RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 206  - Testo della trasmissione di martedì 25 luglio 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Da due settimane il Papa in Valle d’Aosta per un periodo di riposo, caratterizzato dalla costante preghiera per la pace in Medio Oriente: ai nostri microfoni Salvatore Mazza

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

E’ giunta “l’ora per un nuovo Medio Oriente”: lo ha detto il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, incontrando a Gerusalemme il premier israeliano, Olmert. Preparativi a Roma per la conferenza di pace di domani. La testimonianza di Pascal, fuggito dal Libano

 

Sostenere l’aspetto educativo e non solo quello umanitario nella Chiesa e della società africana: un obiettivo della prossima Conferenza di pace per la Regione dei Grandi Laghi. Ce ne parla padre Claudio Marano

 

Un provvedimento di compromesso che va contro il principio di tutela della vita: la posizione della Chiesa sul varo del programma europeo di ricerca europea per le cellule staminali, varato ieri. Ai nostri microfoni, l’arcivescovo Elio Sgreccia

 

La Chiesa ricorda oggi San Giacomo apostolo: grandi festeggiamenti in Spagna per il suo patrono, ancora oggi maestro di spiritualità lungo i celebri pellegrinaggi compostelani. Ce ne parla Lele Viola

 

Salvare “i bambini stregoni” della Repubblica Centrafricana attraverso l’accoglienza in famiglie del posto: è il progetto promosso da suor Elvira Tutolo, responsabile del Centro culturale cattolico della città di Berberati, ai nostri microfoni

 

CHIESA E SOCIETA’:

Sono i bambini le vittime più numerose del conflitto nella repubblica democratica del Congo. Secondo un Rapporto dell’UNICEF, presentato oggi a Londra, ne muoiono 600 ogni giorno

 

Crescono a 15 in Angola le Province colpite dal colera. L’epidemia ha raggiunto ora anche Kuando Kubango, dove sono stati registrati 48 pazienti e 6 decessi

 

Un nuovo reparto di medicina per l’Università di Butembo, nel nord della repubblica democratica del Congo: la donazione della fondazione “Merk Sharp & Dome” promossa dal cardinale Fiorenzo Angelini

 

Corea del Sud: al vaglio del governo, dopo tre anni di lavoro della Commissione nazionale per i diritti umani, a bozza di legge sulla discriminazione. Venti i criteri base proposti per individuare gli atti da sanzionare

 

La diocesi delle Canarie propone un “vocabolario delle parole religiose” on line per supplire alla mancanza di conoscenza di concetti riguardanti la religione

 

24 ORE NEL MONDO:

Anche in Iraq, 13 morti stamani in nuovi episodi di violenza. Stasera alla Casa Bianca il premier iracheno, al Maliki, incontra il presidente americano, Bush

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

25 luglio 2006

 

 

DA DUE SETTIMANE IL PAPA IN VALLE D’AOSTA PER UN PERIODO DI RIPOSO,

CARATTERIZZATO DALLA COSTANTE PREGHIERA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE

- Con noi, Salvatore Mazza -

 

Prosegue il periodo di riposo di Benedetto XVI a Les Combes. Il Papa si tratterrà in terra valdostana ancora per alcuni giorni. La partenza è infatti prevista per venerdì prossimo, quando il Santo Padre si trasferirà a Castel Gandolfo. Sono dunque trascorse due settimane da quando il Papa è arrivato in Valle d’Aosta. Un periodo dedicato allo studio, al riposo, ma soprattutto caratterizzato da una costante preghiera per la pace in Medio Oriente. A sottolinearlo è l’inviato di Avvenire, Salvatore Mazza, raggiunto telefonicamente a Les Combes da Alessandro Gisotti:

 

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R. – E’ stato un periodo segnato drammaticamente dalle notizie che arrivano dal Medio Oriente; un giorno, incontrando i giornalisti, che gli chiedevano a che cosa stesse lavorando, il Papa ha detto: “Ero venuto per lavorare su un libro, ma, insomma, è meglio non parlarne, non si sa quando si potrà fare… lasciando la frase un po’ in sospeso, ma facendo capire che molto probabilmente ha dovuto trascurare gran parte del programma che si era prefissato proprio per l’incalzare di una situazione così drammatica. Tra l’altro, abbiamo visto che in tutti i posti dove si è recato privatamente e poi negli appuntamenti pubblici degli Angelus, il tema del Medio Oriente è sempre stato presente, costante nelle sue preoccupazioni.

 

D. – Peraltro, il Papa ha avuto modo anche di incontrare, in questi giorni, suoi iportanti collaboratori…

 

R. – Sì. Durante la prima domenica che ha trascorso qui, è arrivato il cardinale arcivescovo di Torino, Severino Poletto, mentre ieri ha fatto una breve visita il cardinale Tarcisio Bertone - futuro segretario di Stato dal 15 settembre prossimo - che si è fermato a pranzo. Il cardinal Bertone – va detto anche – è un po’ di casa, qui, a Les Combes, perché essendo salesiano conosce molto bene tutto il complesso all’interno del quale sorge lo chalet che ospita il Papa. Ci sono stati degli incontri di lavoro anche con il nuovo direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi … insomma, non sono mancati gli impegni, direi.

 

D. – Il Papa venerdì lascia Les Combes, lascia la Valle d’Aosta per trasferirsi a Castel Gandolfo. Certo, si può dire che sono stati giorni in cui il Papa ha mostrato questo afflato per la pace nella bellezza della natura che lo circonda. E fra l’altro anche in questo ambito ha avuto parole molto belle, molto profonde…

 

R. – Sì, un giorno ha detto: “Proprio stare in mezzo a tanta bellezza rende più acuto il senso di sofferenza per tutti quelli che si trovano in una situazione tragica”. Direi che, in questi giorni, il Papa ha potuto godere pienamente di una natura meravigliosa e tra l’altro si ha l’impressione che il Papa sia tornato qui per il secondo anno molto contento di trovarsi in Valle d’Aosta. Una terra così accogliente e così discreta, gelosa della privacy del suo ospite più illustre. L’anno scorso ci poteva essere qualche “sospetto”, sapendo che il Papa, quando era cardinale, usava frequentare più le Alpi orientali di quelle occidentali. Ma se l’anno scorso – dicevo – poteva esserci il sospetto che il Papa fosse venuto qui anche, in qualche modo, per un gesto di cortesia per questa valle che aveva ospitato per tanti anni Giovanni Paolo II, l’impressione è che quest’anno sia tornato molto contento, perché si era davvero trovato bene…

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - L'accorata invocazione di Benedetto XVI per la pace in Medio Oriente elevata nel corso del "Momento di preghiera" nella chiesa parrocchiale di Rhemes-Saint Georges.

