RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 206 - Testo della trasmissione di martedì 25 luglio 2006
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Anche in Iraq, 13 morti stamani in nuovi episodi
di violenza. Stasera alla Casa Bianca il premier iracheno, al Maliki, incontra il presidente americano, Bush
25 luglio 2006
DA DUE
SETTIMANE IL PAPA IN VALLE D’AOSTA PER UN PERIODO DI RIPOSO,
CARATTERIZZATO
DALLA COSTANTE PREGHIERA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE
- Con
noi, Salvatore Mazza -
Prosegue
il periodo di riposo di Benedetto XVI a Les Combes. Il Papa si tratterrà in terra valdostana ancora per
alcuni giorni. La partenza è infatti prevista per
venerdì prossimo, quando il Santo Padre si trasferirà a Castel Gandolfo. Sono
dunque trascorse due settimane da quando il Papa è arrivato in Valle d’Aosta.
Un periodo dedicato allo studio, al riposo, ma soprattutto caratterizzato da
una costante preghiera per la pace in Medio Oriente. A sottolinearlo è
l’inviato di Avvenire,
Salvatore Mazza, raggiunto telefonicamente a Les Combes da Alessandro Gisotti:
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R. – E’ stato un periodo segnato drammaticamente dalle
notizie che arrivano dal Medio Oriente; un giorno, incontrando i giornalisti,
che gli chiedevano a che cosa stesse lavorando, il
Papa ha detto: “Ero venuto per lavorare su un libro, ma, insomma, è meglio non
parlarne, non si sa quando si potrà fare… lasciando la frase un po’ in sospeso,
ma facendo capire che molto probabilmente ha dovuto trascurare gran parte del
programma che si era prefissato proprio per l’incalzare di una situazione così
drammatica. Tra l’altro, abbiamo visto che in tutti i posti dove si è recato
privatamente e poi negli appuntamenti pubblici degli Angelus, il tema del Medio
Oriente è sempre stato presente, costante nelle sue preoccupazioni.
D. – Peraltro, il Papa ha avuto modo anche di incontrare,
in questi giorni, suoi iportanti collaboratori…
R. – Sì. Durante la prima domenica che ha trascorso qui, è
arrivato il cardinale arcivescovo di Torino, Severino Poletto, mentre ieri ha
fatto una breve visita il cardinale Tarcisio Bertone - futuro segretario di
Stato dal 15 settembre prossimo - che si è fermato a pranzo. Il cardinal
Bertone – va detto anche – è un po’ di casa, qui, a Les
Combes, perché essendo salesiano conosce molto bene
tutto il complesso all’interno del quale sorge lo chalet
che ospita il Papa. Ci sono stati degli incontri di lavoro anche con il nuovo
direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi … insomma, non sono
mancati gli impegni, direi.
D. – Il Papa venerdì lascia Les Combes, lascia la Valle d’Aosta per trasferirsi a Castel
Gandolfo. Certo, si può dire che sono stati giorni in cui il Papa ha mostrato
questo afflato per la pace nella bellezza della natura che lo circonda. E fra
l’altro anche in questo ambito ha avuto parole molto belle, molto profonde…
R. – Sì, un giorno ha detto: “Proprio stare in mezzo a
tanta bellezza rende più acuto il senso di sofferenza per tutti quelli che si
trovano in una situazione tragica”. Direi che, in questi giorni, il Papa ha
potuto godere pienamente di una natura meravigliosa e tra l’altro si ha
l’impressione che il Papa sia tornato qui per il secondo anno molto contento di
trovarsi in Valle d’Aosta. Una terra così accogliente e così discreta, gelosa
della privacy del suo ospite più illustre. L’anno scorso ci poteva essere
qualche “sospetto”, sapendo che il Papa, quando era cardinale, usava
frequentare più le Alpi orientali di quelle occidentali. Ma se l’anno scorso –
dicevo – poteva esserci il sospetto che il Papa fosse venuto
qui anche, in qualche modo, per un gesto di cortesia per questa valle che aveva
ospitato per tanti anni Giovanni Paolo II, l’impressione è che quest’anno sia
tornato molto contento, perché si era davvero trovato bene…
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - L'accorata invocazione di
Benedetto XVI per la pace in Medio Oriente elevata nel corso del "Momento
di preghiera" nella chiesa parrocchiale di Rhemes-Saint
Georges.
Servizio estero - Sempre in
riferimento alla situazione mediorientale un articolo in cui si sottolinea
che la diplomazia non si arrende all'orrore della guerra.
Condoleeza Rice
a colloquio con Olmert definisce la strategia della
Casa Bianca in attesa del summit a Roma.
Servizio culturale - Un articolo di Giovanni Marchi
dal titolo "Morire a 94 anni inseguendo una farfalla": ricordo di Georges Bernard Shaw nel 150 della nascita.
Per l' "Osservatore
libri" un articolo di Danilo Veneruso dal titolo
"Da sotto le macerie la vita è rinata grazie anche al coraggio delle
donne" in merito al volume "La guerra totale. Tra bombe alleate e
violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-1945"
di Gabriella Gribaudi.
Servizio italiano - In evidenza un
articolo dal titolo "Staminali: il macabro prodotto di un malinteso
senso del progresso".
