RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 200 - Testo della trasmissione di mercoledì 19 luglio 2006

 

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il cordoglio del Papa per le vittime dello tsunami in Indonesia. E’ salito ad oltre 550 morti il drammatico bilancio dell’onda anomala che lunedì scorso ha devastato l’isola di Giava: con noi  mons. Novatus Rugambwa

 

Da Les Combes, il Papa chiede ai fedeli di pregare per la pace in Medio Oriente. Intanto Israele annuncia un’offensiva senza limiti di tempo, mentre in Libano l’esecutivo si dice pronto ad usare l’esercito. Sul terreno, decine di morti. Interviste con Salvatore Mazza, don Casimir Gajowy, Oded Ben Hur, Kolja Canestrini

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Nell’ambito del VI Simposio “Religione, scienza e ambiente”, guidato dal patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, scienziati, ecologisti, leader religiosi e giornalisti stanno visitando il Jao National Park

 

Sarajevo, città ancora ferita nella cultura: a 15 anni dalla fine della guerra, i luoghi simbolo del patrimonio intellettuale sono semidiroccati: con noi, Nihad Cengia, intellettuale bosniaco

 

CHIESA E SOCIETA’:

I vescovi statunitensi invitano le autorità del Paese ad intensificare gli sforzi perché in Medio Oriente si ponga fine alla violenza

 

Beirut: chiese e conventi aprono le porte ai senza tetto. Appello dei leader religiosi a non fare distinzioni fra cristiani e musulmani nell’aiuto

 

Il cardinale Achille Silvestrini presiederà la veglia di preghiera per il Libano organizzata, stasera a Roma, nella chiesa di Santa Maria in Trastevere  dalla comunità di Sant’Egidio

 

Nel XIV anniversario dell’uccisione di  Paolo  Borsellino e della sua scorta, il capo dello Stato,  Napolitano, invita a non abbassare la guardia nei confronti della mafia,

in una lettera alla vedova del giudice

 

La fame nel mondo e uno sfruttamento della terra che tuteli l’ambiente: sono i temi di riflessione proposti dalla CEI nel messaggio per la prossima Giornata nazionale del ringraziamento

 

Un progetto del governo senegalese per combattere la povertà e frenare l’emigrazione verso l’Europa offrirà opportunità di lavoro a 300 mila persone

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq, almeno dieci persone hanno perso la vita oggi e 20 sono state rapite. Tra maggio e giugno, secondo l’ONU, sono morti oltre 6000 civili iracheni

 

In Afghanistan la coalizione internazionale riprende il controllo di due città meridionali, occupate dai talebani. Intanto, migliaia di afghani sono in fuga dal Sud dopo giorni di violenti scontri

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

19 luglio 2006

 

 

 

IL CORDOGLIO DEL PAPA PER LE VITTIME DELLO TSUNAMI IN INDONESIA.

E’ SALITO AD OLTRE 550 MORTI IL DRAMMATICO BILANCIO DELL’ONDA

ANOMALA CHE LUNEDI’ SCORSO HA DEVASTATO L’ISOLA DI GIAVA

 

Profondo cordoglio di Benedetto XVI per le vittime dello tsunami che lunedì ha colpito l’isola indonesiana di Giava, causando – secondo l’ultimo bilancio – almeno 550 morti. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, indirizzato alle autorità ecclesiastiche e civili del Paese asiatico, il Papa si dice “profondamente addolorato” e assicura la sua vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono. Il Pontefice incoraggia inoltre tutti coloro che stanno portando soccorso affinché possano “perseverare nel loro sforzo di dare sollievo e supporto”. Per una testimonianza su come la popolazione indonesiana stia vivendo questa nuova difficile prova, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Giakarta, mons. Novatus Rugambwa, consigliere presso la Nunziatura apostolica in Indonesia:

 

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R. – Ci dà molta tristezza, perché non solo lo tsunami ci ha colpiti, ma anche il terremoto che ha devastato Giava centrale. Così, in meno di due mesi, abbiamo avuto anche lo tsunami! Siamo vulnerabili di fronte a questi disastri naturali. Speriamo che non accada null’altro, di più terribile, in questi giorni e nemmeno in futuro!

 

D. – Ovviamente, c’è molta paura tra la gente, tra i sopravvissuti: sembra non arrestarsi mai la violenza della natura …

 

R. – C’è tanta, tanta paura. Non siamo preparati come altrove. Si è parlato anche del sistema che possa dare l’allarme di questi fenomeni, ma non riusciamo ad arrivare a tanto. Anzi, si diceva che questa parte di Giava non fosse zona a rischio per lo tsunami, invece è accaduto.

 

D. – Come la Chiesa sta cercando di dare aiuto? Ovviamente con le preghiere chieste anche dal Papa in un messaggio di cordoglio per le vittime… ma ci sono altre iniziative, anche della Caritas locale?

 

R. – Sì, la Caritas locale, aiutata da altre Caritas di altre nazioni, come Germania, Stati Uniti, Svizzera, è attiva in questa zona e quindi è quasi una continuazione di quello che è stato fatto: stanno facendo un buon lavoro, perché ci sono le diocesi di Bandul, di Purwokerto, soprattutto, e anche una parte della diocesi di Semarang. Queste diocesi, tramite le loro Caritas, anche tramite l’aiuto della Caritas Internationalis, stanno facendo un buon lavoro, nell’emergenza di adesso. Poi ci sarà la continuazione del lavoro: la ricostruzione, la riabilitazione …

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Intanto, mentre la macchina della solidarietà porta soccorso ai feriti e a quanti sono rimasti senza casa, non mancano le polemiche per la mancanza di un sistema di sicurezza che avrebbe potuto salvare molte vite umane. Il servizio di Chiaretta Zucconi:

 

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Al ministero della Ricerca e Tecnologia, un funzionario denuncia: “Non abbiamo fondi per realizzare un progetto di allarme-tsunami che permetta, attraverso sofisticati sensori ma anche semplici dispositivi acustici, di allertare la popolazione contro il pericolo onde anomale”. Una dichiarazione pesante, che fa eco a quanto ammesso dallo stesso ministro. “Dopo il sisma di lunedì, l’agenzia meteorologica giapponese e il centro allarme tsunami del Pacifico ci avevano avvertiti del rischio maremoto – ha detto il ministro – e addirittura 45 minuti prima che si verificasse l’onda anomala, ma non abbiamo dato l’annuncio perché se anche avessimo contattato le autorità locali, sarebbe stato impossibile avvertire i residenti e i turisti sulle spiagge, dal momento che mancano sirene in grado di dare l’allarme”.

