RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 205 - Testo della trasmissione di lunedì 24 luglio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Documento della Conferenza
episcopale della Zambia, in occasione delle prossime
legislative
Sbloccare le trattative
sul futuro status del Kosovo. Con questo obiettivo si
riunisce oggi a Vienna il vertice tra i leader serbi e kosovari
24 luglio 2006
IL
SIGNORE HA VINTO LA VIOLENZA CON LA CROCE, CON UN AMORE SENZA FINE:
COSI’,
BENEDETTO XVI, IERI SERA, NELLA PARROCCHIA VALDOSTANA DI RHEMES,
DOVE
SI E’ RACCOLTO IN PREGHIERA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE
- Con
noi don Paolo Curtaz -
La violenza dell’uomo ha un limite:
l’amore di Cristo. E’ il messaggio che Benedetto XVI ha lanciato con forza
ieri, nella Giornata di preghiera e penitenza per la pace in Medio Oriente.
Iniziativa, questa, fortemente voluta dal Papa e che ha unito in un corale
abbraccio i fedeli di tutto il mondo ai popoli che soffrono a causa della
guerra. Dopo l’Angelus, recitato a Les Combes, il Papa nel pomeriggio si è recato nella parrocchia
valdostana di Rhemes Saint Georges,
dove si è raccolto in preghiera. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Cristo è la
nostra pace”, perché morendo sulla Croce “ha superato l’inimicizia” e ci “ha
uniti tutti nella sua pace”. Il Papa lo ha ribadito con forza in un momento di
dura prova per popoli innocenti, travolti da un nuovo spietato conflitto. Commentando
la lettera di San Paolo agli Efesini, il Pontefice si
è fatto interprete dello sconforto che si può provare di fronte alla violenza
degli uomini contro i propri fratelli:
“C’è ancora guerra tra cristiani, musulmani, ebrei; e
sono altri che fomentano la guerra e tutto è ancora pieno di inimicizia, di
violenza. Dove è rimasta l’efficacia del Tuo sacrificio? Dove è nella storia
questa pace della quale ci parla il Tuo Apostolo?”
Ma proprio la
Riconciliazione del Signore è la risposta, “il suo sacrificio non è rimasto
senza efficacia”. E qui il Papa ha sottolineato “la grande realtà della
comunione della Chiesa universale”. E poi, ha parlato delle “isole di pace nel
corpo di Cristo”. Il Papa ha citato i Santi della carità “che hanno creato oasi
della pace di Dio nel mondo”. E poi i martiri, che hanno dato “questa
testimonianza della pace, dell’amore che mette un limite alla violenza”.
Proprio questo amore illimitato è il modo nuovo di vincere del Signore:
“Il Signore ha
vinto sulla Croce. Non ha vinto con un nuovo impero, con una forza più potente
per distruggere gli altri; ha vinto non in modo umano, come noi immaginiamo,
con un impero più forte dell’altro. Ha
vinto con un amore che va fino alla morte. Questo è il nuovo modo di vincere di
Dio: alla violenza non oppose una violenza più forte. Alla violenza oppone
proprio il contrario: l’amore fino alla fine, la Sua Croce”.
Dobbiamo
affidarci a questo amore divino, è stata l’esortazione del Papa, dobbiamo partecipare
a questo “lavoro di pacificazione” ed essere costruttori di pace. Ancora, ha aggiunto,
dobbiamo portare il nostro amore a tutti i sofferenti sapendo che il Giudice
del Giudizio Ultimo si identifica con i sofferenti. Quindi, ha messo l’accento
sull’importanza del cuore del messaggio cristiano, del Dio che è amore. Una
Verità che non va offuscata ma valorizzata nel dialogo con le altre religioni:
“Oggi in un mondo multiculturale e multireligioso,
molti sono tentati di dire: Meglio per la pace nel mondo tra le religioni, le
culture, non parlare troppo delle specificità del Cristianesimo, cioè di Gesù,
della Chiesa, dei Sacramenti. Lasciamo le cose che possono essere più o meno
comuni... Ma non è vero. Proprio in questo momento
abbiamo bisogno del Volto di Cristo, per conoscere il vero Volto di Dio e per
portare così riconciliazione e luce a questo mondo”.
“Insieme con l’amore, con il messaggio dell’amore con
tutto quanto possiamo fare per i sofferenti in questo mondo – ha concluso
Benedetto XVI – deve andare anche la testimonianza per questo Dio, per la
vittoria di Dio proprio nella non violenza della Sua Croce”.
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Il momento di
preghiera con il Papa è stato vissuto con particolare emozione da parte dei
fedeli di Rhemes Saint Georges.
Ecco la testimonianza del parroco di Introd, delle valli
di Rhemes e Savarenche, don
Paolo Curtaz, raggiunto telefonicamente in Valle
d’Aosta da Fabio Colagrande:
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R. – Innanzitutto è stata una sorpresa anche per noi. Il
giorno prima, il segretario, don Georg, ha fatto un
giro fra le varie valli che sono adiacenti a Les Combes e ha visto che quella chiesetta poteva essere adatta
per questo momento di preghiera che il Papa stesso ha chiesto a tutta la
Chiesa. Per noi è stata un po’ una sorpresa, un’improvvisata, nel senso che
sabato sera, mons. Georg mi ha chiamato e ha detto:
“Domani verremo a pregare lì da voi” e così è andata. Il Santo Padre è arrivato
intorno alle 17.15 e ha presieduto questo momento di preghiera durato una
ventina di minuti, molto semplice, molto biblico, insieme ai parrocchiani di Rhemes Saint Georges e alcuni amici turisti.
D. – Quale è stata la reazione dei parrocchiani che hanno
potuto pregare assieme al Papa?
