RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 208 - Testo della trasmissione di giovedì 27 luglio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Aperta a Bogotá
l’81.ma Assemblea plenaria della Conferenza
episcopale colombiana
Mattinata di sangue anche in Iraq. Morte oltre 30
persone in un attentato a Baghdad. Fissata per il 16 ottobre la sentenza del
processo a Saddam Hussein - In vista delle elezioni generali di domenica
prossima nella Repubblica Democratica del Congo,
stipulato un importante accordo tra il governo e i ribelli del movimento
rivoluzionario congolese
27 luglio 2006
ULTIMO
GIORNO DI VACANZA VALDOSTANA PER BENEDETTO XVI,
CHE
DOMANI LASCERA LES COMBES PER CASTEL GANDOLFO.
IERI
SERA, SALUTO SPECIALE DEL PAPA ALL’EX PORTAVOCE, NAVARRO-VALLS
-
Intervista con Salvatore Mazza -
Per Benedetto XVI quelle che stanno trascorrendo sono le
ultime 24 ore tra le bellezze naturali di Les Combes. Domani pomeriggio, alle 17.00, un velivolo dell’Air
Vallée trasporterà a Roma il Papa, salutato dalle autorità e dagli abitanti
della Valle d’Aosta. Dallo scalo romano di Ciampino,
verso le 18.30, il Pontefice proseguirà in auto verso la sua residenza estiva
di Castel Gandolfo. Ma il congedo di Benedetto XVI da coloro che in queste due
settimane hanno custodito la sua privacy ha avuto un anticipo ieri sera, quando
il Papa a sorpresa ha voluto partecipare ad un piccolo momento di festa in
onore dell’ex direttore della Sala stampa vaticana, Joaquin
Navarro Valls. Su questo avvenimento e sul modo in
cui la comunità montana di sta preparando al saluto
con il Pontefice, ci riferisce da Les Combes l’inviato del quotidiano Avvenire, Salvatore Mazza,
al microfono di Alessandro De Carolis:
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R. – Si preparano nello stile che è ormai consueto in
questa valle, uno stile molto sobrio. Il Papa si congederà su a Les Combes - ci saranno
probabilmente soltanto gli abitanti della frazioncina
di Introd, che in tutto sono forse una trentina di
persone - e quindi dalle autorità del posto. Poi, in macchina, raggiungerà
l’aeroporto dove ci sarà un po’ più di gente, ovviamente, perché anche gli aostani
vorranno salutare il Papa, ma sempre con questo stile molto contenuto.
D. – Ieri sera, la festa in onore Joaquin
Navarro-Valls ha avuto l’imprevista e graditissima presenza di Benedetto XVI.
Un segno di grande stima nei confronti dell’ex direttore della Sala Stampa
Vaticana…
R. – E’ stato un segno sicuramente di grande stima e di
grande familiarità del Papa. Era stata organizzata questa ‘festa’, diciamo,
comunque un momento in cui si sono trovate assieme
tutte le persone che hanno fatto da corona, proteggendo, assicurando la privacy di Benedetto XVI in questi
giorni: tra gli altri, il personale dell’Ispettorato di Pubblica sicurezza
presso la Santa Sede, i Carabinieri, le Guardie forestali della Val d’Aosta, il
sindaco di Introd, Osvaldo Naudin,
Alberto Cérise che è lo storico, organizzatore degli
spostamenti del Pontefice in questa occasione, e verso le sette e mezza – come
hai detto tu – il Papa, a sorpresa, si è presentato, si è fermato con i suoi
“angeli custodi”; raccontano che sia stato un momento molto, molto bello. Il
Papa, a parte le parole di affetto e di stima che ha avuto per Navarro, ha
voluto ringraziare quasi uno per uno tutte le persone che gli hanno consentito
di poter godere almeno di questo breve soggiorno in Valle d’Aosta.
D. – E’ stato sottolineato più volte in questi giorni che
quella di Benedetto XVI è stata un po’ una vacanza in doppia cifra: da un lato,
preghiera, studio e distensione nella bellissima cornice naturale, e dall’altra
costante preoccupazione e solidarietà per la crisi in Medio Oriente. In questo
momento di bilancio, che impressione ti hanno fatto queste tinte contrastanti?
R. – Ho già avuto occasione di ricordarlo. Rientrando
dalla visita al Gran San Bernardo e alle Suore
Benedettine – dopo aver percorso il bellissimo Sentiero dei canonici - il Papa
ha detto: “Ho fatto una passeggiata bellissima e più vedo questa bellezza, più vivo questa pace che il Signore mi dà, più aumenta la
sofferenza e la preoccupazione per tutte le persone che soffrono in questo
momento”. Ecco: è proprio la frase che rivela un Pontefice che in nessun caso
riesce a “staccare la spina”. Si è visto che questo pensiero realmente ha
dominato sempre, sempre, sempre in questi giorni.
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“UNA SOSPENSIONE IMMEDIATA DELLE OSTILITA’ E’ POSSIBILE,
DUNQUE E’ DOVEROSA”: COSI’, L’ARCIVESCOVO
GIOVANNI LAJOLO,
SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI,
AI MICROFONI DELLA RADIO VATICANA,
ALL’INDOMANI
DELLA
CONFERENZA DI ROMA SUL LIBANO
La Conferenza internazionale per il Libano, svoltasi ieri
a Roma, ha suscitato reazioni e commenti contrastanti. Da una parte è stato
apprezzato l’accordo su una forza multinazionale di interposizione e sull’invio
di aiuti umanitari; dall’altra, è stata criticata la mancata intesa per un
immediato cessate-il-fuoco. Alla Conferenza ha preso
parte anche la Santa Sede, la cui delegazione è stata guidata dall’arcivescovo
Giovanni Lajolo, segretario per i Rapporti con gli
Stati. All’indomani del summit della Farnesina, mons.
Lajolo si sofferma – al microfono di Alessandro
Gisotti – sulle prospettive di pace per il Medio Oriente e sull’impegno
instancabile del Papa e della Santa Sede per un’immediata sospensione delle ostilità:
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R. – Come è noto, la Santa Sede è direttamente interessata
alla pace nel Medio Oriente, come essa, in molteplici occasioni, ha dimostrato.