 

Per la Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.

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E l’Indonesia non sembra avere pace: poco dopo le 13.00, ora italiana, è stato lanciato un allerta tsunami (poi rientrata) a seguito di una forte e prolungata scossa di terremoto, di 6,2 gradi di magnitudo sulla scala Richter, avvertita sulle isole di Giava e Sumatra e nella capitale indonesiana, Giakarta. Non si hanno al momento notizie di feriti o danni.

 

 

DA LES COMBES, IL PAPA CHIEDE AI FEDELI DI PREGARE

 PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE

 

Pregare per la pace in Medio Oriente: è quanto chiede a tutti i fedeli Benedetto XVI che, a Les Combes, in Valle d’Aosta, segue con apprensione l’evolversi della crisi israelo-libanese. L’appello del Papa è giunto ieri sera, di ritorno da un’escursione al Colle del Gran San Bernardo. Tra i giornalisti che hanno ascoltato le parole di Benedetto XVI c’era anche l’inviato a Les Combes di Avvenire, Salvatore Mazza, raggiunto telefonicamente da Alessandro Gisotti:

 

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R. – La domanda che è stata posta al Papa è: “Che cosa deve fare la comunità internazionale in questa situazione sempre più drammatica?” E il Papa ha risposto di trovarsi completamente d’accordo con il comunicato del G8 - il comunicato dell’altro giorno - di non avere altro da aggiungere se non il bisogno della preghiera per la pace, in questo momento così difficile, in Medio Oriente.

 

D. – In un un momento di riposo, si è detto tante volte, a Les Combes il Papa, tuttavia, mostra un’attenzione e preoccupazione per le crisi nel mondo…

 

R. – Certo, attenzione che è sempre costante, a dimostrazione del fatto che il riposo non è assenza dal mondo. Si vede che il Papa ha una preoccupazione costante per quanto succede e lo si è visto proprio in questi incontri estemporanei che ha avuto con i giornalisti, dove in qualche modo lui stesso si è voluto soffermare per manifestare il suo pensiero, per ribadire questa necessità della preghiera per la pace.

 

D. – Ieri il Papa ha fatto un’altra escursione. Qualche particolare?

 

R. – E’ stato il Papa stesso, rientrando a Les Combes, a dire di essere andato prima in questo convento delle suore benedettine a Chateau Verdan, dove tra le altre cose si è fermato a parlare con loro e ha ribadito il perché della scelta del suo nome pontificale Benedetto, richiamandosi alle figure di Benedetto da Norcia e di Benedetto XV. Poi, dopo Chateau Verdan, è stato nel convento sul colle del Gran San Bernardo. Si è trattenuto con i canonici, ha recitato i Vespri insieme a loro e poi è andato a piedi, tra lo stupore dei turisti, che tutto si aspettavano tranne che di trovarsi il Papa alle 18.30 del pomeriggio sul colle del Gran San Bernardo, a visitare il canile dove nel periodo estivo vengono tenuti i cani San Bernardo.

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IN ISRAELE, IL GOVERNO ANNUNCIA UNA OFFENSIVA SENZA LIMITI DI TEMPO;

IN LIBANO, L’ESECUTIVO PRONTO AD USARE L’ESERCITO.

SUL TERRENO, DECINE DI MORTI

- Interviste con padre Casimir Gajowy, l’ambasciatore Oded Ben Hur e Kolja Canestrini -

 

E la crisi in Medio Oriente resta aperta: sul terreno, decine di persone sono morte in Libano in seguito a nuovi raid. In Israele, il governo ha deciso poi che porterà avanti senza limiti di tempo le offensive militari nel Paese dei cedri e nella Striscia di Gaza. Sull’altro fronte, il governo libanese ha avanzato l’ipotesi di impiegare l’esercito per rispondere agli attacchi israeliani. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Raid israeliani in Libano e  razzi  lanciati da miliziani Hezbollah in  Israele continuano a rendere esplosiva la situazione in Medio Oriente: per la prima volta, l’aviazione israeliana ha bombardato un quartiere cristiano di Beirut. E nell’area meridionale del Paese, sono decine i civili rimasti uccisi in seguito a nuovi raid in diversi villaggi. L’esercito israeliano ha anche condotto un attacco via terra per demolire postazioni usate dai guerriglieri libanesi per lanciare razzi contro il nord di Israele. Complessivamente, sono almeno 250 i libanesi uccisi finora nei raid e più di 700 mila gli sfollati. Secondo fonti israeliane, sono oltre 1000 gli obiettivi colpiti in Libano e 180 le postazioni di lancio dei guerriglieri libanesi distrutte. Sull’altro fronte, due soldati israeliani sono morti nel corso di scontri scoppiati al confine tra Israele e Libano. Diversi razzi hanno raggiunto la città israeliana di Haifa causando il ferimento di numerose persone. Sul versante politico, l’alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza europea, Javier Solana, ha chiesto ad Israele di agire in modo proporzionato e di evitare di colpire i civili. Il governo israeliano ha dichiarato che le operazioni militari in Libano proseguiranno senza limiti di tempo e senza restrizioni. Il premier israeliano, Ehud Olmert, ha rivelato, inoltre, che il rapimento di due soldati israeliani da parte di un commando di Hezbollah, cui ha fatto seguito la risposta militare dello Stato ebraico, “è stato concordato con l’Iran al fine di distogliere l’attenzione internazionale dalla questione nucleare iraniana”. Il ministro dell’Informazione libanese ha affermato, infine, che il Libano risponderà col suo esercito all’offensiva israeliana. Ma secondo diversi osservatori, questa ipotesi deve essere letta come uno sforzo politico di compattamento delle diverse componenti libanesi e non come un’opzione tattica e militare. Il Libano dispone, infatti, di 70.000 soldati ed il loro equipaggiamento e grado di formazione è inferiore a quello dei miliziani Hezbollah.