R. – Molto bella, nel senso che Rhemes Saint
Georges, in particolare, è una parrocchia piccolissima, non
arriva a 200 persone quindi una parrocchia che mai e poi mai avrebbe pensato di
avere la gioia di ospitare Pietro tra le sue
mura. C’era una bella e tipica euforia, però valdostana,
che non è mai troppo espressa…
D.- Il Papa ha
scelto la comunità di Rhemes Saint
Georges per pronunciare parole molto importanti. “C’è la
tentazione”, ha detto, “di dire che sia meglio non parlare della specificità
del cristianesimo”…
R. – Credo sia stato estremamente interessante per due
ragioni. La prima è che parli a braccio, come ci ha già abituato lo scorso
anno, sempre in una delle mie chiese, nell’incontro con il clero valdostano;
stupisce un po’ tutti ma è molto bello il fatto che il
Santo Padre parli a braccio. In una situazione così importante lui, rivelando
ovviamente di essere anche un grande teologo, ha parlato a braccio e ha fatto
anche un intervento “a misura di parrocchia”. E qui, di nuovo, ha tirato fuori
molti temi che sicuramente fanno parte di questa forza, mi sembra, che in
questo momento Papa Benedetto sta mettendo nel suo Pontificato: l’identità
cristiana, in un mondo in cui la multiculturalità rischia poi di mettere tutti
sullo stesso piano. Le religioni, che in questo momento vengono un po’ accusate,
come ha detto anche il Papa ieri, di essere fomentatrici
di violenza, in realtà, soprattutto il cristianesimo, e le religioni sono qui a
pregare per la pace.
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LA
CHIESA DEL BURUNDI INAUGURA DOMANI UN MONUMENTO
ALLA
MEMORIA DELL’ARCIVESCOVO MICHAEL COURTNEY, IL NUNZIO APOSTOLICO
ASSASSINATO
NEL PAESE AFRICANO NEL 2003
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Sarà un monumento a ricordare alla Chiesa del Burundi
l’estremo sacrificio dell’arcivescovo Michael Aidan Courtney, il nunzio
apostolico ucciso nel Paese africano il 29 dicembre di tre anni fa e definito da
Benedetto XVI un esempio di “coraggio” e di “fedeltà”. Eretto nel punto in cui
il presule fu colpito a morte, il monumento verrà
inaugurato domani da mons. Simon Ntamwana,
arcivescovo di Gitega nonché amministratore apostolico
della sede vacante di Bururi, diocesi cha ha il
merito dell’iniziativa insieme con la Conferenza episcopale burundese
e la locale Nunziatura apostolica. Alla cerimonia interverrà anche
l’arcivescovo Paul Gallagher
- che ha raccolto l’eredità del compianto mons. Courtney
nelle vesti di nunzio apostolico. Inoltre, alla memoria del presule assassinato
è anche dedicata la prossima Conferenza internazionale della Rete cattolica per
l’edificazione della pace nella Regione dei Grandi Laghi, in programma a Bujumbura dal 26 al 28 luglio.
In una lettera di risposta alla Nunziatura apostolica in
Burundi, il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, riporta i sentimenti
di Benedetto XVI nei confronti della Chiesa e del popolo burundese.
Il Papa, si legge nel documento, auspica che tutti gli abitanti del Burundi,
“senza eccezione”, guardino a quello stesso coraggio e a quella stessa fedeltà
testimoniati da mons. Courtney “per contribuire
efficacemente al consolidamento dei vincoli di dialogo e di fraternità sempre
più profondi tra le persone, tra le comunità e le religioni, invitando
specialmente i giovani ad essere artigiani della pace”. La Chiesa, assicura Benedetto XVI, continuerà
a servire la causa del bene comune, “lottando contro tutte le forme di
discriminazione etnica o di corruzione”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano – “Cessi il fuoco”: all'Angelus
Benedetto XVI rinnova con forza l'appello alle parti in conflitto durante la
speciale Giornata di preghiera e di penitenza per la pace in Medio Oriente.
Servizio estero - Il febbrile impegno della
comunità internazionale non ferma ancora la nuova guerra che devasta il Medio
Oriente.
Il Segretario di Stato Usa, Condoleeza
Rice, a Beirut.
Servizio culturale - In evidenza un articolo di
Angelo Marchesi dal titolo “La rinnovata necessità della concezione
‘personalistica e comunitaria’ nel contesto della società contemporanea”.
Servizio italiano - In rilievo sempre il dibattito
politico sulla missione in Afghanistan.
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24 luglio 2006
APPELLO DEL SEGRETARIO DI STATO
AMERICANO, CONDOLEEZZA RICE,
PER UN-CESSATE-IL-FUOCO IN LIBANO A
CONDIZIONI GIUSTE.
MA SUL TERRENO SI CONTINUA A COMBATTERE: ALMENO DUE SOLDATI ISRAELIANI
UCCISI E DUE MILIZIANI SCIITI CATTURATI NEL SUD DEL LIBANO
- Interviste con Giulio Andreotti e con
Ernesto Olivero -
In primo piano, la
crisi in Libano dove si moltiplicano gli sforzi della comunità internazionale
per arrivare ad una tregua. Il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, è arrivata a
sorpresa a Beirut, dando il via ad un tour diplomatico, e ha chiesto un cessate
il fuoco nel Paese dei cedri. Ma sul terreno continuano gli scontri. Il
servizio di Amedeo Lomonaco:
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Il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, giunta oggi a sorpresa nella capitale libanese, ha
lanciato un appello urgente per “un cessate il fuoco a condizioni giuste” e ha
espresso la
disponibilità degli Stati Uniti ad operare con
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Sulla crisi in Libano e sui fattori che rendono instabile la situazione
nel Paese dei Cedri ascoltiamo, al microfono di Luca Collodi, il senatore a
vita Giulio Andreotti:
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R. – Finora, vedo che non si mette l’accento sul punto
essenziale di tutta questa crisi, cioè l’esistenza in Libano di circa 500 mila
rifugiati palestinesi che non hanno una prospettiva. Questi palestinesi sono,
invano, in attesa di qualcuno che dia una soluzione.