Ieri, su invito degli Stati Uniti e dell’Italia, ha potuto partecipare a questa
Conferenza in qualità di osservatore; per la sua propria
natura, è questa la veste con la quale la Santa Sede normalmente partecipa
nelle organizzazioni internazionali.
D. – Qual è la sua valutazione sulla Conferenza?
R. – E’ certamente positivo che sia stata convocata con
tanta rapidità su iniziativa del governo italiano, e che abbia focalizzato la
sua attenzione sui più urgenti temi del momento.
D. – Le conclusioni riportate nella Dichiarazione dei due co-presidenti, il segretario di Stato USA, Condoleezza Rice, e il ministro degli Esteri italiano, On. Massimo D'Alema,
sono state però giudicate piuttosto deludenti. Qual è la sua opinione in merito?
R. – Certo, le aspettative dell' opinione
pubblica erano grandi, ma per gli addetti ai lavori, che conoscono le
difficoltà, si può forse dire che i risultati sono apprezzabili. Vorrei rilevare
soprattutto questi aspetti positivi. 1) Il fatto che Paesi di
diverse parti del mondo, dal Canada alla Russia, si sono riuniti nella
consapevolezza della gravità di quanto accade in Libano, riaffermando la
necessità che esso recuperi quanto prima la sua piena sovranità, e si siano impegnati
a fornirgli il proprio aiuto; 2) la richiesta che si formi una forza internazionale,
sotto mandato delle Nazioni Unite, che sostenga le forze regolari libanesi in
materia di Sicurezza; 3) l'impegno per un aiuto umanitario immediato al popolo
del Libano e l'assicurazione di un sostegno alla sua ricostruzione con la
convocazione di una Conferenza di Donatori. Diversi Paesi partecipanti
hanno anticipato lo stanziamento di sostanziosi aiuti, ancora però
insufficienti a coprire le enormi necessità del paese; 4) positivo è anche
l'impegno preso dai partecipanti, dopo la chiusura ufficiale della Conferenza,
di tenersi in continuo contatto circa gli ulteriori sviluppi che avrà
l'intervento della comunità internazionale in Libano.
D. – Che cosa, dunque, ha causato questa impressione di
delusione?
R. – Anzitutto il fatto che non si sia richiesta
l'immediata cessazione delle ostilità. L'unanimità dei partecipanti non è stata
raggiunta perché alcuni Paesi sostenevano che l'appello non avrebbe
sortito l'effetto desiderato, mentre si riteneva più realistico
esprimere il proprio impegno per ottenere senza indugio la cessazione delle ostilità:
impegno preso, e che può essere di fatto mantenuto. È anche problematico che ci
si sia limitati solo a invitare Israele ad esercitare la massima moderazione:
tale invito riveste per natura sua una inevitabile
ambiguità, mentre il riguardo per la popolazione civile innocente è un dovere
preciso e inderogabile.
D. – Qual è, invece, la valutazione del governo libanese?
R. – Da un lato, il primo ministro Siniora ha avuto la
possibilità di esporre tutta la drammaticità della situazione in cui versa il
Paese ed ha presentato un suo piano per il superamento immediato e definitivo
del conflitto con Israele, d'altra parte ha potuto registrare e ulteriormente
incoraggiare gli sforzi positivi che la comunità internazionale sta facendo per
soccorrere la popolazione libanese, per porre fine alle ostilità, e per
rafforzare il controllo del suo governo sul Paese. Ieri pomeriggio, il primo ministro
Siniora, accompagnato dal ministro degli Esteri Salloukh,
ha chiesto d'incontrarsi con il cardinale segretario di Stato e con me. Ha
espresso grande apprezzamento per l'impegno con cui il Santo Padre
personalmente, e la Santa Sede, seguono il conflitto che sconvolge il Libano, e
ha pregato di continuare ad appoggiare il suo Paese in campo internazionale.
Egli ha ricordato anche le parole di Papa Giovanni Paolo II, che definì il Libano non solo un Paese, ma “un messaggio”, per
tutti i popoli, di equilibrata convivenza tra diverse religioni e confessioni
in uno stesso Stato. È questa, certo, la vocazione storica del Libano, che deve
potersi realizzare. La Santa Sede continuerà ad
adoperarsi con tutti i mezzi a sua disposizione perché il Paese torni ad essere
quel "giardino" del Medio Oriente che era prima.
D. – Nella sua qualità di osservatore, ha avuto la
possibilità di influire, almeno indirettamente sui lavori della Conferenza?
R. – L’osservatore non ha diritto di parola, e nemmeno essa mi è stata chiesta. Ritengo però che anche la presenza
silenziosa dell’Osservatore della Santa Sede al tavolo dei capi delegazione
abbia avuto un suo significato, chiaramente percepibile.
D. – Dopo questa Conferenza, qual è la posizione della
Santa Sede sul tema?
R. – La Santa Sede resta per una sospensione immediata
delle ostilità. I problemi sul tappeto sono molteplici ed estremamente
complessi. Proprio per questo essi non possono essere affrontati tutti insieme; pur tenendo presente il quadro generale e la
soluzione globale da raggiungere, bisogna risolvere i problemi per partes, incominciando da quelli che sono risolvibili
subito. La posizione di chi sostiene che si debbano anzitutto creare le
condizioni perché la tregua non venga ancora una volta violata è di un realismo
soltanto apparente: perché tali condizioni possono e devono essere create con
altri mezzi che non siano l'uccisione di persone innocenti. Il Papa è vicino a
quelle popolazioni, vittime di contrapposizioni e di un conflitto che sono loro
estranei. Benedetto XVI prega, e con lui tutta la Chiesa, perché il giorno
della pace sia oggi stesso e non domani. Egli prega Dio e supplica i
responsabili politici. Il Papa piange con ogni madre che piange i suoi figli,
con ogni persona che piange i suoi cari. Una sospensione immediata delle
ostilità è possibile: dunque è doverosa.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il Medio Oriente: deciso
l’invio di una forza internazionale in Libano. Mancato l’accordo sul cessate-il-fuoco.