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Situazione drammatica, dunque, in Libano dove sono febbrili le attività di volontariato per portare aiuto alla popolazione. E’ quanto conferma, al microfono di Isabella Piro, il salesiano Don Casimir Gajowy, direttore del Don Bosco Technique di Beirut:

 

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R. – La situazione è molto tesa e ci aspettiamo il peggio. La situazione già è drammatica: tutti gli stranieri stanno lasciando il Libano. Decine e decine di pullman si stanno recando verso la frontiera, l’unica ancora aperta e abbastanza sicura, quella a Nord, verso la Siria; ma anche i libanesi con doppia cittadinanza stanno per partire. Questo è un segno che non ci sarà una soluzione immediata. Ci troviamo davanti ad una grande incognita, non sappiamo cosa succederà!

 

D. – Dal punto di vista umanitario, quali sono attualmente le emergenze più gravi?

 

R. – Mi trovo proprio in uno dei grandi supermercati, vicino a Beirut, che è quasi vuoto: tutte le scorte che sono state messe questa mattina, di carne, formaggio, sono scomparse. Il supermercato è pieno di gente che fa provviste per i giorni futuri. Ma, sinceramente, fino ad oggi non ci è mancato nulla. Invece, ora iniziano i problemi con la benzina ed i carburanti in genere, anche il gas. Alcune stazioni ne hanno ancora, ma ora vendono 10-20 litri per volta, per poter accontentare tutti.

 

D. – Voi salesiani avete già portato aiuto a zone disastrate del Paese?

 

R. – Fino ad oggi, abbiamo lavorato con i ragazzi dai 4-5 fino ai 14 anni, proprio per salvarli da questa atmosfera di guerra, ma oggi abbiamo deciso di interrompere questa nostra attività fino a lunedì prossimo perché le strade, i ponti non sono sicuri. Una delle nostre case, che si trova in montagna, ha già accolto decine di famiglie provenienti dalla zona a sud di Beirut e anche a sud del Paese. Non sono solo cristiani, anzi: c’è una sola famiglia cristiana, tutte le altre sono famiglie sciite che sono state accolte nelle nostre strutture di el-Hussun, distante 35 km da Beirut.

 

D. – In che condizioni arrivano queste persone che chiedono il vostro aiuto?

 

R. – Prima di tutto, hanno bisogno non tanto di ‘cose’, perché portano qualcosa con sé e ancora siamo ai primi giorni, quanto di conforto e di una certa sicurezza, proprio per lo spavento che si legge nei loro occhi, specialmente negli occhi dei bambini, e per la paura di quello che può capitare in futuro. La gente è sempre la stessa: in Europa, in Libano, sciita, musulmana o cristiana: quando c’è una paura, quando sono in pericolo i bambini, siamo tutti uguali, bisognosi di un rifugio, di un aiuto, di un conforto …

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Dal canto suo, l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Oded Ben Hur, racconta il punto di vista d’Israele. L’intervista è di Luca Collodi:

 

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R. – La società israeliana regge con la forza e con la costanza della ragione e per questo ha la possibilità di andare avanti. I civili che abitano le città, i villaggi del nord, passano queste notti nelle camere blindate.

 

D. – Ambasciatore Ben Hur, il perché di questa guerra, ma soprattutto gli obiettivi che si pone Israele…

 

R. – Gli obiettivi di questa operazione sono la liberazione dei soldati rapiti e, anzitutto, lo smantellamento degli Hezbollah, che costituiscono una minaccia non solo per Israele ed il Libano, ma per tutto il Medio Oriente. Ci dovrebbe essere, poi, un cordone sanitario nella parte sud che non permetta queste minacce, questa presenza dell’organizzazione terroristica. Stiamo arrivando man mano alla fine di questa missione e, perciò, abbiamo chiesto qualche giorno in più. Vediamo, però, già la luce della fine di questo tunnel. Vediamo, infatti, la possibilità di creare un nuovo ordine in questa zona: dove noi non saremo più prigionieri, nemmeno il Libano e altri Paesi, di questi terroristi, che vogliono bagnare tutta questa area con il sangue e la sofferenza.

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Ma quanto sta accadendo tra Libano e Israele è di fatto una violazione delle norme del diritto internazionale? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Kolja Canestrini, direttore del Centro Studi italiano per la pace ed esperto di Diritto umanitario:

 

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R. – La guerra è un mezzo che non viene accettato come metodo per risolvere le controversie, sul piano internazionale. La guerra, dunque, che sia dichiarata o meno, è sempre una situazione che rischia di compromettere il diritto internazionale. Quello che è sicuro è che ridurre il conflitto ai due soli attori principali, Israele e Libano, è un’opzione assai riduttiva, che rischia di far sottovalutare come in pericolo vi sia, in realtà, l’intero equilibrio del Medio Oriente. E’ infatti noto che questa situazione, che si profila come una situazione di non ritorno, possa compromettere l’intero equilibrio geopolitico.

 

D. – Numerosi sono stati gli appelli alla calma, però nessun atto concreto è giunto da parte della comunità internazionale. Cosa si dovrebbe fare, arrivati a questo punto?

 

R. – Difficile a dirsi. Quello che si sarebbe potuto fare è, forse, un po’ più facile: cogliere con più attenzione i segnali di allarme che ci sono stati, non solo negli ultimi mesi, ma anche negli ultimi anni. Gli attacchi degli Hezbollah erano stati segnalati già nell’autunno-inverno dell’anno scorso. Se non altro, si sapeva che l’azione dello Stato d’Israele era a rischio di provocare un’escalation delle violenze. E la comunità internazionale, forse distratta da altre guerre assai dubbie dal punto di vista della legittimità, – parlo per esempio della guerra in Iraq, ma non solo – non ha saputo cogliere questi segnali di allarme. Ora non resta altro che convocare immediatamente una conferenza, coinvolgendo tutti gli attori. E’ evidente che un’opzione militare, a questo punto, non avrebbe nessun senso, perché, come si sa, la guerra non fa vincere chi ha ragione, ma fa vincere semplicemente il più forte. Dubito che se ne possa uscire con un colpo di bacchetta magica e credo invece che solo con uno sforzo prolungato della comunità internazionale si possa definire sul tavolo delle trattative una possibile exit strategy.