Ma nessuno, finora, garantisce loro un’alternativa che darebbe un segnale chiaro
agli altri palestinesi. Per esempio, dentro Hamas c’è chi crede solo alla
violenza e chi è disponibile per soluzioni politiche. Ma se a questi ultimi non
si offre il motivo di avere un’ipotesi effettiva in questa direzione, gli altri
avranno terreno facile.
D. – Lei pensa che Hezbollah
accetti un ritiro dal Sud del Libano?
R. – E’ tutto collegato, perché se si troverà una
soluzione per la massa dei rifugiati palestinesi, allora saranno loro stessi
non solo ad isolare quelli che sono per la violenza, ma anche a togliere loro
l’argomento principale su cui gli odi hanno avuto una posizione fertile.
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Sono molteplici, nel mondo, le iniziative per sostenere le popolazioni
colpite dal conflitto in Libano tra forze israeliane e miliziani Hezbollah. In Italia, in particolare, il Servizio missionario
giovani (SERMIG) allestirà nel pomeriggio, a Torino,
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R. – Oggi a Torino, il SERMIG alzerà la propria grande
tenda della pace per dire “no” alla guerra, “no” a tutte le guerre che ci sono
in questo momento, “no” ai campi profughi.
Però il nostro “no” diventa immediatamente una proposta per chiedere
alla gente di aiutarci per comprare dei medicinali e portare viveri in Libano,
in Giordania, in Israele, a Gaza . E’ necessario
portare immediatamente un aiuto come ci suggeriscono il Santo Padre e la nostra
coscienza.
D. – Quindi, il vostro scopo è portare soccorso alle
popolazioni colpite senza dimenticare le cause delle violenze e delle
ingiustizie e impegnandovi in una cultura di pace, che dia dignità alle persone
e promuova anche lo sviluppo…
R. – Esatto, è la nostra filosofia di sempre, soccorrere
immediatamente. Noi, però, questa volta vogliamo ribadire, ancora con più
forza, che adesso bisogna rimuovere le cause dei conflitti: la guerra esiste
perché c’è un egoismo, la guerra esiste perché i grandi organismi mondiali non
fanno il loro dovere, la guerra esiste perché la coscienza di tanta gente è
assopita e sta diventando sempre più indifferente. Se da Torino e da tante
città del mondo non viene fuori un’indignazione, questa grande guerra avrà
tanto presente e tanto futuro. Noi dobbiamo convincere il mondo arabo che
Israele esiste e dobbiamo convincere il mondo israeliano che il mondo arabo
esiste e dobbiamo incontrarci nel campo della giustizia.
D. - Spedizioni umanitarie del SERMIG hanno raggiunto vari
Paesi del Medio Oriente. C’è, in particolare, un progetto che vorreste
realizzare?
R.- Noi abbiamo un grande desiderio: ci piacerebbe aprire
un Arsenale della pace al confine tra Israele e Palestina. Ci piacerebbe poter
accogliere disabili musulmani, israeliani e cristiani per partire dalla
sofferenza e trovare un po’ di unità.
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E in Libano, i religiosi cattolici, impegnati nell’assistere i profughi e
dare aiuto alla popolazione, descrivono una situazione ai limiti della
criticità. “La popolazione civile è terrorizzata e demoralizzata”, ha detto
all’Agenzia FIDES padre Elias Aghaei, che chiede alla
comunità internazionale e ai leader politici di porre fine al conflitto. Si
unisce all’appello anche fratel Georg
Absi, superiore in Libano della Congregazione dei
Fratelli delle scuole cristiane. “Ci chiediamo – ha detto padre Georges – perché sia stata provocata tanta sofferenza per
le persone innocenti coinvolte nelle conseguenze di questo conflitto”.
SOLLECITARE
UNA
COOPERAZIONE INTERNAZIONALE PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO E IN PARTICOLARE
DELL’AMAZZONIA: E’ LA CONCLUSIONE DEL VI SIMPOSIO “RELIGIONE, SCIENZA E
AMBIENTE”, PROMOSSO
IN BRASILE
DAL PATRIARCATO ORTODOSSO
DI COSTANTINOPOLI. AI NOSTRI MICROFONI, IL PATRIARCA
BARTOLOMEO I.
Ricercare e sollecitare una
cooperazione internazionale, per preservare e difendere l’Amazzonia, ultimo
grande polmone della Terra, il cui ruolo è centrale nel mantenimento della
stabilità climatica, dei cicli idrogeologici e della biodiversità.
Questo l’appello dei 200 partecipanti al VI Simposio “Religione, Scienza e
Ambiente”, dal titolo “Rio delle Amazzoni: sorgente di vita”, conclusosi la
scorsa settimana in Brasile. Ad organizzare e a seguire personalmente i lavori,
Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di
Costantinopoli. La nostra inviata a Manaus, Giada Aquilino, ha chiesto proprio
al Patriarca quanto sia stato importante portare il Simposio in Amazzonia:
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R. – Capiamo la necessità e
l’urgenza che esiste oggi di proteggere l’ambiente, la Creazione di Dio, e
siamo felicissimi perché la Chiesa sorella di Roma, sin dal tempo di Papa
Giovanni Paolo II di venerata memoria, ha voluto collaborare con noi. Voglio
ricordare la Dichiarazione comune che abbiamo firmato con Giovanni Paolo II
alla fine del nostro IV Simposio dedicato al Mar Adriatico. Adesso, Papa
Benedetto XVI ha inviato un messaggio pieno di amore e di solidarietà al
Simposio appena svoltosi in Amazzonia. Anche lui ha sottolineato l’urgenza di salvaguardare
la Creazione di Dio.