 

Servizio estero - Sempre in riferimento alla situazione mediorientale un articolo in cui si sottolinea che la diplomazia non si arrende all'orrore della guerra.

Condoleeza Rice a colloquio con Olmert definisce la strategia della Casa Bianca in attesa del summit a Roma.

 

Servizio culturale - Un articolo di Giovanni Marchi dal titolo "Morire a 94 anni inseguendo una farfalla": ricordo di Georges Bernard Shaw nel 150 della nascita.

Per l' "Osservatore libri" un articolo di Danilo Veneruso dal titolo "Da sotto le macerie la vita è rinata grazie anche al coraggio delle donne" in merito al volume "La guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-1945" di Gabriella Gribaudi.

 

Servizio italiano - In evidenza un articolo dal titolo "Staminali: il macabro prodotto di un malinteso senso del progresso".

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

25 luglio 2006

 

 

 

E’ GIUNTA “L’ORA PER UN NUOVO MEDIO ORIENTE”:

LO HA DETTO IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO, CONDOLEEZZA RICE,

INCONTRANDO A GERUSALEMME IL PREMIER ISRAELIANO, EHUD OLMERT,

CHE ANNUNCIA MISURE PIÙ SEVERE CONTRO GLI HEZBOLLAH

 

Si intensificano gli sforzi per un cessate-il-fuoco in Libano, mentre sale a 390 il numero delle persone uccise nel Paese dei Cedri dopo due settimane di conflitto tra i soldati israeliani e gli Hezbollah. I guerriglieri sciiti hanno lanciato stamani16 razzi su Haifa, provocando il ferimento di almeno 25 persone. Il governo israeliano ha annunciato, intanto, che gli aiuti per la popolazione libanese arriveranno all’aeroporto della capitale libanese. Da segnalare, poi, che a Gerusalemme si sono incontrati il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ed il premier israeliano, Ehud Olmert. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Incontrando il premier israeliano, Condoleezza Rice ha detto che è arrivata “l’ora per un nuovo Medio Oriente”. Per cambiare pagina e gettare le fondamenta per una “pace duratura” nella regione, bisogna trovare, secondo la Rice, una soluzione definitiva e non un accordo per una tregua provvisoria. Bisogna impedire – ha sottolineato la Rice - che si torni alla “precedente situazione”. Nella situazione attuale, invece, non è ancora possibile per il premier israeliano rinunciare alle azioni militari: Israele – ha precisato Olmert invocando il diritto dello Stato ebraico all’autodifesa - non esiterà ad adottare “misure più severe” contro la guerriglia libanese. Israele – ha aggiunto – è determinato a continuare la sua lotta contro gli Hezbollah e non contro il governo o il popolo libanese. Il primo ministro ha anche ammesso che gli attacchi israeliani hanno creato delle “difficoltà umanitarie” e ha promesso la cooperazione del suo governo con gli Stati Uniti per arrivare ad una soluzione. Ma le condizioni per una tregua non sembrano ancora trovare un punto di incontro tra Israele e Libano: Olmert ha ribadito, stamani, che le condizioni israeliane sono il dispiegamento dell’esercito libanese nel sud del Paese ed il disarmo degli Hezbollah. La Rice ha chiesto, ieri, il rilascio dei due soldati israeliani sequestrati dai guerriglieri libanesi e il ritiro più a nord dei miliziani sciiti. Gli Hezbollah insistono, invece, per uno scambio di prigionieri. Il presidente del Parlamento libanese, che ha respinto la proposta della Rice giudicandola “inaccettabile” ed “un pericolo per l’unità del Libano”, aveva anche avanzato, ieri, un pacchetto di proposte chiedendo il ritiro israeliano dalla zona contesa delle Fattorie di Sheeba, al confine fra Libano, Siria ed Israele. La difficile situazione libanese e soprattutto la crisi nei Territori palestinesi, dove stamani un nuovo raid israeliano ha causato il ferimento di otto persone, è al centro infine dell’incontro, iniziato poco fa a Ramallah, tra Condoleezza Rice ed il presidente palestinese, Abu Mazen. Durante il colloquio, la signora Rice ha detto che la regione mediorientale “ha bisogno di una pace sostenibile”.

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E intanto a Roma si tiene oggi una conferenza stampa in vista della Conferenza internazionale sul Libano, in programma domani nella sede del Ministero degli Esteri. Ascoltiamo il nostro inviato alla Farnesina, Giancarlo La Vella:

 

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“Ultime ore per la messa a punto della Conferenza ospitata dal Ministero degli Esteri italiano, a cui tutta la comunità internazionale guarda con la speranza che venga tracciata una via decisiva alla tregua in Libano, obiettivo impellente dopo due settimane di sanguinosi scontri. Primo fra tutti, il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, già arrivato stamane nella capitale, prima di partire ha auspicato che dall’incontro di Roma escano proposte concrete: in pratica, un immediato cessate-il-fuoco e l’organizzazione di una forza internazionale che vigili e favorisca il mantenimento della pace. Grande l’interesse per il vertice di domani: 500 i giornalisti accreditati da tutto il mondo, anche sette cinesi, per sapere cosa uscirà fuori dal confronto tra i ministri degli Esteri di 15 Paesi, tra cui Libano, Stati Uniti, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Giordania e l’Italia, Paese ospitante. Cinque gli organismi multilaterali rappresentati: l’ONU, la Banca Mondiale, l’Unione Europea presente con l’alto responsabile per la Sicurezza, Solana, la Commissione europea e la presidenza di turno finlandese. La Conferenza, è stato detto nel briefing odierno, non vuole essere un punto d’arrivo nella difficile crisi mediorientale, ma un forum di dialogo e di confronto per rilanciare ipotesi per una soluzione della grave crisi in atto. Fondamentali i temi in agenda: la crisi umanitaria e l’afflusso degli aiuti, la verifica delle condizioni politiche per una possibile tregua e le iniziative per il possibile raggiungimento e mantenimento della pace. Infine, la ricostruzione delle aree colpite dal conflitto. Allargamento, quindi, della visuale a tutta l’area mediorientale, per una soluzione delle altre crisi attraverso soluzioni stabili, condivise e sostenibili. Insomma, da Roma non giungeranno risposte definitive sul conflitto israelo-libanese, ma di sicuro ci si attende la messa in moto di un processo che porti quanto prima alla pace.

