RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 208  - Testo della trasmissione di giovedì 27 luglio 2006

 

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Vigilia della partenza per Benedetto XVI, che domani pomeriggio lascerà la Valle d’Aosta per recarsi nella residenza estiva di Castel Gandolfo. Ieri sera, visita a sorpresa del Papa ad una festa in onore di Navarro-Valls: intervista con Salvatore Mazza

 

“Una sospensione immediata delle ostilità è possibile, dunque è doverosa”: così, l’arcivescovo Giovanni Lajolo, segretario per i Rapporti con gli Stati, ai microfoni della Radio Vaticana, all’indomani della Conferenza di Roma sul Libano

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

In Libano, carri armati e attacchi israeliani continuano a colpire il Sud del Paese, dove sono morte almeno 3 persone. Al Qaeda leva nuove minacce contro Israele. Con noi, Antonio Ferrari e padre Joseph Zogheib

 

Il “tesoro” nazionale dell’Amazzonia, patrimonio che chiede forti tutele: intervista con la professoressa Melania Cavelli

 

Opera, operetta e musiche etniche in cartellone al XXII Festival internazionale di Mezza Estate di Tagliacozzo, in programma dal 30 luglio al 20 agosto: ce ne parla il Maestro Lorenzo Tozzi

 

CHIESA E SOCIETA’:

Aperta a Bogotá l’81.ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale colombiana

 

Da ieri, in vigore nuove leggi penali in Cina che specificano i diversi tipi di reato che si possono definire come abuso di potere, tra cui la tortura nelle carceri

 

In Tanzania, oltre mezzo milione di rifugiati, provenienti per lo più da Burundi, Rwanda, Repubblica Democratica del Congo e Somalia

 

Per decisione dell’episcopato cattolico, le solennità dell’Anno liturgico, a partire dall’Avvento, saranno celebrate in Inghilterra e Galles la domenica

 

Da uno studio effettuato sul videogioco “The Bible Game”, i bambini conoscono la Bibbia ma ne reinterpretano alcuni particolari

 

24 ORE NEL MONDO:

Mattinata di sangue anche in Iraq. Morte oltre 30 persone in un attentato a Baghdad. Fissata per il 16 ottobre la sentenza del processo a Saddam Hussein - In vista delle elezioni generali di domenica prossima nella Repubblica Democratica del Congo, stipulato un importante accordo tra il governo e i ribelli del movimento rivoluzionario congolese

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

27 luglio 2006

 

ULTIMO GIORNO DI VACANZA VALDOSTANA PER BENEDETTO XVI,

CHE DOMANI LASCERA LES COMBES PER CASTEL GANDOLFO.

IERI SERA, SALUTO SPECIALE DEL PAPA ALL’EX PORTAVOCE, NAVARRO-VALLS

- Intervista con Salvatore Mazza -

 

Per Benedetto XVI quelle che stanno trascorrendo sono le ultime 24 ore tra le bellezze naturali di Les Combes. Domani pomeriggio, alle 17.00, un velivolo dell’Air Vallée trasporterà a Roma il Papa, salutato dalle autorità e dagli abitanti della Valle d’Aosta. Dallo scalo romano di Ciampino, verso le 18.30, il Pontefice proseguirà in auto verso la sua residenza estiva di Castel Gandolfo. Ma il congedo di Benedetto XVI da coloro che in queste due settimane hanno custodito la sua privacy ha avuto un anticipo ieri sera, quando il Papa a sorpresa ha voluto partecipare ad un piccolo momento di festa in onore dell’ex direttore della Sala stampa vaticana, Joaquin Navarro Valls. Su questo avvenimento e sul modo in cui la comunità montana di sta preparando al saluto con il Pontefice, ci riferisce da Les Combes l’inviato del quotidiano Avvenire, Salvatore Mazza, al microfono di Alessandro De Carolis:

 

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R. – Si preparano nello stile che è ormai consueto in questa valle, uno stile molto sobrio. Il Papa si congederà su a Les Combes - ci saranno probabilmente soltanto gli abitanti della frazioncina di Introd, che in tutto sono forse una trentina di persone - e quindi dalle autorità del posto. Poi, in macchina, raggiungerà l’aeroporto dove ci sarà un po’ più di gente, ovviamente, perché anche gli aostani vorranno salutare il Papa, ma sempre con questo stile molto contenuto.

 

D. – Ieri sera, la festa in onore Joaquin Navarro-Valls ha avuto l’imprevista e graditissima presenza di Benedetto XVI. Un segno di grande stima nei confronti dell’ex direttore della Sala Stampa Vaticana…

 

R. – E’ stato un segno sicuramente di grande stima e di grande familiarità del Papa. Era stata organizzata questa ‘festa’, diciamo, comunque un momento in cui si sono trovate assieme tutte le persone che hanno fatto da corona, proteggendo, assicurando la privacy di Benedetto XVI in questi giorni: tra gli altri, il personale dell’Ispettorato di Pubblica sicurezza presso la Santa Sede, i Carabinieri, le Guardie forestali della Val d’Aosta, il sindaco di Introd, Osvaldo Naudin, Alberto Cérise che è lo storico, organizzatore degli spostamenti del Pontefice in questa occasione, e verso le sette e mezza – come hai detto tu – il Papa, a sorpresa, si è presentato, si è fermato con i suoi “angeli custodi”; raccontano che sia stato un momento molto, molto bello. Il Papa, a parte le parole di affetto e di stima che ha avuto per Navarro, ha voluto ringraziare quasi uno per uno tutte le persone che gli hanno consentito di poter godere almeno di questo breve soggiorno in Valle d’Aosta.

 

D. – E’ stato sottolineato più volte in questi giorni che quella di Benedetto XVI è stata un po’ una vacanza in doppia cifra: da un lato, preghiera, studio e distensione nella bellissima cornice naturale, e dall’altra costante preoccupazione e solidarietà per la crisi in Medio Oriente. In questo momento di bilancio, che impressione ti hanno fatto queste tinte contrastanti?

 

R. – Ho già avuto occasione di ricordarlo. Rientrando dalla visita al Gran San Bernardo e alle Suore Benedettine – dopo aver percorso il bellissimo Sentiero dei canonici - il Papa ha detto: “Ho fatto una passeggiata bellissima e più vedo questa bellezza, più vivo questa pace che il Signore mi dà, più aumenta la sofferenza e la preoccupazione per tutte le persone che soffrono in questo momento”. Ecco: è proprio la frase che rivela un Pontefice che in nessun caso riesce a “staccare la spina”. Si è visto che questo pensiero realmente ha dominato sempre, sempre, sempre in questi giorni.