La Conferenza di Roma indica un cammino verso la
pace che va perseguito con determinazione affinché la dichiarazione finale non
resti lettera morta.
Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino
della Chiesa in Africa.
Servizio estero - Un articolo di Pierluigi Natalia
sulla Repubblica Democratica del Congo dal titolo
“Dalle elezioni una speranza di pace minacciata da persistenti inquietudini”: i
reiterati interventi della Conferenza episcopale sul voto di domenica prossima.
Servizio culturale - Un articolo di Giuseppe
Costa dal titolo “Strappare le immagini al tempo per consegnarle al futuro e
alla memoria”: fotografie di Wim Wenders
nella mostra romana alle Scuderie del Quirinale.
Servizio italiano - In primo piano lo sciopero
delle farmacie.
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27 luglio 2006
ALL’INDOMANI
DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE SUL LIBANO,
ISRAELE
ANNUNCIA DI VOLER INTENSIFICARE GLI ATTACCHI CONTRO GLI HEZBOLLAH. CARRI ARMATI
E ATTACCHI ISRAELIANI CONTINUANO A COLPIRE IL SUD DEL PAESE
- Interviste con Antonio Ferrari e padre Joseph Zogheib -
Un forte impegno comune per
riportare la pace in Libano e per costruire un clima di stabilità nell’intero
Medio Oriente. Con questo intento si è conclusa ieri a Roma, presso il Ministero
degli esteri,
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E’ una comunità internazionale molto preoccupata quella
che si è riunita ieri alla Farnesina, ma intenzionata a portare avanti con tutti i mezzi
qualcosa che è più di un mero tentativo di realizzare la pace in Libano ed in
tutto il Medio Oriente. Alla conferenza stampa conclusiva, il ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema,
il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ed il premier libanese,
Fuad Siniora, hanno esposto i vari punti su cui si
basano gli auspici per una tregua immediata allo scopo di consentire,
attraverso l’utilizzo dei corridoi, l’accesso degli aiuti umanitari agli ormai
800 mila profughi, una folla dolorosamente sbandata in fuga dalle violenze
giornaliere. Certo a Roma non si è ancora raggiunto nulla di concreto e
mancavano i protagonisti: Israele soprattutto, Siria e Iran, considerati gli
ispiratori dei miliziani sciiti Hezbollah. Kofi Annan ha con forza chiesto
che Damasco e Teheran vengano
coinvolti nel processo di distensione:
“I think the foreign minister has indicated that the
nature of the …”.
Il segretario generale dell’ONU ha
poi affermato che non si può più tornare indietro sulla questione
mediorientale: occorre rendere Libano e Israele entrambi sicuri e avviare un
processo di pace globale in tutta la regione:
“I think that it goes without saying that this
extraordinary gathering …”.
Poi Condoleezza Rice ha ribadito l’improrogabile necessità per tutta la
comunità internazionale di avere un Libano democratico. Altro imperativo
primario, ha sottolineato la Rice, è quello di
dislocare sul terreno una forza internazionale di interposizione, con un forte
mandato ONU, col doppio compito di favorire la pace e provvedere all’intervento
umanitario. Alla base
di ogni iniziativa, comunque, rimane il raggiungimento di una tregua: un
difficile obiettivo in questo momento, come ha indicato il ministro D’Alema:
“Il problema è se oggi sia realistico pensare di ottenere
la tregua con un appello. Quello che io voglio sottolineare è la volontà comune
di lavorare insieme e immediatamente, per ottenere con la massima urgenza il cessate-il-fuoco. Per ottenere questo obiettivo bisogna
esercitare una pressione, in modo diretto e indiretto, su Hezbollah
e, dall’altra parte, sul governo israeliano, al quale abbiamo rinnovato la
richiesta del rispetto delle vite e delle infrastrutture civili”.
Dunque Roma, osservatorio più che mai privilegiato sul
Medio Oriente dal quale ci si augura possa partire processo concreto di
pacificazione raggiungibile attraverso un cessate il fuoco immediato e
soluzione dell’emergenza umanitaria, un Libano pienamente sovrano, come ha
auspicato il premier di Beirut, Siniora. Ultima fase l’intervento dei Paesi donatori
per ricostruire il Paese e in cui – come recita dal 2004 la risoluzione 1559
del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – siano disarmate tutte le milizie
extragovernative. Infine, ad Israele, dopo aver consentito la creazione di
corridoi umanitari, la richiesta di esercitare la massima moderazione. Questi i
primi passi per una soluzione, che ci si augura durevole, delle tensioni in
Medio Oriente che deve poi ampliarsi su scala regionale.
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In Libano, intanto, si continua a combattere e a lanciare
proclami: Israele ha annunciato di voler intensificare gli attacchi aerei
contro postazioni degli Hezbollah. Carri armati dello
Stato ebraico sono poi entrati nel sud, dove nuovi attacchi israeliani hanno
colpito, soprattutto, la parte meridionale del Paese provocando la morte di
almeno 3 persone. E proprio per sostenere la popolazione del Libano ed in
particolare il meridione, dove la situazione umanitaria è sempre più critica, i
partecipanti alla Conferenza internazionale sul Libano hanno trovato, ieri, un
importante accordo per l’arrivo di aiuti. Sulla situazione umanitaria nel Paese
dei cedri ascoltiamo, al microfono di Eliana Astorri, l’inviato del Corriere
della Sera, Antonio Ferrari:
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R. – La situazione umanitaria, come sappiamo, è disperata.
Quello che i partecipanti alla Conferenza vogliono e che hanno accettato è una
tregua “umanitaria” soltanto per i convogli e per far pervenire all’interno del Paese tutti gli aiuti possibili, senza pericoli
e senza restrizioni. Ieri, il primo ministro libanese, Fuad Sinora, ha ricordato che la situazione è in questi
termini: 850 mila sfollati nel Paese; 200 mila libanesi che si sono rifugiati
in Siria; circa 275-300 mila profughi palestinesi; almeno 200 mila iracheni
fuggiti dopo l’inizio delle ostilità in Iraq. Quindi il Libano, che era
uno Stato che stava rinascendo, è diventato, ora, un Paese di profughi.
