RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 211  - Testo della trasmissione di domenica 30 luglio 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

        Nel nome di Dio, deponete le armi: all’Angelus, a Castal Gandolfo, l’accorato appello di Benedetto XVI per la pace in Medio Oriente. Il Papa chiede ai fedeli di pregare incessantemente per la fine del conflitto e invoca l’intercessione di Maria, Regina della Pace

 

        La recita del Rosario rinsaldi l’amore  a Maria e doni slancio per una più generosa sequela di Cristo: così, Benedetto XVI in un messaggio ai partecipanti, ieri sera, al tradizionale Rosario, nei Giardini Vaticani, nella memoria di Santa Marta

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Nuova strage di innocenti in Libano: un raid israeliano sul villaggio di Cana provoca la morte di 57 civili, di cui almeno 27 bambini. Annullato l’incontro tra il segretario di Stato americano, Rice, e il premier libanese, Siniora. Hamas e Hezbollah minacciano ritorsioni contro Israele: con noi Antonio Sclavi e di padre Michel Jalakh.

 

A 450 anni dalla morte, lo spirito “giovane” di un grande Santo che non smette di attrarre anime a Dio: Ignazio di Loyola. Intervista con padre Edward Mercieca

 

I diritti delle popolazioni indigene d’Amazzonia in primo piano nel Simposio “Religione, Scienza e Ambiente”, svoltosi recentemente in Brasile : ce ne parla Joenia Wapichana

 

CHIESA E SOCIETA’:

Da domani a Bangkok, in Thailandia, la XXIII Assemblea generale della Federazione Internazionale delle Università cattoliche

 

Influenza aviaria: ancora alto l’allarme in Asia

 

Al via, oggi a Firenze, un Congresso per promuovere l’esperanto come lingua internazionale

 

Parte il 16 agosto la missione “Datti un’opportunità”, promossa dalla Gioventù Francescana sulle spiagge della Versilia

 

“Pensate in grande!”: è l’appello del vescovo di Auckland ai giovani neozelandesi, in vista della Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney 2008

 

24 ORE NEL MONDO:

Urne aperte oggi nella Repubblica Democratica del Congo per eleggere il presidente e un ramo del Parlamento.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

30 luglio 2006

 

 

 

NEL NOME DI DIO, DEPONETE LE ARMI:

ALL’ANGELUS, A CASTEL GANDOLFO, L’ACCORATO APPELLO DI BENEDETTO XVI

PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE. IL PAPA CHIEDE AI FEDELI

DI PREGARE INCESSANTEMENTE PER LA FINE DEL CONFLITTO

E INVOCA L’INTERCESSIONE DI MARIA, REGINA DELLA PACE

 

Deporre subito le armi e impegnarsi, con coraggio, a costruire la pace: nel suo primo Angelus nella residenza estiva di Castel Gandolfo, dopo il periodo di riposo in Valle d’Aosta, Benedetto XVI ha levato un nuovo vibrante appello per la fine delle ostilità in Medio Oriente. E’ un appello accorato quello del Papa, che ribadisce come la via del dialogo sia l’unica possibile per costruire una convivenza stabile e durevole tra i popoli. L’appello del Papa è stato accolto da un commovente grido “Pace! Pace!”, scandito dai fedeli raccolti nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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Nel nome di Dio, deponete le armi: è il grido di dolore, l’accorato appello di Benedetto XVI per la pace in Medio Oriente. Il Papa è vicino alle sofferenze dei popoli travolti dal conflitto.  Non c’è solo morte e distruzione, constata. “Nei cuori di molti – rileva con amarezza - sembrano crescere l’odio e la volontà di vendetta”. “Questi fatti – avverte il Pontefice - dimostrano chiaramente che non si può ristabilire la giustizia, creare un ordine nuovo ed edificare una pace autentica quando si ricorre allo strumento della violenza”. Quindi, leva un vibrante appello per la pace:

 

“Nel nome di Dio mi rivolgo a tutti i responsabili di questa spirale di violenza, perché immediatamente si depongano le armi da ogni parte! Ai Governanti e alle Istituzioni internazionali chiedo di non risparmiare nessuno sforzo per ottenere questa necessaria cessazione delle ostilità e per poter iniziare così a costruire, mediante il dialogo, una durevole e stabile convivenza di tutti i popoli del Medio Oriente… (I FEDELI GRIDANO PACE)… Pace, sì!”.

 

Il Papa incoraggia, dunque, gli uomini di buona volontà ad intensificare l’invio di aiuti umanitari alle popolazioni provate. E, ancora una volta, chiede ai fedeli di unirsi in preghiera per la pace:

 

“Soprattutto continui ad elevarsi da ogni cuore la fiduciosa preghiera a Dio buono e misericordioso, affinché conceda la sua pace a quella regione e al mondo intero”.

 

E affida quest’accorata supplica “all’intercessione di Maria, Madre del Principe della Pace e Regina della Pace, tanto venerata nei Paesi mediorientali”, dove, ribadisce, “speriamo di veder presto regnare quella riconciliazione per la quale il Signore Gesù ha offerto il suo Sangue prezioso”. Benedetto XVI ricorda così la via indicata dalla Chiesa per la costruzione della pace tra i popoli:

 

“Più che mai vediamo come sia profetica e, insieme, realista la voce della Chiesa, quando, di fronte alle guerre e ai conflitti di ogni genere, indica il cammino della verità, della giustizia, dell'amore e della libertà, come indicato dall’immortale Enciclica ‘Pacem in terris’ del Beato Giovanni XXIII. Questo cammino l’umanità deve anche oggi percorrere per conseguire il desiderato bene della vera pace”.

 

Prima dell’appello per la pace in Medio Oriente, il Papa ha rivolto parole d’affetto ai fedeli accorsi a Castel Gandolfo dove, ha affermato, conta di rimanere sino alla fine dell’estate, con una breve interruzione in settembre per il viaggio apostolico in Baviera. Il Papa ha salutato il vescovo di Albano e le autorità civili. Quindi, rivolgendosi ai pellegrini ha detto che essi “contribuiscono a far risaltare, anche nell’ambiente più familiare della residenza estiva, l’orizzonte ecclesiale universale di questo nostro appuntamento per la preghiera mariana”.