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25 luglio 2006
E’
GIUNTA “L’ORA PER UN NUOVO MEDIO ORIENTE”:
LO HA
DETTO IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO, CONDOLEEZZA RICE,
INCONTRANDO
A GERUSALEMME IL PREMIER ISRAELIANO, EHUD OLMERT,
CHE
ANNUNCIA MISURE PIÙ SEVERE CONTRO GLI HEZBOLLAH
Si intensificano gli sforzi per
un cessate-il-fuoco in Libano, mentre sale a 390 il
numero delle persone uccise nel Paese dei Cedri dopo due settimane di conflitto
tra i soldati israeliani e gli Hezbollah. I
guerriglieri sciiti hanno lanciato stamani16 razzi su Haifa,
provocando il ferimento di almeno 25 persone. Il governo israeliano ha annunciato,
intanto, che gli aiuti per la popolazione libanese arriveranno all’aeroporto
della capitale libanese. Da segnalare, poi, che a Gerusalemme si
sono incontrati il segretario di Stato americano, Condoleezza
Rice, ed il premier israeliano, Ehud
Olmert. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Incontrando il premier israeliano, Condoleezza
Rice ha detto che è arrivata “l’ora per un nuovo
Medio Oriente”. Per cambiare pagina e gettare le fondamenta per una “pace duratura”
nella regione, bisogna trovare, secondo
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E intanto a Roma si
tiene oggi una conferenza stampa in vista della Conferenza internazionale sul
Libano, in programma domani nella sede del Ministero degli Esteri. Ascoltiamo
il nostro inviato alla Farnesina, Giancarlo
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“Ultime ore per la messa a punto della Conferenza ospitata
dal Ministero degli Esteri italiano, a cui tutta la
comunità internazionale guarda con la speranza che venga tracciata una via
decisiva alla tregua in Libano, obiettivo impellente dopo due settimane di
sanguinosi scontri. Primo fra tutti, il segretario generale
delle Nazioni Unite, Kofi Annan,
già arrivato stamane nella capitale, prima di partire
ha auspicato che dall’incontro di Roma escano proposte concrete: in pratica, un
immediato cessate-il-fuoco e l’organizzazione di una forza internazionale che
vigili e favorisca il mantenimento della pace. Grande l’interesse per il
vertice di domani: 500 i giornalisti accreditati da tutto il mondo, anche sette
cinesi, per sapere cosa uscirà fuori dal confronto tra
i ministri degli Esteri di 15 Paesi, tra cui Libano, Stati Uniti, Gran
Bretagna, Arabia Saudita, Giordania e l’Italia, Paese ospitante. Cinque gli
organismi multilaterali rappresentati: l’ONU, la Banca Mondiale, l’Unione
Europea presente con l’alto responsabile per la Sicurezza, Solana,
la Commissione europea e la presidenza di turno finlandese. La Conferenza, è
stato detto nel briefing odierno, non vuole essere un punto d’arrivo nella
difficile crisi mediorientale, ma un forum di dialogo e di confronto per
rilanciare ipotesi per una soluzione della grave crisi in atto. Fondamentali i
temi in agenda: la crisi umanitaria e l’afflusso degli aiuti, la verifica delle
condizioni politiche per una possibile tregua e le iniziative per il possibile
raggiungimento e mantenimento della pace. Infine, la ricostruzione delle aree
colpite dal conflitto. Allargamento, quindi, della visuale a tutta l’area
mediorientale, per una soluzione delle altre crisi attraverso soluzioni
stabili, condivise e sostenibili. Insomma, da Roma non giungeranno risposte
definitive sul conflitto israelo-libanese, ma di
sicuro ci si attende la messa in moto di un processo che porti quanto prima
alla pace.
Dal Ministero degli esteri italiano,
Giancarlo La Vella, Radio Vaticana.
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E in Libano, dove la situazione è sempre più critica,
aumenta il numero di quanti cercano di abbandonare il Paese: dall’inizio delle
operazioni militari israeliane, sono più di centomila i cittadini libanesi che
hanno trovato rifugio in Siria e migliaia gli stranieri rimpatriati nei
rispettivi Paesi. Ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco la testimonianza
di Pascal, libanese con cittadinanza italiana,
arrivato la settimana scorsa in Italia dopo un estenuante viaggio:
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R. – Io ero un uomo adulto e solo; il viaggio è stato
stancante. C’erano nel mio gruppo donne sole con bambini. Comunque, devo dire
che l’ambasciata italiana è stata molto tempestiva e molto efficiente, tra le
prime ad attivarsi. Il viaggio è stato faticoso: alle cinque del mattino, siamo
andati con un convoglio di autobus fino al porto dove ci siamo imbarcati su una
nave militare; quindi, siamo arrivati a Cipro. Lì c’era l’unità di crisi che ci
aspettava. Poi, con dei voli civili ci hanno portato a Roma. Il viaggio è
durato 25 ore.
D. – E quando sei partito, quale Libano hai lasciato?
R. – Purtroppo, un Libano paralizzato, distrutto a livello
di infrastrutture. Per l’ennesima volta, i libanesi pensavano che l’esperienza
della guerra fosse un dramma concluso. Pensavano che il Paese si stesse
riprendendo ed, invece, è scoppiato questo nuovo
conflitto.
