RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 198 - Testo della trasmissione di lunedì 17 luglio 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa in preghiera per il Medio Oriente e con il pensiero alle famiglie dopo l’incontro di Valencia: all’indomani del primo Angelus a Les Combes, ai nostri microfoni il vescovo di Aosta, Giuseppe Anfossi  

 

Sull’eredità dell’incontro mondiale delle famiglie, la riflessione dell’arcivescovo di Valencia, mons. Augustín García-Gasco Vicente

 

Il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo prende possesso oggi della diaconia di Santa Maria in Portico, in Piazza Campitelli a Roma. Il cardinale è arciprete della Basilica Pontificia di San Paolo fuori le Mura: intervista col porporato

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Almeno 17 morti in Libano per nuovi raid israeliani, dopo i missili lanciati ieri dagli Hezbollah contro Haifa. Interviste con padre Perbattista Pizzaballa e Camille Eid

 

Somalia: da una settimana le corti islamiche hanno il pieno potere a Mogadiscio: l’ultima operazione contro  l’ultimo “signore della guerra” è costata la vita ad almeno 67 persone: intervista con Novella Maifredi

 

CHIESA E SOCIETA’:

In Cina, 50 vittime ieri in un’esplosione all’interno di una miniera di carbone

 

Nell’ambito delle manifestazioni dei tassisti, aggredito e picchiato a Roma un giornalista

 

In Costa d’Avorio rinviato il censimento in vista delle elezioni generali del 31 ottobre; il Fronte popolare ivoriano denuncia possibili frodi

 

Presentata alla Commissione nazionale kenyota per i diritti umani una petizione da parte di alcuni cittadini: contiene anche proposte per risolvere il problema della più grande discarica di Nairobi, minaccia per la salute della popolazione

 

Il cardinale Walter Kasper terrà un seminario a Seul, nella Corea del Sud, nell’ambito di un convegno dedicato alle relazioni ecumeniche nei Paesi asiatici

 

Il capo supremo dei Maori della Nuova Zelanda Nuovo è il nuovo presidente del Comitato per il patrimonio mondiale dell’UNESCO  

 

24 ORE NEL MONDO:

Ennesima carneficina in Iraq: almeno 55 morti e decine di feriti per un attentato nel mercato di Mahmudia, a sud di Baghdad

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

17 luglio 2006

 

IL PAPA IN PREGHIERA PER IL MEDIO ORIENTE E CON IL PENSIERO ALLE FAMIGLIE

DOPO L’INCONTRO DI VALENCIA: ALL’INDOMANI DEL PRIMO ANGELUS A LES COMBES,

IL VESCOVO DI AOSTA, ANFOSSI, RACCONTA IL PERIODO DI RIPOSO

DI BENEDETTO XVI IN TERRA VALDOSTANA.

E SULL’EREDITA’ DELL’INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE,

LA RIFLESSIONE DELL’ARCIVESCOVO DI VALENCIA, GARCIA-GASCO VICENTE

        

Prosegue in Valle d’Aosta il periodo di riposo di Benedetto XVI, che ieri ha recitato il suo primo Angelus a Les Combes. Il Papa ha rivolto un accorato appello per la pace in Medio Oriente. “Né gli atti terroristici né le rappresaglie, soprattutto quando vi sono tragiche conseguenze per la popolazione civile, possono giustificarsi”, è stato il richiamo del Pontefice. A Les Combes erano in migliaia i fedeli accorsi da tutta la Valle d’Aosta per ascoltare il Papa. Su questa prima settimana in terra valdostana di Benedetto XVI, Alessandro Gisotti ha intervistato il vescovo di Aosta, Giuseppe Anfossi:

 

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R. – Il Papa è sereno. Certo gode della libertà di non essere sottoposto al lavoro! Mostra anche di trovare tempo per passeggiare, per pregare … La conversazione con lui è estremamente semplice, come è caratteristica del suo carattere. Poi, quando parla è attento a tutti. Abbiamo visto che la popolazione che si presenta a Les Combes è fatta di persone che gli vogliono bene, i giovani lo chiamano … Sono molte le famiglie. Ci sono molti papà e mamme con figli malati; sono venuti anche molti malati.

 

D. – Ieri il Papa all’Angelus ha detto: “Maria aiuti ogni cristiano ad incontrare Dio nel silenzio della preghiera”. Sicuramente il luogo dove Benedetto XVI si trova sollecita anche riflessioni di questo tipo. Il Papa stesso, qualche giorno fa, ha parlato della bellezza della natura in cui vede la mano del Creatore …

 

R. – Se la vacanza è sospendere doveri e diritti, leggi della Chiesa e leggi di Dio, certo la vacanza non è compatibile con la vita cristiana. Se invece la vacanza è intesa come tempo per sé e per stare in un ambiente naturale che rende la comunicazione in generale anche bella, con sé e con gli altri e soprattutto con Dio, evviva la vacanza!

