RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 178 - Testo
della trasmissione di martedì 27 giugno 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Sono
500 mila gli immigrati irregolari in Italia: lo afferma il rapporto Caritas-Migrantes
In
corso a New York la Conferenza ONU per la lotta al traffico illecito di armi
leggere
In Italia, schiacciante la vittoria del ‘no’ al referendum sulla riforma costituzionale
27 giugno 2006
BENEDETTO
XVI CONCEDE L’INDULGENZA PLENARIA IN OCCASIONE
DEL V
INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE, IN PROGRAMMA A VALENCIA,
DAL
PRIMO AL NOVE LUGLIO PROSSIMI
- A
cura di Alessandro Gisotti -
In
occasione del V Incontro Mondiale delle Famiglie, in programma a Valencia - dal
primo al 9 luglio – il Papa ha stabilito di concedere il dono dell'Indulgenza
plenaria ai fedeli nutrendo il vivo desiderio che vi accorrano numerosi da ogni
parte del mondo. E’ quanto si legge in un decreto a firma del Penitenziere
Maggiore, cardinale James Francis Stafford.
Il Pontefice, che concluderà l’evento in terra iberica, auspica che i fedeli
“possano partecipare con fervore e attenzione alle varie iniziative e
celebrazioni religiose che vi si svolgeranno in favore della
famiglia e, una volta tornati alle proprie case fortificati dalla grazia
di Dio, si dedichino generosamente a conformare le loro famiglie e quelle del
loro prossimo alle sante regole del Vangelo”.
Il
Pontefice, si legge nel decreto, ribadisce inoltre che “la famiglia, sede della
vita e dell'amore” sia “chiesa domestica, nella quale
dai genitori è trasmesso ai figli il dono inestimabile della fede”. Il
Pontefice concede, dunque, ai fedeli l'Indulgenza
plenaria, da ottenersi alle solite condizioni (Confessione sacramentale,
Comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni dello stesso Sommo
Pontefice), “con l'animo distaccato da qualsiasi peccato, se devotamente
parteciperanno a qualche solenne celebrazione, a Valencia”.
Tutti gli
altri fedeli che non potranno partecipare a tale evento, si legge ancora nel
documento, “otterranno lo stesso dono
dell'Indulgenza plenaria, alle medesime condizioni, nei giorni in cui esso
si svolge e nel suo giorno conclusivo, se, uniti con lo spirito e con il pensiero
ai fedeli presenti a Valencia reciteranno
in famiglia il Padre Nostro, il Credo e altre devote orazioni”. Nel decreto, si ricorda inoltre come Giovanni
Paolo II abbia stabilito che si celebrasse un Congresso dedicato alla famiglia
ogni tre anni, soprattutto mosso “dalla preoccupazione pastorale che quell’argomento venisse illustrato
mediante studi approfonditi, e l'istituto dell'umana famiglia fosse difeso
dagli errori e dai cattivi costumi che si stanno oggi diffondendo”.
RICONCILIAZIONE, GIUSTIZIA E
PACE,
I TRE PILASTRI PER IL PRESENTE E IL FUTURO
DELL’AFRICA:
PRESENTATE
IN SALA STAMPA VATICANA LE LINEE-GUIDA
DELLA SECONDA ASSEMBLEA SPECIALE DEL SINODO DEI
VESCOVI PER IL CONTINENTE
La Chiesa in Africa è viva e cresce.
Vescovi e comunità, insieme,
contribuiscono con le autorità dei singoli Stati alla lotta
contro le miserie e allo sviluppo. Restano tuttavia parentesi di drammi - dalla
povertà all’AIDS, ai molti conflitti armati – a stringere ancora il continente
“in una morsa”. Sono i tratti in chiaroscuro con i quali il cardinale Francis Arinze, prefetto della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha introdotto
stamani ai giornalisti, presenti nella Sala Stampa vaticana, la presentazione
delle linee preparatorie – i cosiddetti Lineamenta - della seconda Assemblea speciale per l’Africa del
Sinodo dei vescovi. Accanto al porporato, anche l’arcivescovo Nikola Eterović,
segretario generale del Sinodo dei Vescovi. Sui contenuti della conferenza
stampa, il servizio di Alessandro De Carolis.
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Cinquantatré
nazioni con problemi e sfide in parte simili, in parte no, che guardano al loro
futuro cercando di costruire giustizia e riconciliazione, che portino alla pace
e, generalmente, al progresso e al benessere. Sono gli Stati dell’Africa,
continente spesso definito “dimenticato”, ma non certo dalla Chiesa, come è
stato sottolineato in apertura dell’incontro con i giornalisti dal vicedirettore
della Sala Stampa vaticana, padre Ciro Benedettini. Dopo l’esperienza della
prima, storica Assemblea speciale dei vescovi africani di dodici anni fa, è
giunta l’ora – ha spiegato il cardinale Arinze - di fare nuovamente il punto
sul cammino ecclesiale e sociale compiuto nel continente, definito da Benedetto
XVI “la grande speranza della Chiesa”. Un punto che parte da una speranza
reale, confermata da una maturazione costante, riferita dallo stesso cardinale
Arinze:
“L’Africa è il continente con la più alta percentuale
annua di crescita per la cristianità nel mondo. Moltissimi africani ricevono il
Battesimo ogni anno. In alcune nazioni africane i seminari e i noviziati
femminili hanno più candidati di quanti ne possano
accogliere. Nuove parrocchie e diocesi vengono create.
