RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 193 - Testo
della trasmissione di mercoledì 12 luglio
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
I
vescovi indiani condannano gli attentati di Bombay
Afghanistan:
oltre centomila i rifugiati rimpatriati dal Pakistan nel 2006
Precipita la situazione in Medio Oriente. Hezbollah rapiscono due soldati israeliani. Israele
minaccia ritorsioni
12 luglio 2006
IL DOLORE DEL PAPA PER GLI ATTACCHI TERRORISTICI A MUMBAY IN INDIA,
CHE
HANNO FATTO ALMENO 190 VITTIME E OLTRE 600 FERITI: NEL SUO TELEGRAMMA ALLE
AUTORITÀ ECCLESIASTICHE E CIVILI, BENEDETTO XVI DEPLORA QUELLI
CHE
DEFINISCE “INSENSATI ATTI CONTRO L’UMANITÀ”
-
Intervista con Guido Olimpio -
Il Papa si è detto “profondamente
addolorato” per gli “attacchi terroristici”, che hanno colpito ieri Bombay, in
un telegramma inviato stamane alle autorità
ecclesiali e civili indiane, a firma del cardinale Sodano, segretario di Stato.
Benedetto XVI nel deplorare “questi insensati atti contro l’umanità”, assicura
le sue preghiere per le vittime, invocando conforto e consolazione
divina per i familiari. Si aggrava intanto il bilancio degli attentati nella
capitale finanziaria dell’India: sono almeno 190 i morti e oltre 600 i feriti
nelle otto esplosioni, che hanno preso di mira 6 stazioni ferroviarie e una
della metropolitana della città. I gruppi integralisti islamici del Kashmir,
che si battono per l’indipendenza dello Stato himalayano,
hanno respinto qualsiasi responsabilità. Secondo la polizia locale dietro
l’operazione ci sarebbe una “importante potenza”. Il servizio di Eugenio Bonanata:
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La polizia è alla ricerca di due
uomini sospettati di aver collocato gli ordigni in uno dei treni. Secondo i media locali sarebbe pronto anche un identikit di un
giovane che è salito e sceso più volte da quel treno. Le indagini proseguono a
ritmo serrato. In tre stazioni la polizia ha trovato tre detonatori e due timer
utilizzati per comandare a distanza le bombe. Era l’ora di punta ieri quando in venti minuti, otto esplosioni hanno seminato
morte e distruzione fra i pendolari. Il mondo intero ha condannato l’attacco,
Pakistan compreso. L’intelligence indiana, però,
continua a puntare il dito contro gruppi estremisti islamici del Kashmir che
chiedono l’indipendenza dello Stato dal resto dell’Unione indiana. I principali
gruppi separatisti hanno subito preso le distanze dall’attentato definendolo un
atto barbaro, disumano e contrario ai precetti islamici. Intanto Bombay, con i
suoi 17 milioni di abitanti, nonostante lo stato di allerta imposto dalle
autorità, cerca di tornare alla normalità: nessuna manifestazione, scuole e
negozi hanno riaperto regolarmente e la linea ferroviaria, che trasporta 6
milioni di pendolari al giorno, è stata ristabilita.
Tuttavia in questo momento di incertezza sulla matrice degli episodi
terroristici, ci si chiede quale sia il clima da cui
sono nate queste azioni. Giancarlo La Vella ne ha parlato
con Guido Olimpio esperto di terrorismo del Corriere della Sera:
R. - Sicuramente si inserisce
nella lotta dei ribelli kashmiri contro l’India e
quindi ha una connotazione locale e regionale, ma
questi gruppi sono molto spesso vicini al “qaedismo”,
non intendo dire Al qaeda, ma l’ideologia qaedista e,
dunque, c’è anche una dimensione internazionale. Negli ultimi tempi questi
gruppi hanno dato assistenza e appoggio a diverse formazioni non asiatiche del
Medio Oriente.
D. - Ci potrebbero essere stati
dei contatti più intensi proprio tra Al qaeda e questi
gruppi?
R. - Diciamo che in India già ci
sono punti di tensione che alimentano fuoco in maniera indipendente. I
federalisti kashmiri condividono un’ideologia qaedista e proseguono nella loro lotta. Sicuramente hanno
importato sistemi e tecniche di lotta qaediste - e mi
riferisco agli attacchi, azioni simultanee colpendo dei sistemi di trasporto di
massa - e in questo ricordano molto gli attentati di Madrid e di Londra.
D. - Se dovesse essere accertata
l’origine kashmira degli attentati, sarebbe un duro
colpo per il processo di pace tra India e Pakistan?
R. – Sicuramente, anche perchè Musharraf, anche se con molta prudenza e cautela, aveva
cercato di riavvicinarsi all’India, aveva cercato di stabilire un nuovo tipo di
rapporto. E qualcuno sostiene che questi attacchi siano una risposta, dell’ala
più militante dei kashmiri ma - e questo è ancora più
grave se fosse confermato - potrebbe anche esserci un coinvolgimento di sezioni
dei servizi segreti pakistani che sono contrari a qualsiasi forma di dialogo.
D. - Un’altra cosa che potrebbe
ricondurre ad Al qaeda è il numero 11 che ricorre
anche in questi attentati, 11 settembre, 11 marzo in Spagna e 11 luglio, ieri…
R. - Magari è semplicemente una
coincidenza di date ma è certo che alcuni gruppi hanno una tendenza a fissare delle
date, delle date simbolo e qui abbiamo molta simbologia in questo attacco. Non
solo la data, ma l’obiettivo, appunto i treni, e la città Bombay che è il cuore
dell’economia indiana. Quindi è molto simile - se vogliamo - agli attacchi dl
Londra e di New York che sono, non solo capitali, ma
simboli del potere economico.
D. - Ci si può aspettare in questa
estate altri attacchi del genere?
R. - Nell’area sicuramente, perché
i kashmiri ormai da circa un anno lanciano attacchi
di questo tipo, attacchi stragisti. Non sarei sorpreso se vedessimo operazioni
simili in altri posti. Ovviamente non c’è un collegamento ma
c’è soltanto un richiamo, visto che lo fanno i kashmiri
lo possono fare anche altri gruppi.