 

D. – L’anno scorso ebbe un’ampia eco – ancora oggi se ne parla – l’incontro del Papa con il clero della Valle d’Aosta, un momento di grande franchezza da parte dei sacerdoti e del Papa nel rispondere alle domande anche più pressanti per l’azione pastorale …

 

R. – L’eco è grande! Quando io sono stato a Colonia per la Giornata Mondiale della Gioventù, erano presenti i vescovi di tutto il mondo e quando dicevo che ero vescovo di Aosta, veniva fuori immancabilmente il riferimento all’incontro del Papa con i sacerdoti che è stato messo in Internet in cinque lingue …

 

D. – C’è un aneddoto, un’occasione particolare che può raccontarci di questi giorni?

 

R. – Uno di natura molto, molto personale. Appena salito in macchina per il trasferimento dall’aeroporto alla casa, la prima parola che il Papa mi ha rivolto è stata per chiedere notizie della salute della mia mamma. Io francamente non mi aspettavo tanta delicatezza …

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Sempre all’Angelus di ieri, il Papa è tornato a rivolgere il pensiero al V Incontro Mondiale delle Famiglie di Valencia, conclusosi domenica 9 luglio. Dal Santo Padre è arrivato “l’incoraggiamento alle famiglie cristiane, perché sappiano vivere e trasmettere con gioia la fede alle nuove generazioni”. Proprio sull’eredità dell’Incontro Mondiale delle Famiglie, Rafael Alvarez Taberner ha intervistato l’arcivescovo di Valencia, mons. Augustin Garcia-Gasco Vicente:

 

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R. - COMENZAMOS OTRA ETAPA …

Adesso comincia un’altra tappa per far sì che la famiglia sia realmente evangelizzata ed evangelizzatrice, che sia una comunità di fede e che riesca a trasmetterla anche ai suoi figli. Stiamo usando tutti i mezzi e credo che sarà una novità la divulgazione e la comunicazione di questa divulgazione, con una pedagogia adeguata, nel cuore della famiglia. Faremo in modo, quindi, che la famiglia abbia una sua identità e costruisca tra i figli, i genitori e i nonni, quella che chiamiamo la ‘Chiesa domestica’. Se ci riusciremo avremo allora tutto quello che desideriamo, cioè che la famiglia entri nel processo educativo dei figli e potremo così garantire un’educazione alla fede.

 

D. – Qual è il messaggio lanciato da Benedetto XVI all’Incontro Mondiale delle Famiglie di Valencia ?

 

R. – EN PRIMER LUGAR …

Prima di tutto, il Papa è stato molto chiaro, con una trasparenza tale che ha motivato tutti noi a fare lo stesso. Non ha perso tempo a lamentarsi o a fare riferimento alle difficoltà politiche della nostra società, in questo momento. Ci ha invitato a non guardare indietro, ma avanti, pensando che in questo momento ciò che è importante è che siamo in grado di trasmettere una dottrina chiara, profonda. Speriamo che da questo dialogo escano fuori cose positive. Forse perderemo molto tempo, ma così faremo in modo che la famiglia abbia l’opportunità di avere questa identità.

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NOMINE

 

In Papua Nuova Guinea, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Mount Hagen, presentata da mons. Michael Meier, della Società del Divin Verbo per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato a succedergli mons. Douglas Young, della Società del Divin Verbo, finora vescovo titolare di Rusubbicari e ausiliare della medesima arcidiocesi.

 

In Spagna, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Huelva, presentata da mons. Ignacio Noguer Carmona, per sopraggiunti limiti d’età. Il Santo Padre ha nominato a succedergli mons. José Vilaplana Blasco, finora vescovo di Santander.

 

 

IL CARDINALE ANDREA CORDERO LANZA DI MONTEZEMOLO

PRENDE POSSESSO OGGI DELLA DIACONIA

 DI SANTA MARIA IN PORTICO, IN PIAZZA CAMPITELLI A ROMA.

IL CARDINALE ARCIPRETE DELLA BASILICA PONTIFICIA

DI SAN PAOLO FUORI LE MURA

- Intervista col porporato -

 

Il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo prende possesso oggi della diaconia di Santa Maria in Portico, in Piazza Campitelli a Roma, con una cerimonia prevista alle 18:30. Ma ricordiamo anche che il Papa gli ha affidato il compito di arciprete della Basilica Pontificia di San Paolo fuori le Mura. Ed è la prima volta che anche San Paolo ha un cardinale arciprete come le altre Basiliche papali di San Pietro, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore. Per capire meglio il significato di questa nuova investitura, Giovanni Peduto ha intervistato lo stesso cardinale Andrea Cordero di Montezemolo:

 

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R. – Anche in questa basilica è stata costituita la figura di arciprete, che prima non esisteva, con lo scopo di coordinare non soltanto quello che succede o si attua nella basilica, ma anche nel complesso di San Paolo. Il complesso  ospita, oltre alla basilica, anche l’abbazia dei monaci benedettini, che sono al servizio della basilica da 1.300 anni, e diverse altre entità che sono autonome, che sono nell’ambito degli organismi istituzionali della Santa Sede o che hanno una gestione piuttosto indipendente. Occorreva, quindi, porre una figura che coordinasse il tutto, oltre ovviamente ad esercitare le sue funzioni di diritto nella basilica. E’ stato così costituita questa figura dell’arciprete, che ha una giurisdizione diretta nella basilica, salvo evidentemente e con il rispetto del coordinamento della giurisdizione dello stesso abate della Basilica di San Paolo, che esercita lì tutte le funzioni per le liturgie ordinarie. L’arciprete deve quindi coordinare tutte le altre istituzioni che vivono e convivono all’interno del complesso di San Paolo. Stiamo lanciando il programma per un riordinamento generale, che comporterà la costruzione di alcune parti nuove per riordinare molti servizi, una costituzione e una ridefinizione di un’area di museo, che è intorno al Chiostro, e sarà sotto la giurisdizione dell’arciprete e dell’abate di San Paolo. Ci saranno poi diverse altre funzioni che dovranno essere migliorate e potenziate al servizio dei pellegrini, al servizio dei visitatori e al servizio di tutto quello che è il complesso di San Paolo.