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“UNA SOSPENSIONE IMMEDIATA DELLE OSTILITA’ E’ POSSIBILE,

 DUNQUE E’ DOVEROSA”: COSI’, L’ARCIVESCOVO GIOVANNI LAJOLO,

 SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI,

 AI MICROFONI DELLA RADIO VATICANA, ALL’INDOMANI

DELLA CONFERENZA DI ROMA SUL LIBANO

 

La Conferenza internazionale per il Libano, svoltasi ieri a Roma, ha suscitato reazioni e commenti contrastanti. Da una parte è stato apprezzato l’accordo su una forza multinazionale di interposizione e sull’invio di aiuti umanitari; dall’altra, è stata criticata la mancata intesa per un immediato cessate-il-fuoco. Alla Conferenza ha preso parte anche la Santa Sede, la cui delegazione è stata guidata dall’arcivescovo Giovanni Lajolo, segretario per i Rapporti con gli Stati. All’indomani del summit della Farnesina, mons. Lajolo si sofferma – al microfono di Alessandro Gisotti – sulle prospettive di pace per il Medio Oriente e sull’impegno instancabile del Papa e della Santa Sede per un’immediata sospensione delle ostilità:

 

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R. – Come è noto, la Santa Sede è direttamente interessata alla pace nel Medio Oriente, come essa, in molteplici occasioni, ha dimostrato. Ieri, su invito degli Stati Uniti e dell’Italia, ha potuto partecipare a questa Conferenza in qualità di osservatore; per la sua propria natura, è questa la veste con la quale la Santa Sede normalmente partecipa nelle organizzazioni internazionali.

 

D. – Qual è la sua valutazione sulla Conferenza?

 

R. – E’ certamente positivo che sia stata convocata con tanta rapidità su iniziativa del governo italiano, e che abbia focalizzato la sua attenzione sui più urgenti temi del momento.

 

D. – Le conclusioni riportate nella Dichiarazione dei due co-presidenti, il segretario di Stato USA, Condoleezza Rice, e il ministro degli Esteri italiano, On. Massimo D'Alema, sono state però giudicate piuttosto deludenti. Qual è la sua opinione in merito?

 

R. – Certo, le aspettative dell' opinione pubblica erano grandi, ma per gli addetti ai lavori, che conoscono le difficoltà, si può forse dire che i risultati sono apprezzabili. Vorrei rilevare soprattutto questi aspetti positivi. 1) Il fatto che Paesi di diverse parti del mondo, dal Canada alla Russia, si sono riuniti nella consapevolezza della gravità di quanto accade in Libano, riaffermando la necessità che esso recuperi quanto prima la sua piena sovranità, e si siano impegnati a fornirgli il proprio aiuto; 2) la richiesta che si formi una forza internazionale, sotto mandato delle Nazioni Unite, che sostenga le forze regolari libanesi in materia di Sicurezza; 3) l'impegno per un aiuto umanitario immediato al popolo del Libano e l'assicurazione di un sostegno alla sua ricostruzione con la convocazione di una Conferenza di Donatori. Diversi Paesi partecipanti hanno anticipato lo stanziamento di sostanziosi aiuti, ancora però insufficienti a coprire le enormi necessità del paese; 4) positivo è anche l'impegno preso dai partecipanti, dopo la chiusura ufficiale della Conferenza, di tenersi in continuo contatto circa gli ulteriori sviluppi che avrà l'intervento della comunità internazionale in Libano.

 

D. – Che cosa, dunque, ha causato questa impressione di delusione?

 

R. – Anzitutto il fatto che non si sia richiesta l'immediata cessazione delle ostilità. L'unanimità dei partecipanti non è stata raggiunta perché alcuni Paesi sostenevano che l'appello non avrebbe sortito l'effetto desiderato, mentre si riteneva più realistico esprimere il proprio impegno per ottenere senza indugio la cessazione delle ostilità: impegno preso, e che può essere di fatto mantenuto. È anche problematico che ci si sia limitati solo a invitare Israele ad esercitare la massima moderazione: tale invito riveste per natura sua una inevitabile ambiguità, mentre il riguardo per la popolazione civile innocente è un dovere preciso e inderogabile.

 

D. – Qual è, invece, la valutazione del governo libanese?

 

R. – Da un lato, il primo ministro Siniora ha avuto la possibilità di esporre tutta la drammaticità della situazione in cui versa il Paese ed ha presentato un suo piano per il superamento immediato e definitivo del conflitto con Israele, d'altra parte ha potuto registrare e ulteriormente incoraggiare gli sforzi positivi che la comunità internazionale sta facendo per soccorrere la popolazione libanese, per porre fine alle ostilità, e per rafforzare il controllo del suo governo sul Paese. Ieri pomeriggio, il primo ministro Siniora, accompagnato dal ministro degli Esteri Salloukh, ha chiesto d'incontrarsi con il cardinale segretario di Stato e con me. Ha espresso grande apprezzamento per l'impegno con cui il Santo Padre personalmente, e la Santa Sede, seguono il conflitto che sconvolge il Libano, e ha pregato di continuare ad appoggiare il suo Paese in campo internazionale. Egli ha ricordato anche le parole di Papa Giovanni Paolo II, che definì il Libano non solo un Paese, ma “un messaggio”, per tutti i popoli, di equilibrata convivenza tra diverse religioni e confessioni in uno stesso Stato. È questa, certo, la vocazione storica del Libano, che deve potersi realizzare. La Santa Sede continuerà ad adoperarsi con tutti i mezzi a sua disposizione perché il Paese torni ad essere quel "giardino" del Medio Oriente che era prima.

 

D. – Nella sua qualità di osservatore, ha avuto la possibilità di influire, almeno indirettamente sui lavori della Conferenza?

 

R. – L’osservatore non ha diritto di parola, e nemmeno essa mi è stata chiesta. Ritengo però che anche la presenza silenziosa dell’Osservatore della Santa Sede al tavolo dei capi delegazione abbia avuto un suo significato, chiaramente percepibile.

