RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 193 - Testo della trasmissione di mercoledì 12 luglio 2006

 

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il dolore del Papa per gli attacchi terroristici a Bombay in India, che hanno fatto almeno 190 vittime e oltre 600 feriti: nel suo telegramma alle autorità ecclesiastiche e civili, Benedetto XVI deplora quelli che definisce “insensati atti contro l’umanità”. Ai nostri microfoni Guido Olimpio

 

Presentato stamane in Sala Stampa vaticana il bilancio consuntivo consolidato della Santa Sede per il 2005. Conti in attivo per 9,7 milioni di euro: con noi il cardinale Sergio Sebastiani

 

Dopo la calda accoglienza ieri della popolazione di Les Combes, il Papa sta trascorrendo oggi il primo giorno del periodo di riposo e di studio in Val d’Aosta. Del tempo estivo quale tempo privilegiato di riflessione, parliamo con Don Ordesio Bellini

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Per la crisi scoppiata in seguito ai test missilistici della Corea del nord, dopo il rinvio dell’ONU della decisione su eventuali sanzioni a Pyongyang, si intensificano le trattative per tornare al tavolo dei negoziati: intervista con Luigi Bonanate

 

Profonda commozione ieri in Bosnia alle cerimonie per l’11° anniversario della strage di Srebrenica, in cui furono trucidati migliaia di musulmani. Durante le commemorazioni, sepolti i corpi di altre 505 vittime ritrovati in fosse comuni. Il commento di Luca Leone

 

Per le Chiese che seguono il calendario giuliano, il 12 luglio è la festa dei Santi Pietro e Paolo: nelle Grotte vaticane solenne liturgia celebrata da mons. Barnaba El-Soryany, vescovo copto ortodosso di Roma e Torino. Ai nostri microfoni lo stesso vescovo

 

E’ in pieno svolgimento la 63.ma edizione della Settimana Musicale Senese: artisti di fama si esibiscono nella cittadina toscana fino a sabato. Ai nostri microfoni Andrea Marcon

 

CHIESA E SOCIETA’:

I vescovi indiani condannano gli attentati di Bombay

 

Approvata ieri a Rabat la prima dichiarazione euro-africana sulle migrazioni ed un piano d’azione per il controllo dei flussi migratori

 

Amnesty International denuncia in Perù la discriminazione dei servizi sanitari nei confronti delle donne e dei bambini più poveri

 

 

Afghanistan: oltre centomila i rifugiati rimpatriati dal Pakistan nel 2006

 

24 ORE NEL MONDO:

Precipita la situazione in Medio Oriente. Hezbollah rapiscono due soldati israeliani. Israele minaccia ritorsioni

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

12 luglio 2006

 

                                                                                 

IL DOLORE DEL PAPA PER GLI ATTACCHI TERRORISTICI A MUMBAY IN INDIA,

CHE HANNO FATTO ALMENO 190 VITTIME E OLTRE 600 FERITI: NEL SUO TELEGRAMMA ALLE AUTORITÀ ECCLESIASTICHE E CIVILI, BENEDETTO XVI DEPLORA QUELLI

CHE DEFINISCE “INSENSATI ATTI CONTRO L’UMANITÀ”

- Intervista con Guido Olimpio -

 

Il Papa si è detto “profondamente addolorato” per gli “attacchi terroristici”, che hanno colpito ieri Bombay, in un telegramma inviato stamane alle autorità ecclesiali e civili indiane, a firma del cardinale Sodano, segretario di Stato. Benedetto XVI nel deplorare “questi insensati atti contro l’umanità”, assicura le sue preghiere per le vittime, invocando conforto e consolazione divina per i familiari. Si aggrava intanto il bilancio degli attentati nella capitale finanziaria dell’India: sono almeno 190 i morti e oltre 600 i feriti nelle otto esplosioni, che hanno preso di mira 6 stazioni ferroviarie e una della metropolitana della città. I gruppi integralisti islamici del Kashmir, che si battono per l’indipendenza dello Stato himalayano, hanno respinto qualsiasi responsabilità. Secondo la polizia locale dietro l’operazione ci sarebbe una “importante potenza”. Il servizio di Eugenio Bonanata:

 

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La polizia è alla ricerca di due uomini sospettati di aver collocato gli ordigni in uno dei treni. Secondo i media locali sarebbe pronto anche un identikit di un giovane che è salito e sceso più volte da quel treno. Le indagini proseguono a ritmo serrato. In tre stazioni la polizia ha trovato tre detonatori e due timer utilizzati per comandare a distanza le bombe. Era l’ora di punta ieri quando in venti minuti, otto esplosioni hanno seminato morte e distruzione fra i pendolari. Il mondo intero ha condannato l’attacco, Pakistan compreso. L’intelligence indiana, però, continua a puntare il dito contro gruppi estremisti islamici del Kashmir che chiedono l’indipendenza dello Stato dal resto dell’Unione indiana. I principali gruppi separatisti hanno subito preso le distanze dall’attentato definendolo un atto barbaro, disumano e contrario ai precetti islamici. Intanto Bombay, con i suoi 17 milioni di abitanti, nonostante lo stato di allerta imposto dalle autorità, cerca di tornare alla normalità: nessuna manifestazione, scuole e negozi hanno riaperto regolarmente e la linea ferroviaria, che trasporta 6 milioni di pendolari al giorno, è stata ristabilita. Tuttavia in questo momento di incertezza sulla matrice degli episodi terroristici, ci si chiede quale sia il clima da cui sono nate queste azioni. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Guido Olimpio esperto di terrorismo del Corriere della Sera:

 

R. - Sicuramente si inserisce nella lotta dei ribelli kashmiri contro l’India e quindi ha una connotazione locale e regionale, ma questi gruppi sono molto spesso vicini al “qaedismo”, non intendo dire Al qaeda, ma l’ideologia qaedista e, dunque, c’è anche una dimensione internazionale. Negli ultimi tempi questi gruppi hanno dato assistenza e appoggio a diverse formazioni non asiatiche del Medio Oriente.

 

D. - Ci potrebbero essere stati dei contatti più intensi proprio tra Al qaeda e questi gruppi?

 

R. - Diciamo che in India già ci sono punti di tensione che alimentano fuoco in maniera indipendente. I federalisti kashmiri condividono un’ideologia qaedista e proseguono nella loro lotta. Sicuramente hanno importato sistemi e tecniche di lotta qaediste - e mi riferisco agli attacchi, azioni simultanee colpendo dei sistemi di trasporto di massa - e in questo ricordano molto gli attentati di Madrid e di Londra.

