RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 201 - Testo della trasmissione di giovedì 20  luglio 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Benedetto XVI indice, per domenica prossima, una giornata di preghiera per la pace in Medio Oriente. Il Papa chiede un immediato cessate-il-fuoco e l’apertura di corridoi umanitari. Sul contributo che il dialogo tra le religioni può offrire alla costruzione della pace, la riflessione del vescovo Vincenzo Paglia

 

Non si placa la violenza in Medio Oriente: raid notturno sul presunto bunker Hezbollah a Beirut,   bombardamenti dell’aviazione israeliana e scontri a fuoco nella zona di confine. Quattro civili libanesi morti nel sud del Libano: ai nostri microfoni, Alon Altaras, Moni Ovadia, Laura Boldrini e Riccardo Bustos

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

“La nostra preghiera è per il bene di tutti”: così il cardinale Achille Silvestrini ieri sera a Roma alla veglia di preghiera per il Medio Oriente e il Libano, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio: intervista con Marco Impagliazzo

 

Dalla Baviera al mondo: un libro racconta le origini bavaresi di Benedetto XVI. Con noi, Emanuele Roncalli

 

CHIESA E SOCIETA’:

“Il sacrificio di mons. Luigi Locati sia uno sprone alla nostra fede, speranza e carità”: così il nunzio apostolico in Kenya mons. Alain Lebeaupin nel ricordare il presule ad una anno dalla sua scomparsa

 

Tre decessi e sessantanove contagi: è il bilancio delle ultime 24 ore dell’epidemia di colera registrato in Angola dall’Organizzazione mondiale della sanità

 

In Vietnam la polizia ha negato alla moglie di un “montagnard” di seppellire il marito con rito cristiano

 

Sarà aperto al pubblico da ottobre il Museo ecclesiale diocesano di Hong Kong

 

Computer in rete contro la malaria: il Centro europeo per la ricerca nucleare di Ginevra, non chiede soldi ma collaborazione su web

 

24 ORE NEL MONDO:

Iraq: rilasciati quattro dei 30 membri del comitato olimpico sequestrati sabato, mentre anche oggi  si contano decine di cadaveri 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

20 luglio 2006

 

BENEDETTO XVI INDICE, PER DOMENICA PROSSIMA,

UNA GIORNATA DI PREGHIERA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE.

IL PONTEFICE CHIEDE UN IMMEDIATO CESSATE-IL-FUOCO

E L’APERTURA DI CORRIDOI UMANITARI

- Con noi, mons. Vincenzo Paglia -

 

Domenica prossima sia un giorno dedicato alla preghiera per la pace in Medio Oriente: è quanto Benedetto XVI chiede a tutti i fedeli così come a tutti i credenti del mondo. Dell’appello del Papa, che chiede un immediato cessate-il-fuoco, dà annuncio oggi la Sala Stampa della Santa Sede. Nella nota, viene anche sottolineato l’auspicio del Papa affinché si provveda, quanto prima, all’apertura di corridoi umanitari per portare aiuto alle popolazioni colpite dal conflitto. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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Il Santo Padre “segue con grande preoccupazione le sorti di tutte le popolazioni” che soffrono a causa del conflitto in Medio Oriente ed “indice per domenica prossima, 23 luglio, una speciale giornata di preghiera e di penitenza, invitando i Pastori ed i fedeli di tutte le Chiese particolari come tutti i credenti del mondo ad implorare da Dio il dono prezioso della pace”. In particolare, prosegue la nota della Sala Stampa della Santa Sede, il Papa “auspica che la preghiera si elevi al Signore, perché cessi immediatamente il fuoco tra le Parti, si instaurino subito corridoi umanitari per poter portare aiuto alle popolazioni sofferenti e si inizino poi negoziati ragionevoli e responsabili”. Negoziati volti a “porre fine ad oggettive situazioni di ingiustizia esistenti in quella regione”, come già indicato dal Pontefice nell’Angelus di domenica scorsa. “In realtà – si legge ancora nella nota – i Libanesi hanno diritto di vedere rispettata l’integrità e la sovranità del loro Paese, gli Israeliani hanno diritto a vivere in pace nel loro Stato ed i Palestinesi hanno diritto ad avere una loro Patria libera e sovrana”. Infine, conclude il comunicato della Sala Stampa vaticana, il Santo Padre rivolge, “in questo doloroso momento”, “un appello alle organizzazioni caritative, perché aiutino tutte le popolazioni colpite da questo spietato conflitto”.

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Il Papa chiede dunque, ancora una volta, di scegliere coraggiosamente la via del dialogo per costruire la pace in Medio Oriente. Sui pressanti appelli di Benedetto XVI e l’importanza del dialogo tra le religioni per favorire l’incontro tra i popoli, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione del vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, presidente della Commissione Ecumenismo e Dialogo della Conferenza episcopale italiana:

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R. – Credo che, particolarmente nella situazione mediorientale, il dialogo sia obbligato, perché questi popoli – uso una parola difficile – sono “obbligati” a convivere e la convivenza richiede un impegno assolutamente straordinario, soprattutto nei momenti più difficili, come quello che stiamo vivendo. E’ chiaro che debbono tacere le armi. L’unica via per bloccare la tragedia delle armi, è quella della ripresa del dialogo a tutti i livelli.

