RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 1910 - Testo della trasmissione di lunedì 10  luglio 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Da Valencia appuntamento a Città del Messico per il prossimo incontro mondiale delle famiglie: il messaggio di speranza, pace e gioia lanciato da Benedetto XVI perchè tutti comprendano il ruolo insostituibile dell’alleanza matrimoniale per il bene dell’intera umanità

 

Benedetto XVI nomina padre Gianfranco Gardin nuovo segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La vittoria del gruppo: l’Italia conquista la sua quarta coppa del mondo battendo la Francia ai calci di rigore. Un bilancio sui mondiali 2006 in Germania  nel commento di mons. Aldo Giordano e di mons. Carlo Mazza

 

Entro la fine del 2007, la Bosnia avrà le forze armate unificate: è la decisione più importante per la riforma della difesa, dall'accordo di pace di Dayton che ha diviso il Paese in due entità. Ma restano altre riforme importanti da fare: con noi Giuseppe Bettoni

 

Tanti bambini vittime di diversi drammi in diversi Paesi del mondo: è quanto emerge dalle fotografie di Francesco Zizola in mostra a Roma nella particolare rassegna “Born somewhere – nato in qualche posto”. Intervista con l’autore

 

La Madonna di Pompei in Canada da oggi al 20 luglio: ce ne parla don Antonio Marrese

 

Il cinema e il mondiale di calcio, strumento di sensibilizzazione popolare su temi seri e importanti come l’Aids: accade in Mozambico, grazie al programma “Cinemarena” della cooperazione italiana, che proseguirà fino a tutto il 2007: con noi Fabrizio Falcone

 

CHIESA E SOCIETA’:

Filippine: al termine della 93.ma Assemblea plenaria i vescovi scrivono una lettera pastorale pronunciandosi sulla difesa dei diritti umani e dichiarando di non essere inclini ad un nuovo impeachment contro la presidente Arroyo

 

Amnesty International denuncia in un rapporto sul Giappone esecuzioni della pena capitale senza preavviso e dopo anni di dura detenzione

 

Corruzione e burocrazia rallentano i soccorsi: quasi metà dei villaggi di Java colpiti dal terremoto nel maggio scorso senza alcun aiuto

 

Si discute di migranti e sviluppo oggi e domani a Rabat, in Marocco

Diverse tribù di nomadi hanno festeggiato ieri a Gerano, in provincia di Roma, la loro patrona Sant’Anatolia

 

24 ORE NEL MONDO:

Strage nei cieli del Pakistan: tutti morti i 45 passeggeri dell’aereo precipitato stamane in una zona centrale del Paese

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

10 luglio 2006

 

 

DA VALENCIA APPUNTAMENTO A CITTA’ DEL MESSICO PER IL PROSSIMO INCONTRO

MONDIALE DELLE FAMIGLIE: IL MESSAGGIO DI SPERANZA, PACE E GIOIA LANCIATO

DA BENEDETTO XVI PERCHE’ TUTTI COMPRENDANO IL RUOLO INSOSTITUIBILE

DELL’ALLEANZA MATRIMONIALE PER IL BENE DELL’INTERA UMANITA’

- A cura di Roberta Gisotti -

 

Da Valencia, dove si è concluso ieri il V Incontro mondiale delle famiglie un messaggio di speranza, di pace, di gioia. La famiglia – ha detto Benedetto XVI è “un bene necessario per i popoli, un fondamento per la società”, “niente può supplirla totalmente”. Parole chiare, semplici, ferme quelle del Papa rivolte a tutti, compresi “i governanti ed i legislatori” perché comprendano “che l’Alleanza matrimoniale, per la quale l’uomo e la donna stabiliscono un vincolo permanente, è un grande bene per l’intera umanità”. Milioni e milioni di persone in ogni angolo della Terra hanno ascoltato la voce del Santo Padre levarsi da Valencia per infondere serenità e coraggio agli sposi, ai genitori, ai figli, ai nonni e pregare per il futuro delle famiglie, perché aumenti “l’amore e la fedeltà in tutti i matrimoni, specialmente in quelli che attraversano momenti di sofferenza o difficoltà”. Con quali sentimenti ripartire da Valencia? Davide Dionisi lo ha chiesto al cardinale spagnolo Julián Herranz, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi:

 

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R. - Dobbiamo essere sempre pieni di gioia, di sicurezza e di speranza, perché le istituzioni che sono naturali e sono aperte sempre al futuro, mai possono sparire. Invece il futuro non è molto buono per quelle istituzioni che sono innaturali.

 

D. – Come continuare a rendere ancora più fruttuosa l’esperienza maturata in questi giorni?

 

R. – Con questa pastorale delle famiglie di cui si è parlato molto per quanto riguarda l’ambito della Chiesa cattolica. Per quanto riguarda l’umanità come tale, credo sia una battaglia culturale molto importante, molto interessante ed anche affascinante. Può esserci una rinascita culturale e direi anche un recupero di libertà, perché ci sono intere società ed anche intere nazioni che sono oggi sotto l’influsso di lobby ideologiche che hanno nelle loro mani - perché sono poteri economici molto forti - dei media che condizionano la società e danno un’immagine di quella società che non corrisponde alla società. Questo succede in Italia, succede in Spagna, non mi sto inventando nazioni dell’altro mondo… Queste lobby danno delle immagini, fanno delle inchieste sociologiche, manipolate molte volte, che non corrispondono alla società. La società è molto più sana e le famiglie godono di uno stato di salute molto superiore a quello che non appare nelle fiction televisive dove ci sono delle famiglie disastrate, ma che non sono la maggioranza delle famiglie. La maggioranza delle famiglie avrà problemi economici, di salute. Ma sono problemi, quando si sanno affrontare, con i quali matura l’amore umano, perché c’è un amore forte tra i due coniugi.

