RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 204 - Testo della trasmissione di domenica 23 luglio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Nuovi attacchi dei ribelli Tamil in Sri Lanka: con noi padre
Anton Weerasinghè
CHIESA E SOCIETA’:
Liberati ad Haiti i
due francescani rapiti due giorni fa
Amnesty International assegna un premio ad un film sul Libano e ad
una canzone sul Rwanda
In Uganda sempre più persone si affidano a
curatori tradizionali a causa del costo dei farmaci
In Africa progressi nella ricerca contro il
virus Ebola
I vescovi del Paraguay
festeggiano i 50 anni della Conferenza episcopale del Paese latinoamericano
Domenica di lutto anche in
Iraq: una sessantina i morti in tre diversi attentati
Ieri pomeriggio in Somalia
scontro a fuoco tra militanti islamici e le forze del governo di transizione
23 luglio 2006
NELL’ODIERNA
GIORNATA DI PREGHIERA E PENITENZA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE, LA VOCE DEI
CREDENTI IN TUTTO IL MONDO UNITA ALL’IMPLORAZIONE
DI
BENEDETTO XVI ALL’ANGELUS DI ABBANDONARE LO SCONTRO ARMATO
E
COSTRUIRE CON L’AUDACIA DEL DIALOGO UNA PACE GIUSTA E DURATURA.
- Ai
nostri microfoni padre Vincenzo Coli e madre Caterina Corona -
La voce disarmata e potente degli
uomini inginocchiati per la pace tutto il mondo accanto a quella di Benedetto
XVI in questa Giornata di preghiera e penitenza, indetta dal Santo Padre,
perché cessino immediatamente le violenze in Medio
oriente, si porti conforto alle popolazioni sofferenti e si arrivi a negoziati
“ragionevoli e responsabili” che rendano giustizia a quella tormentata regione.
Da Les Combes il Papa ha
rinnovato all’Angelus il suo accorato appello di abbandonare lo scontro armato
e costruire “con l’audacia del dialogo, una pace giusta e duratura”. Il
servizio di Roberta Gisotti
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Un giorno speciale che ha visto la
comunità di Le Combes unita
ai credenti di tutto il mondo di ogni religione per “implorare da Dio il dono
della pace”, così come voluto Benedetto
XVI, che dopo le ultime tragiche notizie dal fronte mediororientale,
ha rinnovato “a Dio un’accorata preghiera, affinché l’aspirazione alla pace
della stragrande maggioranza delle popolazioni posa essere quanto prima
realizzata, grazie all’impegno dei responsabili”
“Rinnovo con forza l'appello alle Parti in conflitto, perché cessino subito il fuoco e
permettano l'invio di aiuti umanitari, e perché, con il sostegno della comunità
internazionale, si cerchino vie per l'inizio di negoziati. Colgo l'occasione
per riaffermare il diritto dei Libanesi all'integrità e sovranità del loro
Paese, il diritto degli Israeliani a vivere in pace nel loro Stato e il diritto
dei Palestinesi ad avere una Patria libera e sovrana”.
Il pensiero del Santo Padre è
corso poi alle vittime di queste “spietate contrapposizioni”, come aveva già
deprecato domenica scorsa:
“Sono, poi, particolarmente vicino alle inermi popolazioni civili,
ingiustamente colpite in un conflitto di cui sono solo vittime: sia a quelle
della Galilea costrette a vivere nei rifugi, sia alla grande moltitudine di
Libanesi che, ancora una volta, vedono distrutto il loro Paese e hanno dovuto
abbandonare tutto e cercare scampo altrove.”
Ed ancora una raccomandazione per
portare aiuti concreti a chi ne ha tanto bisogno:
“Rinnovo pure il mio appello a tutte le organizzazioni caritative,
perché facciano giungere a quelle
popolazioni l'espressione concreta della comune solidarietà”.
Quindi un riferimento a Maria
Maddalena, celebrata ieri dalla Chiesa, per richiamare “una verità fondadiscepolo di Cristo è chi nell’esperienza umana
debolezza, ha avuto l’umiltà di chiedergli aiuto”. Ed ancora a Santa Brigida,
festeggiata oggi, una della patrone d’Europa:
“E’ venuta dalla Svezia,
è venuta a Roma ha fatto pellegrinaggio in Terra Santa e ci invita, così, ad
aiutare l’umanità a trovare un grande spazio di pace proprio in Terra Santa”
Infine dopo l’Angelus i saluti
alle migliaia di fedeli che si sono raccolti nella spianata di Les Combes, davanti alla villetta
che ospita il Papa, per la preghiera mariana e prima ancora hanno partecipato
alla Santa Messa, presieduta dal vescovo di Aosta, mons. Giuseppe Anfossi, accompagnata dai canti in tedesco in onore del
Papa della comunità Valser e
dei piccoli cantori, i Mitici Angioletti da Zelo Buon Persico. Un grazie particolare anche ai giornalisti, che lo hanno
seguito in questo breve soggiorno nella Valle d’Aosta, che si chiuderà giovedì
prossimo, quando il Benedetto XV si trasferirà nella residenza estiva di Castel Gandolfo.
