RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 211 - Testo della trasmissione di domenica 30 luglio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Influenza aviaria: ancora alto
l’allarme in Asia
Al via, oggi a Firenze, un
Congresso per promuovere l’esperanto come lingua internazionale
Urne
aperte oggi nella Repubblica Democratica del Congo per
eleggere il presidente e un ramo del Parlamento.
30 luglio 2006
NEL NOME DI DIO, DEPONETE LE ARMI:
ALL’ANGELUS, A CASTEL GANDOLFO, L’ACCORATO APPELLO DI BENEDETTO XVI
PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE. IL PAPA CHIEDE AI FEDELI
DI PREGARE INCESSANTEMENTE PER LA FINE DEL
CONFLITTO
E INVOCA L’INTERCESSIONE DI MARIA, REGINA DELLA PACE
Deporre subito le armi e impegnarsi, con coraggio,
a costruire la pace: nel suo primo Angelus nella residenza estiva di Castel
Gandolfo, dopo il periodo di riposo in Valle d’Aosta, Benedetto XVI ha levato
un nuovo vibrante appello per la fine delle ostilità in Medio Oriente. E’ un
appello accorato quello del Papa, che ribadisce come la via del dialogo sia
l’unica possibile per costruire una convivenza stabile e durevole tra i popoli.
L’appello del Papa è stato accolto da un commovente grido “Pace! Pace!”,
scandito dai fedeli raccolti nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel
Gandolfo. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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Nel nome di Dio, deponete le armi: è il grido di dolore,
l’accorato appello di Benedetto XVI per la pace in Medio Oriente. Il Papa è
vicino alle sofferenze dei popoli travolti dal conflitto. Non c’è solo morte e distruzione, constata.
“Nei cuori di molti – rileva con amarezza - sembrano crescere l’odio e la
volontà di vendetta”. “Questi fatti – avverte il Pontefice - dimostrano
chiaramente che non si può ristabilire la giustizia, creare un ordine nuovo ed edificare una pace autentica quando si ricorre allo
strumento della violenza”. Quindi, leva un vibrante appello per la pace:
“Nel nome di Dio mi rivolgo a tutti i responsabili
di questa spirale di violenza, perché immediatamente si depongano le armi da
ogni parte! Ai Governanti e alle Istituzioni internazionali chiedo di non
risparmiare nessuno sforzo per ottenere questa necessaria cessazione delle
ostilità e per poter iniziare così a costruire, mediante il dialogo, una durevole
e stabile convivenza di tutti i popoli del Medio Oriente… (I FEDELI GRIDANO
PACE)… Pace, sì!”.
Il Papa incoraggia, dunque, gli uomini di buona
volontà ad intensificare l’invio di aiuti umanitari alle popolazioni provate.
E, ancora una volta, chiede ai fedeli di unirsi in preghiera per la pace:
“Soprattutto continui ad elevarsi da ogni cuore la
fiduciosa preghiera a Dio buono e misericordioso, affinché conceda la sua pace
a quella regione e al mondo intero”.
E affida quest’accorata supplica “all’intercessione di Maria, Madre del
Principe della Pace e Regina della Pace, tanto venerata nei Paesi
mediorientali”, dove, ribadisce, “speriamo di veder presto regnare quella
riconciliazione per la quale il Signore Gesù ha offerto il suo Sangue
prezioso”. Benedetto XVI ricorda così la via indicata dalla Chiesa per la
costruzione della pace tra i popoli:
“Più che mai vediamo come sia profetica
e, insieme, realista la voce della Chiesa, quando, di fronte alle guerre e ai
conflitti di ogni genere, indica il cammino della verità, della giustizia,
dell'amore e della libertà, come indicato dall’immortale Enciclica ‘Pacem in terris’ del Beato
Giovanni XXIII. Questo cammino l’umanità deve anche oggi percorrere per
conseguire il desiderato bene della vera pace”.
Prima dell’appello per la pace in Medio Oriente, il Papa
ha rivolto parole d’affetto ai fedeli accorsi a Castel Gandolfo dove, ha
affermato, conta di rimanere sino alla fine dell’estate, con una breve
interruzione in settembre per il viaggio apostolico in Baviera. Il Papa ha
salutato il vescovo di Albano e le autorità civili. Quindi, rivolgendosi ai
pellegrini ha detto che essi “contribuiscono a far risaltare, anche
nell’ambiente più familiare della residenza estiva, l’orizzonte ecclesiale
universale di questo nostro appuntamento per la preghiera mariana”.
Al momento dei saluti, il
Pontefice ha ricordato che nei prossimi giorni la Chiesa farà memoria di alcuni
grandi Santi: domani, sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti; il 1°
agosto, sant’Alfonso Maria de’ Liguori,
fondatore dei Redentoristi; il 4 agosto, san Giovanni
Maria Vianney, Curato d’Ars, patrono dei parroci. “L’esempio e l’intercessione di
questi luminosi testimoni – è stato l’auspicio del Papa – ci aiutino a
progredire sulla via della santità”.
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PER
UNA PIÙ GENEROSA SEQUELA DI CRISTO:
COSÌ
BENEDETTO XVI IN UN MESSAGGIO AI PARTECIPANTI, IERI SERA,
AL
TRADIZIONALE ROSARIO, NEI GIARDINI VATICANI, NELLA MEMORIA DI SANTA MARTA
Si è snodato ieri sera, lungo i viali dei Giardini
Vaticani, il tradizionale Rosario itinerante per la festa di Santa Marta. Ai
fedeli che vi hanno preso parte è giunto un messaggio del Papa, che li ha
esortati a rendere più vivo l’amore verso Cristo. La processione, accompagnata
da fiaccole, ha fatto tappa, per la meditazione dei Misteri della gioia,
davanti alle edicole votive dedicate alla Madonna di Czestochowa,
di Guadalupe, di Fatima, di Lourdes e della Guardia.