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E’ MORTO IL 29 GIUGNO SCORSO MONSIGNOR PAOLO GUO WENZHI, VESCOVO EMERITO DELLA PREFETTURA APOSTOLICA DI TSITSIHAR, NELLA CINA CONTINENTALE.

IL PRESULE, DI 89 ANNI E DA TEMPO MALATO,

VIENE RICORDATO PER IL SUO PARTICOLARE IMPEGNO

NELLA PROMOZIONE DELL’APOSTOLATO E DELL’EVANGELIZZAZIONE

 

Giovedì, 29 giugno scorso, è deceduto il vescovo emerito della Prefettura Apostolica di Tsitsihar (Qiqihar), nella Provincia di Heilongjiang (Cina Continentale), mons. Paolo Guo Wenzhi, di 89 anni. Il presule, ammalato da molti anni, negli ultimi tempi era costretto su una sedia a rotelle, ma ha sempre trascorso con gioia e con fiducia nel Signore il tempo che gli veniva ancora concesso di vivere.

 

Mons. Guo, nato l’11 gennaio 1918 da una famiglia cattolica, si formò dapprima nel seminario di Changchun e poi in quello di Pechino. Terminati gli studi di filosofia e teologia, fu ordinato sacerdote nel 1948. Fu consacrato vescovo il 15 maggio 1989.

 

Nel 1954 fu incarcerato a causa della sua fedeltà alla Chiesa cattolica e al Santo Padre. Dopo dieci anni di prigione lavorò nella fabbrica di macchine “Liang xiang” a Pechino: successivamente, nel 1966 fu mandato a Xinjiang in un campo militare per lavori agricoli e, nel 1979, in una scuola secondaria di Bachunxian per l’insegnamento dell’inglese. Soltanto nel 1985 poté ritornare nella chiesa di Qiqihar per dedicarsi al lavoro pastorale con tutto il cuore e con tutte le energie.

 

Mons. Guo ha promosso energicamente l’apostolato e l’evangelizzazione, non solo nella Prefettura di Qiqihar, ma anche in tutto il vasto territorio della provincia di Heilongjiang, curando l’erezione di un seminario e di una Congregazione Religiosa femminile e, così, ridando vita ad una comunità cristiana che era rimasta a lungo priva d’assistenza religiosa.

 

Chi lo ha conosciuto, testimonia che l’anziano presule è stato un uomo silenzioso, che nella sua vita ordinaria ha però dimostrato fedeltà e fermezza nello svolgere l'impegno di Pastore, guadagnandosi il rispetto e la stima del clero e dei fedeli.

 

La Prefettura Apostolica di Qiqihar, di cui mons. Guo è stato responsabile dopo la riapertura delle chiese negli anni 1980, registra un aumento di vocazioni religiose, maschili e femminili. Attualmente i cattolici superano le 25.000 unità, e la Circoscrizione ecclesiastica conta 40 sacerdoti giovani, 40 suore della Congregazione diocesana di Santa Teresa e una ventina di seminaristi. I fedeli, ai quali è stata impedita la celebrazione di solenni funerali per l’amato Pastore, sono sicuri che dal cielo mons. Guo Wenzhi continuerà a pregare per loro e per tutti quelli che l'hanno fatto soffrire in vita e in morte.

 

 

NUOVI AMBULATORI ED UFFICI DELL’OSPEDALE PEDIATRICO BAMBINO GESÙ SARANNO APERTI NELL’AREA EXTRATERRITORIALE DELLA BASILICA DI SAN PAOLO FUORI LE MURA: STIPULATO UN ACCORDO SU INIZIATIVA DELLA SANTA SEDE

 

L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù utilizzerà alcuni fabbricati e spazi nell’area extraterritoriale della Basilica Pontificia di San Paolo Fuori le Mura per collocarvi uffici e ambulatori. Su iniziativa della Santa Sede, ieri, hanno firmato un accordo, alla presenza del cardinale Segretario di Stato Angelo Sodano, il cardinale Andrea Cordero di Montezemolo, arciprete della basilica, ed il dott. Francesco Silvano, presidente dell’ospedale. I nuovi locali consentiranno alla struttura sanitaria di servire meglio i bambini in una zona di Roma molto popolata e di integrare servizi medici ed amministrativi.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Due pagine dedicate al cammino della Chiesa in Italia.

 

Servizio estero - Medio Oriente; Libano: settecentomila sfollati dalle zone di guerra.

 

Servizio culturale - Un articolo di Carmine Di Biase dal titolo “Si sbriglia la fantasia nel racconto di un ‘visionario del linguaggio’”: il nuovo romanzo di Giuseppe Bonaviri.  

 

Servizio italiano - In primo piano lo sciopero dei farmacisti. In rilievo il tema dell’immigrazione.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

19 luglio 2006

 

 

AL VI SIMPOSIO “RELIGIONE, SCIENZA E AMBIENTE”,

GUIDATO DAL PATRIARCA ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI,

SUA SANTITÀ BARTOLOMEO I, SCIENZIATI, ECOLOGISTI, LEADER RELIGIOSI

E GIORNALISTI STANNO VISITANDO IL JAO NATIONAL PARK.

 

Sono ancora nel cuore della foresta amazzonica i partecipanti al VI Simposio “Religione, scienza e ambiente”. Guidati dal patriarca ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, scienziati, ecologisti, leader religiosi e giornalisti stanno visitando il Jao National Park. Il servizio della nostra inviata in Amazzonia, Giada Aquilino:

 

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Un intenso profumo di orchidee sprigionato da una fitta vegetazione penetrata solo dai raggi del sole, incastonata in un vasto sistema fluviale: è il Jao National Park, preziosa riserva naturale del Brasile, che si trova a 18 ore di navigazione da Manaus, sul Rio Jao, da cui, appunto, prende il nome. Addentrandosi nel parco, i partecipanti al Simposio, guidati da Sua Santità Bartolomeo I, hanno attraversato i tre ecosistemi tipici della foresta amazzonica: quello fluviale, quello sedimentato e quello della terraferma. Qui hanno conosciuto le essenziali tecniche di sopravvivenza delle tribù autoctone, attraversando la foresta con un tasso di umidità del 75-80%.