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Seguendo
le intenzioni e le indicazioni del Santo Padre, stamane
nella Basilica di San Pietro è stata celebrata una Messa per la pace in Libano,
presieduta da Chekrallah Harb
vescovo emerito di Jounieh dei Maroniti, assieme a
sei sacerdoti libanesi e al canonico vaticano, mons. Giuseppe Simonazzi. Inoltre tutte le celebrazioni eucaristiche che
si svolgeranno oggi nella Basilica vaticana, conterranno una speciale
invocazione al Signore per il ristabilimento della concordia in Libano e in
tutta la martoriata regione mediorientale. Nelle ultime ore si sono
moltiplicate le adesioni da numerosi Paesi alla speciale Giornata di preghiera
voluta dal Papa. Ma come vivere concretamente in preghiera e penitenza questa
giornata per rispondere all’invito di Benedetto XVI? Tiziana Campisi lo ha chiesto a padre Vincenzo Coli, custode della
Basilica di San Francesco ad Assisi:
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R. – Questa preghiera è
accompagnata dal digiuno, perchè il Vangelo dice: “Certi demoni non si scacciano,
non si vincono, se non con la preghiera e il digiuno”. Sia la preghiera, sia il
digiuno devono farci comprendere che l’uomo deve aver fame non soltanto di cose
che lo possano rendere umanamente felice, ma anche di valori reali che possano
dare un senso di pienezza alla sua esistenza.
D. – Di fronte ai numerosi
interrogativi che può far sorgere una situazione come quella del Medio Oriente,
quali risposte può dare la preghiera?
R. – Intanto, la preghiera ci pone
davanti al Signore come siamo nella nostra più profonda realtà: creature,
quindi, limitate ed anche peccatrici. Ma questa è una molla formidabile per
impegnarci tutti nonostante i nostri limiti ed eventualmente anche altre nostre
colpe. Si può sempre riprendere il cammino della vita, perché l’ultima parola,
ed anche la prima, per il credente, è lo Spirito Santo. Il fatto, poi, che
dialoghiamo con il Signore credo ci debba porre davanti all’uomo in carne ed
ossa, ai suoi problemi, come davanti ai popoli e alle nazioni, con molto realismo,
per capire che nella vita la giustizia ci impegna a ritrovare le radici del
nostro essere, capaci anche di pensare agli altri, a chi abbiamo intorno nella
nostra esistenza quotidiana, soprattutto se pensiamo a popoli che soffrono la
fame, le malattie o altro.
D. – Lei vive ad Assisi a fianco
della tomba di San Francesco, il Santo della pace. Quale suggerimento può
darci?
R. – Io vorrei dire, prima di
tutto a me stesso e poi ai miei confratelli ed anche a milioni di uomini, di
donne, di giovani, di osservare qualche minuto di silenzio interiore per
ritrovare le profondità del proprio essere che, sicuramente, ci porta ad
aspirare alla pace e a tutti gli altri beni. La pace è un po’ il compendio di
tutti i beni che possiamo immaginare. Crearsi allora uno spazio di silenzio, un
momento per noi stessi, per capire la nostra dignità, la nostra grandezza oltre
al nostro limite. In questo spazio di silenzio, poi, chiedere al Signore la forza di essere coerenti nella vita, per dare anche
testimonianza che essere uomini significa essere forti, essere aperti, essere
capaci di una libertà, ma di una libertà responsabile.
Ma qual è il senso che la
preghiera assume nella vita di ogni uomo. Ascoltiamo madre Caterina Corona,
badessa del Monastero di clausura delle Benedettine di Norcia:
R. – Pregare è intanto il
raccogliere un invito del Signore: “Dove due o tre sono riuniti in preghiera,
io sono in mezzo a loro”. E’ essere uniti a Lui, oltre ad essere uniti ecclesialmente, tutti insieme, e
non soltanto dove sono quei due, tre. Quei due, tre essendo uniti a Cristo,
sono uniti a tutta la Chiesa, a tutta l’umanità. Per questo la preghiera ha un
senso, un valore universale.
D. – Come rispondere a quelle
persone che affermano di non avere tempo per pregare?
R. – La preghiera si esprime anche
nel lavoro, nella vita, in tutti i modi. La nostra regola è stata tradotta nel
motto: “Ora et labora”. Ci
sono dei tempi determinati per la preghiera e per il lavoro. Poi, però, se
questa preghiera non diventa l’anima del nostro lavoro, della nostra vita, del
nostro fare, sono momenti, non dico persi, ma quasi. La preghiera dentro di
noi, se è veramente preghiera, determina il nostro comportamento, il nostro
modo di fare. Quindi, un lavoro che io faccio è diverso come anima, è animato,
cioè, dallo spirito che dovrebbe essere in me. E’ bene in questo mondo così
dinamico, così veloce, in cui non si trova un momento per pregare, ogni tanto
riportare a Dio quello che stiamo facendo, un pensiero a Lui, un
ringraziamento, una richiesta di aiuto… incarnare, perché il Signore si è
incarnato. La preghiera non è disincarnarsi, la preghiera fa scendere in ogni
momento della mia vita, in ogni situazione, questo spirito di Dio.
D. – In un periodo così difficile
come rapportarsi alla preghiera?
R. – Il primo impatto è la
ribellione, la condanna. Perché? Perché? Ce lo
domandiamo continuamente: perché? Per noi la preghiera in questo momento, in
questi casi è la storia dell’uomo, fatta sempre di miseria, di limiti, di
incoerenze, di odii, purtroppo, di egoismi. La
preghiera è cercare di far calare la storia di salvezza di Dio in questa nostra
storia. Questa è la visione teologica anche di queste situazioni così dolorose.
Malgrado tutto, malgrado noi, Dio porta avanti la sua storia di salvezza. Questa
è la fede.
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23 luglio 2006
L’offensiva israeliana prosegue senza sosta. I caccia
hanno colpito ancora Beirut e Sidone. Mentre le truppe sono sconfinate nel
territorio libanese. Gli Hezbollah hanno lanciato decine di razzi sulla città
di Haifa.