Gli africani stanno cercando di vivere la loro fede in maniera sempre più
approfondita. Questo non fa rumore, ma tante cose
potenti nel mondo non fanno rumore. I fedeli si mostrano attivi. I sacerdoti e
i religiosi si adoperano nel lavoro missionario dentro e fuori l’Africa”.
Mons.
Eterović ha riferito le cifre sullo sviluppo
della Chiesa dal 1994 – anno della prima Assemblea – ad oggi. Il numero dei
fedeli è cresciuto di circa 46 milioni di battezzati, portando i cattolici dal
14,6% della popolazione totale africana al 17% attuale. E anche gli altri
quadri della gerarchia cattolica – dai sacerdoti ai religiosi e religiosi –
mostrano cifre in costante aumento. “Tuttavia l'Africa
non è soddisfatta con i numeri”, ha affermato il cardinale Arinze, che ha posto
in risalto le numerose aree di crisi che preoccupano la Chiesa e la comunità
internazionale. Se in dodici anni, il Sudafrica ha conosciuto un graduale
passaggio dall’apartheid alla democrazia, persiste, ha notato il cardinale
Arinze, “la dolorosa situazione di violenza e di guerra in Somalia, la tragedia
del Darfur e la ancora non totalmente risolta
situazione della Costa d'Avorio, della Repubblica Democratica del Congo e, in qualche caso, della regione dei Grandi Laghi”.
E resta presente, ha soggiunto, anche “la
sfida della costruzione di una nazione nell'armonia e nel pacifico sviluppo dei
popoli” a partire “da una condizione di numerosi gruppi etnici aggregati in un
unico Paese da parte delle potenze coloniali”, come la Nigeria. Senza contare
l’incidenza della povertà “e soprattutto l'AIDS sono problematiche concrete che
hanno intaccato una larga fascia di popolazione”. Ecco, dunque, l’attualità del
tema della seconda Assemblea, approvato da Benedetto XVI. “La Chiesa in Africa
a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Tre temi tutti
ugualmente importanti ha affermato con energia il cardinale Arinze, rispondendo
ad un giornalista:
“Quei tre temi – riconciliazione, pace, giustizia – hanno
una loro unità nella vita pratica. Abbiamo, infatti, bisogno di riconciliazione
e giustizia per avere la pace, a meno che non vogliamo la pace del cimitero: la
pace tra quelli ammazzati e quelli che li hanno uccisi. Noi non vogliamo questo
tipo di pace, vogliamo la pace di coloro che sono vivi. L’approccio, alla luce
del Vangelo, deve allora cercare di essere dinamico”.
E mons. Eterović
ha commentato:
“Il tema è di continuità con la prima Assemblea speciale
per l’Africa e, accogliendo il desiderio dei vescovi, si tratta di sottolineare
alcuni aspetti che sono ormai diventati urgenti e di grande attualità per la
Chiesa cattolica in Africa, come la riconciliazione. Noi abbiamo avuto esempi,
anche commoventi, di cattolici guidati dai vescovi, di varie etnie, che per la
fede in Gesù Cristo hanno messo da parte gli odi e
hanno avuto la forza di riconciliarsi”.
Lo stesso segretario generale del Sinodo
dei vescovi ha quindi sintetizzato il contenuto dei cinque capitoli nei quali
si distinguono i Lineamenta,
corredati da un Questionario conclusivo di 32 domande che di qui al novembre
2008, vescovi e sacerdoti delle varie diocesi africane dovranno studiare e
sottoporre alla comunità dei fedeli per poter fornire alla segreteria il
materiale e le osservazioni sulle quali basare l’Instrumentum laboris della futura assise
episcopale, la cui data di inizio - ha osservato mons. Eterović - potrebbe essere stabilita dal Papa nel
2009.
Un aspetto emerso dalle domande dei
giornalisti ha riguardato la collaborazione, nella preparazione dell’Assemblea,
con i credenti di altre religioni, in particolare nel rapporto tra cristiani e
musulmani. Il cardinale Arinze è stato perentorio:
“Non c’è una pace cattolica o una pace musulmana o una
pace della religione tradizionale africana. E’ interesse dell’uomo come tale
che tutti coloro che credono in Dio possano collaborare
insieme”.
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DICHIARAZIONE DEL DOTT.
NAVARRO-VALLS
SULLA NOTIZIA RIPORTATA
DALLA STAMPA SU CONTATTI
TRA UNA DELEGAZIONE VATICANA E LE AUTORITA’ CINESI
“Non ho commenti da formulare”: è quanto ha
detto stamane, in una dichiarazione ai giornalisti, il direttore della
LA
MISSIONE DEI SANTI PIETRO E PAOLO SPIEGATA DA BENEDETTO XVI AI FEDELI.
