RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 204  - Testo della trasmissione di domenica 23 luglio 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Nell’odierna Giornata di preghiera e penitenza per la pace in Medio Oriente, la voce dei credenti in tutto il mondo si è unita all’implorazione di Benedetto XVI, all’Angelus, di abbandonare lo scontro armato e costruire con l’audacia del dialogo una pace giusta e duratura.

 

Il significato della preghiera nelle riflessioni del custode della Basilica di San Francesco ad Assisi, padre Vincenzo Coli e di madre Caterina Corona, badessa del Monastero di clausura delle Benedettine di Norcia.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Prosegue l’offensiva israeliana. Colpite ancora Beirut e Sidone, mentre gli Hezbollah attaccano Haifa. Segna il passo la macchina umanitaria: interviste con Rosette Hechaime e padre Mario Murru

 

Pena di morte nel mondo in lieve flessione: lo rileva il rapporto annuale di Nessuno tocchi Caino. Ai nostri microfoni, Elisabetta Zamparutti

 

Nuovi attacchi dei ribelli Tamil in Sri Lanka: con noi padre Anton Weerasinghè

 

CHIESA E SOCIETA’:

I vescovi maroniti libanesi condannano l’invasione di Israele e la pratica dei sequestri da parte degli Hesbollah

 

Liberati ad Haiti i due francescani rapiti due giorni fa

 

Amnesty International assegna un premio ad un film sul Libano e ad una canzone sul Rwanda

 

In Uganda sempre più persone si affidano a curatori tradizionali a causa del costo dei farmaci

 

In Africa progressi nella ricerca contro il virus Ebola

 

I vescovi del Paraguay festeggiano i 50 anni della Conferenza episcopale del Paese latinoamericano

 

24 ORE NEL MONDO:

Domenica di lutto anche in Iraq: una sessantina i morti in tre diversi attentati

 

Ieri pomeriggio in Somalia scontro a fuoco tra militanti islamici e le forze del governo di transizione

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

23 luglio 2006

 

 

 

NELL’ODIERNA GIORNATA DI PREGHIERA E PENITENZA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE, LA VOCE DEI CREDENTI IN TUTTO IL MONDO UNITA ALL’IMPLORAZIONE

DI BENEDETTO XVI ALL’ANGELUS DI ABBANDONARE LO SCONTRO ARMATO

E COSTRUIRE CON L’AUDACIA DEL DIALOGO UNA PACE GIUSTA E DURATURA.

- Ai nostri microfoni padre Vincenzo Coli e madre Caterina Corona -

 

 

La voce disarmata e potente degli uomini inginocchiati per la pace tutto il mondo accanto a quella di Benedetto XVI in questa Giornata di preghiera e penitenza, indetta dal Santo Padre, perché cessino immediatamente le violenze in Medio oriente, si porti conforto alle popolazioni sofferenti e si arrivi a negoziati “ragionevoli e responsabili” che rendano giustizia a quella tormentata regione. Da Les Combes il Papa ha rinnovato all’Angelus il suo accorato appello di abbandonare lo scontro armato e costruire “con l’audacia del dialogo, una pace giusta e duratura”. Il servizio di Roberta Gisotti

 

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Un giorno speciale che ha visto la comunità di Le Combes unita ai credenti di tutto il mondo di ogni religione per “implorare da Dio il dono della pace”, così come  voluto Benedetto XVI, che dopo le ultime tragiche notizie dal fronte mediororientale, ha rinnovato “a Dio un’accorata preghiera, affinché l’aspirazione alla pace della stragrande maggioranza delle popolazioni posa essere quanto prima realizzata, grazie all’impegno dei responsabili”

 

“Rinnovo con forza l'appello alle Parti in conflitto, perché cessino subito il fuoco       e permettano l'invio di aiuti umanitari, e perché, con il sostegno della comunità internazionale, si cerchino vie per l'inizio di negoziati. Colgo l'occasione per riaffermare il diritto dei Libanesi all'integrità e sovranità del loro Paese, il diritto degli Israeliani a vivere in pace nel loro Stato e il diritto dei Palestinesi ad avere una Patria libera e sovrana”.

 

Il pensiero del Santo Padre è corso poi alle vittime di queste “spietate contrapposizioni”, come aveva già deprecato domenica scorsa:

 

“Sono, poi, particolarmente vicino alle inermi popolazioni civili, ingiustamente colpite in un conflitto di cui sono solo vittime: sia a quelle della Galilea costrette a vivere nei rifugi, sia alla grande moltitudine di Libanesi che, ancora una volta, vedono distrutto il loro Paese e hanno dovuto abbandonare tutto e cercare scampo altrove.

 

Ed ancora una raccomandazione per portare aiuti concreti a chi ne ha tanto bisogno:

 

“Rinnovo pure il mio appello a tutte le organizzazioni caritative, perché         facciano giungere a quelle popolazioni l'espressione concreta della comune solidarietà”.

 

Quindi un riferimento a Maria Maddalena, celebrata ieri dalla Chiesa, per richiamare “una verità fondana verità fondmantalebes unita ombes unita niata entalemi ed partecipata alla Santa Messa, celebrato dal vescovo mentale”: “discepolo di Cristo è chi nell’esperienza umana debolezza, ha avuto l’umiltà di chiedergli aiuto”. Ed ancora a Santa Brigida, festeggiata oggi, una della patrone d’Europa:

 

         “E’ venuta dalla Svezia, è venuta a Roma ha fatto pellegrinaggio in Terra Santa e ci invita, così, ad aiutare l’umanità a trovare un grande spazio di pace proprio  in Terra Santa”

 

Infine dopo l’Angelus i saluti alle migliaia di fedeli che si sono raccolti nella spianata di Les Combes, davanti alla villetta che ospita il Papa, per la preghiera mariana e prima ancora hanno partecipato alla Santa Messa, presieduta dal vescovo di Aosta, mons. Giuseppe Anfossi, accompagnata dai canti in tedesco in onore del Papa della comunità Valser  e  dei piccoli cantori, i Mitici Angioletti da Zelo Buon Persico. Un grazie particolare anche ai giornalisti, che lo hanno seguito in questo breve soggiorno nella Valle d’Aosta, che si chiuderà giovedì prossimo, quando il Benedetto XV si trasferirà nella residenza estiva di Castel Gandolfo.