Dall’Italia intanto è giunta la prima nave con
aiuti umanitari dall’inizio del conflitto
- Ai nostri microfoni Rosette Hechaime e padre Mario Murru -
I quartieri di Beirut continuano
ad essere martellati dall'Aeronautica israeliana, che nelle ultime ore ha preso
di mira anche obiettivi civili nelle regioni orientali e meridionali del Paese.
I raid israeliani, nella notte, hanno ridotto in rovine un centro religioso
sciita a Sidone, mentre nella valle della Bekaa sono state distrutte tre aziende, una casa e diversi
ponti. Gli Hezbollah hanno risposto con il lancio di
razzi: una decina sono caduti sulla città di Haifa,
provocando almeno due vittime. Intanto, le forze israeliane, dopo la conquista
di una roccaforte degli Hezbollah al confine,
continuano a spingersi all’interno del Libano. Il servizio di Eugenio Bonanata:
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Respingere i miliziani Hezbollah almeno a 20 km a nord della frontiera. E’ questo
l’obiettivo delle truppe israeliane che ieri, per la prima volta, sono
penetrate in Libano via terra conquistando il villaggio di Maroun-al-Ras, da dove in questi giorni erano stati
lanciati molti razzi katiuscia. La battaglia è stata
lunga. Almeno 30 Hezbollah sono stati uccisi. Sette
invece le perdite fra soldati israeliani. Israele continua a parlare di
incursioni limitate, e afferma di non avere intenzione di invadere, ma diverse
fonti prevedono nuovi attacchi nell’entroterra libanese, dove si ritiene siano
collocate altre importanti postazioni degli Hezbollah.
Un’eventuale invasione israeliana spingerebbe la Siria ad entrare in guerra
contro lo Stato ebraico. Lo ha detto chiaramente Damasco, ma contro questa
ipotesi e in favore di un ‘cessate il fuoco’, in queste ore si muove attivamente la diplomazia
internazionale. Oggi a Gerusalemme sono arrivati infatti
il ministro degli Esteri francese, quello tedesco e quello britannico: tutti,
attraverso varie consultazioni, intendono preparare il campo al Vertice di
mercoledì prossimo a Roma. Con l’obiettivo di isolare le influenze di Iran e
Siria sugli Hezbollah ed Hamas si muove anche il
segretario di Stato Americano, Condoleezza Rice, che questa sera partirà per il Medio Oriente dove
domani in
contrerà i vertici israeliani e
palestinesi. Si tratta anche sul possibile dispiegamento nel Libano Sud di una
Forza multinazionale. Israele potrebbe accettare l’ipotesi solo se servisse ad
impedire il ritorno dei miliziani Hezbollah
nell’area. Intanto, secondo la Tv libanese Lbc, gli Hezbollah, che il 12 luglio hanno rapito due soldati
israeliani, avrebbero accettato l’avvio di un negoziato, condotto dalle
autorità libanesi, per un scambio di prigionieri con
Israele. In mattinata, da Beirut il ministro degli
Esteri libanese, aveva fatto sapere che i due soldati “sono in buona salute e
in un luogo sicuro”. C’è da ricordare che il sequestro dei soldati
ha provocato la reazione israeliana contro il Libano. Sul fronte palestinese,
infine, almeno cinque razzi sono esplosi stamani nella zona di Sderot, senza provocare vittime.
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Stamani è attraccata nel porto di
Beirut la nave della Marina militare italiana San Giorgio con un carico di
aiuti d'emergenza destinati alla popolazione civile, che saranno consegnati
all’Alto Comitato per i Soccorsi (HCS) libanese. La nave, la prima ad arrivare
nell’area, trasporta medicinali, aiuti alimentari, tende, coperte e kit
sanitari per un totale di 112 tonnellate, raccolti da Protezione Civile e Croce
Rossa Italiana. Secondo le prime notizie il carico contiene anche due ambulanze,
un generatore di corrente e una cucina da campo. Intanto, mentre Israele ha
ribadito l’apertura di un percorso aereo e marittimo protetto per l’invio di
aiuti, le Nazioni Unite, dopo i primi sopralluoghi nella zona di Beirut, hanno
accusato lo Stato ebraico di aver violato la legge umanitaria per i ripetuti e
massicci attacchi che hanno devastato l’area. Per un quadro sulla condizione
delle strutture in questo momento Antonella Palermo ha raggiunto
telefonicamente a Beirut Rosette Hechaime,
coordinatrice delle Caritas del Medio Oriente e del Nord Afrca:
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R. – La preoccupazione è per il
futuro, perché nessun giorno assomiglia all’altro e le sorprese sono sempre
diverse. Le città come Beirut sono ormai irriconoscibili. Ci sono parti
completamente devastate dagli attacchi militari e altre che ormai sono
sovrappopolate dagli sfollati, che lasciano in massa il sud. Nella popolazione
c’è un movimento di solidarietà mai visto prima. La solidarietà tra cristiani e
musulmani, che
tante volte è stata messa in dubbio, è
reale. Questa gente del sud che sta venendo verso Beirut o verso il nord è
accolta a braccia aperte da altri libanesi come loro. Siamo libanesi, siamo
figli di Dio, siamo uomini in una situazione drammatica e non c’è nessun
diffidenza.
D. – Come Caritas che cosa state
facendo? Quali collaborazioni avete attivato e di cosa avete bisogno?
R. – La Caritas fin dai primi
istanti si è messa in contatto con altre organizzazioni non governative ed
anche con il Consiglio di emergenza del Paese, che si è costituito per
rispondere ai diversi bisogni. La Caritas si è impegnata in modo particolare
nell’emergenza del cibo, nel provvedere ai bisogni di prima necessità.