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RESO NOTO IL BILANCIO CONSUNTIVO CONSOLIDATO PER IL 2005
DELLA
SANTA SEDE E DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO
-
Intervista con il cardinale Sergio Sebastiani -
Sono in attivo i conti del 2005
della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. Dopo la riunione del
Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici
della Santa Sede, svoltasi in Vaticano lo scorso 4 luglio, è stato presentato
stamani, in Sala Stampa vaticana, il Bilancio consuntivo consolidato per l’anno
2005. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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La conferenza stampa, la prima con
il nuovo direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico
Lombardi, direttore anche della Radio vaticana e del Centro televisivo
vaticano, si è aperta con la notizia che il bilancio consuntivo consolidato
della Santa Sede per il 2005 si è chiuso con un risultato positivo di 9,7
milioni di euro, tre volte superiore a quello del 2004. Si tratta del valore
più significativo degli ultimi 8 anni. L’attivo è dovuto al buon andamento delle attività finanziarie.
Il settore finanziario del 2005 si è chiuso, infatti, con un avanzo di 43,3
milioni contro 6,1 del 2004 grazie ad una migliore congiuntura dei mercati
finanziari. In positivo anche il settore immobiliare che è passato, però, da
24,9 milioni di euro del 2004 a 22,2 milioni di euro del 2005. La flessione è dovuta al fatto che nel 2005 sono state realizzate minori
plusvalenze. Le attività istituzionali di dicasteri, segreteria di Stato,
rappresentanze pontificie, Congregazioni e Pontifici Consigli hanno fatto
registrare un disavanzo di 36,9 milioni di euro. Per quanto riguarda le
attività di istituzioni collegate alla Santa Sede, quali la Radio vaticana, la
Tipografia vaticana, il Centro televisivo vaticano e la Libreria editrice
vaticana, il disavanzo è di 11,8 milioni di euro. Il Governatorato, anche per
il 2005, ha coperto i costi per i servizi offerti dalla Radio Vaticana
contribuendo alla copertura della metà delle spese.
E’ stata illustrata, poi, la
situazione dell’Obolo di San Pietro, l’insieme delle offerte
destinate ad assistere il Papa nella sua missione apostolica e caritativa. Nel
corso del 2005 sono pervenute offerte per un totale di 59 milioni di dollari
con un incremento di quasi il 15 per cento rispetto al 2004. Per quanto
riguarda la Radio Vaticana, il segretario della Prefettura degli affari
economici della Santa Sede, mons. Franco Croci, ha spiegato che l’emittente
pontificia sta attuando, seguendo un piano di dieci anni, una “graduale riduzione
di personale”. Entro il 2013 è prevista una riduzione del personale, che
passerà da 395 a 335 unità. “Abbiamo scelto 10 anni - ha aggiunto padre Lombardi - perché è il tempo necessario che consente
di agire senza fare interventi negativi sul personale. Non sono previsti né
licenziamenti né prepensionamenti”.
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Ma cosa si intende per bilancio
consuntivo consolidato? Giovanni Peduto lo ha chiesto al cardinale Sergio Sebastiani, presidente della Prefettura per gli affari
economici della Santa Sede.
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D. – Eminenza, cosa s’intende
esattamente per bilancio consolidato?
R. – Il bilancio consolidato è
quello che viene fatto unendo vari bilanci della stessa
Santa Sede. La Santa Sede ha diverse attività e finalità, tante congregazioni,
alcune di queste sono anche indipendenti dal punto di vista amministrativo, che
non fanno capo con l’APSA. Per cui noi prendiamo tutti i bilanci che vengono fatti e poi facciamo il consolidamento dei bilanci
delle varie amministrazioni. Il consolidato è un unico bilancio consuntivo, il
preventivo non c’è.
D. – Perché vi è un bilancio
consuntivo consolidato e non uno preventivo?
R. – Perché per il preventivo
ancora non sappiamo quali sono le reali spese. Alcune possono essere previste ma altre non lo sappiamo, quindi il bilancio preventivo non può essere
preciso. Il bilancio consuntivo consolidato invece è proprio lo status attuale.
Alla fine dell’anno 2005 c’è tanto, di passivo o di attivo.
D. – Perché vi è un bilancio per
la Santa Sede e uno per il Governatorato?
R. – Il Governatorato è per lo
Stato del Vaticano e quindi ha quelle sue attività istituzionali in quanto
Stato e non è Santa Sede. Per Santa Sede invece, noi intendiamo tutti gli
uffici a servizio del Papa in quanto non capo di stato, ma capo della Chiesa universale.
D. – Quante sono le
amministrazioni in Vaticano?
R. – Sono circa una sessantina,
piccole e grandi naturalmente. La Fabbrica di San Pietro è indipendente, le
Basiliche patriarcali sono indipendenti, Propaganda Fide
è indipendente: quindi ci sono una serie di istituzioni della Santa Sede che
hanno proprie amministrazioni e noi dobbiamo fare nel consolidato questa
operazione del più e del meno che deve
essere azzerato.
D. – Molti si chiedono dove
attinga i fondi il Vaticano: vuole spiegarlo?
R. – Intanto c’è un canone del
diritto canonico, il 1271, che invita - non è un obbligo - tutti i vescovi,
anche i fedeli, ad aiutare la Curia romana perché possa funzionare a beneficio
proprio delle stesse diocesi, degli stessi istituti religiosi, etc. Secondo,
molto importante, è l’attività di carattere soprattutto finanziaria. Noi sappiamo
che l’Apsa straordinaria nasce dopo il 1929. L’Italia dette una somma tot
che è stata poi affidata per farla fruttificare all’Apsa
straordinaria, e da lì noi abbiamo questa attività finanziaria che alle volte
va bene alle volte va meno bene. Dipende da tanti fattori, dollaro, euro, i
flussi dei cambi, etc.,
questa è la dinamica. Poi ci sono altre attività.