 

D. - Se dovesse essere accertata l’origine kashmira degli attentati, sarebbe un duro colpo per il processo di pace tra India e Pakistan?

 

R. – Sicuramente, anche perchè Musharraf, anche se con molta prudenza e cautela, aveva cercato di riavvicinarsi all’India, aveva cercato di stabilire un nuovo tipo di rapporto. E qualcuno sostiene che questi attacchi siano una risposta, dell’ala più militante dei kashmiri ma - e questo è ancora più grave se fosse confermato - potrebbe anche esserci un coinvolgimento di sezioni dei servizi segreti pakistani che sono contrari a qualsiasi forma di dialogo.

 

D. - Un’altra cosa che potrebbe ricondurre ad Al qaeda è il numero 11 che ricorre anche in questi attentati, 11 settembre, 11 marzo in Spagna e 11 luglio, ieri…

 

R. - Magari è semplicemente una coincidenza di date ma è certo che alcuni  gruppi hanno una tendenza a fissare delle date, delle date simbolo e qui abbiamo molta simbologia in questo attacco. Non solo la data, ma l’obiettivo, appunto i treni, e la città Bombay che è il cuore dell’economia indiana. Quindi è molto simile - se vogliamo - agli attacchi dl Londra e di New York che sono, non solo capitali, ma simboli del potere economico.

 

D. - Ci si può aspettare in questa estate altri attacchi del genere?

 

R. - Nell’area sicuramente, perché i kashmiri ormai da circa un anno lanciano attacchi di questo tipo, attacchi stragisti. Non sarei sorpreso se vedessimo operazioni simili in altri posti. Ovviamente non c’è un collegamento ma c’è soltanto un richiamo, visto che lo fanno i kashmiri lo possono fare anche altri gruppi.

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RESO NOTO IL BILANCIO CONSUNTIVO CONSOLIDATO PER IL 2005

DELLA SANTA SEDE E DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO

- Intervista con il cardinale Sergio Sebastiani -

 

Sono in attivo i conti del 2005 della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. Dopo la riunione del Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, svoltasi in Vaticano lo scorso 4 luglio, è stato presentato stamani, in Sala Stampa vaticana, il Bilancio consuntivo consolidato per l’anno 2005. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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La conferenza stampa, la prima con il nuovo direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, direttore anche della Radio vaticana e del Centro televisivo vaticano, si è aperta con la notizia che il bilancio consuntivo consolidato della Santa Sede per il 2005 si è chiuso con un risultato positivo di 9,7 milioni di euro, tre volte superiore a quello del 2004. Si tratta del valore più significativo degli ultimi 8 anni. L’attivo è dovuto  al buon andamento delle attività finanziarie. Il settore finanziario del 2005 si è chiuso, infatti, con un avanzo di 43,3 milioni contro 6,1 del 2004 grazie ad una migliore congiuntura dei mercati finanziari. In positivo anche il settore immobiliare che è passato, però, da 24,9 milioni di euro del 2004 a 22,2 milioni di euro del 2005. La flessione è dovuta al fatto che nel 2005 sono state realizzate minori plusvalenze. Le attività istituzionali di dicasteri, segreteria di Stato, rappresentanze pontificie, Congregazioni e Pontifici Consigli hanno fatto registrare un disavanzo di 36,9 milioni di euro. Per quanto riguarda le attività di istituzioni collegate alla Santa Sede, quali la Radio vaticana, la Tipografia vaticana, il Centro televisivo vaticano e la Libreria editrice vaticana, il disavanzo è di 11,8 milioni di euro. Il Governatorato, anche per il 2005, ha coperto i costi per i servizi offerti dalla Radio Vaticana contribuendo alla copertura della metà delle spese.

 

E’ stata illustrata, poi, la situazione dell’Obolo di San Pietro, l’insieme delle offerte destinate ad assistere il Papa nella sua missione apostolica e caritativa. Nel corso del 2005 sono pervenute offerte per un totale di 59 milioni di dollari con un incremento di quasi il 15 per cento rispetto al 2004. Per quanto riguarda la Radio Vaticana, il segretario della Prefettura degli affari economici della Santa Sede, mons. Franco Croci, ha spiegato che l’emittente pontificia sta attuando, seguendo un piano di dieci anni, una “graduale riduzione di personale”. Entro il 2013 è prevista una riduzione del personale, che passerà da 395 a 335 unità. “Abbiamo scelto 10 anni - ha aggiunto padre Lombardi - perché è il tempo necessario che consente di agire senza fare interventi negativi sul personale. Non sono previsti né licenziamenti né prepensionamenti”.

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Ma cosa si intende per bilancio consuntivo consolidato? Giovanni Peduto lo ha chiesto al cardinale Sergio Sebastiani, presidente della Prefettura per gli affari economici della Santa Sede.

 

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D. – Eminenza, cosa s’intende esattamente per bilancio consolidato?

 

R. – Il bilancio consolidato è quello che viene fatto unendo vari bilanci della stessa Santa Sede. La Santa Sede ha diverse attività e finalità, tante congregazioni, alcune di queste sono anche indipendenti dal punto di vista amministrativo, che non fanno capo con l’APSA. Per cui noi prendiamo tutti i bilanci che vengono fatti e poi facciamo il consolidamento dei bilanci delle varie amministrazioni. Il consolidato è un unico bilancio consuntivo, il preventivo non c’è.

 

D. – Perché vi è un bilancio consuntivo consolidato e non uno preventivo?

 

R. – Perché per il preventivo ancora non sappiamo quali sono le reali spese. Alcune possono essere previste ma altre non lo sappiamo,  quindi il bilancio preventivo non può essere preciso. Il bilancio consuntivo consolidato invece è proprio lo status attuale. Alla fine dell’anno 2005 c’è tanto, di passivo o di attivo.

 

D. – Perché vi è un bilancio per la Santa Sede e uno per il Governatorato?

 

R. – Il Governatorato è per lo Stato del Vaticano e quindi ha quelle sue attività istituzionali in quanto Stato e non è Santa Sede. Per Santa Sede invece, noi intendiamo tutti gli uffici a servizio del Papa in quanto non capo di stato, ma  capo della Chiesa universale.