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Dopo Valencia lo sguardo si volge a Città del Messico che ospiterà nel 2009 il VI Incontro mondiale delle famiglie. Un annuncio che è stato dato ieri da Benedetto XVI, alla presenza dell’arcivescovo della capitale mexicana, il cardinale Norberto Ribera, che è salito sull’altare per ringraziare personalmente il Santo Padre per aver fatto questa scelta. Molte le attese per questo raduno che si aprono sin d’ora in America Latina. Il servizio di Luis Badilla:

 

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Il cardinale Norberto Ribera, alla fine della Santa Messa, ha dichiarato alla catena radiofonica spagnola COPE che “l’intero popolo messicano, i cattolici e con loro i vescovi, sono molto emozionati per questa decisione del Papa” e, poi ha aggiunto: “Il modo migliore di ringraziare il Pontefice è quello di cominciare da subito il lavoro e la catechesi preparatoria per questo evento ecclesiale di così alta rilevanza sociale, spirituale, morale e pastorale”. Tale rilevanza, aggiungiamo noi, sarà ugualmente significativa fra 3 anni per l’intera America Latina, come oggi Valencia lo è stato per l’Europa e in passato le Filippine per l’Asia. Vale a dire, questi incontri, che mettono al centro della loro attenzione l’universalità, per così dire, della grande problematica familiare, consentono al tempo stesso di approfondire poi le dimensioni più regionali delle questioni familiari. Dunque questo pellegrinaggio riflessivo sulla famiglia, da oggi in poi, si prepara a far tappa nel continente americano, dove la crisi della famiglia - insieme con tutti gli aspetti che caratterizzano la disgregazione familiare nel mondo intero - presenta delle caratteristiche specifiche. Lo scorso 3 dicembre Benedetto XVI diceva ai presidenti delle Commissioni episcopali per la famiglia e per la vita dell’America Latina: "Desidero ringraziarvi in modo particolare per la vostra sollecitudine pastorale nell'intento di salvaguardare i valori fondamentali del matrimonio e della famiglia, minacciati dal fenomeno attuale della secolarizzazione, che impedisce alla coscienza sociale di scoprire adeguatamente l'identità e la missione dell'istituzione familiare, e ultimamente minacciati dalla pressione di leggi ingiuste che ignorano i suoi diritti fondamentali. Di fronte a questa situazione, osservo con piacere come cresce e si consolida l'opera delle Chiese particolari a favore di questa istituzione umana, che affonda le sue radici nel disegno amoroso di Dio e rappresenta il modello insostituibile per il bene comune dell'umanità".

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BENEDETTO XVI NOMINA PADRE GIANFRANCO GARDIN NUOVO

SEGRETARIO DELLA CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI

DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA.

SOSTITUISCE MONS. PIERGIORGIO SILVANO NESTI

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Il Papa ha accolto la rinuncia presentata, per raggiunti limiti di età, da mons. Piergiorgio Silvano Nesti all’incarico di segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ed ha nominato segretario della stessa Congregazione padre Gianfranco Gardin, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, elevandolo in pari tempo alla dignità di arcivescovo.

 

Nato a San Polo di Piave, in provincia di Treviso, 62 anni fa, padre Gardin è stato ordinato sacerdote nel 1970. E’ laureato in teologia morale. Dal 1995 al 2001 è stato Ministro Generale dell’Ordine. Nel 2000 è stato eletto presidente dell'Unione Superiori Generali. Dal 2005 è direttore generale del Messaggero di Sant’Antonio di cui è stato redattore dal 1978 al 1988.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Nel dettaglio il resoconto del viaggio apostolico di Benedetto XVI a Valencia, in Spagna, in occasione del quinto Incontro mondiale delle famiglie.

 

Servizio estero - In evidenza l'Iraq: Baghdad insanguinata dalle perduranti violenze settarie.

 

Servizio culturale - Un articolo di Danilo Mazzoleni dal titolo "Da Costantino l'impulso alle 'domus ecclesiae'": le origini degli edifici di culto dove si riunivano i cristiani dei primi secoli.

 

Servizio italiano - Sempre in rilievo il tema degli incidenti sul lavoro.

La notizia dell'Italia campione del mondo di calcio.  

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

10 luglio 2006

 

 

LA VITTORIA DEL GRUPPO: L’ITALIA CONQUISTA LA SUA QUARTA

 COPPA DEL MONDO BATTENDO LA FRANCIA AI CALCI DI RIGORE.

IL SUCCESSO DEGLI AZZURRI E UN BILANCIO SUI MONDIALI DI GERMANIA

NEL COMMENTO DI MONS. ALDO GIORDANO E MONS. CARLO MAZZA

 

Sono serviti i calci di rigore, ma alla fine la nazionale italiana ha prevalso sulla Francia aggiudicandosi così la sua quarta coppa del mondo. A Berlino, lo stadio era gremito di tifosi e di alte personalità: da Napolitano a Chirac, da Clinton a Thabo Mbeki presidente del Sud Africa, dove si disputeranno i prossimi Mondiali di calcio nel 2010. Zidane e Materazzi sono stati i realizzatori nei tempi regolamentari, poi la lotteria dei rigori che ha regalato all’Italia un trofeo che mancava dal 1982. Agli Azzurri di Lippi gli auguri anche della Commissione europea: secondo il suo portavoce Laitenberger i mondiali hanno trasmesso “l'immagine dell'Europa dei risultati”. La vittoria ha letteralmente mandato in visibilio l’intero Paese e non sono mancati, purtroppo, eccessi ed incidenti. Ma è stata soprattutto una lunga emozionante notte azzurra, come racconta Alessandro Gisotti:

 

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(INNO DI MAMELI)

 

Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! E’ il grido che, in questa notte magica, riecheggia nelle vie e nelle piazze d’Italia. Gli Azzurri di Marcello Lippi battono la Francia di Raymond Domenech ed esplode la gioia. Da Milano a Palermo è tutto uno sventolio di tricolori, strombazzar di clacson e trombette da stadio. Gli occhi attenti e i cuori palpitanti di oltre un miliardo di telespettatori hanno visto l’Italia compiere l’impresa dopo l’avvincente sfida ai rigori. Ad applaudire gli Azzurri all’Olympiastadium di Berlino anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano. Si rivivono dunque le emozioni di 24 anni fa quando Dino Zoff e compagni conquistarono la coppa in terra spagnola. Stavolta gli eroi si chiamano Buffon, Materazzi, Grosso, Cannavaro, Gattuso. Ma è soprattutto la vittoria del gruppo, del grande cuore azzurro. All’inizio dei Mondiali di Germania, in molti avevano pronosticato che l’Italia non sarebbe andata lontano. Il campo li ha smentiti clamorosamente. Brasiliani e argentini sono tornati a casa già da un pezzo. I francesi ci tornano ora. A mani vuote. L’Italia, invece, rientra in patria con la coppa del mondo, la quarta della sua storia. La festa è appena cominciata.