D. – L’organismo da Lei
presieduto, di cosa si occupa specificamente?
R. – Noi abbiamo, secondo la Pastor bonus, due compiti. Il primo compito è
la vigilanza, prima competenza della Prefettura, cioè la vigilanza di tutte le
amministrazioni di tutta la Santa Sede. Il secondo compito affidato dalla Pastor bonus alla Prefettura è quello di
redigere il bilancio consolidato della Santa Sede.
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DOPO LA CALDA ACCOGLIENZA IERI DELLA POPOLAZIONE
DI LES COMBES,
IL
PAPA STA TRASCORRENDO OGGI IL PRIMO GIORNO DEL PERIODO DI RIPOSO
E DI STUDIO IN VAL D’AOSTA. SUL TEMPO ESTIVO
QUALE TEMPO PRIVILEGIATO
DI RIFLESSIONE, PARLIAMO CON DON ORDESIO BELLINI
Dopo la calda accoglienza ieri
mattina della popolazione di Les Combes,
il Papa sta trascorrendo oggi il primo giorno del periodo di riposo in Val
d’Aosta, che si protrarrà fino al 28 luglio. Il vescovo di Aosta, mons.
Giuseppe Anfossi, ha sottolineato che la comunità
sarà felice di poter esprimere la gioia di avere il Papa sul suo territorio,
per esempio in occasione dell’Angelus domenica, ma che peraltro rispetterà con
discrezione il suo tempo estivo. Anche il Presidente del Consiglio regionale,
Ego Perron, ha sottolineato che ''la Comunità
valdostana saprà tributargli un grande affetto con la delicatezza e la giusta
discrezione già manifestate in passato, in modo che possa trascorrere le
vacanze in assoluta pace e preghiera, accompagnato solo dal silenzio della natura
che lo circonda”.
Sappiamo che si tratta di ‘un
periodo di riposo e di studio’, un’espressione che ci
può sembrare strana perché, vivendo a ritmi frenetici,
c’è la tentazione di voler concepire il
riposo come il ‘non far niente’ e dunque l’opposto
dello studio. Ma in realtà, visti gli impegni, il tempo di riposo rischia di
essere l’unico possibile per lo studio nel senso di riflessione. Fausta Speranza
ne ha parlato con Don Ordesio Bellini, parroco e
insegnante di storia della Chiesa al Seminario interdiocesano di Lucca:
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R. – Nei nostri comportamenti e
nelle nostre visioni della vita, forse, anche il non far nulla sarebbe meglio –
diciamo così – rispetto alla frenesia dello sballo a tutti i costi, come sono
in fondo anche la domenica e il sabato. Io vedo una grande analogia tra il fine
settimana e le vacanze, cioè sono periodi – il periodo estivo in forma più
“solenne” – in cui potremmo dedicarci a “riempirci” di grandi prospettive,
grandi progetti, grandi riflessioni, e invece, purtroppo, sono utilizzati come
uno sballo, quasi che bisognasse “sgonfiarsi” di un qualcosa che ci siamo caricati
di negativo, una specie di movimento continuo. E’ questa la concezione in gran
parte, a mio avviso, della vita attuale. E’ tutto bello, interessante, ma in
qualche modo porta con sé un qualcosa di cui dobbiamo anche sfogarci, “buttare
fuori”. Invece, si tratterebbe proprio di poter rivedere, ristudiare, riamare
quello che nella nostra vita quotidiana noi viviamo. Ma questo suppone che uno
rifletta sulla propria vita quotidiana e in vacanza, quindi, abbia la
possibilità di dare un senso più approfondito.
D. – Perdere l’occasione e, in
qualche modo, anche la capacità, di riflettere è anche perdere l’occasione, di
contemplarla questa vita che viviamo, o no?
R. – Io penso che questa sia la
cosa più bella ed è la caratteristica forse che ci differenzia dalle bestie:
riuscire in qualche modo a ritornare sulla nostra esistenza negli aspetti
positivi e negativi e poterla in qualche modo contemplare, rivivere e rivedere,
prendendovi parte, sorridendo e piangendo in un’atmosfera di grande serenità,
di grande tranquillità. Oppure contemplare la natura in se stessa, che è anche
molto bello. E’ un qualcosa che rinfresca la nostra vita, che “entra” dentro, e
non un qualcosa che bisogna invece “buttare fuori”.
D. – Don Ordesio,
anche noi operatori della comunicazione sentiamo che spesso informiamo in
velocità e non riusciamo a soffermarci su concetti che invece richiederebbero
approfondimento. Ora, noi vogliamo cercare di fare proprio questo nel periodo
estivo. Lei che è impegnato in prima persona nella pastorale con i giovani,
quali delle tematiche affrontate dal Papa in questo anno e più di Pontificato
vorrebbe sentire approfondite, innanzitutto?
R. – Ci siamo accorti un po’ tutti
ormai che siamo vagamente credenti, genericamente cristiani, ma assolutamente
ignoranti di Cristo. Io credo che sia il momento in cui dobbiamo puntare tutto
su Gesù Cristo. Io scherzando nella mia comunità ho detto: “Per un anno non si
parla né di Mosè, né di Giacobbe, né di Salmi, ma del Signore Gesù”. Credo che
questa sia la grande logica di Benedetto XVI, che più che fare grandi discorsi
di tipo morale – anche se certamente ripete e annuncia i grandi valori della
vita cristiana - cerca piuttosto di fare incontrare Colui per il quale vale la
pena di vivere e morire, altrimenti tutto il resto è moralismo. Allora dobbiamo
soffermarci su Cristo e sull’amore di Dio. L’amore di Dio non è un amore vago,
generico, ma è la luce in Cristo, perché Egli è la concretizzazione storica che
vuol dire che Dio ama. Il Padre ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio,
perché il mondo avesse vita, vita eterna, vita in abbondanza. Noi dobbiamo
riscoprire che cos’è l’amore, perchè l’amore, la parola amore è stata cantata,
decantata, abusata e usata in mille forme, come tantissime altre parole che vengono usate e abusate e alla fine non ci si capisce più
niente.