 

D. – Quante sono le amministrazioni in Vaticano?

 

R. – Sono circa una sessantina, piccole e grandi naturalmente. La Fabbrica di San Pietro è indipendente, le Basiliche patriarcali sono indipendenti, Propaganda Fide è indipendente: quindi ci sono una serie di istituzioni della Santa Sede che hanno proprie amministrazioni e noi dobbiamo fare nel consolidato questa operazione del più  e del meno che deve essere azzerato.

 

D. – Molti si chiedono dove attinga i fondi il Vaticano: vuole spiegarlo?

 

R. – Intanto c’è un canone del diritto canonico, il 1271, che invita - non è un obbligo - tutti i vescovi, anche i fedeli, ad aiutare la Curia romana perché possa funzionare a beneficio proprio delle stesse diocesi, degli stessi istituti religiosi, etc. Secondo, molto importante, è l’attività di carattere soprattutto finanziaria. Noi sappiamo che l’Apsa straordinaria nasce dopo il 1929. L’Italia dette una somma tot che è stata poi affidata per farla fruttificare all’Apsa straordinaria, e da lì noi abbiamo questa attività finanziaria che alle volte va bene alle volte va meno bene. Dipende da tanti fattori, dollaro, euro, i flussi dei cambi, etc., questa è la dinamica. Poi ci sono altre attività.

 

D. – L’organismo da Lei presieduto, di cosa si occupa specificamente?

 

R. – Noi abbiamo, secondo la Pastor bonus, due compiti. Il primo compito è la vigilanza, prima competenza della Prefettura, cioè la vigilanza di tutte le amministrazioni di tutta la Santa Sede. Il secondo compito affidato dalla Pastor bonus alla Prefettura è quello di redigere il bilancio consolidato della Santa Sede.

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DOPO LA CALDA ACCOGLIENZA IERI DELLA POPOLAZIONE DI LES COMBES,

IL PAPA STA TRASCORRENDO OGGI IL PRIMO GIORNO DEL PERIODO DI RIPOSO

 E DI STUDIO IN VAL D’AOSTA. SUL TEMPO ESTIVO QUALE TEMPO PRIVILEGIATO

 DI RIFLESSIONE, PARLIAMO CON DON ORDESIO BELLINI

 

Dopo la calda accoglienza ieri mattina della popolazione di Les Combes, il Papa sta trascorrendo oggi il primo giorno del periodo di riposo in Val d’Aosta, che si protrarrà fino al 28 luglio. Il vescovo di Aosta, mons. Giuseppe Anfossi, ha sottolineato che la comunità sarà felice di poter esprimere la gioia di avere il Papa sul suo territorio, per esempio in occasione dell’Angelus domenica, ma che peraltro rispetterà con discrezione il suo tempo estivo. Anche il Presidente del Consiglio regionale, Ego Perron, ha sottolineato che ''la Comunità valdostana saprà tributargli un grande affetto con la delicatezza e la giusta discrezione già manifestate in passato, in modo che possa trascorrere le vacanze in assoluta pace e preghiera, accompagnato solo dal silenzio della natura che lo circonda”.

 

Sappiamo che si tratta di ‘un periodo di riposo e di studio’, un’espressione che ci può sembrare strana perché, vivendo a ritmi frenetici, c’è la tentazione  di voler concepire il riposo come il ‘non far niente’ e dunque l’opposto dello studio. Ma in realtà, visti gli impegni, il tempo di riposo rischia di essere l’unico possibile per lo studio nel senso di riflessione. Fausta Speranza ne ha parlato con Don Ordesio Bellini, parroco e insegnante di storia della Chiesa al Seminario interdiocesano di Lucca:

 

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R. – Nei nostri comportamenti e nelle nostre visioni della vita, forse, anche il non far nulla sarebbe meglio – diciamo così – rispetto alla frenesia dello sballo a tutti i costi, come sono in fondo anche la domenica e il sabato. Io vedo una grande analogia tra il fine settimana e le vacanze, cioè sono periodi – il periodo estivo in forma più “solenne” – in cui potremmo dedicarci a “riempirci” di grandi prospettive, grandi progetti, grandi riflessioni, e invece, purtroppo, sono utilizzati come uno sballo, quasi che bisognasse “sgonfiarsi” di un qualcosa che ci siamo caricati di negativo, una specie di movimento continuo. E’ questa la concezione in gran parte, a mio avviso, della vita attuale. E’ tutto bello, interessante, ma in qualche modo porta con sé un qualcosa di cui dobbiamo anche sfogarci, “buttare fuori”. Invece, si tratterebbe proprio di poter rivedere, ristudiare, riamare quello che nella nostra vita quotidiana noi viviamo. Ma questo suppone che uno rifletta sulla propria vita quotidiana e in vacanza, quindi, abbia la possibilità di dare un senso più approfondito.

 

D. – Perdere l’occasione e, in qualche modo, anche la capacità, di riflettere è anche perdere l’occasione, di contemplarla questa vita che viviamo, o no?

 

R. – Io penso che questa sia la cosa più bella ed è la caratteristica forse che ci differenzia dalle bestie: riuscire in qualche modo a ritornare sulla nostra esistenza negli aspetti positivi e negativi e poterla in qualche modo contemplare, rivivere e rivedere, prendendovi parte, sorridendo e piangendo in un’atmosfera di grande serenità, di grande tranquillità. Oppure contemplare la natura in se stessa, che è anche molto bello. E’ un qualcosa che rinfresca la nostra vita, che “entra” dentro, e non un qualcosa che bisogna invece “buttare fuori”.

 

D. – Don Ordesio, anche noi operatori della comunicazione sentiamo che spesso informiamo in velocità e non riusciamo a soffermarci su concetti che invece richiederebbero approfondimento. Ora, noi vogliamo cercare di fare proprio questo nel periodo estivo. Lei che è impegnato in prima persona nella pastorale con i giovani, quali delle tematiche affrontate dal Papa in questo anno e più di Pontificato vorrebbe sentire approfondite, innanzitutto?