D. – Ci può fornire un po’ di
numeri, un po’ di dati per renderci conto delle proporzioni, delle difficoltà
che tutta la popolazione sta vivendo?
R. – L’aeroporto è fuori uso.
Alcuni porti sono stati colpiti. L’unico Paese, oltre ad Israele, con il quale
abbiamo delle frontiere in comune è la Siria e tutte le strade che portano in
Siria sono diventate difficili da praticare. Si parla di 600 mila persone
sfollate dal sud. Quindi, quando si vede uno spostamento di 600 mila persone e
più verso le città più importanti si capisce subito la crisi economica che ci
ha travolti.
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L’offensiva israeliana in Libano
ha causato oltre 350 morti, tra i quali molti civili. Per contro, i razzi
lanciati dai miliziani di Hezbollah contro l’alta
Galilea sono costati la vita ad oltre 30 israeliani. Nei giorni scorsi è stata
colpita anche la città di Nazareth, dove, a poche decine di metri dalla
Basilica dell’Annunciazione, due bambini sono morti. Questo episodio,
unitamente alla recrudescenza del conflitto, sta provocando la fuga di turisti
e pellegrini dalla città, che vive nella paura. Lo conferma, al microfono di
Antonella Palermo, padre Mario Murru, direttore
dell’Istituto dei salesiani di don Bosco a Nazareth:
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R. - Continua ad esserci questo stato di apprensione in tutti i
cittadini. In questi ultimi giorni non sono scesi a Nazareth altri razzi. Per
tutto quello che è successo, sono sospese tutte le attività estive. Non ci
devono essere assembramenti di persone. La paura è legata ai
proprio razzi degli Hezbollah: nessuno sa
quando e dove possono arrivare.
D. – Come cattolici, vi sentite
minacciati?
R. – No, non in quel senso perché
i razzi non li mandano né ai cattolici, né agli ebrei e neanche ai musulmani.
Di fatti, uno dei due razzi che sono caduti mercoledì scorso, ha fatto delle
vittime tra i musulmani; l’altro, invece, è caduto in un sobborgo dove la
stragrande maggioranza è cristiana. Là, non ha fatto vittime. Adesso gli
alberghi, i ristoranti, gli hotel, sono tutti chiusi, non ci sono più turisti,
non ci sono più pellegrini; questo rappresentava la possibilità di far crescere
l’economia del Paese. In questi mesi sembrava che tutto stesse migliorando
perché erano ritornati parecchi pellegrini, parecchi turisti. Adesso si sta
tornando ad una situazione che è peggiore di quella di prima. Cosa succederà,
non lo sappiamo nemmeno noi; so che tutti desiderano avere più tranquillità e
sicurezza e tutti anelano alla pace. L’appello che lanciamo è che soprattutto i
‘grandi’, e non solo, tutti insieme, dobbiamo essere convinti della necessità
di vivere nella tranquillità, nella sicurezza, nella pace. Dobbiamo fare tutti
gli sforzi per cercare di risolvere i problemi: risolvere le cause che sono
alla radice di tutto quello che sta succedendo in modo che possiamo vivere dei
tempi tranquilli, non soltanto un anno o due o tre, ma un’intera vita
tranquilla.
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IN
LIEVE FLESSIONE
CHE
PREVEDONO NEL LORO ORDINAMENTO
LO
RILEVA IL RAPPORTO ANNUALE DI “NESSUNO TOCCHI CAINO”
-
Intervista con Elisabetta Zamparutti -
La pena di morte nel mondo è in
lieve flessione. Lo rileva il rapporto annuale di Nessuno Tocchi Caino, presentato
nella sede romana dell’associazione, dinnanzi a vari esponenti delle
organizzazioni per la difesa dei diritti umani e a rappresentanti delle
istituzioni, fra cui il presidente del Senato Franco Marini. Ed è significativo
che il dossier, curato da Elisabetta Zamparutti,
abbia in copertina la foto di Saddam Hussein in veste di imputato. Il servizio di Andrea Rustichelli:
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E’ proprio il deposto rais di
Baghdad a rivestire il ruolo di testimonial per il
rapporto 2006 di “Nessuno Tocchi Caino” che conferma
l’evoluzione positiva in atto nel mondo verso una progressiva sparizione della
pena capitale. Ma sono ancora 5494 le esecuzioni registrate nel 2005, soltanto
qualche decina in meno di quelle del 2004. E’ l’Asia ad avere il triste
primato. Nel continente si pratica la quasi totalità delle esecuzioni mondiali,
con la Cina a trainare il bilancio, responsabile di
almeno 5000 morti nello scorso anno. Ma ci sono anche le Americhe; il
continente sarebbe esente dal conteggio se non fosse per gli Stati Uniti che
hanno giustiziato nel 2005 60 persone, una in più del 2004, mentre su scala
nazionale sono Cina, Iran ed Arabia Saudita gli Stati che “Nessuno
Tocchi Caino” definisce i primi Paesi boia del 2005. Sentiamo Elisabetta
Zamparutti che ha curato la ricerca:
R. – Continuano ad aumentare i
Paesi che a vario titolo rinunciano a praticare la pena di morte. Oggi sono in
tutto 142 e si riducono, di conseguenza, i Paesi che la mantengono. Sono, ad oggi, 54 e anche quelli che effettivamente ne fanno
ricorso. E’ vero che diminuisce anche il numero delle esecuzioni capitali ma la
cifra è sempre drammaticamente alta. La cosa importante da sottolineare è che
oltre il 98 per cento viene compiuto da Paesi
totalitari e illiberali, proprio per sottolineare come in realtà anche la
battaglia per l’abolizione della pena di morte, sempre di più coincida con una
battaglia per lo sviluppo della democrazia.