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RINUNCE
E NOMINE
Benedetto XVI ha accettato oggi la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Palmeira dos Índios in Brasile, presentata da mons. Fernando Iório Rodrigues, per raggiunti
limiti di età ed ha nominato alla stessa carica mons. Dulcênio
Fontes de Matos, finora
vescovo titolare di Cozila e ausiliare di Aracaju.
Il Papa ha anche accettato la rinuncia al governo
pastorale dell’arcidiocesi di Imphal in India,
presentata da mons. Joseph Mittathany,
per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Dominic
Lumon, coadiutore della medesima arcidiocesi.
Il Santo Padre ha accettato infine la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Great Falls
– Billings negli Stati Uniti, presentata da mons. Anthony M. Milone,
in conformità al Codice di Diritto Canonico.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il tema della XL Giornata
mondiale della Pace che si celebrerà il primo gennaio 2007; "Persona
umana: cuore della pace".
Servizio estero -
Terrorismo; Bombay 11 luglio: strage sui treni dei pendolari.
Servizio culturale - Un
articolo di Luigi Martellini dal titolo "Quando
Montale scriveva ad una musa": pubblicate per la prima volta le lettere a
Irma Brandeis.
Una monografica - a cura
di Maurizio Fontana - dal titolo "Centri internazionali di cultura a Roma:
l'American Academy".
Servizio italiano
- In rilievo il tema della competitività.
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12 luglio 2006
PER
-
Intervista con Luigi Bonanate -
Il negoziatore americano per la Corea del Nord, Hill, è tornato a Pechino. E’ l'ultimo di una serie di
sviluppi delle frenetiche trattative in corso per riportare Pyongyang
al tavolo dei negoziati, dopo i test missilistici della scorsa settimana. A
Pechino sono tornati anche il capo dei negoziatori cinesi e un alto dirigente
nord-coreano. A prendere tempo è stato,
due gironi fa, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la decisione di rinviare
la votazione su eventuali sanzioni contro
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R. – Bisognerebbe che ci rendessimo conto che non si può
ricominciare tutti i giorni a giocare le partite. O meglio: la politica internazionale
fa sovente finta che ogni giorno si ricominci daccapo. Ma se noi abbiamo un po’
di buona memoria, ricordiamo che la questione nord-coreana è una questione che
dura nelle modalità attuali fin da dopo il 1989. La Corea del Nord ha sempre
sostenuto di avere il diritto di farsi una sua politica nucleare, ha sempre
rifiutato controlli e collaborazioni, però poi ha sempre riaperto la trattativa
con gli Stati Uniti. La questione nord-coreana è una questione di intermittenze
continue. Nell’intermittenza, gli Stati Uniti si sono concentrati prima
sull’Iraq con le armi di distruzione di massa, che sono poi le armi atomiche.
Non c’erano, e allora è emersa in primo piano la questione iraniana, come ben sappiamo, facendo finta che non ci fossero altre questioni,
perché non dimentichiamo che Bush pochi mesi fa è
andato in India a ‘benedire’ la bomba atomica indiana, contravvenendo a tutti i
principi sempre sostenuti da parte degli Stati Uniti e della comunità
internazionale sulla portata del Trattato di non-proliferazione nucleare. Viene
quindi da pensare che proprio di partite si tratti, cioè di partite diplomatiche
in cui la questione nucleare, questa volta nella versione missilistica, sia una
questione che si utilizza, appunto, come partita diplomatica. I cittadini, le
cittadinanze, l’opinione pubblica nazionale, dei diversi Paesi mondiali,
dovrebbero poter chiedere: “Ma … stavamo parlando di una cosa, perché adesso ci
parlate di un’altra? O se c’è un collegamento tra l’una e l’altra, vediamolo
tutti quanti insieme, chiaramente!”. Questa frantumazione continua del
dibattito politico internazionale è uno strumento del potere e non certo della
democrazia.
D. – Professor Bonanate, la Cina ha bocciato la risoluzione presentata all’ONU dal
Giappone. Questi sono senz’altro due attori in scena. Chi sono gli altri attori
in scena, oltre agli Stati Uniti, ovviamente?
R. – Non penso che la Cina possa
essere una preoccupazione più che qualsiasi altro Stato, nel bene e nel male. La Cina è però per noi ancora largamente misteriosa,
diciamocelo francamente. Possiamo dire che la Cina non
vuole che nessuno metta piede nei suoi problemi. In fondo, la Corea del Nord è
molto vicina alla Cina; ecco che la Cina chiede al
Giappone di andarci piano con le sanzioni. Non dimentichiamo l’enormità delle
dimensioni della Cina e la distribuzione della
popolazione sul territorio. Quindi è logico che la Cina
dica: “In Asia, se si discute di queste cose, bè,
parliamone con calma, senza agitarci troppo, e tutti insieme”. La riflessività
cinese, in questo momento, potrebbe essere una buona strategia …
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PROFONDA
COMMOZIONE IERI IN BOSNIA ALLE CERIMONIE PER L’11° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI
SREBRENICA, IN CUI FURONO TRUCIDATI MIGLIAIA DI MUSULMANI. DURANTE LE
COMMEMORAZIONI, SEPOLTI I CORPI DI ALTRE 505 VITTIME RITROVATI IN FOSSE COMUNI
-
Intervista con Luca Leone -
Profonda commozione ieri nella Bosnia orientale alle
cerimonie per l’11° anniversario della strage di Srebrenica,
compiuta nel ‘95 dalle forze serbo bosniache, che sterminarono
senza pietà migliaia di musulmani. Durante le commemorazioni, sono stati sepolti
i corpi di altre 505 vittime scoperte negli anni in fosse comuni. Ma cosa
significa il fatto che Radovan Karadzic
e Ratko Mladic i
responsabili di quell’inferno, siano ancora in
libertà? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Luca Leone,
autore del libro ‘Srebrenica i giorni della vergogna’:
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R. – Il fatto che due personaggi di questo calibro non
siano stati consegnati all’Aja dà alle persone che
vivono tutti i giorni una vita difficile in Bosnia - perché si tratta di una vita veramente
molto difficile per la maggior parte della popolazione - la sensazione, se non
addirittura la certezza, che non si voglia dall’alto fare giustizia. Questo è
gravissimo, perché al di là del fatto etico, c’è anche una questione di
speranza: queste persone hanno bisogno ed hanno diritto, dopo un conflitto, di
giustizia. La mancanza di giustizia si riverbera poi nella mancanza di
giustizia a tutti i livelli, anche i più piccoli, e fa della popolazione
bosniaca oggi una popolazione profondamente delusa. Non ci dimentichiamo che
oltre le 10-12 mila vittime di Srebrenica, dobbiamo
anche fare i conti – tutti quanti – con le oltre tremila vittime
serbo-bosniache provocate dalla reazione dei paramilitari musulmani.