 

D. – Dopo questa Conferenza, qual è la posizione della Santa Sede sul tema?

 

R. – La Santa Sede resta per una sospensione immediata delle ostilità. I problemi sul tappeto sono molteplici ed estremamente complessi. Proprio per questo essi non possono essere affrontati tutti insieme; pur tenendo presente il quadro generale e la soluzione globale da raggiungere, bisogna risolvere i problemi per partes, incominciando da quelli che sono risolvibili subito. La posizione di chi sostiene che si debbano anzitutto creare le condizioni perché la tregua non venga ancora una volta violata è di un realismo soltanto apparente: perché tali condizioni possono e devono essere create con altri mezzi che non siano l'uccisione di persone innocenti. Il Papa è vicino a quelle popolazioni, vittime di contrapposizioni e di un conflitto che sono loro estranei. Benedetto XVI prega, e con lui tutta la Chiesa, perché il giorno della pace sia oggi stesso e non domani. Egli prega Dio e supplica i responsabili politici. Il Papa piange con ogni madre che piange i suoi figli, con ogni persona che piange i suoi cari. Una sospensione immediata delle ostilità è possibile: dunque è doverosa.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il Medio Oriente: deciso l’invio di una forza internazionale in Libano. Mancato l’accordo sul cessate-il-fuoco.

La Conferenza di Roma indica un cammino verso la pace che va perseguito con determinazione affinché la dichiarazione finale non resti lettera morta.

 

Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino della Chiesa in Africa.

 

Servizio estero - Un articolo di Pierluigi Natalia sulla Repubblica Democratica del Congo dal titolo “Dalle elezioni una speranza di pace minacciata da persistenti inquietudini”: i reiterati interventi della Conferenza episcopale sul voto di domenica prossima.

 

Servizio culturale - Un articolo di Giuseppe Costa dal titolo “Strappare le immagini al tempo per consegnarle al futuro e alla memoria”: fotografie di Wim Wenders nella mostra romana alle Scuderie del Quirinale. 

 

Servizio italiano - In primo piano lo sciopero delle farmacie.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

27 luglio 2006

 

ALL’INDOMANI DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE SUL LIBANO,

ISRAELE ANNUNCIA DI VOLER INTENSIFICARE GLI ATTACCHI CONTRO GLI HEZBOLLAH. CARRI ARMATI E ATTACCHI ISRAELIANI CONTINUANO A COLPIRE IL SUD DEL PAESE

- Interviste con Antonio Ferrari e padre Joseph Zogheib -

 

Un forte impegno comune per riportare la pace in Libano e per costruire un clima di stabilità nell’intero Medio Oriente. Con questo intento si è conclusa ieri a Roma, presso il Ministero degli esteri, la Conferenza internazionale per il Libano. Nella conferenza stampa, sono state presentate le decisioni prese dai ministri di 15 Paesi, dall’ONU, dall’Unione Europea e dalla Banca Mondiale. Il servizio del nostro inviato alla Farnesina, Giancarlo La Vella:

 

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E’ una comunità internazionale molto preoccupata quella che si è riunita ieri alla Farnesina, ma intenzionata a portare avanti con tutti i mezzi qualcosa che è più di un mero tentativo di realizzare la pace in Libano ed in tutto il Medio Oriente. Alla conferenza stampa conclusiva, il ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema, il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ed il premier libanese, Fuad Siniora, hanno esposto i vari punti su cui si basano gli auspici per una tregua immediata allo scopo di consentire, attraverso l’utilizzo dei corridoi, l’accesso degli aiuti umanitari agli ormai 800 mila profughi, una folla dolorosamente sbandata in fuga dalle violenze giornaliere. Certo a Roma non si è ancora raggiunto nulla di concreto e mancavano i protagonisti: Israele soprattutto, Siria e Iran, considerati gli ispiratori dei miliziani sciiti Hezbollah. Kofi Annan ha con forza chiesto che Damasco e Teheran vengano coinvolti nel processo di distensione:

 

“I think the foreign minister has indicated that the nature of the  ”.

 

Il segretario generale dell’ONU ha poi affermato che non si può più tornare indietro sulla questione mediorientale: occorre rendere Libano e Israele entrambi sicuri e avviare un processo di pace globale in tutta la regione:

 

“I think that it goes without saying that this extraordinary gathering …”.

 

Poi Condoleezza Rice ha ribadito l’improrogabile necessità per tutta la comunità internazionale di avere un Libano democratico. Altro imperativo primario, ha sottolineato la Rice, è quello di dislocare sul terreno una forza internazionale di interposizione, con un forte mandato ONU, col doppio compito di favorire la pace e provvedere all’intervento umanitario.  Alla base di ogni iniziativa, comunque, rimane il raggiungimento di una tregua: un difficile obiettivo in questo momento, come ha indicato il ministro D’Alema:

 

“Il problema è se oggi sia realistico pensare di ottenere la tregua con un appello. Quello che io voglio sottolineare è la volontà comune di lavorare insieme e immediatamente, per ottenere con la massima urgenza il cessate-il-fuoco. Per ottenere questo obiettivo bisogna esercitare una pressione, in modo diretto e indiretto, su Hezbollah e, dall’altra parte, sul governo israeliano, al quale abbiamo rinnovato la richiesta del rispetto delle vite e delle infrastrutture civili”.

 

Dunque Roma, osservatorio più che mai privilegiato sul Medio Oriente dal quale ci si augura possa partire processo concreto di pacificazione raggiungibile attraverso un cessate il fuoco immediato e soluzione dell’emergenza umanitaria, un Libano pienamente sovrano, come ha auspicato il premier di Beirut, Siniora. Ultima fase l’intervento dei Paesi donatori per ricostruire il Paese e in cui – come recita dal 2004 la risoluzione 1559 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – siano disarmate tutte le milizie extragovernative. Infine, ad Israele, dopo aver consentito la creazione di corridoi umanitari, la richiesta di esercitare la massima moderazione. Questi i primi passi per una soluzione, che ci si augura durevole, delle tensioni in Medio Oriente che deve poi ampliarsi su scala regionale.

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In Libano, intanto, si continua a combattere e a lanciare proclami: Israele ha annunciato di voler intensificare gli attacchi aerei contro postazioni degli Hezbollah. Carri armati dello Stato ebraico sono poi entrati nel sud, dove nuovi attacchi israeliani hanno colpito, soprattutto, la parte meridionale del Paese provocando la morte di almeno 3 persone. E proprio per sostenere la popolazione del Libano ed in particolare il meridione, dove la situazione umanitaria è sempre più critica, i partecipanti alla Conferenza internazionale sul Libano hanno trovato, ieri, un importante accordo per l’arrivo di aiuti. Sulla situazione umanitaria nel Paese dei cedri ascoltiamo, al microfono di Eliana Astorri, l’inviato del Corriere della Sera, Antonio Ferrari:

 

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R. – La situazione umanitaria, come sappiamo, è disperata. Quello che i partecipanti alla Conferenza vogliono e che hanno accettato è una tregua “umanitaria” soltanto per i convogli e per far pervenire all’interno del Paese tutti gli aiuti possibili, senza pericoli e senza restrizioni. Ieri, il primo ministro libanese, Fuad Sinora, ha ricordato che la situazione è in questi termini: 850 mila sfollati nel Paese; 200 mila libanesi che si sono rifugiati in Siria; circa 275-300 mila profughi palestinesi; almeno 200 mila iracheni fuggiti dopo l’inizio delle ostilità in Iraq. Quindi il Libano, che era uno Stato che stava rinascendo, è diventato, ora, un Paese di profughi.