Il servizio di Tiziana Campisi:
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(Canto)
Benedetto XVI ha voluto essere spiritualmente vicino a
quanti hanno pregato lungo i Giardini Vaticani, inviando un telegramma. Il Papa
ha auspicato che la tradizionale recita del Rosario, nel giorno di Santa Marta,
possa rinsaldare un autentico amore alla Madre di Dio
e donare nuovo slancio per una più generosa sequela di Cristo.
L’annuale appuntamento di preghiera vuole offrire
l’opportunità di meditare sui due volti della vita cristiana: quello attivo e
quello contemplativo. Una meditazione che nel Vangelo trova l’esempio delle
sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, nell’episodio di una visita di Gesù nella
loro casa. Marta, sollecita e indaffarata per
accogliere degnamente il gradito ospite, si rivolge al Maestro perché esorti la
sorella, rimasta ad ascoltarlo, ad aiutarla a servire. “Marta, Marta, tu
t'inquieti e ti affanni per molte cose, ma una sola è necessaria, Maria invece
ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”, dirà Gesù. Parole che non
criticano la laboriosità della donna, ma vogliono mettere in guardia dall’eccessivo
affanno per le cose materiali a scapito della vita interiore.
E ieri sera, per ricordare che per il
cristiano vita attiva e vita contemplativa sono aspetti complementari,
l’ultima decina del Rosario è stata affidata, in collegamento tramite
“Siamo spiritualmente uniti a tutti voi e vogliamo lodare
e ringraziare il Signore e pregare molto la Vergine Santa per la pace nel
mondo, per il bene della Chiesa, per il Santo Padre e per tutti i bisogni delle
famiglie”.
La processione si è conclusa con l’affidamento a Maria di
tutte le sofferenze del mondo. Poi, in omaggio al Papa, è stato eseguito l’inno
pontificio.
(Inno pontificio)
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30 luglio 2006
NUOVA
STRAGE DI INNOCENTI IN LIBANO: UN RAID ISRAELIANO SUL VILLAGGIO DI CANA PROVOCA
LA MORTE DI 57 CIVILI, DI CUI ALMENO 27 BAMBINI.
ANNULLATO
L’INCONTRO TRA IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO, RICE,
E IL PREMIER LIBANESE, SINIORA.
HAMAS E HEZBOLLAH MINACCIANO RITORSIONI CONTRO
ISRAELE.
- Con
noi Antonio Sclavi e padre Michel
Jalakh -
Una strage di innocenti, tra cui donne, bambini e anziani,
ha scosso il Libano: l’aviazione israeliana ha bombardato, nella notte, il
villaggio libanese di Cana provocando la morte di 57
persone, tra cui almeno 27 sono bambini. In un altro bombardamento sono morte altre
sei persone. Questa mattina, 8 soldati israeliani sono morti, inoltre, durante
scontri con guerriglieri Hezbollah, nel sud del Paese dei cedri. In Israele,
intanto, il segretario di Stato americano, Condoleezza
Rice, ha lanciato un nuovo appello per porre fine al
conflitto. Il premier libanese, Fuad Siniora, ha
chiesto, nuovamente, una tregua immediata. Il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, ha affermato,
invece, che lo Stato ebraico non intende sospendere le operazioni militari e
non ha alcuna fretta a proclamare il cessate-il-fuoco,
neanche dopo la strage di Cana, definita
“orripilante” dalla Commissione europea. Sulla situazione in Medio Oriente, il
servizio di Amedeo Lomonaco:
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La sequenza delle fasi del bombardamento israeliano,
condotto nella notte sul piccolo villaggio sciita di Cana,
è drammatica: dopo una serie di attacchi contro presunti covi di guerriglieri
Hezbollah, una bomba ha centrato un palazzo abitato da almeno 100 persone, in
gran parte civili. L’edificio è crollato e decine di persone sono
improvvisamente state ricoperte dalle macerie. Ma alle grida e alla
disperazione dei sopravvissuti, i soccorritori hanno potuto rispondere solo
questa mattina, dopo la fine dei bombardamenti notturni. Fonti locali hanno
riferito, poi, che gli attacchi sono ripresi durante le operazioni di soccorso.
Poco dopo, una televisione libanese ha anche trasmesso angoscianti immagini del
villaggio e del palazzo bombardato mostrando corpi senza vita di donne, bambini
e anziani. Dopo questa tragedia, il bilancio è sempre più pesante: secondo il
ministro della Salute di Beirut, le vittime libanesi dall’inizio dell’offensiva
israeliana, sono almeno 750.
Sul versante politico, intanto, il segretario di Stato
americano, Condoleezza Rice,
ha dichiarato che non si recherà a Beirut, dove era previsto per oggi un
incontro con il premier libanese, e ha espresso “profondo dolore” per la strage
di Cana. La Rice, in questi
giorni in missione in Medio Oriente, ha precisato che rimarrà in Israele per
cercare di arrivare a un accordo che ponga fine al conflitto. Il presidente
libanese, il filo siriano Emile Lahoud,
ha detto che una visita del segretario di Stato americano in Libano, sarebbe
stata “inopportuna”. E a Bruxelles, l’Alto rappresentante della Politica estera
e di Sicurezza dell’UE, Javier Solana,
ha definito “ingiustificato” l’attacco. Nello Stato ebraico e nel Paese dei cedri,
si sono alternate, poi, le motivazioni israeliane dell’attacco con le prese di
posizione libanesi. Secondo l’esercito israeliano, che ha annunciato una nuova
incursione di terra nel sud del Libano, l’edificio colpito era stato
utilizzato, nei giorni scorsi, da combattenti Hezbollah per lanciare razzi
contro alcune località della Galilea. La radio militare dello Stato ebraico ha
anche aggiunto che nel palazzo si erano rifugiati guerriglieri, denunciando che
gli Hezbollah “usano i civili come scudi umani”.
Il premier israeliano, Ehud Olmert, ha dichiarato, inoltre, che lo Stato ebraico “non
ha alcuna fretta” di proclamare un cessate-il-fuoco in
Libano, precisando che gli abitanti di Cana erano
stati avvertiti di lasciare la zona prima che i raid avessero inizio. Olmert ha nache detto di aver
dato direttive per far arrivare gli aiuti umanitari a Cana.