D. – Dunque la giustizia è la base per risanare questa
ferita?
R. – Il problema della giustizia è un problema molto
sentito e si tratta di un problema addirittura più generale rispetto ai casi
particolari di Karadzic e Mladic.
Karadzic e Mladic sono,
però, la dimostrazione che, anzitutto, il Tribunale penale Internazionale è del tutto
impotente, perché non ha comunque sul campo forze in grado di effettuare
arresti; in secondo luogo l’Unione Europea sta adottando una politica che in 11
anni non ha portato a risultati rispetto a questa questione; in terzo luogo, la
Serbia e la Repubblica Serba di Bosnia non hanno nessuna intenzione di
collaborare: tutto questo la dice molto lunga sul potere che queste persone
continuano ad avere in Serbia e nella Repubblica Serba di Bosnia.
D. – Tutto questo, secondo te, può compromettere in
qualche modo la convivenza delle diverse etnie nel Paese?
R. – Io questo non lo credo, anche se molti lo dicono. La
mia esperienza sul campo, sia a Sarajevo che in altre città o in villaggi
periferici, mi porta a dire che nella maggioranza della popolazione, e non
soltanto musulmana, c’è veramente la voglia e il desiderio di ricominciare a
vivere insieme. In Bosnia, tuttora, quasi la metà delle famiglie sono composte da matrimoni misti. Questo è un dato di fatto non indifferente.
Cominciano a rivedersi e a riformarsi coppie miste: dimostrazione, questa, del
fatto che mezzo millennio di storia comune, che ha portato poi a mettere
insieme un patrimonio culturale, artistico e letterario enorme, non può essere
cancellato da una guerra, anche se questa guerra ha portato ad un genocidio e
ha portato ad una spaccatura spaventosa del Paese. Se non c’è un aiuto
dall’esterno - torniamo quindi a parlare dell’importanza della Comunità
internazionale - nella lotta contro i nazionalisti e contro gli
ultranazionalisti, c’è il pericolo che non tutte le spaccature possano essere
sanate.
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PER LE
CHIESE CHE SEGUONO IL CALENDARIO GIULIANO,
IL 12
LUGLIO È LA FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO:
NELLE
GROTTE VATICANE LA SOLENNE LITURGIA È STATA CELEBRATA
DA MONS. BARNABA EL-SORYANY, VESCOVO COPTO ORTODOSSO DI ROMA E
TORINO
- Ai
nostri microfoni mons. Barnaba El-Sorvany-
Antichissimi canti liturgici in lingua araba risuonavano
stamattina nelle Grotte Vaticane, dove all’altare davanti alla tomba del
Principe degli Apostoli è stata celebrata una santa messa, secondo il rito copto ortodosso, da mons. Barnaba El-Soryany,
vescovo copto ortodosso di Roma e Torino, in
occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo secondo
il Calendario Giuliano. Si tratta ormai di una tradizione che si ripete ogni
anno dal 1990. Al solenne rito hanno partecipato centinaia dei circa 3000
fedeli copti ortodossi di Roma. In Italia il loro
numero si aggira intorno ai 15-17 mila, e sono suddivisi in due diocesi, quella
di Milano e quella di Torino. Márta Vertse, responsabile incaricato del programma ungherese, alla fine della
cerimonia ha intervistato il vescovo Barnaba El-Soryany
che ha rappresentato il Capo della Chiesa copta-ortodossa
d’Egitto, Papa Shenouda III, in diverse occasioni,
per esempio ai funerali del Servo di Dio, Giovanni Paolo II, alla Messa di
inizio di Pontificato di Benedetto XVI o all’XI Assemblea Generale Ordinaria
del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre scorso:
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R. – Questa data – il 12 luglio – è diventata per noi una
festa grandissima, qui in Italia specialmente, perché siamo qua
a Roma. Secondo il calendario della Chiesa copta
ortodossa, il 12 luglio è la festa degli apostoli Pietro e Paolo. Per questo,
noi abbiamo l’occasione ogni anno di celebrare la Messa sulla tomba di San
Pietro e di festeggiare il loro martirio qui, in Italia. Poi, è diventata una
cosa grandissima. Ed ogni volta che io celebro la Messa qui, sulla tomba di San
Pietro, sento l’unità tra noi tutti cristiani. La tomba di San Pietro è simbolo
della Chiesa cattolica e noi siamo la Chiesa copta
ortodossa, e questo insieme è buon segno.
D. – Abbiamo visto che durante la santa liturgia i fedeli
hanno partecipato con grande gioia; la Santa Messa è diventata una festa
gioiosa dove tutti hanno cantato e partecipato. Abbiamo visto anche che il rito
è molto diverso da quello cattolico, per esempio le signore si coprono
rigorosamente il capo, specialmente quanto si mettono in fila per prendere il
Corpo di Cristo, e comunque tutti si tolgono le scarpe. Ci può spiegare un po’
il significato di questi gesti particolari?