 

D. – L’attenzione, ovviamente, è tutta sulla popolazione libanese, ma non bisogna dimenticare Gaza, dove prosegue la catastrofe umanitaria iniziata da tempo, dal taglio degli aiuti internazionali, e che ora si è aggravata pesantemente…

 

R. – Assolutamente sì; assistiamo ad una specie di “guerra mangia guerra”: ci stiamo ormai disinteressando dell’Iraq, dove i massacri sono quotidiani. La vicenda israelo-libanese ha tolto dal focus dell’interesse di media anche la situazione a Gaza, che è sempre più drammatica.

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Ma quali sono state, in Libano, le reazioni della popolazione dopo la chiusura del summit di Roma? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a padre Joseph Zogheib, già responsabile del Programma arabo della nostra emittente:

 

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R. – Noi abbiamo visto questa iniziativa italiana come una speranza, perché l’Italia è l’unico Paese che ha cercato, almeno, di fare qualcosa per il Libano. Quello che noi chiediamo è la preghiera per il popolo libanese che vive questa disgrazia. Vi assicuro che in 15 anni di guerra civile non abbiamo mai sentito questa amarezza e questo pericolo nei confronti della nostra patria.

 

D. – Padre Joseph, quali sono stati i commenti della stampa libanese sul vertice di Roma?

 

R. – Secondo la stampa libanese, c’era inizialmente un po’ di speranza. Adesso, però, sulla stampa si parla dell’insuccesso per non essere riusciti ad imporre il cessate-il-fuoco. Siamo in una situazione di attesa: speriamo in qualche posizione internazionale più forte che possa riuscire a fare realmente qualcosa per questo Paese.

 

D. – Quale è adesso la situazione del Libano, in particolare nel sud e a Beirut, dove ti trovi?

 

R. – Tutto il Libano è in una condizione di blocco generale: non si può uscire e non si può entrare. Tutti gli stranieri stanno lasciando il Paese. Questa situazione ha isolato anche una parte della popolazione del sud: centinaia di villaggi vivono una situazione umanitaria molto, molto precaria e purtroppo nessuno riesce ad arrivare in questa area. Se continuerà il blocco totale cominceremo, anche qui a Beirut, a sentire le conseguenze.

 

D. – Come sta reagendo la popolazione libanese di fronte al dramma della guerra?

 

R. – La nostra disgrazia è la guerra, la nostra grazia è la compattezza, almeno finora, del popolo libanese. Non ci sono divisioni: tutti gli sfollati – che appartengono in maggioranza agli sciiti – sono stati accolti dai cristiani e da appartenenti ad altre confessioni religiose. Il fatto è che la guerra non è tra due Stati, ma è tra uno Stato potente, Israele, contro un partito, quello degli Hezbollah, che sono stati addestrati per più di 20 anni a questo tipo di guerra.

 

D. – E in questa situazione, quali sono le responsabilità dell’Iran?

 

R. – Sappiamo bene non ci siamo noi libanesi dietro a questa guerra. Stiamo pagando le conseguenze di questa politica assurda, che stiamo subendo in Libano. La decisione non è nostra; la decisione non è neanche degli Hezbollah, ma è quella dell’Iran. Questo è quello che dicono, ormai, tutti i moderati. Una volta che cede l’Iran, forse per noi ci sarà speranza.

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Ed in questo momento drammatico per il Libano ed il Medio Oriente, torna a farsi sentire Al Qaeda: il numero due dell’organizzazione terroristica, Al Zawahiri, ha minacciato, in un nuovo video trasmesso da Al Jazeera, azioni di Al Qaeda contro Israele. Al Zawahiri ha anche esortato i “musulmani di tutto il mondo a combattere e a diventare martiri”.

 

 

IL “TESORO” NAZIONALE DELL’AMAZZONIA,

PATRIMONIO CHE CHIEDE FORTI TUTELE

- Intervista con la prof.ssa Melania Cavelli -

 

Sollecitare una cooperazione internazionale per preservare la foresta dell’Amazzonia e i suoi bacini fluviali, il cui ruolo è centrale nel mantenimento della stabilità climatica, dei cicli idrogeologici e della biodiversità. È l’impegno preso dagli oltre 200 partecipanti al Simposio “Religione Scienza e Ambiente”, organizzato dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, e conclusosi la scorsa settimana a Manaus, in Brasile. Scienziati, ambientalisti, leader religiosi e giornalisti, riuniti al Convegno dal titolo “Rio delle Amazzoni: sorgente di vita”, hanno inoltre sollecitato il rispetto delle Convenzioni ONU sui cambiamenti climatici e dei relativi accordi internazionali, dandosi appuntamento all’edizione 2007, in programma al Polo Nord. Ma quali le linee sviluppatesi ai lavori in Amazzonia? La nostra inviata in Brasile, Giada Aquilino, lo ha chiesto alla professoressa Melania Cavelli, urbanista e docente all’Università di Reggio Calabria, che ha partecipato al Simposio:

 

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R. – Da un lato, l’Amazzonia è apparsa come un teatro di conflitti legati alla globalizzazione dei mercati e dall’altra si è mostrata legata alla situazione stessa della regione. Molti dei conflitti in atto sono legati all’uso del suolo. Quando si parla di Amazzonia, si pensa ad un luogo integro e popolato da indigeni: in verità, nella regione amazzonica il 70 per cento della popolazione vive in nuclei urbani. Se si va a guardare la situazione più in profondità, però, ci si rende conto che si tratta di una urbanizzazione spesso forzata, perché ci sono forti interessi di grandi compagnie, che sono interessate all’uso del territorio per coltivazioni su larga scala e che hanno trovato il modo - spesso illegale – di espellere la popolazione locale. Queste persone, abituate comunque ad avere un rapporto col territorio abbastanza sostenibile, vengono così spinte a vivere nei sobborghi delle città, peraltro in condizioni disagiate. Ci sono poi in programma grandissimi progetti infrastrutturali – come strade, dighe, gasdotti – che potrebbero comportare problemi alla zona, perché possono portare alla frammentazione del territorio della foresta amazzonica, mettendone quindi a repentaglio l’integrità e creando al contempo nuove frontiere per usi impropri della foresta. Rischiamo veramente di perdere questo grande serbatoio di biodiversità, di ossigeno, soggetto primario nella regolamentazione dell’effetto serra.