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Seguendo le intenzioni e le indicazioni del Santo Padre, stamane nella Basilica di San Pietro è stata celebrata una Messa per la pace in Libano, presieduta da Chekrallah Harb vescovo emerito di Jounieh dei Maroniti, assieme a sei sacerdoti libanesi e al canonico vaticano, mons. Giuseppe Simonazzi. Inoltre tutte le celebrazioni eucaristiche che si svolgeranno oggi nella Basilica vaticana, conterranno una speciale invocazione al Signore per il ristabilimento della concordia in Libano e in tutta la martoriata regione mediorientale. Nelle ultime ore si sono moltiplicate le adesioni da numerosi Paesi alla speciale Giornata di preghiera voluta dal Papa. Ma come vivere concretamente in preghiera e penitenza questa giornata per rispondere all’invito di Benedetto XVI? Tiziana Campisi lo ha chiesto a padre Vincenzo Coli, custode della Basilica di San Francesco ad Assisi:

 

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R. – Questa preghiera è accompagnata dal digiuno, perchè il Vangelo dice: “Certi demoni non si scacciano, non si vincono, se non con la preghiera e il digiuno”. Sia la preghiera, sia il digiuno devono farci comprendere che l’uomo deve aver fame non soltanto di cose che lo possano rendere umanamente felice, ma anche di valori reali che possano dare un senso di pienezza alla sua esistenza.

 

D. – Di fronte ai numerosi interrogativi che può far sorgere una situazione come quella del Medio Oriente, quali risposte può dare la preghiera?

 

R. – Intanto, la preghiera ci pone davanti al Signore come siamo nella nostra più profonda realtà: creature, quindi, limitate ed anche peccatrici. Ma questa è una molla formidabile per impegnarci tutti nonostante i nostri limiti ed eventualmente anche altre nostre colpe. Si può sempre riprendere il cammino della vita, perché l’ultima parola, ed anche la prima, per il credente, è lo Spirito Santo. Il fatto, poi, che dialoghiamo con il Signore credo ci debba porre davanti all’uomo in carne ed ossa, ai suoi problemi, come davanti ai popoli e alle nazioni, con molto realismo, per capire che nella vita la giustizia ci impegna a ritrovare le radici del nostro essere, capaci anche di pensare agli altri, a chi abbiamo intorno nella nostra esistenza quotidiana, soprattutto se pensiamo a popoli che soffrono la fame, le malattie o altro.

 

D. – Lei vive ad Assisi a fianco della tomba di San Francesco, il Santo della pace. Quale suggerimento può darci?

 

R. – Io vorrei dire, prima di tutto a me stesso e poi ai miei confratelli ed anche a milioni di uomini, di donne, di giovani, di osservare qualche minuto di silenzio interiore per ritrovare le profondità del proprio essere che, sicuramente, ci porta ad aspirare alla pace e a tutti gli altri beni. La pace è un po’ il compendio di tutti i beni che possiamo immaginare. Crearsi allora uno spazio di silenzio, un momento per noi stessi, per capire la nostra dignità, la nostra grandezza oltre al nostro limite. In questo spazio di silenzio, poi, chiedere al Signore la forza di essere coerenti nella vita, per dare anche testimonianza che essere uomini significa essere forti, essere aperti, essere capaci di una libertà, ma di una libertà responsabile.

 

Ma qual è il senso che la preghiera assume nella vita di ogni uomo. Ascoltiamo madre Caterina Corona, badessa del Monastero di clausura delle Benedettine di Norcia:

 

R. – Pregare è intanto il raccogliere un invito del Signore: “Dove due o tre sono riuniti in preghiera, io sono in mezzo a loro”. E’ essere uniti a Lui, oltre ad essere uniti ecclesialmente, tutti insieme, e non soltanto dove sono quei due, tre. Quei due, tre essendo uniti a Cristo, sono uniti a tutta la Chiesa, a tutta l’umanità. Per questo la preghiera ha un senso, un valore universale.

 

D. – Come rispondere a quelle persone che affermano di non avere tempo per pregare?

 

R. – La preghiera si esprime anche nel lavoro, nella vita, in tutti i modi. La nostra regola è stata tradotta nel motto: “Ora et labora”. Ci sono dei tempi determinati per la preghiera e per il lavoro. Poi, però, se questa preghiera non diventa l’anima del nostro lavoro, della nostra vita, del nostro fare, sono momenti, non dico persi, ma quasi. La preghiera dentro di noi, se è veramente preghiera, determina il nostro comportamento, il nostro modo di fare. Quindi, un lavoro che io faccio è diverso come anima, è animato, cioè, dallo spirito che dovrebbe essere in me. E’ bene in questo mondo così dinamico, così veloce, in cui non si trova un momento per pregare, ogni tanto riportare a Dio quello che stiamo facendo, un pensiero a Lui, un ringraziamento, una richiesta di aiuto… incarnare, perché il Signore si è incarnato. La preghiera non è disincarnarsi, la preghiera fa scendere in ogni momento della mia vita, in ogni situazione, questo spirito di Dio.

 

D. – In un periodo così difficile come rapportarsi alla preghiera?

 

R. – Il primo impatto è la ribellione, la condanna. Perché? Perché? Ce lo domandiamo continuamente: perché? Per noi la preghiera in questo momento, in questi casi è la storia dell’uomo, fatta sempre di miseria, di limiti, di incoerenze, di odii, purtroppo, di egoismi. La preghiera è cercare di far calare la storia di salvezza di Dio in questa nostra storia. Questa è la visione teologica anche di queste situazioni così dolorose. Malgrado tutto, malgrado noi, Dio porta avanti la sua storia di salvezza. Questa è la fede.