 

Da una Roma dipinta d’azzurro, Alessandro Gisotti, Radio Vaticana

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         E la festa continua perché gli Azzurri alle ore 19,30 saranno ricevuti a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio, Romano Prodi. Poi li aspetta il bagno di folla a Circo Massimo dove la Nazionale italiana riceverà l’abbraccio di migliaia di tifosi. Dall’allenatore Lippi al presidente Napolitano tutti hanno messo l’accento sullo spirito di gruppo dell’Italia campione del mondo. Una coesione sottolineata anche da mons. Carlo Mazza, responsabile dell’ufficio sport della CEI, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R. - In sé questo gruppo ha dimostrato veramente la sua grandezza proprio perché è un gruppo coeso, è un gruppo che mette in pratica il motto “uno per tutti, tutti per uno”. E questo dice bene anche il senso del risultato finale: si arriva sempre, a questi grandi risultati, se c’è questa coesione profonda, di intenti, di indirizzo e di obiettivi.

 

D. – Il presidente della Repubblica italiana, Napolitano, ha messo l’accento su questo elemento unificante della vittoria dell’Italia ai Mondiali. Come è possibile che uno sport riesca dove a volte anche la politica, la cultura, non riescono ad arrivare?

 

R.-  Perché lo sport ha queste energie supplementari! Il nostro presidente ha fatto molto bene a sottolineare questi aspetti che sono poi di ordine dinamico. Guardando avanti rispetto ai bisogni, alle necessità del nostro Paese è necessario all’Italia avere questa mentalità: la cultura dell’unità, dell’essere insieme. Credo che sia molto importante accogliere questo insegnamento dell’unità che vince.

 

D. - In una partita di grandi emozioni, davvero di grande tensione, una macchia, ovvero questa reazione scomposta di Zidane, probabilmente provocata verbalmente dall’azzurro Materazzi. Che cosa si deve fare ancora per promuovere la cultura del fair play?

 

R. – Dobbiamo rafforzare il nostro auto-controllo, personale e di gruppo: esser capaci di passare sopra, di passare oltre quelle che possono essere offese, per poter in qualche modo raggiungere le mete, gli obiettivi, possibilmente nella pacificazione. Occorre che il nostro animo sia pacificato!

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“Una delle migliori edizioni dei Mondiali mai organizzate”. E’ il commento del segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che ieri era allo stadio di Berlino per la finale. In questi Mondiali si è registrato anche un impegno particolare della Chiesa che ha colto l’occasione di un grande evento sportivo per promuovere il dialogo tra i popoli e lo spirito di accoglienza. Ecco la riflessione di mons. Aldo Giordano, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, intervistato da Luca Collodi:

 

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D. - Ho visto che il desiderio delle chiese che questo evento del Campionato fosse una festa di popoli in realtà è avvenuto, c’è un bilancio positivo. C’è stato un grande coinvolgimento in ogni angolo della terra; ci ha sorpreso, per esempio, il coinvolgimento perfino della Cina. Anche l’atmosfera che si è creata in Germania è stata assolutamente un’atmosfera molto positiva. Mi hanno detto amici tedeschi che, forse per la prima volta dopo la guerra, la Germania si è sentita libera di affermare il proprio patriottismo senza evocare pagine molto tristi della storia.

 

D. – Ampio l’impegno della Chiesa tedesca per il Mondiale. Che bilancio possiamo trarre?

 

R. - Ho sentito dai vescovi tedeschi e dal presidente della conferenza, il cardinale Lehmann, che hanno fatto un bilancio positivo. Innanzitutto ci sono stati degli eventi, tipo la festa dei popoli di inizio Campionato o la celebrazione ecumenica, che hanno avuto una grande partecipazione fino a 20 o 30 mila persone e lì subito si è respirato il desiderio di fare, appunto, di questo evento, un incontro tra le diverse culture e le diverse religioni. Un secondo aspetto è stato quello ecumenico. Ci sono state molte iniziative ecumeniche e c’è stato anche tutto uno sforzo di assistenza pastorale. Chi è andato in Germania è stato colpito dall’ospitalità. I vescovi tedeschi avevano molto insistito che doveva essere un’esperienza di accoglienza e di ospitalità e questo è avvenuto.

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ENTRO LA FINE DEL 2007, LA BOSNIA AVRÀ LE FORZE ARMATE UNIFICATE:

E’ LA DECISIONE PIÙ IMPORTANTE PER LA RIFORMA DELLA DIFESA, DALL'ACCORDO

DI PACE DI DAYTON CHE HA DIVISO IL PAESE IN DUE ENTITA’.