D. – A parte le posizioni specifiche degli israeliani e
degli Hezbollah, qual è la percezione della
popolazione libanese di questo conflitto?
R. – C’è in Libano una unione,
anche se non c’è un consenso. Per quello che c’è stato, sia da parte degli Hezbollah sia da parte di Israele, non c’è il consenso
della popolazione. Però adesso, a livello umanitario, tutti i libanesi sono
uniti. Nella maggior parte, fino a due terzi dei libanesi considerano non giusta
l’azione degli Hezbollah contro Israele.
D. – Gli Hezbollah quale Libano
rappresentano?
R. – Noi li consideriamo uno Stato dentro lo Stato: loro
hanno finanziamenti enormi, hanno un arsenale molto più
fornito di quello dell’esercito libanese. Rifiutano, poi, di applicare
l’Accordo di Taif, in base al quale gli Hezbollah devono consegnare le armi e lasciare il controllo
del sud del Libano all’esercito libanese. Si sono sempre rifiutati, sostenendo
che Israele occupava il Sud. Ma nel 2000, le forze israeliane hanno lasciato la
parte meridionale del Libano. Gli Hezbollah hanno
comunque mantenuto le armi e sono rimasti nel sud.
D. – Cosa rappresenta la Siria, oggi, per i libanesi,
soprattutto in questa situazione di conflitto?
R. – Due terzi della popolazione teme che
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SOSTENERE
L’ASPETTO EDUCATIVO E NON SOLO QUELLO UMANITARIO
NELLA
CHIESA E DELLA SOCIETA’ AFRICANA: UN OBIETTIVO
DELLA
PROSSIMA CONFERENZA DI PACE PER LA REGIONE DEI GRANDI LAGHI
-
Intervista con padre Claudio Marano -
La Chiesa del Burundi ricorda
oggi l’arcivescovo Michael Courtney,
il nunzio apostolico assassinato nel 2003. Sul luogo in cui fu
colpito è stato inaugurato stamani un monumento, mentre alla sua memoria
sarà dedicata la Conferenza internazionale della rete cattolica per
l’edificazione della pace nella regione dei Grandi Laghi che si apre domani a Bujumbura. L’incontro, organizzato dalla Caritas statunitense e dalla Conferenza episcopale degli
Stati Uniti, vede la presenza di un centinaio di partecipanti provenienti da
tutto il mondo, tra i quali Pax Christi e la Comunità
di Sant’Egidio. Sugli scopi della Conferenza, Roberto Piermarini ha raggiunto
telefonicamente nella capitale burundese il padre missionario
Claudio Marano:
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R. – Si vuole insistere sulle
Chiese locali, e specialmente su quelle del Burundi, del Rwanda e del Congo, al fine di collegarsi con le Chiese occidentali,
con quelle del mondo intero per riuscire a lavorare un po’ più nell’ambito
dell’educazione alla pace e della riconciliazione. Le Chiese africane sono
spesso delle chiese che chiedono dei fondi per riuscire a sopravvivere e far
sopravvivere le loro strutture. Qui si chiede, invece, un intervento a livello
educativo. E’ un po’ come gli interventi che si fanno nei Paesi della guerra:
l’umanitario prima o poi dovrà lasciare il posto all’educativo, perché
altrimenti se non si mettono insieme, se non si riescono a far avanzare tutti e
due, prima o poi tutti i vari problemi che hanno portato un Paese o l’altro alla
guerra ritorneranno fuori.
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MINACCIA
LA VITA DEGLI EMBRIONI UMANI IL PROGRAMMA DI RICERCA
SULLE
CELLULE STAMINALI, VARATO IERI DALL’UNIONE EUROPEA
-
Intervista con l’arcivescovo Elio Sgreccia -
E’ stato un via libera di compromesso, sia pure limitato
da precise condizioni, quello dato ieri dal Consiglio
competitività dell’Unione Europea alla ricerca sulle cellule staminali. Ad
essere varato è stato il VII Programma quadro 2007-2013 che prevede, tra
l’altro, il finanziamento dei progetti di ricerca sulle cellule staminali già
esistenti, purché non ottenute dalla distruzione degli embrioni umani. Ma tale
limitazione nasconde un compromesso inaccettabile per la Chiesa, afferma
l’arcivescovo Elio Sgreccia, presidente della
Pontificia Accademia per la Vita, che spiega la natura del provvedimento
approvato ieri, mettendone in risalto le contraddizioni. L’intervista è di Luca
Collodi:
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R. – La decisione del Consiglio dei Ministri si esplicita
in tre affermazioni. La prima dice che è vietato al ricercatore sopprimere
l’embrione umano per trarne le cellule desiderate. La seconda affermazione,
invece, dice che tale ricercatore – o altri ricercatori – possono ricorrere a
linee cellulari prodotte da altri: altri che hanno, naturalmente, soppresso
degli embrioni - che siano o no residui di fecondazioni artificiali, ma
comunque embrioni vivi - e da essi hanno prodotto
delle linee cellulari messo poi in commercio. Dunque, si stabilisce tra chi
vende e prepara le linee cellulari e chi compra una coincidenza di interessi.