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OGGI IN PRIMO PIANO

23 luglio 2006

 

 

L’offensiva israeliana prosegue senza sosta. I caccia hanno colpito ancora Beirut e Sidone. Mentre le truppe sono sconfinate nel territorio libanese. Gli Hezbollah hanno lanciato decine di razzi sulla città di Haifa.

Dall’Italia intanto è giunta la prima nave con

aiuti umanitari dall’inizio del conflitto

 - Ai nostri microfoni Rosette Hechaime e padre Mario Murru -

 

I quartieri di Beirut continuano ad essere martellati dall'Aeronautica israeliana, che nelle ultime ore ha preso di mira anche obiettivi civili nelle regioni orientali e meridionali del Paese. I raid israeliani, nella notte, hanno ridotto in rovine un centro religioso sciita a Sidone, mentre nella valle della Bekaa sono state distrutte tre aziende, una casa e diversi ponti. Gli Hezbollah hanno risposto con il lancio di razzi: una decina sono caduti sulla città di Haifa, provocando almeno due vittime. Intanto, le forze israeliane, dopo la conquista di una roccaforte degli Hezbollah al confine, continuano a spingersi all’interno del Libano. Il servizio di Eugenio Bonanata:

 

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Respingere i miliziani Hezbollah almeno a 20 km a nord della frontiera. E’ questo l’obiettivo delle truppe israeliane che ieri, per la prima volta, sono penetrate in Libano via terra conquistando il villaggio di Maroun-al-Ras, da dove in questi giorni erano stati lanciati molti razzi katiuscia. La battaglia è stata lunga. Almeno 30 Hezbollah sono stati uccisi. Sette invece le perdite fra soldati israeliani. Israele continua a parlare di incursioni limitate, e afferma di non avere intenzione di invadere, ma diverse fonti prevedono nuovi attacchi nell’entroterra libanese, dove si ritiene siano collocate altre importanti postazioni degli Hezbollah. Un’eventuale invasione israeliana spingerebbe la Siria ad entrare in guerra contro lo Stato ebraico. Lo ha detto chiaramente Damasco, ma contro questa ipotesi e in favore di uncessate il fuoco’, in queste ore si muove attivamente la diplomazia internazionale. Oggi a Gerusalemme sono arrivati infatti il ministro degli Esteri francese, quello tedesco e quello britannico: tutti, attraverso varie consultazioni, intendono preparare il campo al Vertice di mercoledì prossimo a Roma. Con l’obiettivo di isolare le influenze di Iran e Siria sugli Hezbollah ed Hamas si muove anche il segretario di Stato Americano, Condoleezza Rice, che questa sera partirà per il Medio Oriente dove domani in

 

contrerà i vertici israeliani e palestinesi. Si tratta anche sul possibile dispiegamento nel Libano Sud di una Forza multinazionale. Israele potrebbe accettare l’ipotesi solo se servisse ad impedire il ritorno dei miliziani Hezbollah nell’area. Intanto, secondo la Tv libanese Lbc, gli Hezbollah, che il 12 luglio hanno rapito due soldati israeliani, avrebbero accettato l’avvio di un negoziato, condotto dalle autorità libanesi, per un scambio di prigionieri con Israele. In mattinata, da Beirut il ministro degli Esteri libanese, aveva fatto sapere che i due soldati “sono in buona salute e in un  luogo sicuro”.  C’è da ricordare che il sequestro dei soldati ha provocato la reazione israeliana contro il Libano. Sul fronte palestinese, infine, almeno cinque razzi sono esplosi stamani nella zona di Sderot, senza provocare vittime.

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Stamani è attraccata nel porto di Beirut la nave della Marina militare italiana San Giorgio con un carico di aiuti d'emergenza destinati alla popolazione civile, che saranno consegnati all’Alto Comitato per i Soccorsi (HCS) libanese. La nave, la prima ad arrivare nell’area, trasporta medicinali, aiuti alimentari, tende, coperte e kit sanitari per un totale di 112 tonnellate, raccolti da Protezione Civile e Croce Rossa Italiana. Secondo le prime notizie il carico contiene anche due ambulanze, un generatore di corrente e una cucina da campo. Intanto, mentre Israele ha ribadito l’apertura di un percorso aereo e marittimo protetto per l’invio di aiuti, le Nazioni Unite, dopo i primi sopralluoghi nella zona di Beirut, hanno accusato lo Stato ebraico di aver violato la legge umanitaria per i ripetuti e massicci attacchi che hanno devastato l’area. Per un quadro sulla condizione delle strutture in questo momento Antonella Palermo ha raggiunto telefonicamente a Beirut Rosette Hechaime, coordinatrice delle Caritas del Medio Oriente e del Nord Afrca:

 

 

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R. – La preoccupazione è per il futuro, perché nessun giorno assomiglia all’altro e le sorprese sono sempre diverse. Le città come Beirut sono ormai irriconoscibili. Ci sono parti completamente devastate dagli attacchi militari e altre che ormai sono sovrappopolate dagli sfollati, che lasciano in massa il sud. Nella popolazione c’è un movimento di solidarietà mai visto prima. La solidarietà tra cristiani e musulmani, che

tante volte è stata messa in dubbio, è reale. Questa gente del sud che sta venendo verso Beirut o verso il nord è accolta a braccia aperte da altri libanesi come loro. Siamo libanesi, siamo figli di Dio, siamo uomini in una situazione drammatica e non c’è nessun diffidenza.