 

 Sui battelli, intanto, è la volta dei dibattiti riguardanti le popolazioni indigene locali che nella foresta pluviale trovano acqua, cibo, erbe medicinali e, quindi, la vita. Nel 1500 si stimavano sette milioni di indigeni, oggi ce ne sono meno di un quinto in tutta la foresta amazzonica. Ora puntano alla rivendicazione dei propri diritti e delle loro terre. Al convegno, si confrontano esperienze e strategie. Prende la parola il primo avvocato donna indigena: viene dal confine con il Venezuela. Dice che le terre riconosciute ufficialmente agli indigeni sono solo poco più di un milione di chilometri quadrati, troppo importanti per perderli a causa dei grandi interessi economici mondiali.

 

Dal Jao National Park, Giada Aquilino, Radio Vaticana.

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SARAJEVO, CITTÀ ANCORA FERITA NELLA CULTURA:

A 15 ANNI DALLA FINE DELLA GUERRA,

I LUOGHI SIMBOLO DEL PATRIMONIO INTELLETTUALE SONO SEMIDIROCCATI

- Intervista con l’intellettuale bosniaco Nihad Cengia -

 

Sarajevo, una città ancora ferita anche nella cultura. A 15 anni dalla fine della guerra nei Balcani i luoghi simbolo del patrimonio intellettuale bosniaco sono ancora semidiroccati. Bombardati durante il conflitto, i palazzi sono bruciati e nel rogo sono andati distrutti milioni di libri e manoscritti rarissimi di valore inestimabile. Ma quanto della cultura e della memoria di questo popolo è andata perduta?  Antonella Villani lo ha chiesto a Nihad Cengia, intellettuale bosniaco:

 

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R. – Moltissimo, purtroppo! Fin dall’inizio dell’assedio di Sarajevo, la strategia, dei politici non del popolo, è stata mirare alla cultura. Prima hanno distrutto l’Istituto orientale: andò perso il 100% dei manoscritti, del catasto ottomano, di manoscritti con esempi di astrologia, con piccole miniature che rappresentavano i segni dell’oroscopo. Stiamo parlando di oltre due milioni di libri, ne fu distrutto l’80 per cento …

 

D. – Perché un attacco così mirato alla cultura?

 

R. – Perché qualsiasi crimine ha una sua strategia, una sua premeditazione, e questo evento della Bosnia fu proprio un crimine mirato alla cultura. Ricordo però anche la Seconda Guerra Mondiale, quando i nazisti bruciavano i libri sulle piazze delle città colte della Germania. Questo fa parte della strategia di chi intende creare il futuro di un Paese pensando di eliminare il popolo che ci vive. Chi vuole eliminare un popolo, elimina in primo luogo la cultura di quel popolo: il popolo non vale niente senza la sua cultura.

 

D. – Quanto è stato fatto per recuperare quello che è rimasto di questi tesori?

 

R. – Quello che non è stato distrutto dalla guerra, è stato distrutto dal ‘recupero’. Molte moschee o chiese antiche, belle con i loro elementi arcaici e la loro semplicità, sono state recuperate in maniera assurda da gente incompetente, senza indagini preventive. Abbiamo solo alcuni esempi di restauri illuminati, come la moschea di Sarajevo, un monastero islamico, o la cittadella di Stolac, che sono – secondo me – tra gli esempi più belli. Se vuole, possiamo elencare anche il Ponte di Mostar, ma parliamo sempre di beni ‘centrali’! Invece, il patrimonio diffuso nella provincia e nei paesini, dove veramente ancora oggi, purtroppo, si vive un’erosione, non hanno avuto lo stesso trattamento.

 

D. – Si dice che molto è stato ricostruito grazie ai finanziamenti degli emirati arabi …

 

R. – Gli emirati arabi hanno uno spirito diverso: non apprezzano tanto il nostro islam tradizionale, pieno di pitture, dell’universale bellezza dell’arte. Quindi, se loro hanno dato denaro, l’hanno dato più volentieri per la costruzione di nuove moschee, per favorire l’espansione e la propagazione dell’islam. Infatti, con i loro finanziamenti sono state costruite nuove moschee; per le antiche, probabilmente hanno finanziato soltanto il recupero architettonico-edilizio, non quello artistico, che è stato realizzato grazie all’autofinan-ziamento della gente.

 

D. – Ma oggi, la gente come ricorda la guerra e, soprattutto, come vive questa pace?

 

R. – Molto male! La gente, qui, è depressa, perché questa pace non è una pace vera. La guerra della Bosnia in realtà non è finita, si tratta di un cessate-il-fuoco a tempo indeterminato. E poi: come possiamo parlare di promesse, di futuro di questo Paese, se ancora oggi due dei più ricercati criminali di guerra sono in libertà e continuano ad influire sugli avvenimenti politici di questo Paese?

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CHIESA E SOCIETA’

19 luglio 2006

 

I VESCOVI STATUNITENSI INVITANO LE AUTORITÀ DEL PAESE AD INTENSIFICARE

GLI SFORZI PERCHÉ IN MEDIO ORIENTE SI PONGA FINE ALLA VIOLENZA

 

WASHINGTON. = I vescovi statunitensi lanciano un appello alle autorità del Paese perché esercitino in Medio Oriente la loro leadership su tutte le parti in conflitto ed intensifichino gli sforzi, in un quadro multilaterale, per porre fine alle provocazioni e alla violenza. In una dichiarazione diffusa ieri, l’episcopato degli Stati Uniti invita a “stabilire un cessate-il-fuoco, a contenere le reazioni del governo israeliano e ad avviare negoziati tra israeliani e palestinesi perché sia garantita la sicurezza ad Israele, uno Stato ai palestinesi e l’indipendenza del Libano”. “La violenza, da qualsiasi parte provenga e quale che sia il suo scopo, – rimarca la nota dei presuli – non può portare ad una pace giusta e duratura nella terra che chiamiamo santa”. Per i vescovi statunitensi, “le fazioni estremiste armate di Hamas ed Hezbollah e i loro sostenitori, tra cui la Siria e l’Iran, hanno pesanti responsabilità”, ma  la reazione di Israele, che pure ha diritto di difendersi, è “sproporzionata e indiscriminata” e, in ultima istanza, “controproducente” per la sua stessa sicurezza. (T.C.)