D. – Che bilancio si può
tracciare dei lavori svolti al Simposio sul Rio delle Amazzoni?
R. – I risultati sono
soddisfacenti per noi tutti. Abbiamo avuto il contributo di uomini di scienza, dei media, delle autorità locali. Ciascuno, dal proprio
punto di vista, ha sottolineato l’urgenza di salvaguardare l’Amazzonia, un
territorio di più di cinque milioni di chilometri quadrati, una fonte di vita,
una regione che influisce su tutto il mondo ed una zona che affronta molti problemi
economici, sociali, morali, ecologici. Perciò, abbiamo deciso di sollecitare
tutti ad intervenire, per aiutare la popolazione locale e impedire l’abuso
della regione amazzonica. Preghiamo che questo nostro Simposio possa dare un
contributo agli sforzi comuni di aiutare il Creato in genere e in particolare
questa parte del nostro Pianeta.
D. – L’impegno del Patriarcato
Ecumenico di Costantinopoli non si ferma all’Amazzonia: a quali iniziative si
pensa?
R. – Pensiamo e speriamo di
organizzare il nostro VII Simposio ecologico al Polo Nord, nella regione
artica, nell’estate del 2007. Ciò che ci incoraggia è di avere la solidarietà
della Chiesa cattolica e del Papa. Perché tutti i credenti sono chiamati a collaborare
per la salvaguardia del Creato.
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IL
FUTURO DELLA SOMALIA
NEGOZIATO
TRA GOVERNO DI TRANSIZIONE E CORTI ISLAMICHE
-
Intervista con il prof. Gian Paolo Calchi Novati -
Rimane incerta la situazione in Somalia, dove il governo
di transizione ha dato il via libera ai colloqui di
pace con le Corti islamiche, movimento che da più di un mese controlla la
capitale Mogadiscio. Nel fine settimana, le notizie di un ingresso di truppe
etiopiche, che si sarebbero attestate a Baidoa dove
ha sede il governo di transizione, aveva contribuito ad accrescere notevolmente
la tensione, con i guerriglieri islamici che si erano dichiarati pronti a una
guerra santa contro l’Etiopia. Ma che conseguenze potrebbe avere la presenza
delle truppe di Addis Abeba nella difficile situazione somala? Andrea Cocco ne
ha parlato con Gian Paolo Calchi Novati, docente di
Storia dell’Africa all’Università di Pavia:
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R. - Dipende dall’entità dell’intervento etiopico.
L’Etiopia alla lunga se volesse impegnare tutte le sue
capacità militari ha ovviamente più possibilità di qualsiasi forza militare somala.
Il governo somalo può trarre vantaggio dalla presenza delle forze armate
etiopiche dal punto di vista militare della sicurezza, ma sicuramente ne trae
svantaggio dal punto di vista della sua credibilità politica, perché l’Etiopia,
essendo tradizionalmente – la parola è brutta – il “nemico” della
Somalia, finisce per proiettare sul governo di transizione un’immagine
sgradita e questo politicamente è uno svantaggio e può tornare utile alle corti
islamiche che delegittimano ulteriormente il governo di transizione.
D. – Oltre agli scontri tra Corti islamiche e governo di
transizione continuano a giungere notizie sulla possibilità di un accordo tra
le due entità. Crede che oggi le Corti islamiche siano disposte a raggiungere
un compromesso?
R. – Le Corti islamiche hanno preso quel tanto di potere
con l’offensiva nella capitale tradizionale, cioè a Mogadiscio, soprattutto
sulla base di un consenso maturato in precedenza, perchè in varie parti del
paese queste Corti, questa struttura di potere ha riempito dei vuoti. Quindi,
al limite, più per demerito altrui che non per le proprie capacità di governo
sono apparse - ad una parte almeno della popolazione somala - come un rimedio,
un’alternativa al cattivo governo dei cosiddetti signori della guerra. La
situazione chiaramente è fluida, la Somalia da
quindici anni e più non ha una struttura unitaria e sarebbe impensabile che una
struttura come quella delle Corti islamiche possa da sola e in poco tempo
risolvere tutti i problemi. Certo la situazione auspicabile - in termini
pratici, istituzionali - è questa saldatura fra una struttura a Corti
islamiche, che hanno un forte ascendente sulla popolazione somala, e dall’altra
il governo di transizione che è appoggiato dalla diplomazia internazionale, che
non ha in effetti un vero e proprio controllo del territorio,
però le due debolezze e le due semi-forze potrebbero forse rappresentare una
via d’uscita.
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50
ANNI FA NASCEVANO IN UNGHERIA I “VOLONTARI DI DIO”,
DAL PIU’ VASTO MOVIMENTO DEI FOCOLARI, GRUPPO DI LAICI
IMPEGNATI
NEGLI ANNI BUI SEGUITI ALL’INVASIONE SOVIETICA DEL ’56
-
Intervista con Iole Mucciconi -
Il 1956 è l’anno dell’invasione dell’Ungheria da parte dei
carri armati russi, l’inizio di lunghi anni di buio, di mancanza di libertà, di
persecuzioni nei confronti della Chiesa. Paradossalmente, da quel tragico
evento prese il via a Budapest un movimento di laici cristiani impegnati,
diffusosi poi in tutto il mondo. Si tratta del movimento dei “Volontari di
Dio”, diramazione del più vasto Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich. Per celebrare i primi 50 anni della loro storia, i
Volontari si ritroveranno in almeno 10 mila, proprio a Budapest, dal 14 al 16
settembre prossimo. Ma chi sono i “Volontari di Dio”? Adriana Masotti lo ha
chiesto a Iole Mucciconi, funzionario della Pubblica
amministrazione, appartenente al Movimento:
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R. – Rappresenta una delle vocazioni sorte appunto nel
Movimento dei Focolari, la più laica, che chiama uomini e donne di ogni razza,
nazionalità, estrazione sociale e cultura a seguire Dio, con radicalità ma
nella libertà. E’ una vocazione che non richiede materialmente di lasciare
padre, madre, figli, campi, ma certo lo richiede spiritualmente, per poter
restare immersi nel mondo, senza essere del mondo. I volontari vivono la
spiritualità comunitaria del Movimento dei Focolari e ne condividono anche il
fine, quello dell’unità del genere umano.