Questa coincidenza di interessi naturalmente configura dal punto di vista etico
una complicità, una collaborazione, come dicono i moralisti, che non è esente
dalla partecipazione alla responsabilità di coloro che, per primi, hanno
prodotto, sezionato gli embrioni e messe in commercio le loro cellule. La terza
affermazione dice che si possono produrre dei protocolli di ricerca per il
finanziamento volti ad utilizzare gli embrioni già congelati e non più
impiantabili nell’utero della madre, previo accertamento della loro morte. Ora,
sappiamo che per verificare la morte di questi embrioni congelati bisogna
scongelarli e nello scongelarli alcuni di essi
muoiono, ed è difficile, ancora non esiste una tecnica che possa fare la
diagnosi di morte. Quindi, non si vede come si possa
praticare questa strada senza provocare soppressioni di embrioni. Se l’embrione
è quello che è, e cioè un essere umano, noi vediamo qua che queste tre
affermazioni non sono in armonia tra di loro. Ecco
perché i giornali – non soltanto quelli di tendenza cattolica come “Avvenire”,
ma anche altri – hanno bollato di “ipocrisia”, ovvero di disarmonia, di contraddittorietà
questa decisione.
D. – In sostanza, mons. Sgreccia,
si scrivono delle linee di principio che apparentemente vogliono dire una cosa mentre poi in pratica significano altro …
R. – Sì. Io mi sento di fare a questo punto alcune
considerazioni di ordine etico e, se si vuole, anche di ordine etico-politico. La prima è che, per questa strada, non è
salvaguardato il diritto alla vita di questi embrioni. E che l’Europa, in un
Parlamento di questo genere, venga meno al riconoscimento di questo primordiale
diritto - il primo di tutti gli altri, il diritto alla vita - è un fatto grave.
Come è grave la legislazione che autorizza la strumentalizzazione dell’essere
umano, sulla base dell’“io uccido te per trarne dei vantaggi per altri”. La
seconda considerazione che faccio è che l’Europa che, in questo momento si sta
impegnando opportunamente e collegialmente per spegnere gli atti di violenza e
di guerra nel vicino Mediterraneo, ha compiuto un atto
di grave incoerenza, non opponendosi ad una ricerca distruttiva che ha della
violenza in sé, anche se esercitata sull’inizio della vita che è, però, uguale
a quella di tutti i nostri figli, di tutti noi che siamo venuti al mondo.
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LA
CHIESA RICORDA OGGI SAN GIACOMO APOSTOLO.
È IL SANTO CHE INSEGNA A VIVERE
UN
PELLEGRINAGGIO CHE FA MATURARE LA FEDE
E CHE SI SNODA LUNGO TUTTO L’ARCO DELLA VITA
-
Intervista con Lele Viola -
Nel ciclo
delle catechesi dedicate agli Apostoli, durante l’udienza generale del 21
giugno Benedetto XVI lo ha additato come esempio da cui imparare la prontezza
ad accogliere la chiamata del Signore e il coraggio di testimoniarlo con la
vita. È San Giacomo, che
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E’ il primo
apostolo martire, lo fece decapitare nell’anno 42 Agrippa
I. È San Giacomo che la tradizione vuole sia stato sepolto nella Galizia, in
Spagna, dove si sarebbe spinto per annunciare il Vangelo. Fu l’eremita Paio,
nell’813, a notare luci a forma di stelle nel luogo in cui si scoprì poi un
corpo con la testa mozzata e la scritta: “Qui giace Jacobus,
figlio di Zebedeo e Salomè”. Quel campo di stelle è
oggi Santiago de Compostela, celeberrimo luogo di
culto e meta di numerosi pellegrinaggi. Ma qual è il senso del Camino di Santiago, che milioni di
persone intraprendono da secoli? Lo abbiamo chiesto a Lele Viola, autore del libro
“La vera storia di San Giacomo”:
R. – Secondo me, il senso del Cammino potrebbe essere il
ritrovare il tempo per se stessi ed anche per un incontro con Dio. San Giacomo,
per me, è proprio il Santo degli incontri, degli incontri inaspettati ed anche
il Santo del viaggio e del cammino. Il viaggio inteso come pellegrinaggio,
inteso come andare verso una meta, ma inteso anche come cercare di muoversi
verso l’incontro con qualcosa e quindi l’incontro con
qualcuno, che è poi l’incontro con Dio. Durante il viaggio si trova poi qualche
altra persona che sta facendo lo stesso viaggio, che condivide la stessa meta.
L’idea di sentirsi, comunque, parte di un fiume, di un popolo in cammino,
secondo me, è una delle cose magiche del pellegrinaggio.
D. – Lei ha percorso il Cammino di Santiago in bicicletta.
Cosa le ha lasciato questa esperienza?
R. – Mi ha lasciato una sensazione bellissima, del
distacco della quotidianità nella quale abbiamo una scala di valori che non è
però quella giusta. Questo “rosario” di pedalate quotidiane, a ritmo lento,
permette di ritrovare il tempo per pensare ed anche per un eventuale incontro
con Dio.
D. – Lungo questo viaggio, cosa ha scoperto della figura
di San Giacomo?
R. – Era uno degli Apostoli più importanti, uno dei tre
Apostoli – con Giovanni e Pietro – maggiori, ma nonostante questo si sa molto poco di lui. In compenso, leggendo il Vangelo, si
vede chiaramente quello che è il suo carattere: una persona molto impetuosa, un
buon erges
e quindi figlio del tuono, molto impulsivo e generoso, e dunque una figura sicuramente
molto affascinante.