Sull’altro fronte, il premier libanese, Fuad Siniora,
ha chiesto una tregua immediata e una riunione di emergenza del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU. Siniora ha aggiunto che il Libano non parteciperà a nessun
negoziato se non ci sarà subito un cessate-il-fuoco.
Il movimento politico militare libanese degli Hezbollah e quello palestinese di
Hamas hanno annunciato, inoltre, attacchi e
rappresaglie in Israele in risposta alla strage di Cana. Il premier palestinese di Hamas,
Ismail Haniyeh, ha detto
che, dopo il massacro nel villaggio sciita, Israele “non potrà più raggiungere
i propri obiettivi” in Libano. A Beirut sono state organizzate, infine, dure
manifestazioni di protesta: centinaia di persone si sono radunate per
manifestare contro gli Stati Uniti ed Israele e sono entrate nella sede locale
delle Nazioni Unite, dove hanno danneggiato diversi uffici.
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Come drammaticamente confermato dall’attacco contro il
villaggio libanese di Cana, la guerra non risparmia
neanche i bambini. Secondo l’UNICEF, il 45 per cento degli oltre 700.000
sfollati libanesi sono minori. Circa 125.000 di questi alloggiano in 587 fra
edifici scolastici ed altri luoghi di rifugio. Al microfono di Alessandro
Gisotti, il presidente di UNICEF Italia, Antonio Sclavi,
sottolinea la drammaticità delle condizioni di vita dei bambini libanesi:
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R. - Ad oggi, ci sono più di 700 mila sfollati. Quasi la
metà sono bambini o adolescenti. In un Paese come il Libano, dove la
popolazione è di 3 milioni e mezzo e dove circa un terzo sono bambini e
adolescenti, la situazione è tragica. L’UNICEF è stata incaricata ufficialmente
responsabiole per ciò che riguarda il rifornimento di
acqua e per ciò che riguarda tutto il controllo dell’igiene nel territorio. Ci
sono i bombardamenti e l’igiene viene meno, gli sfollati vivono in capanne
provvisorie dove non c’è acqua potabile; per mancanza di acqua cominciano
malattie, infezioni ecc.
D. – Per altro, l’UNICEF ha chiesto, anche unendosi
all’appello forte che ha fatto il Santo Padre, l’apertura di corridoi umanitari
che siano sicuri. Perché sono così importanti?
R. – L’UNICEF ha inviato, con molti convogli, grosse
quantità di aiuti sia alimentari, sia di acqua, principalmente verso Tiro dove
sono cadute anche le bombe e una parte non grossa, fortunatamente, di questi
aiuti è già andata distrutta. E’ inutile quindi andare ad intervenire quando
poi non c’è un corridoio sicuro attraverso il quale si può passare. Ci sono
migliaia di bambini che sono rifugiati nelle scuole, nelle chiese ed anche
nelle moschee. Ci sono troppi pochi servizi igienici, perciò c’è da lavorare
molto. L’UNICEF ha fatto una previsione, che andando così le cose, occorreranno
circa 23 milioni di dollari per intervenire su questo territorio.
D. – Ovviamente, oltre alle terribili condizioni igieniche
e alla mancanza di beni primari, questi bambini sono sottoposti a degli stress
psicologici terribili…
R. – Gli stress psicologici, certo. Pensate a bambini che
assistono alla morte dei genitori, dei parenti, dei conoscenti o di altri
bambini; non ci sono gli ospedali sufficienti per ricevere i bambini feriti.
Per situazioni come queste occorre l’aiuto anche di personale che s’intenda di psicologia e sappia agire, perché altrimenti
questi bambini finiscono in un mutismo ed è difficile che poi si riprendano.
D. .- Si parlava dei convogli già
giunti a Tiro. Quali sono le altre iniziative urgenti che l’UNICEF ha messo in
campo per i prossimi giorni?
R. – Abbiamo in campo molti convogli che stanno andando
sia via nave che via aerea, quindi, andiamo avanti. Però seguiamo passo passo quello che fanno i governi sperando che ci sia questa
sicurezza altrimenti è difficile proseguire negli aiuti
quando non c’è un corridoio sicuro che si possa attraversare.
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Ed oltre alle organizzazioni umanitarie, anche
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R. - Attualmente, stiamo vivendo un momento difficile. La
guerra si è scatenata così di colpo; non eravamo proprio preparati. Tutti i
cristiani hanno aperto le loro case, i loro conventi, le scuole per accogliere
i confratelli e connazionali che sono scappati e diventati profughi nel loro
stesso Paese. Sono venuti dal sud del Libano che, paese dopo paese, si sta
svuotando; infatti, adesso, si dice che ci sono tra 700.000 e 800.000 profughi
all’interno del Libano. Noi stiamo facendo di tutto per mantenere soprattutto
l’unità del popolo libanese. Operiamo sotto la responsabilità del nostro
patriarca maronita, Nassrallah Sfeir,
per aiutare tutti, per poter essere uniti in questo difficile momento perché il
rischio di ulteriori divisioni c’è sempre. E’ un momento delicato ma anche un
momento opportuno per potersi aiutare a vicenda e pregare perché la pace
arrivi, come il Santo Padre ha chiesto ripetutamente, esortando tutti a pregare
per la pace.