 

D. – Quale contributo può offrire, in questo contesto, il dialogo fra le religioni?

 

R. – In Medio Oriente, il ruolo delle religioni diventa sempre più decisivo. Certo c’è un problema politico, c’è un problema di due popoli che chiedono giustizia e ciascuno pretende l’esistenza. E questo certamente è un obbligo per tutti. Ma le religioni – in questo caso tre: ebrei, cattolici e musulmani – debbono trovare le strade, forse con un impegno maggiore, per ritessere quella trama di rapporti che indubbiamente è l’unica che può portare una speranza di pace. Ricordiamoci una cosa: tutte e tre queste religioni si richiamano ad Abramo e tutte tre sono in qualche modo figlie di Abramo e, quindi, tutti e tre siamo figli dell’unico Padre!

 

D. – Di fronte alla violenza e alla morte di innocenti, come può il cristiano testimoniare concretamente il perdono?

 

R. – Penso che, proprio in Medio Oriente, possiamo comprendere che il perdono è parte dell’amore e della fraternità! Nel Vangelo è detto a chiarissime lettere. Ma scavando nelle profondità delle altre due religioni si nota, anche lì, l’urgenza di superare muri e steccati, perché altrimenti è impossibile ogni sopravvivenza di fraternità ed ovviamente anche di pace. Credo che, quel che già diceva Giovanni Paolo II, il perdono – e lui lo ha anche chiesto per i tanti errori fatti anche dai cristiani – sia parte essenziale dell’amore ed anche della pace e della tolleranza.

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L’offensiva israeliana in Libano prosegue senza sosta. Dopo un raid notturno su un presunto bunker Hezbollah a Beirut, sono ripresi sia i bombardamenti dell’aviazione israeliana che gli scontri a fuoco nella zona di confine. Secondo i vertici di Israele le forze armate dello Stato ebraico, che hanno dimezzato la forza degli Hezbollah, devono portare a termine il proprio lavoro. Il servizio di Eugenio Bonanata:

 

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Stamani i caccia israeliani hanno attaccato la città di Baalbek, 70 Km ad est di Beirut. Nel mirino, un presunto “Comitato per la sicurezza” del movimento degli Hezbollah e anche altri obiettivi più a Nord, verso la Siria. Aspri scontri si segnalano poi lungo il confine tra Israele e il Libano. Secondo la radio israeliana, tre soldati dello Stato ebraico sono rimasti feriti e due Hezbollah sono morti, mentre quattro civili che viaggiavano a bordo di un’auto nel sud del Libano hanno perso la vita durante i bombardamenti israeliani. Stamani sono ripresi anche i lanci di missili Katiuscia da parte degli Hezbollah verso la Galilea: colpite diverse città, fra le quali Tiberiade. Non ci sono state vittime. Notizie di intelligence parlano di un grande movimento di truppe israeliane nell’alta Galilea, pronte ad entrare in Libano via terra. L’obiettivo – secondo le fonti – sarebbero i profondi Bunker sotterranei delle milizie sciite, per i quali l’aviazione israeliana è impotente. Non è ancora chiaro il resoconto del massiccio attacco condotto questa notte dall’aviazione israeliana su Beirut. L’obiettivo, in questo caso, era il bunker del numero uno del movimento Hezbollah, lo sceicco Nasrallah, che però non era nella struttura in quel momento. Sul piano politico il presidente libanese Emile Lahoud ha lanciato un appello per un cessate-il-fuoco “immediato”. Per il premier libanese Siniora è il mondo intero che deve spingere in questa direzione. Solo dopo – precisa il premier – si potrà disarmare la rete degli Hezbollah, la cui azione – ammette – risponde “alle agende politiche di Teheran e Damasco”. Dal canto suo, anche il presidente siriano, Basahar al-Assad, per la prima volta, si sarebbe espresso a favore del cessate il fuoco, mentre ieri il partito Baath, al potere in Siria, ha diffuso un comunicato in cui si esaminano nuove iniziative per accogliere la massiccia ondata di profughi in arrivo dal Libano. La diplomazia internazionale è a lavoro. La crisi libanese oggi sarà al centro dell’incontro tra il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, Javier Solana, e il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice. L’obiettivo è di mettere a punto i dettagli dell’imminente missione diplomatica della Rice a Damasco. Infine i raid     israeliani proseguono anche a Gaza, dove almeno due palestinesi sono stati uccisi. Le Forze Armate israeliane hanno imposto il blocco totale In Cisgiordania fino a domenica per prevenire possibili attentati da parte degli estremisti palestinesi.

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La guerra in Libano vede la società israeliana per ora unita nel difendere la scelta bellica. Anche i maggiori esponenti del mondo intellettuale israeliano, convinti pacifisti che in passato non hanno mancato di criticare le azioni delle forze armate di Gerusalemme, si schierano al fianco del governo. Al microfono di Francesca Sabatinelli, Alon Altaras, autorevole rappresentante della letteratura israeliana contemporanea:

 

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R. – Io non so cosa sia l’uso sproporzionato della forza. L’esistenza di Israele è minacciata da questo attacco, perché è orchestrato, non si tratta solo di  Hezbollah, ma è anche Hamas, Jihad islamica ed Iraq. Non si tratta di un attacco organizzato in un giorno, ma è un piano strategico che mina l’esisten-za di Israele. Israele non accetterà certo di essere eliminato. Questa non è occupazione, ma è pura difesa. Non si vede un Hezbollah più moderato o più aperto, tanto più che non si tratta di partiti politici, ma sono dei movimenti che hanno dei fondamenti religiosi profondi, fanatici ed integralisti. Per loro, sedere al tavolo con chi non ha una visione politica della situazione è molto difficile. Loro – secondo me – hanno una visione mitica e teologica dell’esistenza di Israele in quella zona e perciò il dialogo è quasi impossibile.