 

D. – E’ possibile delineare delle strategie o, comunque, degli indirizzi per i governi?

 

R. – La prima strategia è quella di promuovere forme di insediamento o di uso del suolo sostenibili. Spesso questa strategia è collegata proprio con il ricupero della “sapienza insediativi” locale. Un altro aspetto molto importante è quello finanziario e riguarda forme di pagamento per i servizi che vengono forniti dalla natura e in questo caso dalla foresta, come quello dell’acqua: l’Amazzonia ospita il 30 per cento del bacino acquifero di tutto il Brasile. Il terzo aspetto riguarda il supporto alle associazioni locali e alle persone che rischiano ogni giorno la vita nella difesa della foresta. Pensiamo, ad esempio, ai casi di Chico Mendes e di Dorothy Stang. Purtroppo ce ne sono centinaia di casi di persone la cui vita viene sacrificata proprio a causa dei grandi interessi che si muovono in questa regione.

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OPERA, OPERETTA E MUSICHE ETNICHE IN CARTELLONE

AL XXII FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MEZZA ESTATE DI TAGLIACOZZO,

IN PROGRAMMA DAL 30 LUGLIO AL 20 AGOSTO

 

Musica, danza e teatro sono i protagonisti del XXII Festival internazionale di Mezza Estate di Tagliacozzo, che si inaugura il prossimo 30 luglio nella cittadina abruzzese, che sorge nel cuore della Marsica. Molti gli appuntamenti per questa originale festa delle arti e dello spettacolo, che si concluderà il 20 agosto. Il servizio di Luca Pellegrini.

 

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Trenta appuntamenti e molte novità. Risponde ad una precisa fisionomia il cartellone del Festival, ogni anno allestito con particolare attenzione agli spettacoli in prima assoluta, molti provenienti anche dall’estero. Basti pensare al Balletto nazionale della Mongolia che il 5 agosto si esibirà in una fantasiosa rassegna di danze nazionali e suite corografiche, molte delle quali legate all’ambiente ed alle tradizioni religiose di quel lontano paese. Inoltre, il famoso Teatro La Mama di New York porterà il 6 agosto uno spettacolo dal titolo “Tam Tam Tabù”, mettendo il pubblico a contatto con altre tradizioni e costumi, ma questa volta dell’Africa, ossia quelli del Rwanda e del Burundi. Molto interesse, infine, per l’opera e l’operetta, con la prima ripresa moderna, il 31 luglio, della commedia lirica in tre atti “Madonna Oretta”, composta nel 1932 dal compositore abruzzese Primo Riccitelli. Una riscoperta che sarà preceduta da un convegno di studi sulla figura del poco noto musicista e dei suoi molti anni trascorsi in America. I motivi di questa scelta e l’importanza di Riccitelli nel panorama del melodramma italiano del Novecento ci vengono spiegati dal direttore artistico del Festival, il maestro Lorenzo Tozzi:

 

R. – La personalità di Riccitelli è una personalità abbastanza complessa, ricca e ancora abbastanza misconosciuta; se pensiamo che delle molte opere che ha scritto, come presenza nella discografia c’è soltanto “I Compagnacci”. E’ un musicista interessante che viene dal filone mascagnano, in qualche modo, perché è stato allievo di Mascagni e anche compagno di studi di Zandonai, a Pesaro. Ma ha scritto tantissime opere di carattere diverso, da opere drammatiche ad opere, invece, come “Madonna Oretta” che sono comiche. Tra l’altro, è un’opera abbastanza interessante perché si colloca nel tentativo, aperto da Puccini con il “Gianni Schicchi” nel 1917, di recuperare quell’opera comica che aveva avuto tanta fortuna nel Settecento fino a Rossigni, fino al “Don Pasquale” di Donizetti. L’opera è interessante: noi la proponiamo in forma di concerto, però credo che intorno si crei un certo interesse. E’ un’opera romana, un’opera che ha debuttato al Teatro dell’Opera, ma soprattutto è interessante perché ripropone in qualche modo la Firenze cinquecentesca, la Firenze dei “calen di maggio”… La cosa interessante che noi proponiamo, quasi una accanto all’altra, poi, dello stesso 1932, è anche il “Ballo al Savoy” che è un’operetta di Paul Abraham, l’ungherese trapiantato a Vienna e quindi vediamo come negli anni Trenta ci si divertiva in Italia e fuori d’Italia.

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CHIESA E SOCIETA’

27 luglio 2006

 

SI È APERTA DISCUTENDO DI VITA, FAMIGLIA ED EDUCAZIONE,

L’81.MA ASSEMBLEA PLENARIA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE COLOMBIANA.

 MONS. LUIS AUGUSTO CASTRO QUIROGA: SONO PRINCIPI NON NEGOZIABILI

 

BOGOTÀ. = La vita, la famiglia e l’educazione sono temi non negoziabili. Lo ha detto mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente della Conferenza episcopale colombiana, inaugurando lunedì scorso l’81.ma Assemblea plenaria. Il presule, scrive l’agenzia Fides, ha parlato anche della depenalizzazione dell’aborto di cui si sta discutendo in questi mesi in Colombia. Mons. Castro Quiroga ha puntualizzato la necessità di far capire ai fedeli che una pratica apertamente immorale, perché contro la vita degli innocenti, non diventa con una decisione giuridica un’azione morale retta. L’aborto, ha spiegato il presule, è sempre un atto contrario alla legge di Dio. Sulla proposta di legge a favore degli omosessuali, il presidente della Conferenza episcopale ha ricordato che la Chiesa non può approvare nessuna loro unione. Ciò perché in contrasto con la legge morale naturale e perché il matrimonio esiste unicamente tra due persone di sesso opposto che tendono, mediante la reciproca donazione personale, alla comunione, alla generazione ed all’educazione di nuove vite. Sul riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali mons. Castro Quiroga ha chiarito che esso va rifiutato perchè non ha alcun fondamento. Infine, sull’educazione religiosa nelle scuole, il presule ha ricordato che è necessario, nell’ambito della pastorale educativa e familiare cattolica, ricordare ai padri di famiglia la loro responsabilità di esigere l’educazione religiosa per i propri figli e che è necessario fornire una corretta informazione sulle diverse maniere di esercitare questo diritto. Mons. Castro Quiroga nel suo discorso ha parlato anche delle sfide che oggi la Chiesa, in America Latina e nei Carabi, deve affrontare. Tra queste, rientrano l’insufficiente numero di sacerdoti e di seminari maggiori, la promozione della donna, il problema etnico razziale, i diritti umani, i movimenti dei contadini, la presenza cattolica nel mondo della cultura e dei mezzi di comunicazione, il lavoro per la pace, una giusta riforma migratoria. (T.C.)