 

D. - Siamo in tempo di vacanze e numerosi visitatori affollano anche la Basilica di San Paolo …

 

R. – La Basilica di San Paolo e il relativo complesso sono aperti al pubblico e siamo sempre molto lieti di ricevere pellegrinaggi, che vanno sempre più crescendo. Certo non abbiamo il numero dei pellegrini che visitano la Basilica di San Pietro, dato anche il fatto che la Basilica di San Paolo è piuttosto decentrata. Abbiamo, in media, da calcoli recenti, che ci siano circa 2 mila visitatori al giorno. Stiamo cercando di potenziare e migliorare i servizi, facilitando al contempo la visita, anche dal punto di vista liturgico, assecondando le loro richieste che chiedono anche di poter celebrare una messa o delle funzioni particolari. D’altra parte, stiamo programmando anche dei lavori sia di restauro, sia di esplorazione: stiamo, infatti, eseguendo sotto l’altare papale degli scavi, che vogliono cercare di mettere in evidenza il sarcofago vero e proprio, che da tradizione incontrastata e da tempo immemorabile contiene i resti di San Paolo, che non sono però visibili. C’è quindi il desiderio di realizzare una sorta di teca illuminata sul fianco del sarcofago. Durante questi lavori di restauri, abbiamo ritrovato ai piedi dell’altare papale l’abside della basilica costantiniana, costruita fra il III e il IV secolo. Vorremmo, se fosse possibile con le tecniche moderne e attraverso la realizzazione di un pavimento trasparente, poterla rendere visibile ai nostri pellegrini e mostrando loro come era la basilica ai tempi di Costantino, che risultava essere orientata in senso inverso rispetto alla pianta attuale, orientata cioè con l’ingresso sulla Via Ostiense. L’abside racchiudeva al centro la tomba di San Pietro. Nei secoli successivi, per ampliare la Basilica è stato deciso di realizzare l’abside dall’altra parte ed è stata allungata la chiesa fino ad arrivare a quello che era l’argine del Tevere. In tempi recentissimi è stato bonificato ed è quindi cambiato l’alveo del Tevere. Tutti questi lavori sono stati decisi non solo per facilitare le visite e renderle quindi più significative, ma anche per attirare i pellegrini per mostrare loro quello che la Basilica di San Paolo può offrire.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina – “Pace in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente”: all’Angelus, recitato tra le montagne della Valle d’Aosta, l’appello del Papa ai responsabli politici affinché seguano la via della ragione, del dialogo e dell’intesa.

 

Servizio vaticano - Un articolo di Valentino Donella sulla musica liturgica di Lorenzo Perosi.

 

Servizio estero - Il “G-8” esorta a fermare le violenze tra Israele e Libano.

 

Servizio culturale - Un articolo di Paolo Miccoli dal titolo “Il mistero della creazione visto ‘in trasparenza’”: in margine ad un saggio sull’ontologia di Antonio Rosmini.

 

Servizio italiano – Governo: giorno cruciale in relazione alla protesta dei taxi. Oggi l’incontro con il Ministro Bersani.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

17 luglio 2006

 

 

ALMENO 17 MORTI IN LIBANO PER NUOVI RAID ISRAELIANI,

DOPO I MISSILI LANCIATI IERI DAGLI HEZBOLLAH CONTRO HAIFA

- Interviste con padre Pierbattista Pizzaballa e Camille Eid -

 

         Decine di persone sono morte in Libano per una nuova ondata di raid      israeliani. Sull’altro fronte, continua il lancio di razzi contro lo Stato ebraico. Intanto, il leader dei guerriglieri sciiti minaccia nuove stragi. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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         La risposta israeliana agli attacchi sferrati ieri dagli Hezbollah ad Haifa non si è fatta attendere: sono stati nuovamente colpiti il porto, l’aeroporto ed il quartiere sciita di Beirut, roccaforte degli Hezbollah. Sono state bombardate anche l’autostrada per Damasco e diverse località della valle della Bekaa. Il bilancio è pesante: negli ultimi raid sono morte 17 persone, tra le quali 8 soldati libanesi. Sale così ad almeno 170 il numero delle vittime, da quando ha avuto inizio l’offensiva israeliana in Libano. Sull’altro fronte, razzi lanciati dal territorio libanese hanno raggiunto alcuni villaggi a sud di Haifa: 6 persone sono rimaste ferite. Intanto, il ministro della Difesa israeliano, Amir Peretz, ha annunciato la creazione di una zona di sicurezza nel sud del Libano. Il governo israeliano si è anche detto contrario al progetto, proposto al G8, teso al dispiegamento di una forza internazionale di pace lungo il confine meridionale del Paese dei cedri. Un portavoce dell’esercito israeliano ha riferito, poi, che le azioni militari potrebbero concludersi nei prossimi giorni. Il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, ha chiesto un immediato cessate il fuoco. Un accorato appello arriva anche dall’Unione Europea: i ministri degli Esteri europei hanno chiesto agli Hezbollah di fermare gli attacchi contro Israele e allo Stato  ebraico di evitare “una reazione sproporzionata”. Ma gli attacchi israeliani continuano e proseguono anche le azioni e le minacce dei combattenti libanesi. Il leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha dichiarato ieri sera alla televisione del suo movimento che lo “scontro è solo all’inizio”. Nasrallah ha anche aggiunto che i guerriglieri sciiti hanno usato, finora, solo “poche delle loro armi” precisando che la forza degli Hezbollah risiede nel fatto che Israele “ignora la vera capacità militare” del movimento sciita. Secondo i servizi di intelligence israeliani, gli Hezbollah dispongono di un numero limitato di missili di fabbricazione iraniana che, con una gittata di oltre 200 chilometri, sono in grado di colpire Tel Aviv. Ieri sera, alcuni razzi sono caduti per la prima volta nella bassa Galilea, raggiungendo anche la periferia di Nazareth.