 

 

BEIRUT: CHIESE E CONVENTI APRONO LE PORTE AI SENZA TETTO. MENTRE I LEADER

RELIGIOSI CHIEDONO A NON FARE DISTINZIONI NELL’AIUTO

FRA CRISTIANI E MUSULMANI

 

BEIRUT. = Per quanti sono rimasti senza casa a Beirut, in Libano, si sono aperte le porte di monasteri, scuole e case religiose. L’abate Seman Abou Abdo, superiore generale dell’Ordine maronita mariamita -  riferisce l’agenzia Asianews - ha invitato a non fare distinzioni tra cristiani e musulmani nell’aiuto rivolgendosi a tutti i responsabili dell’ordine, riuniti per un capitolo straordinario. Il patriarca greco-melkita, Gregorio III Lahham, a sua volta, ha lanciato un appello a tutti i leader religiosi, ai vescovi e ai superiori generali delle congregazioni perché si muovano in favore di questi “fratelli colpiti dai bombardamenti atroci dei nemici della pace”. L’apertura di conventi ed istituti religiosi era stata chiesta anche dal governo delle Filippine, per dare soccorso ai suoi 34 mila cittadini che lavorano in Libano, mentre si stanno esaminando possibilità di evacuazione via terra verso la Siria o via mare verso Cipro. La maggior parte dei filippini che vivono in Libano lavora a Beirut: 25 mila sono lavoratori domestici, gli altri prestano servizio negli alberghi o nelle missioni delle Nazioni Unite. Le chiese della Medaglia Miracolosa a Achrafieh e di San Giuseppe hanno già accolto i primi gruppi. Domenica scorsa dal Paese sono partiti 45 indonesiani e si preparano a fare altrettanto altre 35 persone; 25 dei 100 thailandesi che vivono a Beirut sono partiti via terra per Damasco; per lo spostamento dei propri connazionali il Giappone invece si sta ancora organizzando. (T.C.)

 

 

STASERA A ROMA VEGLIA DI PREGHIERA PER IL LIBANO NELLA CHIESA DI SANTA MARIA IN TRASTEVERE ORGANIZZATA DALLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO, 

SARA’ PRESIEDUTA DAL  CARDINALE ACHILLE SILVESTRINI

 

ROMA. = La Comunità di Sant'Egidio celebrerà questa sera, alle 19.30, nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, una veglia di preghiera per il Libano. A presiederla sarà il cardinale Achille Silvestrini.. “Santa Maria in Trastevere è stata luogo di numerose veglie per la pace in Libano – ha detto il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo – sono molti i nostri amici tra i cristiani e i musulmani libanesi, e sempre una loro rappresentanza ha partecipato ai nostri incontri interreligiosi di preghiera per la pace. Il Libano è esempio di coabitazione tra religioni e culture nel cuore del Medio Oriente”.  “La Comunità di Sant’Egidio segue con partecipazione le vicende del Libano da più di venticinque anni – ha dichiarato Marco Impagliazzo – e negli anni Ottanta ha ospitato a Roma, come segno di pace, un gruppo di anziani di uno dei villaggi dello Chouf colpito dalla guerra.  A Sant’Egidio Walid Jumblatt e il patriarca melchita Maximos V Hakim si incontrarono per accordarsi sulla sospensione dei combattimenti intorno a un villaggio cristiano posto sotto assedio” (T.C.)

 

 

 

 

NEL XIV ANNIVERSARIO DELL’UCCISIONE DI PAOLO BORSELLINO E DELLA SUA SCORTA,

IL CAPO DELLO STATO, GIORGIO NAPOLITANO, INVITA A

NON ABBASSARE LA GUARDIA NEI CONFRONTI DELLA MAFIA,

IN UNA LETTERA ALLA VEDOVA DEL GIUDICE

 

PALERMO. = Con il silenzio suonato dalla tromba di un poliziotto è stato ricordato stamattina a Palermo, in via D'Amelio, il giudice Paolo Borsellino e i 5 agenti della sua scorta uccisi quattordici anni fa dalla mafia. Una corona di fiori è stata inviata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha anche scritto una lettera alla moglie del magistrato ucciso, Agnese. “Il sacrificio di Paolo Borsellino resta di monito a non abbassare mai la guardia nella lotta per debellare le insidie, ovunque si annidino, di questo gravissimo fenomeno criminoso”, si legge nel messaggio del capo dello Stato. “Il 19 luglio 1992 l’arroganza spietata della criminalità mafiosa stroncava la vita di Paolo Borsellino e degli agenti della scorta Catalano, Cosina, Loi, Li Muli e Traina – ha ricordato Napolitano – resta indelebile nella memoria l’angoscia e il dolore dei giorni in cui il delirio di onnipotenza della cupola mafiosa, già abbattutosi contro Giovanni Falcone, sua moglie e altri coscienziosi agenti di polizia, culminò nel tentativo di scardinare, colpendo le sue più ferme e intransigenti espressioni, l’ordinamento dello Stato e delle sue istituzioni”. Una strategia, ha concluso il presidente della Repubblica, che si è rivelata illusoria. “Il sacrificio dei servitori dello Stato – ha sottolineato Napolitano – non è stato vano. La concezione della giustizia e lo spirito di servizio, che avevano animato le battaglie di Paolo Borsellino e di tante altre vittime della mafia, hanno segnato una netta linea di contrapposizione al terrore dell’anti-stato e costituito un esempio costante e positivo per l’azione della Magistratura e delle Forze dell’Ordine”. (T.C.)

