 distretti. La prevenzione medica vuole combattere
un’infezione virale, trasmessa da zanzare infette, causa dell’infiammazione
delle membrane che circondano il cervello e che ogni anno uccide più di 10 mila
bambini in Asia e nel Pacifico. Soltanto nel 2005, scrive l’agenzia Fides, le
vittime in India sono state più di 1.800. Coloro che riescono a sopravvivere subiscono
invece danni neurologici permanenti. “Il vaccino è l’unica misura seria e
attendibile per contrastare la malattia”, spiegano gli operatori sanitari impegnati
nelle cure di immunizzazione. La campagna è stata appena completata nella
regione del West Bengala. Ed è stata ispirata da un programma pilota avviato
dal governo dell’Andhra Pradesh.
Secondo le previsioni, la campagna di vaccinazione verrà
ultimata entro la fine del mese di agosto. (A.Gr.)
TROVATO NEGLI USA UN RIMEDIO CONTRO
UNA DELLE FORME PIÙ COMUNI DELLA
DISTROFIA MUSCOLARE,
CHE PROVOCA IL DETERIORAMENTO DEI
MUSCOLI
CHARLOTTESVILLE. = Un rimedio per far regredire una delle
più comuni forme di distrofia muscolare, la distrofia miotonia, è stato
sperimentato a Charlottesville, negli USA, alla
University of Virginia. Il trattamento, che agisce eliminando la molecola
tossica presente nei muscoli dei malati, come spiegato sulla
rivista Nature Genetics, è in grado di ripristinare
completamente la funzionalità dei muscoli scheletrici e del cuore delle cavie
trattate. La distrofia miotonia è provocata da una mutazione genetica che causa
l’accumulo nel muscolo di un eccesso di una molecola tossica, un composto
anormale che nelle versione sana serve per tradurre il
codice della vita in proteine, ovvero dell’Rna
messaggero (mRNA). Questo eccesso di mRNA porta al progressivo
indebolimento muscolare fino al deterioramento completo dei muscoli. Un’equipe
ha quindi pensato che, molto semplicemente, rimuovendo l’mRna tossico il problema muscolare potesse regredire. Per
testare questa ipotesi sono stati creati topolini con il gene della distrofia
ma con la possibilità di un controllo del gene dall’esterno, togliendo o
somministrando una sostanza nell’acqua bevuta dalle cavie. Aggiungendo tale
sostanza, un antibiotico, il gene distrofico dei topolini funziona e compaiono
i sintomi della malattia, ma senza l’antibiotico nell’acqua il gene difettoso
rimane spento e i sintomi regrediscono. È la prima dimostrazione in assoluto
che, in linea di principio, la distrofia può essere guarita eliminando la
molecola che deriva dal difetto genetico. Secondo gli esperti, neutralizzando
la sostanza che causa problemi, si potrebbero far scomparire i sintomi della
malattia e bloccare la degenerazione muscolare. (T.C.)
DA
DOMANI, A ROMA, NELLA BASILICA DI SANTA MARIA
IN VIA LATA AL CORSO,
LA
QUINDICINA IN PREPARAZIONE DELLA SOLENNITÀ DELL’ASSUNTA CON L’UFFICIO
MARIANO
DELLA PARACLISIS PARTICOLARMENTE OSSERVATO NELLE
CHIESE D’ORIENTE
ROMA. = A partire da domani, e fino al 14 agosto, a Roma,
nella Basilica di Santa Maria in via Lata al Corso, alle 21.30, ha inizio l’ufficio mariano
della Paraclisis, un antico rito con invocazioni alla
Madre di Dio in preparazione della festa dell’Assunta. Universalmente celebrata
fin dall’antichità, l’Assunzione è considerata come la più grande festa
mariana. Nelle Chiese d’Oriente, tutto il mese di agosto è dedicato alla
Vergine, e nei giorni che precedono la solennità, monaci e fedeli si preparano
alle celebrazioni con un austero digiuno.
L’ufficio della Paraclisis, particolarmente
osservato nelle Chiese ortodosse e cattoliche bizantine, comprende preghiere e
canti in metrica e la recita di salmi.