NEL SUO
PRIMO ANNO DI PONTIFICATO,
IL
PAPA HA OFFERTO NUMEROSE RIFLESSIONI
SUI PRINCIPI DEGLI APOSTOLI E LA VITA DELLA
CHIESA
La Chiesa si appresta a celebrare, giovedì
prossimo, la solennità dei Santi Pietro e Paolo. Il
Papa presiederà una solenne Messa nella Basilica Vaticana, al termine della quale
imporrà il Sacro Pallio a 27 nuovi arcivescovi metropoliti. Domenica scorsa,
all’Angelus, Benedetto XVI ha sottolineato come “lasciare che “l’io di Cristo prenda il posto del nostro io” rappresenti “in modo esemplare
l’anelito” di Pietro e Paolo. Ripercorriamo alcune riflessioni dedicate da
Benedetto XVI alla missione dei Principi degli Apostoli con il servizio di
Alessandro Gisotti:
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(cori)
Sul primo vescovo di Roma e sull’Apostolo delle genti, il
Papa ha offerto ai fedeli numerose e profonde
riflessioni, in questo suo primo anno di Pontificato. In particolare, il Papa ha
dedicato la catechesi delle ultime udienze generali al significato della
successione apostolica e del primato petrino. Il 17 maggio, in Piazza San
Pietro, Benedetto XVI ha tratteggiato il carattere del pescatore di Galilea,
uomo simbolo di “una fede in Dio coraggiosa e umile”:
“Simone appare nei Vangeli con un carattere deciso
e impulsivo; egli è disposto a far valere le proprie ragioni anche con la forza
- si pensi all’uso della spada nell’orto del Getsemani.
Al tempo stesso, è a volte anche ingenuo e pauroso, e
tuttavia onesto, fino al pentimento più sincero”.
Il 24 maggio poi ha indicato come la generosità
irruente di Pietro non lo abbia salvaguardato dai “rischi connessi con l’umana
debolezza”. Condizione che noi stessi sperimentiamo nella nostra vita:
“Pietro ha
seguito Gesù con slancio, ha superato la prova della fede, abbandonandosi a
Lui. Viene tuttavia il momento in cui anche lui cede alla paura e cade: tradisce
il Maestro (cfr Mc
14,66-72). La scuola della fede non è una marcia trionfale, ma un cammino cosparso
di sofferenze e di amore, di prove e di fedeltà da rinnovare ogni giorno”.
Dagli “iniziali
entusiasmi” all’“esperienza dolorosa del rinnegamento” al “pianto della conversione”,
ha constatato il Papa, Pietro arriva infine ad affidarsi a Gesù, mostrando a
noi la via, “nonostante tutta la nostra debolezza”. Il 7 giugno scorso, il Papa
ha pregato affinché il primato di Pietro, fondamento dell’unità della Chiesa venga riconosciuto nel suo vero significato da tutti i
cristiani. “Pietro – è il richiamo del suo 264.mo successore – per tutti i tempi, dev’essere il custode della comunione con Cristo”:
“Preghiamo che il primato di Pietro, confidato a
povere persone umane, possa sempre essere esercitato in questo senso
originario, voluto dal Signore, e possa così essere anche sempre più nel suo
vero significato riconosciuto dai fratelli non ancora in piena comunione con
noi”.
Espressioni,
queste, usate dal Papa già il 29 giugno dell’anno scorso, in occasione della
solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, quando ha messo l’accento sul
binomio “cattolicità e unità”:
“Con l'unità, così come
con l’apostolicità, è collegato il servizio petrino,
che riunisce visibilmente la Chiesa di tutte le parti e di tutti i tempi,
difendendo in
tal modo ciascuno di noi dallo scivolare in false autonomie, che troppo
facilmente si trasformano in interne particolarizzazioni
della Chiesa e possono compromettere così la sua indipendenza interna”.
All’Apostolo
delle genti, Benedetto XVI ha dedicato, invece, la sua prima uscita ufficiale
dal Vaticano dopo l’elezione alla Cattedra di Pietro. E’ il 25 aprile del 2005 quando Benedetto XVI si reca alla Basilica di San Paolo
fuori le Mura. Un pellegrinaggio, lo definisce il Pontefice, “alle radici della
missione”, quella missione che Cristo affidò agli Apostoli e “in modo singolare
anche a Paolo, spingendolo ad annunciare il Vangelo alle genti”:
“La passione per Cristo lo
portò a predicare il Vangelo non solo con la parola, ma con la stessa vita,
sempre più conformata al suo Signore. Alla fine, Paolo annunciò Cristo con il
martirio, e il suo sangue, insieme a quello di Pietro
e di tanti altri testimoni del Vangelo, irrigò questa terra e rese feconda la
Chiesa di Roma, che presiede alla comunione universale della carità”.
(cori)
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina: "Il
Viaggio del Samaritano della memoria": un mese fa il pellegrinaggio di
Benedetto XVI in Polonia (25-28 maggio) sulle orme del servo di Dio Giovanni
Paolo II.
Servizio vaticano - Un inserto speciale dedicato al
prossimo Sinodo per l'Africa.
Servizio estero - Medio Oriente: Israele esclude la
trattativa con Hamas per il rilascio del militare
rapito dai palestinesi.
Servizio culturale - Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo "Allegoria e mitologia nelle
sculture del Giambologna": in margine alla
recente mostra allestita a Firenze.
Per l' "Osservatore
libri" un articolo di Marco Testi dal titolo "La nascita del volgare
e le prime espressioni letterarie": "Il mito nella letteratura
italiana. Dal Medioevo al Rinascimento".
Servizio italiano - In primo piano l'esito del
referendum.