 

Al momento dei saluti, il Pontefice ha ricordato che nei prossimi giorni la Chiesa farà memoria di alcuni grandi Santi: domani, sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti; il 1° agosto, sant’Alfonso Maria de’ Liguori, fondatore dei Redentoristi; il 4 agosto, san Giovanni Maria Vianney, Curato d’Ars, patrono dei parroci. “L’esempio e l’intercessione di questi luminosi testimoni – è stato l’auspicio del Papa – ci aiutino a progredire sulla via della santità”.

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LA RECITA DEL ROSARIO RINSALDI L’AMORE A MARIA E DONI SLANCIO

PER UNA PIÙ GENEROSA SEQUELA DI CRISTO:

COSÌ BENEDETTO XVI IN UN MESSAGGIO AI PARTECIPANTI, IERI SERA,

AL TRADIZIONALE ROSARIO, NEI GIARDINI VATICANI, NELLA MEMORIA DI SANTA MARTA

 

Si è snodato ieri sera, lungo i viali dei Giardini Vaticani, il tradizionale Rosario itinerante per la festa di Santa Marta. Ai fedeli che vi hanno preso parte è giunto un messaggio del Papa, che li ha esortati a rendere più vivo l’amore verso Cristo. La processione, accompagnata da fiaccole, ha fatto tappa, per la meditazione dei Misteri della gioia, davanti alle edicole votive dedicate alla Madonna di Czestochowa, di Guadalupe, di Fatima, di Lourdes e della Guardia. Il servizio di Tiziana Campisi:

 

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(Canto)

 

Benedetto XVI ha voluto essere spiritualmente vicino a quanti hanno pregato lungo i Giardini Vaticani, inviando un telegramma. Il Papa ha auspicato che la tradizionale recita del Rosario, nel giorno di Santa Marta, possa rinsaldare un autentico amore alla Madre di Dio e donare nuovo slancio per una più generosa sequela di Cristo.

 

L’annuale appuntamento di preghiera vuole offrire l’opportunità di meditare sui due volti della vita cristiana: quello attivo e quello contemplativo. Una meditazione che nel Vangelo trova l’esempio delle sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, nell’episodio di una visita di Gesù nella loro casa. Marta, sollecita e indaffarata per accogliere degnamente il gradito ospite, si rivolge al Maestro perché esorti la sorella, rimasta ad ascoltarlo, ad aiutarla a servire. “Marta, Marta, tu t'inquieti e ti affanni per molte cose, ma una sola è necessaria, Maria invece ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”, dirà Gesù. Parole che non criticano la laboriosità della donna, ma vogliono mettere in guardia dall’eccessivo affanno per le cose materiali a scapito della vita interiore.

 

E ieri sera, per ricordare che per il cristiano vita attiva e vita contemplativa sono aspetti complementari, l’ultima decina del Rosario è stata affidata, in collegamento tramite la Radio Vaticana, alle suore di clausura della Comunità Mater Ecclesiae, voluta da Giovanni Paolo II nei Giardini Vaticani. Questo il pensiero che la badessa del monastero ha voluto condividere con quanti hanno preso parte al Rosario itinerante:

 

“Siamo spiritualmente uniti a tutti voi e vogliamo lodare e ringraziare il Signore e pregare molto la Vergine Santa per la pace nel mondo, per il bene della Chiesa, per il Santo Padre e per tutti i bisogni delle famiglie”.

 

La processione si è conclusa con l’affidamento a Maria di tutte le sofferenze del mondo. Poi, in omaggio al Papa, è stato eseguito l’inno pontificio.

 

(Inno pontificio)

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OGGI IN PRIMO PIANO

30 luglio 2006

 

 

NUOVA STRAGE DI INNOCENTI IN LIBANO: UN RAID ISRAELIANO SUL VILLAGGIO DI CANA PROVOCA LA MORTE DI 57 CIVILI, DI CUI ALMENO 27 BAMBINI.

ANNULLATO L’INCONTRO TRA IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO, RICE,

 E IL PREMIER LIBANESE, SINIORA.

 HAMAS E HEZBOLLAH MINACCIANO RITORSIONI CONTRO ISRAELE.

- Con noi Antonio Sclavi e padre Michel Jalakh -

 

Una strage di innocenti, tra cui donne, bambini e anziani, ha scosso il Libano: l’aviazione israeliana ha bombardato, nella notte, il villaggio libanese di Cana provocando la morte di 57 persone, tra cui almeno 27 sono bambini. In un altro bombardamento sono morte altre sei persone. Questa mattina, 8 soldati israeliani sono morti, inoltre, durante scontri con guerriglieri Hezbollah, nel sud del Paese dei cedri. In Israele, intanto, il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha lanciato un nuovo appello per porre fine al conflitto. Il premier libanese, Fuad Siniora, ha chiesto, nuovamente, una tregua immediata. Il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, ha affermato, invece, che lo Stato ebraico non intende sospendere le operazioni militari e non ha alcuna fretta a proclamare il cessate-il-fuoco, neanche dopo la strage di Cana, definita “orripilante” dalla Commissione europea. Sulla situazione in Medio Oriente, il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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La sequenza delle fasi del bombardamento israeliano, condotto nella notte sul piccolo villaggio sciita di Cana, è drammatica: dopo una serie di attacchi contro presunti covi di guerriglieri Hezbollah, una bomba ha centrato un palazzo abitato da almeno 100 persone, in gran parte civili. L’edificio è crollato e decine di persone sono improvvisamente state ricoperte dalle macerie. Ma alle grida e alla disperazione dei sopravvissuti, i soccorritori hanno potuto rispondere solo questa mattina, dopo la fine dei bombardamenti notturni. Fonti locali hanno riferito, poi, che gli attacchi sono ripresi durante le operazioni di soccorso. Poco dopo, una televisione libanese ha anche trasmesso angoscianti immagini del villaggio e del palazzo bombardato mostrando corpi senza vita di donne, bambini e anziani. Dopo questa tragedia, il bilancio è sempre più pesante: secondo il ministro della Salute di Beirut, le vittime libanesi dall’inizio dell’offensiva israeliana, sono almeno 750.