D. – Per celebrare l’anniversario dalla fondazione dei
volontari si sta organizzando un grosso evento che si terrà a Budapest, un
ritorno alle origini. Perché?
R. – Dobbiamo risalire al 1956, ai giorni noti come “i
fatti di Ungheria”, quando il Papa Pio XII lanciò al
mondo un appello accorato con queste parole: “Dio, questo nome fonte di ogni
diritto, di ogni giustizia, di ogni libertà, risuoni nei Parlamenti, nelle
piazze, nelle abitazioni, nelle officine”. In risposta
proprio a questo appello, su ispirazione di Chiara Lubich,
nacquero i Volontari, che ebbero come indicazione programmatica proprio quella
di riportare Dio in tutti i luoghi: nei Parlamenti, nelle fabbriche, nelle
case. Ecco, quindi, che si torna naturalmente a Budapest, con dietro però
l’esperienza di 50 anni di vita.
D. – Cinquant’anni
anni di vita che non sono facili da riassumere. Ma qual è oggi la realtà
dei Volontari?
R. – I Volontari, in maniera silenziosa, si sono diffusi
su tutto il pianeta. Animano movimenti a largo raggio, che aggregano persone di
buona volontà in ogni campo della vita sociale, soprattutto laddove per miserie
non solo materiali, si vivono situazioni di disunità. E’ un’esperienza che si
fa, quella di far penetrare il divino nelle varie realtà, spesso anche
cambiandole. Vista la diffusione mondiale, si possono immaginare i vari
contesti, in cui negli angoli del mondo, i Volontari vivono: dal contesto
africano, a quello dell’Estremo Oriente, dappertutto, fino alle nostre ricche e
disorientate società dell’Occidente.
D. – I Volontari sono per vocazione impegnati in tutti i
campi dell’agire umano, ma che cosa vuol dire vivere da Volontario di Dio nella
professione oppure nei diversi compiti di cittadino?
R. – Sì, in effetti, la vita del volontario va vista nel
suo quotidiano. Il nostro modello è Maria, che Chiara Lubich
ha definito “Sede della Sapienza e Madre di casa”. Quindi, questo ci dà
l’ordine di grandezza della grande sfida che abbiamo davanti. Certamente, tutte
le situazioni straordinarie richiamano il nostro impegno. Guerre, disastri ci
mobilitano dappertutto nel mondo, ma è la levatura della vita normale quella
che deve connotare il Volontario, una vita in cui vogliamo vivere quell’arte di amare che proviene dal Vangelo.
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24 luglio 2006
“IL LIBANO DEVE
RESTARE UNO SPAZIO DI PACIFICA CONVIVENZA TRA RELIGIONI DIFFERENTI”: COSÌ IL
PATRIARCA DI ANTIOCHIA DEI MARONITI, NASRALLAH SFEIR,
NELLA GIORNATA DI PREGHIERA E
PENITENZA PER IL MEDIO ORIENTE INDETTA
DAL PAPA. IL RABBINO CAPO DI ROMA RICCARDO DI
SEGNI:
LA PREOCCUPAZIONE DEL PAPA CI CONFORTA
ROMA. =
“Bisogna dimenticare, in queste circostanze drammatiche, tutto ciò che ci può
dividere e serrare i ranghi per fare fronte a questa crisi con dei cuori puri,
con buone intenzioni e spiriti vigili, affinché possiamo proteggere il nostro
Paese che è e che deve restare uno spazio di convivenza pacifica fra genti di
religioni differenti”. Sono le parole giunte dal Libano ieri, Giornata di
preghiera e penitenza per la pace in Medio Oriente indetta da Benedetto XVI,
dal patriarca di Antiochia dei maroniti, il cardinale
Nasrallah Sfeir. Al termine
della Messa, ricevendo il mufti di Tiro, Sayyed Ali el-Amine, il vescovo
maronita, Maroun Sader e il
vescovo greco-cattolico della città Georges Bakaouni, il cardinale Sfeir ha chiesto aggiornamenti sull’evoluzione degli eventi
nel sud del Paese. “Che Dio venga in aiuto del governo - ha detto il patriarca
– affinché possa riunire intorno a sé tutti i libanesi di tutte le confessioni,
in modo che il Libano resti il Paese della libertà, dell’amore e della pace”.
Da Roma il rabbino capo Riccardo Di Segni ha fatto sapere che, da giorni, la
comunità ebraica sta pregando per tutte le vittime innocenti del conflitto. E commentando
l’iniziativa di Benedetto XVI ha detto: “Questo Papa ha conosciuto
personalmente gli orrori della guerra. Ci conforta la sua preoccupazione ed il
suo invito a pregare che porta tanti, senza distinzioni di fede, ad unirsi oggi
alla nostra preghiera perché crediamo che quando la preghiera nasce dall’unica
preoccupazione della sofferenza umana è certamente gradita ed ascoltata”. Diverse ieri in Italia le
località, anche turistiche, dove, per rispondere all’appello del Papa,
sacerdoti e vescovi hanno dato vita a svariate celebrazioni e momenti di
riflessione. Numerose anche le chiese dove sono stati raccolti aiuti per
rendere concreta e generosa la solidarietà verso le popolazioni colpite dal
conflitto. La partecipazione alla Giornata di preghiera è stata diffusa e
corale anche tra le comunità religiose non cattoliche. (T.C.)