 

D. – Come Caritas che cosa state facendo? Quali collaborazioni avete attivato e di cosa avete bisogno?

 

R. – La Caritas fin dai primi istanti si è messa in contatto con altre organizzazioni non governative ed anche con il Consiglio di emergenza del Paese, che si è costituito per rispondere ai diversi bisogni. La Caritas si è impegnata in modo particolare nell’emergenza del cibo, nel provvedere ai bisogni di prima necessità.

 

D. – Ci può fornire un po’ di numeri, un po’ di dati per renderci conto delle proporzioni, delle difficoltà che tutta la popolazione sta vivendo?

 

R. – L’aeroporto è fuori uso. Alcuni porti sono stati colpiti. L’unico Paese, oltre ad Israele, con il quale abbiamo delle frontiere in comune è la Siria e tutte le strade che portano in Siria sono diventate difficili da praticare. Si parla di 600 mila persone sfollate dal sud. Quindi, quando si vede uno spostamento di 600 mila persone e più verso le città più importanti si capisce subito la crisi economica che ci ha travolti.

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L’offensiva israeliana in Libano ha causato oltre 350 morti, tra i quali molti civili. Per contro, i razzi lanciati dai miliziani di Hezbollah contro l’alta Galilea sono costati la vita ad oltre 30 israeliani. Nei giorni scorsi è stata colpita anche la città di Nazareth, dove, a poche decine di metri dalla Basilica dell’Annunciazione, due bambini sono morti. Questo episodio, unitamente alla recrudescenza del conflitto, sta provocando la fuga di turisti e pellegrini dalla città, che vive nella paura. Lo conferma, al microfono di Antonella Palermo, padre Mario Murru, direttore dell’Istituto dei salesiani di don Bosco a Nazareth:

 

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R. -    Continua ad esserci questo stato di apprensione in tutti i cittadini. In questi ultimi giorni non sono scesi a Nazareth altri razzi. Per tutto quello che è successo, sono sospese tutte le attività estive. Non ci devono essere assembramenti di persone. La paura è legata ai proprio razzi degli Hezbollah: nessuno sa quando e dove possono arrivare.

 

D. – Come cattolici, vi sentite minacciati?

 

R. – No, non in quel senso perché i razzi non li mandano né ai cattolici, né agli ebrei e neanche ai musulmani. Di fatti, uno dei due razzi che sono caduti mercoledì scorso, ha fatto delle vittime tra i musulmani; l’altro, invece, è caduto in un sobborgo dove la stragrande maggioranza è cristiana. Là, non ha fatto vittime. Adesso gli alberghi, i ristoranti, gli hotel, sono tutti chiusi, non ci sono più turisti, non ci sono più pellegrini; questo rappresentava la possibilità di far crescere l’economia del Paese. In questi mesi sembrava che tutto stesse migliorando perché erano ritornati parecchi pellegrini, parecchi turisti. Adesso si sta tornando ad una situazione che è peggiore di quella di prima. Cosa succederà, non lo sappiamo nemmeno noi; so che tutti desiderano avere più tranquillità e sicurezza e tutti anelano alla pace. L’appello che lanciamo è che soprattutto i ‘grandi’, e non solo, tutti insieme, dobbiamo essere convinti della necessità di vivere nella tranquillità, nella sicurezza, nella pace. Dobbiamo fare tutti gli sforzi per cercare di risolvere i problemi: risolvere le cause che sono alla radice di tutto quello che sta succedendo in modo che possiamo vivere dei tempi tranquilli, non soltanto un anno o due o tre, ma un’intera vita tranquilla.

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IN LIEVE FLESSIONE LA PENA DI MORTE NEL MONDO: ANCORA 142 I PAESI

CHE PREVEDONO NEL LORO ORDINAMENTO LA CONDANNA CAPITALE.

LO RILEVA IL RAPPORTO ANNUALE DI “NESSUNO TOCCHI CAINO

 

- Intervista con Elisabetta Zamparutti -

 

La pena di morte nel mondo è in lieve flessione. Lo rileva il rapporto annuale di Nessuno Tocchi Caino, presentato nella sede romana dell’associazione, dinnanzi a vari esponenti delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani e a rappresentanti delle istituzioni, fra cui il presidente del Senato Franco Marini. Ed è significativo che il dossier, curato da Elisabetta Zamparutti, abbia in copertina la foto di Saddam Hussein in veste di imputato. Il servizio di Andrea Rustichelli:

 

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E’ proprio il deposto rais di Baghdad a rivestire il ruolo di testimonial per il rapporto 2006 di “Nessuno Tocchi Caino” che conferma l’evoluzione positiva in atto nel mondo verso una progressiva sparizione della pena capitale. Ma sono ancora 5494 le esecuzioni registrate nel 2005, soltanto qualche decina in meno di quelle del 2004. E’ l’Asia ad avere il triste primato. Nel continente si pratica la quasi totalità delle esecuzioni mondiali, con la Cina a trainare il bilancio, responsabile di almeno 5000 morti nello scorso anno. Ma ci sono anche le Americhe; il continente sarebbe esente dal conteggio se non fosse per gli Stati Uniti che hanno giustiziato nel 2005 60 persone, una in più del 2004, mentre su scala nazionale sono Cina, Iran ed Arabia Saudita gli Stati che “Nessuno Tocchi Caino” definisce i primi Paesi boia del 2005. Sentiamo Elisabetta Zamparutti che ha curato la ricerca:

 

R. – Continuano ad aumentare i Paesi che a vario titolo rinunciano a praticare la pena di morte. Oggi sono in tutto 142 e si riducono, di conseguenza, i Paesi che la mantengono. Sono, ad oggi, 54 e anche quelli che effettivamente ne fanno ricorso. E’ vero che diminuisce anche il numero delle esecuzioni capitali ma la cifra è sempre drammaticamente alta. La cosa importante da sottolineare è che oltre il 98 per cento viene compiuto da Paesi totalitari e illiberali, proprio per sottolineare come in realtà anche la battaglia per l’abolizione della pena di morte, sempre di più coincida con una battaglia per lo sviluppo della democrazia.