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A 450
ANNI DALLA MORTE, LO SPIRITO “GIOVANE” DI UN GRANDE SANTO
CHE
NON SMETTE DI ATTRARRE ANIME A DIO: IGNAZIO DI LOYOLA
-
Intervista con padre Edward Mercieca
-
Alle sette del mattino del 31 luglio del 1556, dopo una
nottata molto sofferta, Ignazio di Loyola moriva a Roma, all’età di 65 anni,
accompagnato dalla benedizione di Papa Paolo IV. La Compagnia di Gesù, fondata un quindicennio prima, perdeva la guida diretta del suo
straordinario fondatore, la cui figura suscita ancora ammirazione a fascino a
450 anni di distanza, specialmente tra i giovani di tutto il mondo. Come si
spiega questo fenomeno? Ecco l’opinione del padre gesuita Edward Mercieca, direttore del
Centro di
Spiritualità ignaziana, intervistato da Luís Badilla:
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R. – DICEN QUE CADA QUINIENTOS ANOS HAY
UN CAMBIO DE…
Dicono che ogni 500 anni, nel mondo, si registrano dei
cambiamenti paradigmatici, crisi di strutture che cambiano i punti di
riferimento ritenuti per molti secoli stabili e permanenti: la famiglia, il
lavoro, lo Stato, ecc. Con questi cambiamenti ovviamente, cambia il nostro
modo di percepire, pensare e agire. Sant’Ignazio nacque e visse in tempi in
cui questi cambiamenti dell’umanità erano molto simili a quanto accade oggi, un
tempo nel quale convivono e interagiscono, non senza difficoltà,
disorientamenti nella cultura tradizionale, moderna e post-moderna. Quando
Ignazio aveva un anno di vita, Cristoforo Colombo scopriva l’America. Nicola Copernico, contemporaneo,
astronomo e matematico, cambiava la visione che si aveva dell’universo
dimostrando che la terra gira su stessa e al tempo stesso attorno al sole. Martin Lutero pubblicava le sue 95 tesi nel 1517 che portarono
alla Riforma protestante e alla divisione della Chiesa. Ignazio aveva 25-26
anni, nel periodo della sua conversione a Loyola. In questa difficile transizione,
l’esperienza di Dio di Ignazio, riversata negli esercizi spirituali, è una
risposta del Signore alla crisi sociale ed ecclesiale del suo tempo. Quella di
Ignazio è una spiritualità di discernimento ed è sintesi, che senza negare i
nuovi contributi della cultura emergente, ci invita a vivere tutto da Dio e a
lasciarci guidare dalle sue mani.
D. – Se usiamo la parola “moderno” nel senso più comune
del linguaggio quotidiano, si può dire che Sant’Ignazio è appunto un Santo
moderno?
R. – CIERTAMENTE
QUE LA DE IGNACIO ES UNA ESPIRITUALIDAD…
Quella di Ignazio è certamente una spiritualità
esistenziale nel senso che sta in allerta di fronte a quanto succede
nell’intimo di ciascuno di noi, così come di fronte ai segni di Dio e dello
spirito cattivo. Al tempo stesso, è una spiritualità incarnata dove tutto ciò
che è umano, tutto ciò che tiene in piedi l’uomo, tutto ciò che è bello ed ogni
talento sono vissuti, sviluppati e usati per la maggior gloria di Dio, essendo
noi gli strumenti e i collaboratori. Quella di Ignazio è anche una spiritualità
con un interiore dinamismo giovanile. Il Santo di Loyola seppe, nella sua vita,
camminare molto – più di 2 mila chilometri a piedi nonostante fosse claudicante
dopo la ferita a Pamplona – aprendosi verso il nuovo
e cercando tutto ciò che portava verso Dio e verso la costruzione del suo
Regno. In ogni luogo della sua vita seppe vedere, ascoltare, scegliere ciò che
più lo interessava ed integrarlo in una sintesi personale profonda che entrava
a far parte della sua spiritualità. Cercare, trovare, agire: è il suo
dinamismo giovanile interiore che in questa maniera permette l’operare di Dio
in lui.
D. – La pratica degli esercizi
spirituali, inseparabile dalla figura e dall’eredità di Sant’Ignazio,
quale messaggio trasmette al mondo del XXI secolo, soprattutto alle nuove
generazioni?
R. – ES VERDAD, COME DICES MUY BIEN LA PRACTICA…
E’ vero, la pratica degli esercizi spirituali è
inseparabile dalla figura di Ignazio. Ogni spiritualità – o modo concreto di
vivere il Vangelo – presuppone una biografia. Nel caso del Santo, ciò si
verifica con molta forza. E’ una caratteristica di Ignazio:
stare in allerta riguardo a tutto quello che succede interiormente ed interpretarlo
alla luce del Signore. Il libro sugli esercizi spirituali è uno sforzo per condividere ed offrire ad altri la possibilità di
vivere l’esperienza personale di Dio. E’ come dire: “Ecco quanto è accaduto a
me. Qui hai gli strumenti per realizzare quello che
Dio vuole succeda anche a te e ciò sarà sempre in modo personale e irripetibile.
Io dunque, ti consegno ‘il modo e l’ordine’ degli esercizi, tutto il resto lo
farà Dio nel dialogo, nella comunione con te”. L’esperienza di Dio che comunica
con noi; la realtà della Salvezza attraverso Gesù, suo Figlio che si fa
compagno e ci invita alla missione, si realizza prendendo sul serio ed in ogni
momento la libertà umana purificata e potenziata nel rapporto con il Signore.
Tutto ciò è molto attuale e si allaccia con la sete di spiritualità che c’è
oggi nel mondo. E’ un cammino di esperienza dall’interno, e non normativo
esteriore, ciò che porta a grandi impegni e convinzioni.
D. – A suo avviso, esistono ancora degli aspetti o
proposte di Sant’Ignazio che non si conoscono sufficientemente e che potrebbero
dare un contributo alla costruzione di un mondo migliore ove spesso domina la
violenza e l’intolleranza?
R. – QUE EL MUNDO NON ES UNA
VITRINA O UN MUSEO PARA MIRARLO…
Il mondo non è una vetrina o un museo che sta lì per
essere guardato, bensì un laboratorio dove Dio lavora e dove ci invita ad accompagnarLo, insieme a suo Figlio,
nello svolgimento del compito. Per Ignazio, la vita umana non è un tempo per
accumulare meriti e quindi raggiungere il Paradiso evitando il peccato. Anzi,
il mondo è piuttosto un tempo privilegiato per cercare, trovare e portare a compimento ciò che più serve alla gloria di Dio. Lui ci
insegna a guardare il mondo con gli occhi della Trinità. Il Santo non sopprime
le tensioni piuttosto le integra in una sintesi
spirituale, in una più profonda azione – contemplazione, iniziativa e creatività
personale, obbedienza e progetto comune, preparazione intellettuale e professionalità,
servizio ai più poveri ed emarginati, inculturazione e inserzione in ogni luogo
e al tempo stesso disponibilità ed universalità; uso degli strumenti disponibili
ma gratuità nel servizio e nel ministero. Tutto ciò presuppone una mistica di unità con Dio e una mistica di servizio agli
uomini. Un discernimento spirituale di uomini di fede maturi, capaci di amare
molto. Vorrei finire con due grandi lezioni di Sant’Ignazio: “Trovare Dio in
ogni cosa e in ogni cosa trovare Lui”. Poi, non è il sapere molto ciò che
soddisfa l’anima bensì l’assaporare le cose interiori. Nel mondo d’oggi, dove
predomina lo zapping, la fuga dagli
impegni definitivi e molta informazione senza comunicazione, Sant’Ignazio di
Loyola è per noi una sfida a prendere sul serio i cammini di Dio nel mondo.