R. – Da noi, sia la Chiesa cattolica sia la Chiesa
ortodossa hanno le proprie tradizioni particolari. Da noi, durante la Messa, le
signore devono coprirsi il capo e siccome siamo in un luogo sacro dobbiamo
toglierci le scarpe, come Dio ha ordinato a Mosè sul Sinai: “Levati le scarpe
perché sei in un luogo sacro”. Per questo noi riceviamo la comunione a piedi
scalzi. Questa, poi, è una Messa speciale, una cerimonia speciale.
D. – Durante la Santa Messa si è pregato diverse volte per
Sua Santità, Papa Shenouda III, capo della Chiesa
ortodossa d’Egitto. Quali sono oggi i rapporti tra le due Chiese sorelle?
R. – Noi ringraziamo sempre Iddio: adesso il dialogo procede,
è migliorato tanto rispetto a prima. Con tanta speranza ci auguriamo di
continuare ad avvicinarci perché nel mondo di oggi è necessario che siamo
uniti. Se ci guardiamo intorno ci rendiamo conto – e di cuore io lo dico – che
è necessario unirsi: dobbiamo tornare uniti.
D. – Ci sono stati progressi negli ultimi anni sul cammino
ecumenico?
R. – Certo. In Armenia ora la famiglia ortodossa insieme
con la famiglia cattolica hanno condotto un dialogo … ci sono stati tanti
progressi. Ringrazio Benedetto XVI per la sua accoglienza fraterna, per averci
dato l’occasione di celebrare la Messa. Vorrei ricordare Giovanni Paolo II, in
questa occasione, perché lui ha fatto tanto per noi. E, come ho detto l’anno
scorso, ripeto quest’anno: Grazie, Papa Giovanni Paolo II!
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E’ IN PIENO SVOLGIMENTO LA 63.MA
EDIZIONE DELLA SETTIMANA MUSICALE SENESE: ARTISTI DI FAMA SI STANNO ESIBENDO
NELLA CITTADINA TOSCANA FINO A SABATO
- Ai
nostri microfoni il maestro Andrea Marcon -
La 63.ma Settimana Musicale
Senese presenta questa sera nella Chiesa di Sant’Agostino un titolo inedito di
Antonio Vivaldi, L’Atenaide,
in prima esecuzione integrale. La prestigiosa rassegna porta a Siena nei
prossimi giorni artisti di fama tra i quali Giuliano Carmagnola, Salvatore Accardo e Gianluigi
Gelmetti che, insieme all’Orchestra della Toscana,
chiuderà sabato sera la Settimana, dirigendo il Requiem di Mozart. Il servizio di Luca
Pellegrini:
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Riallacciandosi idealmente alla prima edizione del 1939,
che segnò la grande riscoperta di Antonio Vivaldi, e rimanendo fedele
all’impegno di diffondere il grande patrimonio musicale barocco,
R. - Mi occupo così della musica vocale e strumentale di
Vivaldi da più di 15 anni. Come lei ben sa, c’è stato negli ultimi anni,
nell’ultimo decennio, una vera riscoperta del repertorio vivaldiano,
soprattutto per quanto concerne le opere liriche. Non sempre però si è messa in
luce anche l’altra produzione vivaldiana, cioè quella
di opere considerate minori ma che minori non sono affatto, come questa Atenaide. In effetti
quest’opera è l’ultima opera di Vivaldi che ancora non era stata eseguita ai
nostri giorni. Non era più stata riproposta dal 1728, data in cui Vivaldi la scrisse e la propose per il teatro “La pergola” di Firenze.
D. - Le particolarità musicali della partitura?
R. - Sono i caratteri tipici del teatro vivaldiano, cioè grande virtuosismo vocale quindi anche
strumentale, per quanto riguarda l’orchestra. La caratterizzazione dei personaggi
è, forse, per le orecchie moderne abbastanza omogenea.
Ecco, Vivaldi ancora non caratterizza negli estremi i diversi personaggi
dell’opera. Ogni personaggio ha aree di coloritura e aree cantabili, però la
cosa comune a tutti questi personaggi è questo virtuosismo che Vivaldi richiede
all’interprete e all’esecutore.
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12 luglio 2006
I
VESCOVI INDIANI CONDANNANO GLI ATTENTATI DI BOMBAY
NEW DELHI. = “Denunciamo con forza gli attentati che
hanno causato così tanto danno e panico fra la popolazione”: si è espressa con
queste parole la Conferenza episcopale indiana (Cbci)
a proposito degli attentati che ieri hanno colpito Bombay. I presuli, riferisce
l’agenzia Asianews, condannano l’attacco che ha
ucciso diverse dozzine di persone e ferito innocenti che viaggiavano sui treni
locali. I vescovi hanno lanciato inoltre un appello a tutta la popolazione
affinché affronti con la maggiore calma possibile questo momento di ansia, mentre è alta
l’allerta nelle piazze, nei mercati e nei luoghi di culto delle maggiori città
dell’India. “Le esplosioni – spiega padre Babu Joseph portavoce della Cbci –
sono state preparate da elementi anti-sociali. Dovremmo unire le nostre mani
per sconfiggere i disegni nefasti di questo tipo di persone all’interno del
nostro Paese”. (T.C.)
APPROVATA
IERI A RABAT LA PRIMA DICHIARAZIONE EURO-AFRICANA SULLE MIGRAZIONI ED UN PIANO D’AZIONE PER IL CONTROLLO DEI FLUSSI MIGRATORI.