 

 

CINA: PENE PIÙ DURE PER CHI RICORRE ALLA TORTURA NELLE CARCERI

 O NASCONDE DISASTRI. DA IERI IN VIGORE NUOVE LEGGI PENALI CHE SPECIFICANO

 I DIVERSI TIPI DI REATI CHE SI POSSONO DEFINIRE COME DI ABUSO DI POTERE

 

PECHINO. = Sarà punito in Cina il ricorso alla tortura negli interrogatori in carcere. Lo prevedono le nuove leggi penali approvate ieri dal governo. Per i funzionari governativi, scrive l’agenzia Asianews, scatterà l’incriminazione penale qualora venga provato l’uso di sevizie nei confronti di persone inquisite. Ma le stesse conseguenze scatteranno per quanti cercheranno di nascondere le reali dimensioni di disastri minerari. Sono solo due esempi tratti dalle dozzine di norme che sanzionano l’abuso di potere commesso da funzionari centrali e locali. La nuova normativa definisce “crimine grave” la tortura dei sospettati, ma anche la copertura da parte delle autorità sanitarie delle reali dimensioni delle epidemie o dell’inquinamento locale. Sono state rese note anche le torture configurate come reato: tra queste, i maltrattamenti, la violenza fisica di ogni tipo e il lasciare senza cibo i detenuti. Con la specificazione dei singoli reati cambia dunque l’impianto normativo: prima, infatti, la legge puniva “i metodi brutali” senza specificarli e i funzionari accusati di tali crimini potevano usufruire di diverse scappatoie legali. Per i pubblici ministeri, adesso, le nuove disposizioni permetteranno alla giustizia di rendere più dure le accuse contro quanti sbagliano nell’esercizio del loro ufficio. I crimini collegati all’uso scorretto dei poteri governativi, con l’entrata in vigore del nuovo testo di legge, sono ora 220. “Alcuni articoli dei vecchi regolamenti – ha spiegato Wang Zhenchuan, vice procuratore generale – erano troppo vaghi ed i crimini cui si riferivano non venivano effettivamente sanzionati”. (T.C.)

 

 

 

SONO OLTRE MEZZO MILIONE I RIFUGIATI IN TANZANIA.

 PROVENGONO PER LO PIÙ DA BURUNDI, RWANDA,

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO E SOMALIA

 

DAR ES SALAAM. = In Tanzania, si trovano ancora più di 530 mila rifugiati. A rivelare il dato è il vicepresidente degli Affari interni, Bernard Membe, che ha illustrato al Parlamento i numeri di un nuovo rapporto annuale sui profughi all’interno del Paese. Le persone attualmente ospitate in territorio tanzaniano, scrive l’agenzia MISNA, provengono prevalentemente da Burundi, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo e Somalia. Tutti questi Paesi, negli ultimi dieci anni, sono stati teatri di guerre e violenze che hanno provocato la fuga di migliaia di individui. Gli accordi di pace raggiunti in Burundi e il successo delle elezioni generali che sono seguite all’intesa nel 2005 hanno portato al rientro in patria di quasi 200 mila rifugiati burundesi, mentre sono 20 mila quelli di altre nazionalità. Poco meno di 20 mila è il numero dei congolesi rimpatriati negli ultimi mesi, nonostante, lo scorso anno, un accordo tra Alto Commissariato delle Nazioni Unite e Tanzania ne aveva previsto il ritorno di 150 mila. Dopo le elezioni che si terranno domenica prossima nell’ex-Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, si ritiene che molti dei congolesi presenti in Tanzania faranno ritorno nel loro Paese. (A.Gr.)

 

 

LE SOLENNITÀ DELL’ANNO LITUGIRGICO, A PARTIRE DALL’AVVENTO,

SARANNO CELEBRATE IN INGHILTERRA E GALLES LA DOMENICA.

LA DECISIONE DELL’EPISCOPATO CATTOLICO PER FACILITARE

 LA PARTECIPAZIONE DEI FEDELI ALLE LITURGIE EUCARISTICHE

 

LONDRA. = Per promuovere la celebrazione del ritmo dell’anno liturgico e celebrare con maggiore profondità i misteri della vita e della missione del Signore, l’episcopato cattolico di Inghilterra e Galles ha deciso di trasferire alla domenica quei giorni di precetto che sono solennità del Signore (tranne il giorno di Natale). A comunicarlo, riferisce l’agenzia ZENIT, è la ‘Catholic Communications Network’, l’ufficio per i rapporti con i media della Conferenza episcopale cattolica di Inghilterra e Galles. “Ciò significa – ha detto il cardinale Cormac Murphy-O’Connor, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale – che l’Epifania, l’Ascensione del Signore e il Corpus Christi ora si celebreranno la domenica”. I presuli inglesi auspicano che questa decisione offra ai fedeli un’opportunità per approfondire, attraverso la catechesi e la celebrazione, la loro fede e comprensione dei misteri della vita di Cristo. I cambiamenti avranno effetto dalla prima domenica di Avvento di quest’anno, il 3 dicembre. La decisione dell’episcopato è stata confermata dalla Santa Sede il 13 luglio scorso. Il cardinale Cormac Murphy-O’Connor ha sottolineato che altri giorni di precetto – la festa di San Pietro e Paolo, l’Assunzione della Vergine Maria e la festa di Tutti i Santi – verranno celebrati senza subire alcun cambiamento di data. Ad eccezione del giorno di Natale, è uso, in Inghilterra e Galles, che quando questi giorni cadono di sabato o di lunedì vengono trasferiti la domenica, ha dichiarato il porporato. Il calendario liturgico dei giorni di precetto in Inghilterra e Galles è disponibile sul sito www.liturgyoffice.org.uk/Calendar/Holydays.html. (T.C.)



I BAMBINI CONOSCONO LA BIBBIA MA NE REINTERPRETANO ALCUNI PARTICOLARI.