 

LA FAME NEL MONDO E UNO SFRUTTAMENTO DELLA TERRA CHE TUTELI L’AMBIENTE:

SONO I TEMI DI RIFLESSIONE PROPOSTI DALLA CEI NEL MESSAGGIO PER LA PROSSIMA GIORNATA NAZIONALE DEL RINGRAZIAMENTO

 

ROMA. = La Commissione episcopale per i Problemi Sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace ha pubblicato in questi giorni un messaggio per la prossima Giornata Nazionale del Ringraziamento che sarà celebrata il 12 novembre. “La terra: un dono per l’intera famiglia umana”: questo il tema scelto dalla Cei per invitare a guardare alle necessità degli uomini con lo sguardo di Cristo e, in particolare, per offrire spunti di riflessione sul problema della fame e dello sfruttamento delle risorse della terra. “Se nel contatto con la meraviglia dei prodotti della terra percepiamo il dono inesauribile della Provvidenza divina, con tristezza, dobbiamo anche constatare come la creazione “geme e soffre nelle doglie del parto” in attesa del compimento della speranza di essere liberata “dalla schiavitù della corruzione” (Rm 8,21-22), –. Si legge nel documento – in particolare si ricorda che non è stato ancora risolto il problema della fame e che sussistono disparità di sviluppo di gravità tale da porre intere popolazioni di fronte a gesti disperati. L’episcopato italiano invita per questo ad un impegno forte per “rimuovere questa vergogna dall’umanità con appropriate scelte politiche ed economiche di respiro planetario”. Nel suggerire soluzioni, la Cei propone di muoversi “in un contesto di responsabilità sociale dell’impresa e in un ritrovato ruolo di un’agricoltura che può tutelare l’ambiente e puntare alla caratterizzazione di prodotti che sono espressione del territorio”. La Commissione episcopale per i Problemi Sociali invita, inoltre, a superare i limiti, personali e comunitari, del consumismo di massa per volgersi ad un contesto economico agroalimentare internazionale di competizione-collaborativa, piuttosto che di competizione-conflittuale. Ciò per evitare l’omogeneizzazione e le manipolazioni dei grandi fenomeni consumistici. (T.C.)

 

 

 

 

 

UN PROGETTO DEL GOVERNO SENEGALESE PER COMBATTERE LA POVERTÀ

 E FRENARE L’EMIGRAZIONE VERSO L’EUROPA: OFFRIRÀ OPPORTUNITÀ

DI LAVORO A 300 MILA PERSONE

 

DAKAR. = Garantire una valida alternativa all’emigrazione verso l’Europa attraverso la creazione di un piano pluriennale che offra nuove opportunità di lavoro: è l’obiettivo del progetto ‘Ritorno all’agricoltura’ del ministro dell’Agricoltura e della Sicurezza Alimentare senegalese, Farba Senghor. Il piano, riferisce l’agenzia MISNA, prevede l’occupazione per 300 mila persone ed ha un valore complessivo di 45 milioni di euro. Mira alla riduzione della povertà, a combattere l’emigrazione illegale e l’esodo dalle campagne attraverso la creazione di condizioni determinanti per un ritorno volontario alla coltivazione. Nella sua fase-pilota, il progetto prevede la creazione di 550 centri integrati per l’agricoltura, il mercato floro-vivaicolo e la promozione di aziende agricole nei villaggi dell’intero Paese. I nuovi lavoratori verranno selezionati da commissioni locali specializzate, create nelle comunità rurali e convalidate poi a livello regionale e nazionale. Terminata la stagione dei raccolti, i contadini dovranno versare dei contributi per ripagare i servizi ottenuti dai centri integrati. Per la realizzazione di questo piano pluriennale, il Senegal ora sta cercando finanziamenti. Ha già dimostrato la propria disponibilità a sostenerlo l’India. (A.Gr.)

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24 ORE NEL MONDO

19 luglio 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

Ancora violenze in Iraq. In mattinata almeno dieci persone sono morte in seguito a diversi attacchi della guerriglia nel Paese. Intanto oltre 20 impiegati dell'amministrazione dei beni religiosi sunniti sono stati sequestrati a nord di Baghdad. Il nostro servizio:

 

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Il bilancio della violenza è sempre pesante. L’ultimo attacco della mattinata è stato contro un affollato bar di Kirkuk, il principale centro petrolifero del Kurdistan iracheno. Sono almeno quattro i morti, una ventina i feriti. Una crudele imboscata della guerriglia non ha risparmiato neanche il cuore di Baghdad, dove nei pressi dell’università una bomba è scoppiata al passaggio di una pattuglia della polizia. Tre agenti hanno subito lesioni. Subito dopo sono esplosi altri due ordigni, che hanno fatto 5 vittime fra i soccorritori. Poche ore prima, a breve distanza da quel quartiere, un consigliere del ministero dell'Interno iracheno era stato assassinato a colpi di arma da fuoco sulla porta di casa. Le dieci vittime di questa mattina sono solo le ultime di una lunga serie di violenze che, tra maggio e giugno, sono costate la vita ad oltre 6000 civili iracheni. Il dato agghiacciante è contenuto in un rapporto pubblicato ieri dalle Nazioni Unite, secondo cui le vittime degli scontri sono aumentate negli ultimi mesi nonostante la formazione di un Governo di unità nazionale, che invece avrebbe dovuto invertire la tendenza. Sul piano politico oggi il Parlamento iracheno dovrebbe approvare la normativa sugli investimenti stranieri nel Paese. Il provvedimento, che sarebbe la prima legge a regolare la materia dall’inizio del conflitto nel 2003, non riguarderà però l’attività petrolifera, che sarà invece regolata nei prossimi mesi da una specifica normativa sugli idrocarburi.

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In Afghanistan la coalizione internazionale assieme a quella afghana ha ripreso oggi il controllo delle città meridionali di Garmsir e Naway-e-Barakzayee, occupate in questi giorni dalle milizie talebane. Lo ha reso noto un comunicato del ministero della Difesa di Kabul precisando che i ribelli hanno opposto scarsa resistenza. Nell’operazione, durata poche ore, solo due talebani sono rimasti leggermente feriti. Intanto le autorità locali hanno fatto sapere che sono più di 4 mila gli afghani che nelle ultime settimane hanno lasciato il sud del Paese in seguito agli scontri. Negli ultimi tre giorni, infine, le autorità pachistane hanno catturato circa 200 tra talebani ed estremisti islamici, nella zona di confine con il Paese afghano. La polizia pakistana, negli ultimi mesi, ha chiuso anche 156 stazioni radio accusate di proselitismo a favore degli estremisti islamici.