 

D. – Come intervenire in queste aree di crisi?

 

R. – “Nessuno Tocchi Caino” ha un obiettivo molto preciso: quello di riuscire ad ottenere dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, una risoluzione che ristabilisce una moratoria universale delle esecuzioni capitali, in vista dell’abolizione definitiva.

 

D. – Ci sono dei governi che assumete come punto di riferimento, che vi danno una mano particolarmente efficace?

 

R. – Le nostre aspettative sono innanzitutto rivolte al Governo italiano che storicamente ha condotto questa battaglia in ambito di Nazioni Unite, ma poi anche i Paesi di tutti i continenti che hanno i titoli per far parte di quella che è una coalizione mondiale di governi a favore della moratoria ONU. Tra questi il Messico, ma anche il Senegal, dove organizzeremo, nel dicembre 2006, una grande Conferenza contro la pena di morte, nell’Africa occidentale; e poi anche in Asia ci sono dei Paesi, come ad esempio Timor Est, abolizionisti e impegnati sul fronte dell’abolizione.

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NELLE ULTIME SETTIMANE NUOVI ATTACCHI DEI RIBELLI TAMIL IN SRI LANKA:

DALL’INIZIO DELL’ANNO SONO OLTRE 700 I MORTI NELLA GUERRIGLIA

- Intervista con padre Anton Weerasinghè -

 

Nuova ondata di violenza in Sri Lanka. Nel nord est del Paese i ribelli Tamil tornano a mietere vittime utilizzando mine nei loro attacchi. Dall’inizio dell’anno sono oltre 700 i morti di questa guerriglia che sembra non dare tregua, tanto che gli esperti temono una recrudescenza della guerra civile. Antonella Villani ha sentito in proposito padre Anton Weerasinghè, segretario regionale per l’Asia Meridionale della Curia generale dei Gesuiti.

 

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R. – Subito forse non c’è timore, ma fra qualche tempo sì. Adesso sembra che anche i ribelli si siano indeboliti: non possono fare una guerra, perché ci sono divisioni al loro interno.

 

D. – Tra l’altro, il Paese è stato martoriato un anno e mezzo fa dallo Tsunami. Come va la ricostruzione?

 

R. – Una parte della ricostruzione viene fatta dalle ONG. Adesso però c’è un blocco da parte dei politici, che non hanno ancora deciso cosa fare. C’è un problema di corruzione c’è un partito politico che vuole con il suo nome farsi pubblicità, sottolineando di aver partecipato lui alla ricostruzione e non altri. Una parte è costituita da tanti gruppi di volontari, ma la gran parte della gente vive in una situazione molto difficile. I bambini non possono nemmeno andare a scuola.

 

D. – Quindi, ancora molte baracche e molta povertà…

 

R. – Sì, molta povertà e molta sofferenza.

 

D. – Ma i fondi stanziati dai governi esteri dopo la tragedia sono arrivati nello Sri Lanka e sono utilizzati?

 

R. – Una parte non è arrivata, perché avevano promesso di dare i soldi solo se ci fosse stato un accordo tra i ribelli e il governo, ed ancora non si è arrivati ad un accordo. Una buona parte quindi è ancora nelle banche, non essendo stato deciso cosa fare. I progetti sono tanti, ma non si fa nulla.

 

D. – Quindi, praticamente, è tutto in mano alle ONG?

 

R. – Sì, loro fanno un gran lavoro. Hanno già lavorato per costruire le case, per aiutare i pescatori, gli agricoltori… ma questa è solo una piccola parte di coloro che sono stati colpiti dallo Tsunami.

 

D. – E come si concilia il lavoro dei volontari con la guerriglia tamil?

 

R. – Devono stare sempre attenti e pronti a scappare quando ci sono gli attacchi. Solo così riescono ad andare avanti, anche se lentamente.

 

D. – A soffrirne di più ovviamente è il nord-est del Paese…

 

R. – Sì, a nord-est non c’è questa calma, questa pace, con la quale la gente può aiutare i poveri.

 

D. – Quale potrà essere, a questo punto, il futuro del Paese?

 

R. – Se i politici riusciranno a trovare un accordo fra di loro per fare un piano di sviluppo, potranno fare qualcosa e affrontare la minaccia dei guerriglieri. Ma se non lo faranno, avranno grandi difficoltà e questa sofferenza della gente continuerà. C’è anche il problema dell’economia, con il rialzo del prezzo del petrolio. La vita ora è diventata molto cara, specialmente per i poveri. Non c’è grande speranza nel futuro.

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CHIESA E SOCIETA’

23 luglio 2006

 

LIBANO: I VESCOVI MARONITI, CONDANNANO L’INVASIONE DI ISRAELE

E LA PRATICA DEI SEQUESTRI. I POLITICI LIBANESI ESORTATI

A SUPERARE LE DIVISIONI E A TROVARE UNA SOLUZIONE CONGIUNTA

 

 