 

Sul versante politico, intanto, il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha dichiarato che non si recherà a Beirut, dove era previsto per oggi un incontro con il premier libanese, e ha espresso “profondo dolore” per la strage di Cana. La Rice, in questi giorni in missione in Medio Oriente, ha precisato che rimarrà in Israele per cercare di arrivare a un accordo che ponga fine al conflitto. Il presidente libanese, il filo siriano Emile Lahoud, ha detto che una visita del segretario di Stato americano in Libano, sarebbe stata “inopportuna”. E a Bruxelles, l’Alto rappresentante della Politica estera e di Sicurezza dell’UE, Javier Solana, ha definito “ingiustificato” l’attacco. Nello Stato ebraico e nel Paese dei cedri, si sono alternate, poi, le motivazioni israeliane dell’attacco con le prese di posizione libanesi. Secondo l’esercito israeliano, che ha annunciato una nuova incursione di terra nel sud del Libano, l’edificio colpito era stato utilizzato, nei giorni scorsi, da combattenti Hezbollah per lanciare razzi contro alcune località della Galilea. La radio militare dello Stato ebraico ha anche aggiunto che nel palazzo si erano rifugiati guerriglieri, denunciando che gli Hezbollah “usano i civili come scudi umani”.

Il premier israeliano, Ehud Olmert, ha dichiarato, inoltre, che lo Stato ebraico “non ha alcuna fretta” di proclamare un cessate-il-fuoco in Libano, precisando che gli abitanti di Cana erano stati avvertiti di lasciare la zona prima che i raid avessero inizio. Olmert ha nache detto di aver dato direttive per far arrivare gli aiuti umanitari a Cana. Sull’altro fronte, il premier libanese, Fuad Siniora, ha chiesto una tregua immediata e una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Siniora ha aggiunto che il Libano non parteciperà a nessun negoziato se non ci sarà subito un cessate-il-fuoco. Il movimento politico militare libanese degli Hezbollah e quello palestinese di Hamas hanno annunciato, inoltre, attacchi e rappresaglie in Israele in risposta alla strage di Cana. Il premier palestinese di Hamas, Ismail Haniyeh, ha detto che, dopo il massacro nel villaggio sciita, Israele “non potrà più raggiungere i propri obiettivi” in Libano. A Beirut sono state organizzate, infine, dure manifestazioni di protesta: centinaia di persone si sono radunate per manifestare contro gli Stati Uniti ed Israele e sono entrate nella sede locale delle Nazioni Unite, dove hanno danneggiato diversi uffici.

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Come drammaticamente confermato dall’attacco contro il villaggio libanese di Cana, la guerra non risparmia neanche i bambini. Secondo l’UNICEF, il 45 per cento degli oltre 700.000 sfollati libanesi sono minori. Circa 125.000 di questi alloggiano in 587 fra edifici scolastici ed altri luoghi di rifugio. Al microfono di Alessandro Gisotti, il presidente di UNICEF Italia, Antonio Sclavi, sottolinea la drammaticità delle condizioni di vita dei bambini libanesi:

 

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R. - Ad oggi, ci sono più di 700 mila sfollati. Quasi la metà sono bambini o adolescenti. In un Paese come il Libano, dove la popolazione è di 3 milioni e mezzo e dove circa un terzo sono bambini e adolescenti, la situazione è tragica. L’UNICEF è stata incaricata ufficialmente responsabiole per ciò che riguarda il rifornimento di acqua e per ciò che riguarda tutto il controllo dell’igiene nel territorio. Ci sono i bombardamenti e l’igiene viene meno, gli sfollati vivono in capanne provvisorie dove non c’è acqua potabile; per mancanza di acqua cominciano malattie, infezioni ecc.

 

D. – Per altro, l’UNICEF ha chiesto, anche unendosi all’appello forte che ha fatto il Santo Padre, l’apertura di corridoi umanitari che siano sicuri. Perché sono così importanti?

 

R. – L’UNICEF ha inviato, con molti convogli, grosse quantità di aiuti sia alimentari, sia di acqua, principalmente verso Tiro dove sono cadute anche le bombe e una parte non grossa, fortunatamente, di questi aiuti è già andata distrutta. E’ inutile quindi andare ad intervenire quando poi non c’è un corridoio sicuro attraverso il quale si può passare. Ci sono migliaia di bambini che sono rifugiati nelle scuole, nelle chiese ed anche nelle moschee. Ci sono troppi pochi servizi igienici, perciò c’è da lavorare molto. L’UNICEF ha fatto una previsione, che andando così le cose, occorreranno circa 23 milioni di dollari per intervenire su questo territorio.

 

D. – Ovviamente, oltre alle terribili condizioni igieniche e alla mancanza di beni primari, questi bambini sono sottoposti a degli stress psicologici terribili…

 

R. – Gli stress psicologici, certo. Pensate a bambini che assistono alla morte dei genitori, dei parenti, dei conoscenti o di altri bambini; non ci sono gli ospedali sufficienti per ricevere i bambini feriti. Per situazioni come queste occorre l’aiuto anche di personale che s’intenda di psicologia e sappia agire, perché altrimenti questi bambini finiscono in un mutismo ed è difficile che poi si riprendano.

 

D. .- Si parlava dei convogli già giunti a Tiro. Quali sono le altre iniziative urgenti che l’UNICEF ha messo in campo per i prossimi giorni?

 

R. – Abbiamo in campo molti convogli che stanno andando sia via nave che via aerea, quindi, andiamo avanti. Però seguiamo passo passo quello che fanno i governi sperando che ci sia questa sicurezza altrimenti è difficile proseguire negli aiuti quando non c’è un corridoio sicuro che si possa attraversare.

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Ed oltre alle organizzazioni umanitarie, anche la Chiesa è fortemente impegnata, in Libano, per soccorrere la popolazione civile. Ascoltiamo, al microfono di Catherine Smibert, il sacerdote libanese Michel Jalakh, officiale della Congregazione per le Chiese Orientali:

 

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R. - Attualmente, stiamo vivendo un momento difficile. La guerra si è scatenata così di colpo; non eravamo proprio preparati. Tutti i cristiani hanno aperto le loro case, i loro conventi, le scuole per accogliere i confratelli e connazionali che sono scappati e diventati profughi nel loro stesso Paese. Sono venuti dal sud del Libano che, paese dopo paese, si sta svuotando; infatti, adesso, si dice che ci sono tra 700.000 e 800.000 profughi all’interno del Libano. Noi stiamo facendo di tutto per mantenere soprattutto l’unità del popolo libanese. Operiamo sotto la responsabilità del nostro patriarca maronita, Nassrallah Sfeir, per aiutare tutti, per poter essere uniti in questo difficile momento perché il rischio di ulteriori divisioni c’è sempre. E’ un momento delicato ma anche un momento opportuno per potersi aiutare a vicenda e pregare perché la pace arrivi, come il Santo Padre ha chiesto ripetutamente, esortando tutti a pregare per la pace.