ZAMBIA: IN UN DOCUMENTO DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE LE INDICAZIONI
PER UN VOTO INFORMATO E RESPONSABILE IN VISTA
DELLE PROSSIME ELEZIONI
LUSAKA. = “La verità
vi renderà liberi”: è questo il titolo della Nota Pastorale che i vescovi della Zambia hanno voluto scrivere sull’importanza delle
prossime elezioni per il futuro della democrazia nel Paese. “Le elezioni –
esordisce il documento – saranno un’occasione per scegliere quei leader che
hanno le qualità necessarie e una visione politica per costruire un futuro
migliore” e quindi per fare un bilancio dell’attuale situazione del Paese a più
di 15 anni dal ripristino del multipartitismo. Un
bilancio, secondo i vescovi, fatto di luci, ma anche di molte ombre che
potrebbero incidere negativamente sullo svolgimento della tornata elettorale.
Deludenti, ad esempio, sarebbero stati i tentativi di riforma costituzionale ed
elettorale, realizzati in questi anni dalle oligarchie politiche, che non hanno
visto un effettivo coinvolgimento dei cittadini. Un’esclusione che sarebbe
stata riscontrata anche nella selezione dei candidati, scelti dai vertici partitocratici in base alle vecchie logiche di spartizione
di potere. I presuli zambiani lamentano poi la perdurante lentezza del sistema
di registrazione dei nuovi aventi diritto al voto, che rischia di escludere
molti cittadini dalle urne. “Un’elezione a cui possono
partecipare solo poche persone – rilevano – perde di senso e valore”. Pur
riconoscendo che le elezioni di questi anni si sono svolte in un clima
“relativamente pacifico”, il documento denuncia il persistere di pratiche
corruttive come il voto di scambio, il controllo esercitato sui
media e su altri strumenti di conservazione del potere da parte del
partito al governo. L’episcopato si rivolge quindi agli elettori, in
particolare ai cristiani, con un invito ad un voto informato e responsabile.
“Il voto – affermano i vescovi – non è solo un diritto, ma anche un dovere
verso il Paese per aiutare a individuare e incaricare persone credibili in
grado di fare funzionare lo Stato per il bene comune”. Per questo, afferma il
documento, i cittadini devono informarsi sulle priorità del Paese sulle quali i
candidati sono chiamati ad esprimere una posizione. “Questioni come lo sviluppo
rurale, la sicurezza alimentare, l’occupazione giovanile, l’educazione e la
salute dovrebbero essere al centro della campagna elettorale”, si legge nel
documento della conferenza episcopale. Quanto ai candidati, si afferma che essi
“devono essere competenti, sensibili alla giustizia sociale, avere il coraggio
di dire la verità, la volontà di lavorare per il bene comune e di esercitare il
potere in particolare per il servizio dei poveri e degli svantaggiati”. Partiti
e leader politici, da parte loro, secondo l’episcopato, dovrebbero condurre la
loro campagna elettorale con “amore e rispetto reciproco”, in sintonia con lo
spirito di una democrazia pluralista, mentre il governo deve assicurare un
clima elettorale sereno perché i risultati siano credibili e accettati da tutti
i contendenti. (T.C.)
I
VESCOVI DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO,
PREOCCUPATI
DA PRESUNTE IRREGOLARITÀ CHE SAREBBERO STATE RILEVATE,
IN QUESTE
SETTIMANE, NELLE LISTE E NELLE CAMPAGNE ELETTORALI
KINSHASA. = Presunte irregolarità nella preparazione delle
liste elettorali, intimidazioni e campagne illegali stanno allarmando i vescovi
della Repubblica democratica del Congo, che in un
documento, invitano la popolazione ad una attenta osservazione di quanto sta
accadendo nel Paese. Ci si prepara al primo appuntamento democratico con le
urne e i presuli esortano al rispetto della normativa sulle elezioni. Solo
qualche giorno fa, scrive l’agenzia MISNA, i vescovi avevano osservato che non
erano ancora state raggiunte tutte le condizioni per lo svolgimento di un voto
davvero trasparente, libero e democratico e che un insieme di elementi
inducevano a pensare a manipolazioni, inganni e frodi. Nel messaggio dal titolo
“La fine della transizione nella concordia nazionale”, l’episcopato aveva
espresso inquietudine per le irregolarità e il clima di tensione del processo
elettorale. I presuli del Congo hanno partecipato
attivamente alla preparazione di questo voto (il primo da quando il Paese ha
ottenuto l’indipendenza), promuovendo educazione civica nelle diocesi e sul
territorio. (T.C.)
L’ARCIVESCOVO
DI NAPOLI CRESCENZIO SEPE AI CAMORRISTI:
BASTA
CON
NEL QUARTIERE DI SCAMPIA, IL PORPORATO,
ACCOLTO CON GRANDE CALORE,
HA
ANCHE RACCOMANDATO AI NAPOLETANI DI AVERE CURA DELLA LORO CITTÀ
NAPOLI. = Applausi ed ovazioni per il
cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, che
ieri ha celebrato una Messa nella parrocchia di Maria Santissima del Buon
Rimedio, nel rione don Guanella, all’interno del
quartiere di Scampia. Centinaia i fedeli che hanno
accolto il porporato: molti i bambini. Durante la celebrazione eucaristica il
porporato è stato interrotto svariate volte dagli applausi, e tanti si sono
alzati in piedi sventolando fazzoletti bianchi. Nella sua omelia il cardinale Sepe ha lanciato un appello ai camorristi chiedendo loro di
smetterla con la violenza, l’odio e il sangue. “Non lasciatevi impressionare –
ha detto ai fedeli – dalle ricchezze possedute da chi compie il male, da chi
vive alimentando la violenza. L’unica ricchezza che conta è quella interiore,
che possedete tutti voi in questo quartiere”. L’arcivescovo ha anche parlato
del volto della città di Napoli, una bella città, ha detto, ma deturpata da
troppi rifiuti. “È inutile dire siamo belli dentro quando
invece si è sporchi fuori – ha commentato il porporato – prego tutti i
responsabili: puliamo Napoli anche dal di fuori. Ridiamo dignità a questa
città”. La parrocchia del Buon Rimedio da mesi non ha un parroco, ma il
cardinale Sepe ha assicurato che entro il 15 agosto i
fedeli potranno contare su un nuovo sacerdote. Poi ha aggiunto: “Qualche tempo
fa qualcuno ha rubato il calice di questa chiesa e ne ha sparso le ostie
dappertutto. È stato un gesto riprovevole e oltraggioso. Ma io, adesso, ve ne
regalo uno più bello”. Al termine della Messa una grande folla ha trattenuto
l’arcivescovo di Napoli che ha abbracciato e baciato bambini
e posato per foto ricordo. (T.C.)