D. – L’attenzione, ovviamente, è tutta sulla popolazione
libanese, ma non bisogna dimenticare Gaza, dove prosegue la catastrofe
umanitaria iniziata da tempo, dal taglio degli aiuti internazionali, e che ora
si è aggravata pesantemente…
R. – Assolutamente sì; assistiamo ad una specie di “guerra
mangia guerra”: ci stiamo ormai disinteressando dell’Iraq, dove i massacri sono
quotidiani. La vicenda israelo-libanese ha tolto dal focus
dell’interesse di media anche la situazione a Gaza, che è sempre più
drammatica.
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Ma quali sono state, in Libano, le reazioni della
popolazione dopo la chiusura del summit di Roma? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto
a padre Joseph Zogheib, già
responsabile del Programma arabo della nostra emittente:
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R. – Noi abbiamo visto questa iniziativa italiana come una
speranza, perché l’Italia è l’unico Paese che ha cercato, almeno, di fare
qualcosa per il Libano. Quello che noi chiediamo è la preghiera per il popolo
libanese che vive questa disgrazia. Vi assicuro che in 15 anni di guerra civile
non abbiamo mai sentito questa amarezza e questo pericolo nei confronti della
nostra patria.
D. – Padre Joseph, quali sono
stati i commenti della stampa libanese sul vertice di Roma?
R. – Secondo la stampa libanese, c’era inizialmente un po’
di speranza. Adesso, però, sulla stampa si parla dell’insuccesso per non essere
riusciti ad imporre il cessate-il-fuoco. Siamo in una
situazione di attesa: speriamo in qualche posizione internazionale più forte
che possa riuscire a fare realmente qualcosa per questo Paese.
D. – Quale è adesso la situazione del Libano, in
particolare nel sud e a Beirut, dove ti trovi?
R. – Tutto il Libano è in una condizione di blocco
generale: non si può uscire e non si può entrare. Tutti gli stranieri stanno
lasciando il Paese. Questa situazione ha isolato anche una parte della
popolazione del sud: centinaia di villaggi vivono una situazione umanitaria
molto, molto precaria e purtroppo nessuno riesce ad arrivare in questa area. Se
continuerà il blocco totale cominceremo, anche qui a Beirut, a sentire le
conseguenze.
D. – Come sta reagendo la popolazione libanese di fronte
al dramma della guerra?
R. – La nostra disgrazia è la guerra, la nostra grazia è
la compattezza, almeno finora, del popolo libanese. Non ci sono divisioni:
tutti gli sfollati – che appartengono in maggioranza agli sciiti – sono stati
accolti dai cristiani e da appartenenti ad altre confessioni religiose. Il
fatto è che la guerra non è tra due Stati, ma è tra uno Stato potente, Israele,
contro un partito, quello degli Hezbollah, che sono
stati addestrati per più di 20 anni a questo tipo di guerra.
D. – E in questa situazione, quali sono le responsabilità
dell’Iran?
R. – Sappiamo bene non ci siamo noi libanesi dietro a
questa guerra. Stiamo pagando le conseguenze di questa politica assurda, che
stiamo subendo in Libano. La decisione non è nostra; la decisione non è neanche
degli Hezbollah, ma è quella dell’Iran. Questo è
quello che dicono, ormai, tutti i moderati. Una volta che cede l’Iran, forse
per noi ci sarà speranza.
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Ed in questo momento drammatico per il Libano ed il Medio
Oriente, torna a farsi sentire Al Qaeda: il numero due dell’organizzazione
terroristica, Al Zawahiri, ha minacciato, in un nuovo
video trasmesso da Al Jazeera,
azioni di Al Qaeda contro Israele. Al Zawahiri ha
anche esortato i “musulmani di tutto il mondo a combattere e a diventare martiri”.
IL
“TESORO” NAZIONALE DELL’AMAZZONIA,
PATRIMONIO
CHE CHIEDE FORTI TUTELE
-
Intervista con la prof.ssa Melania Cavelli -
Sollecitare una cooperazione
internazionale per preservare la foresta dell’Amazzonia e i suoi bacini
fluviali, il cui ruolo è centrale nel mantenimento della stabilità climatica,
dei cicli idrogeologici e della biodiversità. È
l’impegno preso dagli oltre 200 partecipanti al Simposio “Religione Scienza e
Ambiente”, organizzato dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità
Bartolomeo I, e conclusosi la scorsa settimana a
Manaus, in Brasile. Scienziati, ambientalisti, leader religiosi e giornalisti,
riuniti al Convegno dal titolo “Rio delle Amazzoni: sorgente di vita”, hanno
inoltre sollecitato il rispetto delle Convenzioni ONU sui cambiamenti climatici
e dei relativi accordi internazionali, dandosi appuntamento all’edizione 2007,
in programma al Polo Nord. Ma quali le linee
sviluppatesi ai lavori in Amazzonia? La nostra inviata in Brasile, Giada
Aquilino, lo ha chiesto alla professoressa Melania Cavelli,
urbanista e docente all’Università di Reggio Calabria, che ha partecipato al
Simposio:
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R. – Da un lato, l’Amazzonia è apparsa come un teatro di
conflitti legati alla globalizzazione dei mercati e dall’altra si è mostrata
legata alla situazione stessa della regione. Molti dei conflitti in atto sono
legati all’uso del suolo. Quando si parla di Amazzonia, si pensa ad un luogo
integro e popolato da indigeni: in verità, nella regione amazzonica il 70 per
cento della popolazione vive in nuclei urbani. Se si va a guardare la
situazione più in profondità, però, ci si rende conto che si tratta di una urbanizzazione spesso forzata, perché ci sono forti
interessi di grandi compagnie, che sono interessate all’uso del territorio per
coltivazioni su larga scala e che hanno trovato il modo - spesso illegale – di
espellere la popolazione locale. Queste persone, abituate comunque ad avere un
rapporto col territorio abbastanza sostenibile, vengono
così spinte a vivere nei sobborghi delle città, peraltro in condizioni
disagiate. Ci sono poi in programma grandissimi progetti infrastrutturali
– come strade, dighe, gasdotti – che potrebbero comportare problemi alla zona,
perché possono portare alla frammentazione del territorio della foresta
amazzonica, mettendone quindi a repentaglio l’integrità e creando al contempo
nuove frontiere per usi impropri della foresta. Rischiamo veramente di perdere
questo grande serbatoio di biodiversità, di ossigeno,
soggetto primario nella regolamentazione dell’effetto serra.