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A 450 ANNI DALLA MORTE, LO SPIRITO “GIOVANE” DI UN GRANDE SANTO

CHE NON SMETTE DI ATTRARRE ANIME A DIO: IGNAZIO DI LOYOLA

- Intervista con padre Edward Mercieca -

 

Alle sette del mattino del 31 luglio del 1556, dopo una nottata molto sofferta, Ignazio di Loyola moriva a Roma, all’età di 65 anni, accompagnato dalla benedizione di Papa Paolo IV. La Compagnia di Gesù, fondata un quindicennio prima, perdeva la guida diretta del suo straordinario fondatore, la cui figura suscita ancora ammirazione a fascino a 450 anni di distanza, specialmente tra i giovani di tutto il mondo. Come si spiega questo fenomeno? Ecco l’opinione del padre gesuita Edward Mercieca, direttore del Centro di Spiritualità ignaziana, intervistato da Luís Badilla:

 

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R.  – DICEN QUE CADA QUINIENTOS ANOS HAY UN CAMBIO DE…

Dicono che ogni 500 anni, nel mondo, si registrano dei cambiamenti paradigma­tici, crisi di strutture che cambiano i punti di riferimento ritenuti per molti secoli sta­bili e permanenti: la famiglia, il lavoro, lo Stato, ecc. Con questi cambiamenti ov­viamente, cambia il nostro modo di percepire, pensare e agire. Sant’Ignazio nac­que e visse in tempi in cui questi cambiamenti dell’umanità erano molto simili a quanto accade oggi, un tempo nel quale convivono e interagiscono, non senza diffi­coltà, disorientamenti nella cultura tradizionale, moderna e post-moderna. Quando Ignazio aveva un anno di vita, Cristoforo Colombo scopriva l’America. Ni­cola Copernico, contemporaneo, astronomo e matematico, cambiava la visione che si aveva dell’universo dimostrando che la terra gira su stessa e al tempo stesso attorno al sole. Martin Lutero pubblicava le sue 95 tesi nel 1517 che porta­rono alla Riforma protestante e alla divisione della Chiesa. Ignazio aveva 25-26 anni, nel periodo della sua conversione a Loyola. In questa difficile transizione, l’esperienza di Dio di Ignazio, riversata negli esercizi spirituali, è una risposta del Si­gnore alla crisi sociale ed ecclesiale del suo tempo. Quella di Ignazio è una spiritua­lità di discernimento ed è sintesi, che senza negare i nuovi contributi della cul­tura emergente, ci invita a vivere tutto da Dio e a lasciarci guidare dalle sue mani.

 

D. – Se usiamo la parola “moderno” nel senso più comune del linguaggio quotidiano, si può dire che Sant’Ignazio è appunto un Santo moderno?

 

R. – CIERTAMENTE QUE LA DE IGNACIO ES UNA ESPIRITUALIDAD…

Quella di Ignazio è certamente una spiritualità esistenziale nel senso che sta in allerta di fronte a quanto succede nell’intimo di ciascuno di noi, così come di fronte ai segni di Dio e dello spirito cattivo. Al tempo stesso, è una spiritualità incar­nata dove tutto ciò che è umano, tutto ciò che tiene in piedi l’uomo, tutto ciò che è bello ed ogni talento sono vissuti, sviluppati e usati per la maggior gloria di Dio, essendo noi gli strumenti e i collaboratori. Quella di Ignazio è anche una spiritua­lità con un interiore dinamismo giovanile. Il Santo di Loyola seppe, nella sua vita, camminare molto – più di 2 mila chilometri a piedi nonostante fosse claudi­cante dopo la ferita a Pamplona – aprendosi verso il nuovo e cercando tutto ciò che portava verso Dio e verso la costruzione del suo Regno. In ogni luogo della sua vita seppe vedere, ascoltare, scegliere ciò che più lo interessava ed inte­grarlo in una sintesi personale profonda che entrava a far parte della sua spiritua­lità. Cercare, trovare, agire: è il suo dinamismo giovanile interiore che in que­sta maniera permette l’operare di Dio in lui.

 

D. – La pratica degli esercizi spirituali, inseparabile dalla figura e dall’eredità di Sant’Ignazio, quale messaggio trasmette al mondo del XXI secolo, soprattutto alle nuove generazioni?

 

R. – ES VERDAD, COME DICES MUY BIEN LA PRACTICA…

E’ vero, la pratica degli esercizi spirituali è inseparabile dalla figura di Ignazio. Ogni spiritualità – o modo concreto di vivere il Vangelo – presuppone una biogra­fia. Nel caso del Santo, ciò si verifica con molta forza. E’ una caratteristica di Igna­zio: stare in allerta riguardo a tutto quello che succede interiormente ed interpre­tarlo alla luce del Signore. Il libro sugli esercizi spirituali è uno sforzo per con­dividere ed offrire ad altri la possibilità di vivere l’esperienza personale di Dio. E’ come dire: “Ecco quanto è accaduto a me. Qui hai gli strumenti per realizzare quello che Dio vuole succeda anche a te e ciò sarà sempre in modo personale e irripe­tibile. Io dunque, ti consegno ‘il modo e l’ordine’ degli esercizi, tutto il resto lo farà Dio nel dialogo, nella comunione con te”. L’esperienza di Dio che comunica con noi; la realtà della Salvezza attraverso Gesù, suo Figlio che si fa compagno e ci invita alla missione, si realizza prendendo sul serio ed in ogni momento la li­bertà umana purificata e potenziata nel rapporto con il Signore. Tutto ciò è molto at­tuale e si allaccia con la sete di spiritualità che c’è oggi nel mondo. E’ un cam­mino di esperienza dall’interno, e non normativo esteriore, ciò che porta a grandi im­pegni e convinzioni.

 

D. – A suo avviso, esistono ancora degli aspetti o proposte di Sant’Ignazio che non si conoscono sufficientemente e che potrebbero dare un contributo alla costruzione di un mondo migliore ove spesso domina la violenza e l’intolleranza?