MA RESTANO ALTRE RIFORME IMPORTANTI DA FARE

- Intervista con Giuseppe Bettoni -

 

Entro la fine del 2007, la Bosnia avrà le forze armate unificate, attualmente divise su base etnica sotto un comando congiunto. In base all’accordo raggiunto in questi giorni dalla presidenza tripartita, ci saranno tre brigate multinazionali per un totale di 16.000 unità. I 2000 militari eccedenti nei prossimi tre anni saranno reinseriti nella vita civile con il sostegno finanziario della Nato. Si tratta della decisione più importante per la riforma della Difesa, dall'accordo di pace di Dayton che nel 1995 ha messo fine a tre anni e mezzo di guerra, dividendo il Paese in due entità, la Federazione Bh (a maggioranza croato musulmana) e la Republika Srpska (Rs, a maggioranza serba. Ma oltre alla riforma della Difesa, quali altre riforme attendono la Bosnia? Fausta Speranza ne ha parlato con Giuseppe Bettoni docente di geopolitica all’Università Tor Vergata di Roma:

 

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R. - L’unificazione del comando militare è sicuramente un buon segno, ma non deve farci pensare che tutto vada nella migliore delle direzioni. Resta da dire, leggendo la cosa al contrario, che ci sono voluti ben 11 anni dagli accordi di Dayton del ’95 per arrivare a questo punto. Le due entità che danno vita alla Bosnia restano da un punto di vista etnico molto molto separate. I serbi sono da una parte, i bosniaci e i musulmani sono dall’altra parte. Restano da fare una gran quantità di riforme. La grande perplessità è che 11 anni non sono serviti ancora ad unificare tutta la struttura ministeriale, tutta la struttura di controllo, tutta la struttura dell’educazione e così via. Potremmo addirittura andare oltre nella riflessione critica aggiungendo che il controllo militare sia stato fatto veramente perché la NATO o la comunità internazionale premeva prima di tutto in quella direzione. Da qui a dire che abbiamo realizzato la Bosnia Erzegovina come Stato veramente in tutti i sensi credo che occorrerà ancora del tempo.

 

D. - Proprio la Bosnia è stato il terreno della guerra e dunque è proprio l’elemento chiave per tutti i Balcani…

 

R.- Rappresenta l’elemento più importante, il progetto bandiera, se così possiamo definirlo, di tutta una serie di altri piccoli progetti. Per esempio fino a che la popolazione bosniaca resterà così separata, 100% dei serbi da una parte e gli altri da un’altra, ci sarà un problema.  Oltre tutto, la questione montenegrina e la questione kosovara ne dipendono. Allargando lo sguardo, consideriamo che la Russia è molta attenta al rispetto degli slavi, dei serbi, per appartenenza slava, rispetto alla comunità musulmana, oltre al fatto che non intende riconoscere ai musulmani alcun tipo di diritto, perché questo automaticamente rappresenterebbe un riconoscimento de facto della comunità musulmana della Cecenia. Quindi la questione bosniaca è più che simbolica. Lo è stato per il Montenegro lo sarà ancora per il Kosovo e chi lo sa per la comunità albanofona di Macedonia. Quindi, più che mai, gli occhi devono essere puntati sulla questione bosniaca. Se la Bosnia esplode rischiamo veramente un effetto domino devastante che darebbe vita ad una quantità non indifferente di microstati.

 

D. - Guardando in prospettiva, i Balcani sono dentro l’Unione Europea ma è una prospettiva molto lunga…

 

R. - Sicuramente sì. Salvo strategie politiche diverse, sicuramente sarà una strategia di lungo periodo. Immaginare oggi la Bosnia Erzegovina all’interno dell’Unione Europea sembra quasi un sogno. Fino ad oggi possiamo pensare all’ingresso della Croazia all’interno dell’Unione Europea. Per il resto bisognerà veramente stare in attesa che questa situazione possa stabilizzarsi e non vale solamente per la Bosnia Erzegovina ma anche per il Montenegro.

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TANTI BAMBINI VITTIME DI DIVERSI DRAMMI IN DIVERSI PAESI DEL MONDO:

E’ QUANTO EMERGE DALLE FOTOGRAFIE DI FRANCESCO ZIZOLA IN MOSTRA A ROMA

NELLA PARTICOLARE RASSEGNA “BORN SOMEWHERE – NATO IN QUALCHE POSTO”

- Intervista con l’autore -

 

Decimati dalle guerre, resi orfani dall’Aids o vittime dello sfruttamento: sono i bambini protagonisti delle fotografie di Francesco Zizola, esposte a Roma fino al 24 settembre. Intitolata “Born somewhere – Nato in qualche posto”, la mostra vuole dar voce ai tanti minori che avrebbero urgente bisogno di aiuto in Paesi martoriati, come l’Angola, il Sudan o l’Iraq. Ma del significato di questi scatti, al microfono di Isabella Piro, parla l’autore stesso, Francesco Zizola:

 

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R. – Pongono questioni, pongono domande e la domanda principale è sul futuro. E’ una domanda che si chiude naturalmente con un punto interrogativo e simbolicamente anche una richiesta di certezze e di maggiore giustizia.

 

D. – Perché la scelta del bianco e nero?

 

R. – Il bianco e nero aiuta a intraprendere anche una seconda lettura, quella in cui ci si allontana leggermente dalla realtà per occupare un territorio, quello dell’immaginazione e dell’emozione, che può aiutare ad avvicinare realtà anche molto lontane.

 

D. – In tredici anni di lavoro, in 30 diversi Paesi, lei ha fotografato moltissimi bambini. Con quale criterio allora ha scelto i 90 scatti esposti nella mostra?

 

R. – Io privilegio le fotografie colte di sorpresa, quelle che fanno vedere quegli aspetti della loro vita in cui la presenza del fotografo è ininfluente. Poi ci sono altre fotografie, dove i drammi sono sempre ineludibili - drammi pesanti, forti e intensi che questi bambini sono costretti a vivere – ma dove la presenza del fotografo è quasi interpellata: si sente nello sguardo del bambino, dentro l’obiettivo, una richiesta d’aiuto.

 

D. – Cosa l’ha segnata maggiormente di questa esperienza?

 

R. – Una frase di un bambino che ho incontrato durante uno dei miei primi reportage in Brasile, un bambino di strada, che fece l’invito di continuare a fotografare lui piuttosto che altri e aggiunse: “Perché io sono come una foglia al vento. Oggi sono qui, domani potrei non esserci più”.

