RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 177 - Testo della trasmissione di lunedì 26 giugno 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Ilno’ definitivo alla pena di morte al centro dell’udienza di Benedetto XVI al presidente delle Filippine, signora Gloria Macapagal Arroyo, che ha illustrato al Papa la situazione del Paese, tra lotta contro la povertà e dialogo con l’islam

 

La Chiesa avrà 155 nuovi Beati, in gran parte martiri spagnoli uccisi durante la guerra civile. Stamani la promulgazione dei decreti, autorizzata da Benedetto XVI

 

Il nuovo nunzio apostolico in Israele, mons. Antonio Franco, ha presentato stamane a Gerusalemme le Lettere credenziali al presidente Moshe Katzav, che ha ribadito l’invito al Papa a visitare la Terra Santa: ai nostri microfoni il nunzio

 

La Libreria Editrice Vaticana pubblica domani il testo del discorso di Benedetto XVI ad Auschwitz: con noi mons. Gianfranco Ravasi, autore dell’introduzione

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Si apre a New York la conferenza ONU per eliminare il commercio illecito delle armi leggere: il commento di Fabrizio Battistelli

 

La comunità internazionale celebra oggi la Giornata di sostegno alle vittime della tortura: interviste con Riccardo Noury e Fiorella Rathaus

 

CHIESA E SOCIETA’:

Pubblicato il rapporto sul consumo di droga  nell’odierna Giornata contro la tossicodipendenza

 

Ieri, in India, il saluto del cardinale Ivan Dias, nuovo prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli

 

In corso a Tarso il X Simposio sull’Apostolo delle Genti

 

La Bibbia è un testo che ormai quasi tutte le famiglie possiedono, ma è poco letta: lo rivela uno studio realizzato in Francia, Italia e Spagna

 

24 ORE NEL MONDO:

Lo Stato ebraico prepara una vasta offensiva a Gaza dopo il rapimento di un soldato israeliano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

26 giugno 2006

 

IL NO DEFINITIVO ALLA PENA DI MORTE AL CENTRO DELL’UDIENZA DI BENEDETTO XVI

AL PRESIDENTE DELLE FILIPPINE, GLORIA MACAPAGAL ARROYO,

CHE HA ILLUSTRATO AL PAPA LA SITUAZIONE DEL PAESE,

 TRA LOTTA CONTRO LA POVERTA’ E DIALOGO CON L’ISLAM

 

La recente decisione di abolire il ricorso alla pena di morte, l’impegno sociale in favore dei più poveri e le prospettive di pace che passano per il dialogo con i musulmani. Sono gli argomenti che hanno animato l’incontro personale tra Benedetto XVI e il presidente delle Filippine, signora Gloria Macapagal Arroyo, ricevuta questa mattina in Vaticano insieme con il marito e il seguito. I particolari dell’udienza nel servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Venti minuti di dialogo per presentare un importante punto d’arrivo, che sposta le Filippine dal gruppo di nazioni, ancora 54, tuttora favorevoli alla pena di morte in quello, molto più ampio, di coloro che vi hanno definitivamente rinunciato. Benedetto XVI ha accolto positivamente la decisione dello Stato asiatico di abolire il ricorso alla esecuzioni capitali. Il presidente Gloria Arroyo, informa un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, ha illustrato al Pontefice il provvedimento, da lei firmato appena due giorni fa, festa di San Giovanni Battista. Lo stesso presidente, prosegue la nota, “ha anche presentato al Papa il progetto di riforma della Costituzione che mira ad uno sviluppo più armonico del Paese, riservando un’attenzione privilegiata alle fasce più povere della popolazione”. Inoltre, durante il colloquio, si è fatto riferimento “alle favorevoli prospettive di dialogo con la popolazione musulmana del Paese ed alla speranza di una pacificazione nazionale”. Il presidente filippino infine, conclude il comunicato, ha “notato come i valori cristiani, in cui si riconosce la maggioranza dei Filippini, trovino espressione e sostegno anche nella legislazione dello Stato”.

 

Dopo il colloquio con Benedetto XVI, Gloria Arroyo ha voluto donare al Papa il testo della nuova legge contro la pena di morte, insieme alla statua di Nostra Signora di Guia, che riproduce la prima immagine della Madonna portata dagli spagnoli nelle Filippine, nel 1571. Prima di lasciare il Vaticano, il presidente delle Filippine si è intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, quindi è scesa nelle Grotte Vaticane per pregare alcuni istanti sulla tomba di Giovanni Paolo II.