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27 giugno 2006
IN
SOMALIA, DOVE NON SI FERMANO GLI SCONTRI
TRA
MILIZIE DEI SIGNORI DELLA GUERRA ED ESTREMISTI MUSULMANI,
LE
CORTI ISLAMICHE COMINCIANO AD APPLICARE LA SHARIA
In Somalia, almeno 5 persone sono morte a Mogadiscio in
nuovi scontri tra militanti delle scuole coraniche e
miliziani legati ai signori della guerra. Nel Paese, diventa sempre più
realistica la prospettiva di un regime fondamentalista:
dopo la vittoria sul terreno contro le milizie dei signori della guerra, i
fondamentalisti delle Corti islamiche dominano anche la scena politica. Il
servizio di Amedeo Lomonaco:
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La fazione estremista delle Corti islamiche, sospettata di
avere legami con Al Qaeda, ha conquistato il potere.
Il colpo di mano è avvenuto nella notte fra sabato e domenica durante un
incontro tra i rappresentanti delle Corti. L’ala moderata è stata emarginata e
la corrente integralista ha formato un’assemblea di 88 persone, con il compito
di dirigere le attività delle Corti e imporre la Sharia,
la legge islamica. A capo di questo “Parlamento” è stato nominato uno sceicco, Hassan Dahir Aweys, ricercato per terrorismo.
L’amministrazione americana ha già dichiarato che non avrà alcun tipo di
contatto con il nuovo leader. Tra i primi provvedimenti, le Corti hanno annunciato
ieri la condanna a morte, da eseguire con lapidazione, di cinque uomini
accusati di stupro. Un gruppo islamico ha rivendicato, inoltre, l’assassinio
del giornalista svedese, ucciso venerdì scorso a Mogadiscio. La nascita di un
governo degli oltranzisti islamici costituisce una sfida diretta all’ancora
debole esecutivo somalo sostenuto dall’Occidente. Ascoltiamo padre Giulio Albanese,
fondatore dell’Agenzia missionaria MISNA:
R. – Io credo che davvero il cammino sia tutto in salita.
L’unico elemento, a mio avviso, ancora di “speranza” è rappresentato dal fatto
che questo cartello delle Corti islamiche, in effetti, è un grande contenitore.
Al suo interno ci sono i fondamentalisti, ma non solo: vi sono imprenditori,
commercianti, gente comune che effettivamente era stufa, soprattutto a
Mogadiscio, dello stato di anarchia in cui era precipitata la capitale. Quindi,
vi sono delle componenti moderate che a mio avviso rappresentano davvero la
maggioranza. Purtroppo, come al solito, chi ha le armi
comanda, detta legge.
E in questo contesto, diventa necessario e indispensabile
l’impegno della comunità internazionale…
R. – La situazione della Somalia
dal 1991, dalla caduta del regime di Siad Barre ad
oggi, è sempre stata caratterizzata da uno stato di anarchia. E non è la prima
volta, inoltre, che si parla di sharia. E’ importante
che, da parte della comunità internazionale, si faccia di tutto per consentire
al governo di transizione di Abdullah Yusuf in una maniera o nell’altra di riprendere in mano le
redini. E’ necessaria una mediazione internazionale molto forte. Guai ad abbandonare
la Somalia in questo momento, perché davvero è in
gioco il destino di tanta gente che, sinceramente, non ce la fa più. Non
dimentichiamo che è dal ’91 che questo Paese è senza Stato.
La situazione è particolarmente difficile per i cristiani.
Ascoltiamo ancora padre Giulio Albanese:
R. – I cristiani sicuramente ci saranno e ci sono in
Somalia, ma vivono in una situazione di nascondimento. A me è capitato di
incontrare dei cristiani, quando sono stato in Somalia. Naturalmente, però,
tutti si guardavano bene dal dire pubblicamente e ufficialmente che erano
cristiani: sapevano bene che sarebbero poi stati eliminati dagli estremisti.
Quindi, direi che la presenza della Chiesa somala è una presenza all’insegna
del martirio. Non vi è dubbio.
La minoranza cristiana in Somalia, un tempo fiorente
grazie alle missioni francescane, a quelle luterane e anglicane, si è drasticamente
ridotta durante la sanguinosa persecuzione condotta dal dittatore Siad Barre dal 1969 al 1991. In questo periodo, ogni
attività missionaria è vietata e centinaia di chiese sono state distrutte. Dopo
la caduta del regime, la nuova Costituzione aveva proclamato la libertà di
religione, ma per i cristiani era molto difficile trovare lavoro: molti sono
emigrati in Italia o negli Stati Uniti. Anche adesso, la situazione è estremamente
difficile: uno degli ideologi dei Tribunali islamici ha spiegato che “non ci
sono cristiani in Somalia, ci sono solo apostati”. “Un musulmano – ha aggiunto -
non può diventare cristiano; può solo diventare apostata”.
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ANTONIO
ROSMINI VERSO L’ONORE DEGLI ALTARI
DOPO
IL RICONOSCIMENTO, IERI,
DELLE VIRTU’ EROICHE
- Intervista
con padre Umberto Muratore -
La Chiesa ha riconosciuto ieri le virtù eroiche di Antonio
Rosmini, aprendogli la strada verso l’onore degli altari. Sacerdote, teologo,
filosofo e scrittore è stata una delle figure più eminenti dell’Ottocento
italiano, maestro
di vita spirituale e di ascesi cristiana. Ha fondato l’Istituto della Carità e
le Suore della Provvidenza. Al suo tempo non è stato sempre compreso per
l’arditezza delle idee, che poi oltre un secolo dopo confluirono
nel Concilio Vaticano II. Con noi oggi a parlarcene è padre Umberto Muratore,
direttore del Centro di Studi Rosminiani di Stresa. Giovanni Peduto gli ha chiesto come la famiglia rosminiana ha accolto la decisione della Chiesa:
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R. - Direi con due sentimenti principali di gioia. La
prima gioia, interna ai padri ed alle suore rosminiane,
è quella di un’attesa fiduciosa che è andata premiata. Rosmini ci ha sempre
insegnato a credere nella Chiesa come ad una madre. Oggi ne abbiamo una ulteriore conferma. La seconda gioia invece guarda più
lontano: è gioia per il grande bene che la figura e gli scritti di Rosmini potranno