 

D. – Ammetterà, però, che è difficile capire questo tipo di autodifesa con gli attacchi alle infrastrutture di un Paese e l’uccisione di tantissimi civili?

 

R. – Hezbollah, negli ultimi sei mesi, si è armato di 700 missili e finora ha lanciato sulle città israeliane 1.500 razzi Katiuscia, che non hanno fatto strage solo per un puro caso. Io sono un uomo di sinistra, ma è inaccettabile che un partito che sta in un Parlamento democratico o quasi democratico come quello libanese ha una milizia armata, finanziata dall’Iran e dalla Siria, che compie attacchi e poi il governo centrale dice “noi con questi non possiamo fare niente”. Questa miniguerra o vera guerra che abbiamo con gli Hezbollah in terra libanese non è legata, come nel caso palestinese, ad un territorio o all’esigenza di fondare uno Stato come hanno giustamente i palestinesi. Mi rammarica molto che questa zona sia lasciata abbandonata a se stessa. L’Europa deve lanciare un piano di pace, promuovendo il dialogo fra quelle forze che vogliono dialogare. E ce ne sono tante in Medio Oriente di forze che vogliono dialogare.

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Completamente diversa la posizione di un altro famoso esponente della cultura ebraica, Moni Ovadia, regista, attore, musicista, grande divulgatore della tradizione yiddish. Ascoltiamolo al microfono di Francesca Sabatinelli:

 

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R. – Credo che le uniche guerre che si possano definire giuste sono delle guerre di pura difesa; qualcuno teorizza che per difendersi, bisogna andare a bombardare le città degli altri. Io non lo credo. Tuttavia c’è una cosa incontrovertibile: Israele ha subito il rapimento dei suoi soldati ed è un atto bellico, perché c’è di mezzo una forza di governo di un Paese confinante. Il problema vero è che la situazione mediorientale è incandescente. Ma allora non c’era un altro mezzo? Questa volta Israele non avrebbe potuto chiedere l’intervento dell’ONU, l’interposizione in modo da evitare di riattivare le ragioni dell’odio? Io sono molto vicino agli israeliani che stanno soffrendo e che sono stati bombardati, ma non potrò mai chiudere gli occhi sulle sofferenze dei palestinesi, né su quelle dei civili libanesi. Sicuramente questo è stato un gioco di provocazioni per poter riaffermare il potere egemonico sulla regione da parte di Siria ed Iran. Cadere in questa trappola era necessario? Non bisogna dimenticare che c’è uno stillicidio di missili lanciati sia da Gaza, sia dal Libano controllato dagli Hezbollah. Dal punto di vista fantasmatico, ogni aggressione ad Israele viene vissuta da molti ebrei in maniera iperreattiva e quasi ipertrofica, sostenendo: “Ci vogliono sterminare tutti”.

 

D. – Probabilmente – e questo è quello che è stato più volte detto da parte israeliana – il profilarsi di una vittoria su Hezbollah, condotta con tutti i mezzi, significa assicurare la possibile vittoria della pace nella regione, in quanto viene comunque destabilizzato l’elemento fondamentale del terrorismo?

 

R. – Dietro c’è tutto il mondo sciita, ma soprattutto c’è la forza dell’Iran. Cosa si fa, si bombarda Teheran, dopo? Allora è la guerra totale. Il terrorismo non lo fermi con le guerre. Uno che si fa saltare in aria con una bomba, come lo spaventi? E’ esattamente quello che vogliono i terroristi, che tu diventi come uno di loro. Rabin aveva la logica giusta che deve essere riaffermata oggi: combatto il terrorismo come se non ci fossero le trattative, tratto come se non ci fosse il terrorismo. Bisogna avere il coraggio di trattare con i nemici.

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In Libano si stanno disegnando scenari da crimini di guerra: è l’accusa dell’Alto Commissariato per i diritti umani e della Croce Rossa Internazionale, secondo cui nessuna delle parti in conflitto si preoccupa di tutelare i civili e le infrastrutture non militari. Per l’Alto Commissario Louise Arbour, “il bombardamento indiscriminato” di luoghi in cui si trovano civili innocenti è inaccettabile. Pierre Kraehenbuehl, direttore delle operazioni della Croce Rossa, ha invece puntato il dito contro Israele, sollevando “gravi dubbi sul rispetto del principio di proporzionalità nella condotta delle ostilità”. Intanto, la Commissione europea, chiedendo alle parti di consentire l’apertura di corridoi umanitari nell’area, ha stanziato 10 milioni di euro per aiuti umanitari urgenti. Dunque, dopo 9 giorni di bombardamenti, nel Paese dei Cedri la situazione dal punto di vista umanitario è davvero drammatica. Lo conferma, al microfono di Salvatore Sabatino, Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati:

 

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R. – La situazione è davvero drammatica, perché sta peggiorando e si aggrava con il prolungarsi dei bombardamenti. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, così come anche altre Agenzie dell’ONU e gli Organismi non governativi che operano nella zona, è molto preoccupato per le conseguenze di questa azione militare sui civili. Una stima che è stata fatta parla di circa 500 mila persone sfollate all’interno del Libano e questo significa gente in fuga dai centri abitati e che sta andando o è già andata, verso zone di montagna. Molte delle persone che sono scappate sono presso famiglie, ma ce ne sono anche migliaia che non hanno proprio un riferimento, un alloggio, un rifugio perché si sono appoggiate negli edifici pubblici e nelle scuole. Chiaramente, in questa situazione, è immaginabile che da qui a poco sarà assolutamente necessario ed indispensabile fornire aiuti di prima necessità a queste persone.