D. – E’ possibile delineare delle strategie o, comunque,
degli indirizzi per i governi?
R. – La prima strategia è quella di promuovere forme di
insediamento o di uso del suolo sostenibili. Spesso questa strategia è collegata proprio con il ricupero
della “sapienza insediativi” locale. Un altro aspetto molto importante è quello
finanziario e riguarda forme di pagamento per i servizi che vengono
forniti dalla natura e in questo caso dalla foresta, come quello dell’acqua:
l’Amazzonia ospita il 30 per cento del bacino acquifero di tutto il Brasile. Il
terzo aspetto riguarda il supporto alle associazioni locali e alle persone che
rischiano ogni giorno la vita nella difesa della foresta. Pensiamo, ad esempio,
ai casi di Chico Mendes e di Dorothy
Stang. Purtroppo ce ne sono centinaia di casi di
persone la cui vita viene sacrificata proprio a causa
dei grandi interessi che si muovono in questa regione.
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OPERA,
OPERETTA E MUSICHE ETNICHE IN CARTELLONE
AL
XXII FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MEZZA ESTATE DI TAGLIACOZZO,
IN
PROGRAMMA DAL 30 LUGLIO AL 20 AGOSTO
Musica, danza e teatro sono i protagonisti del XXII
Festival internazionale di Mezza Estate di Tagliacozzo,
che si inaugura il prossimo 30 luglio nella cittadina abruzzese, che sorge nel
cuore della Marsica. Molti gli appuntamenti per questa
originale festa delle arti e dello spettacolo, che si concluderà il 20 agosto.
Il servizio di Luca Pellegrini.
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Trenta appuntamenti e molte novità. Risponde ad una
precisa fisionomia il cartellone del Festival, ogni anno allestito con
particolare attenzione agli spettacoli in prima assoluta, molti provenienti
anche dall’estero. Basti pensare al Balletto nazionale della Mongolia che il 5
agosto si esibirà in una fantasiosa rassegna di danze nazionali e suite corografiche, molte delle quali
legate all’ambiente ed alle tradizioni religiose di quel lontano paese. Inoltre,
il famoso Teatro La Mama di New York porterà il 6
agosto uno spettacolo dal titolo “Tam Tam Tabù”, mettendo il pubblico a
contatto con altre tradizioni e costumi, ma questa volta dell’Africa, ossia
quelli del Rwanda e del Burundi. Molto interesse, infine, per l’opera e
l’operetta, con la prima ripresa moderna, il 31 luglio, della commedia lirica
in tre atti “Madonna Oretta”, composta nel 1932 dal compositore abruzzese Primo
Riccitelli. Una riscoperta che sarà preceduta da un
convegno di studi sulla figura del poco noto musicista e dei suoi molti anni
trascorsi in America. I motivi di questa scelta e l’importanza di Riccitelli nel panorama del melodramma italiano del Novecento
ci vengono spiegati dal direttore artistico del
Festival, il maestro Lorenzo Tozzi:
R. – La personalità di Riccitelli
è una personalità abbastanza complessa, ricca e ancora abbastanza
misconosciuta; se pensiamo che delle molte opere che ha scritto, come presenza
nella discografia c’è soltanto “I Compagnacci”. E’ un
musicista interessante che viene dal filone mascagnano,
in qualche modo, perché è stato allievo di Mascagni e
anche compagno di studi di Zandonai, a Pesaro. Ma ha
scritto tantissime opere di carattere diverso, da opere drammatiche ad opere,
invece, come “Madonna Oretta” che sono comiche. Tra l’altro, è un’opera
abbastanza interessante perché si colloca nel tentativo, aperto da Puccini con il “Gianni Schicchi”
nel 1917, di recuperare quell’opera comica che aveva
avuto tanta fortuna nel Settecento fino a Rossigni, fino al “Don Pasquale” di Donizetti. L’opera è interessante: noi la proponiamo in
forma di concerto, però credo che intorno si crei un certo interesse. E’
un’opera romana, un’opera che ha debuttato al Teatro dell’Opera, ma soprattutto
è interessante perché ripropone in qualche modo la Firenze cinquecentesca, la
Firenze dei “calen di maggio”… La cosa interessante
che noi proponiamo, quasi una accanto all’altra, poi, dello
stesso 1932, è anche il “Ballo al Savoy” che è
un’operetta di Paul Abraham, l’ungherese trapiantato
a Vienna e quindi vediamo come negli anni Trenta ci si divertiva in Italia e
fuori d’Italia.
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27 luglio 2006
SI È APERTA DISCUTENDO DI VITA, FAMIGLIA ED
EDUCAZIONE,
L’81.MA ASSEMBLEA PLENARIA
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE COLOMBIANA.
MONS. LUIS AUGUSTO CASTRO QUIROGA: SONO PRINCIPI NON NEGOZIABILI
BOGOTÀ. = La vita, la famiglia e l’educazione sono temi non
negoziabili. Lo ha detto mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e
presidente della Conferenza episcopale colombiana, inaugurando lunedì scorso
l’81.ma Assemblea plenaria.