 

D. – Il suo compito come fotografo, quindi, qual è?

 

R. – A questi bambini cerco di restituire una dignità, che troppo spesso viene a loro negata.    

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LA MADONNA DI POMPEI IN CANADA DA OGGI AL 20 LUGLIO.

IL VESCOVO LIBERATI INCONTRERÀ GLI ITALIANI RESIDENTI

NEL PAESE NORDAMERICANO

- Intervista con don Antonio Marrese -

 

E’ grande l’attesa nelle regioni canadesi del Quebec e dell’Ontario per l’inizio oggi della Missione Mariana del Rosario che proseguirà fino al 20 di questo mese. Dell’iniziativa Giovanni Peduto ha parlato con don Antonio Marrese della Prelatura di Pompei, delegato per le missioni:

 

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R. - L’icona della Madonna di Pompei (copia dell’originale) già l’anno scorso è stata portata pellegrina in Australia, dove ha avuto una grande accoglienza: basti pensare che alla celebrazione conclusiva nello stadio del Club Marconi di Sidney c’erano più di quindicimila persone. Questa volta in Canada visiterà sei parrocchie dello sterminato Paese nordamericano. La delegazione, guidata dal vescovo-prelato e delegato pontificio di Pompei, mons. Carlo Liberati, é formata da due sacerdoti, un missionario ardorino, un diacono, due suore domenicane ‘Figlie del Santo Rosario di Pompei’, fondate dal Beato Bartolo Longo; otto giovani laici, tra cui due ragazze, che hanno già partecipato alle analoghe Missioni svoltesi in Italia. Assieme ai parroci e alle autorità locali abbiamo predisposto un programma molto dettagliato per permettere alle centinaia di migliaia di devoti della Madonna di Pompei, presenti in Canada, di pregare ai piedi della Vergine del Rosario. A questo scopo abbiamo contattato tutte le associazioni di italo-canadesi e gli organi di informazione del Paese nordamericano.

 

D. – Qual è la finalità di questa iniziativa?

 

R. - La visita, nata a seguito dell’ospitalità da noi offerta ai giovani canadesi in viaggio verso Colonia nell’estate 2005, vuole essere un segno di attenzione e benevolenza del Santuario di Pompei verso quanti da decenni sono ad esso legati e soprattutto nutrono una devozione filiale verso la Santa Vergine. Sarà un momento storico nel quale tutti coloro che nei decenni scorsi per motivi di lavoro sono emigrati in Canada potranno ricevere questo segno di predilezione. Tra loro anche le oltre 4.000 famiglie che ricevono regolarmente la rivista del Santuario “Il Rosario e la Nuova Pompei”.

 

D. – Con quali sentimenti i devoti canadesi aspettano lo svolgimento della Missione?

 

R. – Se ne è fatto interprete padre Vito Marziliano, del Comitato organizzatore, che ha scritto a mons. Liberati: “È con grande gioia e forte emozione che i fedeli di Toronto e di Montreal attendono l’arrivo del quadro della Vergine di Pompei. È l’arrivo della Mamma nella casa dei figli radunati come nel Cenacolo, per ricevere da Lei il conforto, la pace, l’amore e la forza di continuare il cammino, sorretti dalla forza dello Spirito, nella sequela del Figlio. Non c’è famiglia italiana residente in Canada che non abbia in qualche modo un’immagine della Madonna di Pompei nella propria casa. O un quadro, o un’immaginetta, o una medaglia… Ovunque troneggia Maria, che assieme a suo figlio Gesù dispensa le sue grazie. Raccolte in preghiera, le comunità cristiane di Toronto e Montreal aspettano con fede ed entusiasmo l’arrivo di Maria”.

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IL CINEMA E IL MONDIALE DI CALCIO, STRUMENTO DI SENSIBILIZZAZIONE

POPOLARE SU TEMI SERI E IMPORTANTI COME L’AIDS: ACCADE

IN MOZAMBICO, GRAZIE AL PROGRAMMA “CINEMARENA”

DELLA COOPERAZIONE ITALIANA, CHE PROSEGUIRÀ FINO A TUTTO IL 2007

- Intervista con Fabrizio Falcone -

 

Il cinema come veicolo di sensibilizzazione popolare sulla problematica dell’AIDS e di altre malattie infettive: è quanto sta accadendo in Mozambico tramite il programma “Cinemarena” della cooperazione italiana, che proseguirà fino a tutto il 2007. Tutte le sere in ogni villaggio vengono radunate davanti allo schermo centinaia di famiglie per assistere alla proiezione di film, e da un mese, anche al campionato mondiale di calcio. Al microfono di Paolo Millefiorini spiega i particolari dell’iniziativa il coordinatore della spedizione, Fabrizio Falcone:

 

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R. – In Africa esiste un problema reale, molto forte, che è quello di riuscire a comunicare con le popolazioni locali. E sembra che il cinema sia uno strumento talmente forte e talmente magnetico che riesca a superare questa barriera di diffidenza nei confronti di messaggi che arrivano da persone che sono al di fuori del territorio e della realtà locale.

 

D. – Quali sono i risultati ottenuti finora dal vostro programma?

 

R. – Il miglioramento della conoscenza sulla malattia del 30-35 per cento. Chiaramente parliamo soltanto di miglioria a livello cognitivo e non di cambiamento comportamentale, perché purtroppo questo è un aspetto più complicato. In ogni caso, c’è ovviamente ancora da lavorare moltissimo.

 

D. – Come è nata l’idea di proiettare anche le partite del Mondiale di calcio?

 

R. – Il calcio in Mozambico è uno sport molto conosciuto: tutti i villaggi hanno un campo di calcio, ma non hanno palloni per poter giocare. Tutti sono informati attraverso le radioline, solo che non hanno mai visto una partita trasmessa in televisione. Noi abbiamo trasformato, quindi, l’idea fantastica di una partita ascoltata alla radio in un concetto reale, perché l’hanno potuta vedere dal vivo. La gente è, quindi, attirata dalla proiezione del Mondiale di calcio, permettendoci così di fargli ricevere le informazioni sanitarie e in questo caso relative all’AIDS.