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I DIRITTI DELLE POPOLAZIONI INDIGENE
D’AMAZZONIA IN PRIMO PIANO
NEL RECENTE SIMPOSIO RELIGIONE, SCIENZA E AMBIENTE, SVOLTOSI IN BRASILE
- Con noi, Joenia Wapichana -
L’Amazzonia è la loro terra, il loro orgoglio,
la loro speranza. Stiamo parlando delle popolazioni indigene che vivono da
sempre nella foresta pluviale: in essa circa 400
gruppi etnici trovano acqua,
cibo, erbe medicinali, in una parola: la vita.
I diritti degli indigeni d’Amazzonia sono stati tra i temi forti del recente
Simposio Religione, Scienza e Ambiente promosso dal Patriarca ecumenico
di Costantinopoli, Bartolomeo I e svoltosi proprio nello Stato brasiliano
dell’Amaz-zonia. Il servizio di Giada Aquilino:
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Nel 1500 si
stimavano nella regione amazzonica sette milioni di indigeni, oggi ce ne sono
meno di un quinto. Ora puntano alla rivendicazione dei propri diritti e delle
proprie terre. Se ne è parlato al VI Simposio Religione, Scienza e Ambiente, dedicato al Rio delle Amazzoni e
appena concluso in Brasile. Tra i relatori, c’era anche Joenia
Wapichana, primo avvocato donna
indigena. Vive al confine con il Venezuela e ricorda che le terre riconosciute
ufficialmente agli indigeni sono solo poco più di un milione di chilometri
quadrati, troppo importanti per perderli a causa dei grandi interessi economici
mondiali. Ma qual è oggi la situazione degli indigeni e dei diritti loro
riconosciuti? A Manaus abbiamo intervistato proprio Joenia Wapichana:
R. - Stiamo affrontando una
grande sfida, che è quella di creare delle politiche indigene ad hoc. Le terre indigene fino ad oggi non
hanno avuto alcuna regolamentazione fondiaria. Ci sono anche molti problemi con
le occupazioni delle terre indigene da parte dei cercatori d’oro, con progetti
che possono avere un impatto ambientale disastroso, con i ritardi nelle
procedure di demarcazione delle altre terre indigene in Brasile. I popoli indigeni
stanno cercando di far conoscere ancora di più le loro rivendicazioni, tramite
appropriate organizzazioni attraverso cui stanno diventando protagonisti nella
difesa dei loro diritti.
D. - Qual è l’importanza
dell’ambiente e dei fiumi dell’Amazzonia per le popolazioni indigene?
R. - I fiumi hanno un grande
significato, come la terra: si tratta di fonti di vita. Perché senza acqua e
senza terra nessuno vive. Per noi Apixhana, la vita
proviene dall’acqua ed è così anche per gli animali. Perciò per noi l’ambiente
- inteso come foreste, montagne, acqua - deve essere rispettato e curato,
proprio come un essere vivente.
D. – Quanto è difficile essere avvocato, madre e difensore dei popoli indigeni?
R. - E’ molto difficile, ma le
donne indigene sempre di più stanno assumendo un ruolo in difesa dei loro
diritti e questo è un aspetto molto importante. Ci sentiamo fortificate come
donne e come indigene, chiamate a formare i futuri capi tribù. D’altra parte io
non ho alcuna difficoltà in questo mio compito, perché ho l’appoggio di mio
marito e delle comunità indigene.
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30 luglio 2006
“LA
GIUSTIZIA INTERNAZIONALE”:
QUESTO IL TEMA DELLA 22.MA ASSEMBLEA GENERALE
DELLA
FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DELLE UNIVERSITÀ CATTOLICHE,
CHE SI
APRE DOMANI A BANGKOK
BANGKOK. = Un contributo al dibattito intorno al “nuovo
ordine mondiale” atteso ed invocato dopo il crollo dei muri e la fine del
bipolarismo mondiale. È l’obiettivo della 22.ma
Assemblea Generale della FIUC (Federazione Internazionale delle Università
Cattoliche), sul tema “La giustizia
internazionale”, che terrà da domani al 4 luglio presso
INFLUENZA AVIARIA: ANCORA ALTO
L’ALLARME IN ASIA. NEI GIORNI SCORSI, IN LAOS,
IL VIRUS H5N1 HA UCCISO 2.500 POLLI. SECONDO GLI
ESPERTI ASIATICI,
OCCORRONO 500 MIOLINI DI DOLLARI PER FAR FRONTE AD UN’
EVENTUALE PANDEMIA
NEW DELHI. = Non scema la
preoccupazione degli esperti asiatici riguardo all’influenza aviaria. Riunitisi
nei giorni scorsi a New Delhi, in India, gli studiosi del settore sanitario e
agricolo di 11 Paesi asiatici hanno calcolato che il continente ha bisogno ancora di 500 milioni di dollari per fronteggiare
una possibile pandemia scatenata dal virus H5N1. Intanto, 2 giorni fa, la FAO
ha comunicato la presenza dell’influenza aviaria in un allevamento di polli del
Laos, vicino alla capitale Vientiane, dove la scorsa
settimana sono morti 2.500 volatili. Si tratta, secondo quanto riportato
dall’agenzia Asia News, dell’epidemia più grave nel Paese dal 2004. La
Thailandia, inoltre, ha registrato il 15.mo decesso
umano, il primo dopo sette mesi di assenza del virus nella regione. L’H5N1
finora ha ucciso 130 persone in tutto il mondo ed ha portato alla soppressione
di milioni di polli e volatili infetti. (I.P.)