 

Dal Ministero degli esteri italiano, Giancarlo La Vella, Radio Vaticana.

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E in Libano, dove la situazione è sempre più critica, aumenta il numero di quanti cercano di abbandonare il Paese: dall’inizio delle operazioni militari israeliane, sono più di centomila i cittadini libanesi che hanno trovato rifugio in Siria e migliaia gli stranieri rimpatriati nei rispettivi Paesi. Ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco la testimonianza di Pascal, libanese con cittadinanza italiana, arrivato la settimana scorsa in Italia dopo un estenuante viaggio:

 

 

 

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R. – Io ero un uomo adulto e solo; il viaggio è stato stancante. C’erano nel mio gruppo donne sole con bambini. Comunque, devo dire che l’ambasciata italiana è stata molto tempestiva e molto efficiente, tra le prime ad attivarsi. Il viaggio è stato faticoso: alle cinque del mattino, siamo andati con un convoglio di autobus fino al porto dove ci siamo imbarcati su una nave militare; quindi, siamo arrivati a Cipro. Lì c’era l’unità di crisi che ci aspettava. Poi, con dei voli civili ci hanno portato a Roma. Il viaggio è durato 25 ore.

 

D. – E quando sei partito, quale Libano hai lasciato?

 

R. – Purtroppo, un Libano paralizzato, distrutto a livello di infrastrutture. Per l’ennesima volta, i libanesi pensavano che l’esperienza della guerra fosse un dramma concluso. Pensavano che il Paese si stesse riprendendo ed, invece, è scoppiato questo nuovo conflitto.

 

D. – A parte le posizioni specifiche degli israeliani e degli Hezbollah, qual è la percezione della popolazione libanese di questo conflitto?

 

R. – C’è in Libano una unione, anche se non c’è un consenso. Per quello che c’è stato, sia da parte degli Hezbollah sia da parte di Israele, non c’è il consenso della popolazione. Però adesso, a livello umanitario, tutti i libanesi sono uniti. Nella maggior parte, fino a due terzi dei libanesi considerano non giusta l’azione degli Hezbollah contro Israele.

 

D. – Gli Hezbollah quale Libano rappresentano?

 

R. – Noi li consideriamo uno Stato dentro lo Stato: loro hanno finanziamenti enormi, hanno un arsenale molto più fornito di quello dell’esercito libanese. Rifiutano, poi, di applicare l’Accordo di Taif, in base al quale gli Hezbollah devono consegnare le armi e lasciare il controllo del sud del Libano all’esercito libanese. Si sono sempre rifiutati, sostenendo che Israele occupava il Sud. Ma nel 2000, le forze israeliane hanno lasciato la parte meridionale del Libano. Gli Hezbollah hanno comunque mantenuto le armi e sono rimasti nel sud.

 

D. – Cosa rappresenta la Siria, oggi, per i libanesi, soprattutto in questa situazione di conflitto?

 

R. – Due terzi della popolazione teme che la Siria possa tornare ed esercitare un’influenza ancora più forte in Libano; c’è poi un terzo dei libanesi per i quali questa ipotesi è una speranza: secondo i libanesi pro siriani, il Libano senza la Siria non ha futuro. Per me, questo è sempre stato il problema del Libano: molti pensano che noi libanesi non possiamo raggiungere risultati importanti da soli e che dobbiamo sempre appoggiarci a qualcuno al di fuori del Libano. E questo, secondo me, è lo sbaglio.

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SOSTENERE L’ASPETTO EDUCATIVO E NON SOLO QUELLO UMANITARIO

NELLA CHIESA E DELLA SOCIETA’ AFRICANA: UN OBIETTIVO

DELLA PROSSIMA CONFERENZA DI PACE PER LA REGIONE DEI GRANDI LAGHI

- Intervista con padre Claudio Marano -

 

La Chiesa del Burundi ricorda oggi l’arcivescovo Michael Courtney, il nunzio apostolico assassinato nel 2003. Sul luogo in cui fu colpito è stato inaugurato stamani un monumento, mentre alla sua memoria sarà dedicata la Conferenza internazionale della rete cattolica per l’edificazione della pace nella regione dei Grandi Laghi che si apre domani a Bujumbura. L’incontro, organizzato dalla Caritas statunitense e dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, vede la presenza di un centinaio di partecipanti provenienti da tutto il mondo, tra i quali Pax Christi e la Comunità di Sant’Egidio. Sugli scopi della Conferenza, Roberto Piermarini ha raggiunto telefonicamente nella capitale burundese il padre missionario Claudio Marano:

 

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R. – Si vuole insistere sulle Chiese locali, e specialmente su quelle del Burundi, del Rwanda e del Congo, al fine di collegarsi con le Chiese occidentali, con quelle del mondo intero per riuscire a lavorare un po’ più nell’ambito dell’educazione alla pace e della riconciliazione. Le Chiese africane sono spesso delle chiese che chiedono dei fondi per riuscire a sopravvivere e far sopravvivere le loro strutture. Qui si chiede, invece, un intervento a livello educativo. E’ un po’ come gli interventi che si fanno nei Paesi della guerra: l’umanitario prima o poi dovrà lasciare il posto all’educativo, perché altrimenti se non si mettono insieme, se non si riescono a far avanzare tutti e due, prima o poi tutti i vari problemi che hanno portato un Paese o l’altro alla guerra ritorneranno fuori.