 

R. – QUE EL MUNDO NON ES UNA VITRINA O UN MUSEO PARA MIRARLO…

Il mondo non è una vetrina o un museo che sta lì per essere guardato, bensì un laboratorio dove Dio lavora e dove ci invita ad accompagnarLo, insieme a suo Fi­glio, nello svolgimento del compito. Per Ignazio, la vita umana non è un tempo per accumulare meriti e quindi raggiungere il Paradiso evitando il peccato. Anzi, il mondo è piuttosto un tempo privilegiato per cercare, trovare e portare a compi­mento ciò che più serve alla gloria di Dio. Lui ci insegna a guardare il mondo con gli occhi della Trinità. Il Santo non sopprime le tensioni piuttosto le integra in una sin­tesi spirituale, in una più profonda azione – contemplazione, iniziativa e creati­vità personale, obbedienza e progetto comune, preparazione intellettuale e professio­nalità, servizio ai più poveri ed emarginati, inculturazione e inserzione in ogni luogo e al tempo stesso disponibilità ed universalità; uso degli strumenti disponi­bili ma gratuità nel servizio e nel ministero. Tutto ciò presuppone una mi­stica di unità con Dio e una mistica di servizio agli uomini. Un discernimento spiri­tuale di uomini di fede maturi, capaci di amare molto. Vorrei finire con due grandi le­zioni di Sant’Ignazio: “Trovare Dio in ogni cosa e in ogni cosa trovare Lui”. Poi, non è il sapere molto ciò che soddisfa l’anima bensì l’assaporare le cose interiori. Nel mondo d’oggi, dove predomina lo zapping, la fuga dagli impegni definitivi e molta informazione senza comunicazione, Sant’Ignazio di Loyola è per noi una sfida a prendere sul serio i cammini di Dio nel mondo.

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I DIRITTI DELLE POPOLAZIONI INDIGENE D’AMAZZONIA IN PRIMO PIANO

 NEL RECENTE SIMPOSIO RELIGIONE, SCIENZA E AMBIENTE, SVOLTOSI IN BRASILE

- Con noi, Joenia Wapichana -

 

L’Amazzonia è la loro terra, il loro orgoglio, la loro speranza. Stiamo parlando delle popolazioni indigene che vivono da sempre nella foresta pluviale: in essa circa 400 gruppi etnici trovano acqua, cibo, erbe medicinali, in una parola: la vita. I diritti degli indigeni d’Amazzonia sono stati tra i temi forti del recente Simposio Religione, Scienza e Ambiente promosso dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I e svoltosi proprio nello Stato brasiliano dell’Amaz-zonia. Il servizio di Giada Aquilino:

 

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 Nel 1500 si stimavano nella regione amazzonica sette milioni di indigeni, oggi ce ne sono meno di un quinto. Ora puntano alla rivendicazione dei propri diritti e delle proprie terre. Se ne è parlato al VI Simposio Religione, Scienza e Ambiente, dedicato al Rio delle Amazzoni e appena concluso in Brasile. Tra i relatori, c’era anche Joenia Wapichana, primo avvocato donna indigena. Vive al confine con il Venezuela e ricorda che le terre riconosciute ufficialmente agli indigeni sono solo poco più di un milione di chilometri quadrati, troppo importanti per perderli a causa dei grandi interessi economici mondiali. Ma qual è oggi la situazione degli indigeni e dei diritti loro riconosciuti? A Manaus abbiamo intervistato proprio Joenia Wapichana:

 

R. - Stiamo affrontando una grande sfida, che è quella di creare delle politiche indigene ad hoc. Le terre indigene fino ad oggi non hanno avuto alcuna regolamentazione fondiaria. Ci sono anche molti problemi con le occupazioni delle terre indigene da parte dei cercatori d’oro, con progetti che possono avere un impatto ambientale disastroso, con i ritardi nelle procedure di demarcazione delle altre terre indigene in Brasile. I popoli indigeni stanno cercando di far conoscere ancora di più le loro rivendicazioni, tramite appropriate organizzazioni attraverso cui stanno diventando protagonisti nella difesa dei loro diritti.

 

D. - Qual è l’importanza dell’ambiente e dei fiumi dell’Amazzonia per le popolazioni indigene?

 

R. - I fiumi hanno un grande significato, come la terra: si tratta di fonti di vita. Perché senza acqua e senza terra nessuno vive. Per noi Apixhana, la vita proviene dall’acqua ed è così anche per gli animali. Perciò per noi l’ambiente - inteso come foreste, montagne, acqua - deve essere rispettato e curato, proprio come un essere vivente.

 

D. – Quanto è difficile essere avvocato, madre e difensore dei popoli indigeni?

 

R. - E’ molto difficile, ma le donne indigene sempre di più stanno assumendo un ruolo in difesa dei loro diritti e questo è un aspetto molto importante. Ci sentiamo fortificate come donne e come indigene, chiamate a formare i futuri capi tribù. D’altra parte io non ho alcuna difficoltà in questo mio compito, perché ho l’appoggio di mio marito e delle comunità indigene.

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CHIESA E SOCIETA’

30 luglio 2006

 

 

“LA GIUSTIZIA INTERNAZIONALE”:

QUESTO IL TEMA DELLA 22.MA ASSEMBLEA GENERALE

DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DELLE UNIVERSITÀ CATTOLICHE,

CHE SI APRE DOMANI A BANGKOK

 

BANGKOK. = Un contributo al dibattito intorno al “nuovo ordine mondiale” atteso ed invocato dopo il crollo dei muri e la fine del bipolarismo mondiale. È l’obiettivo della 22.ma Assemblea Generale della FIUC (Federazione Internazionale delle Università Cattoliche), sul tema “La giustizia internazionale”, che terrà da domani al 4 luglio presso la Assumption University di Bangkok, in Thailandia. Di fronte al perdurare di ingiustizie e discriminazioni, che limitano drasticamente le speranze di sviluppo dei Paesi svantaggiati, e ad uno scenario internazionale segnato da conflitti antichi e recenti, la riflessione dell’Assemblea affronterà il tema della giustizia a partire dalla responsabilità di cittadini e governi di Paesi ricchi nei confronti dei poveri e dei perseguitati di altre nazioni del mondo. Una questione,  quella della responsabilità, che racchiude una serie di ambiti e di interrogativi: dalle compensazioni da destinare a Paesi con un passato coloniale alla migliore distribuzione delle ricchezze nazionali a vantaggio degli emarginati, dalle condizioni commerciali più eque da accordare ai Paesi in via di sviluppo all’impegno di garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti umani alle popolazioni che vivono in situazioni di violenza e di oppressione. Altro tema cruciale:  l’immigrazione e l’obbligo morale di aprire le frontiere ai richiedenti asilo, ai poveri e ai rifugiati. Con i contributi di docenti universitari di diversi Paesi del mondo, l’Assemblea si soffermerà dunque sulle problematiche collegate alla giustizia internazionale, nell’ottica comune della visione cristiana e alla luce del magistero della Chiesa. Prenderanno parte alla liturgia eucaristica e alla cerimonia di apertura i cardinali Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, e Michael Kitbunchu, arcivescovo di Bangkok, insieme al nunzio apostolico in Thailandia, arcivescovo Salvatore Pennacchio e al presidente della FIUC, Padre Jan Peters, S.I. (I.P.)