Il presule, scrive l’agenzia Fides, ha parlato anche della depenalizzazione
dell’aborto di cui si sta discutendo in questi mesi in Colombia. Mons. Castro Quiroga ha
puntualizzato la necessità di far capire ai fedeli che una pratica apertamente
immorale, perché contro la vita degli innocenti, non diventa con una decisione
giuridica un’azione morale retta. L’aborto, ha spiegato il presule, è sempre un
atto contrario alla legge di Dio. Sulla proposta di legge a favore degli omosessuali,
il presidente della Conferenza episcopale ha ricordato che
CINA:
PENE PIÙ DURE PER CHI RICORRE ALLA TORTURA NELLE CARCERI
O NASCONDE DISASTRI. DA IERI IN VIGORE NUOVE LEGGI PENALI CHE SPECIFICANO
I DIVERSI TIPI DI REATI CHE SI POSSONO
DEFINIRE COME DI ABUSO DI POTERE
PECHINO. = Sarà punito in Cina il ricorso alla tortura
negli interrogatori in carcere. Lo prevedono le nuove leggi penali approvate
ieri dal governo. Per i funzionari governativi, scrive l’agenzia Asianews, scatterà l’incriminazione penale qualora venga provato l’uso di sevizie nei confronti di persone
inquisite. Ma le stesse conseguenze scatteranno per quanti cercheranno di
nascondere le reali dimensioni di disastri minerari. Sono solo due esempi
tratti dalle dozzine di norme che sanzionano l’abuso di potere commesso da funzionari
centrali e locali. La nuova normativa definisce “crimine grave” la tortura dei
sospettati, ma anche la copertura da parte delle autorità sanitarie delle reali
dimensioni delle epidemie o dell’inquinamento locale. Sono state rese note
anche le torture configurate come reato: tra queste, i maltrattamenti, la
violenza fisica di ogni tipo e il lasciare senza cibo i detenuti. Con la
specificazione dei singoli reati cambia dunque l’impianto normativo: prima,
infatti, la legge puniva “i metodi brutali” senza specificarli e i funzionari
accusati di tali crimini potevano usufruire di diverse scappatoie legali. Per i
pubblici ministeri, adesso, le nuove disposizioni permetteranno alla giustizia
di rendere più dure le accuse contro quanti sbagliano
nell’esercizio del loro ufficio. I crimini collegati all’uso scorretto dei
poteri governativi, con l’entrata in vigore del nuovo testo di legge, sono ora
220. “Alcuni articoli dei vecchi regolamenti – ha spiegato Wang
Zhenchuan, vice procuratore generale – erano troppo vaghi
ed i crimini cui si riferivano non venivano
effettivamente sanzionati”. (T.C.)
SONO OLTRE MEZZO MILIONE I RIFUGIATI IN TANZANIA.
PROVENGONO PER LO
PIÙ DA BURUNDI, RWANDA,
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO E SOMALIA
DAR ES SALAAM. = In Tanzania, si trovano ancora più di 530
mila rifugiati. A rivelare il dato è il vicepresidente degli Affari interni, Bernard Membe, che ha illustrato
al Parlamento i numeri di un nuovo rapporto annuale sui profughi all’interno
del Paese. Le persone attualmente ospitate in territorio tanzaniano, scrive
l’agenzia MISNA, provengono prevalentemente da Burundi, Ruanda, Repubblica
Democratica del Congo e Somalia. Tutti questi Paesi,
negli ultimi dieci anni, sono stati teatri di guerre e violenze che hanno
provocato la fuga di migliaia di individui. Gli accordi di pace raggiunti in
Burundi e il successo delle elezioni generali che sono seguite all’intesa nel
2005 hanno portato al rientro in patria di quasi 200 mila rifugiati burundesi, mentre sono 20 mila quelli di altre nazionalità.
Poco meno di 20 mila è il numero dei congolesi
rimpatriati negli ultimi mesi, nonostante, lo scorso anno, un accordo tra Alto
Commissariato delle Nazioni Unite e Tanzania ne aveva previsto il ritorno di
150 mila. Dopo le elezioni che si terranno domenica prossima nell’ex-Zaire, oggi Repubblica Democratica del
Congo, si ritiene che molti dei congolesi
presenti in Tanzania faranno ritorno nel loro Paese. (A.Gr.)
LE
SOLENNITÀ DELL’ANNO LITUGIRGICO, A PARTIRE DALL’AVVENTO,
SARANNO
CELEBRATE IN INGHILTERRA E GALLES LA DOMENICA.
LA
DECISIONE DELL’EPISCOPATO CATTOLICO PER FACILITARE
LONDRA. = Per promuovere la celebrazione del ritmo
dell’anno liturgico e celebrare con maggiore profondità i misteri della vita e
della missione del Signore, l’episcopato cattolico di Inghilterra e Galles ha
deciso di trasferire alla domenica quei giorni di
precetto che sono solennità del Signore (tranne il giorno di Natale). A
comunicarlo, riferisce l’agenzia ZENIT, è la ‘Catholic
Communications Network’,
l’ufficio per i rapporti con i media della Conferenza
episcopale cattolica di Inghilterra e Galles. “Ciò significa – ha detto il
cardinale Cormac Murphy-O’Connor,
arcivescovo di Westminster e presidente della
Conferenza episcopale – che l’Epifania, l’Ascensione del Signore e il Corpus Christi ora si celebreranno la domenica”. I presuli inglesi
auspicano che questa decisione offra ai fedeli un’opportunità per approfondire,
attraverso la catechesi e la celebrazione, la loro fede e comprensione dei
misteri della vita di Cristo. I cambiamenti avranno effetto dalla prima
domenica di Avvento di quest’anno, il 3 dicembre. La decisione dell’episcopato
è stata confermata dalla Santa Sede il 13 luglio scorso. Il cardinale Cormac Murphy-O’Connor ha
sottolineato che altri giorni di precetto – la festa di San Pietro e Paolo,
l’Assunzione della Vergine Maria e la festa di Tutti i Santi – verranno celebrati senza subire alcun cambiamento di data.
Ad eccezione del giorno di Natale, è uso, in Inghilterra e Galles, che quando
questi giorni cadono di sabato o di lunedì vengono
trasferiti la domenica, ha dichiarato il porporato. Il calendario liturgico dei
giorni di precetto in Inghilterra e Galles è disponibile sul sito
www.liturgyoffice.org.uk/Calendar/Holydays.html.
(T.C.)