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SALVARE
“I BAMBINI STREGONI” DELLA REPUBBLICA
CENTRAFRICANA
ATTRAVERSO L’ACCOGLIENZA IN FAMIGLIE DEL
POSTO: E’ IL PROGETTO
PROMOSSO
DA SUOR ELVIRA TUTOLO, RESPONSABILE DEL CENTRO
CULTURALE
CATTOLICO DELLA CITTA’ DI BERBERATI
Un Paese ricco di risorse naturali, ma
afflitto da una povertà endemica che colpisce soprattutto i bambini. E’ il
paradosso della Repubblica Centrafricana, dove da
oltre 5 anni opera suor Elvira Tutolo, religiosa della
Carità di Santa Giovanna Antida Thouret.
Missionaria per dieci anni in Ciad, dopo aver lavorato in Italia nel recupero
dei tossicodipendenti, suor Elvira è responsabile del Centro culturale
cattolico della città centrafricana di Berberati. Qui si prende cura in particolare dei “Kisito”, bambini considerati stregoni che vivono ai margini
della società, scacciati da tutti. Per una testimonianza sulla vita dei bambini
di Berberati, Alessandro Gisotti ha intervistato suor
Elvira Tutolo:
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R. – Sono bambini non “della strada” ma bambini “sulla
strada” perché se diciamo della strada è come se la strada li avesse partoriti;
in realtà si trovano sulla strada non perché l’hanno voluto loro ma per delle
situazioni difficilissime familiari, e questo è gravissimo, è una ferita per
tutta l’umanità perché per l’Africa - anche per noi ma soprattutto per l’Africa
stessa - la famiglia è veramente l’elemento essenziale.
D. – In che modo lei si è fatta promotrice di questo
progetto? In cosa consiste, come aiuta questi bambini?
R. – Questi grandi agglomerati urbani come Berberati provocano l’afflusso di questi bambini. Le
risposte che si danno di solito sono dei centri diurni e notturni per
l’accoglienza e il recupero. Io ho avuto la fortuna di
trovare dei collaboratori, perché prima di tutto sono responsabile di un centro
culturale della diocesi e quindi ai primi collaboratori – ragazzi, uomini,
donne che mi aiutavano volontariamente – ho detto: “Parlate con questi bambini,
fate amicizia”, e quando poi ci siamo rivisti, hanno detto: “Suora, la
situazione è che la famiglia è scoppiata”. Allora ho “approfittato” di
questa situazione e credo che sia stato lo Spirito
Santo ad aiutarmi perché certe intuizioni ce la dà Lui. Ho detto: “Voi siete
delle coppie, cominciamo a ritrovarci marito e moglie con questi bambini”.
All’inizio erano due o tre coppie e oggi sono 16 coppie, sempre poche per
l’entità del fenomeno, ma hanno cominciato ad accogliere questi bambini.
D. – Quale messaggio può essere lanciato da un piccolo
grande progetto come questo che sta portando avanti in Centrafrica?
R. – Noi missionari dobbiamo stare molto attenti a non
tradire le persone perché siamo presi da tanta buona volontà di aiutare. Diamo
da mangiare, diamo un po’ di vestiti, siamo generosi e poi ci sentiamo apposto,
e invece occorre andare alla radice dei problemi e vedere se loro stessi
trovano una risposta. Noi siamo di supporto, di provocazione. L’esperienza di
questi ormai 16 anni in Africa è proprio questa pazienza di attendere perché
siano loro a proporre una soluzione.
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25 luglio 2006
SONO I
BAMBINI LE VITTIME PIÙ NUMEROSE DEL
CONFLITTO
NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO.
SECONDO UN RAPPORTO DELL’UNICEF, PRESENTATO OGGI A LONDRA: NE MUOIONO 600 OGNI
GIORNO
LONDRA. = Ogni giorno 1.200
persone muoiono in Congo a causa del conflitto che flagella il Paese. La metà
di queste sono bambini. I dati sono quelli diffusi oggi
dal rapporto dell’UNICEF “Allarme infanzia”, presentato a Londra da Martin Bell, per anni corrispondente
di guerra della BBC, e Tony Bloomberg, rappresentante
UNICEF per
SALGONO A 15 IN ANGOLA LE PROVINCE COLPITE DAL COLERA.
L’EPIDEMIA
HA RAGGIUNTO ORA ANCHE KUANDO KUBANGO,
DOVE
SONO STATI REGISTRATI 48 PAZIENTI E 6 DECESSI
LUNADA. = Anche la provincia di Kuando Kubango, in Angola, è
stata colpita dal colera che da mesi sta mietendo vittime in alcune regioni del
Paese. Lo riferisce l’ufficio di Luanda dell’Organizzazione mondiale della
sanità (OMS), nel suo bollettino di aggiornamento, precisando, scrive l’agenzia
MISNA, che si tratta di 48 pazienti di cui 6 deceduti. Il bilancio complessivo
dell’epidemia, una delle più gravi dell’Africa, è di 50.768 malati e 2.089
morti dal 13 febbraio scorso, quando è stato confermato il primo caso nel
quartiere di Boa Vista a Luanda, uno dei più poveri della città. Con Kuando Kubango, sono 15 su 18 le
province nazionali colpite. Il tasso di mortalità, secondo l’ultimo
aggiornamento, è del 3,2 per cento, livello a cui si è
attestato da diverse settimane. Le zone maggiormente colpite continuano ad
essere la provincia di Luanda, con 23.351 contagi e 302 morti; mentre il
maggior numero di vittime, 517, è stato registrato nella provincia di Benguela (su 8.401 contagi). Le altre zone più colpite sono
Malanje, Luanda Norte, Kwanza Sul e Kwanza Norte. (T.C.)