 

 

INFLUENZA AVIARIA: ANCORA ALTO L’ALLARME IN ASIA. NEI GIORNI SCORSI, IN LAOS,

IL VIRUS H5N1 HA UCCISO 2.500 POLLI. SECONDO GLI ESPERTI ASIATICI,

OCCORRONO 500 MIOLINI DI DOLLARI PER FAR FRONTE AD UN’ EVENTUALE PANDEMIA

 

NEW DELHI. = Non scema la preoccupazione degli esperti asiatici riguardo all’influenza aviaria. Riunitisi nei giorni scorsi a New Delhi, in India, gli studiosi del settore sanitario e agricolo di 11 Paesi asiatici hanno calcolato che il continente ha bisogno ancora di 500 milioni di dollari per fronteggiare una possibile pandemia scatenata dal virus H5N1. Intanto, 2 giorni fa, la FAO ha comunicato la presenza dell’influenza aviaria in un allevamento di polli del Laos, vicino alla capitale Vientiane, dove la scorsa settimana sono morti 2.500 volatili. Si tratta, secondo quanto riportato dall’agenzia Asia News, dell’epidemia più grave nel Paese dal 2004. La Thailandia, inoltre, ha registrato il 15.mo decesso umano, il primo dopo sette mesi di assenza del virus nella regione. L’H5N1 finora ha ucciso 130 persone in tutto il mondo ed ha portato alla soppressione di milioni di polli e volatili infetti. (I.P.)

 

 

“ESPERANTO PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE”:

SI INTITOLA COSÌ IL CONGRESSO, AL VIA OGGI A FIRENZE,

PER PROMUOVERE L’ ESPERANTO COME LINGUA INTERNAZIONALE,

IN GRADO DI RESTITUIRE IDENTITÀ CULTURALE AI PAESI DEL MONDO

 

FIRENZE. = Affermare l’esperanto come lingua internazionale che unisce e non divide, capace di restituire identità culturale ai Paesi colonizzati dall’inglese. Sono queste alcune delle linee guida del 91.mo convegno mondiale sull’esperanto che, da oggi fino al 5 agosto, riunirà a Firenze oltre 2mila congressisti provenienti dall’intero  pianeta, soprattutto dall’Europa dell’est e dall’Oriente. L’esperanto è una lingua ausiliaria internazionale, non ufficiale in alcun Paese del mondo e parlata da circa due milioni di persone in 70 nazioni. Venne ideata tra il 1872 e il 1887 dall’oculista Ludwik Lejzer Zamenhof a Varsavia. Il nome “esperanto” proviene  dallo pseudonimo con il quale l’oculista era solito firmarsi: Doktoro Esperanto, ossia “Colui che spera”. L’idioma di Zamehof è una lingua indoeuropea, più simile all’ungherese e alle lingue orientali. Proprio in Ungheria, l’esperanto viene insegnato nelle scuole come seconda lingua. In Italia, invece, esistono corsi di esperantologia all'Università di Torino e a Parma, nell' ambito di un progetto di collaborazione con Bulgaria e Inghilterra. L’esperanto, riconosciuta nel 1954 dall’UNESCO come lingua internazionale, è un idioma semplice, con una grammatica regolare e potenzialità propedeutiche enormi, spiegano gli esperantisti.  E aggiungono: “l’esperanto ha anche una sua collocazione politica nella linguistica internazionale, in quanto da tempo si  batte per scardinare la logica del più forte”, ovvero la diffusione capillare della lingua inglese nel mondo. (A.Gr.)

 

 

LA GIOVENTÙ FRANCESCANA ANNUNCIA IL VANGELO A CHI È IN VACANZA:

 PARTE IL 16 AGOSTO LA MISSIONE INTITOLATA “DATTI UN’ OPPORTUNITÀ”

 

VIAREGGIO. = Saranno circa 500 i giovani impegnati nella missione dal tema “Datti un’opportunità”, promossa dalla Gioventù Francescana sulle spiagge della Versilia, dal 16 al 22 agosto. Accompagnati da alcuni frati francescani e da alcune religiose, i giovani trascorreranno il pomeriggio sulle spiagge per annunciare il Vangelo a chi è in vacanza. Organizzata dal convento di Sant’Antonio di Viareggio, la missione avrà come scenario anche le piazze e i locali della città, dove verranno messi in scena numerosi spettacoli musicali e alcuni ragazzi offriranno la loro testimonianza. Tutti gli incontri inizieranno con la celebrazione della Santa Messa e si concluderanno con un’adorazione eucaristica all’aperto. Inoltre, un gruppo di giovani porterà l’annuncio di Cristo tra i carcerati di Lucca e in alcune strutture di accoglienza per i più poveri. Nel corso del primo giorno di missione, l’arcivescovo di Lucca, mons. Italo Castellani, consegnerà ai giovani il “mandato”, che segnerà l’inizio del loro operare, e li inviterà a riflettere sull’importanza del Vangelo nella vita quotidiana. (I.P.)

 

 

“PENSATE IN GRANDE!”: È L’APPELLO DEL VESCOVO DI AUCKLAND

AI GIOVANI NEOZELANDESI, IN VISTA

DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ DI SYDNEY 2008

 