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MINACCIA LA VITA DEGLI EMBRIONI UMANI IL PROGRAMMA DI RICERCA

SULLE CELLULE STAMINALI, VARATO IERI DALL’UNIONE EUROPEA

- Intervista con l’arcivescovo Elio Sgreccia -

 

E’ stato un via libera di compromesso, sia pure limitato da precise condizioni, quello dato ieri dal Consiglio competitività dell’Unione Europea alla ricerca sulle cellule staminali. Ad essere varato è stato il VII Programma quadro 2007-2013 che prevede, tra l’altro, il finanziamento dei progetti di ricerca sulle cellule staminali già esistenti, purché non ottenute dalla distruzione degli embrioni umani. Ma tale limitazione nasconde un compromesso inaccettabile per la Chiesa, afferma l’arcivescovo Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che spiega la natura del provvedimento approvato ieri, mettendone in risalto le contraddizioni. L’intervista è di Luca Collodi:

 

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R. – La decisione del Consiglio dei Ministri si esplicita in tre affermazioni. La prima dice che è vietato al ricercatore sopprimere l’embrione umano per trarne le cellule desiderate. La seconda affermazione, invece, dice che tale ricercatore – o altri ricercatori – possono ricorrere a linee cellulari prodotte da altri: altri che hanno, naturalmente, soppresso degli embrioni - che siano o no residui di fecondazioni artificiali, ma comunque embrioni vivi - e da essi hanno prodotto delle linee cellulari messo poi in commercio. Dunque, si stabilisce tra chi vende e prepara le linee cellulari e chi compra una coincidenza di interessi. Questa coincidenza di interessi naturalmente configura dal punto di vista etico una complicità, una collaborazione, come dicono i moralisti, che non è esente dalla partecipazione alla responsabilità di coloro che, per primi, hanno prodotto, sezionato gli embrioni e messe in commercio le loro cellule. La terza affermazione dice che si possono produrre dei protocolli di ricerca per il finanziamento volti ad utilizzare gli embrioni già congelati e non più impiantabili nell’utero della madre, previo accertamento della loro morte. Ora, sappiamo che per verificare la morte di questi embrioni congelati bisogna scongelarli e nello scongelarli alcuni di essi muoiono, ed è difficile, ancora non esiste una tecnica che possa fare la diagnosi di morte. Quindi, non si vede come si possa praticare questa strada senza provocare soppressioni di embrioni. Se l’embrione è quello che è, e cioè un essere umano, noi vediamo qua che queste tre affermazioni non sono in armonia tra di loro. Ecco perché i giornali – non soltanto quelli di tendenza cattolica come “Avvenire”, ma anche altri – hanno bollato di “ipocrisia”, ovvero di disarmonia, di contraddittorietà questa decisione.

 

D. – In sostanza, mons. Sgreccia, si scrivono delle linee di principio che apparentemente vogliono dire una cosa mentre poi in pratica significano altro …

 

R. – Sì. Io mi sento di fare a questo punto alcune considerazioni di ordine etico e, se si vuole, anche di ordine etico-politico. La prima è che, per questa strada, non è salvaguardato il diritto alla vita di questi embrioni. E che l’Europa, in un Parlamento di questo genere, venga meno al riconoscimento di questo primordiale diritto - il primo di tutti gli altri, il diritto alla vita - è un fatto grave. Come è grave la legislazione che autorizza la strumentalizzazione dell’essere umano, sulla base dell’“io uccido te per trarne dei vantaggi per altri”. La seconda considerazione che faccio è che l’Europa che, in questo momento si sta impegnando opportunamente e collegialmente per spegnere gli atti di violenza e di guerra nel vicino Mediterraneo, ha compiuto un atto di grave incoerenza, non opponendosi ad una ricerca distruttiva che ha della violenza in sé, anche se esercitata sull’inizio della vita che è, però, uguale a quella di tutti i nostri figli, di tutti noi che siamo venuti al mondo.

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LA CHIESA RICORDA OGGI SAN GIACOMO APOSTOLO.

 È IL SANTO CHE INSEGNA A VIVERE LA SEQUELA A CRISTO COME UN CAMMINO,

UN PELLEGRINAGGIO CHE FA MATURARE LA FEDE

 E CHE SI SNODA LUNGO TUTTO L’ARCO DELLA VITA

- Intervista con Lele Viola -

 

         Nel ciclo delle catechesi dedicate agli Apostoli, durante l’udienza generale del 21 giugno Benedetto XVI lo ha additato come esempio da cui imparare la prontezza ad accogliere la chiamata del Signore e il coraggio di testimoniarlo con la vita. È San Giacomo, che la Chiesa ricorda oggi. Grandi, in particolare, i festeggiamenti in Spagna, della quale il Santo è patrono. Stamattina, nella cattedrale di Santiago de Compostela, una solenne liturgia eucaristica è stata presieduta dall’arcivescovo della diocesi, Julián Barrio Barrio. Durante la celebrazione, un delegato del re Juan Carlos I ha presentato la tradizionale supplica al Santo chiedendo la sua intercessione per l’unità della Spagna e la soluzione dei più gravi problemi sociali, come quello dell’immigrazione. E si è pregato anche per il Medio Oriente e la pace. Ma sulla figura di San Giacomo ascoltiamo il servizio di Tiziana Campisi:

 

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         E’ il primo apostolo martire, lo fece decapitare nell’anno 42 Agrippa I. È San Giacomo che la tradizione vuole sia stato sepolto nella Galizia, in Spagna, dove si sarebbe spinto per annunciare il Vangelo. Fu l’eremita Paio, nell’813, a notare luci a forma di stelle nel luogo in cui si scoprì poi un corpo con la testa mozzata e la scritta: “Qui giace Jacobus, figlio di Zebedeo e Salomè”. Quel campo di stelle è oggi Santiago de Compostela, celeberrimo luogo di culto e meta di numerosi pellegrinaggi. Ma qual è il senso del Camino di Santiago, che milioni di persone intraprendono da secoli? Lo abbiamo chiesto a Lele Viola, autore del libro “La vera storia di San Giacomo”:

 

R. – Secondo me, il senso del Cammino potrebbe essere il ritrovare il tempo per se stessi ed anche per un incontro con Dio. San Giacomo, per me, è proprio il Santo degli incontri, degli incontri inaspettati ed anche il Santo del viaggio e del cammino. Il viaggio inteso come pellegrinaggio, inteso come andare verso una meta, ma inteso anche come cercare di muoversi verso l’incontro con qualcosa e quindi l’incontro con qualcuno, che è poi l’incontro con Dio. Durante il viaggio si trova poi qualche altra persona che sta facendo lo stesso viaggio, che condivide la stessa meta. L’idea di sentirsi, comunque, parte di un fiume, di un popolo in cammino, secondo me, è una delle cose magiche del pellegrinaggio.