UN NUOVO REPARTO DI
MEDICINA PER L’UNIVERSITA’ DI BUTEMBO,
NEL NORD DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO:
LA DONAZIONE DELLA FONDAZIONE “MERK SHARP &
DOME”
PROMOSSA DAL CARDINALE FIORENZO ANGELINI
KINSHASA.
= “Il dovere di giustizia con carità”. È questo lo spirito con il quale il
Cardinale Fiorenzo Angelini ha promosso la donazione, da parte della Fondazione
Merk Sharp & Dohme (MSD), di un intero reparto di medicina generale
all’Università Cattolica del Graben (UCG), che sorge
nel nord Kivu, a Butembo,
nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo).
Dopodomani, l’iniziativa sarà presentata all’Hotel Columbus
di Roma dallo stesso porporato affiancato, dal ministro italiano dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni,
dal vescovo di Butembo-Beni, Melchisedech
Sikuli Paluku, e dal dott.
Umberto Mortari, presidente della Fondazione MSD
Italia, oltre che da varie personalità del mondo scientifico e civile.
L’Università Cattolica del Graben è stata fondata nel
1989 dall’allora vescovo di Butembo-Beni, Emmanuel Kataliko, come “Università della città, per la città e con
la città”. Obiettivo: fornire sul posto la formazione universitaria in settori
fondamentali per lo sviluppo quali l’agraria, la veterinaria e la medicina. Una
nuova classe dirigente per il Paese che dovrebbe essere riconciliato e nuovamente
democratico a partire dalle elezioni legislative del 30 luglio prossimo, le
prime universali e multipartitiche da 40 anni a questa parte. Nel 1998, il
cardinale Angelini - da tempo impegnato, insieme alla Congregazione del Santo
Volto, in favore delle popolazioni dell’est del Congo
Kinshasa - aveva consegnato, alla presenza di monsignor Kataliko,
divenuto arcivescovo metropolita di Bukavu, e di
monsignor Sikuli, le prime tre lauree in medicina.
Oggi la facoltà annovera 221 studenti e 89 studentesse sui 1062 giovani
complessivamente iscritti all’Università del Graben
ed è riuscita a tenere aperti i battenti anche nei momenti più difficili delle
due guerre che, a partire dal 1996, hanno devastato l’ex-Zaire
provocando la morte di oltre 4 milioni di persone. Tra i progetti in cantiere,
la realizzazione di una clinica dotata di un Centro maternità nel cuore della
foresta del Nord-Kivu, dedicata al fondatore della Congregazione
del Santo Volto, il Venerabile abate benedettino silvestrino,
Ildebrando Gregori. (A.D.C.)
COREA DEL SUD: AL VAGLIO
DEL GOVERNO, DOPO TRE ANNI DI LAVORO
DELLA COMMISSIONE NAZIONALE PER I DIRITTI UMANI,
LA BOZZA DI LEGGE SULLA PREVENZIONE DELLA
DISCRIMINAZIONE.
SEOUL. = Una bozza di legge sulla
prevenzione della discriminazione è stata presentata ieri al governo sudcoreano dalla Commissione nazionale per i diritti umani.
Ora il testo, riferisce l’agenzia Asianews, dovrà
essere elaborato per poi passare all’esame dell’Assemblea nazionale entro
marzo. Il disegno di legge, per il quale
ON LINE PER SUPPLIRE ALLA MANCANZA DI CONOSCENZA
DI CONCETTI RIGUARDANTI
MADRID. = I giovani non conoscono
molti temi che riguardano la religione e un sacerdote ha pensato ad un
vocabolario sul web. L’iniziativa è nata nella diocesi delle Isole Canarie,
dove recentemente è stato pubblicato in formato elettronico un “Vocabolario
delle parole religiose”. A realizzarlo è stato il padre salesiano Felipe Santos, che nel contatto
giornaliero con numerose persone si è accorto di quanto
sconosciuti fossero svariati argomenti. Il religioso ha notato che,
specialmente i giovani, dimostravano una grande ignoranza su concetti e parole
chiave relativi a materie religiose. Proprio da questa mancanza di conoscenze,
ha affermato padre Santos, si deduce che per molti
bisogna partire da zero. Da qui, l’idea di un dizionario che potesse fornire
anche informazioni basilari sul cristianesimo. Il vocabolario, che annovera un
esauriente numero di lemmi, adotta un linguaggio popolare: tra le numerose voci
presenta i nomi dei profeti e dei personaggi biblici più importanti, quelli
degli ornamenti e degli oggetti liturgici, i libri della Bibbia, le parole di
uso frequente nell’ambito sacro, i membri della Chiesa. L’indirizzo del sito è www.diocesisdecanarias.info.