 

D. – Qual è l’auspicio che riponete nel messaggio da trasmettere?

 

R. – Se il Mozambico sogna un giorno di arrivare ai Mondiali di Calcio, ha bisogno di un popolo sano e libero dall’AIDS. In ogni caso il messaggio molto chiaro che noi lanciamo rappresenta un tentativo di spingere il popolo mozambicano verso una cultura un po’ più seria nei confronti dei rapporti di coppia.

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CHIESA E SOCIETA’

10 luglio 2006

 

 

FILIPPINE: AL TERMINE DELLA 93.MA ASSEMBLEA PLENARIA I VESCOVI SCRIVONO

UNA LETTERA PASTORALE PRONUNCIANDOSI SULLA DIFESA DEI DIRITTI UMANI

E DICHIARANDO DI NON ESSERE INCLINI AD UN NUOVO IMPEACHMENT

CONTRO LA PRESIDENTE ARROYO

 

MANILA. = In una lettera pastorale pubblicata oggi, la Conferenza episcopale delle Filippine sostiene di non essere “incline, al momento, a sostenere un nuovo procedimento di messa in stato d’accusa nei confronti della presidente Gloria Macapagal Arroyo”. Il pronunciamento dei vescovi, riferisce l’agenzia AsiaNews, è giunto al termine della 93ma Assemblea plenaria guidata dall’arcivescovo di Jaro mons. Angel Lagdameo. Il documento si inserisce in una situazione politica di nuovo in agitazione: sta per scadere il termine di un anno previsto dalla legge per consentire all’opposizione di mettere di nuovo in stato d’accusa la massima autorità del Paese. Il primo impeachment è nato alla fine di giugno dello scorso anno, quando alcuni parlamentari di sinistra hanno accusato il marito, il figlio e il cognato della Arroyo di avere ricevuto soldi da organizzazioni clandestine di giocatori d’azzardo. La presidente stessa è stata accusata di brogli nelle elezioni presidenziali del 2004. Dopo la presentazione della prima istanza,  il marito ed il figlio della Arroyo si sono auto-esiliati “per garantire la tranquillità della nazione”. I vescovi dicono di rispettare la posizione dei singoli o dei gruppi che vogliono continuare ad usare l’impeachment per arrivare alla verità”, ma aggiungono che se il processo e le sue regole e se tutte le parti in causa, pro o contro, non sono guidate da una genuina preoccupazione per il bene comune, questo strumento diviene solo un inutile esercizio che peggiora la percezione della popolazione nei confronti delle forze politiche nazionali. I presuli aggiungono inoltre che “non dovrebbe essere messa da parte con leggerezza” la possibilità di chiedere le dimissioni o incriminare i membri della Commissione elettorale accusati di corruzione. Chiedono inoltre una “riforma completa” dello stesso organismo, l’unico modo per “ristabilire la fiducia di tutti nei confronti del processo elettorale”. I presuli si sono anche pronunciati sulla “difesa dei diritti dell’uomo, che dovrebbe essere imparziale e viene invece messa a dura prova dall’atteggiamento di entrambi i protagonisti della guerriglia nel sud del Paese, l’esercito ed i ribelli”. “Ci uniamo ai gruppi che denunciano l’aumento del numero degli omicidi extragiudiziari – scrivono i vescovi – e non possiamo chiudere gli occhi su avvenimenti che danneggiano la nostra nazione e vanno condannati”. (T.C.)

 

 

 

 

AMNESTY INTERNATIONAL DENUNCIA IN UN RAPPORTO SUL GIAPPONE ESECUZIONI

DELLA PENA CAPITALE SENZA PREAVVISO E DOPO ANNI DI DURA DETENZIONE

 

ROMA. = In un rapporto pubblicato nei giorni scorsi, secondo Amnesty International, ci sono prigionieri anziani e con disturbi mentali tra coloro che attendono decenni nei bracci della morte del Giappone, prima dell’esecuzione della pena capitale. Le loro condanne sono spesso emesse al termine di processi iniqui, basati su ‘confessioni’ di crimini mai commessi e rese dopo interrogatori estenuanti, minacce e violenze intitolato‘Sarà il mio ultimo giorno?’, il documento di Amnesty afferma che il Giappone è uno dei pochi Paesi industrializzati che ancora compie omicidi di Stato e che abolendo la pena capitale invece darebbe un segnale di leadership nella regione Asia-Pacifico, che non sta procedendo al passo con la tendenza globale verso l’abolizione. A giugno la pena di morte è stata abolita nelle Filippine, mentre segnali positivi si registrano nella Corea del Sud, dove il parlamento sta esaminando una proposta di legge abolizionista. “Come primo passo, chiediamo al governo giapponese di porre fine al segreto che attualmente avvolge l’applicazione della pena di morte – scrive Amnesty International – le autorità di Tokyo non possono giustificare questa pena inumana
trincerandosi dietro l’opinione pubblica, quando di fatto nascondono la realtà della pena di morte, ostacolando in questo modo il dibattito nella società civile”. In Giappone non vi sono mai proteste di fronte alle prigioni il giorno di un’esecuzione, si legge ancora nel documento, poiché questo è noto solo alle autorità. Il prigioniero viene informato solo la mattina del giorno in cui verrà ucciso. In alcuni casi, non c’è neanche questo preavviso. Tale segretezza significa che i prigionieri vivono, in isolamento e sotto un regime carcerario durissimo, nella costante paura di essere messi a morte. Le procedure legali, inoltre, sono talmente lente che gli appelli durano decenni e i prigionieri trascorrono anni in attesa dell’esecuzione. Nei bracci della morte del Giappone si troverebbero attualmente 87 prigionieri. L’ultima esecuzione ha avuto luogo il 16 settembre dello scorso anno, quando Kitagawa Susumu è stato impiccato per aver commesso due omicidi. Le esecuzioni dal 2000 sono state 11, tutte tramite impiccagione. (T.C.)