 

D. – Lei ha percorso il Cammino di Santiago in bicicletta. Cosa le ha lasciato questa esperienza?

 

R. – Mi ha lasciato una sensazione bellissima, del distacco della quotidianità nella quale abbiamo una scala di valori che non è però quella giusta. Questo “rosario” di pedalate quotidiane, a ritmo lento, permette di ritrovare il tempo per pensare ed anche per un eventuale incontro con Dio.

 

D. – Lungo questo viaggio, cosa ha scoperto della figura di San Giacomo?

 

R. – Era uno degli Apostoli più importanti, uno dei tre Apostoli – con Giovanni e Pietro – maggiori, ma nonostante questo si sa molto poco di lui. In compenso, leggendo il Vangelo, si vede chiaramente quello che è il suo carattere: una persona molto impetuosa, un buon erges e quindi figlio del tuono, molto impulsivo e generoso, e dunque una figura sicuramente molto affascinante.

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SALVARE “I BAMBINI STREGONI” DELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA

 ATTRAVERSO L’ACCOGLIENZA IN FAMIGLIE DEL POSTO: E’ IL PROGETTO

PROMOSSO DA SUOR ELVIRA TUTOLO, RESPONSABILE DEL CENTRO

CULTURALE CATTOLICO DELLA CITTA’ DI BERBERATI

 

         Un Paese ricco di risorse naturali, ma afflitto da una povertà endemica che colpisce soprattutto i bambini. E’ il paradosso della Repubblica Centrafricana, dove da oltre 5 anni opera suor Elvira Tutolo, religiosa della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. Missionaria per dieci anni in Ciad, dopo aver lavorato in Italia nel recupero dei tossicodipendenti, suor Elvira è responsabile del Centro culturale cattolico della città centrafricana di Berberati. Qui si prende cura in particolare dei “Kisito”, bambini considerati stregoni che vivono ai margini della società, scacciati da tutti. Per una testimonianza sulla vita dei bambini di Berberati, Alessandro Gisotti ha intervistato suor Elvira Tutolo:

 

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R. – Sono bambini non “della strada” ma bambini “sulla strada” perché se diciamo della strada è come se la strada li avesse partoriti; in realtà si trovano sulla strada non perché l’hanno voluto loro ma per delle situazioni difficilissime familiari, e questo è gravissimo, è una ferita per tutta l’umanità perché per l’Africa - anche per noi ma soprattutto per l’Africa stessa - la famiglia è veramente l’elemento essenziale.

 

D. – In che modo lei si è fatta promotrice di questo progetto? In cosa consiste, come aiuta questi bambini?

 

R. – Questi grandi agglomerati urbani come Berberati provocano l’afflusso di questi bambini. Le risposte che si danno di solito sono dei centri diurni e notturni per l’accoglienza e il recupero. Io ho avuto la fortuna di trovare dei collaboratori, perché prima di tutto sono responsabile di un centro culturale della diocesi e quindi ai primi collaboratori – ragazzi, uomini, donne che mi aiutavano volontariamente – ho detto: “Parlate con questi bambini, fate amicizia”, e quando poi ci siamo rivisti, hanno detto: “Suora, la situazione è che la famiglia è scoppiata”. Allora ho “approfittato” di questa situazione e credo che sia stato lo Spirito Santo ad aiutarmi perché certe intuizioni ce la dà Lui. Ho detto: “Voi siete delle coppie, cominciamo a ritrovarci marito e moglie con questi bambini”. All’inizio erano due o tre coppie e oggi sono 16 coppie, sempre poche per l’entità del fenomeno, ma hanno cominciato ad accogliere questi bambini.

 

D. – Quale messaggio può essere lanciato da un piccolo grande progetto come questo che sta portando avanti in Centrafrica?

 

R. – Noi missionari dobbiamo stare molto attenti a non tradire le persone perché siamo presi da tanta buona volontà di aiutare. Diamo da mangiare, diamo un po’ di vestiti, siamo generosi e poi ci sentiamo apposto, e invece occorre andare alla radice dei problemi e vedere se loro stessi trovano una risposta. Noi siamo di supporto, di provocazione. L’esperienza di questi ormai 16 anni in Africa è proprio questa pazienza di attendere perché siano loro a proporre una soluzione.

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CHIESA E SOCIETA’

25 luglio 2006

 

 

SONO I BAMBINI LE VITTIME PIÙ NUMEROSE DEL CONFLITTO

 NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO. SECONDO UN RAPPORTO DELL’UNICEF, PRESENTATO OGGI A LONDRA: NE MUOIONO 600 OGNI GIORNO

 

LONDRA. = Ogni giorno 1.200 persone muoiono in Congo a causa del conflitto che flagella il Paese. La metà di queste sono bambini. I dati sono quelli diffusi oggi dal rapporto dell’UNICEF “Allarme infanzia”, presentato a Londra da Martin Bell, per anni corrispondente di guerra della BBC, e Tony Bloomberg, rappresentante UNICEF per la Repubblica Democratica del Congo. Le statistiche rese note nel documento indicano lo Stato africano come uno dei 3 peggiori al mondo in cui un bambino può avere la sfortuna di nascere. Intrappolati dalla guerra come profughi o sfollati, arruolati come combattenti da gruppi e forze armate, vittime di aggressioni sessuali, malnutriti, colpiti da malattie: è questa la situazione dei bambini della Repubblica Democratica del Congo fotografata dall’UNICEF. La situazione è allarmante: in 6 mesi, conflitti e violenze hanno fatto più vittime dello tsunami che colpì le coste dell’Oceano Indiano nel dicembre 2004. Nel 2005, i casi accertati di violenza sessuale sono stati 25 mila. Spesso queste aggressioni sono usate come arma da guerra contro donne e bambini. “I bambini sopportano il peso più grande del conflitto - ha affermato Bloomberg - oltre che vittime, sono anche testimoni di atrocità e crimini efferati che infliggono loro traumi fisici e psicologici”. L’UNICEF, in collaborazione con altre organizzazioni, provvede ad inviare aiuti d’emergenza, inclusa l’assistenza psico-sociale, il sostegno ai centri di transito per la smobilitazione degli ex bambini soldato, servizi per le vaccinazioni. Tre, adesso, gli obiettivi fondamentali che si vogliono raggiungere nel Paese: salvare la vita delle persone in pericolo, creare un ambiente protettivo, promuovere e sostenere una situazione di stabilità. Bloomberg ha infine sottolineato che, nonostante questa situazione, la Repubblica Democratica del Congo non ha ricevuto da parte dei media l'attenzione che merita e di cui ha bisogno. (T.C.)