fare oggi a tutta
D. - E’ stato un percorso lungo...
R. - Molto lungo, se si pensa che Rosmini è morto nel
1855. Ma non è lungo, se si pensa alla posta in gioco. Rosmini ha un deposito
impressionante di scritti e di idee, tutti orientati ad aiutare il pensiero
moderno a riconciliarsi con la fede e con
D. - Rosmini al suo tempo non è stato pienamente capito.
In cosa è stato un anticipatore?
R. - Sono tantissimi i punti che egli seppe anticipare,
segno anche questo di un amore intelligente, puro e fedele alla verità ed agli
uomini, purezza che lo rese capace di elevarsi sulle passioni del tempo.
Accenno solamente alla sua filosofia, capace di dare un’alternativa legittima e
coerente al moderno materialismo ed eclettismo, al diritto dei cittadini e dei
popoli fondato sulla dignità della persona e radicato nell’etica, alla sua ansia
di abbracciare tutto l’essere e di imprimere nella società e nella scienza il
lievito evangelico.
D. - Il riconoscimento delle virtù eroiche comprende anche
l’obbedienza di Rosmini nonostante le incomprensioni?
R. - Certamente. Anzi direi che la sua umiltà nel
sopportare le pene del-l’incomprensione costituisce
oggi un raro modello intellettuale della “pazienza della carità”: chi ama veramente,
lo dimostra soprattutto sapendo pagare il prezzo di questo amore.
R. - Qual è l’attualità di Rosmini, oggi?
R. - Ciò che stupisce e meraviglia oggi in Rosmini è
l’ampiezza di vedute ed il coraggio col quale sa pensare in
grande ed amare in grande. Stupisce più ancora il fatto che egli attinge
questa visione universale dal deposito della religione cattolica, il cui
recupero egli offre al pensiero moderno come un progetto ad ampio respiro verso
il domani. Egli ha pienamente adempiuto alla missione
che gli aveva affidato un Papa, quando
lo ha esortato a riconquistare gli uomini alla fede per mezzo della carità
dell’intelligenza.
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27 giugno 2006
METTERE DA PARTE DIVISIONI PER COSTRUIRE il NUOVO
FUTURO del Perù.
E’ l’appello dei VESCOVI del paese latinoamericano,
dopo le RECENTI ELEZIONI PRESIDENZIALI
LIMA. = Promuovere tolleranza, dialogo e attenzione per i
più bisognosi. Sono queste le sfide che attendono il Perù, secondo i vescovi
locali, che, nei giorni scorsi hanno diffuso un documento sui risultati delle
recenti elezioni presidenziali, vinte dall’ex presidente Alan
Garcia. Nella nota, dal titolo “Disposti a dare
risposta alla Speranza”, redatta dal Consiglio permanente della Conferenza
episcopale locale, i vescovi, constano il rafforzamento della democrazia in Perù ma chiedono a tutti i cittadini di concentrare “i loro
sforzi sullo sviluppo e la promozione della persona umana”. In questo momento,
decisivo per il Paese, i presuli sottolineano inoltre una serie di punti fermi:
si tratta innanzitutto di “fortificare la convivenza sociale in base al
rispetto della giustizia”, ma anche di impegnarsi “per la pace, la difesa della
vita, il rispetto dei diritti umani” e di lottare “contro tutto
quello che colpisca le Istituzioni democratiche”. A tutti i partiti politici e
a tutti i gruppi sociali, i presuli chiedono quindi di unire gli sforzi a
beneficio dei “più bisognosi del Perù per generare così una speranza
autentica”. Nel documento, si specifica come l’esclusione dai benefici
economici esiga “una soluzione giusta nella lotta contro la povertà, al fine di
garantire la giustizia sociale, oltre a condizioni degne di vita”. E’ una
strada difficile questa, riconoscono i presuli, che però
invitano a guardare il futuro con ottimismo: l’appello è anche a fidarsi -
conclude il documento – “dell’impegno e delle capacità dello spirito umano per
lavorare per l’unità, per aiutare e dirigere al nostro Paese verso il progresso
ed il benessere”. (E.B. – L.Z.)
In India,
le riconversioni di massa di tribali e invita il
governo a sorvegliare
gli stati guidati dalle formazioni politiche
nazionaliste
NEW DELHI. = Con una grande
funzione, celebrata nei giorni scorsi in Orissa,
nella parte orientale dell’India, il Vishwa Hindu Parishad (VHP), una
formazione paramilitare giovanile di ispirazione nazionalista, ha riconvertito all’induismo circa 600 cristiani tribali.