 

Le Filippine costituiscono la più grande “casa” dei cattolici nel continente asiatico, culla di antichissime religioni. Su una popolazione di oltre 82 milioni di abitanti, i cattolici sono 66 milioni e, al di là di ricorrenti ondate di violenza scatenate dal terrorismo islamico, la convivenza con i musulmani è generalmente vissuta con distensione. Il dialogo tra cristianesimo e islam è da sempre una delle priorità dichiarate dell’episcopato filippino. Di recente, i presuli locali hanno indirizzato una lettera ai fedeli, nella quale si richiamano anche le istituzioni alla moralizzazione del Paese contro la corruzione, e all’impegno per il risanamento del bilancio e la lotta contro la povertà.

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LA CHIESA AVRA’ 155 NUOVI BEATI, IN GRAN PARTE MARTIRI SPAGNOLI

UCCISI DURANTE LA GUERRA CIVILE. STAMANI LA PROMULGAZIONE DEI DECRETI,

AUTORIZZATA DA BENEDETTO XVI. RICONOSCIUTE ANCHE LE VIRTU’ EROICHE

DI SETTE SERVI DI DIO, TRA I QUALI SPICCA LA FIGURA DI DON ANTONIO ROSMINI

 

Benedetto XVI ha ricevuto stamani in udienza privata il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso dell’udienza, il Papa ha autorizzato la Congregazione a promulgare i Decreti riguardanti la beatificazione di 5 Venerabili di cui è stato riconosciuto un miracolo e di 149 martiri, uccisi in odio alla fede, durante la guerra civile spagnola. Viene riconosciuto inoltre il martirio del missionario italiano Francesco Spoto, morto nella Repubblica Democratica del Congo nel 1964. Riconosciute anche le virtù eroiche di 7 Servi di Dio, tra i quali spicca il nome di don Antonio Rosmini, esponente di spicco del pensiero cattolico nel XIX secolo e fondatore dell’Istituto della Carità e delle Suore della Provvidenza.

 

 

ALTRE UDIENZE

 

Stamane il Papa ha ricevuto in successive udienze anche mons. Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici; mons. François Bacqué, nunzio apostolico nei Paesi Bassi; il sig. Abdulhafed Gaddur, ambasciatore della Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista, con la consorte, in visita di congedo.

 

 

IL NUOVO NUNZIO APOSTOLICO IN ISRAELE, MONS. ANTONIO FRANCO,

HA PRESENTATO STAMANE A GERUSALEMME LE LETTERE CREDENZIALI

AL PRESIDENTE MOSHE KATZAV,

CHE HA RIBADITO L’INVITO AL PAPA A VISITARE LA TERRA SANTA

 

Il nuovo nunzio apostolico in Israele, mons. Antonio Franco, ha presentato stamane a Gerusalemme le Lettere credenziali al presidente israeliano Moshe Katzav. Mons. Franco, 69 anni, beneventano, già nunzio nelle Filippine, è stato nominato nel gennaio scorso da Benedetto XVI nunzio apostolico in Israele e Cipro e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina. Nel nuovo incarico succede a mons. Pietro Sambi, nominato dal Papa nunzio apostolico a Washington. Ma sul colloquio che ha avuto oggi con il presidente israeliano, ascoltiamo lo stesso mons. Franco, intervistato da Sergio Centofanti:

 

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R. – Nel colloquio, il presidente ha ricordato l’incontro con il Santo Padre avvenuto l’anno scorso in novembre, ed ha ricordato anche l’invito fatto al Santo Padre di venire a Gerusalemme auspicando che questo possa realizzarsi. Ha parlato poi delle relazioni tra la Santa Sede e Israele, che sono ad un buon livello; ha detto che sono in atto sforzi ed impegni di collaborazione. Ha auspicato una maggiore conoscenza e valorizzazione, anche, della Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”. Poi, ha parlato della situazione qui, delle difficoltà nate con l’elezione del governo Hamas: abbiamo, in coincidenza, una situazione d’emergenza. Proprio ieri, in un’incursione a Gaza, è stato fatto prigioniero un soldato e quindi è stato chiesto se vi fosse la possibilità di fare un appello per il rilascio di questo militare.