 

 

SALGONO A 15 IN ANGOLA LE PROVINCE COLPITE DAL COLERA.

L’EPIDEMIA HA RAGGIUNTO ORA ANCHE KUANDO KUBANGO,

DOVE SONO STATI REGISTRATI 48 PAZIENTI E 6 DECESSI

 

LUNADA. = Anche la provincia di Kuando Kubango, in Angola, è stata colpita dal colera che da mesi sta mietendo vittime in alcune regioni del Paese. Lo riferisce l’ufficio di Luanda dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), nel suo bollettino di aggiornamento, precisando, scrive l’agenzia MISNA, che si tratta di 48 pazienti di cui 6 deceduti. Il bilancio complessivo dell’epidemia, una delle più gravi dell’Africa, è di 50.768 malati e 2.089 morti dal 13 febbraio scorso, quando è stato confermato il primo caso nel quartiere di Boa Vista a Luanda, uno dei più poveri della città. Con Kuando Kubango, sono 15 su 18 le province nazionali colpite. Il tasso di mortalità, secondo l’ultimo aggiornamento, è del 3,2 per cento, livello a cui si è attestato da diverse settimane. Le zone maggiormente colpite continuano ad essere la provincia di Luanda, con 23.351 contagi e 302 morti; mentre il maggior numero di vittime, 517, è stato registrato nella provincia di Benguela (su 8.401 contagi). Le altre zone più colpite sono Malanje, Luanda Norte, Kwanza Sul e Kwanza Norte. (T.C.)

 

 

UN NUOVO REPARTO DI MEDICINA PER L’UNIVERSITA’ DI BUTEMBO,

NEL NORD DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO:

LA DONAZIONE DELLA FONDAZIONE “MERK SHARP & DOME”

PROMOSSA DAL CARDINALE FIORENZO ANGELINI

 

KINSHASA. = “Il dovere di giustizia con carità”. È questo lo spirito con il quale il Cardinale Fiorenzo Angelini ha promosso la donazione, da parte della Fondazione Merk Sharp & Dohme (MSD), di un intero reparto di medicina generale all’Università Cattolica del Graben (UCG), che sorge nel nord Kivu, a Butembo, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo). Dopodomani, l’iniziativa sarà presentata all’Hotel Columbus di Roma dallo stesso porporato affiancato, dal ministro italiano dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, dal vescovo di Butembo-Beni, Melchisedech Sikuli Paluku, e dal dott. Umberto Mortari, presidente della Fondazione MSD Italia, oltre che da varie personalità del mondo scientifico e civile. L’Università Cattolica del Graben è stata fondata nel 1989 dall’allora vescovo di Butembo-Beni, Emmanuel Kataliko, come “Università della città, per la città e con la città”. Obiettivo: fornire sul posto la formazione universitaria in settori fondamentali per lo sviluppo quali l’agraria, la veterinaria e la medicina. Una nuova classe dirigente per il Paese che dovrebbe essere riconciliato e nuovamente democratico a partire dalle elezioni legislative del 30 luglio prossimo, le prime universali e multipartitiche da 40 anni a questa parte. Nel 1998, il cardinale Angelini - da tempo impegnato, insieme alla Congregazione del Santo Volto, in favore delle popolazioni dell’est del Congo Kinshasa - aveva consegnato, alla presenza di monsignor Kataliko, divenuto arcivescovo metropolita di Bukavu, e di monsignor Sikuli, le prime tre lauree in medicina. Oggi la facoltà annovera 221 studenti e 89 studentesse sui 1062 giovani complessivamente iscritti all’Università del Graben ed è riuscita a tenere aperti i battenti anche nei momenti più difficili delle due guerre che, a partire dal 1996, hanno devastato l’ex-Zaire provocando la morte di oltre 4 milioni di persone. Tra i progetti in cantiere, la realizzazione di una clinica dotata di un Centro maternità nel cuore della foresta del Nord-Kivu, dedicata al fondatore della Congregazione del Santo Volto, il Venerabile abate benedettino silvestrino, Ildebrando Gregori. (A.D.C.)

 

 

COREA DEL SUD: AL VAGLIO DEL GOVERNO, DOPO TRE ANNI DI LAVORO

DELLA COMMISSIONE NAZIONALE PER I DIRITTI UMANI,

LA BOZZA DI LEGGE SULLA PREVENZIONE DELLA DISCRIMINAZIONE.

 

SEOUL. = Una bozza di legge sulla prevenzione della discriminazione è stata presentata ieri al governo sudcoreano dalla Commissione nazionale per i diritti umani. Ora il testo, riferisce l’agenzia Asianews, dovrà essere elaborato per poi passare all’esame dell’Assemblea nazionale entro marzo. Il disegno di legge, per il quale la Commissione per i diritti umani ha lavorato tre anni, definisce il concetto di discriminazione in base a venti criteri, fra cui sesso, razza, religione, età, nazionalità e preferenze sessuali. Al governo si chiede di sanzionare anche la “discriminazione indiretta”, che annovera le molestie sul lavoro e quelle di tipo sessuale. Alcuni datori di lavoro hanno espresso “preoccupazione” riguardo al decreto. Choi Jae-hwang, presidente del Dipartimento delle politiche sociali della Federazione datori di lavoro coreani, dice che la bozza si concentra in maniera eccessiva sulla protezione e non distingue, ad esempio, la discriminazione che riguarda gli stipendi e quella cosiddetta ingiusta. Secondo altri imprenditori, sono “ridicoli” i venti canoni su cui si fonda il concetto di discriminazione: “Una legge del genere esiste da tempo negli USA, in Canada o in Inghilterra e - dicono – i criteri si fermano a sei o sette. Venti sono troppi”. Secondo i dati della Commissione, sono ancora tanti i gruppi che vengono discriminati nel Paese, ma su tutti quelli che soffrono di più sono i coreani della parte nord del confine. Oltre il 67 per cento dei rifugiati nordcoreani in Corea del Sud afferma di essere discriminato “in vari modi” sul posto di lavoro. Oltre il 50 per cento dei profughi intervistati sostiene di essere penalizzato sulla retribuzione, mentre il 52,7 per cento dice di non ricevere i corretti avanzamenti di carriera. Per quanto riguarda i più giovani, il 20 per cento è oggetto di episodi anche violenti di “bullismo” nelle scuole pubbliche, mentre il 48 per cento degli studenti, per paura di tali atteggiamenti, nasconde la propria provenienza. (T.C.)