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E dopo il lancio di razzi, ieri contro Nazareth e nei giorni scorsi nei pressi di Tiberiade, cresce l’apprensione nella comunità cattolica di Terra Santa. Ma ci sono rischi per la popolazione locale e i cattolici che vivono nei luoghi Santi? Roberto Piermarini lo ha chiesto al custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, raggiunto telefonicamente a Gerusalemme:

 

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R. – In questo momento ancora non siamo in una situazione di pericolo. Se questa situazione si dovesse protrarre ancora per un po’ di tempo è possibile, però, che questa escalation possa colpire anche zone mete di pellegrinaggi.

 

D. – C’è rischio per i pellegrini in questo momento?

 

R. – La sicurezza assoluta – devo essere sincero – non c’è; credo, comunque, che i pellegrini siano quasi completamente fuori pericolo. Non credo che Nazareth sarà un obiettivo dei guerriglieri libanesi perché è abitata da arabi. Penso, invece, che gli Hezbollah colpiranno soprattutto zone abitate da israeliani e non da arabi.

 

D. – Come state vivendo questa situazione che, di ora in ora, diventa sempre più difficile?

 

R. – Con molta apprensione, come tutti, naturalmente. Siamo ancora increduli che la situazione stia degenerando così in fretta e in questo modo estremamente negativo. Ma speriamo! Ancora ci sono tutte le possibilità che ci si fermi e che il buon senso prevalga. Però, per il momento assistiamo ad una violenza che sta esplodendo senza limiti.

 

D. – La popolazione civile come vive queste ore?

 

R. – La popolazione civile, soprattutto nel nord, sembra un po’ rassegnata, spaventata e incredula. La popolazione è divisa tra coloro che ritengono vicina la fine degli scontri e quanti, invece, sono molto preoccupati e si stanno preparando al peggio.

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         E di fronte al dramma delle violenze, sono increduli anche molti cittadini libanesi. Ascoltiamo, al microfono di Eliana Astorri, il giornalista libanese di Avvenire, Camille Eid:

 

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R. – In effetti, non lo accettiamo. Non riesco a spiegarlo. Pensavamo di essere usciti da una situazione in cui il Libano rappresentava questo spazio di sfogo per tutte le tensioni regionali, e invece non è così. Ci sono delle volontà regionali, internazionali, – non saprei – che preferiscono vedere il Libano nella situazione precedente, di guerra e di tensione.

 

D. – Secondo lei, il governo libanese avrebbe avuto o avrebbe il potere di disarmare l’organizzazione Hezbollah?

 

R. – Non avrebbe militarmente il potere. Potrebbe, però, trovare una formula di convivenza, se possiamo definirla così, tra la sovranità dello Stato e il mantenimento di un reparto legato all’esercito regolare. Penso, comunque, che per disarmare gli Hezbollah bisogna privarli delle loro armi politiche, prima di quelle militari.

 

D. – Con questi attacchi al Libano non si colpisce solo l’organizzazione degli Hezbollah, ma anche la popolazione, i civili. Tutto questo non dà un ulteriore potere e importanza ad Hezbollah?

 

R. – Esattamente, gli Hezbollah riusciranno senz’altro rafforzati da questo braccio di ferro. Stanno dimostrando di avere la capacità di affrontare militarmente Israele. Usciranno rafforzati anche politicamente perché adesso hanno una maggiore solidarietà araba, islamica e ferme prese di posizione. Ciò peserà, dunque, a suo favore.

 

D. – Prendendo in considerazione il ruolo dell’Iran in tutto questo, è verosimile che Israele in fondo sia caduto in una sorta di trappola?

 

R. – Può darsi. Io posso capire la reazione israeliana, perchè Israele si è sentito anche umiliato in quanto un partito, una milizia, ha rapito altri due soldati; questo ha significato per Israele “incassare” uno schiaffo. Ma la reazione     israeliana è sproporzionata. Se uno prende uno schiaffo, non distrugge la casa di chi gli ha dato questo schiaffo.

 

D. – E il ruolo della Siria?

 

R. – La Siria cerca di strumentalizzare la presenza degli Hezbollah. Lo ha fatto durante tutti gli anni della sua presenza in Libano e continuerà a farlo. Questa presa di posizione ieri non era di appoggio al Libano, perchè attualmente il governo libanese non è filosiriano come era fino a poco tempo fa, ma di appoggio agli Hezbollah.

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DA UNA SETTIMANA LE CORTI ISLAMICHE HANNO IL PIENO POTERE A MOGADISCIO: L’ULTIMA OPERAZIONE CONTRO  L’ULTIMO “SIGNORE DELLA GUERRA”

È COSTATA LA VITA AD ALMENO 67 PERSONE

- Intervista con Novella Maifredi -

 

In Somalia da una settimana le corti islamiche hanno assunto il pieno controllo della capitale Mogadiscio. L’ultima battaglia contro l’ultimo “signore della guerra” è costata la vita ad almeno 67 persone. I fedelissimi dell’anziano leader hanno consegnato le armi ai miliziani islamici. In questo clima di tensioni, che dura ormai da mesi, continuano a lavorare le ONG italiane, tra cui il COSV, il comitato di coordinamento delle organizzazioni per il servizio di volontariato. Antonella Villani ha chiesto a Novella Maifredi del COSV, da due mesi in Somalia, in quale stato versa il Paese:

 

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R. – Le Corti Islamiche hanno, in sostanza, prevalso ed hanno un controllo quasi totale del territorio somalo, soprattutto nel centro-sud. Al momento è, quindi, difficile capire che piega potranno prendere gli eventi. In questo momento, pare che le Corti Islamiche abbiano prevalso e bisognerà capire in che rapporto si mettano con il governo di transizione, che al momento è a Baidoa.