(T.C.)
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25 luglio 2006
- A cura di Roberta Moretti e Alessandro
Grifi -
Rimane drammatica la situazione
in Iraq, dove stamani, almeno 13 persone sono morte in diversi attentati.
Intanto, sul fronte politico, circa 30 delegati sciiti, sunniti e curdi si sono riuniti stamani a Il
Cairo, in Egitto, nell’ambito di colloqui promossi dalla Lega Araba sulle
strategie di riconciliazione nazionale. E mentre le ultime truppe giapponesi
lasciano l’Iraq senza avere sparato alcun proiettile e subito perdite, cresce
l’attesa per l’incontro, stasera alla Casa Bianca, tra il premier iracheno, Al Malìki, e il presidente americano, Bush.
I due discuteranno di un conflitto che, seppure oscurato dalla grave crisi in
Libano, continua a mietere vittime. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Per dare le proporzioni, dall’inizio della crisi libanese
hanno perso la vita circa 400 civili; nel solo mese di giugno in Iraq sono
morte 100 persone al giorno. Al Maliki
dirà a Bush che nel suo Paese non è in corso una
guerra civile, ma finora il governo di unità nazionale ha fallito l’obiettivo
di ridurre le violenze che invece sono aumentate. I soldati USA sono tornati a
pattugliare in forza le strade, per creare le condizioni di sicurezza che i reparti
iracheni non sono ancora in grado di assicurare. L’ex vice di Saddam, Ibrahim Al Duri, ricercato dalla
caduta del regime, ha persino rilasciato un’intervista al settimanale “Time” in
cui dice che l’ex esercito iracheno si è ricostituito e guida l’insurrezione.
In questo clima, il Giappone ha completato il ritiro delle truppe che aveva
mandato nel Golfo Persico.
Per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Non accenna a diminuire la tensione in Afghanistan.
Stamani, un soldato americano delle forze di coalizione e sette guerriglieri
talebani sono stati uccisi nel corso di due attentati nelle province
sud-orientali di Paktika e Kunar.
Sempre nella mattinata, almeno due civili sono morti e quattro sono rimasti
feriti per l’esplosione di una bomba al passaggio di un taxi nella zona
orientale di Kabul. L’ordigno è scoppiato circa 10 minuti dopo il passaggio di
truppe internazionali. Ieri, almeno cinque persone erano morte in seguito a
diversi attentati messi a segno dalla guerriglia talebana
nel Paese.
Nuovi tentativi per risolvere
diplomaticamente la crisi in Somalia. Il governo di transizione somalo ha
acconsentito a incontrare l’uno e il due di agosto i rappresentanti delle Corti
islamiche, che da giugno controllano Mogadiscio e buona parte del sud del
Paese, nell’ambito di colloqui di pace promossi a
Khartoum, in Sudan, dalla Lega Araba. “Andremo a Khartoum senza alcuna pre-condizione”, ha affermato il capo dello staff del presidente
a interim, Abdullahi Yusuf's,
dopo aver incontrato, stamani, l’inviato speciale in Somalia delle Nazioni
Unite, Francois Lonseny Fall. Intanto, rimane incandescente la situazione sul
campo, dopo l’ingresso, giovedì scorso, di truppe etiopi a Baidoa,
sede del governo transitorio e del Parlamento somalo. Ieri, alcuni deputati
somali hanno chiesto all’Etiopia di ritirare le sue milizie, mentre circa 2
mila persone si sono radunate nello stadio di Mogadiscio, bruciando bandiere
etiopi e lanciando slogan secondo cui il Profeta impone la guerra contro le
truppe d'invasione.
Sospesi sine die i negoziati del Doha
Round sul commercio internazionale, dopo il fallimento della riunione del
gruppo dei Sei a Ginevra. Il commissario europeo al Commercio, Peter Mandelson, ha accusato gli
Stati Uniti di aver proposto un taglio ai sussidi agricoli non proporzionato
rispetto ai Paesi in via di sviluppo. Di tutt’altro avviso Washington, che ha
puntato il dito contro gli interessi personali di alcuni Paesi ed ha chiuso la
strada a nuove proposte.
Nessun accordo sullo status del
Kosovo. Questo, in sintesi, il risultato della riunione
di ieri a Vienna tra rappresentanti serbi e albanesi, per la prima volta a colloquio
sul futuro della provincia balcanica dalla fine della
guerra, nel 99. Emiliano Bos:
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Tutti d’accordo a definire l’incontro un buon inizio, ma
la soluzione resta lontana. Le divergenze su che cosa sarà il Kosovo di domani ruotano tutte intorno ad un solo concetto:
indipendenza. Pristina la reclama, Belgrado la nega. La Serbia è disposta a
cedere su tutto, tranne che sull’indipendenza, ha detto dopo la riunione
l’inviato dell’ONU. Gli albanesi del Kosovo – ha
aggiunto – non vogliono niente se non l’indipendenza. Su questo punto si erano
già arenati i colloqui all’inizio di febbraio e di nuovo, ieri, c’è stato il blocco anche se intorno al tavolo c’erano per la prima volta
i massimi dirigenti di Serbia e Kosovo, “gli
elefanti”, come li ha definiti la stampa di Pristina. Il presidente del Kosovo, Fatmir Sejdiu, insiste: l’indipendenza è
volontà irremovibile della maggioranza dei cittadini del Kosovo,
cioè gli albanesi, che sono oltre il 90 per cento dei due milioni. Il premier
serbo Kostunica, invece, si dice pronto ad
un’autonomia sostanziale, ma la Serbia non vuole sentire parlare di un Kosovo dotato di un esercito e di una sua politica estera
né tantomeno di un seggio all’ONU.