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24 luglio 2006
- A cura di Andrea Cocco -
Sbloccare le trattative sul
futuro status del Kosovo, la provincia serba a
maggioranza albanese, al centro di una difficile controversia internazionale.
Con questo obiettivo si riunisce oggi a Vienna il vertice tra i leader di
Belgrado e di Pristina, promosso dalla comunità internazionale. Ma quante possibilità
di successo ha questo inedito summit? Giancarlo La Vella
lo ha chiesto a Federico Eichberg, esperto dell’area balcanica:
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R.- C’è stato un ammorbidimento delle posizioni dei leader
albanesi con un certo realismo, e c’è
stato anche un rafforzamento delle posizioni serbe grazie alla positiva posizione
presa in occasione del referendum del Montenegro per la collaborazione con
l’Unione Europea, nell’ambito del processo di stabilizzazione e associazione.
Le due parti quindi sono più forti e ragionevoli, speriamo che il negoziato
possa portare a delle soluzioni.
D. - Quali conclusioni ci si può attendere?
R. - La comunità internazionale formulò lo scorso anno
quel tipo di soluzione che rispondeva alla formula “Less
then full indipendency”,
sostanzialmente riconoscendo che il Kosovo avrebbe
raggiunto uno status particolare ma non si sarebbe
giunti alla piena indipendenza. Perché, comunque, la presenza internazionale sarebbe
e sarà significativa con la protezione dei monasteri, legata anche al controllo
dei traffici che si svolgono nella provincia, e perché le Nazioni Unite manterranno
un presidio in termini di controllo del territorio.
D. - Questa volta la comunità internazionale rimane a
guardare ma sempre con la possibilità di intervenire diplomaticamente?
R. - La comunità internazionale è presente con diversi
organismi nella regione. Le Nazioni Unite si sono confermate purtroppo legate
ad uno strano destino con l’area balcanica, per cui Umnik non gode oggi della
credibilità sufficiente per poter mantenere una presenza. In realtà, l’attore
principale diventerà l’Unione Europea. E’ molto probabile che, come è successo
per la Bosnia e come potrebbe anche succedere per l’Afghanistan nel medio periodo,
sarà l’Unione Europea a rilevare la missione militare. Questo sarebbe un
segnale importantissimo, per l’area innanzitutto, perché l’Unione Europea
potrebbe avere quella sensibilità per comprendere, per esempio, le profonde
divisioni all’interno del fronte kosovaro, per
comprendere le esigenze della minoranza serba e per comprendere l’importanza di
un processo di adesione che riguardi l’intera nazione serba, da Belgrado fino a
Pristina.
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Nuova serie di attentati messi
a segno dalla guerriglia talebana in Afghanistan. In mattinata, 3 poliziotti sono morti a seguito di un
attacco con colpi di granata nella zona occidentale del Paese, mentre sono due
i civili uccisi in un attentato suicida nella provincia di Khost.
Un terzo agguato ha invece avuto luogo nei pressi di Kandhar,
a sud del Paese, dove un ordigno è stato fatto esplodere al passaggio di un
convoglio militare statunitense, provocando il ferimento di due militari.
La polizia indiana ha arrestato un quarto uomo nel quadro
delle indagini sugli attentatati che lo scorso 11
luglio a Bombay hanno provocato oltre 180 morti. Tanvir
Ansari, di professione medico,
è stato formalmente arrestato domenica a seguito di un interrogatorio durato
diversi giorni, Secondo gli inquirenti si tratterebbe di un militante del movimento
islamico radicale Lashkar-e-Tabi, che ha diverse sedi
operative in Pakistan. Nessuna delle quattro persone arrestate fino ad ora
dalle autorità indiane avrebbe tuttavia un ruolo diretto negli attentati. “Stiamo
ancora cercando le persone che hanno fabbricato e piazzato le bombe sui treni”
ha dichiarato domenica il prefetto della polizia di Bombay.
Riprende oggi il processo a
Saddam Hussein per l’uccisione di 148 sciiti compiuta dal regime iracheno nel
1982. L’ex rais non sarà tuttavia presente davanti all'Alto tribunale penale
iracheno. In sciopero della fame da 17 giorni, Saddam Hussein è stato
ricoverato ieri in un ospedale di Baghdad, dove secondo i medici, dovrà restare
alcuni giorni. Sono stati rilasciati intanto i nove membri del comitato
olimpico iracheno, rapiti giorni fa da un commando armato. In visita ufficiale
a Londra, il premier iracheno Nuri al-Maliki, ha dichiarato che non si può parlare di guerra
civile per l’Iraq, nonostante l’elevato numero di vittime che insanguina il
Paese quasi ogni giorno.
E’ attesa per oggi
l’approvazione da parte dell’Unione europea di norme riguardo il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali.
Presente alla riunione il ministro italiano per la Ricerca, Fabio Mussi, che
propone la possibilità di usare gli embrioni a fini di ricerca fissando una data limite per la loro impiantabilità.