 

D. – Come incide tutto questo sul lavoro di ONG come la vostra?

 

R. – Ci sono problemi di sicurezza e il personale espatriato non può recarsi in Somalia. Chi lavora in Somalia ha la base anche a Nairobi e ci sono voli     umanitari che portano il personale espatriato dal Kenya alla Somalia e nel caso in cui ci sono problemi di sicurezza, questi voli non vengono effettuati. E’ anche vero che il COSV lavora molto con personale somalo e con partner somali, per cui non è sempre detto che la non presenza di personale espatriato significhi che le attività siano bloccate.

 

D. – Voi quali progetti avete in corso?

 

R. – Stiamo sostenendo due progetti sanitari, uno relativo alla lotta alla malaria e l’altro alla lotta della TBC, nell’ospedale di Merka, e in due città che si chiamano Brava e Coriole. Abbiamo poi un progetto di supporto alla società civile, che significa sostanzialmente supportare le associazioni locali che lavorano nella regione. Il sistema sanitario di questi tre ospedali funziona anche con un sistema di sanità di base che, sostanzialmente, è costituito da piccoli ambulatori che hanno come sistema di riferimento gli ospedali più grandi. Da poco, poi, abbiamo iniziato un progetto in collaborazione con un’altra ONG per la riabilitazione dell’acquedotto della città di Merka.

 

D. – Una solidarietà che ha dato, tra l’altro, ottimi risultati…

 

R. – Un centro sanitario che il COSV ha aiutato a supportare, a detta di molti, è uno dei migliori della Somalia. Fatto molto importante poi è supportare le scuole laiche, perché si possa avere un’educazione e un’istruzione che non sia solamente quella islamica. E poi è molto bello lavorare con i partner somali, perchè sono loro che effettivamente si attivano e lavorano per la propria comunità.

 

D. – Sono molti anni che passi un periodo in Somalia. Che cosa ti ha colpito di tutti questi viaggi?

 

R. – Soprattutto la tenacia dei somali. L’ho rivista soprattutto in questi ultimi due mesi, in una situazione così difficile, di tensione così alta e di scontri così pesanti, con morti e con feriti. La volontà è comunque quella di continuare ad andare avanti e non lasciarsi andare, continuare a lavorare per la propria comunità e per la propria popolazione, in un Paese in cui da 16 anni non ci sono sostanzialmente autorità locali o se ci sono, sono negative, perché spesso sono vessatorie.

 

D. – C’è anche l’impegno in un continuo stato di guerra…

 

R. – Sì, cercano di non accettarlo, cercano di lavorare per la pace e per avere una vita normale: che i propri figli possano riuscire ad andare scuola, che ci sia un sistema sanitario che funzioni, che ci siano delle opportunità di lavoro…

 

D. – Invece, che cosa ti ha insegnato questa esperienza?

 

R. – Pensare alla Somalia e pensare di riuscire ad avere in qualche modo la pace, effettivamente è abbastanza utopico, però poi viverci e sperimentare che invece anche le piccole cose sono possibili è veramente molto bello.

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CHIESA E SOCIETA’

17 luglio 2006

 

 

SI CONTANO 50 VITTIME IN UN’ESPLOSIONE, IERI IN CINA,

ALL’INTERNO DI UNA MINIERA DI CARBONE.

L’INCIDENTE SAREBBE STATO CAUSATO DA UN USO IMPROPRIO DI ESPLOSIVI

 

PECHINO. = Sono 50 le vittime dell’esplosione ieri di una miniera clandestina di carbone a Linjiazhuang, nella provincia di Shanxi, in Cina. Al momento dello scoppio 64 operai stavano lavorando sottoterra e solo sei sono riusciti a scappare mentre un altro operaio è stato tratto in salvo. Secondo la televisione di Stato Cctv, a tutt’ora sono 50 i corpi recuperati. L’incidente sarebbe stato causato dall’uso improprio di esplosivi in una miniera vicina. La polizia avrebbe messo sotto custodia i manager di entrambe le miniere e congelato i loro conti correnti. Episodi di questo tipo accadono quasi ogni giorno nelle miniere di carbone cinesi, l’industria con il più alto tasso d’incidenti mortali al mondo. L’anno scorso circa 6mila minatori sono morti in esplosioni, alluvioni e altri incidenti – in totale 3.300 – causati dalla volontà dei proprietari degli stabilimenti di spingere la produzione oltre i limiti di sicurezza. (T.C)

 

 

PICCHIATO A ROMA DA ALCUNI TASSISTI UN GIORNALISTA. L’EPISODIO SI AGGIUNGE

AI DIVERSI INCIDENTI VERIFICATISI NEI GIORNI DI MANIFESTAZIONI DI PROTESTA

PER LA PROPOSTA DI LIBERALIZZARE LE LICENZE

 