 

D. – Quindi, il presidente ha chiesto un intervento della Santa Sede?

 

R. – Ha auspicato che anche la Santa Sede possa svolgere la sua opera. Ho detto che avevo già parlato con il parroco cattolico di Gaza e che la situazione è seguita anche da noi e che ci saremmo attivati per ragioni umanitarie.

 

D. – Lei come vede, in questo momento, la situazione in Terra Santa? Quali speranze ci sono per un dialogo maggiore tra israeliani e palestinesi?

 

R. – Le speranze sembrano molto esili, molto, molto povere. Io mi auguro veramente che questo soldato possa essere liberato, perché altrimenti potrebbero crearsi quelle scintille di repressione e nessuno è in grado di prevedere cosa potrebbe accadere!

 

D. – La Santa Sede, ultimamente, ha lanciato un appello alla comunità internazionale a venire in aiuto alla popolazione palestinese, che è in grave difficoltà …

 

R. – Sì: ripetutamente ha lanciato questo appello. Speriamo che ci sia una risposta!

 

D. – Come vede la situazione della comunità cristiana in Terra Santa?

 

R. – Loro soffrono: certamente di questa situazione pagano conseguenze anche amare, ma sono in realtà piuttosto un elemento, un fattore di moderazione perché la posizione dei cattolici è sempre quella di favorire la ricerca della pace attraverso il dialogo, attraverso la mediazione …

 

D. – Tanti cristiani stanno lasciando la Terra Santa …

 

R. – Sì, e per tanti motivi, e non da adesso: è un flusso che continua ormai da parecchio tempo!

 

D. – Cosa manca ancora perché le relazioni tra Israele e Santa Sede possano essere definite “completamente soddisfacenti”?

 

R. – Si stanno elaborando nuove convenzioni; anche il presidente ha auspicato che i lavori possano essere accelerati per migliorare anche alcuni aspetti che hanno poi ripercussioni sulla Chiesa locale, sui cristiani che vivono qui. Noi stiamo aspettando le prossime riunioni …

 

D. – Lei con quali sentimenti inizia questo nuovo incarico?

 

R. – Con la fiducia – prima di tutto – nell’aiuto del Signore, con tanta apertura d’animo e di cuore, con tanto impegno di lavoro proprio per cercare di poter dare anche un minimo contributo a questo sforzo che si fa da parte di tutti, per fare evolvere la situazione verso una pace più stabile.

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LA LIBRERIA EDITRICE VATICANA PUBBLICA DOMANI

IL TESTO DEL DISCORSO DI BENEDETTO XVI AD AUSCHWITZ. UN’OCCASIONE

PER RIFLETTERE SULLA SHOAH E GLI INTERROGATIVI DELL’UOMO DI FRONTE AL MALE ASSOLUTO. CON NOI MONS. GIANFRANCO RAVASI,

AUTORE DELL’INTRODUZIONE AL VOLUME

 

Esce domani nelle librerie il volume “Svegliati! Non dimenticare la tua  creatura, l’uomo. Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, la Chiesa Cattolica e la Shoah”. Si tratta di una raccolta che offre ai lettori il testo del discorso di Benedetto XVI ad Auschwitz, l’intervento di Giovanni Paolo II nel campo di concentramento di Brzezinka nel 1979 e il messaggio (praticamente inedito perché pubblicato poco prima della morte di Papa Wojtyla) per i sessanta anni della liberazione dei prigionieri di Auschwitz-Birkenau. Infine, come corollario, viene riproposto integralmente il testo “Noi ricordiamo”, una riflessione sulla Shoah, e il paragrafo della Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” sulla religione ebraica. L’introduzione al volume è del prefetto della Biblioteca Ambrosiana, mons. Gianfranco Ravasi, che, intervistato da Alessandro Gisotti, ritorna sul significato storico della visita di Benedetto XVI ad Auschwitz:

 

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R. – E’ stato come un pellegrinaggio guidato, perché altre volte ho avuto l’impressione di vivere un’esperienza così intensa ma mai come in questo momento, attraverso quella figura silenziosa e destinata a lanciare un messaggio, come era quella del Papa che faceva da guida a tutti coloro che hanno vissuto, passando per quello spazio, un’esperienza. La figura stessa, solitaria, del Papa, e per di più, di un Papa che ha alle spalle, indubbiamente, anche la sua matrice: la matrice tedesca; quelle sue parole che hanno veramente artigliato le coscienze di tutti gli uomini, con quelle domande che andavano al di là della domanda teologica e diventavano l’interrogazione rivolta all’uomo di fronte al mistero del male e del dolore.