I DUE
DOCUMENTI MIRANO AD UNA COOPERAZIONE TRA PAESI D’ORIGINE
E
QUELLI DI DESTINAZIONE
RABAT. = È stata approvata ieri a Rabat, al termine della
Conferenza euro-africana sulla migrazione e lo sviluppo, la prima dichiarazione
con la quale Paesi di origine e Paesi di destinazione si impegnano a gestire il
fenomeno dell’immigrazione in tutte le sue fasi. Lo scopo è quello di dar vita
ad un partenariato stretto fra le Nazioni, per un lavoro coordinato, con un
approccio globale, equilibrato, pragmatico ed operativo, nel rispetto dei diritti
fondamentali e della dignità dei migranti. Promozione dello
sviluppo e prevenzione dei conflitti nei Paesi d’origine dei flussi migratori;
miglioramento della formazione scolastica e professionale; controllo della
clandestinità e delle frontiere, sono invece alcuni dei punti di un altro
documento stilato dai Paesi che si sono incontrati nei giorni scorsi in
Marocco. Si tratta di un piano d’azione che prevede iniziative di
cooperazione in settori chiave, come la creazione di
posti di lavoro, la riduzione dei costi delle rimesse degli immigranti verso i
Paesi d’origine e misure per evitare la cosiddetta “fuga dei cervelli” verso i
Paesi più sviluppati. Quanto ai Paesi di transito dei flussi migratori - e in
primo luogo il Marocco - le principali novità sono costituite dalla
realizzazione di un monitoraggio permanente sotto il controllo dell’Onu e dalla creazione di una “task force” di intervento per
crisi come quella scoppiata l’autunno scorso a Ceuta
e Melilla, o quella che affronta in queste settimane
l’arcipelago delle Canarie. I Paesi di destinazione, con tale piano d’azione,
ottengono assicurazioni sull’accelerazione delle trattative per accordi
multilaterali sul rimpatrio degli emigranti clandestini e garanzie sul rispetto
dei diritti umani beneficiando anche di iniziative di coordinamento tra polizia
e organi di giustizia. A tale scopo è prevista anche l’istituzione di banche
dati digitalizzate per favorire la rapida identificazione
dei clandestini. Il Piano d’Azione e la Dichiarazione di Rabat hanno già
sollevato le prime critiche da parte di partiti politici ed organizzazioni non
governative europee. Il vertice africano è stato definito inefficace per il
fatto che non è stata adottata alcuna misura concreta di lotta alla povertà e
perché alcuni Paesi importanti, come l’Algeria, erano assenti. In Marocco,
inoltre, numerose ONG hanno organizzato una manifestazione in segno di protesta
davanti al Parlamento. (A.Gr. – T.C.)
AMNESTY
INTERNATIONAL DENUNCIA IN PERÙ LA DISCRIMINAZIONE
DEI
SERVIZI SANITARI NEI CONFRONTI DELLE DONNE E DEI BAMBINI PIÙ POVERI.
ALTA
LA MORTALITÀ DEI NEONATI E DELLE DONNE DURANTE IL TRAVAGLIO
ROMA. = I servizi sanitari per la maternità e l’infanzia
in Perù lasciano morire ogni anno centinaia di donne e bambini poveri, negando
a molti di questi ultimi il diritto a un’identità. Lo denuncia Amnesty International in un
rapporto diffuso ieri. “Le donne più povere, che corrono i maggiori rischi
durante la gravidanza e il parto, e i bambini emarginati, che hanno più alte
probabilità di contrarre malattie nei primi anni di
vita, sono coloro che ricevono minore protezione”, si legge nel documento.
L’organizzazione per i diritti umani denuncia in particolare come, nonostante
il governo abbia sviluppato un sistema di servizi sanitari gratuiti per le
comunità emarginate, in realtà non ci sono a disposizione delle donne e dei
bambini poveri cure mediche efficaci. Secondo dati ufficiali, soltanto nel 2000
il tasso di mortalità alla nascita è stato del 71 per mille nel dipartimento di
Huancavelica, uno dei più poveri del Paese. Questa percentuale
è cinque volte superiore a quella della capitale Lima,
dove, nello stesso anno, sono morti alla nascita 17 bambini su mille.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Who) ha
stimato che nel 2004, durante il travaglio, sono morte 410 donne ogni 100 mila,
una percentuale che è inferiore solo a quella di Haiti, Bolivia e Guatemala, i
tre Paesi più poveri dell’America Latina. Oltre alla carenza dei servizi
sanitari, Amnesty International
denuncia che in alcune zone del Perù, le donne indigene che decidono di non
recarsi, o che non sono in grado di recarsi, presso le strutture sanitarie per
partorire, vengono multate e non viene loro rilasciato
il certificato di nascita. Ad un contadino di Huanuco,
ad esempio, è stato chiesto di pagare una multa equivalente a 30 dollari per
aver permesso la nascita di suo figlio in casa. Per pagarla, avrebbe dovuto
vendere una tonnellata di patate. Non avendo i soldi, la direzione sanitaria
locale gli ha negato il certificato di nascita del figlio, che pertanto è privo
di un’identità. Amnesty International chiede al governo di porre
fine alle discriminazioni, di diffondere informazioni sulla disponibilità dei
servizi sanitari gratuiti per la maternità e l’infanzia e per le persone
socialmente escluse; di garantire alle donne che partoriscono in casa di non
essere multate; di assicurare a tutti i bambini un certificato di nascita; e
infine di fornire ai medici un’adeguata formazione sui diritti umani.
(T.C.)
AFGHANISTAN:
OLTRE CENTOMILA I RIFUGIATI RIMPATRIATI DAL PAKISTAN NEL 2006.
A
DIFFONDERE I DATI L’ALTO COMMISSARIATO DELL’ONU PER I RIFUGIATI
ROMA. = Ha superato quota 100 mila il numero dei rifugiati
afghani che nel corso di quest’anno hanno fatto ritorno alle proprie case dal
Pakistan. I dati sono stati diffusi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite
per i Rifugiati (UNHCR) che ha anche registrato il rientro di un più elevato
numero di persone con alta professionalità in settori come l’ingegneria, la
medicina e l’istruzione. Tra i rimpatriati di quest’anno si contano 15.278
lavoratori domestici, 1.248 tessitori di tappeti, 357 insegnanti, 325 ingegneri
e 115 medici. Nel giugno 2006 sono rimpatriati 24.780 afghani, il 66 per cento
in meno rispetto ai 73.373 del giugno 2005 e il 48 per cento in meno rispetto
ai 47.940 del giugno 2004. Complessivamente, più di 2,8 milioni di afghani sono
rimpatriati dal Pakistan e più di 1,4 milioni dall’Iran dopo che, nel 2002,
l’UNHCR ha avviato il programma di assistenza per i rimpatri in Afghanistan. Si
stima che attualmente vi siano 2,6 milioni di afghani in Pakistan e più di 900
mila in Iran. Il rimpatrio volontario sta comunque proseguendo nel contesto
degli accordi tripartiti sottoscritti da Afghanistan, UNHCR, e da Pakistan e
Iran separatamente. (T.C.)