 

D. – I problemi maggiori sono segnalati alla frontiera con la Siria, dove molti lavoratori non riescono ad uscire dal Libano. Come avete deciso di intervenire?

 

R. – Diciamo che più che altro il problema è per quei lavoratori di Paesi terzi che non hanno i documenti in regola e che la Siria non fa entrare nel proprio territorio. Noi stiamo, quindi, lavorando con le autorità di immigrazione siriane e tentando di trovare una soluzione per consentire a queste persone di passare. C’è poi un altro problema: in Libano ci sono circa 20 mila rifugiati e richiedenti asilo, che sono essenzialmente iracheni, sudanesi e somali e che oggi chiedono di voler uscire dal Paese. E’ evidente che la cosa non è così semplice, anche perché è necessario trovare dei Paesi disponibili a prendere questi rifugiati. Abbiamo, quindi, un problema nel problema.

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I razzi Katiuscia degli Hezbollah, che ieri nel centro di Nazareth hanno causato la morte di due bambini, sono caduti a poche decine di metri dalla Basilica dell’Annunciazione che domina la parte vecchia della città. Quest’ultimo preoccupante episodio e la recrudescenza del conflitto stanno causando la fuga dei pellegrini che in questi giorni affollavano i luoghi santi, come riferisce da Nazareth al microfono di Roberto Piermarini, il padre custode della Basilica dell’Annun-ciazione, Riccardo Bustos:

 

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R. – Qui basta poco anche per farli sparire; in soli quattro giorni sono spariti tutti. Sono pochissimi quelli che ancora sono rimasti, anche perché – tra l’altro – gli stessi governi cominciano a chiedere alla gente di lasciare il Paese ed invitano quelli che vorrebbero venire a non farlo.

 

D. – Ci sono rischi per la Basilica dell’Annunciazione?

 

R. – I rischi ci sono sempre, perché non si può sapere dove questi missili possono cadere. E’ chiaro che il missile che ha colpito ieri, a soli 300 metri dalla basilica, era indirizzato verso l’altra parte. E’ chiaro che sono gli obiettivi militari quelli che perseguono, ma questi missili non hanno una precisione millimetrica: quindi è possibile che stessero tentando di colpire un altro obiettivo; invece, è caduto qui, in città. La Basilica è a rischio, come tutto il resto, purtroppo.

 

D. – Temete un allargamento del conflitto?

 

R. – Noi speriamo che si possa ridimensionare e che in breve tempo possa finire. Non conosciamo le intenzioni politiche e strategiche che sono dietro questo conflitto. L’unica cosa che desideriamo, più di ogni altra cosa, è che ci sia qualche tipo di intervento, perché finora sembra che la comunità internazionale stia guardando da un’altra parte. Non c’è nessuna condanna esplicita, ma solo parole vuote, campate un po’ in aria. Quindi, la nostra speranza è che la comunità internazionale prenda in mano la situazione, perché le due parti contendenti in questo momento non sono certo in grado di fermarsi da sole, né l’una e né l’altra.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Messaggio di Benedetto XVI al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I: “Il Rio delle Amazzoni, sorgente di vita”.

 

Servizio estero - Medio Oriente: la profanazione della vita, la profanazione della Terra Santa. Razzi Hezbollah colpiscono Nazareth uccidendo due bambini.

 

Servizio culturale - Un articolo di Pasquale Tuscano sullo scrittore Corrado Alvaro a cinquant’anni dalla morte. 

 

Servizio italiano - In rilievo la questione degli incidenti sul lavoro.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

20 luglio 2006

 

 

“LA NOSTRA PREGHIERA È PER IL BENE DI TUTTI”: COSI’ IL CARDINALE

ACHILLE SILVESTRINI IERI SERA A ROMA ALLA VEGLIA DI PREGHIERA

 PER IL MEDIO ORIENTE E IL LIBANO, ORGANIZZATA DALLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO

- Intervista con Marco Impagliazzo -

 

“La nostra preghiera è per il bene di tutti”: queste le parole del cardinale Achille Silvestrini che ha presieduto ieri sera a Roma, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, una veglia di preghiera per la pace in Medio Oriente e per il Libano, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio. Il cardinale ha ricordato il groviglio di problemi che attanaglia quest’area del mondo. Dell’iniziativa di preghiera ci parla, nell’intervista di Debora Donnini, il presidente della comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo:

 

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R. – La preghiera è stata promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, dopo che il Papa ha rivolto l’appello alla preghiera per il Libano e per la pace in Medio Oriente. La Comunità di Sant’Egidio segue ormai da 25 anni con grande partecipazione gli eventi, anche tragici, che hanno colpito i cristiani in Medio Oriente, in Libano in particolare. Purtroppo non è la prima guerra che si svolge sul territorio di questo Paese. Tanto spesso si sono dimenticati, e si dimenticano, i cristiani orientali, quei cristiani da cui viene anche la radice della nostra fede. Con questa iniziativa abbiamo voluto ricordare tutte le sofferenze di questi cristiani e ricordare anche la forza della loro fede.