“ESPERANTO
PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE”:
SI
INTITOLA COSÌ IL CONGRESSO, AL VIA OGGI A FIRENZE,
PER
PROMUOVERE L’ ESPERANTO COME LINGUA INTERNAZIONALE,
IN
GRADO DI RESTITUIRE IDENTITÀ CULTURALE AI PAESI DEL MONDO
FIRENZE. = Affermare l’esperanto come lingua
internazionale che unisce e non divide, capace di restituire identità culturale
ai Paesi colonizzati dall’inglese. Sono queste alcune delle linee guida del 91.mo convegno mondiale sull’esperanto che, da oggi fino al 5
agosto, riunirà a Firenze oltre 2mila congressisti provenienti dall’intero pianeta, soprattutto
dall’Europa dell’est e dall’Oriente. L’esperanto è una lingua ausiliaria
internazionale, non ufficiale in alcun Paese del mondo e parlata da circa due
milioni di persone in 70 nazioni. Venne ideata tra il
1872 e il 1887 dall’oculista Ludwik Lejzer Zamenhof a Varsavia. Il
nome “esperanto” proviene
dallo pseudonimo con il quale l’oculista era solito firmarsi: Doktoro Esperanto, ossia “Colui che spera”. L’idioma di Zamehof è una lingua indoeuropea, più simile all’ungherese
e alle lingue orientali. Proprio in Ungheria, l’esperanto viene
insegnato nelle scuole come seconda lingua. In Italia, invece, esistono corsi
di esperantologia all'Università di Torino e a Parma,
nell' ambito di un progetto di collaborazione con
Bulgaria e Inghilterra. L’esperanto, riconosciuta nel 1954 dall’UNESCO come
lingua internazionale, è un idioma semplice, con una grammatica regolare e
potenzialità propedeutiche enormi, spiegano gli esperantisti. E aggiungono: “l’esperanto
ha anche una sua collocazione politica nella linguistica internazionale, in
quanto da tempo si batte per scardinare
la logica del più forte”, ovvero la diffusione capillare della lingua inglese
nel mondo. (A.Gr.)
LA
GIOVENTÙ FRANCESCANA ANNUNCIA IL VANGELO A CHI È IN VACANZA:
PARTE IL 16 AGOSTO LA MISSIONE INTITOLATA “DATTI UN’ OPPORTUNITÀ”
VIAREGGIO. = Saranno circa 500 i giovani impegnati nella
missione dal tema “Datti un’opportunità”, promossa dalla Gioventù Francescana
sulle spiagge della Versilia, dal 16 al 22 agosto.
Accompagnati da alcuni frati francescani e da alcune religiose, i giovani trascorreranno
il pomeriggio sulle spiagge per annunciare il Vangelo a chi è in vacanza. Organizzata
dal convento di Sant’Antonio di Viareggio, la missione avrà come scenario anche
le piazze e i locali della città, dove verranno messi
in scena numerosi spettacoli musicali e alcuni ragazzi offriranno la loro
testimonianza. Tutti gli incontri inizieranno con la celebrazione della Santa
Messa e si concluderanno con un’adorazione eucaristica all’aperto. Inoltre, un
gruppo di giovani porterà l’annuncio di Cristo tra i carcerati di Lucca e in
alcune strutture di accoglienza per i più poveri. Nel corso del primo giorno di
missione, l’arcivescovo di Lucca, mons. Italo Castellani, consegnerà ai giovani
il “mandato”, che segnerà l’inizio del loro operare, e li inviterà a riflettere
sull’importanza del Vangelo nella vita quotidiana. (I.P.)
“PENSATE
IN GRANDE!”: È L’APPELLO DEL VESCOVO DI AUCKLAND
AI
GIOVANI NEOZELANDESI, IN VISTA
DELLA
GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ DI SYDNEY 2008
AUCKLAND. = Per i giovani di tutto il mondo, l’appuntamento è a Sydney,
in Australia, nel luglio 2008, quando si terrà la XXIII Giornata Mondiale della
Gioventù. In vista di questo importante incontro, il vescovo di Auckland, mons.
Patrick Dunn, ha scritto e
diffuso una lettera pastorale, esprimendo il suo sostegno all’evento e
auspicando una numerosa presenza di giovani neozelandesi. L’esortazione del
presule ai ragazzi -
“Pensate in grande!” – arriva dopo la visita compiuta, nelle quattro diocesi
neozelandesi, dal coordinatore della GMG, mons. Anthony
Fisher. Come riportato dall’agenzia
Fides, l’incontro mondiale dei giovani si dividerà in tre fasi: quella preparatoria
(fino al giugno 2008); quella dell’evento (dal 15 al 20 luglio 2008); quella
della raccolta dei frutti (durante i 20 anni successivi). “In questa fase
di preparazione – scrive mons. Dunn ai giovani – è necessario
che voi pensiate in grande e siate molto generosi”. “L’incontro con il
Successore di Pietro e con centinaia di migliaia di ragazzi provenienti da
tutto il mondo - prosegue il presule - sarà un’esperienza che ricorderete per
la vita”. Richiamando l’attenzione sulla possibilità di reperire facilmente
informazioni sul sito Internet www.wyd2008.org,
mons. Dunn invita poi le parrocchie e le comunità ad
istituire appositi Comitati per la GMG, per sensibilizzare i giovani e
coinvolgerli il più possibile. Si chiede, inoltre, alla diocesi di segnalare la
loro disponibilità ad ospitare i pellegrini e si esortano le comunità locali a
pregare per la buona riuscita della Giornata, poiché essa sarà “un tempo di
rinnovamento”. “In un’era in cui ci sono così tante pecore senza Pastore, (Mc 6,34), possa il nostro pellegrinaggio nei prossimi due
anni aiutarci ad ascoltare nuovamente la voce di Gesù, il nostro Buon Pastore –
conclude la lettera – Possiamo noi sperimentare una nuova effusione dello
Spirito Santo ed essere suoi autentici testimoni, fino ai confini della Terra”.