 

R. – Ci siamo accorti un po’ tutti ormai che siamo vagamente credenti, genericamente cristiani, ma assolutamente ignoranti di Cristo. Io credo che sia il momento in cui dobbiamo puntare tutto su Gesù Cristo. Io scherzando nella mia comunità ho detto: “Per un anno non si parla né di Mosè, né di Giacobbe, né di Salmi, ma del Signore Gesù”. Credo che questa sia la grande logica di Benedetto XVI, che più che fare grandi discorsi di tipo morale – anche se certamente ripete e annuncia i grandi valori della vita cristiana - cerca piuttosto di fare incontrare Colui per il quale vale la pena di vivere e morire, altrimenti tutto il resto è moralismo. Allora dobbiamo soffermarci su Cristo e sull’amore di Dio. L’amore di Dio non è un amore vago, generico, ma è la luce in Cristo, perché Egli è la concretizzazione storica che vuol dire che Dio ama. Il Padre ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio, perché il mondo avesse vita, vita eterna, vita in abbondanza. Noi dobbiamo riscoprire che cos’è l’amore, perchè l’amore, la parola amore è stata cantata, decantata, abusata e usata in mille forme, come tantissime altre parole che vengono usate e abusate e alla fine non ci si capisce più niente.

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RINUNCE E NOMINE

        

Benedetto XVI ha accettato oggi la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Palmeira dos Índios in Brasile, presentata da mons. Fernando Iório Rodrigues, per raggiunti limiti di età ed ha nominato alla stessa carica mons. Dulcênio Fontes de Matos, finora vescovo titolare di Cozila e ausiliare di Aracaju.

 

Il Papa ha anche accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Imphal in India, presentata da mons. Joseph Mittathany, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Dominic Lumon, coadiutore della medesima arcidiocesi.

 

Il Santo Padre ha accettato infine la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Great FallsBillings negli Stati Uniti, presentata da mons. Anthony M. Milone, in conformità al Codice di Diritto Canonico.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 Servizio vaticano - Il tema della XL Giornata mondiale della Pace che si celebrerà il primo gennaio 2007; "Persona umana: cuore della pace". 

 

Servizio estero - Terrorismo; Bombay 11 luglio: strage sui treni dei pendolari.

 

Servizio culturale - Un articolo di Luigi Martellini dal titolo "Quando Montale scriveva ad una musa": pubblicate per la prima volta le lettere a Irma Brandeis.

Una monografica - a cura di Maurizio Fontana - dal titolo "Centri internazionali di cultura a Roma: l'American Academy". 

 

Servizio italiano - In rilievo il tema della competitività.  

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

12 luglio 2006

 

 

PER LA CRISI SCOPPIATA IN SEGUITO AI TEST MISSILISTICI DELLA COREA DEL NORD, DOPO IL RINVIO DELL’ONU DELLA DECISIONE SU EVENTUALI SANZIONI A PYONGYANG, SI INTENSIFICANO LE TRATTATIVE PER TORNARE AL TAVOLO DEI NEGOZIATI

- Intervista con Luigi Bonanate -

 

Il negoziatore americano per la Corea del Nord, Hill, è tornato a Pechino. E’ l'ultimo di una serie di sviluppi delle frenetiche trattative in corso per riportare Pyongyang al tavolo dei negoziati, dopo i test missilistici della scorsa settimana. A Pechino sono tornati anche il capo dei negoziatori cinesi e un alto dirigente nord-coreano.  A prendere tempo è stato, due gironi fa, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la decisione di rinviare la votazione su eventuali sanzioni contro la Corea del Nord. Oltre alla Cina, la  Russia e la Corea del Sud premono per una soluzione  diplomatica alla crisi innescata dai test. Pechino in particolare insiste per una ripresa del dialogo a sei tra le due Coree, la Cina stessa, gli USA, il Giappone e la Russia. Ma per una riflessione sul ritorno in primo in piano della questione nordcoreana dopo che per mesi si è parlato della questione nucleare iraniana, Fausta Speranza ha intervistato Luigi Bonanate, docente di relazioni internazionali all’Università di Torino:

 

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R. – Bisognerebbe che ci rendessimo conto che non si può ricominciare tutti i giorni a giocare le partite. O meglio: la politica internazionale fa sovente finta che ogni giorno si ricominci daccapo. Ma se noi abbiamo un po’ di buona memoria, ricordiamo che la questione nord-coreana è una questione che dura nelle modalità attuali fin da dopo il 1989. La Corea del Nord ha sempre sostenuto di avere il diritto di farsi una sua politica nucleare, ha sempre rifiutato controlli e collaborazioni, però poi ha sempre riaperto la trattativa con gli Stati Uniti. La questione nord-coreana è una questione di intermittenze continue. Nell’intermittenza, gli Stati Uniti si sono concentrati prima sull’Iraq con le armi di distruzione di massa, che sono poi le armi atomiche. Non c’erano, e allora è emersa in primo piano la questione iraniana, come ben sappiamo, facendo finta che non ci fossero altre questioni, perché non dimentichiamo che Bush pochi mesi fa è andato in India a ‘benedire’ la bomba atomica indiana, contravvenendo a tutti i principi sempre sostenuti da parte degli Stati Uniti e della comunità internazionale sulla portata del Trattato di non-proliferazione nucleare. Viene quindi da pensare che proprio di partite si tratti, cioè di partite diplomatiche in cui la questione nucleare, questa volta nella versione missilistica, sia una questione che si utilizza, appunto, come partita diplomatica. I cittadini, le cittadinanze, l’opinione pubblica nazionale, dei diversi Paesi mondiali, dovrebbero poter chiedere: “Ma … stavamo parlando di una cosa, perché adesso ci parlate di un’altra? O se c’è un collegamento tra l’una e l’altra, vediamolo tutti quanti insieme, chiaramente!”. Questa frantumazione continua del dibattito politico internazionale è uno strumento del potere e non certo della democrazia.

 

D. – Professor Bonanate, la Cina ha bocciato la risoluzione presentata all’ONU dal Giappone. Questi sono senz’altro due attori in scena. Chi sono gli altri attori in scena, oltre agli Stati Uniti, ovviamente?