BEIRUT. = Immediato cessate il fuoco, apertura dei corridoi umanitari; condanna dell’invasione israeliana ma anche della politica dei sequestri messa in atto da Hezbollah come dai gruppi palestinesi; unità con il Papa per questa domenica di preghiera per la pace in Libano. Si articola in otto punti il documento stilato dai vescovi maroniti al termine dell’Assemblea straordinaria che si è tenuta venerdì per discutere del precipitare della crisi in Libano. Le discussioni, alle quali non hanno potuto prendere parte i vescovi provenienti dal sud del Libano (monsignor Nabil Hajje di Tiro e monsignor Elias Nassar di Saida), sono terminate con un invito a tutti i fedeli a rispettare, questa domenica, la Giornata di preghiera per la pace in Libano. “Solo la preghiera” si legge nel documento conclusivo dei vescovi “può salvare il Paese”. I vescovi lanciano un appello a tutti gli uomini di buona volontà a venire in soccorso dei civili inermi che in queste ore stanno subendo le gravi conseguenze del conflitto e dei bombardamenti aerei. Ma soprattutto ribadiscono la necessità di un cessate il fuoco, chiamando l’Onu a “raddoppiare i propri sforzi” per strappare alle parti una cessazione almeno temporanea delle ostilità. Non mancano poi appelli all’unità indirizzati ai rappresentanti politici del Libano. Un Paese segnato da profonde divisioni, ma che, nonostante le differenze di vedute, sottolineano i vescovi, deve compiere ogni sforzo per trovare una soluzione congiunta alla crisi. Infine l’esortazione, indirizzata ai “responsabili della violenza”, a permettere l’afflusso di generi alimentari e sanitari nelle zone bombardate, e l’auspicio che tutti i cittadini libanesi siano pronti ad accogliere i propri fratelli, “senza distinzioni tra cristiani e musulmani”. (A.C.)

 

 

HAITI: LIBERATI I DUE FRANCESCANI RAPITI A PORT AU PRINCE. MA LE TENSIONI

RIMANGONO ALTE NEL PAESE, DOVE SONO AUMENTATI NEGLI ULTIMI MESI

GLI EPISODI DI VIOLENZA E I SEQUESTRI

 - A cura di Andrea Cocco -

 

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PORT AU PRINCE. = Si dicono solo un po’ spaventati ma contenti di essere potuti tornare a casa tra i loro confratelli e amici. Rapiti due giorni fa nella capitale Port Au Prince a due passi dal convento dove abitano, Padre Cesar Humberto Flores, frate minore originario del Salvador, e il giovane postulante haitiano che lo accompagnava, assicurano di stare bene. Nonostante le richieste, nessun riscatto è stato pagato per la loro liberazione, ottenuta grazie ad una intensa trattativa. A convincere il gruppo di rapitori sembra siano state le forti pressioni esercitate dal governo ma anche quelle dei vari gruppi religiosi attivi a Port au Prince. La piaga dei sequestri nell’isola caraibica rimane però all’ordine del giorno, con una preoccupante impennata di episodi. Nell’ultima settimana almeno 15 persone, di cui 3 straniere, sono state prelevate dai gruppi malavitosi che imperversano nel Paese. Episodi che non sono di buon auspicio per il neo eletto presidente René Préval, salito al potere con la promessa di ridurre la povertà e riportare la sicurezza nel Paese. Ad Haiti è oggi attiva una speciale unità della polizia per liberare le persone sequestrate ed evitare il moltiplicarsi dei rapimenti. Ma nonostante la presenza degli oltre 2000 caschi blu dell’Onu il governo non è ancora riuscito a ristabilire la sicurezza nel Paese e la gente tende a risolvere i propri problemi in modo autonomo. Secondo un’organizzazione locale per i diritti umani negli ultimi due anni ammontano a diversi milioni di dollari i soldi versati per riscattare familiari sequestrati.

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UN FILM SUL LIBANO E UNA CANZONE SUL RWANDA. QUESTE LE OPERE SCELTE DA

AMNESTY INTERNATIONAL CHE NEL FINE SETTIMANA HA ASSEGNATO I PREMI PER LA MUSICA E IL CINEMA CHE HANNO APPROFONDITO IL TEMA DEI DIRITTI UMANI.

 

ROMA. = Si chiama Zozo e risulta di una sorprendente attualità il film premiato da Amnesty International al termine del Giffoni film Festival. Ambientata a Beirut nel 1987, l’opera del regista libanese Josef Fares, racconta infatti la drammatica vicenda di un bambino che ha perso la sua famiglia durante un bombardamento. “Si tratta di un film che descrive il passaggio dall’oscurità della guerra alla luce della vita, attraverso la voce dell’innocenza”, si legge nelle motivazioni del Premio assegnato dall’organizzazione internazionale come migliore lungometraggio per ragazzi sui diritti umani. Premiata in particolare la capacità con la quale il regista riesce a far immedesimare lo spettatore nei panni di civili, vittime inermi di un conflitto armato. Ma c’è anche musica nei premi consegnati da Amnesty per l’attenzione mostrata ai temi dei diritti umani. Nell’ambito della serata conclusiva del concorso “Voci per la libertà”, che si svolge oggi a Rovigo, verrà premiata Paola Turci autrice della canzone “Rwanda”.  (A.C.)

 

 

IN UGANDA I FARMACI COSTANO TROPPO. IN MANCANZA DI SOLDI SEMPRE

PIU’ PERSONE ABBANDONANO LE CURE PRESCRITTE DAL PERSONALE MEDICO

E SI AFFIDANO AI CURATORI TRADIZIONALI

 

KAMPALA. = Cresce il numero di ugandesi che a causa dell’elevato costo di medicine e cure sanitarie decidono di affidarsi ai curatori tradizionali. Secondo l’agenzia di informazione dell’Onu, IRIN, la mancanza di medicinali è cronica in alcune zone del Paese comportando l’aggravarsi delle condizioni sanitarie per migliaia di persone. “I medicinali sono la principale ragione per cui i pazienti decidono di recarsi negli ospedali”, ha spiegato all’agenzia IRIN Rosette Mutami, coordinatrice della Coalizione di associazioni per l’accesso ai farmaci. “L’Uganda ha a disposizione solo un terzo dei farmaci di cui avrebbe bisogno. Senza medicinali, la gente decide di tornare alle cure tradizionali, ritenendo che gli ospedali non hanno la capacità di risolvere i problemi”. L’allarme sul declino delle cure mediche è lanciato anche dal ministero nazionale della Salute e dall’Organizzazione mondiale della salute, che in uno studio pubblicato di recente sottolineano come, anche quando i farmaci sono disponibili, i pazienti non possono accedervi a causa dei prezzi eccessivi. Secondo IRIN, le cause della difficile situazione ugandese, vanno cercate nei meccanismi attraverso cui vengono stabiliti i prezzi delle medicine sul mercato internazionale. Ma non mancano le critiche indirizzate al governo di Kampala e alla cattiva gestione delle risorse finanziarie. (A.C.)