D. – Come intervenire in queste
aree di crisi?
R. – “Nessuno
Tocchi Caino” ha un obiettivo molto preciso: quello di riuscire ad
ottenere dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, una risoluzione che
ristabilisce una moratoria universale delle esecuzioni capitali, in vista
dell’abolizione definitiva.
D. – Ci sono dei governi che
assumete come punto di riferimento, che vi danno una mano particolarmente
efficace?
R. – Le nostre aspettative sono
innanzitutto rivolte al Governo italiano che storicamente ha condotto questa
battaglia in ambito di Nazioni Unite, ma poi anche i Paesi di tutti i
continenti che hanno i titoli per far parte di quella che è una coalizione
mondiale di governi a favore della moratoria ONU. Tra questi il Messico, ma anche
il Senegal, dove organizzeremo, nel dicembre 2006, una grande Conferenza contro
la pena di morte, nell’Africa occidentale; e poi anche in Asia ci sono dei
Paesi, come ad esempio Timor Est, abolizionisti e impegnati sul fronte
dell’abolizione.
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NELLE
ULTIME SETTIMANE NUOVI ATTACCHI DEI RIBELLI TAMIL IN SRI LANKA:
DALL’INIZIO
DELL’ANNO SONO OLTRE 700 I MORTI NELLA GUERRIGLIA
-
Intervista con padre Anton Weerasinghè
-
Nuova ondata di violenza in Sri Lanka. Nel nord est del Paese i ribelli Tamil
tornano a mietere vittime utilizzando mine nei loro attacchi. Dall’inizio
dell’anno sono oltre 700 i morti di questa guerriglia che sembra non dare
tregua, tanto che gli esperti temono una recrudescenza della guerra civile. Antonella Villani ha sentito in proposito padre Anton Weerasinghè, segretario
regionale per l’Asia Meridionale della Curia generale dei Gesuiti.
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R. – Subito forse non c’è timore,
ma fra qualche tempo sì. Adesso sembra che anche i ribelli si siano indeboliti:
non possono fare una guerra, perché ci sono divisioni al loro interno.
D. – Tra l’altro, il Paese è stato
martoriato un anno e mezzo fa dallo Tsunami. Come va
la ricostruzione?
R. – Una parte della ricostruzione
viene fatta dalle ONG. Adesso però c’è un blocco da parte
dei politici, che non hanno ancora deciso cosa fare. C’è un problema di
corruzione c’è un partito politico che vuole con il suo nome farsi pubblicità,
sottolineando di aver partecipato lui alla ricostruzione e non altri. Una parte
è costituita da tanti gruppi di volontari, ma la gran parte della gente vive in
una situazione molto difficile. I bambini non possono nemmeno andare a scuola.
D. – Quindi, ancora molte baracche
e molta povertà…
R. – Sì, molta povertà e molta
sofferenza.
D. – Ma i fondi stanziati dai
governi esteri dopo la tragedia sono arrivati nello Sri Lanka
e sono utilizzati?
R. – Una parte non è arrivata,
perché avevano promesso di dare i soldi solo se ci fosse
stato un accordo tra i ribelli e il governo, ed ancora non si è arrivati
ad un accordo. Una buona parte quindi è ancora nelle banche, non essendo stato
deciso cosa fare. I progetti sono tanti, ma non si fa nulla.
D. – Quindi, praticamente, è tutto
in mano alle ONG?
R. – Sì, loro fanno un gran
lavoro. Hanno già lavorato per costruire le case, per aiutare i pescatori, gli agricoltori… ma questa è solo una piccola parte di coloro
che sono stati colpiti dallo Tsunami.
D. – E come si concilia il lavoro
dei volontari con la guerriglia tamil?
R. – Devono stare sempre attenti e
pronti a scappare quando ci sono gli attacchi. Solo così riescono ad andare
avanti, anche se lentamente.
D. – A soffrirne di più ovviamente
è il nord-est del Paese…
R. – Sì, a nord-est non c’è questa
calma, questa pace, con la quale la gente può aiutare i poveri.
D. – Quale potrà essere, a questo
punto, il futuro del Paese?
R. – Se i politici riusciranno a
trovare un accordo fra di loro per fare un piano di
sviluppo, potranno fare qualcosa e affrontare la minaccia dei guerriglieri. Ma
se non lo faranno, avranno grandi difficoltà e questa sofferenza della gente
continuerà. C’è anche il problema dell’economia, con il rialzo del prezzo del
petrolio. La vita ora è diventata molto cara, specialmente per i poveri. Non
c’è grande speranza nel futuro.
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23 luglio 2006
LIBANO: I VESCOVI MARONITI, CONDANNANO L’INVASIONE DI ISRAELE
E LA PRATICA DEI SEQUESTRI. I POLITICI LIBANESI ESORTATI
A SUPERARE LE DIVISIONI E A TROVARE UNA SOLUZIONE CONGIUNTA
BEIRUT. = Immediato cessate il fuoco, apertura dei corridoi umanitari;
condanna dell’invasione israeliana ma anche della politica dei sequestri messa
in atto da Hezbollah come dai gruppi palestinesi;
unità con il Papa per questa domenica di preghiera per la pace in Libano.