ROMA. = Increscioso episodio oggi a Roma, teatro in questi giorni delle proteste dei tassisti, dopo la proposta del ministro allo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani di liberalizzare il sistema delle licenze. Il giornalista del Corriere della Sera Paolo Foschi, dopo aver subito minacce nei giorni scorsi, è stato picchiato questa mattina da alcuni tassisti che, riconoscendolo, lo hanno chiamato per nome e lo hanno malmenato. “Stavo legando il motorino nei pressi del Circo Massimo - ha detto il giornalista, con il volto visibilmente tumefatto - quando mi sono sentito chiamare e sono stato aggredito. Fortunatamente sono riuscito a scappare”. Il giornalista era già stato minacciato nei giorni scorsi: “Alcuni manifestanti mi avevano preavvertito, dicendomi: “Sappiamo chi sei e dove vivi” – ha raccontato – erano contro i miei articoli e contro la linea editoriale della testata per la quale scrivo”. L’incidente di stamani si aggiunge a quelli denunciati anche in un comunicato da Adusbef e Federconsumatori. “Picchiano giornalisti ed operatori; intimidiscono … colleghi che vorrebbero lavorare per adempiere al compito di servizio pubblico; scaraventano giù dalle auto i noleggiatori con annessi turisti stranieri che dovrebbero andare all’aeroporto; si permettono impunemente di minacciare e danneggiare anche le auto dei ministri della Repubblica”, si legge in una nota delle due associazioni. Al giornalista aggredito è giunta la solidarietà dell’amministrazione capitolina che ha diffuso la seguente dichiarazione: “Il rifiuto di ogni violenza e il rispetto del lavoro degli addetti all’informazione sono condizioni basilari della convivenza democratica. Chiunque violi questi principi non può che attirarsi la condanna di tutta la comunità civile”. (T.C.)

 

 

RINVIATO IN COSTA D’AVORIO IL CENSIMENTO IN VISTA DELLE ELEZIONI GENERALI

DEL 31 OTTOBRE. IL FRONTE POPOLARE IVORIANO DENUNCIA POSSIBILI FRODI

 

ABIDJAN. = È stato ulteriormente rinviato in Costa d’Avorio l’inizio del censimento della popolazione previsto per il 13 luglio. La decisione in seguito alle obiezioni sollevate dal Fronte popolare ivoriano (Fpi), partito del presidente Laurent Gbagbo, ad Abidjan. L’accusa lanciata al governo in un comunicato dell’Fpi diffuso ieri, riferisce l’agenzia MISNA, è di “preparare una frode elettorale” con “una forzatura”, ossia iniziando senza alcun preavviso le operazioni di identificazione della popolazione necessarie a stilare le liste degli aventi diritto al voto per le elezioni generali del 31 ottobre. “Ci opporremo con ogni mezzo al censimento condotto dal ministro della Giustizia, Mamadou Koné”, ha dichiarato Pascal Affi N’Guessan, esponente dell’Fpi. N’Guessan accusa Koné di avere promosso il censimento senza averlo comunicato al Consiglio dei ministri per soddisfare le esigenze dei ribelli che tuttora controllano la metà nord del Paese. Mentre nelle altre località le procedure dovrebbero iniziare lunedì, il primo ministro di transizione Charles Konan Banny ha comunque annunciato che malgrado il ritardo le operazioni ad Abidjan partiranno entro oggi. E ha invitato partiti politici e autorità locali a vigilare sul loro buon svolgimento. La questione spinosa dell’identità nazionale è in gran parte all’origine della crisi del settembre 2002 e delle attuali diatribe tra sostenitori del presidente Gbagbo e gli ex-ribelli. La posta in gioco infatti è notevole se si considera che, secondo le stime diffuse, circa 3,5 milioni di persone vivono in territorio ivoriano senza possedere alcun documento d’identità. La maggioranza di queste persone non registrate alla nascita è originaria dei Paesi vicini alla Costa d’Avorio. Secondo le nuove disposizioni giuridiche, tra l’altro, tutte le persone sopra i 13 anni possono ottenere la nazionalità ivoriana – e dunque prendere parte alle elezioni una volta raggiunta l’età per votare – se provano che uno dei loro genitori è nato nel Paese. (T.C.)

 

 

LA PIÙ GRANDE DISCARICA DI NAIROBI MINACCIA LA SALUTE DI

UN MILIONE DI PERSONE. AFFIANCATI DA ORGANIZZAZIONI RELIGIOSE,

ALCUNI CITTADINI HANNO PRESENTATO UNA PETIZIONE ALLA

COMMISSIONE NAZIONALE PER I DIRITTI UMANI


NAIROBI.= L’inquinamento a Nairobi, capitale del Kenya, sta minacciando la salute di un milione di persone. Nella parte orientale della città, nell’area di Dandora, un’enorme discarica raccoglie la maggior parte dei rifiuti solidi urbani prodotti ogni giorno, oltre 1.500 tonnellate. Notevoli le conseguenze per le 700 mila persone che vivono intorno all’enorme massa di spazzatura. La discarica già da 5 anni è stata dichiarata al limite delle sue capacità e i residenti della zona diverse volte ne hanno chiesto il trasferimento in un luogo con minore densità di popolazione. Ora è stata presentata anche una petizione alla Commissione Nazionale per i Diritti Umani. Il documento, che contiene una descrizione dettagliata della situazione dell’area, offre anche alcune proposte per il recupero del sito. Tra i sostenitori dell’istanza vi è pure un gruppo di organizzazioni religiose che denuncia le conseguenze nocive dell’incontrollato deposito di rifiuti. Montagne enormi di scarti di natura domestica, industriale e medica, vengono infatti continuamente bruciati provocando la permanenza di nuvole di fumo sulle abitazioni della zona. (A.Gr.)