 

 

 

 

PROGRESSI NELLA RICERCA CONTRO IL VIRUS EBOLA IN AFRICA. 

ATTRAVERSO L’ALTERAZIONE DI UN  AMINOACIDO –  SPIEGANO GLI STUDIOSI-

IL VIRUS NON È IN GRADO DI COLPIRE

 

KINSHASA. = Grazie ai ricercatori della US drug administration nascono  le prime speranze per l’Africa di sconfiggere il virus Ebola, malattia che uccide dal 50 al  90 per centodei casi, anche in meno di tre giorni dalla comparsa dei primi sintomi. A venti anni dalla prima comparsa del virus lungo le rive del fiume Ebola, nella Repubblica democratica del Congo, il team dei ricercatori statunitensi ha annunciato di aver individuato due aminoacidi, presenti all’interno del virus, che agiscono da “grimaldello” per entrare nelle cellule umane prima di infettarle. Alterando i due aminoacidi, o uno solo di loro - si spiega nello studio pubblicato su ‘Virus Research’ - Ebola non è in grado di colpire. Questa scoperta, riferisce l’agenzia Misna, potrebbe aiutare a produrre medicinali in grado di fermare l’avanzamento della malattia. Tra i progressi recentemente fatti dalla ricerca scientifica su Ebola - che finora non ha cura né vaccino - va inclusa la scoperta del ruolo che giocano gli enzimi umani nell’aiutare il virus ad attaccare le cellule. Lo scorso anno, inoltre, un vaccino sperimentale contro le febbri emorragiche creato nel Laboratorio di microbiologia di Winnipeg, in Canada, ha dato risultati molto incoraggianti. (A.Gr.)

 

 

I VESCOVI DEL PARAGUAY CELEBRANO CON UNA MESSA L’ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE LATINOAMERICANO.

LA STORIA DELLA CEP RACCONTATA DAL QUOTIDIANO ABC

 

ASUNCION. = I vescovi del Paraguay celebrano oggi con una Messa il cinquantesimo anniversario dalla nascita della Conferenza episcopale del Paese. A partire dalle 7 locali, i presuli rinnoveranno la loro vocazione, ricordando lo storico momento in cui, il 20 luglio del 1956, i vescovi ottennero l’approvazione dello statuto che fino ad oggi regola la vita della Conferenza episcopale paraguayana. A riportare nel dettaglio le storia della Cep è il quotidiano paraguayano Abc, che sottolinea alcuni momenti particolarmente importanti. Tra questi, la visita effettuata in Paraguay da Papa Giovanni Paolo II, nel maggio del 1988. 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

23 luglio 2006

 

-  A cura di Roberta Moretti -

        

 Domenica di sangue in Iraq, dove in tre diversi attentati hanno trovato la morte circa 60 persone. Alle stragi si aggiunge la denuncia di Human Right Watch, che in un rapporto parla di abusi e torture sistematiche nelle carceri americane in Iraq tra il 2003 e il 2005, dopo lo scandalo di Abu Graib del 2004. Roberta Moretti:

 

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Sono ancora i civili a fare le spese più gravi delle violenze in Iraq. Stamani, almeno 34 persone sono morte e oltre 70 sono rimaste ferite per l’esplosione di un’autobomba vicino al mercato all’aperto di Jamila, nel quartiere sciita di Sadr City, a Baghdad, dove altri 8 iracheni hanno perso la vita per lo scoppio di un ordigno nei pressi della sede del Consiglio municipale. Grande spargimento di sangue anche a Kirkuk, importante polo petrolifero a nord della capitale. Un’autobomba, guidata da un kamikaze, è esplosa davanti a un tribunale nel centro della città, uccidendo almeno 22 persone, ma il bilancio sembra destinato ad aggravarsi, dato che tra i circa 100 feriti vi sono persone gravemente ustionate. Sul fronte politico, i leader iracheni, riuniti da ieri a Baghdad per la prima Conferenza sulla riconciliazione nazionale, moltiplicano gli sforzi per dare vigore alle istituzioni democratiche nel Paese, in vista dell’incontro, martedì alla Casa Bianca, tra il premier iracheno, al Maliki, e il presidente americano, Bush. E intanto sugli Stati Uniti piovono nuove accuse di torture e violazioni dei diritti umani nei luoghi di detenzione allestiti in Iraq, dopo lo scandalo del carcere di Abu Graib. In un Rapporto di 53 pagine, Human Right Watch fa riferimento a gravi abusi nel centro di detenzione di Camp Nana, all’aeroporto di Baghdad, in una struttura vicino all’aeroporto di Mossul e in una base nei pressi di al-Qaim, alla frontiera con la Siria. Da segnalare, infine, che Saddam Hussein, ricoverato in seguito a uno sciopero della fame, non sarà presente, domani a Baghdad, all’udienza del processo a suo carico.

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 Non si allenta la tensione in Afghanistan. Le Forze di sicurezza afgane hanno ucciso stamani 19 sospetti guerriglieri talebani e catturato altri 17 militanti – tra cui due pakistani – nel corso di un’importante operazione nella provincia meridionale di Helmand. Intanto, è di 8 morti, di cui due soldati canadesi della Coalizione internazionale e 6 civili, il bilancio di due attentati dinamitardi avvenuti ieri sera a Kandahar, nel sud del Paese, ai danni del contingente canadese. Dicendosi seriamente preoccupato per il deterioramento della situazione, il ministro della Difesa australiano, Brendan Nelson, ha annunciato l’intenzione di inviare altre truppe in Afghanistan, in supporto ai 300 militari finora schierati dal governo di Canberra.