 

D. – “Dov’era Dio?”: il silenzio del Padre celeste di fronte all’orrore di Auschwitz lascia sgomenti. Un sentimento, questo, espresso anche da Benedetto XVI nella visita ad Auschwitz

 

R. – C’è il cuore, anzi, direi, non soltanto teologico ma anche umano di quel suo discorso; c’è, quasi, in quella domanda, una sorta di interrogazione, se si vuole, di respiro universale. Io cito esplicitamente il romanzo “La notte”, di Elie Wiesel, il quale ricorda una sua esperienza: una sera, al ritorno dai lavori forzati, gli internati di un lager nazista scoprono tre impiccati nel piazzale della baracca: due adulti e un ragazzino. Quel ragazzino non è ancora morto, è ancora vivo, ha la lingua rossa che gli fuoriesce dalla bocca, gli occhi che non sono ancora spenti. E allora, uno dei prigionieri che stanno attorno a questa scena macabra, grida: “Dov’è il buon Dio? Dov’è?”. E questa domanda ha una risposta da parte dello stesso autore: “Io ho sentito in me una voce che rispondeva:Eccolo: è appeso lì, a quella forca!’”. Ecco, in questa luce si ha per molti versi – io dico – la risposta cristiana, che sulla forca vede il Figlio stesso di Dio che non si avvicina soltanto alle vittime, come un consolatore, ma è lui stesso vittima, impiccato, perché non dimentichiamo mai che la crocifissione era il supplizio più vergognoso, il supplizio degli schiavi.

 

D. – Qualcuno ha detto che più delle parole, conta il gesto che il Papa, figlio del popolo tedesco, ha compiuto visitando Auschwitz

 

R. – E’ vero! Io vorrei ricorrere ad un parallelo che a prima vista sembra fuori tema: gli ultimi anni, gli ultimi mesi di Giovanni Paolo II quando, in pratica, era soltanto – potremmo dire – una presenza fisica, apparentemente; era una presenza che non parlava quasi più … Eppure, questa presenza ha avuto un influsso, direi quasi: ha inciso una ferita nell’interno delle coscienze, dei cuori di molti. Ecco, qualcosa del genere, in parallelo, secondo me, è venuto da Auschwitz. Indubbiamente, il Papa ha detto delle parole straordinarie, ma la cosa forse più forte – e lo vedevo anche dalla televisione, dalle fotografie – è proprio questa presenza solitaria, una presenza di un uomo semplice, una figura candida all’interno di un mondo di orrore, di sangue, quindi in un mondo nero, oscuro, tenebroso. Quella presenza, io credo, alla fine aveva la stessa efficacia della presenza muta di Giovanni Paolo II.

 

D. – Dunque, quelle critiche che pure ci sono state al discorso del Papa, non hanno tenuto conto proprio di questa importanza della presenza?

 

R. – E’ vero! D’altronde sappiamo bene che le questioni storiche sono passibili di infinite decifrazioni; ma al di là di queste polemiche c’è però, secondo me, proprio questo atto: le interpretazioni storiche che riguardano l’interpreta-zione degli eventi umani, devono esserci, sì, ma solo in calce. L’elemento fondamentale è cercare di ritornare alla coscienza, al senso profondo e ultimo della storia.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina – “Maggiore attenzione alle condizioni di sicurezza nel lavoro”: il dolore di Benedetto XVI per il grave incidente avvenuto nel cantiere dell’autostrada Catania-Siracusa.

 

Servizio vaticano - Al termine dell’esecuzione musicale della “Fondazione Domenico Bartolucci” il Papa ha esortato i cultori del canto sacro ad offrire il loro prezioso contributo alla preghiera liturgica e a concorrere efficacemente all’annuncio del Vangelo.  