Si articola in otto punti il documento stilato dai vescovi maroniti al termine
dell’Assemblea straordinaria che si è tenuta venerdì per discutere del
precipitare della crisi in Libano. Le discussioni, alle quali non hanno potuto
prendere parte i vescovi provenienti dal sud del Libano (monsignor Nabil Hajje di Tiro e monsignor
Elias Nassar di Saida),
sono terminate con un invito a tutti i fedeli a rispettare, questa domenica, la
Giornata di preghiera per la pace in Libano. “Solo la preghiera” si legge nel
documento conclusivo dei vescovi “può salvare il Paese”. I vescovi lanciano un
appello a tutti gli uomini di buona volontà a venire in soccorso dei civili
inermi che in queste ore stanno subendo le gravi conseguenze del conflitto e
dei bombardamenti aerei. Ma soprattutto ribadiscono la necessità di un cessate
il fuoco, chiamando l’Onu a “raddoppiare i propri
sforzi” per strappare alle parti una cessazione almeno temporanea delle
ostilità. Non mancano poi appelli all’unità indirizzati ai rappresentanti
politici del Libano. Un Paese segnato da profonde divisioni, ma che, nonostante
le differenze di vedute, sottolineano i vescovi, deve compiere ogni sforzo per
trovare una soluzione congiunta alla crisi. Infine l’esortazione, indirizzata
ai “responsabili della violenza”, a permettere l’afflusso di generi alimentari
e sanitari nelle zone bombardate, e l’auspicio che tutti i cittadini libanesi
siano pronti ad accogliere i propri fratelli, “senza distinzioni tra cristiani
e musulmani”. (A.C.)
HAITI: LIBERATI I DUE FRANCESCANI RAPITI A PORT AU PRINCE. MA LE
TENSIONI
RIMANGONO ALTE NEL PAESE, DOVE SONO AUMENTATI NEGLI ULTIMI MESI
GLI EPISODI DI VIOLENZA E I SEQUESTRI
- A cura di Andrea Cocco -
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PORT AU PRINCE. = Si
dicono solo un po’ spaventati ma contenti di essere
potuti tornare a casa tra i loro confratelli e amici. Rapiti due giorni fa
nella capitale Port Au Prince a due passi dal convento dove abitano, Padre Cesar Humberto Flores, frate
minore originario del Salvador, e il giovane postulante haitiano che lo
accompagnava, assicurano di stare bene. Nonostante le richieste, nessun
riscatto è stato pagato per la loro liberazione, ottenuta grazie ad una intensa trattativa. A convincere il gruppo di rapitori
sembra siano state le forti pressioni esercitate dal governo ma anche quelle
dei vari gruppi religiosi attivi a Port au Prince. La piaga dei sequestri
nell’isola caraibica rimane però all’ordine del
giorno, con una preoccupante impennata di episodi. Nell’ultima settimana almeno
15 persone, di cui 3 straniere, sono state prelevate dai gruppi malavitosi che
imperversano nel Paese. Episodi che non sono di buon auspicio per il neo eletto
presidente René Préval,
salito al potere con la promessa di ridurre la povertà e riportare la sicurezza
nel Paese. Ad Haiti è oggi attiva una speciale unità
della polizia per liberare le persone sequestrate ed evitare il moltiplicarsi
dei rapimenti. Ma nonostante la presenza degli oltre 2000 caschi blu dell’Onu il governo non è ancora riuscito a ristabilire la
sicurezza nel Paese e la gente tende a risolvere i propri problemi in modo
autonomo. Secondo un’organizzazione locale per i diritti umani negli ultimi due
anni ammontano a diversi milioni di dollari i soldi versati per riscattare
familiari sequestrati.
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UN FILM SUL LIBANO E UNA CANZONE SUL
RWANDA. QUESTE LE OPERE SCELTE DA
AMNESTY INTERNATIONAL CHE NEL FINE SETTIMANA
HA ASSEGNATO I PREMI PER LA MUSICA E IL CINEMA CHE HANNO APPROFONDITO IL TEMA
DEI DIRITTI UMANI.
ROMA. = Si chiama Zozo e risulta di una sorprendente attualità il film
premiato da Amnesty International
al termine del Giffoni film Festival. Ambientata a
Beirut nel 1987, l’opera del regista libanese Josef Fares, racconta infatti la
drammatica vicenda di un bambino che ha perso la sua famiglia durante un
bombardamento. “Si tratta di un film che descrive il passaggio dall’oscurità
della guerra alla luce della vita, attraverso la voce dell’innocenza”, si legge
nelle motivazioni del Premio assegnato dall’organizzazione internazionale come
migliore lungometraggio per ragazzi sui diritti umani. Premiata in particolare
la capacità con la quale il regista riesce a far immedesimare lo spettatore nei
panni di civili, vittime inermi di un conflitto armato. Ma c’è anche musica nei
premi consegnati da Amnesty per l’attenzione mostrata
ai temi dei diritti umani. Nell’ambito della serata conclusiva del concorso
“Voci per la libertà”, che si svolge oggi a Rovigo, verrà
premiata Paola Turci autrice della canzone “Rwanda”. (A.C.)
IN UGANDA I FARMACI COSTANO TROPPO. IN MANCANZA DI SOLDI SEMPRE
PIU’ PERSONE ABBANDONANO LE CURE
PRESCRITTE DAL PERSONALE MEDICO
E SI AFFIDANO AI CURATORI TRADIZIONALI
KAMPALA. = Cresce il
numero di ugandesi che a causa dell’elevato costo di
medicine e cure sanitarie decidono di affidarsi ai curatori tradizionali.