Fra ingenti misure di sicurezza disposte dalle autorità locali per evitare
incidenti, la cerimonia si è svolta alla presenza di alcuni dei maggiori
esponenti del Bharatiya Janata
Party (BJP), il partito politico di impronta nazional-fondamentalista
al potere nello Stato. In un’intervista all’agenzia AsiaNews mons. Lucas Kerketta, segretario del
Consiglio regionale dei vescovi dell’Orissa, avverte
che si tratta solo di una campagna di propaganda. “In Orissa
– denuncia il vescovo – la legge anti-conversione vale solo per le conversioni
al cristianesimo, ma quando si tratta di passare all’induismo la polizia viene
alle cerimonie e si fa spettatrice silente diventando complice dell’estremismo
indù”. Il presule ribadisce inoltre che i tribali non sono neppure indù, ma
sono solo estremamente poveri che, per la loro sussistenza, dipendono
completamente dalla comunità di maggioranza. Una ragione – aggiunge – che li
rende facilmente “oggetto di pressioni e intimidazioni, da parte di chi vuole
costringerli a partecipare a queste riconversione”.
Duro anche il commento di John Dayal, presidente
dell’All India Catholic
Union, che, reclamando l’applicazione della legge anticonversione, lancia un
appello al Governo affinché prenda misure “contro il modo del BJP di
amministrare Stati come Orissa, Rajasthan
e Chattisgarh, pena la frattura della democrazia
nazionale”. (E.B.)
RESTANO
ANCORA TANTE OMBRE NEL “RAPPORTO SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA
NEL MONDO – 2006”, PRESENTATO STAMANI A ROMA
DA “AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE”
- A
cura di Debora Donnini -
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ROMA. = “La libertà religiosa è il
fondamento della libertà, non uno fra i diritti”: Queste le parole del
vicedirettore del Corriere della sera, Magdi Allam, che ha spiegato le difficoltà della libertà
religiosa nei Paesi musulmani, difficoltà non solo per i cristiani, ma anche
fra musulmani: basti pensare agli attentati contro gli sciiti in Iraq o alla
persecuzione della comunità “ahmadi” in Pakistan.
Il Rapporto segnala anche la scelta dell’esilio di migliaia di cristiani
iracheni, tra 10 e 40 mila, da agosto a ottobre 2004. Padre Bernardo
Cervellera, direttore di AsiaNews, ha spiegato l’ambiguità in cui versa
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sono 500 mila gli immigrati irregolari in Italia. lo
afferma
il rapporto Caritas-migrantes che DEFINISCE IN
CRESCITA IL FENOMENO
e punta il dito contro l’inefficienza dei meccanismi
di ingresso nel paese
ROMA. = Per contrastare il fenomeno dei migranti
irregolari in Italia serve un ripensamento delle espulsioni, dei Centri di
permanenza temporanea (CPT) e un maggiore controllo nelle aziende per contenere
il lavoro nero. E’ la “fotografia” contenuta nel volume “Immigrazione
irregolare in Italia”, curato dai redattori del Dossier statistico immigrazione
Caritas/Migrantes, riuniti
nel centro studi Idos e presentato oggi a Roma. Dal
documento emerge che sono circa mezzo milione gli immigrati irregolari in
Italia, 5 milioni quelli in Europa. L’irregolarità è un fenomeno in crescita,
dovuto soprattutto “all’inefficienza dei meccanismi di ingresso”. Il volume -
come ha spiegato Franco Pittau, coordinatore del
Dossier – sottolinea quindi l’urgenza di politiche più realistiche di
ammissione e integrazione degli immigrati: soluzioni come per esempio la
concessione di un permesso di soggiorno per cercare lavoro. “I flussi
irregolari - prosegue ancora il rapporto - non sono l'equivalenza della
delinquenza e coinvolgono individui in cerca di lavoro interessati, soprattutto
a sfuggire alle precarie condizioni economiche e sociali dei loro Paesi”.
Seguendo i dati, i migranti transitati nei CPT nel 2005 sono stati 16.163 (516
in più dell’anno precedente), tuttavia - ha aggiunto Pittau
– il trattenimento presso i CPT “non ha efficacia risolutiva e un quinto dei
trattenuti viene dimesso dai centri per scadenza dei
60 giorni autorizzati”. Inoltre gli sbarchi, soprattutto dopo le restrizioni
spagnole a Ceuta e Melilla,
sono raddoppiati, passando dai 13.635 del 2004 a 22.939 nel 2005. Lo scorso
anno, per il terzo anno consecutivo, è diminuito ed in maniera consistente il
numero dei clandestini espulsi o rimpatriati: sono stati circa 27 mila contro
gli oltre 35 mila del 2004. Una tendenza che secondo il rapporto evidenzia
ulteriormente “i limiti delle strategie di contrasto”. In Italia, sono
aumentate altresì le persone inadempienti rispetto ad un provvedimento di
espulsione: nel 2005 sono state 65.617, mentre nel 2004 erano state 45.697. Ma è il collegamento con il mercato del lavoro a
rendere la misura della presenza irregolare, vista la discrepanza tra le quote
ufficialmente stabilite e le effettive esigenze del mercato. Nel 2006 le
domande non soddisfatte, a fronte di 170.000 posti disponibili, sono state 314
mila con una domanda di forza lavoro aggiuntiva addirittura tripla rispetto
alle opportunità stabilite. L'anno precedente le domande non soddisfatte erano
state 150 mila. Dati questi numeri Caritas e Migrantes evidenziano dunque quanto sia
fondamentale “il superamento dei ritardi nella gestione del mercato occupazionale,
in relazione alla determinazione delle quote, ai meccanismi di inserimento e
alla gestione della disponibilità degli immigrati dopo che si sono stabiliti in
Italia”. (E.B.)