 A RIVELARLO È UNO STUDIO EFFETTUATO SUL VIDEOGIOCO “THE BIBLE GAME”

 

ROMA. = Sei bambini su dieci sanno che è stato il serpente ad aver tentato Eva nel Paradiso terrestre. Il dato emerge da una ricerca condotta da Halifax (Gruppo Digital Bros), dopo l’uscita a Natale del videogioco “The Bible Game”, realizzata attraverso alcuni focus group su circa 150 bambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni. Il videogame comprende un trivial-quiz con oltre 1.500 domande e una serie di minigiochi per condividere e imparare le basi della religione in maniera divertente. Chi affronta i quesiti deve sapere ad esempio quanti anni visse Adamo, chi profetizzò che Gesù sarebbe stato venduto per 30 denari, quanto tempo Giona visse nel ventre della Balena. Dodici minigiochi in modalità multi-giocatore (si può giocare sino a quattro persone contemporaneamente), invece, costringono ad una corsa all’ultimo respiro per aiutare Noè a trovare coppie di animali da portare sull’Arca; ad affrontare una gara nel lancio di pietre per abbattere la Torre di Babele; ad aiutare Giona ad avanzare nella balena verso la salvezza. Lo studio Halifax rivela in che modo i più piccoli vedono l’Antico Testamento, i suoi personaggi, i suoi luoghi caratteristici. Ne emerge che il 53 per cento dei bambini sottoposti ai test sa che il simbolo della fine del Diluvio universale è la colomba, mentre il 19 per cento è convinto che un piccione viaggiatore sarebbe stato più efficace. Tante le curiose “riletture” dell’Antico Testamento rivelate dalla ricerca: un bambino su quattro (26%), trasferisce la forza di Sansone dai capelli alle braccia, mentre uno su cinque (18%) ricorda Caino e Abele come cari amici che avevano litigato. Oltre la metà degli intervistati (52%) pensa che Noè, per salvare gli animali dal diluvio, abbia utilizzato una zattera, mentre il 32% si dimentica che anche il Creatore ha dedicato un giorno, il settimo, al riposo. Ancora, per quasi un intervistato su dieci (8%), Abramo, al posto del figlio, avrebbe sacrificato al Signore un gatto, mentre la manna resta sconosciuta ai più: oltre il 50% pensa che gli ebrei, durante la traversata del deserto, mangiarono pane e acqua, o addirittura nulla. Ritiene che Giona fu mangiato da un leone il 42%, mentre il 14 pensa ad un drago. In mano a Davide il 28% dei bambini mettono una spada, il 19 una freccia, mentre l’8 sostiene che il gigante sia stato abbattuto da un’abile mossa di karatè. Infine, per quasi un bambino su tre (28%), Mosè ha attraversato il Mar Mediterraneo e non il Mar Rosso. (T.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

27 luglio 2006

 

- A cura di Roberta Moretti -

        

 

Ancora una mattinata di sangue in Iraq. Almeno 31 persone, tra cui molte donne e bambini, sono rimaste uccise e oltre 100 ferite per l’esplosione di un’autobomba, seguita da una serie di proiettili da mortaio, in un quartiere commerciale nel centro di Baghdad. Distrutti due edifici. Sempre nella capitale, 4 guardie di sicurezza sono state uccise, fuori da una moschea sunnita, da colpi d’arma da fuoco sparati da un’auto. Intanto, è stata fissata per il 16 ottobre la sentenza finale del processo a carico dell’ex rais, Saddam Hussein, e di sette suoi gerarchi per la strage di Dujail del 1982, in cui morirono 148 civili sciiti. Gli imputati, lo ricordiamo, rischiano la pena di morte. Infine, ha creato numerose polemiche l’intervento, ieri a Washinghton, del premier iracheno, Al Malìki, davanti al Congresso americano. Riferendosi alla grave situazione in Libano, deputati e senatori democratici gli hanno rimproverato di non aver condannato Hezbollah. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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Il capo dell’Esecutivo di Unità Nazionale è uno sciita e ha denunciato le azioni di Israele, chiedendo il cessate-il-fuoco immediato. Così si è allineato sulle posizioni dell’Iran, invece che degli Stati Uniti, dando l’impressione che l’influenza degli ayatollah nel suo Paese sia più forte di quella degli americani. Ieri, Al Maliki ha cercato di fugare questi sospetti con il suo discorso al Congresso. “So che alcuni di voi – ha detto – dubitano che l’Iraq sia parte della guerra al terrore. Ma questa è una battaglia fra il vero Islam, per il quale la libertà e i diritti di una persona rappresentano una pietra angolare, e il terrorismo, che si avvolge nel mantello di una falsa fede religiosa”. Queste parole non hanno, però, impedito il boicottaggio di Al Maliki da parte di alcuni parlamentari dell’opposizione democratica, che rimproverano al presidente Bush di aver consegnato l’Iraq all’influenza dell’Iran. Secondo la teoria dell’amministrazione, la guerra contro Saddam serviva a creare una democrazia nel cuore del Medio Oriente, che avrebbe fatto da esempio per tutta la regione, avviando un circolo virtuoso di riforme. Allo scoppio della prima crisi in Libano, però, il capo del nuovo governo di Baghdad ha scelto di schierarsi contro Israele e con Hezbollah, anche se poi il ministro degli Esteri ha cambiato posizione. Questo avviene mentre sul terreno continuano le violenze che hanno spinto Bush ad aumentare il numero dei soldati americani a Baghdad. Ma ora il Pentagono rischia di scontrarsi proprio con la milizia del leader religioso sciita al Sadr.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Sono tutti morti i 16 passeggeri dell’elicottero civile schiantatosi ieri pomeriggio nell’Est dell’Afghanistan. Lo ha reso noto stamani un portavoce delle forze di coalizione, precisando che tra le vittime ci sono anche due soldati olandesi dati ieri per dispersi. Non è ancora chiaro perché l’elicottero – un velivolo civile che da Kabul stava andando a Khost, sorvolando la regione montagnosa della provincia di Paktya – si sia schiantato al suolo. Fonti locali hanno sottolineato che le condizioni meteorologiche erano cattive.

 

Schiarita nella crisi tra Sudan e Ciad che nei mesi scorsi aveva preoccupato non poco la diplomazia africana. Ieri a N’Djamena è stato infatti raggiunto un accordo per un nuovo corso nelle relazioni tra i due Paesi. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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La situazione era precipitata lo scorso aprile quando il presidente ciadiano, Idris Debi, aveva accusato il regime sudanese di Omar Hassan Al-Beshir, di finanziare ed appoggiare milizie antigovernative ciadiane con l’intento di rovesciare il suo governo. Non solo Karthum aveva respinto le accuse, ma di fatto le relazioni diplomatiche parevano irrimediabilmente compromesse con il rischio di un’ennesima guerra nella regione. Sia il governo ciadiano che quello sudanese, si sono impegnati ieri a collaborare reciprocamente ribadendo per altro quanto scritto in un precedente accordo siglato nel febbraio scorso, per monitorare e garantire la sicurezza nella zona di confine, per evitare che formazioni ostili ai due Paesi, presenti lungo la linea di confine che ha per epicentro la tormentata regione del Darfur, possano destabilizzare il processo di pacificazione nell’intera regione.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Un importante accordo è stato raggiunto stamani nella Repubblica democratica del Congo tra il governo e il Movimento Rivoluzionario Congolese, l’ultimo gruppo armato attivo nella martoriata provincia nord-orientale dell’Ituri, perché gli elettori della regione possano recarsi alle urne domenica prossima per le elezioni generali. Non sono ancora completamente chiari i contenuti dell’intesa che, secondo alcune fonti, dovrebbe anche prevedere un’amnistia per i crimini di guerra, l’avvio del processo di integrazione del MRC nel nuovo esercito nazionale congolese e la cessazione definitiva delle ostilità. Intanto, per scongiurare il pericolo di frodi elettorali, la Chiesa congolese ha preparato 5 mila osservatori che saranno attivi in tutto il Paese.