(I.P.)
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- A cura di Roberta Moretti -
Urne aperte, oggi, nella Repubblica Democratica del Congo, sia per le elezioni presidenziali che per quelle
legislative. Gli elettori sono infatti chiamati a
scegliere il nuovo capo dello Stato e i 500 deputati del Parlamento. Grande
l’attenzione della comunità internazionale che ha messo a disposizione 460 milioni
di dollari per questa consultazione, mentre il presidente sudafricano, Thabo Mbeki, ha inviato un
messaggio alla ‘nazione sorella’, convinto che: “Il Congo ce la farà”. Il servizio di Giulio Albanese:
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“Le elezioni col fuso”, come le ha scherzosamente
soprannominate un cronista locale, a Kinshasa sono partite regolarmente. Ed è
proprio così, perché la Repubblica Democratica del Congo
è un Paese così vasto che stamani hanno iniziato a votare alle 6.00 - ora
locale - prima gli elettori del settore orientale del Congo e, un’ora più tardi,
quelli sul versante opposto, ad Occidente. Sta di fatto che nei 50 mila seggi
disseminati sui 2 milioni e 344 mila chilometri quadrati, che costituiscono il
territorio nazionale, dal Kivu all’Ituri, dal Katanga al Kasai, tutto sembra svolgersi regolarmente. La macchina organizzativa,
tranne qualche piccolo intoppo, considerato fisiologico, sembra stia davvero
girando a dovere. Anche se è ancora presto per fare valutazioni di questo tipo.
Lunghe le file di fronte a chiese, scuole e tende utilizzate, per l’occasione,
come presidi elettorali, per consentire agli oltre 25 milioni degli aventi diritto di esprimere la propria preferenza sia per la
presidenza che per il Parlamento.
Il capo di Stato uscente, Joseph
Kabila, cui va riconosciuto il merito di aver traghettato la nazione verso
questa storica consultazione, ha rivolto un appello ai propri connazionali,
invitandoli al rispetto delle regole democratiche per garantire prosperità e
benessere a tutti. Complessivamente sono 33 i candidati in lista per le
presidenziali e il favorito è proprio Kabila, il quale spera di godere di un
vasto consenso popolare. Poco meno di 10 mila i candidati in lizza per i 500
seggi del Parlamento nazionale. È bene ricordare che le elezioni odierne sono
le prime libere dopo quelle del ’60, seguite
all’indipendenza dal Belgio, che avevano permesso a Patrice
Lumumba di ottenere la maggioranza al Parlamento e
diventare così primo ministro.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Ma come stanno vivendo i congolesi
questo momento storico? Isabella Piro lo ha chiesto a
Marina Piccone, osservatrice elettorale per conto dell’associazione
“Beati i costruttori di pace”, che sta seguendo la giornata di voto di un
giovane cittadino del Kivu:
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R. – Janvier esce di casa alle
8.00, insieme alla moglie Yvette, molto elegante nel suo vestito bianco con
disegni color arancio. Si dirigono verso il loro seggio elettorale; Janvier è emozionato, ha 32 anni e non ha mai votato e,
come tutti gli altri congolesi, non ha mai esercitato
il diritto di partecipare alla cosa pubblica. ‘Quando
ho saputo che si sarebbero state le elezioni – ci ha raccontato – ho pensato a
tutto quello che era successo nel mio Paese: alle guerre, alle atrocità
commesse in tutti questi anni. Ho cominciato a lavorare per sensibilizzare le
persone e dare loro indicazioni sulle modalità di voto’.
‘Io spero molto in queste elezioni – ha concluso nel
suo racconto – spero che vada tutto bene’.
D. – Che atmosfera si respira all’interno dei seggi?
R. – Ci sono file lunghissime di persone in attesa già dalle 6.00 di questa mattina, ora di apertura
dei seggi. Si prospettano delle ore prima di riuscire a votare. Per ingannare
il tempo, gruppi di donne sedute sul prato si intrecciano i capelli, mentre i
bambini giocano e si rotolano sull’erba. In un angolo, c’è una grande radio che
intrattiene gli elettori con la musica, ma anche con la cronaca dell’evento.
Possiamo proprio dire che in questa parte del Paese, quindi ad est e al confine
con il Rwanda, tutto si sta svolgendo in maniera regolare e molto organizzata.
Un’immagine molto toccante che ho visto è stata quella di un gruppo di 7-8 persone
che trasportava una poltrona con un vecchio invalido: nessuno ha veramente
voluto mancare a questo evento!
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Non si fermano le violenze in Iraq, dove ieri
almeno 13 persone hanno trovato la morte in diversi attentati. Ritrovati a
Baghdad, nelle ultime ore, anche i corpi senza vita di 12 persone probabili
vittime delle ‘squadre della morte’ sunnite o sciite che imperversano nella capitale. Da
segnalare, infine, le dimissioni del ct della
nazionale di calcio irachena, che ha lasciato la capitale dopo aver ricevuto
minacce di morte.
Non si allenta la tensione in Afghanistan, in
vista dell’espansione, la prossima settimana, della forza
NATO nel sud del Paese. Almeno una ventina di guerriglieri taleban sono stati uccisi ieri dalle forze di coalizione
guidate dagli Stati Uniti nel corso di un tentativo di imboscata nella
provincia meridionale di Oruzgan. Lo rende noto oggi un
comunicato della coalizione, secondo cui le forze internazionali, sorprese da
colpi di armi leggere e da lanciarazzi dei ribelli nel distretto di Shahidi Hass, sarebbero ricorsi
all’intervento aereo. Altri quattro guerriglieri taleban
sono rimasti uccisi nella provincia meridionale di Kandahar,
mentre tentavano di piazzare delle mine anti-uomo al lato di una strada. Da
segnalare, infine, la notizia - ancora non confermata - del sequestro di un ingegnere
libanese di nome Khalid nella provincia meridionale di
Zabul. che lavorava per una
compagnia americana. Il destino del libanese – ha precisato un portavoce dei
guerriglieri, che hanno rivendicato il rapimento – sarà deciso nelle prossime
24 ore ed è probabile che l’uomo sarà ucciso per aver lavorato con “le forze
infedeli che occupano l’Afghanistan”.