 

D. – E anche mettere al centro l’importanza di rivolgersi a Dio e di chiedere a Dio aiuto in questo momento…

 

R. – Noi della Comunità di Sant’Egidio preghiamo ogni sera nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, in tanti altri luoghi della città di Roma e di tutto il mondo. La preghiera per la pace è proprio una delle nostre invocazioni più tipiche. Noi crediamo molto alla forza della preghiera. Nel domandare la pace al Signore, noi sentiamo fortemente che la guerra non è inevitabile e che la pace è santa ed è nelle mani di Dio.

 

D. – Cosa intendete fare come Comunità di Sant’Egidio?

 

R. – Noi seguiamo da vicino la situazione. Naturalmente crediamo che la prima grande opera della Chiesa e di ogni comunità ecclesiale sia quella della preghiera. Quindi, la grande opera che noi ci impegniamo a fare in questo tempo è di pregare ogni sera, per il Libano e per la pace in Medio Oriente. Poi, forse, delle iniziative di solidarietà più concrete per coloro che sono profughi, per coloro che cercano rifugio da questa guerra e sono tanti. Noi già tanti anni fa accogliemmo a Roma un gruppo di anziani cristiani, scampati ad uno dei villaggi colpiti dalla guerra. Ora concretamente non abbiamo ancora deciso cosa fare, ma ribadisco che la prima opera che la Comunità di Sant’Egidio farà, in comunione con tutta la Chiesa e soprattutto con il Santo Padre, è quella di pregare per la pace.

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DALLA BAVIERA AL MONDO: UN LIBRO RACCONTA

LE ORIGINI BAVARESI DI BENEDETTO XVI

- Con noi l’autore, Emanuele Roncalli -

 

Dalla Baviera al mondo: la storia di Benedetto XVI. A raccontarla è il giornalista Emanuele Roncalli, parente di Papa Giovanni XXIII, in un libro pubblicato dall’editore Bortolotti. L’autore ripercorre le tappe salienti della vita del Papa tedesco partendo da un incontro personale avvenuto nel 1986 quando, studente di Giurisprudenza, lavorando alla stesura di una tesi sulla “Congregazione per la dottrina della fede”, conobbe l’allora prefetto, il cardinale Joseph Ratzinger. Emanuele Roncalli ricordata quella giornata nell’intervista di Paolo Ondarza:

 

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R. – Ricordo che è stato un incontro molto sentito. Io ero semplicemente un giovane studente, il cardinale Ratzinger era giunto nell’ottobre 1986 a Sotto il Monte: era l’anniversario dell’elezione di Papa Giovanni. Lui venne per tenere anche una conferenza al seminario di studi e allora lo incontrai e gli parlai del mio desiderio di conoscere maggiormente questa tematica. E’ stato un incontro molto bello!

 

D. – Che cosa ti ha colpito maggiormente del cardinale Ratzinger, e che oggi ravvisi anche in Benedetto XVI?

 

R. – Sicuramente questo suo modo di relazionarsi con la gente. Molti l’hanno definito come il “gendarme della fede”, il “Panzer-Kardinal”. In realtà, è, nei miei ricordi, timido, un po’ introverso e una persona molto attenta, garbata … Secondo me, questo tratto ora la gente l’ha capito: più passano i giorni, più la gente ama questo Papa.

 

D. – Nel tuo libro ampio spazio è dedicato alle origini bavaresi di Benedetto XVI …

 

R. – Credo che queste origini umili di questa popolazione che abita, che vive la montagna e che ha passione per le cose molto semplici, per la quotidianità, gli sia rimasta. Penso che le sue origini vadano ricercate anche al di qua del confine bavarese, cioè in Alta Val Pusteria: è lì che sostanzialmente vivevano i nonni materni. Poi, c’è anche una curiosità: proprio in questo paesino di Rio Pusteria, un altro futuro Papa, cioè il Patriarca di Venezia, cardinale Roncalli, divenuto poi Giovanni XXIII, ha celebrato qualche volta la Messa.

 

D. – A settembre, Benedetto XVI si recherà in Baviera …

 

R. – Dobbiamo conoscere un po’ quello che lui ha fatto in terra di Baviera, quindi nelle varie università da Tubinga a Monaco e così via. C’è stata anche l’azione pastorale … Sarà sicuramente un ritorno a casa, sarà – come non potrà esserlo? – accolto a braccia aperte, spalancate, direi.

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CHIESA E SOCIETA’

20 luglio 2006

 

 

 “IL SACRIFICIO DI MONS. LUIGI LOCATI SIA UNO SPRONE ALLA NOSTRA FEDE,

SPERANZA E CARITÀ”: COSÌ IL NUNZIO APOSTOLICO IN KENYA, MONS. ALAIN LEBEAUPIN, NEL RICORDARE IL PRESULE AD UNA ANNO DALLA SUA SCOMPARSA

 