 

 

SENZA ALCUN AIUTO QUASI META’ DEI VILLAGGI DI JAVA COLPITI DAL TERREMOTO NEL MAGGIO SCORSO. CORRUZIONE E BUROCRAZIA RALLENTANO I SOCCORSI

 

WEDI. = Nessun programma di soccorso per quasi metà dei villaggi di Java, in Indonesia, colpiti dal terremoto del 27 maggio scorso. Il governo locale, riferisce l’agenzia Asianews, non ha ancora studiato piani per 158 dei 386 villaggi devastati dal sisma nei sottodistretti di Wedi e Gantiwarno. Corruzione e una burocrazia macchinosa ostacolano la distribuzione degli aiuti economici promessi dal governo alle vittime. Dopo oltre un mese dal disastro, i terremotati vivono ancora in tende provvisorie e denunciano i forti ritardi sulle consegne dei pacchetti di aiuti governativi. Subito dopo il sisma, il vice presidente indonesiano Jusuf Kalla aveva promesso di distribuire denaro e beni per la sussistenza quotidiana, ma migliaia di sfollati dicono di essere ancora in attesa. Il piano di Jakarta prevede la consegna di 2.500 dollari per la riparazione delle case, l’acquisto di 10 Kg di riso e un sussidio di 8 dollari al mese per ogni famiglia. La scorsa settimana circa 200 senza tetto provenienti da diversi villaggi hanno protestato nel centro di Klaten affermando di sentirsi “dimenticati” e sopraffatti dall’incertezza del futuro. Intanto un gruppo di volontari sta distribuendo aiuti a diversi senza tetto che ricevono assistenza grazie alla campagna di intervento promossa dalla parrocchia Santa Vergine Maria, Madre di Dio, di Wedi. “Al momento – dice il parroco, padre Francio Xavier Supriyono – stiamo distribuendo cemento e legno per ricostruire case, come anche cibo; la gente è felice ed è un continuo ringraziarci”. (T.C.)

 

 

SI DISCUTE DI MIGRANTI E SVILUPPO OGGI E DOMANI A RABAT, IN MAROCCO.

CINQUANTASETTE I PAESI CHE PRENDONO PARTE AD UNA CONFERENZA

PER ADOTTARE SOLUZIONI PER I PROBLEMI LEGATI AL FENOMENO MIGRATORIO

 

RABAT. = Adottare una strategia globale per fare fronte all’immigrazione clandestina: è questo l’obiettivo della Conferenza ministeriale euro-africana sulla migrazione e lo sviluppo, che si apre oggi a Rabat, la capitale del Marocco. I 57 Paesi presenti (30 europei e 27 africani), scrive l’agenzia MISNA, cercheranno di trovare una soluzione alle radici del fenomeno migratorio, a cominciare dalla povertà che spinge centinaia di migliaia di persone ogni anno a lasciare le loro case, con gravi rischi personali, per cercare illegalmente migliori condizioni di vita in Europa. È la prima volta che un’iniziativa internazionale riunisce tutti i Paesi di partenza, transito e arrivo dell’area euro-africana, seppure con una significativa assenza. Alla conferenza non partecipa infatti l’Algeria, che ha giustificato la sua scelta protestando per il fatto che l’appuntamento è stato organizzato da Francia, Spagna e Marocco e non dall’Unione africana. Secondo Algeri, l’UA sarebbe l’unica istituzione autorizzata ad organizzare una conferenza sull’emigrazione dall’Africa. Secondo alcune fonti, Algeri potrebbe aver preferito evitare il confronto con Rabat, che da tempo accusa l’Algeria di non controllare adeguatamente le sue frontiere. Attraverso queste ultime, ogni anno, decine di migliaia di migranti clandestini giungono in Marocco, da dove poi tentano di imbarcarsi per l’Europa. (T.C.)

 

 

DIVERSE TRIBU’ DI NOMADI HANNO FESTEGGIATO IERI A GERANO,

IN PROVINCIA DI ROMA, LA LORO PATRONA SANT’ANATOLIA.

IL CULTO ALLA SANTA RISALIREBBE AL X SECOLO

 

ROMA. = Per festeggiare la loro patrona Sant’Anatolia, tribù di nomadi provenienti da ogni parte d’Italia e dall’estero si sono ritrovate ieri a Gerano, in provincia di Roma, nella Valle del Giovenzano. La morte della giovane martire cristiana risale al 9 luglio del 251 d.C., a Tora in Sabina, in provincia di Rieti. A Gerano, nella piccola chiesa rurale del IX secolo, dedicata proprio alla santa, i nomadi, vestiti con i loro caratteristici costumi, hanno reso omaggio all’immagine della loro patrona, partecipando poi ad un solenne rito religioso. Secondo la tradizione, risalirebbe all’anno 932 dopo Cristo il culto dei nomadi per Sant’Anatolia, quando cioè fu deciso di trasportarne il corpo da Tora in Sabina al monastero di Santa Scolastica, a Subiaco. Sarebbero stati proprio il lungo tragitto e le ripetute soste del corteo al seguito del feretro, a dar vita al culto dei nomadi per la santa, poi scelta come patrona. (T.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

10 luglio 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

        

Strage nei cieli del Pakistan. Un aereo della compagnia Pakistan international airlines (PIA) si è schiantato stamani subito dopo il decollo dall’aeroporto di Multan, nella zona centrale del Paese. Tutte le 45 persone a bordo sono morte. Alle operazioni di soccorso prendono parte militari dell’esercito pakistano, lavoratori dell’Autorità per l’aviazione civile e quelli dell’associazione umanitaria Edhi. Per la polizia locale l’incidente sarebbe stato causato da “ragioni tecniche”. L’aereo era diretto a Lahore.