Secondo l’agenzia di informazione dell’Onu, IRIN, la
mancanza di medicinali è cronica in alcune zone del Paese comportando
l’aggravarsi delle condizioni sanitarie per migliaia di persone. “I medicinali
sono la principale ragione per cui i pazienti decidono di recarsi negli
ospedali”, ha spiegato all’agenzia IRIN Rosette Mutami, coordinatrice della
Coalizione di associazioni per l’accesso ai farmaci. “L’Uganda ha a
disposizione solo un terzo dei farmaci di cui avrebbe bisogno. Senza
medicinali, la gente decide di tornare alle cure tradizionali, ritenendo che
gli ospedali non hanno la capacità di risolvere i problemi”. L’allarme sul
declino delle cure mediche è lanciato anche dal ministero nazionale della
Salute e dall’Organizzazione mondiale della salute, che in uno studio
pubblicato di recente sottolineano come, anche quando i farmaci sono
disponibili, i pazienti non possono accedervi a causa dei prezzi eccessivi.
Secondo IRIN, le cause della difficile situazione ugandese,
vanno cercate nei meccanismi attraverso cui vengono
stabiliti i prezzi delle medicine sul mercato internazionale. Ma non mancano le
critiche indirizzate al governo di Kampala e alla cattiva gestione delle
risorse finanziarie. (A.C.)
PROGRESSI NELLA RICERCA CONTRO IL VIRUS EBOLA IN AFRICA.
ATTRAVERSO L’ALTERAZIONE DI UN AMINOACIDO – SPIEGANO GLI STUDIOSI-
IL VIRUS NON È IN GRADO DI COLPIRE
KINSHASA. = Grazie ai
ricercatori della US drug administration
nascono le
prime speranze per l’Africa di sconfiggere il virus Ebola,
malattia che uccide dal 50 al 90 per centodei casi, anche in meno di tre giorni dalla comparsa
dei primi sintomi. A venti anni dalla prima comparsa del virus lungo le rive
del fiume Ebola, nella Repubblica democratica del Congo, il team dei ricercatori statunitensi ha
annunciato di aver individuato due aminoacidi, presenti all’interno del virus,
che agiscono da “grimaldello” per entrare nelle cellule umane prima di
infettarle. Alterando i due aminoacidi, o uno solo di loro - si spiega nello
studio pubblicato su ‘Virus Research’ - Ebola non è in grado di
colpire. Questa scoperta, riferisce l’agenzia Misna,
potrebbe aiutare a produrre medicinali in grado di fermare l’avanzamento della
malattia. Tra i progressi recentemente fatti dalla ricerca scientifica su Ebola - che finora non ha cura né vaccino - va inclusa la
scoperta del ruolo che giocano gli enzimi umani nell’aiutare il virus ad
attaccare le cellule. Lo scorso anno, inoltre, un vaccino sperimentale contro
le febbri emorragiche creato nel Laboratorio di microbiologia di Winnipeg, in Canada, ha dato risultati molto incoraggianti.
(A.Gr.)
I VESCOVI DEL PARAGUAY CELEBRANO CON UNA MESSA L’ANNIVERSARIO
DELLA NASCITA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE LATINOAMERICANO.
LA STORIA DELLA CEP RACCONTATA DAL QUOTIDIANO ABC
ASUNCION. = I vescovi del Paraguay celebrano oggi con una Messa il cinquantesimo
anniversario dalla nascita della Conferenza episcopale del Paese. A partire
dalle 7 locali, i presuli rinnoveranno la loro vocazione, ricordando lo storico
momento in cui, il 20 luglio del 1956, i vescovi ottennero l’approvazione dello
statuto che fino ad oggi regola la vita della Conferenza episcopale paraguayana. A riportare nel dettaglio le
storia della Cep è il quotidiano paraguayano Abc, che sottolinea
alcuni momenti particolarmente importanti. Tra questi, la visita effettuata in
Paraguay da Papa Giovanni Paolo II, nel maggio del 1988.
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23 luglio 2006
- A cura di Roberta
Moretti -
Domenica di sangue in Iraq, dove in tre
diversi attentati hanno trovato la morte circa 60 persone. Alle stragi si
aggiunge la denuncia di Human Right
Watch, che in un rapporto parla di abusi e torture
sistematiche nelle carceri americane in Iraq tra il 2003 e il 2005, dopo lo
scandalo di Abu Graib del
2004. Roberta Moretti:
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Sono ancora i civili a
fare le spese più gravi delle violenze in Iraq. Stamani, almeno 34 persone sono
morte e oltre 70 sono rimaste ferite per l’esplosione di un’autobomba vicino al
mercato all’aperto di Jamila, nel quartiere sciita di
Sadr City, a Baghdad, dove altri 8 iracheni hanno
perso la vita per lo scoppio di un ordigno nei pressi della sede del Consiglio
municipale. Grande spargimento di sangue anche a Kirkuk,
importante polo petrolifero a nord della capitale. Un’autobomba, guidata da un
kamikaze, è esplosa davanti a un tribunale nel centro della città, uccidendo
almeno 22 persone, ma il bilancio sembra destinato ad aggravarsi, dato che tra
i circa 100 feriti vi sono persone gravemente ustionate. Sul fronte politico, i
leader iracheni, riuniti da ieri a Baghdad per la prima Conferenza sulla
riconciliazione nazionale, moltiplicano gli sforzi per dare vigore alle
istituzioni democratiche nel Paese, in vista dell’incontro, martedì alla Casa
Bianca, tra il premier iracheno, al Maliki, e il
presidente americano, Bush. E intanto sugli Stati
Uniti piovono nuove accuse di torture e violazioni dei diritti umani nei luoghi
di detenzione allestiti in Iraq, dopo lo scandalo del carcere di Abu Graib. In un Rapporto di 53
pagine, Human Right Watch fa riferimento a gravi abusi nel centro di detenzione
di Camp Nana, all’aeroporto di Baghdad, in una struttura vicino all’aeroporto
di Mossul e in una base nei pressi di al-Qaim, alla frontiera con
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Non si allenta la tensione in Afghanistan. Le
Forze di sicurezza afgane hanno ucciso stamani 19 sospetti guerriglieri talebani e catturato altri 17 militanti – tra cui due
pakistani – nel corso di un’importante operazione nella provincia meridionale
di Helmand. Intanto, è di 8 morti, di cui due soldati
canadesi della Coalizione internazionale e 6 civili, il bilancio di due
attentati dinamitardi avvenuti ieri sera a Kandahar,
nel sud del Paese, ai danni del contingente canadese. Dicendosi seriamente
preoccupato per il deterioramento della situazione, il ministro della Difesa
australiano, Brendan Nelson, ha annunciato
l’intenzione di inviare altre truppe in Afghanistan, in supporto ai 300
militari finora schierati dal governo di Canberra.