NAIROBI. = Centinaia di fedeli hanno commemorato in Kenya mons. Luigi Locati, vicario apostolico di Isiolo trucidato il 14 luglio dello scorso anno nei pressi della sua residenza. La Santa Messa commemorativa è stata concelebrata, in un clima di forte commozione, da diversi vescovi nella cattedrale diocesana di Sant’Eusebio. Durante la celebrazione il successore del presule italiano, mons. Anthony Mukobo Ireri, ha letto il messaggio del nunzio apostolico in Kenya mons. Alain Lebeaupin. “Il sacrificio del nostro compianto mons. Locati sia uno sprone alla nostra fede, speranza e carità”, si legge nel testo che ricorda come nella Chiesa delle origini il seme della fede sia stato alimentato dal sangue dei martiri producendo frutti copiosi. “La mia speranza – ha scritto mons. Lebeaupin – è che il ricordo del dolore sia stato spazzato via, che nella vostra comunità sia ritornata la serenità e sia ricominciato il cammino verso la santità che si può compiere vedendo Gesù nei suoi servitori e messaggeri”. Mons. Locati aveva 77 anni, di cui 40 vissuti in Kenya come missionario. Per la sua morte sono state incriminate sei persone, tra cui un sacerdote, padre Guyo Waqo Male. Dietro l’assassinio del presule vi sarebbero stati contrasti e gelosie dovute alla sua intensa attività a favore dei giovani e degli ammalati, ma anche le sue ripetute denunce contro la corruzione di funzionari e dipendenti pubblici locali. Le strutture in cui svolgeva il suo apostolato, in una zona a maggioranza musulmana, erano aperte a tutti. Lo scorso dicembre il presidente kenyota, Mwai Kibaki, ha conferito alla sua memoria la Stella d’Argento del Kenya, una delle più alte onorificenze civili del Paese. (L.Z. – T.C.)

 

 

TRE DECESSI E SESSANTANOVE CONTAGI: È IL BILANCIO DELLE ULTIME 24 ORE DELL’EPIDEMIA DI COLERA REGISTRATO IN ANGOLA

DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ

 

LUANDA. = Nuovi casi di colera in Angola. Nelle ultime 24 ore, secondo il bilancio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono stati registrati 69 contagi e 3 decessi. Continua dunque a mietere vittime l’epidemia nel Paese africano, dove da febbraio, come riferisce l’agenzia MISNA, si contano 50.315 contagi e 2.065 vittime. Le zone maggiormente colpite continuano ad essere la provincia di Luanda, da dove si è propagata l’epidemia, con 23.301 contagi e 298 morti, e quella di Benguela, che, con 517 decessi, risulta avere il tasso di mortalità più alto del Paese. Le altre province più colpite sono quelle di Malanje, Luanda Norte, Kwanza Sul e Kwanza Norte. (A.Gr.)

 

 

DEVE RIMANERE IN CARCERE ANCHE DOPO MORTO FINO AL TERMINE

DELLA SUA CONDANNA: IN VIETNAM LA POLIZIA HA NEGATO ALLA MOGLIE

DI UN MONTAGNARD DI SEPPELLIRE IL MARITO CON RITO CRISTIANO

 

HABONG. = Resterà sepolto nella prigione di Ha Nam, in Vietnam, fino al termine della sua condanna. Siu Lul, incarcerato nel 2004, è deceduto il 24 aprile scorso; durante la detenzione gli sarebbero stati negati cibo ed acqua per lunghi periodi e sarebbe stato torturato fino alla morte. La polizia, riferisce l’agenzia Asianews, ha negato alla vedova la possibilità di seppellirlo con rito cristiano. Lul era un montagnard cristiano, un discendente cioè di quei gruppi aborigeni rifugiatisi nelle montagne del Vietnam e ai quali, con il trionfo di Ho Chi Minh nel 1975 e la nazionalizzazione delle terre da loro occupate, non fu riconosciuto nessun diritto sui territori che abitavano da millenni. Mal sopportati dal governo comunista, da anni i montagnard subiscono persecuzioni ed oppressioni. La Fondazione Montagnard, che opera da tempo per la libertà religiosa di questa minoranza e ne segue costantemente la situazione, ha denunciato il caso di Siu Lul. Il giorno della sua morte la polizia avrebbe convocato la moglie chiedendole del denaro per rilasciare il cadavere. Poiché la vedova non disponeva di fondi, l’uomo è stato seppellito in prigione. A maggio la donna è tornata con i soldi richiesti, ma la polizia le ha detto che il marito non può essere spostato se non quando si sarà estinta la sua pena. Anche ad un altro membro della comunità montagnard di etnia degar, Siu Dolel, è toccata la stessa sorte. “Questi due casi – denuncia la Fondazione Montagnard – dimostrano l’odio delle autorità nei confronti dei degar, da decenni perseguitati dal governo vietnamita”. Vengono privati delle loro terre, arrestati a causa della loro fede cristiana – sostiene la Fondazione – e, sempre per la stessa causa, vengono torturati in carcere”. Secondo i dati dell’organiz-zazione, sono oltre 350 i degar che si trovano tuttora in prigione: le alternative che vengono loro poste sono rinnegare la fede o emigrare in Cambogia. (T.C.)

 

 

SARÀ APERTO AL PUBBLICO DA OTTOBRE IL MUSEO ECCLESIALE DIOCESIANO

DI HONG KONG. IL RESPONSABILE DELL’UFFICIO ARCHEOLOGICO DELLA DIOCESI:

GLI OGGETTI ESPOSTI VOGLIONO ESSERE TESTIMONIANZA DELL’AMORE DI DIO

E DELL’IMPEGNO DEI MISSIONARI

 

HONG KONG. = Sono testimonianza dell’amore del Signore e dell’impegno dei missionari i duecento oggetti d’epoca raccolti nel nuovo museo ecclesiale della diocesi di Hong Kong inaugurato nei giorni scorsi. Le sale espositive, che si trovano al terzo piano della biblioteca dell’Istituto Teologico e Filosofico del Seminario dello Spirito Santo della metropoli cinese, saranno aperte al pubblico ad ottobre. Il museo, scrive l’agenzia Fides, comprende un’area che ripercorre la storia della diocesi di Hong Kong ed un’altra con una serie di oggetti liturgici usati nelle celebrazioni eucaristiche prima del Concilio Vaticano II. L’esposizione delle suppellettili sacre, ha detto il responsabile dell’Ufficio archeologico diocesano don Thomas Law Kwok Fai, vuole essere un modo per risvegliare la spiritualità di ogni uomo. Le collezioni del museo sono costituite da offerte di sacerdoti e laici, corredi in disuso ritrovati, comprati all’asta o raccolti durante le missioni. Tra le rarità esposte, il registro dello scambio di corrispondenza tra l’imperatore cinese della dinastia Ming con i missionari, una custodia per il Santissimo Sacramento, la mitra e l’anello del cardinale John Baptist Wu Cheng-chung e del primo vescovo cinese di Hong Kong, mons. Francio Hsu Chen-Ping, e infine, una foto che ricorda la visita di Papa Paolo VI nell’isola cinese. (A.Gr.)