 

In Italia prosegue il confronto politico sul prolungamento della presenza italiana in Afghanistan. La Camera dei Deputati ha approvato in mattinata la mozione della maggioranza sulle missioni internazionali italiane con 298 sì, 249 no e un astenuto. La mozione, fra gli altri aspetti, impegna il governo italiano a promuovere, soprattutto in sede ONU, una verifica sulla presenza internazionale in Afghanistan. L’aula, che ha bocciato la mozione dell’opposizione, nel pomeriggio voterà invece il provvedimento per il rifinanziamento delle missioni all’estero, tra cui quella in Afghanistan.

 

Vicino al più importante santuario musulmano del Kashmir, un’auto della polizia è stata raggiunta da colpi d'arma da fuoco esplosi da presunti attivisti islamici, che hanno provocato la morte di un agente. Le forze di sicurezza avevano recintato l’area del sacrario di Hazratbal per operazioni di ricerca. Secondo gli ufficiali della sicurezza indiana, le violenze dei separatisti del Kashmir sono aumentate negli ultimi mesi, in seguito allo scioglimento della neve dei passi di montagna che ha permesso ai militanti islamici di spostarsi più facilmente dal Pakistan al Kashmir indiano. La polizia ha fatto sapere inoltre che l'esercito ha ucciso quattro sospetti militanti nel corso di scontri a fuoco avvenuti nelle ultime 24 ore, in diverse località del Kashmir. Più di 45 mila persone sono state uccise nella regione nel corso dell'insurrezione separatista che ha colpito il Kashmir dal 1989.

 

Alla presenza del segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, si è conclusa ieri a Bruxelles la Conferenza internazionale sul Darfur, la martoriata regione del Sudan occidentale, teatro di un conflitto che ha provocato oltre 250 mila morti e 2 milioni e mezzo di profughi. Il servizio è di Giulio Albanese:

 

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L’Unione Europea e gli altri donatori si sono impegnati stanziando circa 160 milioni di euro, dando così un contributo fattivo alla missione di peacekeeping dell’Unione Africana e mantenendo l’impegno preso per offrire alla regione sudanese una reale speranza di pace dopo oltre tre anni di dolorosa guerra civile. Obiettivo principale della Conferenza è stato quello di rispondere alle principali sfide cui deve fare fronte la regione e che sono: il rispetto degli accordi di pace sottoscritti dai ribelli del Darfur e dal governo di Khartoum, il 4 maggio scorso ad Abuja in Nigeria; la stabilizzazione della regione e la necessità di sostenere finanziariamente la missione dell’Unione Africana fino al gennaio 2007. Il tutto nella speranza che per il nuovo anno vi sia un accordo tra le parti in conflitto, perché si possa davvero avviare una missione dei ‘caschi blu’ nella regione sudanese. Secondo le ultime stime, il conflitto nel Darfur ha provocato dall’inizio del 2003 tra i 180 mila e i 300 mila morti, oltre a due milioni e mezzo di profughi.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Sono almeno un centinaio, fra morti e dispersi, le vittime delle forti inondazioni che hanno colpito la Corea del Nord in questi giorni. Fonti della Croce Rossa hanno riferito di oltre 11.500 case distrutte e più di 9mila famiglie senza tetto. Il maltempo non ha risparmiato neanche Giappone e Sud Corea, investiti pesantemente da piogge torrenziali, frane e inondazioni: le autorità nipponiche hanno riferito di 4 morti e 15 dispersi. Da Seul il bilancio è di 25 morti e 24 dispersi.

 

Il presidente serbo, Boris Tadic, oggi a Bruxelles si è detto pronto ad un incontro con i leader albanesi del Kosovo, nel quadro dei colloqui sul futuro status della provincia amministrata dall’ONU. Tadic ha aggiunto che i “problemi tecnici”, che avrebbero potuto impedire l’incontro, sono stati “regolati” grazie all’inviato speciale dell’ONU per i negoziati, Martti Ahtisaari che ha appoggiato l’incontro. Il portavoce dei negoziatori albanesi del Kossovo, lunedì scorso, si era detto pronto ad incontrarsi, il 24 luglio prossimo a Vienna, “non per negoziare” ma per dimostrare che l’indipendenza e la sovranità della regione rappresentano una soluzione vitale. Intanto, gli esperti del Consiglio d'Europa visiteranno a breve tutti i centri di detenzione presenti in Kosovo per verificare se “le condizioni di detenzione rispettano la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti”. Lo afferma un comunicato del Consiglio d'Europa, nel quale si spiega che le visite riguarderanno i centri di detenzione della NATO e anche quelli delle Nazioni Unite.

 

L’Unione Europea ha dato via libera alla procedura di infrazione contro l’Italia in merito alla legge Gasparri, che nel 2004 ha riformato il sistema televisivo. Bruxelles ha deciso oggi di inviare una ‘lettera di avviso formale’ in cui si chiedono chiarimenti su alcuni punti della riforma sospettati di non essere compatibili con le regole europee sulla concorrenza. La decisione arriva sulla base di un ricorso dell’associazione “Altroconsumo”, nel quale si afferma che la legge “attribuisce illegittimamente a Rai e Mediaset diritti speciali che ne rafforzano la posizione dominante e impediscono l'accesso al mercato a nuovi operatori”. Da parte sua, il ministro italiano delle Comunicazioni già nei giorni scorsi aveva affermato che il Governo sarà pronto a modificare la legge. La lettera inviata a Roma è il primo passo della procedura di infrazione. Ora l'Italia ha due mesi di tempo per rispondere alla Commissione.

 

 “Non accetterò ricatti nè minacce”. E’ il monito lanciato dal candidato del centrodestra alle elezioni del 2 luglio in Messico, Felipe Calderon, al candidato del centrosinistra, Andres Lopez Obrador, che non riconosce la vittoria elettorale del suo rivale. Dopo la campagna a favore di una ''resistenza civile pacifica'' lanciata domenica scorsa in una manifestazione oceanica a Città del Messico da Lopez Obrador, Calderon ha chiesto di accettare i risultati elettorali nei quali si è imposto per lo 0,58%, su un totale di quasi 42 milioni di voti. “Nessuno - ha rilevato Calderon - deve pretendere di vincere sulla piazza quello che non ha ottenuto nelle urne”

 

 

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