Primo scontro a fuoco, ieri pomeriggio in
Somalia, tra i militanti islamici e le forze del governo di transizione, da
quando il 5 giugno scorso le Corti Islamiche si sono impadronite della capitale
somala. Le milizie filo-governative hanno fatto fuoco su due camioncini con
armamenti pesanti delle Corti nel distretto di Qoryooley,
a
Nuove ombre sui colloqui di pace tra il governo ugandese e i ribelli del Lord Resistence
Army (LRA). Nessun accordo preliminare è stato infatti raggiunto tra il governo di Kampala e l’LRA che
chiede una compensazione monetaria e alcune cariche istituzionali nel governo
centrale. Le autorità ugandesi, che propongono
un’amnistia generale per i crimini commessi dai guerriglieri hanno minacciato
di riprendere le ostilità. Forti timori sono stati espressi sulle conseguenze
che le nuove tensioni ugandesi potrebbero avere sulla
Repubblica democratica del Congo, dove sono dislocate
le basi del LRA.
Una scossa di terremoto di 6,1 gradi sulla
scala Richter ha investito stamani l’isola
indonesiana di Sulawesi, meno di una settimana dopo
che l’isola di Giava è stata colpita da un devastante
Tsunami che ha fatto più di 600 morti. L’epicentro
del terremoto è stato registrato a
Forte preoccupazione a Taiwan e in Cina per
l’avvicinarsi del tifone Kaemi. L’ufficio centrale
meteorologico di Taiwan ha riferito che alle 6.30 di questa mattina il centro
del tifone si trovava a circa
Almeno 24 persone sono morte e 4 disperse a
causa delle violente piogge che da lunedì si stanno abbattendo sul Giappone
centro-meridionale. A riferirlo, ieri sera, è stata l’agenzia Kyodo News, precisando che circa 100 mila persone sono
state invitate a evacuare la regione.
Cresce l’attesa per il Vertice tra governi
asiatici e occidentali che si svolgerà la prossima settimana a Kuala Lumpur, in Malesia. Tra gli
argomenti all’ordine del giorno, il programma nucleare della Korea del Nord. Nonostante gli
sforzi, sono in pochi a credere che il Vertice di Kuala
Lumpur possa favorire un accordo tra la comunità
internazionale e il regime di Pyongyang.
Nove persone, fra cui sei appartenenti alla
ONG ambientalista, Conservacion Internacional,
e tre guide locali, sono state sequestrate ieri pomeriggio nella Colombia settentrionale
da un gruppo armato clandestino, forse appartenente all’Esercito di liberazione
nazionale (ELN). Lo hanno reso noto fonti governative
a Bogotà. Il gruppo raccoglieva informazioni per
rendere possibile la dichiarazione di zona naturale protetta per
Concluso stamani un importante accordo di partenariato tra Unione Europea e Mauritania nel settore
della pesca. L’intesa – che entrerà in vigore dal primo agosto e sarà valida
per sei anni – prevede per circa 200 pescherecci europei la possibilità di
pescare nelle acque della Mauritania crostacei (principalmente gamberetti),
naselli, cefali, tonni ed altre specie. L’UE ha quindi stanziato un
finanziamento di 86 milioni di euro all’anno. Gran
parte del contributo sarà finalizzato al sostegno e allo sviluppo di una
politica di pesca “responsabile e sostenibile” da parte della Mauritania.
Grande attesa per il primo incontro diretto,
domani a Vienna, tra i vertici serbi e albanesi per discutere della spinosa
questione dello statuto del Kosovo, la provincia
serba amministrata dal 1999 dalle Nazioni Unite. A presiedere la riunione,
l’inviato speciale ONU per il Kosovo, Martti Ahtisaari. Intanto, il
primo ministro kosovaro, Agim
Ceku, ha chiesto ieri alla Missione delle Nazioni
Unite nel Paese (MINK) e alle Forze di pace NATO di potenziare le misure di
sicurezza nel nord della provincia e lungo il confine con la Serbia. I
dirigenti della regione settentrionale del Kosovo, hanno
recentemente invocato la possibilità di una secessione, se il resto della
provincia, a maggioranza albanese, riuscisse a ottenere l’indipendenza da
Belgrado.
Circa centomila abitanti di New York City sono rimasti
senza energia elettrica per il sesto giorno consecutivo. I temporali hanno
danneggiato la rete è messo in grave difficoltà l’azienda elettrica Con Edison, che prima ha minimizzato la portata del
danno e non è riuscita poi a riparare il guasto in tempi accettabili. I disagi
maggiori nel Queens. Secondo il sindaco di New York, Bloomberg, la normalità potrà tornare intorno all’inizio
della prossima settimana.
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