 

Si terranno il prossimo 28 settembre le elezioni presidenziali e parlamentari nella Zambia. Lo ha annunciato ieri sera, in un discorso alla nazione trasmesso dalla televisione di Stato, il presidente del Paese sudafricano, Levy Mwanawasa, dichiarando al contempo lo scioglimento del parlamento e del governo. L’annuncio è arrivato dopo un braccio di ferro legale durato alcuni giorni e iniziato col ricorso depositato di fronte all’Alta Corte del Paese dall’associazione degli avvocati zambiani (LAZ). La Costituzione della Zambia, infatti, prevede che la data del voto sia annunciata dalla Commissione elettorale indipendente e non dalla presidenza, che, alla luce della decisione di Mwanawasa di presentarsi per un secondo mandato consecutivo, è una delle parti in causa. Ieri mattina, però, l’Alta Corte di Lusaka ha rigettato la richiesta della LAZ, dando la possibilità al presidente di fissare la data delle elezioni.

 

L’ex presidente del Malawi, Bakili Muluzi, è stato arrestato questa mattina con l’accusa di corruzione. Muluzi è stato prelevato nella sua casa di Blantyre e trasportato negli uffici della Agenzia anti-corruzione (ACB), per essere interrogato in merito ad alcune transazioni finanziarie sospette effettuate durante la sua presidenza. Un portavoce del Fronte Democratico Unito (UDF), il partito di Muluzi, ha definito il fermo come una mossa attesa, perché parte di una “persecuzione politica”.

 

I 149 Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) hanno approvato tacitamente la sospensione sine die dell’agenda di Doha, approvata nel 2001 con l’obiettivo di raggiungere accordi per la liberalizzazione nel settore dei servizi, dell’agricoltura e dell’industria a favore dei Paesi poveri. Lo hanno reso noto fonti diplomatiche a Ginevra, dove ha avuto luogo stamani la riunione del Consiglio Generale del WTO. Lunedì, dopo il fallimento dell’incontro dei rappresentanti del G6, che comprende i Paesi con maggiori interessi nel negoziato (Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Australia, Brasile e India), sulla questione-chiave dei sussidi statali all’agricoltura, il direttore generale del WTO, Pascal Lamy, aveva minacciato la sospensione definitiva dei negoziati di Doha.

 

L’Unione Europea stipulerà un Trattato di amicizia e cooperazione con l’ASEAN, l’Associazione delle nazioni dell’Asia sud-orientale, riunita in questi giorni a Kuala Lumpur, in Malaysia: lo ha annunciato stamani l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’UE, Javier Solana, presente all’incontro. Intanto, è giunto in Malaysia anche  il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, per discutere di sicurezza internazionale. Di Medio Oriente, invece, parleranno il ministro degli Esteri iraniano, Mottaki, che giunge oggi al vertice, e il suo omologo malaysiano, Syed Hamid Albar.

 

L’aviazione cingalese ha ripreso stamani i bombardamenti, iniziati ieri sera, contro le postazioni dei ribelli delle ‘Tigri per la liberazione della patria Tamil’ (LTTE) nei pressi di Trincomalee, nel nordest dello Sri Lanka. Secondo un portavoce del governo, si tratta di un’operazione di appoggio alle truppe di terra che stanno scortando un team di ingegneri per liberare la rete di irrigazione occlusa dai ribelli.  Non ci sono resoconti ufficiali su eventuali vittime o danni, mentre fonti locali parlano di due morti tra i civili e la distruzione di due case nella giornata di ieri.

 

Preoccupazione internazionale per la tensione crescente in Georgia. Una donna è morta e diversi soldati di Tblisi sono rimasti feriti nel corso di scontri tra l’Esercito e gruppi ribelli lungo la gola di Kodori, che divide la Georgia dall’Abkazia. La Russia, garante insieme all’ONU di misure che impediscano l’ingresso di gruppi armati in Abkazia, ha parlato di un “nuovo conflitto” che si sta svolgendo alla frontiera.

 

In Turchia, un soldato è morto e altri due sono rimasti feriti stamani per l’esplosione di una mina antiuomo piazzata dai ribelli del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) nella provincia sud-orientale di Bingöl. Secondo fonti della sicurezza, l’esplosione si è verificata nel corso di un’operazione di pattugliamento in una zona rurale vicino alla città di Genç. Il PKK ricorre spesso a mine antiuomo nella sua lotta contro le forze di sicurezza turche.

 

Il Parlamento bulgaro ha fissato, stamani, per il prossimo 22 ottobre le elezioni presidenziali nel Paese. I maggiori partiti della Bulgaria, che aspira a entrare nell’Unione Europea l’anno prossimo, non hanno ancora nominato ufficialmente i loro candidati. Secondo gli analisti, il presidente in carica, Georgi Parvanov, 49 anni, avrebbe buone chance di ottenere un secondo mandato. Il suo quinquennato si chiuderà nel gennaio prossimo.

 

In Italia,sì’ della Camera al provvedimento sull’indulto. Il testo, su cui è stata raggiunta la maggioranza dei 2/3 richiesta dalla Costituzione, ora passa al Senato. Intanto, il governo italiano ha chiesto la fiducia, in Senato, sul provvedimento riguardante le missioni all’estero e, in particolare, sull’art. 2, che riguarda l’impegno della forza italiana in Afghanistan.

 

Sono salite a 83 le vittime del caldo torrido in California, negli Stati Uniti, dove, per il decimo giorno consecutivo, le temperature hanno toccato i 38 gradi. Comunque, nonostante i decessi siano più che raddoppiati nelle ultime 48 ore, ieri le temperature sono lievemente scese e i consumi di energia hanno allontanato la prospettiva del livello d’allarme 3, che comporta parziali blackout pilotati. Il lieve miglioramento della situazione dovrebbe protrarsi nella fine settima.

 

 

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