 

Servizio estero - In evidenza l’Iraq, dove non finiscono gli orrori: trucidati i quattro diplomatici russi rapiti il 3 giugno.

 

Servizio culturale - Un articolo di Paolo Miccoli dal titolo “Attualità del pensiero di Francesco Bacone”.

 

Servizio italiano - In rilievo il tema dell’immigrazione.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

26 giugno 2006

 

 

SI APRE A NEW YORK LA CONFERENZA ONU PER FERMARE LA PROLIFERAZIONE

 NEL MONDO DELLE ARMI LEGGERE

- Intervista con Fabrizio Battistelli -

        

Si apre oggi a New York la Conferenza dell’ONU sui piani che hanno l’obiettivo di eliminare il commercio illecito di armi leggere. Il proliferare di questo fenomeno è la causa ogni anno della morte di 300 mila persone, nel corso di conflitti, e 200 mila civili per omicidio o suicidio. Ma come si può arginare la circolazione nel mondo delle armi di piccolo calibro? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Fabrizio Battistelli, segretario generale dell’organizzazione Archivio Disarmo:

 

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R. – Esiste un piano alle Nazioni Unite per predisporre un trattato che finalmente regoli questo mercato selvaggio delle armi cosiddette leggere e accanto a questo piano ce n’è un altro non meno forte da parte di molti produttori per evitare che si raggiunga una qualche regolamentazione.

 

D. – Dai numeri appare evidente la pericolosità nel concreto delle armi leggere molto più di quelle nucleari. Perché solo su queste ultime è stata appuntata l’attenzione della comunità internazionale?

 

R.- Forse per il fatto che le armi di distruzione di massa sono armi virtuali ed effettivamente di danni ne fanno soltanto potenzialmente e sul piano politico mentre non hanno veri effetti nei conflitti di tutti i giorni e soprattutto non rappresentano un mercato ricchissimo come invece è rappresentato dalle armi di piccolo calibro, le quali sono quelle effettivamente usate nei conflitti reali e che proliferano di fatto fino a raggiungere i 600 milioni di armi da fuoco stimate dall’ONU oggi in giro per il mondo. Dietro ci sono tanti interessi e quindi è molto difficile cercare di mettere uno stop a questo traffico.

 

D. – Ci sono dei Paesi particolarmente responsabili del commercio delle armi di piccolo calibro?

 

R. – Ma in parte sono i Paesi industriali più avanzati. Classicamente gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia  e anche l’Italia hanno un ruolo molto significativo nella produzione di armi leggere. Poi ci sono la Russia e la Cina ed infine i Paesi di nuova industrializzazione che cominciano a farsi vivi su questo mercato.

 

D. – Si parla sempre di armi di nuova costruzione. Nel fenomeno sono compresi gli armamenti già usati in precedenti conflitti?

 

R. – C’è sempre un permanente riciclaggio di armi che vengono dimesse magari da eserciti regolari e poi vengono vendute sul mercato oppure triangolati, cioè mandate a Paesi per i quali non esistono situazioni di embargo ma che poi a loro volta deviano verso Paesi che sono invece in guerra o che violano i diritti umani e così via. Quindi ci sono anche armi che praticamente hanno una vita quasi immortale, fino a quando non cadono in pezzi e non vengono più commercializzate.

 

D. – La comunità internazionale si è posta un limite di tempo entro cui fermare la circolazione illecita delle armi leggere?

 

R. – I limiti sono imminenti ma nel senso che, se riusciremo a livello di Nazioni Unite a trovare un accordo, questo sarà entro il 7 luglio di quest’anno. Dopo di che dovremo aspettare altri 5 anni perché una possibile iniziativa torni all’ordine del giorno. Cinque anni in cui perderanno la vita decine di migliaia di persone in questo vuoto legislativo internazionale che lascia il campo aperto a mercanti d’armi e fazioni in lotta e talvolta anche a privati cittadini che fanno uso di queste armi spesso letali.

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SI CELEBRA OGGI LA GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA TORTURA

- Interviste con Riccardo Noury e Fiorella Rathaus -

 

“Il divieto della tortura è assoluto e vale in ogni circostanza, in tempo di guerra e in tempo di pace. La tortura non è ammissibile nemmeno se chiamata con nomi diversi”. Sono le parole del segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, in occasione della Giornata mondiale contro la tortura che ricorre proprio oggi.  Proclamato dall’ONU nel 1997, l’evento chiede la creazione di un sistema internazionale di prevenzione della tortura e dà voce alle tante vittime di sevizie. Sentiamo Isabella Piro.