 

 

COMPUTER IN RETE CONTRO LA MALARIA: IL CENTRO EUROPEO

PER LA RICERCA NUCLEARE DI GINEVRA NON CHIEDE SOLDI

MA COLLABORAZIONE SU WEB

 

GINEVRA. = Unire le capacità dei computer privati per lottare contro la malaria calcolando le migliori strategie: l’idea porta la firma del CERN, il Centro europeo per la ricerca nucleare, di Ginevra. Si tratta del progetto denominato Africa@home che mira a reclutare computer di casa o negli uffici su base volontaria, addizionare le loro capacità e integrarli in un complesso programma di simulazione sulla malaria.  Veicolata dalle zanzare anophele, la malaria è responsabile di circa un milione di decessi all’anno, quasi tutti bambini dei Paesi dell’Africa sub-sahariana. Il programma MalariaControl.net, messo a punto dall’Istituto Tropicale svizzero, è usato per simulare la propagazione della malattia. Con il nuovo programma, e dunque migliaia di computer volontari, sarà possibile compiere calcoli particolarmente complessi. Per partecipare basta scaricare il software (dal sito www.africa-at-home.org). Finora sono 2.800 i computer che, in circa 80 Paesi, hanno aderito al programma. (F.S.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

20 luglio 2006

 

- A cura di Roberta Moretti -

        

Truppe etiopi in territorio somalo. Truppe etiopi sono entrate oggi a Baidoa, sede del governo federale di transizione somalo e del Parlamento. Si tratta di circa 200 soldati e 23 veicoli armati. Proprio stamani il ministro dell’Informazione dell’Etiopia aveva riaffermato che il Paese non avrebbe consentito agli islamici che controllano Mogadiscio e buona parte del Sud della Somalia di attaccare il governo di transizione somalo. C’è da dire che ieri uomini delle Corti Islamiche avevano effettuato un blitz in zone teoricamente controllate dal governo somalo, non lontane da Baidoa.

 

Ancora una mattinata di sangue in Iraq. Cinque persone, tra cui un poliziotto, sono morte in due diversi attentati a Baghdad. Sempre nella capitale, in diverse zone sono stati trovati 38 cadaveri. Quasi tutti i corpi sono stati giustiziati a sangue freddo con un colpo di arma da fuoco alla nuca, dopo essere stati torturati. Intanto a Kirkuk, nel Nord del Paese, un’autobomba ha provocato un morto e sette feriti. A Tikrit, poi, ucciso un agente di polizia a un posto di blocco. Da segnalare, infine, la liberazione di quattro dei 30 membri del comitato olimpico iracheno sequestrati sabato scorso a Baghdad. Altri sei erano stati liberati nei giorni scorsi. Nelle mani dei sequestratori resta, tra gli ostaggi, il presidente del Comitato, Ahmed al Samarrai.

 

L’Iran continuerà a arricchire l’uranio sul suo territorio per produrre combustibile per le sue centrali nucleari. E’ quanto ha affermato stamani, in una dichiarazione letta alla televisione di Stato, il capo negoziatore iraniano per il dossier nucleare, Ali Lariani. “Sulla base della legge – ha dichiarato Lariani – l’Iran ha pianificato di produrre 20 mila Megawatt di elettricità con l’energia nucleare nei prossimi 20 anni e ha bisogno di produrre combustibile nucleare all’interno del proprio territorio per questi reattori”. Il capo negoziatore ha affermato inoltre che l’Iran sta ancora valutando le proposte in materia di nucleare fatte a Teheran dalle grandi potenze e desidera negoziati per risolvere il contenzioso. “Tuttavia – ha concluso Lariani – gli Stati Uniti stanno cercando di porre ostacoli sulla strada dei negoziati e di una soluzione diplomatica alla questione.

 

Afghanistan. Jaap de Hoop Scheffer e il generale James Jones, rispettivamente segretario generale e comandante della NATO, sono giunti oggi a Kabul per discutere con le autorità locali del prossimo ridispiegamento nel sud del Paese dei militari dell’Alleanza Atlantica. Nel corso di una visita di due giorni, de   Hoop Scheffer e Jones incontreranno il presidente afghano, Hamid Karzai, e i responsabili militari del Paese. Dalla caduta del regime dei taleban nel 2001, la NATO è presente in Afghanistan con una missione denominata International Security Assistance Force (ISAF).