 

 

LA DIOCESI DELLE CANARIE PROPONE UN “VOCABOLARIO DELLE PAROLE RELIGIOSE”

ON LINE PER SUPPLIRE ALLA MANCANZA DI CONOSCENZA

DI CONCETTI RIGUARDANTI LA RELIGIONE

 

MADRID. = I giovani non conoscono molti temi che riguardano la religione e un sacerdote ha pensato ad un vocabolario sul web. L’iniziativa è nata nella diocesi delle Isole Canarie, dove recentemente è stato pubblicato in formato elettronico un “Vocabolario delle parole religiose”. A realizzarlo è stato il padre salesiano Felipe Santos, che nel contatto giornaliero con numerose persone si è accorto di quanto sconosciuti fossero svariati argomenti. Il religioso ha notato che, specialmente i giovani, dimostravano una grande ignoranza su concetti e parole chiave relativi a materie religiose. Proprio da questa mancanza di conoscenze, ha affermato padre Santos, si deduce che per molti bisogna partire da zero. Da qui, l’idea di un dizionario che potesse fornire anche informazioni basilari sul cristianesimo. Il vocabolario, che annovera un esauriente numero di lemmi, adotta un linguaggio popolare: tra le numerose voci presenta i nomi dei profeti e dei personaggi biblici più importanti, quelli degli ornamenti e degli oggetti liturgici, i libri della Bibbia, le parole di uso frequente nell’ambito sacro, i membri della Chiesa. L’indirizzo del sito è www.diocesisdecanarias.info. (T.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

25 luglio 2006

 

 

- A cura di Roberta Moretti e Alessandro Grifi -

           

Rimane drammatica la situazione in Iraq, dove stamani, almeno 13 persone sono morte in diversi attentati. Intanto, sul fronte politico, circa 30 delegati sciiti, sunniti e curdi si sono riuniti stamani a Il Cairo, in Egitto, nell’ambito di colloqui promossi dalla Lega Araba sulle strategie di riconciliazione nazionale. E mentre le ultime truppe giapponesi lasciano l’Iraq senza avere sparato alcun proiettile e subito perdite, cresce l’attesa per l’incontro, stasera alla Casa Bianca, tra il premier iracheno, Al Malìki, e il presidente americano, Bush. I due discuteranno di un conflitto che, seppure oscurato dalla grave crisi in Libano, continua a mietere vittime. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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Per dare le proporzioni, dall’inizio della crisi libanese hanno perso la vita circa 400 civili; nel solo mese di giugno in Iraq sono morte 100 persone al giorno. Al Maliki dirà a Bush che nel suo Paese non è in corso una guerra civile, ma finora il governo di unità nazionale ha fallito l’obiettivo di ridurre le violenze che invece sono aumentate. I soldati USA sono tornati a pattugliare in forza le strade, per creare le condizioni di sicurezza che i reparti iracheni non sono ancora in grado di assicurare. L’ex vice di Saddam, Ibrahim Al Duri, ricercato dalla caduta del regime, ha persino rilasciato un’intervista al settimanale “Time” in cui dice che l’ex esercito iracheno si è ricostituito e guida l’insurrezione. In questo clima, il Giappone ha completato il ritiro delle truppe che aveva mandato nel Golfo Persico.

 

Per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Non accenna a diminuire la tensione in Afghanistan. Stamani, un soldato americano delle forze di coalizione e sette guerriglieri talebani sono stati uccisi nel corso di due attentati nelle province sud-orientali di Paktika e Kunar. Sempre nella mattinata, almeno due civili sono morti e quattro sono rimasti feriti per l’esplosione di una bomba al passaggio di un taxi nella zona orientale di Kabul. L’ordigno è scoppiato circa 10 minuti dopo il passaggio di truppe internazionali. Ieri, almeno cinque persone erano morte in seguito a diversi attentati messi a segno dalla guerriglia talebana nel Paese.

 

Nuovi tentativi per risolvere diplomaticamente la crisi in Somalia. Il governo di transizione somalo ha acconsentito a incontrare l’uno e il due di agosto i rappresentanti delle Corti islamiche, che da giugno controllano Mogadiscio e buona parte del sud del Paese, nell’ambito di colloqui di pace promossi a Khartoum, in Sudan, dalla Lega Araba. “Andremo a Khartoum senza alcuna pre-condizione”, ha affermato il capo dello staff del presidente a interim, Abdullahi Yusuf's, dopo aver incontrato, stamani, l’inviato speciale in Somalia delle Nazioni Unite, Francois Lonseny Fall. Intanto, rimane incandescente la situazione sul campo, dopo l’ingresso, giovedì scorso, di truppe etiopi a Baidoa, sede del governo transitorio e del Parlamento somalo. Ieri, alcuni deputati somali hanno chiesto all’Etiopia di ritirare le sue milizie, mentre circa 2 mila persone si sono radunate nello stadio di Mogadiscio, bruciando bandiere etiopi e lanciando slogan secondo cui il Profeta impone la guerra contro le truppe d'invasione. 

Sospesi sine die i negoziati del Doha Round sul commercio internazionale, dopo il fallimento della riunione del gruppo dei Sei a Ginevra. Il commissario europeo al Commercio, Peter Mandelson, ha accusato gli Stati Uniti di aver proposto un taglio ai sussidi agricoli non proporzionato rispetto ai Paesi in via di sviluppo. Di tutt’altro avviso Washington, che ha puntato il dito contro gli interessi personali di alcuni Paesi ed ha chiuso la strada a nuove proposte.