 

 

DA OGGI A SEUL, IN COREA DEL SUD, SI DISCUTE DI RELAZIONI ECUMENICHE NEI PAESI ASIATICI. IN UN SEMINARIO PRESIEDUTO DAL CARDINALE WALTER KASPER

SI AFFRONTERÀ ANCHE IL TEMA DELLA CRESCITA DEI NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI

 

SEUL. = Vuole dare l’opportunità di riflettere sulle relazioni ecumeniche nei Paesi asiatici e di sviluppare efficaci approcci pastorali, specialmente a riguardo del problema del Pentecostalismo, il seminario sull’ecumenismo che si è aperta oggi a Seul, nella Corea del Sud. Organizzato dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e dall’Ufficio per le Questioni Ecumeniche ed Interreligiose della «Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa» (Federation of Asian Bishops’ Conferences, FABC) e dalla Conferenza Episcopale della Corea, l’incontro sarà presieduto dal cardinale Walter Kasper. Il seminario, che si concluderà il 21 luglio, tratterà il tema: «La ricerca dell’unità dei cristiani: dove siamo giunti oggi». Si tratta di una iniziativa che rientra nell’ambito di una serie di seminari organizzati dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani per i vescovi e altri responsabili del dialogo ecumenico. I primi due hanno avuto luogo in Africa (Nairobi, Kenya, 3–9 luglio 2005, e Dakar, Senegal, 10–16 luglio 2005), con l’intento di presentare i principi dell’ecumenismo e motivare i partecipanti a rispondere alla complessa situazione ecumenica di quel continente. Un terzo seminario si è tenuto a São Paulo, in Brasile, dal 19 al 22 settembre 2005, incentrato sulla questione del Pentecostalismo e della sua crescita. L’iniziativa dei seminari intende rispondere al bisogno, espresso dagli stessi vescovi, di trovare una risposta pastorale alle sfide emergenti, in particolare la rapida crescita di nuovi movimenti religiosi (pentecostali, evangelisti e carismatici). (T.C.)

 

 

IL CAPO SUPREMO DEI MAORI DELLA NUOVA ZELANDA TUMU TE HEUHEU ELETTO

PRESIDENTE DEL COMITATO PER IL PATRIMONIO MONDIALE DELL’UNESCO

 

SYDNEY. = È il capo supremo dei maori della Nuova Zelanda Tumu Te Heuheu il nuovo presidente del Comitato per il patrimonio mondiale dell’Unesco. Lo riferisce oggi il New Zealand Herald, sottolineando che si tratta della prima volta che un rappresentante di una popolazione indigena ricopre tale incarico. La nomina di Te Heuheu è stata annunciata ieri alla riunione del Comitato per il patrimonio mondiale dell’Unesco in Lituania, nel corso della quale sono stati aggiunti alla lista del patrimonio mondiale 18 nuovi siti che si trovano in Africa, Asia, Europa e Sudamerica. Te Heuheu avrà ora il compito di selezionare, finanziare e monitorare gli 830 siti dichiarati parte del patrimonio culturale e naturale di tutto il mondo. Del patrimonio dell’Unesco, che opera dal 1972, fa parte anche un parco naturale donato al governo della Nuova Zelanda nel 1887 da un antenato di Te Heuheu, il capo Te Heuheu Tukino IV. Si tratta del primo parco nazionale della Nuova Zelanda ed il quarto al mondo in ordine di tempo. Il dono originario di 2.640 ettari è stato poi ampliato in un parco di quasi 80 mila ettari, il Tangariro National Park, entrato nella lista Unesco nel 1990. (T.C.)

 

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24 ORE NEL MONDO

17 luglio 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

        

Il G8 di San Pietroburgo poco fa ha approvato il documento finale del vertice che riassume tutti i temi trattati dagli otto “grandi” nelle discussioni. Una dichiarazione finale di sei pagine che affronta tantissimi temi, dall’energia alla situazione nel Nagorno-Karabakh, dall’educazione all’economia. Tra le prese di posizione, gli otto Paesi più industrializzati sottolineano la necessità di sviluppare “un moderno sistema educativo per affrontare le sfide proposte dalla globalizzazione” e sottolineano i principi generali e le azioni “per limitare il diffondersi delle epidemie” aumentando l’accesso di tutti “alla prevenzione e ai trattamenti”. E c’è poi la dichiarazione sul commercio nella quale si invita con forza tutte le parti a fare in modo che si arrivi ad una conclusione positiva del cosiddetto “Doha Round” entro la fine del 2006. Ma la mattinata a San Pietroburgo è stata caratterizzata dall’in-contro con i cosiddetti Paesi emergenti. Il servizio è di Giuseppe D’Amato:

 

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Anche i leader dei Paesi emergenti si sono uniti alla dichiarazione finale del G8 sulla crisi in Medio Oriente. Il livello di preoccupazione rimane alto. “Una tregua subito per permettere il dislocamento di una forza internazionale di stabilizzazione nella regione” è l’appello del segretario dell’ONU, Kofi Annan, e il britannico Blair ha sottolineato la richiesta che “il cessate il fuoco avvenga in termini rapidissimi”. “La dichiarazione del G8 di ieri aiuterà a calmare la situazione” è l’opinione dell’americano Bush, che, però, ha aggiunto che gli Hezbollah, aiutati dalla Siria e finanziati dall’Iran, intendono fermare il processo di pace. Si iniziano ad identificare le vere radici del conflitto. Assai più caute le valutazioni del russo Putin, che ha ottenuto che nella dichiarazione non si incolpasse alcuna delle parti in causa. Oggi è stata la giornata dedicata ai Paesi emergenti: fra questi Cina, Brasile, Messico, India e Sud Africa, che vedono a San Pietroburgo confermato il loro ruolo crescente nella comunità internazionale. Da tempo gli esperti si interrogano se sia venuto il momento di far entrare stabilmente anche questi Stati nel club dei Paesi più industrializzati del mondo. Il pericolo del terrorismo è stato uno degli argomenti trattati. I recenti attentati di Bombay, definiti un atto barbaro da tutti i leader presenti, impongono di non abbassare la guardia. Piena adesione poi ai documenti definiti dal G8 nella sua agenda “sforzi comuni per terminare le trattative per il patto di Doha”.