 

R. – Non penso che la Cina possa essere una preoccupazione più che qualsiasi altro Stato, nel bene e nel male. La Cina è però per noi ancora largamente misteriosa, diciamocelo francamente. Possiamo dire che la Cina non vuole che nessuno metta piede nei suoi problemi. In fondo, la Corea del Nord è molto vicina alla Cina; ecco che la Cina chiede al Giappone di andarci piano con le sanzioni. Non dimentichiamo l’enormità delle dimensioni della Cina e la distribuzione della popolazione sul territorio. Quindi è logico che la Cina dica: “In Asia, se si discute di queste cose, , parliamone con calma, senza agitarci troppo, e tutti insieme”. La riflessività cinese, in questo momento, potrebbe essere una buona strategia …

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PROFONDA COMMOZIONE IERI IN BOSNIA ALLE CERIMONIE PER L’11° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI SREBRENICA, IN CUI FURONO TRUCIDATI MIGLIAIA DI MUSULMANI. DURANTE LE COMMEMORAZIONI, SEPOLTI I CORPI DI ALTRE 505 VITTIME RITROVATI IN FOSSE COMUNI

- Intervista con Luca Leone -

 

Profonda commozione ieri nella Bosnia orientale alle cerimonie per l’11° anniversario della strage di Srebrenica, compiuta nel ‘95 dalle forze serbo bosniache, che sterminarono senza pietà migliaia di musulmani. Durante le commemorazioni, sono stati sepolti i corpi di altre 505 vittime scoperte negli anni in fosse comuni. Ma cosa significa il fatto che Radovan Karadzic e Ratko Mladic i responsabili di quell’inferno, siano ancora in libertà? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Luca Leone, autore del libro ‘Srebrenica i giorni della vergogna’:

 

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R. – Il fatto che due personaggi di questo calibro non siano stati consegnati all’Aja dà alle persone che vivono tutti i giorni una vita difficile in Bosnia -  perché si tratta di una vita veramente molto difficile per la maggior parte della popolazione - la sensazione, se non addirittura la certezza, che non si voglia dall’alto fare giustizia. Questo è gravissimo, perché al di là del fatto etico, c’è anche una questione di speranza: queste persone hanno bisogno ed hanno diritto, dopo un conflitto, di giustizia. La mancanza di giustizia si riverbera poi nella mancanza di giustizia a tutti i livelli, anche i più piccoli, e fa della popolazione bosniaca oggi una popolazione profondamente delusa. Non ci dimentichiamo che oltre le 10-12 mila vittime di Srebrenica, dobbiamo anche fare i conti – tutti quanti – con le oltre tremila vittime serbo-bosniache provocate dalla reazione dei paramilitari musulmani.

 

D. – Dunque la giustizia è la base per risanare questa ferita?

 

R. – Il problema della giustizia è un problema molto sentito e si tratta di un problema addirittura più generale rispetto ai casi particolari di Karadzic e Mladic. Karadzic e Mladic sono, però, la dimostrazione che, anzitutto, il Tribunale penale Internazionale  è del tutto impotente, perché non ha comunque sul campo forze in grado di effettuare arresti; in secondo luogo l’Unione Europea sta adottando una politica che in 11 anni non ha portato a risultati rispetto a questa questione; in terzo luogo, la Serbia e la Repubblica Serba di Bosnia non hanno nessuna intenzione di collaborare: tutto questo la dice molto lunga sul potere che queste persone continuano ad avere in Serbia e nella Repubblica Serba di Bosnia.

 

D. – Tutto questo, secondo te, può compromettere in qualche modo la convivenza delle diverse etnie nel Paese?

 

R. – Io questo non lo credo, anche se molti lo dicono. La mia esperienza sul campo, sia a Sarajevo che in altre città o in villaggi periferici, mi porta a dire che nella maggioranza della popolazione, e non soltanto musulmana, c’è veramente la voglia e il desiderio di ricominciare a vivere insieme. In Bosnia, tuttora, quasi la metà delle famiglie sono composte da matrimoni misti. Questo è un dato di fatto non indifferente. Cominciano a rivedersi e a riformarsi coppie miste: dimostrazione, questa, del fatto che mezzo millennio di storia comune, che ha portato poi a mettere insieme un patrimonio culturale, artistico e letterario enorme, non può essere cancellato da una guerra, anche se questa guerra ha portato ad un genocidio e ha portato ad una spaccatura spaventosa del Paese. Se non c’è un aiuto dall’esterno - torniamo quindi a parlare dell’importanza della Comunità internazionale - nella lotta contro i nazionalisti e contro gli ultranazionalisti, c’è il pericolo che non tutte le spaccature possano essere sanate.

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PER LE CHIESE CHE SEGUONO IL CALENDARIO GIULIANO,

IL 12 LUGLIO È LA FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO:

NELLE GROTTE VATICANE LA SOLENNE LITURGIA È STATA CELEBRATA

DA MONS. BARNABA EL-SORYANY, VESCOVO COPTO ORTODOSSO DI ROMA E TORINO

- Ai nostri microfoni mons. Barnaba El-Sorvany-

 

 

Antichissimi canti liturgici in lingua araba risuonavano stamattina nelle Grotte Vaticane, dove all’altare davanti alla tomba del Principe degli Apostoli è stata celebrata una santa messa, secondo il rito copto ortodosso, da mons. Barnaba El-Soryany, vescovo copto ortodosso di Roma e Torino, in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo secondo il Calendario Giuliano. Si tratta ormai di una tradizione che si ripete ogni anno dal 1990. Al solenne rito hanno partecipato centinaia dei circa 3000 fedeli copti ortodossi di Roma. In Italia il loro numero si aggira intorno ai 15-17 mila, e sono suddivisi in due diocesi, quella di Milano e quella di Torino. Márta Vertse, responsabile incaricato del programma ungherese, alla fine della cerimonia ha intervistato il vescovo Barnaba El-Soryany che ha rappresentato il Capo della Chiesa copta-ortodossa d’Egitto, Papa Shenouda III, in diverse occasioni, per esempio ai funerali del Servo di Dio, Giovanni Paolo II, alla Messa di inizio di Pontificato di Benedetto XVI o all’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre scorso:

 

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R. – Questa data – il 12 luglio – è diventata per noi una festa grandissima, qui in Italia specialmente, perché siamo qua a Roma. Secondo il calendario della Chiesa copta ortodossa, il 12 luglio è la festa degli apostoli Pietro e Paolo. Per questo, noi abbiamo l’occasione ogni anno di celebrare la Messa sulla tomba di San Pietro e di festeggiare il loro martirio qui, in Italia. Poi, è diventata una cosa grandissima. Ed ogni volta che io celebro la Messa qui, sulla tomba di San Pietro, sento l’unità tra noi tutti cristiani. La tomba di San Pietro è simbolo della Chiesa cattolica e noi siamo la Chiesa copta ortodossa, e questo insieme è buon segno.

 

D. – Abbiamo visto che durante la santa liturgia i fedeli hanno partecipato con grande gioia; la Santa Messa è diventata una festa gioiosa dove tutti hanno cantato e partecipato. Abbiamo visto anche che il rito è molto diverso da quello cattolico, per esempio le signore si coprono rigorosamente il capo, specialmente quanto si mettono in fila per prendere il Corpo di Cristo, e comunque tutti si tolgono le scarpe. Ci può spiegare un po’ il significato di questi gesti particolari?