 

Nessun accordo sullo status del Kosovo. Questo, in sintesi, il risultato della riunione di ieri a Vienna tra rappresentanti serbi e albanesi, per la prima volta a colloquio sul futuro della provincia balcanica dalla fine della guerra, nel 99. Emiliano Bos:

 

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Tutti d’accordo a definire l’incontro un buon inizio, ma la soluzione resta lontana. Le divergenze su che cosa sarà il Kosovo di domani ruotano tutte intorno ad un solo concetto: indipendenza. Pristina la reclama, Belgrado la nega. La Serbia è disposta a cedere su tutto, tranne che sull’indipendenza, ha detto dopo la riunione l’inviato dell’ONU. Gli albanesi del Kosovo – ha aggiunto – non vogliono niente se non l’indipendenza. Su questo punto si erano già arenati i colloqui all’inizio di febbraio e di nuovo, ieri, c’è stato il blocco anche se intorno al tavolo c’erano per la prima volta i massimi dirigenti di Serbia e Kosovo, “gli elefanti”, come li ha definiti la stampa di Pristina. Il presidente del Kosovo, Fatmir Sejdiu, insiste: l’indipendenza è volontà irremovibile della maggioranza dei cittadini del Kosovo, cioè gli albanesi, che sono oltre il 90 per cento dei due milioni. Il premier serbo Kostunica, invece, si dice pronto ad un’autonomia sostanziale, ma la Serbia non vuole sentire parlare di un Kosovo dotato di un esercito e di una sua politica estera né tantomeno di un seggio all’ONU.

 

Per la Radio Vaticana, Emiliano Bos.

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“Formeremo insieme una squadra combattiva”: con queste parole, il presidente del Venezuela, Hugo Chavez, ha incontrato ieri a Minsk il suo collega bielurusso, Alexandre Lukashenko. Intanto, non è ancora stato confermato quando Chavez, giunto stamani in Russia per una visita di tre giorni, incontrerà il capo di Stato russo, Vladimir Putin, per discutere dell’accordo su armamenti del valore di circa un miliardo di dollari, tra cui l’acquisto di 24 aerei da guerra Sukhoi Su-30 e 30 elicotteri. Prima del suo rientro a Caracas, il prossimo 2 agosto, Chavez si recherà anche in Qatar, Iran, Vietnam e Mali.

 

Il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, ha chiesto ieri sera alla NATO di prendere parte alla lotta contro i ribelli curdi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che recentemente hanno moltiplicato le loro azioni in Turchia a partire dalle loro basi irachene. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa Anatolia. L’appello di Erdogan giunge in un momento in cui Ankara manifesta la sua esasperazione di fronte alle reticenze di Stati Uniti e Iraq a intervenire nelle numerose basi allestite dal PKK nel nord dell’Iraq.

 

Italia. Probabilmente il governo Prodi ricorrerà alla fiducia sul disegno di legge relativo al rifinanziamento delle missioni all’estero, in particolare quella in Afghanistan,  che giovedì approda in Senato. In questo modo, si intende superare la resistenza di 9 senatori della sinistra radicale. La Casa della Libertà, che aveva annunciato il voto a favore del ddl, ha reso noto che in caso di fiducia si opterà per il “no” ma non esclude l’uscita dall’aula. La maggioranza di governo è divisa anche sull’indulto. Contrario il ministro delle Infrastrutture, Di Pietro, che, pur impegnandosi a non far cadere l’esecutivo di Prodi, ha definito il provvedimento dell’Unione una norma per salvare i corruttori ed i responsabili dei reati finanziari.

 

Incredibile e drammatico incidente in Gran Bretagna. L’opera d’arte gonfiabile “Dreamspace”, progettata dall’artista, Maurice Agisca, ha provocato ieri a Durham, nel parco di Chester street, la morte di due persone e il ferimento di 13 visitatori, sollevandosi improvvisamente a nove metri d’altezza, prima di schiantarsi al suolo. Erano circa 30 le persone che al momento dell’incidente si trovavano all’interno dell’istallazione gonfiabile, grande quanto un campo di calcio. La polizia che sta conducendo le indagini non ha ancora appurato le cause del cedimento degli ancoraggi, ma non esclude l’ipotesi di un sabotaggio.

 

Stato di allerta presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Nuova Delhi, in India. Secondo il quotidiano locale, “The Times of India”, che cita un documento dell’intelligence, la rappresentanza diplomatica rischierebbe un attentato terroristico entro la fine del mese. In una lettera inviata da un alto funzionario dei Servizi segreti indiani alle forze di sicurezza, si informa che una cellula di 20 terroristi – guidati da un’estremista identificato con il nome di  Jawad Shah Shanas – avrebbe pianificato un attentato in grande stile.

 

Si è aperta con una dura condanna dell’offensiva israeliana in Libano e un appello al cessate il fuoco immediato, la 39.ma riunione dei dieci ministri degli Esteri dell’ASEAN, l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico. Il summit di Kuala Lumpur, in Malesia, oltre alla crisi in Medio Oriente, ha in agenda altri due temi: la politica da adottare contro le violazioni dei diritti umani in Myanmar e le ambizioni nucleari della Corea del Nord. Venerdì parteciperà ai lavori anche il segretario di Stato USA Condoleezza Rice.

 

Dopo essersi abbattuto ieri sera su Taiwan, provocando il ferimento di 6 persone e ingenti danni, il tifone Kaemi ha raggiunto stamani le coste sud-orientali della Cina, con piogge e venti della velocità di 108 chilometri l’ora. Evacuate circa 500 mila persone dalle province di Fujian di Zhejiang, dove sono stati cancellati numerosi voli e chiuse le scuole. E intanto è salito a 612 morti il bilancio delle vittime del ciclone Bilis, che ha colpito la Cina sudorientale a partire dal 14 luglio, secondo quanto reso noto dall’agenzia Nuova Cina. Il precedente bilancio era di 530 vittime.

 

 Inondazioni e gli smottamenti del terreno si sono registrati anche in Corea del Nord, provocando la morte di almeno 121 persone. Lo ha reso noto stamani un responsabile della Croce Rossa Internazionale a Pechino.

 

 

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