 

Da San Pietroburgo, per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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Ennesima carneficina in Iraq. Sono almeno 55 i morti e decine i feriti per un attentato avvenuto oggi in un mercato di Mahmudia, a sud di Baghdad. Il nostro servizio:

 

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Le circostanze dell’attentato non sono ancora del tutto chiare. Fonti ministeriali parlano di un'autobomba che ha devastato il mercato della piccola cittadina, tuttavia testimoni sul luogo riportano di colpi di mortaio caduti sulla zona, seguiti da un attacco violento di uomini armati. L’ultimo bilancio provvisorio è di 55 morti. Mahmudia è situata nel cosiddetto triangolo della morte, denominato così per l’alto numero di attacchi contro le truppe USA e contro la popolazione. Lo scorso mese di marzo sei soldati americani sono stati incriminati per lo stupro di una ragazzina di 14 anni e l’uccisione dei genitori avvenuto in questa cittadina. Intanto sale a 28 morti il nuovo bilancio dell’attentato suicida che ieri sera ha colpito un caffè della città di Touz Khormatu, nel nord del Paese. E’ sempre di ieri la notizia del rapimento, a Baghdad, del presidente della compagnia petrolifera North Oil Company. Si tratta di un grosso colpo contro il settore petrolifero iracheno, vitale per il Paese. Intanto la Commissione europea ha nominato oggi il capo della neo delegazione europea nel Paese arabo. La nomina  rappresenta un segnale forte dell’impegno europeo al fianco del governo e della popolazione irachena “nel loro tentativo di ricostruire il Paese”.

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La violenza non si placa in Afghanistan. Un’esplosione, avvenuta oggi nel dipartimento di giustizia della travagliata provincia di Helmand, ha causato la morte di due dipendenti e ne ha feriti altri tre. Secondo le prime informazioni non è ancora chiaro se l’esplosione sia stata causata da un attentatore suicida o da un ordigno. Poco prima, le forze afghane e statunitensi avevano comunicato l’uccisione di 4 presunti membri di al Qaeda e l’arresto di altri tre terroristi, nella provincia di Khost, al confine con il Pakistan. Intanto, il ministro della Difesa di Kabul, in un’intervista al “Financial Times”, ha affermato che la guerriglia talebana ha i mesi contati perchè non può sopportare perdite così ingenti. Inoltre, secondo fonti di intelligence, molti capi sarebbero fuggiti in Pakistan. 

 

E’ indispensabile ricontare i voti scheda per scheda. E’ quanto ribadito ieri in Messico da Lopez Obrador, il candidato del Partito della rivoluzione democratica uscito sconfitto alle presidenziali del 2 luglio scorso. Di fronte ad almeno 800 mila persone, radunate nel cuore di Città del Messico, Obrador ha chiesto di “iniziare la resistenza pacifica per difendere la democrazia” in tutto il Paese al fine di chiarire i risultati elettorali, che per solo lo 0,58% hanno assegnato la vittoria al suo rivale, il candidato conservatore Felipe Calderon. Per ottenere un nuovo spoglio, Obrador ha annunciato l’apertura di una serie di ‘centri dei cittadini’ nei circa 300 distretti elettorali del Paese e la nascita di un comitato per lanciare “azioni di resistenza pacifica civile”, senza precisare però le iniziative alle quali punta. Una nuova manifestazione è stata prevista per il 30 luglio prossimo.

 

E’ salito a 156 morti il bilancio delle vittime del ciclone Bilis, che dopo le Filippine e Taiwan, si è abbattuto nelle province sud della Cina. L’agenzia Nuova Cina riferisce che il ciclone ha provocato il collasso del sistema dei trasporti nel Guangdong, provincia più industrializzata del Paese. La provincia più colpita è invece quella dell’Hunan, dove 78 persone sono morte e cento sono ancora date per disperse.

 

Almeno una ventina di persone sono morte in inondazioni provocate da piogge torrenziali nella Corea del Sud. Ne ha dato notizia oggi a Seoul l’Ente di Protezione civile, precisando che vi sono anche una trentina di dispersi. Le zone più colpite sono nella parte nordorientale e centrale del Paese, dove continua a piovere da quattro giorni. In particolare, inondazioni e frane hanno messo in ginocchio la provincia di Gangwon, dove si contano 2.500 senzatetto.

 

Almeno cinque persone sono morte in Indonesia a causa di onde anomale che stamani hanno investito alcuni edifici sulla costa meridionale dell’isola di Giava. Lo ha reso noto il presidente indonesiano. Solo in mattinata, dopo un pesante sisma di 7.2 gradi della scala Richter, registrato al largo dell’Indonesia, gli specialisti avevano lanciato l’allarme tsunami in alcune regioni dell’Indonesia e dell’Australia.

 

 

 

 

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