Per eliminare il traffico illecito di armi leggere
nel mondo serve
un trattato
internazionale ben più severo di quello in vigore. E’ il tema centrale della
conferenza delle Nazioni Unite
che si è aperta ieri a New York
- A
cura di Elena Molinari -
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NEW YORK. = Anche Mikhail Kalashnikov, il padre de fucile d’assalto, è d’accordo:
“Bisogna fermare la distribuzione illegale di armi leggere”. Il Trattato sul
mercato delle armi leggere è da ieri al vaglio delle Nazioni Unite a New York e
la campagna si è stata aperta con la presentazione di una petizione al
segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, firmata da Amnesty International e dall’International
Action Network of Molars, che ha chiesto un nuovo
Trattato internazionale ben più severo di quello in vigore, che applichi
principi globali sulla vendita della armi. Secondo gli
organizzatori della campagna, ogni giorno al mondo muoiono almeno mille persone
per colpi di armi leggere. Ed è qui che entra in gioco Kalashnikov,
che ha dato il suo supporto, peraltro sottoscritta da un milione di persone in
160 Paesi. L’ingegnere russo al Palazzo di Vetro ha ieri dichiarato: “Quando
vedo in TV mitragliatori automatici in mano a banditi mi domando ‘Come li hanno
avuti?’”. Gli Stati Uniti si sono però già pronunciati
per voce dell’ambasciatore all’ONU, John Bolton,
hanno detto di essere contrari alla revisione del Trattato. “Non vediamo alcuna
necessità per nuove trattative”, ha detto ieri Bolton.
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27 giugno 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Medio Orente, le
fazioni palestinesi hanno raggiunto una importante
intesa per uscire dalla crisi politica e finanziaria dell’Autorità nazionale
palestinese. Le varie componenti palestinesi, con l’eccezione della Jihad islamica, hanno trovato infatti
l’accordo sul “manifesto” elaborato dai prigionieri detenuti nelle carceri
israeliane per la nascita di uno Stato indipendente nei Territori. Il documento
riconosce implicitamente Israele. Il ministro delle Infrastrutture israeliano
ha dichiarato, intanto, che lo Stato ebraico non esclude la possibilità di
rapire ministri del governo palestinese guidato da Hamas
se non sarà liberato il soldato israeliano rapito domenica scorsa nei pressi
della Striscia di Gaza. I sequestratori avevano chiesto la liberazione di donne
e bambini palestinesi detenuti nello Stato ebraico. Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha ordinato ai servizi
di sicurezza di lanciare una vasta operazione di ricerca per trovare e liberare
il militare israeliano. Ieri, Israele si è detto pronto a un raid militare e ha
invitato la comunità internazionale a intervenire.
Si
aprirà il prossimo 21 agosto il processo per il genocidio dei curdi nel quale è imputato l’ex presidente iracheno, Saddam
Hussein. Lo ha deciso l’Alta corte penale del Paese arabo. La violenza,
intanto, non si ferma: a Kirkuk, nel nord dell’Iraq,
una bomba ha provocato la morte di almeno 3 persone. E’ salito inoltre a 22
morti il bilancio degli iracheni rimasti uccisi ieri sera, a Baquba, in seguito ad un ennesimo attentato della guerriglia.
E’ entrata nel vivo l’Assemblea parlamentare del
Consiglio d’Europa che si è aperta ieri pomeriggio a Strasburgo. Poco fa
l’attesa relazione sulla questione dei voli segreti CIA. Da Strasburgo, Fausta
Speranza:
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Una ragnatela che attraversa il mondo, illegale e
incompatibile con i diritti umani: così il relatore sul dossier dei voli
segreti CIA ha definito pochi minuti fa la rete di trasferimenti di detenuti
gestita dagli Stati Uniti. Mappa alla mano, mostrata ai
giornalisti, si va da Kabul a Guantanamo,
passando per Baghdad, Amman, Rabat, Timisoara,
Bucarest, Algeri: posti di trasferimento, di sbarco; e poi, altri punti di
imbarco: Aviano, Skopie,
Stoccolma e Islamabad. O piattaforme, come Larnaka, Palma di Maiorca e Washington. Si tratta - ha
spiegato il relatore del dossier Dick Marty - di informazioni ricevute dalle autorità di
controllo del traffico aereo nazionale e internazionale. E almeno 10 sono i
casi che fanno registrare violazioni dei diritti umani. Uno di questi riguarda
un giovane italiano (non è ben chiaro a che titolo) che sarebbe coinvolto in un
volo dalla Bosnia a Guantanamo. Da qui il ricorso,
annunciato poco fa, alla Convenzione europea dei diritti umani e alla Convenzione
europea contro la tortura. Certo, è stato sottolineato, che gli Stati Uniti
hanno potuto fare tutto ciò grazie alla collaborazione di alcuni Paesi membri
dell’area europea. E, infatti, il commissario dell’Unione Europea per la
sicurezza, la giustizia e la libertà, Franco Frattini, che ha preso parte al dibattito e alla conferenza
stampa, ha spiegato che le autorità nazionali dovranno rispondere dei
trasferimenti alle proprie istituzioni
governative e giudiziarie, ma che poi, chiusa questa fase, interverrà
l’Unione Europea. In definitiva, quello all’Assemblea parlamentare di
Strasburgo che riunisce 46 Paesi, di cui 21 del centro e dell’est Europa, è un
voto di condanna per modalità nelle azioni di lotta al terrorismo che
travalicano il limite del raccomandato rispetto dei diritti umani.