 

R. – Da noi, sia la Chiesa cattolica sia la Chiesa ortodossa hanno le proprie tradizioni particolari. Da noi, durante la Messa, le signore devono coprirsi il capo e siccome siamo in un luogo sacro dobbiamo toglierci le scarpe, come Dio ha ordinato a Mosè sul Sinai: “Levati le scarpe perché sei in un luogo sacro”. Per questo noi riceviamo la comunione a piedi scalzi. Questa, poi, è una Messa speciale, una cerimonia speciale.

 

D. – Durante la Santa Messa si è pregato diverse volte per Sua Santità, Papa Shenouda III, capo della Chiesa ortodossa d’Egitto. Quali sono oggi i rapporti tra le due Chiese sorelle?

 

R. – Noi ringraziamo sempre Iddio: adesso il dialogo procede, è migliorato tanto rispetto a prima. Con tanta speranza ci auguriamo di continuare ad avvicinarci perché nel mondo di oggi è necessario che siamo uniti. Se ci guardiamo intorno ci rendiamo conto – e di cuore io lo dico – che è necessario unirsi: dobbiamo tornare uniti.

 

D. – Ci sono stati progressi negli ultimi anni sul cammino ecumenico?

 

R. – Certo. In Armenia ora la famiglia ortodossa insieme con la famiglia cattolica hanno condotto un dialogo … ci sono stati tanti progressi. Ringrazio Benedetto XVI per la sua accoglienza fraterna, per averci dato l’occasione di celebrare la Messa. Vorrei ricordare Giovanni Paolo II, in questa occasione, perché lui ha fatto tanto per noi. E, come ho detto l’anno scorso, ripeto quest’anno: Grazie, Papa Giovanni Paolo II!

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E’ IN PIENO SVOLGIMENTO LA 63.MA EDIZIONE DELLA SETTIMANA MUSICALE SENESE: ARTISTI DI FAMA SI STANNO ESIBENDO NELLA CITTADINA TOSCANA FINO A SABATO

- Ai nostri microfoni il maestro Andrea Marcon -

 

La 63.ma Settimana Musicale Senese presenta questa sera nella Chiesa di Sant’Agostino un titolo inedito di Antonio Vivaldi, L’Atenaide, in prima esecuzione integrale. La prestigiosa rassegna porta a Siena nei prossimi giorni artisti di fama tra i quali Giuliano Carmagnola, Salvatore Accardo e Gianluigi Gelmetti che, insieme all’Orchestra della Toscana, chiuderà sabato sera la Settimana, dirigendo il Requiem di Mozart. Il servizio di Luca Pellegrini:

 

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Riallacciandosi idealmente alla prima edizione del 1939, che segnò la grande riscoperta di Antonio Vivaldi, e rimanendo fedele all’impegno di diffondere il grande patrimonio musicale barocco, la Settimana Senese fa riemergere dal passato il dramma per musica L’Atenaide di Vivaldi su libretto di Apostolo Zeno. Verrà eseguito per la prima volta in forma integrale con i recitativi. E’ da oltre un anno e mezzo che l’Accademia Chigiana sta lavorando a questo progetto e finalmente l’Orchestra Barocca di Venezia e un gruppo di ben affiatati solisti potranno eseguire le stupende musiche del “prete rosso”, dirette dal Maestro Andrea Marcon, al quale abbiamo chiesto quali motivi l’hanno portato ad affrontare questa partitura:

 

R. - Mi occupo così della musica vocale e strumentale di Vivaldi da più di 15 anni. Come lei ben sa, c’è stato negli ultimi anni, nell’ultimo decennio, una vera riscoperta del repertorio vivaldiano, soprattutto per quanto concerne le opere liriche. Non sempre però si è messa in luce anche l’altra produzione vivaldiana, cioè quella di opere considerate minori ma che minori non sono affatto, come questa Atenaide. In effetti quest’opera è l’ultima opera di Vivaldi che ancora non era stata eseguita ai nostri giorni. Non era più stata riproposta dal 1728, data in cui Vivaldi la scrisse e la propose per il teatro “La pergola” di Firenze.

 

D. - Le particolarità musicali della partitura? 

 

R. - Sono i caratteri tipici del teatro vivaldiano, cioè grande virtuosismo vocale quindi anche strumentale, per quanto riguarda l’orchestra. La caratterizzazione dei personaggi è, forse, per le orecchie moderne abbastanza omogenea. Ecco, Vivaldi ancora non caratterizza negli estremi i diversi personaggi dell’opera. Ogni personaggio ha aree di coloritura e aree cantabili, però la cosa comune a tutti questi personaggi è questo virtuosismo che Vivaldi richiede all’interprete e all’esecutore.

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CHIESA E SOCIETA’

12 luglio 2006

 

 

I VESCOVI INDIANI CONDANNANO GLI ATTENTATI DI BOMBAY

 

NEW DELHI. = “Denunciamo con forza gli attentati che hanno causato così tanto danno e panico fra la popolazione”: si è espressa con queste parole la Conferenza episcopale indiana (Cbci) a proposito degli attentati che ieri hanno colpito Bombay. I presuli, riferisce l’agenzia Asianews, condannano l’attacco che ha ucciso diverse dozzine di persone e ferito innocenti che viaggiavano sui treni locali. I vescovi hanno lanciato inoltre un appello a tutta la popolazione affinché affronti con la maggiore calma possibile  questo momento di ansia, mentre è alta l’allerta nelle piazze, nei mercati e nei luoghi di culto delle maggiori città dell’India. “Le esplosioni – spiega padre Babu Joseph portavoce della Cbci – sono state preparate da elementi anti-sociali. Dovremmo unire le nostre mani per sconfiggere i disegni nefasti di questo tipo di persone all’interno del nostro Paese”. (T.C.)

 

 

APPROVATA IERI A RABAT LA PRIMA DICHIARAZIONE EURO-AFRICANA SULLE MIGRAZIONI ED UN PIANO D’AZIONE PER IL CONTROLLO DEI FLUSSI MIGRATORI.