L’Iran non prenderà più in considerazione gli
incentivi internazionali offerti in cambio della cessazione del suo programma
nucleare, se il Consiglio di sicurezza dell’ONU approverà una risoluzione
contro Teheran. Lo ha dichiarato oggi, in una
conferenza stampa, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Hamid Reza Asefi,
secondo il quale una risoluzione per obbligare l’Iran a sospendere le attività
di arricchimento di uranio condannerebbe gli sforzi diplomatici e “aggraverebbe
la crisi nella regione”.
Il Venezuela taglierà le sue esportazioni di
petrolio negli Stati Uniti, se Washington porterà avanti una politica ostile
nei confronti di Caracas: è quanto ha affermato stamani da Teheran,
il ministro del Petrolio venezuelano, Rafael Ramirez.
Quest’ultimo ha accompagnato nella Repubblica Islamica il presidente del
Venezuela, Hugo Chavez, che
ieri ha incontrato il suo omologo iraniano, Mahmud Ahmadineyad.
Il primo ministro del governo di transizione
somalo, Ali Mohamed Gedi, è
riuscito ad evitare la sfiducia votata contro di lui in Parlamento, ma subito dopo
il voto è scoppiata una rissa tra i parlamentari ed è dovuta intervenire la polizia
per riportare la calma. La mozione ha ottenuto 126 voti su 139 necessari per essere
approvata. I promotori della sfiducia ritenevano che dopo la vittoria delle
Corti Islamiche a Mogadiscio il premier si dovesse dimettere per lasciare il
posto ad un esponente delle Corti. Se la sfiducia fosse passata, il governo sarebbe
caduto.
Quinto giorno di combattimenti nel nordest
dello Sri Lanka, dove è
ormai fallita del tutto la tregua tra l’esercito e i separtisti Tamil. Stamani,
l’aviazione cingalese ha bombardato le posizioni dei ribelli nell’area di Trincomalee, dopo che l’esercito di Liberazione della Patria
Tamil aveva aperto il fuoco contro truppe di terra governative
che, per la prima volta dopo la tregua del 2002, avevano tentato di entrare nel
territorio da loro controllato. Al momento, non si hanno notizie accertate di
vittime. In un comunicato del ministro della Difesa cingalese, Colombo ha
giustificato i raid aerei di questi giorni, non come una volontaria ripresa
della guerra, ma come unico modo per ripristinare la rete idrica bloccata dai ribelli
per non far giungere l’acqua ai contadini che vivono nelle zone controllate dal
governo.
“Un provvedimento
positivo, che credo possa aiutare a dare sollievo all’attuale condizione
carceraria”: così il cardinale Renato Raffaele
Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha commentato
l’approvazione definitiva, ieri sera, della
legge sull’indulto da parte del Senato italiano. Il provvedimento, passato con
245 voti a favore, 56 contrari e 6 astenuti, prevede uno sconto di pena di tre
anni anche per reati amministrativi commessi fino al 2 maggio 2006. Saranno
così circa 12 mila i detenuti che potranno uscire dalle carceri. Esclusi i
reati gravi, tra cui quelli mafiosi e legati alla pedofilia. “Così – ha sottolineato il porporato – viene coronato il sogno di Giovanni Paolo II e anche quello
di Benedetto XVI, assai sensibile alla situazione dei carcerati in tutto il
mondo”.
Terzo e ultimo giorno di elezioni nell’arcipelago delle Seychelles
per eleggere il successore del capo di Stato uscente, James
Michel. Le consultazioni sono state scaglionate nel
tempo a causa della grande distanza che separa le 115 isole che formano
l’arcipelago. In lizza per la presidenza, oltre a Michel,
Wavel Ramkalawan, alla sua
quarta partecipazione, e l’outsider Philippe Boulle. Dal 1977, le Seychelles sono state sempre governate
dal Seychelles People’s
Progressive Front, anche dopo l’apertura democratica del 1992, che ha
consentito la nascita di partiti di opposizione.
Elezioni presidenziali, oggi, anche nel piccolo arcipelago
di Sao Tomè e Principe,
nell’Africa occidentale. Circa 80 mila persone sono chiamate alle urne. I tre
candidati sono il capo di Stato uscente, Fradique de Menezes, appoggiato della coalizione di centro-destra (MDFM/PCD),
l’ex ministro degli Esteri, Patrice Trovoada, sostenuto dal centro-sinistra (MLSPT/PSD), e Nilo
Guimaraes.
Almeno 200 persone sono rimaste intossicate
ieri in Indonesia a causa di un’esplosione in una raffineria di petrolio. L’esplosione,
che ha costretto circa 7 mila persone ad abbandonare le proprie case, è
avvenuta nell'impianto
di Pertamina-Petrochina di Bojonegoro,
nella provincia di Giava, mentre gli operai stavano
tentando di riparare una perdita di gas.
Ennesimo viaggio della speranza finito in tragedia nelle
acque del Mediterraneo. Diciassette immigrati, fra cui otto bambini e un
neonato, sarebbero dispersi al largo dell’isola di Malta a causa del naufragio
del barcone su cui viaggiavano. A dare l’allarme,
stamani all’alba, è stato il proprietario di un peschereccio italiano, che è
riuscito a portare in salvo 13 immigrati, tutti di nazionalità somala eccetto
uno, proveniente dal Ghana. Dalle testimonianze dei sopravvissuti, la barca avrebbe
imbarcato acqua prima di capovolgersi. Le autorità maltesi hanno inviato una
nave militare alla ricerca dei dispersi.
Ha provocato almeno 4 morti e oltre 30 feriti un terremoto
di 5.2 gradi della scala Richter,
registratosi ieri nella provincia settentrionale afghana di Kunduz
e nel confinante Stato del Tajikistan. Tre delle
vittime erano bambini.
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