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12 luglio 2006
- A cura di
Eugenio Bonanata -
Si fa sempre più preoccupante
la situazione in Medio Oriente. Stamani il Libano ha attaccato Israele,
provocando la risposta delle truppe dello Stato ebraico. Il servizio è di Salvatore
Sabatino:
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Tutto è iniziato
all’alba, quando alcuni razzi sparati dal Libano hanno colpito il nord di Israele.
Poi un’offensiva improvvisa, inaspettata. I miliziani del movimento Hezbollah hanno attaccato le postazioni israeliane lungo la
“linea blu” di demarcazione tra i due Stati e hanno catturato due soldati
dell'esercito israeliano, mentre altri due – ma la notizia non ha ricevuto
conferme ufficiali - sarebbero stati uccisi. Immediata la risposta di Israele:
reparti militari sono entrati in territorio libanese. Un carro armato è stato
danneggiato dall'esplosione di un ordigno al suo passaggio. Diversi soldati
risultano essere feriti in modo grave. Bombardamenti aerei e di artiglieria
hanno, inoltre, colpito e distrutto un ponte e due strade nella zona di Nabatyeh. Violenti scontri sono, infine, segnalati in un'ampia
fascia che va dalla zona di confine contesa delle Fattorie di Shebaa alla parte centrale della
frontiere. Il sequestro dei due soldati israeliani – si legge in un
comunicato del movimento sciita libanese – vuole essere finalizzato allo
scambio con prigionieri arabi e palestinesi nelle carceri di Israele. “Si
tratta di un grande aiuto per la lotta a Gaza”, invece secondo quanto
dichiarato da Ghazi Hamad,
portavoce del governo palestinese guidato da Hamas.
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E Israele continua
ad essere impegnata anche sul fronte palestinese. A Gaza questa notte almeno 10
palestinesi sono rimasti uccisi nel corso di due raid aerei israeliani. Un
velivolo F-
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R. –Da una parte, Israele deve fare i conti con le
proteste internazionali per un uso sovradimensionato della forza, e dall’altra
anche i palestinesi devono fare i conti con il fatto che, comunque, con questo
tipo di strumenti, cioè con la violenza, che sia terrorismo o che sia scontro
armato, non si arriva da nessuna parte.
D. – A suo parere, a che cosa punta in questo momento
Israele?
R. – Israele sembra avere una tattica di estremo
indebolimento del governo di Hamas, con la finalità
di spingere, prima o poi, lo stesso governo di Hamas
a riconoscere Israele. Però, entro lo stesso Israele molti si chiedono se questa
sia la tattica giusta.
D. – Le faccio la stessa domanda per l’altro fronte: qual
è la strategia, fin dove vuole arrivare il governo palestinese?
R. – Visto l’alto numero di morti, è evidente che anche i
palestinesi si devono interrogare – chiunque essi siano – su dove li porti
questa strategia. Non dimentichiamoci che i palestinesi stanno letteralmente
morendo di fame, non hanno assistenza, non hanno mezzi e non ci può essere
alcuna vittoria politica di nessuno su di un campo di macerie di questo genere!
Una cosa i palestinesi riconoscono, ovvero che l’offensiva israeliana li ha ricompattati, non solo all’interno di Hamas ma ha ricompattato anche al Fatah e Hamas. Prima dell’ offensiva
israeliana avevamo cominciato ad assistere ad una sorta di guerra civile intra-palestinese. Però, come al
solito, una qualsiasi soluzione si può ritrovare solo attraverso mezzi
politici. Con questi mezzi militari, con questo divario militare, non si può ragionare
in nessun senso.
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Ancora sangue in Iraq. Le forze di sicurezza hanno trovato
i cadaveri di 22 autisti di autobus in una località sunnita
ad un centinaio di chilometri a nord di Baghdad, dove erano stati rapiti in mattinata. In mattinata un
attentatore suicida si è fatto esplodere in un ristorante della parte orientale
di Baghdad uccidendo sette persone. L’ennesimo attentato è avvenuto proprio mentre nella capitale irachena era in corso una
visita a sorpresa del segretario alla Difesa americano, Donald
Rumsfeld. Infine, il primo ministro iracheno, al-Maliki, ha annunciato che le forze di sicurezze hanno
sventato un tentativo da parte dei ribelli di occupare alcuni quartieri nella
parte ovest di Baghdad, epicentro di numerosi scontri negli ultimi giorni.
I detenuti che si trovano sotto custodia dei militari
americani in tutto il mondo hanno diritto alle garanzie previste dalla
Convenzione di Ginevra. E’ quanto stabilito da un memorandum approvato dal
Pentagono, reso noto ieri dal portavoce del presidente degli Stati Uniti, Tony Snow. La svolta, che riguarda soprattutto i detenuti della
base di Guantanamo, a Cuba, giunge sulla scia di una
sentenza della Corte suprema che, fra le altre cose, ha stabilito, per
l’amministrazione Bush, la necessità di processare i
detenuti attraverso tribunali regolarmente costituiti e con tutte le garanzie
giuridiche.
Il segretario di Stato americano, Condoleezza
Rice, ha affermato che il rifiuto dell'Iran di
accettare l'offerta internazionale di incentivi per negoziare le modifiche al
suo programma nucleare costringerà le grandi potenze a portare la questione
iraniana davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Per la Russia
invece è ancora “tutto possibile” per trovare un accordo. Dal canto suo,
l’Europa continua a chiedere all’Iran una risposta rapida e positiva alle
proposte. Il negoziatore iraniano Larijani, che ieri
a Bruxelles ha incontrato il rappresentante dell’UE, Solana, aveva invitato la Comunità internazionale a “non
avere fretta”.
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