Per la Radio
Vaticana, Emiliano Bos.
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“Formeremo insieme una squadra combattiva”: con queste
parole, il presidente del Venezuela, Hugo Chavez, ha incontrato ieri a Minsk
il suo collega bielurusso, Alexandre
Lukashenko. Intanto, non è ancora stato confermato quando Chavez, giunto
stamani in Russia per una visita di tre giorni, incontrerà il capo di Stato
russo, Vladimir Putin, per discutere dell’accordo su
armamenti del valore di circa un miliardo di dollari, tra cui l’acquisto di 24
aerei da guerra Sukhoi Su-30 e 30 elicotteri. Prima
del suo rientro a Caracas, il prossimo 2 agosto, Chavez
si recherà anche in Qatar, Iran, Vietnam e Mali.
Il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan,
ha chiesto ieri sera alla NATO di prendere parte alla
lotta contro i ribelli curdi del Partito dei
Lavoratori del Kurdistan (PKK), che recentemente hanno moltiplicato le loro
azioni in Turchia a partire dalle loro basi irachene. Lo ha reso noto l’agenzia
di stampa Anatolia. L’appello di Erdogan giunge in un
momento in cui Ankara manifesta la sua esasperazione di fronte alle reticenze
di Stati Uniti e Iraq a intervenire nelle numerose basi allestite dal PKK nel
nord dell’Iraq.
Italia. Probabilmente il governo Prodi ricorrerà alla fiducia sul disegno di legge
relativo al rifinanziamento delle missioni
all’estero, in particolare quella in Afghanistan, che giovedì approda in Senato. In questo
modo, si intende superare la resistenza di 9 senatori della sinistra radicale.
La Casa della Libertà, che aveva annunciato il voto a favore del ddl, ha reso noto che in caso di fiducia si opterà per il “no” ma non esclude l’uscita dall’aula. La maggioranza di
governo è divisa anche sull’indulto. Contrario il ministro delle Infrastrutture,
Di Pietro, che, pur impegnandosi a non far cadere l’esecutivo di Prodi, ha definito
il provvedimento dell’Unione una norma per salvare i corruttori ed i
responsabili dei reati finanziari.
Incredibile e drammatico
incidente in Gran Bretagna. L’opera d’arte gonfiabile “Dreamspace”,
progettata dall’artista, Maurice Agisca, ha provocato
ieri a Durham, nel parco di Chester
street, la morte di due persone e il ferimento di 13 visitatori, sollevandosi improvvisamente
a nove metri d’altezza, prima di schiantarsi al suolo. Erano circa 30 le
persone che al momento dell’incidente si trovavano all’interno
dell’istallazione gonfiabile, grande quanto un campo di calcio. La polizia che
sta conducendo le indagini non ha ancora appurato le cause del cedimento degli
ancoraggi, ma non esclude l’ipotesi di un sabotaggio.
Stato di allerta presso l’ambasciata
degli Stati Uniti a Nuova Delhi, in India. Secondo il quotidiano locale, “The Times of India”, che cita un documento dell’intelligence,
la rappresentanza diplomatica rischierebbe un attentato terroristico entro la
fine del mese. In una lettera inviata da un alto funzionario dei Servizi
segreti indiani alle forze di sicurezza, si informa che una cellula di 20
terroristi – guidati da un’estremista identificato con
il nome di Jawad
Shah Shanas – avrebbe
pianificato un attentato in grande stile.
Si è aperta con una dura condanna dell’offensiva
israeliana in Libano e un appello al cessate il fuoco immediato, la 39.ma riunione dei dieci ministri degli Esteri dell’ASEAN,
l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico. Il summit di Kuala Lumpur, in Malesia, oltre
alla crisi in Medio Oriente, ha in agenda altri due
temi: la politica da adottare contro le violazioni dei diritti umani in Myanmar
e le ambizioni nucleari della Corea del Nord. Venerdì
parteciperà ai lavori anche il segretario di Stato USA Condoleezza
Rice.
Dopo essersi abbattuto ieri sera su Taiwan, provocando il
ferimento di 6 persone e ingenti danni, il tifone Kaemi
ha raggiunto stamani le coste sud-orientali della Cina,
con piogge e venti della velocità di 108 chilometri l’ora. Evacuate circa 500
mila persone dalle province di Fujian di Zhejiang, dove sono stati cancellati numerosi voli e chiuse
le scuole. E intanto è salito a 612 morti il bilancio delle vittime del ciclone
Bilis, che ha colpito la Cina
sudorientale a partire dal 14 luglio, secondo quanto
reso noto dall’agenzia Nuova Cina. Il precedente bilancio era di 530 vittime.
Inondazioni e gli smottamenti del terreno si sono
registrati anche in Corea del Nord, provocando la morte di almeno 121 persone.
Lo ha reso noto stamani un responsabile della Croce Rossa Internazionale a
Pechino.
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