Dal Palazzo del Consiglio d’Europa di Strasburgo, Fausta
Speranza, Radio Vaticana.
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Il presidente russo, Vladimir Putin, ha escluso ancora una volta e in modo categorico la
possibilità di risolvere la crisi con l’Iran minacciando rappresaglie. “La
Russia - ha detto - non si assocerà ad alcun ultimatum riguardante il programma
di non proliferazione nucleare”. “Noi - ha proseguito Putin
- siamo convinti che le crisi si risolvono impegnandosi nel dialogo e non isolando
questo o quello Stato”. “Per questo - ha spiegato il presidente russo -
proponiamo cose concrete come l’idea di centri internazionali per
l’arricchimento dell'uranio”.
Quattro
ribelli delle Tigri Tamil sono stati uccisi nella
parte orientale dello Sri Lanka,
durante un attacco da parte della fazione dei dissidenti di Karuna.
A riferirlo, fonti della polizia locale. L’episodio è avvenuto all’indomani
dell’attentato suicida, a pochi chilometri dalla capitale
Colombo, che ha provocato la morte del generale dell’esercito, Parami Kulathunge, e di altre tre persone.
Ci spostiamo ora a Timor Est dove il presidente del Paese,
Xanana Gusmao, sta tenendo
una riunione con 12 ministri per scegliere il nuovo premier, all’indomani dalle
dimissioni di Mari Alkatiri. Secondo alcune fonti,
l’ex premier dovrà rispondere di diverse accuse tra cui quella di aver
provocato gli scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine.
Cambiamenti politici in Vietnam
dopo le dimissioni, la scorsa settimana, da parte di alte cariche: Triet è il nuovo presidente del Paese. Riformatore di 63
anni, è l’attuale capo del partito comunista ed ha ottenuto dall’Assemblea
nazionale il 94,12 per cento dei voti. Guyen Tan Dung, ex vice premier del
Vietnam favorevole alle riforme economiche, è stato nominato nuovo capo del
governo.
In
Italia, i due schieramenti politici riflettono dopo l’esito del referendum
confermativo della riforma costituzionale, con la netta vittoria del “No” e la
buona affluenza alle urne, per la prima volta dopo undici anni sopra il 50 per
cento. L’Unione esulta e apre al confronto con l’opposizione. La Casa delle
Libertà appare scettica sulla possibilità di dialogo, ma intanto apre una discussione
al proprio interno. Il servizio di Giampiero Guadagni:
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C’è
più di una sorpresa nel voto di domenica e lunedì. Intanto, con soddisfazione
generale a partire da quella del Capo dello Stato, va registrata la buona
affluenza alle urne: il 53,6%, per la prima volta dopo undici anni dunque oltre
la metà degli aventi diritto, anche se per la validità
di questa consultazione non era necessario il raggiungimento del quorum. Poi
l’esito del voto: con la vittoria del “no” oltre le previsioni; il 61,3%,
contro il 38,7 del “Sì”. All’interno di questo risultato ci sono ulteriori
elementi di riflessione: il “No” ha vinto dovunque, un trionfo al Centro e al
Sud, con minore margine, ma inaspettatamente e dunque in modo significativo, al
Nord. Il “Sì” ha vinto solo in Veneto e Lombardia. Ma
il “No” ha vinto a Milano, dove solo pochi giorni fa la candidata della Cdl, Letizia Moratti, era stata
eletta sindaco. Ultima, rilevante sorpresa: il “Sì” ha vinto nel voto degli
italiani all’estero, quello per intenderci che si era
rivelato decisivo ai fini della vittoria dell’Unione al Senato nelle
politiche di aprile. Chiusa dunque la lunghissima stagione elettorale, i due
schieramenti cominciano a guardare al futuro. Dall’Unione, attraverso il
premier Prodi, arrivano segnali di dialogo con l’opposizione per una riforma
costituzionale condivisa, dopo che entrambi gli schieramenti, in due legislature
diverse, sono andate avanti a colpi di maggioranza. Il centrodestra non dice
no, ma nelle valutazioni prevale scetticismo. Scetticismo certamente figlio
della delusione per un risultato che, afferma Berlusconi,
ha fatto perdere all’Italia un’occasione storica per modernizzare le
istituzioni. Ma nella Cdl è soprattutto l’ora del
confronto interno. La tripla consecutiva sconfitta - politiche, amministrative,
referendum – sta creando inevitabili tensioni nel centrodestra. E la Lega, la
grande sconfitta, fa già sapere di voler ripensare l’alleanza. Ma anche nei
commenti provenienti dal mondo cattolico prevale l’auspicio che le forze
politiche cerchino insieme di dare all’Italia quelle
riforme della cui utilità tutti sono convinti. Parole chiare in questo senso
arrivano ad esempio, dal vescovo Rino Fisichella,
ausiliare di Roma e rettore dell'Università Lateranense, che sottolinea la
consistente partecipazione al voto.
Giampiero
Guadagni per la Radio Vaticana.
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Sono stati liberati questa
mattina due dei sette caschi blu nepalesi rapiti dai miliziani nel nord-est
della Repubblica democratica del Congo. I sette
soldati erano stati sequestrati il 28 maggio scorso durante un’operazione
militare nella provincia dell’Ituri contro la
guerriglia.
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