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31 luglio 2006
- A cura di Roberta
Moretti -
Comincia oggi in Afghanistan
la nuova missione delle truppe NATO. Il sud del Paese, infatti, sarà presidiato
da 18 mila uomini della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza
(ISAF), che sostituiranno il corpo della coalizione americana Enduring Freedom. Immediata la
replica dei guerriglieri talebani, che hanno salutato l’arrivo dell’ISAF con la
promessa di centinaia di attentati suicidi. Ma cosa cambia, con questa nuova
missione, sul piano strettamente militare? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al
generale Luigi Caligaris, esperto di strategie
militari:
**********
R. – Cambia nel fatto che gli europei,
attraverso la forza NATO nel sud, assumono buona parte degli impegni ad
alta intensità. Intendo per alta intensità quelli con maggior rischio e dove
c’è anche maggior volume di fuoco e che venivano finora
assolti dagli americani. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che in quella zona,
che è una zona in cui i talebani hanno ancora radici molto solide, ci sono più
probabilità e più possibilità di combattimenti e di scontri a fuoco e ci sono,
quindi, rischi maggiori.
D. – Cosa si può prevedere, secondo lei, una maggiore
tranquillità o più sangue?
R. – Le previsioni qui sono tutte possibilità. La cosa più
importante è che canadesi, olandesi e britannici si sono addossati delle
missioni che sono tutt’altro che facili. Vorrei citare a questo proposito il
comportamento dell’Olanda che – direi – è quasi esemplare: c’era un forte
dissenso all’interno sia dell’opinione pubblica, sia in Parlamento, sia anche
nel governo verso lo schieramento di soldati non a rischio così elevato. C’è
stato un dibattito in Parlamento e alla fine tutto il
Paese ha deciso di appoggiare la missione.
D. – La forza NATO avrà il
difficile compito di instaurare la sicurezza nell’area e guadagnare così il sostegno
della popolazione. Ci riuscirà, secondo lei?
R. – Bisogna cercare di capire che lì c’è un sostegno
differenziato, in base alle aree in cui i presidi ISAF si trovano ed acquistare
consenso, aree dove ci sono interessi molteplici, tra i quali quello
conosciutissimo della droga, e contro questi problemi il sostegno della
popolazione può fare molto. Il potere è saldamente in mano ai cosiddetti
“signori della guerra”, che hanno sempre fatto quello che volevano.
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Intanto, sul campo,
almeno otto persone sono morte e altre 16 sono rimaste ferite stamani per
l’esplosione di un’autobomba davanti a una moschea a Jalalabad,
nella provincia orientale di Ningarhar. Il bersaglio
dell’esplosione doveva essere il governatore locale, Gul
Afgha Sherzai, che, rimasto
incolume, ha attribuito l’attentato alla guerriglia taleban.
Ieri, oltre 30 guerriglieri erano morti in diversi raid delle forze di
coalizione nel sud del Paese.
Non si spezza la
catena di violenze in Iraq. Due commando armati hanno assassinato questa
mattina a Baghdad un funzionario dei servizi segreti governativi e il
responsabile delle moschee sunnite della capitale.
Sempre a Baghdad, 12 dipendenti della Camera di Commercio iracheno-americana
sono stati sequestrati da uomini che indossavano divise delle forze di
sicurezza irachene. I rapitori hanno costretto gli impiegati a salire sui quindici
fuoristrada con cui avevano circondato la sede della Camera di Commercio nel distretto
di Arasat. Uccisi, infine, quattro marines durante gli scontri di ieri nella provincia di Anbar, portando così a quasi 1580 il numero dei soldati
americani morti in Iraq dall’inizio del conflitto, nel marzo del 2003. Ne danno
notizia oggi fonti militari statunitensi a Baghdad.
L’Iran risponde al
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che in
giornata dovrebbe approvare la risoluzione con cui tenterà di imporre a Teheran di interrompere entro il 31 agosto l’arricchimento
dell’uranio. Il presidente iraniano, Mahmoud
Ahmadinejad, ha ribadito ieri sera il diritto del suo Paese a possedere
tecnologia nucleare, sottolineando che il conflitto in Libano potrebbe avere
delle ricadute di rilievo nella sua decisione di adottare o
meno la proposta avanzata dalla grandi potenze sul nucleare.
Tre soldati sono
morti e altri tre sono rimasti feriti ieri sera in Pakistan per l’esplosione di
una mina anticarro lungo una strada nella provincia sudoccidentale
del Baluchistan. I sei soldati stavano sminando il
territorio in vista dei lavori di asfalto delle strade. Sebbene al momento nessuno
abbia rivendicato l’attentato, il governo pakistano ha
condannato duramente le rappresaglie delle tribù del Baluchistan,
che hanno disseminato di mine il territorio contro le forze di sicurezza che
operano nell’area.