 

Con 549 voti a favore, compresi quelli dell’opposizione di centrodestra, e 4 contrari, la Camera ha approvato ieri sera il provvedimento di proroga della partecipazione italiana alle missioni militari all’estero, tra cui quella in Afghanistan. Nel centrosinistra restano, però, tensioni che potrebbero avere conseguenze sul voto al Senato la prossima settimana. Il servizio è di Giampiero Guadagni:

 

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Il decreto prevede, tra l’altro, uno stanziamento di 130 milioni di euro in previsione del ritiro dall’Iraq e di 17 milioni e mezzo di euro da destinare a interventi umanitari in Darfur e in Afghanistan. A favore ha votato anche l’opposizione di centro-destra. “L’Italia non può tradire il fronte internazionale e i patti che ha stipulato”, ha spiegato nel suo intervento in aula l’ex premier Berlusconi, che, però, chiede a Prodi di prendere atto della crisi della sua maggioranza. Nel centro-sinistra si è, infatti, registrato lo strappo di quattro deputati di Rifondazione Comunista e un altro si è dimesso da parlamentare prima del voto. Ma il premier Prodi si è detto, comunque, soddisfatto e tranquillo anche in vista del passaggio del provvedimento al Senato, dove però la situazione è più complicata. Otto senatori di Rifondazione Comunista e Verdi confermano il loro ‘no’ nella votazione prevista per il 24 luglio. Ma per il ministro degli Esteri, D’Alema, la maggioranza deve essere in grado di sostenere da sola le scelte del governo, altrimenti – dice – si aprirebbe un problema.

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.

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Il governo del nuovo premier polacco Jaroslaw Kaczynski, fratello gemello del presidente della repubblica Lech Kaczynski, ha ottenuto ieri sera la fiducia del parlamento con 240 voti a favore e 205 contrari. Giuseppe D’Amato:

 

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Lotta alla corruzione e un peso maggiore nell’Unione Europea: questi, i due spunti principali del programma del nuovo governo, segnalati nel suo discorso d’insediamento dal premier Jaroslaw Kaczynski. Il precedente governo, presieduto dall’ex primo ministro Marcinkiewicz, era entrato in crisi sulla gestione del ministero delle Finanze e sulla politica da seguire. Questo portafoglio, considerato strategico, è stato ora affidato a Stanislaw Kluza. Le divisioni della coalizione conservatrice, che detiene la risicata maggioranza in Parlamento, non essendo riuscita ad accordarsi con i liberali di Piattaforma Civica, riguardano il come risanare i conti pubblici e il miglior approccio all’euro. Prima della conquista del potere a Varsavia dei conservatori, le linee guida erano di adottare la moneta unica europea entro il 2009. Il presidente Lech Kaczynski ha invece sollevato qualche dubbio e vorrebbe indire un referendum sulla sua adozione o meno, non rispettando accordi sanciti prima dell’entrata della Polonia nell’Unione Europea.

 

Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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Sempre più forte la collaborazione tra Usa e Giappone in materia di difesa. Oggi, l’annuncio a Tokyo dell’avvio della realizzazione di un sistema missilistico terra-aria voluto da Washington, in previsione di un attacco della Corea del Nord. Entro il mese di agosto sull’isola di Okinawa si avvieranno i lavori il cui progetto è iniziato nel ‘99.

 

Il presidente americano Bush ha annunciato ieri il suo veto ad un testo di legge teso a favorire la ricerca sulle cellule staminali embrionali. "Superava i confini morali", ha detto il presidente sul provvedimento varato dal Senato americano, che ha raccolto ampie maggioranze in entrambe le Camere. Immediate le  reazioni. Da una parte i gruppi anti-abortisti hanno applaudito la decisione di Bush, mentre ricercatori e Fondazioni hanno chiesto al presidente di rivedere la sua posizione.

 

Si apre oggi, nella città Argentina di Còrdoba il 30.mo Vertice del Mercosur, la comunità economica formata da Brasile, Venezuela, Paraguay e Uruguay. Presenti all’incontro, oltre ai presidenti dei 4 Paesi membri, anche quelli di Bolivia e Cile. Il servizio di Luis Badilla:

 

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“L’organizzazione nei suoi primi 15 anni di vita è stata molto commerciale, ora è giunto il momento di dare spazio ad una dimensione sociale”: è quanto ha dichiarato alla vigilia del summit il segretario politico del Mercosur, Carlos Alvarez. “Sono convinto – ha aggiunto - che dal vertice uscirà un forte impegno per un Mercosur sociale, con l’avvio di programmi congiunti che permettano di eliminare i forti ritardi che registrano alcune zone del Sudamerica”. Interrogato, inoltre, sul progetto in esame al Congresso degli Stati Uniti relativo all’intervento di una forza dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) nella Triplice Frontiera tra Argentina, Brasile e Paraguay, dove si sospetta la presenza di gruppi terroristici, Alvarez ha risposto: “Mi rendo conto che questo significa che dobbiamo dimostrare di poter garantire da soli la sicurezza e le potenziali minacce che dal terrorismo provengono ovunque”. Da sottolineare, infine, che durante il summit sarà firmato un accordo doganale con Cuba dall’importante significato politico. La presenza di 4.200 agenti a Còrdoba sembra motivata dalla possibilità che nelle prossime ore giunga nella storica città il presidente cubano, Fidel Castro, che non ha mai partecipato a questo genere di eventi.

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E’ di almeno 24 morti il bilancio ancora provvisorio del crollo, martedì, di un palazzo di quattro piani a Lagos, in Nigeria. Non è noto quante persone si trovassero nell’edificio al momento del crollo, ma si teme che fossero un centinaio. Lo stabile comprendeva 36 appartamenti e numerosi negozi. Il governatore di Lagos ha ordinato l’arresto del responsabile della costruzione del palazzo.

 

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