 

 Primo scontro a fuoco, ieri pomeriggio in Somalia, tra i militanti islamici e le forze del governo di transizione, da quando il 5 giugno scorso le Corti Islamiche si sono impadronite della capitale somala. Le milizie filo-governative hanno fatto fuoco su due camioncini con armamenti pesanti delle Corti nel distretto di Qoryooley, a 120 chilometri da Baidoa, sede delle istituzioni di transizione somale. Non è stato reso noto se vi siano state vittime. Intanto, dopo l’arrivo, giovedì, di truppe etiopi a Baidoa, nuove milizie etiopi sono state segnalate nella zona di Wajid, nel sud del Paese. Per questo, le Corti islamiche ieri hanno disertato i negoziati di pace in corso a Khartum, in Sudan, organizzati dalla Lega Araba per trovare una via d’uscita dalla crisi. “Non trattiamo - ha scritto il loro leader, Sharif Ahmed - con un governo che è sostenuto dal nemico della Somalia”, riferendosi all’Etiopia.

 

 Nuove ombre sui colloqui di pace tra il governo ugandese e i ribelli del Lord Resistence Army (LRA). Nessun accordo preliminare è stato infatti raggiunto tra il governo di Kampala e l’LRA che chiede una compensazione monetaria e alcune cariche istituzionali nel governo centrale. Le autorità ugandesi, che propongono un’amnistia generale per i crimini commessi dai guerriglieri hanno minacciato di riprendere le ostilità. Forti timori sono stati espressi sulle conseguenze che le nuove tensioni ugandesi potrebbero avere sulla Repubblica democratica del Congo, dove sono dislocate le basi del LRA.

 

 Una scossa di terremoto di 6,1 gradi sulla scala Richter ha investito stamani l’isola indonesiana di Sulawesi, meno di una settimana dopo che l’isola di Giava è stata colpita da un devastante Tsunami che ha fatto più di 600 morti. L’epicentro del terremoto è stato registrato a 62 chilometri al di sotto del livello del mare, 108 chilometri a sud di Gorontalo, nel nord di Sulawesi. Per paura che si verificasse uno Tsunami, le autorità locali hanno ordinato l’evacuazione delle coste. Al momento non risultano danni a edifici e persone.

 

 Forte preoccupazione a Taiwan e in Cina per l’avvicinarsi del tifone Kaemi. L’ufficio centrale meteorologico di Taiwan ha riferito che alle 6.30 di questa mattina il centro del tifone si trovava a circa 640 chilometri a sudest del Paese, muovendosi a una velocità di 17 chilometri l’ora. Dopo aver colpito Taiwan, Kaemi dovrebbe raggiungere le coste della Cina meridionale, già devastata nei giorni scorsi dal tifone Bilis, che ha provocato la morte di quasi 530 persone

 

 Almeno 24 persone sono morte e 4 disperse a causa delle violente piogge che da lunedì si stanno abbattendo sul Giappone centro-meridionale. A riferirlo, ieri sera, è stata l’agenzia Kyodo News, precisando che circa 100 mila persone sono state invitate a evacuare la regione.

 

 Cresce l’attesa per il Vertice tra governi asiatici e occidentali che si svolgerà la prossima settimana a Kuala Lumpur, in Malesia. Tra gli argomenti all’ordine del giorno, il programma nucleare della Korea del Nord. Nonostante gli sforzi, sono in pochi a credere che il Vertice di Kuala Lumpur possa favorire un accordo tra la comunità internazionale e il regime di Pyongyang.  

 

 Nove persone, fra cui sei appartenenti alla ONG ambientalista, Conservacion Internacional, e tre guide locali, sono state sequestrate ieri pomeriggio nella Colombia settentrionale da un gruppo armato clandestino, forse appartenente all’Esercito di liberazione nazionale (ELN). Lo hanno reso noto fonti governative a Bogotà. Il gruppo raccoglieva informazioni per rendere possibile la dichiarazione di zona naturale protetta per la Serrania di Perirà, nel dipartimento di Cesar.

 

 Concluso stamani un importante accordo di partenariato tra Unione Europea e Mauritania nel settore della pesca. L’intesa – che entrerà in vigore dal primo agosto e sarà valida per sei anni – prevede per circa 200 pescherecci europei la possibilità di pescare nelle acque della Mauritania crostacei (principalmente gamberetti), naselli, cefali, tonni ed altre specie. L’UE ha quindi stanziato un finanziamento di 86 milioni di euro all’anno. Gran parte del contributo sarà finalizzato al sostegno e allo sviluppo di una politica di pesca “responsabile e sostenibile” da parte della Mauritania.

 

 Grande attesa per il primo incontro diretto, domani a Vienna, tra i vertici serbi e albanesi per discutere della spinosa questione dello statuto del Kosovo, la provincia serba amministrata dal 1999 dalle Nazioni Unite. A presiedere la riunione, l’inviato speciale ONU per il Kosovo, Martti Ahtisaari. Intanto, il primo ministro kosovaro, Agim Ceku, ha chiesto ieri alla Missione delle Nazioni Unite nel Paese (MINK) e alle Forze di pace NATO di potenziare le misure di sicurezza nel nord della provincia e lungo il confine con la Serbia. I dirigenti della regione settentrionale del Kosovo, hanno recentemente invocato la possibilità di una secessione, se il resto della provincia, a maggioranza albanese, riuscisse a ottenere l’indipendenza da Belgrado.

 

 Circa centomila abitanti di New York City sono rimasti senza energia elettrica per il sesto giorno consecutivo. I temporali hanno danneggiato la rete è messo in grave difficoltà l’azienda elettrica Con Edison, che prima ha minimizzato la portata del danno e non è riuscita poi a riparare il guasto in tempi accettabili. I disagi maggiori nel Queens. Secondo il sindaco di New York, Bloomberg, la normalità potrà tornare intorno all’inizio della prossima settimana.

 

 

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