 

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Era il 26 giugno 1987 quando è entrata in vigore la Convenzione delle Nazioni Unite che ha reso il divieto all’utilizzo della tortura un diritto inderogabile: malgrado ciò, oggi metà della popolazione globale vive ancora sotto governi che la praticano quotidianamente. Un passo avanti è stato fatto pochi giorni fa, con l’entrata in vigore del protocollo opzionale alla convenzione ONU, ratificato già da 20 Nazioni. Ce ne parla Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:

 

“E’ un documento molto importante, un protocollo aggiuntivo alla Convenzione dell’ONU contro la tortura che è entrato in vigore il 22 giugno dopo essere stato ratificato da 20 Paesi. Stabilisce un sistema di ispezioni delle visite non regolamentate, non soggette al controllo preventivo, all’autorizzazione preventiva degli Stati, e per Amnesty International è uno dei metodi più efficaci per prevenire la tortura”.

 

In tutto il mondo, oggi sono 104 i Paesi in cui si pratica la tortura. E nell’occhio del ciclone c’è, da sempre, il carcere di Guantanamo a Cuba:

 

Guantanamo, paradossalmente, è la punta visibile di un iceberg di violazioni dei diritti umani che vedono chiamare in causa anche l’Europa, in cui vi sarebbero centri segreti di detenzione; ma certamente vi sono prigioni segrete in moltissimi Paesi del Medio Oriente nei quali la tortura è praticata con regolarità. E preoccupa molto il tentativo di rendere lecita la tortura in nome della cosiddetta ‘lotta al terrorismo’ per la sicurezza internazionale. Amnesty International sostiene che Guantanamo, come luogo-simbolo delle torture, debba essere chiusa al più presto”.

 

Il 30% delle vittime di tortura sono richiedenti asilo: a loro, in particolare, si dedica il Consiglio Italiano per i rifugiati, offendo non solo consulenza legale per il riconoscimento dei diritti civili, ma anche assistenza medica e psicologica. Ascoltiamo la portavoce, Fiorella Rathaus:

 

“Si tende a pensare alla tortura come ad un mezzo per costringere a parlare le persone; in realtà, è proprio il mezzo per togliere la parola alle persone: qualora e laddove riesca a sopravvivere, è comunque una persona che sopravvive a metà e che perde, in qualche modo, la capacità di comunicare”.

 

E tra le vittime di sevizie ci sono anche i bambini:

 

“I bambini, diciamo che spesso li abbiamo trattati piuttosto come vittime secondarie, nel senso che in molti casi sono stati esposti a vedere i genitori sottoposti a torture: ne escono estremamente devastati!”.

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CHIESA E SOCIETA’

26 giugno 2006

 

 

DUECENTO MILIONI DI PERSONE HANNO CONSUMATO DROGHE NELL’ULTIMO ANNO,

I DATI PIÙ ALLARMANTI NELL’EUROPA OCCIDENTALE: PUBBLICATO OGGI IL RAPPORTO

DELL’ONU IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE CONTRO LA DROGA

- A cura di Tiziana Campisi -

 