AUCKLAND. = Per i giovani di tutto il mondo, l’appuntamento è a Sydney, in Australia, nel luglio 2008, quando si terrà la XXIII Giornata Mondiale della Gioventù. In vista di questo importante incontro, il vescovo di Auckland, mons. Patrick Dunn, ha scritto e diffuso una lettera pastorale, esprimendo il suo sostegno all’evento e auspicando una numerosa presenza di giovani neozelandesi. L’esortazione del presule ai ragazzi  - “Pensate in grande!” – arriva dopo la visita compiuta, nelle quattro diocesi neozelandesi, dal coordinatore della GMG, mons. Anthony Fisher. Come riportato dall’agenzia Fides, l’incontro mondiale dei giovani si dividerà in tre fasi: quella preparatoria (fino al giugno 2008); quella dell’evento (dal 15 al 20 luglio 2008); quella della raccolta dei frutti (durante i 20 anni successivi). “In questa fase di preparazione – scrive mons. Dunn ai giovani – è necessario che voi pensiate in grande e siate molto generosi”. “L’incontro con il Successore di Pietro e con centinaia di migliaia di ragazzi provenienti da tutto il mondo - prosegue il presule - sarà un’esperienza che ricorderete per la vita”. Richiamando l’attenzione sulla possibilità di reperire facilmente informazioni sul sito Internet www.wyd2008.org, mons. Dunn invita poi le parrocchie e le comunità ad istituire appositi Comitati per la GMG, per sensibilizzare i giovani e coinvolgerli il più possibile. Si chiede, inoltre, alla diocesi di segnalare la loro disponibilità ad ospitare i pellegrini e si esortano le comunità locali a pregare per la buona riuscita della Giornata, poiché essa sarà “un tempo di rinnovamento”. “In un’era in cui ci sono così tante pecore senza Pastore, (Mc 6,34), possa il nostro pellegrinaggio nei prossimi due anni aiutarci ad ascoltare nuovamente la voce di Gesù, il nostro Buon Pastore – conclude la lettera – Possiamo noi sperimentare una nuova effusione dello Spirito Santo ed essere suoi autentici testimoni, fino ai confini della Terra”. (I.P.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

30 luglio 2006

 

 

- A cura di Roberta Moretti -

               

Urne aperte, oggi, nella Repubblica Democratica del Congo, sia per le elezioni presidenziali che per quelle legislative. Gli elettori sono infatti chiamati a scegliere il nuovo capo dello Stato e i 500 deputati del Parlamento. Grande l’attenzione della comunità internazionale che ha messo a disposizione 460 milioni di dollari per questa consultazione, mentre il presidente sudafricano, Thabo Mbeki, ha inviato un messaggio alla ‘nazione sorella’, convinto che: “Il Congo ce la farà”. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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 “Le elezioni col fuso”, come le ha scherzosamente soprannominate un cronista locale, a Kinshasa sono partite regolarmente. Ed è proprio così, perché la Repubblica Democratica del Congo è un Paese così vasto che stamani hanno iniziato a votare alle 6.00 - ora locale - prima gli elettori del settore orientale del Congo e, un’ora più tardi, quelli sul versante opposto, ad Occidente. Sta di fatto che nei 50 mila seggi disseminati sui 2 milioni e 344 mila chilometri quadrati, che costituiscono il territorio nazionale, dal Kivu all’Ituri, dal Katanga al Kasai, tutto sembra svolgersi regolarmente. La macchina organizzativa, tranne qualche piccolo intoppo, considerato fisiologico, sembra stia davvero girando a dovere. Anche se è ancora presto per fare valutazioni di questo tipo. Lunghe le file di fronte a chiese, scuole e tende utilizzate, per l’occasione, come presidi elettorali, per consentire agli oltre 25 milioni degli aventi diritto di esprimere la propria preferenza sia per la presidenza che per il Parlamento.

 

Il capo di Stato uscente, Joseph Kabila, cui va riconosciuto il merito di aver traghettato la nazione verso questa storica consultazione, ha rivolto un appello ai propri connazionali, invitandoli al rispetto delle regole democratiche per garantire prosperità e benessere a tutti. Complessivamente sono 33 i candidati in lista per le presidenziali e il favorito è proprio Kabila, il quale spera di godere di un vasto consenso popolare. Poco meno di 10 mila i candidati in lizza per i 500 seggi del Parlamento nazionale. È bene ricordare che le elezioni odierne sono le prime libere dopo quelle del ’60, seguite all’indipendenza dal Belgio, che avevano permesso a Patrice Lumumba di ottenere la maggioranza al Parlamento e diventare così primo ministro.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Ma come stanno vivendo i congolesi questo momento storico? Isabella Piro lo ha chiesto a Marina Piccone, osservatrice elettorale per conto dell’associazione “Beati i costruttori di pace”, che sta seguendo la giornata di voto di un giovane cittadino del Kivu:

 

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R. – Janvier esce di casa alle 8.00, insieme alla moglie Yvette, molto elegante nel suo vestito bianco con disegni color arancio. Si dirigono verso il loro seggio elettorale; Janvier è emozionato, ha 32 anni e non ha mai votato e, come tutti gli altri congolesi, non ha mai esercitato il diritto di partecipare alla cosa pubblica. ‘Quando ho saputo che si sarebbero state le elezioni – ci ha raccontato – ho pensato a tutto quello che era successo nel mio Paese: alle guerre, alle atrocità commesse in tutti questi anni. Ho cominciato a lavorare per sensibilizzare le persone e dare loro indicazioni sulle modalità di voto’. ‘Io spero molto in queste elezioni – ha concluso nel suo racconto – spero che vada tutto bene’.

 

D. – Che atmosfera si respira all’interno dei seggi?

 

R. – Ci sono file lunghissime di persone in attesa già dalle 6.00 di questa mattina, ora di apertura dei seggi. Si prospettano delle ore prima di riuscire a votare. Per ingannare il tempo, gruppi di donne sedute sul prato si intrecciano i capelli, mentre i bambini giocano e si rotolano sull’erba. In un angolo, c’è una grande radio che intrattiene gli elettori con la musica, ma anche con la cronaca dell’evento. Possiamo proprio dire che in questa parte del Paese, quindi ad est e al confine con il Rwanda, tutto si sta svolgendo in maniera regolare e molto organizzata. Un’immagine molto toccante che ho visto è stata quella di un gruppo di 7-8 persone che trasportava una poltrona con un vecchio invalido: nessuno ha veramente voluto mancare a questo evento!

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Non si fermano le violenze in Iraq, dove ieri almeno 13 persone hanno trovato la morte in diversi attentati. Ritrovati a Baghdad, nelle ultime ore, anche i corpi senza vita di 12 persone probabili vittime delle ‘squadre della morte’ sunnite o sciite che imperversano nella capitale. Da segnalare, infine, le dimissioni del ct della nazionale di calcio irachena, che ha lasciato la capitale dopo aver ricevuto minacce di morte.