 

Israele non negozierà uno scambio di prigionieri con Hamas: nella Striscia di Gaza le operazioni continueranno quindi ad oltranza. E’ quanto ribadito dallo Stato ebraico che oggi ha condotto l’ennesimo raid nell’area, provocando la morte due miliziani palestinesi. Dal canto suo, il presidente palestinese, Abu Mazen, ha inviato due suoi emissari a Damasco per convincere Khaled Meshaal, il leader di Hamas all’estero, ad intervenire nella liberazione del soldato israeliano. Intanto, dopo le Nazioni Unite, anche l’Unione Europea, preoccupata per la situazione dei civili palestinesi, ha chiesto ad Israele di permettere l’intervento umanitario. Il premier israeliano Olmert ha invece respinto le critiche di Bruxelles per la “sproporzionata” reazione militare impiegata contro i palestinesi.

 

In Iraq gli attentati continuano incessantemente. All’indomani della sanguinosa strage che ha provocato la morte di 42 sciiti, oggi almeno 10 persone sono morte in due diverse esplosioni nel quartiere sciita di Sadr City, a Baghdad. Sempre nella capitale, è di quattro vittime il bilancio dell’esplosione di una bomba nei pressi della Banca centrale irachena. Altre quattro persone sono morte anche a Kirkuk, nel nord del Paese. Intanto, stamani è ripreso il processo contro Saddam Hussein e altri sette coimputati per la strage di Dujail. L’udienza è stata boicottata da Saddam e da gran parte degli avvocati della difesa, che, dopo l’uccisione di tre loro colleghi, protestano per la scarsa protezione fornita dalle forze di sicurezza.

 

La violenza non conosce sosta neanche in Afghanistan. Più di quaranta ribelli sono stati uccisi oggi in seguito ad una vasta operazione condotta dalle forze di coalizione internazionale, nel sud del Paese. Intanto, secondo la stampa britannica, Londra annuncerà nelle prossime ore il rafforzamento del contingente militare nel Paese asiatico.

 

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU sarà chiamato in giornata a votare su una risoluzione di condanna della Corea del Nord per i suoi esperimenti missilistici della settimana scorsa. Lo ha annunciato l’agenzia giapponese ‘Kyodo’, precisando che la Cina, contraria a sanzioni, è impegnata sul fronte diplomatico per convincere la Corea del Nord ad aderire al tavolo delle trattative. Da parte sua, il premier nipponico, Koizumi, ha precisato che il Giappone non ha alcuna intenzione di insistere per un’immediata risoluzione di condanna. Questa decisione, che incontra il favore della Cina, attenua le istanze manifestate in questi giorni.

 

Il nuovo premier di Timor Est è ufficialmente il premio Nobel per la Pace Josè Ramos-Horta. Il volto della lotta per l’indipendenza dall’Indonesia ha, infatti, giurato nel Palazzo Presidenziale. Ma la sua nomina lascia alcune questioni insolute, come conferma al microfono di Salvatore Sabatino, Emanuele Giordana, dell’agenzia stampa “Lettera 22”:

 

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R. – Ramos Horta viene indicato come primo ministro, non esprime il partito di maggioranza che è il Fretilin, di cui era invece espressione  Mari Alkatiri, che si è dimesso  dopo un lungo braccio di ferro sia con Horta che con il presidente Gusmao e che era stato eletto in maniera - qualcuno dice quasi bulgara -  dal partito della guerriglia. Ci sono una serie di dissidi interni direi di visione del mondo: tra l’asse Horta-Gusmao e gli uomini che si stringono attorno ad Alkatiri sul destino delle risorse, soprattutto energetiche, di Timor Est. Quella di Horta-Gusmao è giudicata una linea diciamo filo-occidentale, quella di Mari Alkatiri più aperta ad altri soggetti, ad esempio la Cina ma anche l’italiana ENI e anche società di altri Paesi.

 

D.- Ma questo incarico potrebbe porre fine alla crisi politica e all’ondata di violenza che ha scosso il Paese per diverse settimane?

 

R. – C’è naturalmente questo desiderio da tutte le parti, dalle varie anime del Paese, dalla comunità internazionale, ma finché non andremo alle elezioni, cioè finché il popolo direttamente non potrà esprimersi, in realtà non sapremo se la crisi è definitivamente chiusa. Certo, con la nomina di Horta si risolve la crisi istituzionale di questi giorni e questo è sicuramente importante.

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Un guasto al sistema dei freni. Questa la causa più accreditata dell’incidente aereo di ieri in Siberia. Sono 140 le vittime accertate, e non 150 come si affermava nelle prime notizie. Secondo i dati della Protezione civile locale, i sopravvissuti sono 68, 53 dei quali sono rimasti feriti. Tra i 193 passeggeri anche 14 bambini, diretti ad una vacanza nella regione del lago Baikal. Otto di loro sono morti.

 

Come annunciato in questi giorni, il premier polacco, Kazimierz Marcinkiewicz, oggi rassegna ufficialmente le sue dimissioni nelle mani del presidente, Lech Kaczynski. La decisione di Marcinkiewicz sarebbe maturata in seguito alle crescenti tensioni con il partito di maggioranza relativa Diritto e Giustizia (PiS). Non è ancora chiaro quando il parlamento sarà chiamato a votare la nomina del nuovo premier. Tuttavia, il consiglio politico del PIS ha già dato il via libera alla proposta di affidare l’incarico di primo ministro al presidente del partito, Jaroslaw Kaczynski, fratello gemello del capo dello Stato. Jaroslaw Kaczynski nei giorni scorsi ha fatto sapere che se verrà confermato  come primo ministro cederà il posto di sindaco di Varsavia a Marcinkiewicz.

 

L’Iran auspica maggiori scambi commerciali con l’Italia. E’ quanto ribadito dal capo negoziatore iraniano sul nucleare, Ali Larijani, che oggi a Roma incontra il capo della  Farnesina, Massimo D’Alema e il presidente del consiglio, Romano Prodi. “Le consultazioni con l’Italia - ha aggiunto il diplomatico iraniano - sono molto importanti per l’Iran, su argomenti bilaterali, regionali e internazionali”.

 

 

 

 

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