I
BAMBINI CONOSCONO
A RIVELARLO È UNO STUDIO
EFFETTUATO SUL VIDEOGIOCO “THE BIBLE GAME”
ROMA. = Sei bambini su dieci sanno che è stato
il serpente ad aver tentato Eva nel Paradiso terrestre. Il dato emerge da una
ricerca condotta da Halifax (Gruppo Digital Bros), dopo l’uscita a Natale del videogioco “The Bible Game”, realizzata attraverso alcuni focus group su circa 150 bambini
di età compresa tra i 6 e i 12 anni. Il videogame comprende un trivial-quiz
con oltre 1.500 domande e una serie di minigiochi per condividere e imparare le
basi della religione in maniera divertente. Chi affronta i quesiti deve sapere
ad esempio quanti anni visse Adamo, chi profetizzò che Gesù sarebbe stato
venduto per 30 denari, quanto tempo Giona visse nel ventre della Balena. Dodici minigiochi in modalità multi-giocatore
(si può giocare sino a quattro persone contemporaneamente), invece, costringono
ad una corsa all’ultimo respiro per aiutare Noè a trovare coppie di animali da
portare sull’Arca; ad affrontare una gara nel lancio di pietre per abbattere
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27 luglio 2006
- A cura di Roberta Moretti -
Ancora una mattinata di sangue
in Iraq. Almeno 31 persone, tra cui molte donne e bambini, sono rimaste uccise
e oltre 100 ferite per l’esplosione di un’autobomba, seguita da una serie di
proiettili da mortaio, in un quartiere commerciale nel centro di Baghdad. Distrutti due edifici. Sempre
nella capitale, 4 guardie di sicurezza sono state uccise, fuori
da una moschea sunnita, da colpi d’arma da
fuoco sparati da un’auto. Intanto, è stata fissata per il 16 ottobre
la sentenza finale del processo a carico dell’ex rais, Saddam
Hussein, e di sette suoi gerarchi per la strage di Dujail del 1982, in cui morirono
148 civili sciiti. Gli imputati, lo ricordiamo, rischiano la pena di morte.
Infine, ha creato numerose polemiche l’intervento, ieri a Washinghton,
del premier iracheno, Al Malìki, davanti al Congresso
americano. Riferendosi alla grave situazione in Libano, deputati e senatori
democratici gli hanno rimproverato di non aver condannato Hezbollah.
Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Il capo dell’Esecutivo di Unità Nazionale è uno sciita e
ha denunciato le azioni di Israele, chiedendo il cessate-il-fuoco immediato. Così si è allineato sulle
posizioni dell’Iran, invece che degli Stati Uniti, dando l’impressione che
l’influenza degli ayatollah nel suo Paese sia più forte di quella degli
americani. Ieri, Al Maliki ha cercato di fugare
questi sospetti con il suo discorso al Congresso. “So che alcuni di voi – ha
detto – dubitano che l’Iraq sia parte della guerra al terrore. Ma questa è una
battaglia fra il vero Islam, per il quale la libertà e i diritti di una persona
rappresentano una pietra angolare, e il terrorismo, che si avvolge nel mantello
di una falsa fede religiosa”. Queste parole non hanno, però, impedito il boicottaggio
di Al Maliki da parte di
alcuni parlamentari dell’opposizione democratica, che rimproverano al
presidente Bush di aver consegnato l’Iraq
all’influenza dell’Iran. Secondo la teoria dell’amministrazione, la guerra
contro Saddam serviva a creare una democrazia nel
cuore del Medio Oriente, che avrebbe fatto da esempio per tutta la regione,
avviando un circolo virtuoso di riforme. Allo scoppio della prima crisi in
Libano, però, il capo del nuovo governo di Baghdad ha scelto di schierarsi
contro Israele e con Hezbollah, anche se poi il
ministro degli Esteri ha cambiato posizione. Questo avviene
mentre sul terreno continuano le violenze che hanno spinto Bush ad aumentare il numero dei soldati americani a
Baghdad. Ma ora il Pentagono rischia di scontrarsi proprio con la milizia del
leader religioso sciita al Sadr.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Sono tutti morti i 16 passeggeri dell’elicottero civile schiantatosi
ieri pomeriggio nell’Est dell’Afghanistan. Lo ha reso noto stamani un portavoce
delle forze di coalizione, precisando che tra le vittime ci sono anche due
soldati olandesi dati ieri per dispersi. Non è ancora chiaro perché
l’elicottero – un velivolo civile che da Kabul stava andando a Khost, sorvolando la regione montagnosa della provincia di Paktya – si sia schiantato al suolo. Fonti locali hanno
sottolineato che le condizioni meteorologiche erano cattive.
Schiarita nella crisi tra Sudan
e Ciad che nei mesi scorsi aveva preoccupato non poco
la diplomazia africana. Ieri a N’Djamena è stato infatti raggiunto un accordo per un nuovo corso nelle relazioni
tra i due Paesi. Il servizio di Giulio Albanese:
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La situazione era precipitata lo scorso aprile
quando il presidente ciadiano, Idris Debi, aveva accusato il
regime sudanese di Omar Hassan Al-Beshir,
di finanziare ed appoggiare milizie antigovernative ciadiane
con l’intento di rovesciare il suo governo. Non solo Karthum
aveva respinto le accuse, ma di fatto le relazioni
diplomatiche parevano irrimediabilmente compromesse con il rischio di un’ennesima
guerra nella regione. Sia il governo ciadiano che
quello sudanese, si sono impegnati ieri a collaborare reciprocamente ribadendo
per altro quanto scritto in un precedente accordo siglato nel febbraio scorso,
per monitorare e garantire la sicurezza nella zona di confine, per evitare che
formazioni ostili ai due Paesi, presenti lungo la linea di confine che ha per
epicentro la tormentata regione del Darfur, possano destabilizzare il processo di pacificazione
nell’intera regione.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Un importante accordo è stato raggiunto stamani nella
Repubblica democratica del Congo tra il governo e il
Movimento Rivoluzionario Congolese, l’ultimo gruppo
armato attivo nella martoriata provincia nord-orientale dell’Ituri, perché gli elettori della regione possano recarsi
alle urne domenica prossima per le elezioni generali. Non sono ancora completamente
chiari i contenuti dell’intesa che, secondo alcune fonti, dovrebbe anche prevedere
un’amnistia per i crimini di guerra, l’avvio del processo di integrazione del
MRC nel nuovo esercito nazionale congolese e la
cessazione definitiva delle ostilità. Intanto, per scongiurare il pericolo di
frodi elettorali, la Chiesa congolese ha preparato 5
mila osservatori che saranno attivi in tutto il Paese.