 

Non si allenta la tensione in Afghanistan, in vista dell’espansione, la prossima settimana, della forza NATO nel sud del Paese. Almeno una ventina di guerriglieri taleban sono stati uccisi ieri dalle forze di coalizione guidate dagli Stati Uniti nel corso di un tentativo di imboscata nella provincia meridionale di Oruzgan. Lo rende noto oggi un comunicato della coalizione, secondo cui le forze internazionali, sorprese da colpi di armi leggere e da lanciarazzi dei ribelli nel distretto di Shahidi Hass, sarebbero ricorsi all’intervento aereo. Altri quattro guerriglieri taleban sono rimasti uccisi nella provincia meridionale di Kandahar, mentre tentavano di piazzare delle mine anti-uomo al lato di una strada. Da segnalare, infine, la notizia - ancora non confermata - del sequestro di un ingegnere libanese di nome Khalid nella provincia meridionale di Zabul. che lavorava per una compagnia americana. Il destino del libanese – ha precisato un portavoce dei guerriglieri, che hanno rivendicato il rapimento – sarà deciso nelle prossime 24 ore ed è probabile che l’uomo sarà ucciso per aver lavorato con “le forze infedeli che occupano l’Afghanistan”.

 

L’Iran non prenderà più in considerazione gli incentivi internazionali offerti in cambio della cessazione del suo programma nucleare, se il Consiglio di sicurezza dell’ONU approverà una risoluzione contro Teheran. Lo ha dichiarato oggi, in una conferenza stampa, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Hamid Reza Asefi, secondo il quale una risoluzione per obbligare l’Iran a sospendere le attività di arricchimento di uranio condannerebbe gli sforzi diplomatici e “aggraverebbe la crisi nella regione”. 

 

Il Venezuela taglierà le sue esportazioni di petrolio negli Stati Uniti, se Washington porterà avanti una politica ostile nei confronti di Caracas: è quanto ha affermato stamani da Teheran, il ministro del Petrolio venezuelano, Rafael Ramirez. Quest’ultimo ha accompagnato nella Repubblica Islamica il presidente del Venezuela, Hugo Chavez, che ieri ha incontrato il suo omologo iraniano, Mahmud Ahmadineyad.

 

Il primo ministro del governo di transizione somalo, Ali Mohamed Gedi, è riuscito ad evitare la sfiducia votata contro di lui in Parlamento, ma subito dopo il voto è scoppiata una rissa tra i parlamentari ed è dovuta intervenire la polizia per riportare la calma. La mozione ha ottenuto 126 voti su 139 necessari per essere approvata. I promotori della sfiducia ritenevano che dopo la vittoria delle Corti Islamiche a Mogadiscio il premier si dovesse dimettere per lasciare il posto ad un esponente delle Corti. Se la sfiducia fosse passata, il governo sarebbe caduto.

 

Quinto giorno di combattimenti nel nordest dello Sri Lanka, dove è ormai fallita del tutto la tregua tra l’esercito e i separtisti Tamil. Stamani, l’aviazione cingalese ha bombardato le posizioni dei ribelli nell’area di Trincomalee, dopo che l’esercito di Liberazione della Patria Tamil aveva aperto il fuoco contro truppe di terra governative che, per la prima volta dopo la tregua del 2002, avevano tentato di entrare nel territorio da loro controllato. Al momento, non si hanno notizie accertate di vittime. In un comunicato del ministro della Difesa cingalese, Colombo ha giustificato i raid aerei di questi giorni, non come una volontaria ripresa della guerra, ma come unico modo per ripristinare la rete idrica bloccata dai ribelli per non far giungere l’acqua ai contadini che vivono nelle zone controllate dal governo.

 

 “Un provvedimento positivo, che credo possa aiutare a dare sollievo all’attuale condizione carceraria”: così il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha commentato l’approvazione definitiva, ieri sera,  della legge sull’indulto da parte del Senato italiano. Il provvedimento, passato con 245 voti a favore, 56 contrari e 6 astenuti, prevede uno sconto di pena di tre anni anche per reati amministrativi commessi fino al 2 maggio 2006. Saranno così circa 12 mila i detenuti che potranno uscire dalle carceri. Esclusi i reati gravi, tra cui quelli mafiosi e legati alla pedofilia.  “Così – ha sottolineato il porporato – viene coronato il sogno di Giovanni Paolo II e anche quello di Benedetto XVI, assai sensibile alla situazione dei carcerati in tutto il mondo”.

 

Terzo e ultimo giorno di elezioni nell’arcipelago delle Seychelles per eleggere il successore del capo di Stato uscente, James Michel. Le consultazioni sono state scaglionate nel tempo a causa della grande distanza che separa le 115 isole che formano l’arcipelago. In lizza per la presidenza, oltre a Michel, Wavel Ramkalawan, alla sua quarta partecipazione, e l’outsider Philippe Boulle. Dal 1977, le Seychelles sono state sempre governate dal Seychelles People’s Progressive Front, anche dopo l’apertura democratica del 1992, che ha consentito la nascita di partiti di opposizione.

 

Elezioni presidenziali, oggi, anche nel piccolo arcipelago di Sao Tomè e Principe, nell’Africa occidentale. Circa 80 mila persone sono chiamate alle urne. I tre candidati sono il capo di Stato uscente, Fradique de Menezes, appoggiato della coalizione di centro-destra (MDFM/PCD), l’ex ministro degli Esteri, Patrice Trovoada, sostenuto dal centro-sinistra (MLSPT/PSD), e Nilo Guimaraes.

 

Almeno 200 persone sono rimaste intossicate ieri in Indonesia a causa di un’esplosione in una raffineria di petrolio. L’esplosione, che ha costretto circa 7 mila persone ad abbandonare le proprie case, è avvenuta  nell'impianto di Pertamina-Petrochina di Bojonegoro, nella provincia di Giava, mentre gli operai stavano tentando di riparare una perdita di gas.

 

Ennesimo viaggio della speranza finito in tragedia nelle acque del Mediterraneo. Diciassette immigrati, fra cui otto bambini e un neonato, sarebbero dispersi al largo dell’isola di Malta a causa del naufragio del barcone su cui viaggiavano. A dare l’allarme, stamani all’alba, è stato il proprietario di un peschereccio italiano, che è riuscito a portare in salvo 13 immigrati, tutti di nazionalità somala eccetto uno, proveniente dal Ghana. Dalle testimonianze dei sopravvissuti, la barca avrebbe imbarcato acqua prima di capovolgersi. Le autorità maltesi hanno inviato una nave militare alla ricerca dei dispersi.

 

Ha provocato almeno 4 morti e oltre 30 feriti un terremoto di 5.2 gradi della scala Richter, registratosi ieri nella provincia settentrionale afghana di Kunduz e nel confinante Stato del Tajikistan. Tre delle vittime erano bambini.

 

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