I DUE DOCUMENTI MIRANO AD UNA COOPERAZIONE TRA PAESI D’ORIGINE

E QUELLI DI DESTINAZIONE

 

RABAT. = È stata approvata ieri a Rabat, al termine della Conferenza euro-africana sulla migrazione e lo sviluppo, la prima dichiarazione con la quale Paesi di origine e Paesi di destinazione si impegnano a gestire il fenomeno dell’immigrazione in tutte le sue fasi. Lo scopo è quello di dar vita ad un partenariato stretto fra le Nazioni, per un lavoro coordinato, con un approccio globale, equilibrato, pragmatico ed operativo, nel rispetto dei diritti fondamentali e della dignità dei migranti. Promozione dello sviluppo e prevenzione dei conflitti nei Paesi d’origine dei flussi migratori; miglioramento della formazione scolastica e professionale; controllo della clandestinità e delle frontiere, sono invece alcuni dei punti di un altro documento stilato dai Paesi che si sono incontrati nei giorni scorsi in Marocco. Si tratta di un piano d’azione che prevede iniziative di cooperazione in settori chiave, come la creazione di posti di lavoro, la riduzione dei costi delle rimesse degli immigranti verso i Paesi d’origine e misure per evitare la cosiddetta “fuga dei cervelli” verso i Paesi più sviluppati. Quanto ai Paesi di transito dei flussi migratori - e in primo luogo il Marocco - le principali novità sono costituite dalla realizzazione di un monitoraggio permanente sotto il controllo dell’Onu e dalla creazione di una “task force” di intervento per crisi come quella scoppiata l’autunno scorso a Ceuta e Melilla, o quella che affronta in queste settimane l’arcipelago delle Canarie. I Paesi di destinazione, con tale piano d’azione, ottengono assicurazioni sull’accelerazione delle trattative per accordi multilaterali sul rimpatrio degli emigranti clandestini e garanzie sul rispetto dei diritti umani beneficiando anche di iniziative di coordinamento tra polizia e organi di giustizia. A tale scopo è prevista anche l’istituzione di banche dati digitalizzate per favorire la rapida identificazione dei clandestini. Il Piano d’Azione e la Dichiarazione di Rabat hanno già sollevato le prime critiche da parte di partiti politici ed organizzazioni non governative europee. Il vertice africano è stato definito inefficace per il fatto che non è stata adottata alcuna misura concreta di lotta alla povertà e perché alcuni Paesi importanti, come l’Algeria, erano assenti. In Marocco, inoltre, numerose ONG hanno organizzato una manifestazione in segno di protesta davanti al Parlamento. (A.Gr. – T.C.)

 

 

AMNESTY INTERNATIONAL DENUNCIA IN PERÙ LA DISCRIMINAZIONE

DEI SERVIZI SANITARI NEI CONFRONTI DELLE DONNE E DEI BAMBINI PIÙ POVERI.

ALTA LA MORTALITÀ DEI NEONATI E DELLE DONNE DURANTE IL TRAVAGLIO

 

ROMA. = I servizi sanitari per la maternità e l’infanzia in Perù lasciano morire ogni anno centinaia di donne e bambini poveri, negando a molti di questi ultimi il diritto a un’identità. Lo denuncia Amnesty International in un rapporto diffuso ieri. “Le donne più povere, che corrono i maggiori rischi durante la gravidanza e il parto, e i bambini emarginati, che hanno più alte probabilità di contrarre malattie nei primi anni di vita, sono coloro che ricevono minore protezione”, si legge nel documento. L’organizzazione per i diritti umani denuncia in particolare come, nonostante il governo abbia sviluppato un sistema di servizi sanitari gratuiti per le comunità emarginate, in realtà non ci sono a disposizione delle donne e dei bambini poveri cure mediche efficaci. Secondo dati ufficiali, soltanto nel 2000 il tasso di mortalità alla nascita è stato del 71 per mille nel dipartimento di Huancavelica, uno dei più poveri del Paese. Questa percentuale è cinque volte superiore a quella della capitale Lima, dove, nello stesso anno, sono morti alla nascita 17 bambini su mille. L’Organizzazione mondiale della sanità (Who) ha stimato che nel 2004, durante il travaglio, sono morte 410 donne ogni 100 mila, una percentuale che è inferiore solo a quella di Haiti, Bolivia e Guatemala, i tre Paesi più poveri dell’America Latina. Oltre alla carenza dei servizi sanitari, Amnesty International denuncia che in alcune zone del Perù, le donne indigene che decidono di non recarsi, o che non sono in grado di recarsi, presso le strutture sanitarie per partorire, vengono multate e non viene loro rilasciato il certificato di nascita. Ad un contadino di Huanuco, ad esempio, è stato chiesto di pagare una multa equivalente a 30 dollari per aver permesso la nascita di suo figlio in casa. Per pagarla, avrebbe dovuto vendere una tonnellata di patate. Non avendo i soldi, la direzione sanitaria locale gli ha negato il certificato di nascita del figlio, che pertanto è privo di un’identità. Amnesty International chiede al governo di porre fine alle discriminazioni, di diffondere informazioni sulla disponibilità dei servizi sanitari gratuiti per la maternità e l’infanzia e per le persone socialmente escluse; di garantire alle donne che partoriscono in casa di non essere multate; di assicurare a tutti i bambini un certificato di nascita; e infine di fornire ai medici un’adeguata formazione sui diritti umani. (T.C.)

 

 

AFGHANISTAN: OLTRE CENTOMILA I RIFUGIATI RIMPATRIATI DAL PAKISTAN NEL 2006.

A DIFFONDERE I DATI L’ALTO COMMISSARIATO DELL’ONU PER I RIFUGIATI

 

ROMA. = Ha superato quota 100 mila il numero dei rifugiati afghani che nel corso di quest’anno hanno fatto ritorno alle proprie case dal Pakistan. I dati sono stati diffusi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) che ha anche registrato il rientro di un più elevato numero di persone con alta professionalità in settori come l’ingegneria, la medicina e l’istruzione. Tra i rimpatriati di quest’anno si contano 15.278 lavoratori domestici, 1.248 tessitori di tappeti, 357 insegnanti, 325 ingegneri e 115 medici. Nel giugno 2006 sono rimpatriati 24.780 afghani, il 66 per cento in meno rispetto ai 73.373 del giugno 2005 e il 48 per cento in meno rispetto ai 47.940 del giugno 2004. Complessivamente, più di 2,8 milioni di afghani sono rimpatriati dal Pakistan e più di 1,4 milioni dall’Iran dopo che, nel 2002, l’UNHCR ha avviato il programma di assistenza per i rimpatri in Afghanistan. Si stima che attualmente vi siano 2,6 milioni di afghani in Pakistan e più di 900 mila in Iran. Il rimpatrio volontario sta comunque proseguendo nel contesto degli accordi tripartiti sottoscritti da Afghanistan, UNHCR, e da Pakistan e Iran separatamente. (T.C.)