Dall’Italia è giunta immediata la reazione dell’opposizione. Il leader
dell’UDC, Rocco Buttiglione ha parlato del tentativo di fissare “una data
arbitraria a partire della quale considerare l’embrione come morto, autorizzandone
l’uccisione a fini di ricerca”. In Europa, le norme riguardo la
ricerca sulle cellule staminali differiscono profondamente da Paese a Paese. Lo
scorso mese, il Parlamento Europeo ha tuttavia votato a favore di fondi per questo
tipo di ricerca.
E’ di almeno due morti e 36 feriti il bilancio di nuovi
scontri, in Costa d’Avorio tra sostenitori del presidente Laurent
Gbagbo e militanti dell’opposizione. Gli incidenti
sono scoppiati nella città di Divo, nel sud del Paese, mentre erano in atto le
operazioni, previste dagli accordi di pace, necessarie alla preparazione delle
elezioni. I nazionalisti del presidente Gbagbo stanno
tentando di ostacolare in tutto il Paese il rilascio di nuove carte di identità
che, come previsto dal processo di pace, dovranno servire a compilare le liste elettorali.
Secondo i militanti del partito di governo, noto per le sue posizioni xenofobe,
le nuove carte d’identità consentirebbero infatti
l’iscrizione alle liste elettorali di migliaia di stranieri.
Falliti i colloqui per tentare di portare avanti gli
accordi all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). A
Ginevra, si è chiusa oggi la riunione tra i rappresentanti del G6, che
comprende i Paesi con maggiori interessi nel negoziato: Stati Uniti, Unione
europea, Giappone, Australia, Brasile, India. Ma ancora una volta, nessun
accordo è stato raggiunto sulla questione-chiave dei sussidi statali
all’agricoltura, elargiti da Stati Uniti e Unione Europea ai propri produttori.
In mancanza di un’intesa tra i sei Stati, il segretario dell’OMC, Pascal Lamy, aveva minacciato la
sospensione definitiva dell’agenda di Doha, approvata
nel 2001, con l’obiettivo di raggiungere ulteriori accordi per le liberalizzazioni
nel settore dei servizi, dell’agricoltura e dell’industria.
Un commando delle Tigri Tamil ha aperto il fuoco e ucciso in Sri
Lanka un politico di origini tamil
considerato troppo vicino al governo. Appartenente al Partito popolare democratico,
Mark Kanapathipilla era
schierato su posizioni opposte a quelle del movimento separatista delle Tigri,
che lottano per l’indipendenza delle regioni a maggioranza tamil
nel nord del Paese.
Due persone morte e 13 ricoverate d’urgenza. Questo il
bilancio riscontrato dalle autorità spagnole dopo l’ennesima imbarcazione di
migranti intercettata al largo delle isole Canarie. A
causare i decessi, secondo la Croce rossa, l’ipotermia dovuta alle terribili
condizioni del viaggio. La
barca, con a bordo 48 persone, era partita dalle coste
dell’Africa occidentale alcuni giorni prima. Sono 120, invece, i migranti
giunti nell’isola italiana di Lampedusa, nella serata di ieri.
E’ previsto per martedì notte,
o al più tardi mercoledì mattina, l’arrivo sulle coste di Taiwan del tifone Kaemi, il quinto della stagione. Le autorità locali stanno
organizzando un piano di intervento per ridurre al minimo i danni ed hanno avvertito le
popolazioni delle zone maggiormente a rischio di prepararsi all’evacuazione. Il
tifone sta viaggiando a una velocità tra i 15 e 20 chilometri orari. I metereologi si aspettano violente piogge e temporali nel
sud est della Cina. Intanto, è arrivato a 612 morti il
bilancio delle vittime del tifone Bilis, che ha
colpito le province meridionali della Cina a partire
dal 14 luglio.
I guerriglieri delle Forze rivoluzionarie armate della
Colombia (FARC) hanno liberato ieri le nove persone sequestrate lo scorso
giovedì al confine con il Venezuela. Del gruppo facevano parte cinque membri di
una organizzazione non governativa che si occupa di ambiente.
Sabato scorso, era stato liberato Juan Carlos Lizcano, il figlio di un
noto parlamentare colombiano a sua volta nelle mani della guerriglia. Da tempo,
le FARC hano stilato una lista di 60 prigionieri
eccellenti che intendono scambiare con guerriglieri che attualmente si trovano
nelle carceri colombiane.
Il 26 luglio 1956 la
nazionalizzazione del Canale di Suez annunciata dal presidente egiziano Nasser, segnava una svolta decisiva nelle relazioni tra
Paesi in via di sviluppo e le ex potenze coloniali. Sfidando apertamente
Francia e Gran Bretagna, che fino a quella data avevano gestito il canale, il
nazionalista Nasser metteva per la prima volta in
discussione gli interessi europei sul Medio Oriente. “La povertà non è una cosa
di cui vergognarsi”, dichiarava Nasser in un discorso
pronunciato ad Alessandria e divenuto storico. “E’ lo sfruttamento dei popoli
che lo è”. Si calcola che almeno 120 mila operai egiziani sono
morti nella costruzione della monumentale opera, iniziata nel 1869. La
nazionalizzazione scatenò una dura reazione da parte di Francia, Gran Bretagna
e Israele, con l’invasione del Sinai, l’occupazione militare del Canale e una
serie di raid aerei sull’Egitto. Ma la vittoria diplomatica sarebbe spettata
all’Egitto. Nel 1957, Stati Uniti e Russia avrebbero infatti
imposto un cessate il fuoco, costringendo le truppe europee e gli israeliani a
ritirarsi. Gli storici sono unanimi nel considerare le vicende del ‘56 come la
fine delle pretese europee sul Medio Oriente. Oggi, la gestione del Canale di Suez
dà lavoro a 25 mila egiziani e costituisce la terza fonte di reddito per
l’Egitto.
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