Si terranno il prossimo 28 settembre le elezioni
presidenziali e parlamentari nella Zambia. Lo ha
annunciato ieri sera, in un discorso alla nazione trasmesso dalla televisione
di Stato, il presidente del Paese sudafricano, Levy Mwanawasa, dichiarando al contempo lo scioglimento del
parlamento e del governo. L’annuncio è arrivato dopo un braccio
di ferro legale durato alcuni giorni e iniziato col ricorso depositato di
fronte all’Alta Corte del Paese dall’associazione degli avvocati zambiani (LAZ).
La Costituzione della Zambia, infatti, prevede che la
data del voto sia annunciata dalla Commissione elettorale indipendente e non
dalla presidenza, che, alla luce della decisione di Mwanawasa
di presentarsi per un secondo mandato consecutivo, è una delle parti in causa.
Ieri mattina, però, l’Alta Corte di Lusaka ha
rigettato la richiesta della LAZ, dando la possibilità al presidente di fissare
la data delle elezioni.
L’ex presidente del Malawi, Bakili Muluzi, è stato arrestato questa mattina con l’accusa di
corruzione. Muluzi è stato prelevato nella sua casa di Blantyre e trasportato negli uffici della Agenzia
anti-corruzione (ACB), per essere interrogato in merito ad alcune transazioni
finanziarie sospette effettuate durante la sua presidenza. Un portavoce del
Fronte Democratico Unito (UDF), il partito di Muluzi,
ha definito il fermo come una mossa attesa, perché parte di una “persecuzione
politica”.
I 149 Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio
(WTO) hanno approvato tacitamente la sospensione sine die dell’agenda di Doha,
approvata nel 2001 con l’obiettivo di raggiungere accordi
per la liberalizzazione nel settore dei servizi, dell’agricoltura e
dell’industria a
favore dei Paesi poveri. Lo hanno reso noto fonti diplomatiche
a Ginevra, dove ha avuto luogo stamani la riunione del Consiglio Generale del
WTO. Lunedì, dopo il fallimento dell’incontro dei rappresentanti
del G6, che comprende i Paesi con maggiori interessi nel negoziato (Stati
Uniti, Unione Europea, Giappone, Australia, Brasile e India), sulla
questione-chiave dei sussidi statali all’agricoltura, il direttore generale del
WTO, Pascal Lamy, aveva
minacciato la sospensione definitiva dei negoziati di Doha.
L’Unione Europea stipulerà un
Trattato di amicizia e cooperazione con l’ASEAN, l’Associazione delle nazioni
dell’Asia sud-orientale, riunita in questi giorni a Kuala
Lumpur, in Malaysia: lo ha annunciato stamani l’Alto
rappresentante per la Politica Estera dell’UE, Javier
Solana, presente all’incontro. Intanto, è giunto in
Malaysia anche il
segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, per discutere di sicurezza internazionale. Di Medio Oriente,
invece, parleranno il ministro degli Esteri iraniano, Mottaki,
che giunge oggi al vertice, e il suo omologo malaysiano, Syed
Hamid Albar.
L’aviazione cingalese ha ripreso stamani i bombardamenti,
iniziati ieri sera, contro le postazioni dei ribelli delle ‘Tigri per la liberazione
della patria Tamil’ (LTTE) nei pressi di Trincomalee, nel nordest dello Sri Lanka.
Secondo un portavoce del governo, si tratta di un’operazione di appoggio alle
truppe di terra che stanno scortando un team di ingegneri per liberare la rete di
irrigazione occlusa dai ribelli. Non ci
sono resoconti ufficiali su eventuali vittime o danni, mentre fonti locali
parlano di due morti tra i civili e la distruzione di due case nella giornata
di ieri.
Preoccupazione internazionale
per la tensione crescente in Georgia. Una donna è morta e diversi soldati di Tblisi sono rimasti feriti nel corso di scontri tra
l’Esercito e gruppi ribelli lungo la gola di Kodori, che divide la
Georgia dall’Abkazia. La Russia, garante
insieme all’ONU di misure che impediscano l’ingresso di gruppi armati in Abkazia, ha parlato di un “nuovo conflitto” che si sta
svolgendo alla frontiera.
In Turchia, un soldato è morto
e altri due sono rimasti feriti stamani per l’esplosione di una mina antiuomo
piazzata dai ribelli del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) nella
provincia sud-orientale di Bingöl. Secondo fonti della
sicurezza, l’esplosione si è verificata nel corso di un’operazione di
pattugliamento in una zona rurale vicino alla città di Genç.
Il PKK ricorre spesso a mine antiuomo nella sua lotta contro le forze di
sicurezza turche.
Il Parlamento bulgaro ha fissato, stamani, per il prossimo
22 ottobre le elezioni presidenziali nel Paese. I maggiori partiti della
Bulgaria, che aspira a entrare nell’Unione Europea l’anno prossimo, non hanno
ancora nominato ufficialmente i loro candidati. Secondo gli analisti, il
presidente in carica, Georgi Parvanov,
49 anni, avrebbe buone chance di ottenere un secondo mandato. Il suo quinquennato si chiuderà nel gennaio prossimo.
In Italia, ‘sì’
della Camera al provvedimento sull’indulto. Il testo, su cui è stata raggiunta la
maggioranza dei 2/3 richiesta dalla Costituzione, ora passa al Senato. Intanto,
il governo italiano ha chiesto la fiducia, in Senato, sul provvedimento
riguardante le missioni all’estero e, in particolare, sull’art. 2, che riguarda
l’impegno della forza italiana in Afghanistan.
Sono salite a 83 le vittime del caldo torrido in California,
negli Stati Uniti, dove, per il decimo giorno consecutivo, le temperature hanno
toccato i 38 gradi. Comunque, nonostante i decessi siano più che raddoppiati
nelle ultime 48 ore, ieri le temperature sono lievemente scese e i consumi di
energia hanno allontanato la prospettiva del livello d’allarme
3, che comporta parziali blackout
pilotati. Il lieve miglioramento della situazione dovrebbe protrarsi nella fine
settima.
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