Grande spargimento
di sangue nello Sri Lanka, dopo l’annuncio, da parte
di un portavoce dei separatisti Tamil, della fine del
quadriennale accordo di cessate il fuoco con il governo di Colombo. Almeno nove
soldati cingalesi e 35 ribelli del Movimento per
Con il 53 per cento
dei consensi, James Michel,
è stato confermato ieri capo dello Stato delle isole Seychelles. Michel, leader del Seychelles People’s Progressive Front, si è imposto sul candidato
dell’opposizione, il pastore anglicano del Seychelles National
Party, Wavel Ramkalawan,
con oltre il 6 per cento di scarto.
E’ stato riconfermato, per un secondo mandato di cinque
anni, il capo di Stato uscente dell’arcipelago africano di Sao
Tomè e Principe, Fradique
de Menezes, appoggiato dalla coalizione di
centrodestra. Alle elezioni presidenziali di ieri, de Menezes
ha ottenuto il 60 per cento dei voti, contro il 38 per cento del
candidato di centro sinistra, Patrice Trovoada, figlio di un ex presidente dell’ex colonia portoghese.
Il terzo candidato, l’uomo d’affari Nilo Guimaraes,
ha ottenuto l’un per cento dei consensi.
La Serbia non rinuncerà mai alla sovranità sulla vicina
provincia del Kosovo, abitata in maggioranza da una
comunità di etnia albanese, “neppure in cambio di un ingresso più veloce
nell’Unione Europea”: è quanto ha dichiarato stamani in un’intervista al Danas di Belgrado il premier serbo, Vojislav
Kostunica, sottolineado che
a nessuno Stato è stata posta come condizione per l’adesione alla UE quella di
rinunciare a una parte del suo territorio. Kostunica
ha poi ribadito l’offerta di una ampia autonomia per
il Kosovo, già respinta dagli albanesi-kosovari,
che aspirano all’indipendenza.
Per
La Russia ha dato l’allarme per un possibile disastro
ambientale, dopo la fuoriuscita di petrolio da un oleodotto al confine con
Ucraina e Bielorussia. A riferire la notizia è stata
Imponente
manifestazione, da ieri a Città del Messico, a sostegno del candidato della sinistra,
Andres Manuel Lopez Obrador, uscito sconfitto dalle elezioni presidenziali
dello scorso 2 luglio. Obrador, della coalizione “Per
il Bene di Tutti”, guidata dal Partito della rivoluzione democratica (PRD),
aveva chiesto ai suoi sostenitori di raddoppiare il milione di partecipanti
riuniti a metà luglio nella storica piazza dello Localo per chiedere il riconteggio delle schede elettorali, nella convinzione che
si fossero verificati brogli e irregolarità. La protesta si protrarrà per tutta
la giornata di oggi. Per l’Istituto federale elettorale (IFE), le elezioni sono
state vinte dal candidato del Partito azione nazionale (PAN), Felipe Calderon, con un vantaggio
di 244 mila voti su 41 milioni espressi.
In Cina, almeno 18 operai che lavoravano alla costruzione
di una strada nella provincia meridionale dello Yunnan
sono morti il 20 luglio scorso a causa delle inondazioni sviluppatesi al
passaggio del tifone Bilis. Lo afferma oggi la stampa
cinese, che aggiunge che altri 17 lavoratori sono dati per dispersi. In tutta
Sarebbero stati rilasciati “sani e salvi” i 16 dipendenti
della compagnia petrolifera italiana “Agip” e gli
otto soldati nigeriani sequestrati mercoledì scorso nell’area del Delta del Niger.
Lo si è appreso da fonti giornalistiche locali. Un
gruppo di giovani aveva assaltato gli impianti della società italiana a Ogboinbiri, nello Stato di Bayelsa,
chiedendo il rispetto dell’accordo che imporrebbe alle
compagnie petrolifere attive nella regione di garantire l’assunzione di un
certo numero di giovani locali. Sembra che l’azienda italiana – stando alle
notizie riportate dalla stampa – abbia accettato alcune richieste della
comunità locale, relative in particolare a posti di lavoro per i giovani e
borse di studio per studenti in difficoltà economica. Nel Delta del Niger, tra
l’altro, sono attivi gruppi armati che rivendicano una più equa distribuzione
delle risorse petrolifere della regione.
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