 

 

 


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24 ORE NEL MONDO

12 luglio 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

        

Si fa sempre più preoccupante la situazione in Medio Oriente. Stamani il Libano ha attaccato Israele, provocando la risposta delle truppe dello Stato ebraico. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

                                                                                            

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Tutto è iniziato all’alba, quando alcuni razzi sparati dal Libano hanno colpito il nord di Israele. Poi un’offensiva improvvisa, inaspettata. I miliziani del movimento Hezbollah hanno attaccato le postazioni israeliane lungo la “linea blu” di demarcazione tra i due Stati e hanno catturato due soldati dell'esercito israeliano, mentre altri due – ma la notizia non ha ricevuto conferme ufficiali - sarebbero stati uccisi. Immediata la risposta di Israele: reparti militari sono entrati in territorio libanese. Un carro armato è stato danneggiato dall'esplosione di un ordigno al suo passaggio. Diversi soldati risultano essere feriti in modo grave. Bombardamenti aerei e di artiglieria hanno, inoltre, colpito e distrutto un ponte e due strade nella zona di Nabatyeh. Violenti scontri sono, infine, segnalati in un'ampia fascia che va dalla zona di confine contesa delle Fattorie di Shebaa alla parte centrale della frontiere. Il sequestro dei due soldati israeliani – si legge in un comunicato del movimento sciita libanese – vuole essere finalizzato allo scambio con prigionieri arabi e palestinesi nelle carceri di Israele. “Si tratta di un grande aiuto per la lotta a Gaza”, invece secondo quanto dichiarato da Ghazi Hamad, portavoce del governo palestinese guidato da Hamas.

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E Israele continua ad essere impegnata anche sul fronte palestinese. A Gaza questa notte almeno 10 palestinesi sono rimasti uccisi nel corso di due raid aerei israeliani. Un velivolo F-16 ha bombardato e demolito una casa appartenente a un dirigente di Hamas. Nella tarda mattinata invece, altri due palestinesi hanno perso la vita sempre nel corso di un attacco aereo. Con le vittime di oggi sale a 5.202 il numero dei morti dall’inizio della seconda Intifada, nel settembre del 2000. In questi giorni la comunità internazionale ha chiesto ad Israele di sospendere le operazioni militari e di permettere l’ingresso di operatori umanitari nell’area. Adriana Masotti ha chiesto un commento a Marcella Emiliani, docente di sviluppo politico del Medio Oriente all’Università di Bologna:

 

 

 

 

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R. –Da una parte, Israele deve fare i conti con le proteste internazionali per un uso sovradimensionato della forza, e dall’altra anche i palestinesi devono fare i conti con il fatto che, comunque, con questo tipo di strumenti, cioè con la violenza, che sia terrorismo o che sia scontro armato, non si arriva da nessuna parte.

 

D. – A suo parere, a che cosa punta in questo momento Israele?

 

R. – Israele sembra avere una tattica di estremo indebolimento del governo di Hamas, con la finalità di spingere, prima o poi, lo stesso governo di Hamas a riconoscere Israele. Però, entro lo stesso Israele molti si chiedono se questa sia la tattica giusta.

 

D. – Le faccio la stessa domanda per l’altro fronte: qual è la strategia, fin dove vuole arrivare il governo palestinese?

 

R. – Visto l’alto numero di morti, è evidente che anche i palestinesi si devono interrogare – chiunque essi siano – su dove li porti questa strategia. Non dimentichiamoci che i palestinesi stanno letteralmente morendo di fame, non hanno assistenza, non hanno mezzi e non ci può essere alcuna vittoria politica di nessuno su di un campo di macerie di questo genere! Una cosa i palestinesi riconoscono, ovvero che l’offensiva israeliana li ha ricompattati, non solo all’interno di Hamas ma ha ricompattato anche al Fatah e Hamas. Prima dell’ offensiva israeliana avevamo cominciato ad assistere ad una sorta di guerra civile intra-palestinese. Però, come al solito, una qualsiasi soluzione si può ritrovare solo attraverso mezzi politici. Con questi mezzi militari, con questo divario militare, non si può ragionare in nessun senso.

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Ancora sangue in Iraq. Le forze di sicurezza hanno trovato i cadaveri di 22 autisti di autobus in una località sunnita ad un centinaio di chilometri a nord di Baghdad, dove erano stati rapiti in mattinata. In mattinata un attentatore suicida si è fatto esplodere in un ristorante della parte orientale di Baghdad uccidendo sette persone. L’ennesimo attentato è avvenuto proprio mentre nella capitale irachena era in corso una visita a sorpresa del segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld. Infine, il primo ministro iracheno, al-Maliki, ha annunciato che le forze di sicurezze hanno sventato un tentativo da parte dei ribelli di occupare alcuni quartieri nella parte ovest di Baghdad, epicentro di numerosi scontri negli ultimi giorni.

 

I detenuti che si trovano sotto custodia dei militari americani in tutto il mondo hanno diritto alle garanzie previste dalla Convenzione di Ginevra. E’ quanto stabilito da un memorandum approvato dal Pentagono, reso noto ieri dal portavoce del presidente degli Stati Uniti, Tony Snow. La svolta, che riguarda soprattutto i detenuti della base di Guantanamo, a Cuba, giunge sulla scia di una sentenza della Corte suprema che, fra le altre cose, ha stabilito, per l’amministrazione Bush, la necessità di processare i detenuti attraverso tribunali regolarmente costituiti e con tutte le garanzie giuridiche.

 

 

Il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha affermato che il rifiuto dell'Iran di accettare l'offerta internazionale di incentivi per negoziare le modifiche al suo programma nucleare costringerà le grandi potenze a portare la questione iraniana davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Per la Russia invece è ancora “tutto possibile” per trovare un accordo. Dal canto suo, l’Europa continua a chiedere all’Iran una risposta rapida e positiva alle proposte. Il negoziatore iraniano Larijani, che ieri a Bruxelles ha incontrato il rappresentante dell’UE, Solana, aveva invitato la Comunità internazionale a “non avere fretta”.

 

 

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