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ROMA. = “Dai valore a te stesso, fai una scelta di vita sana”: è lo slogan scelto dall’ONU per la Giornata Mondiale contro la droga che viene celebrata oggi e che è stata indetta per la prima volta nel 1987. Sono almeno 200 milioni le persone che hanno fatto uso di sostanze stupefacenti almeno una volta negli ultimi 12 mesi. Lo rivela il Rapporto mondiale sugli stupefacenti 2006 compilato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per la lotta alla droga e al crimine (UNODC), reso noto oggi. Il consumo di cocaina sta raggiungendo livelli allarmanti nell’Europa occidentale mentre la produzione di oppio potrebbe tornare ad aumentare in Afghanistan, dopo aver toccato nel 2005 il minimo dalla caduta del regime talebano. Sta dando buoni frutti, tuttavia, la battaglia contro le dipendenze e, a livello mondiale, c’è stato un calo del 5 per cento nella produzione di oppio. Gli sforzi compiuti “hanno invertito la tendenza alla crescita dell’abuso di droga che andava avanti da 25 anni”, ha detto Antonio Maria Costa direttore dell’UNODC. Le sostanze più amate da chi fa uso di stupefacenti restano gli oppiacei: 162 milioni scelgono la cannabis, secondo dati del 2004, mentre la cocaina è la più consumata nell’Europa occidentale, tanto da rappresentare da sola il 26 per cento del mercato mondiale. Gli Stati Uniti risultano più all’avanguardia nella lotta contro la droga e nel 2004 hanno smantellato 17 mila laboratori clandestini per la produzione di metanfetamine, il 90 per cento del totale di sequestri nel mondo. Quest’anno,  l’Ufficio contro la Droga e il crimine delle Nazioni Unite (UNODC) ha lanciato anche una campagna internazionale per sensibilizzare l’opinione pubblica sul potere distruttivo delle droghe e particolarmente sul suo consumo da parte dei minori. Tema della campagna, che vuole esortare gli adulti a proteggere i bambini coinvolgendo genitori, assistenti sociali, insegnanti, media, organizzazioni ed onlus, “Le droghe non sono un gioco da ragazzi”. “Dobbiamo lavorare per un’educazione migliore e una maggiore consapevolezza con il fine di prevenire l’abuso di droghe”, ha scritto il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan nel suo messaggio per la giornata di oggi. Annan ha anche sottolineato che occorre “diffondere la consapevolezza che le droghe sono illegali perchè rappresentano un problema”, quando infatti vi è una dipendenza questa causa sofferenza in chi ne fa uso e nelle persone vicine. Il segretario generale delle Nazioni Unite ha precisato inoltre che occorre “ridurre il traffico di droghe, attraverso un rafforzamento della legislazione” e “una collaborazione con i Paesi produttori per offrire ai coltivatori alternative sostenibili alla coltivazione di colture illecite”.

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IERI IN INDIA IL SALUTO DEL CARDINALE IVAN DIAS, NUOVO PREFETTO

DELLA CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI.

IL PORPORATO: POSSA L’INDIA CRESCERE NELLO SPIRITO, nON SOLO NELL’ECONOMIA

 

MUMBAI. = Diciotto vescovi hanno concelebrato ieri a Bandra, nella chiesa di S. Andrea, la Messa di congedo del cardinale Ivan Dias, nuovo prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Davanti ad oltre 4 mila, persone di diverse fedi, riferisce l’agenzia Asianews, il porporato ha rivolto un invito a potenziare i valori morali e spirituali contro “sciovinismo etnico, caste e corruzione” e a far crescere l’India non solo come potenza economica. Il cardinale Dias ha detto inoltre che l’India può fare grandi progressi nelle virtù spirituali, da misurarsi non tanto con gli indici di borsa, quanto con la crescita del senso civico, auspicando che i politici indiani si mostrino prima di tutto uomini di Stato di integrità morale, impegnati a favore dei poveri e degli emarginati. Il porporato ha poi tenuto a ribadire che il lavoro della Chiesa in India, nel campo dell’istruzione, dell’assistenza sociale e della sanità, non ha e non ha mai avuto come fine proselitismo e conversioni. Kala Archarya, dell’Inter-Religious Centre presso il Somaiya college di Mumbai, ha definito Dias “la luce, che in India ha accesso il dialogo interreligioso, sulle orme di Giovanni Paolo II”. Padre Anthony Charangat, direttore delle Comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Mumbai, ha affermato che il cardinale Dias è considerato “un buon pastore e un fermo difensore della fede, il quale ha sempre avuto il coraggio di dire la verità”. “Possa Dio assisterlo nel proclamare Cristo come luce per le nazioni nella nuova missione affidatagli”, ha detto il sacerdote. (T.C.)

 

 

LA PREDICAZIONE DI SAN PAOLO UNA REALTÀ CHE CAMBIA L’ESISTENZA E PORTA

AD UNA MENTALITÀ NUOVA CHE SI CONFRONTA E DIALOGA.

COSÌ IL VICARIO APOSTOLICO DELL’ANATOLIA, LUIGI PADOVESE, ALL’APERTURA

DEL X SIMPOSIO SULL’APOSTOLO DELLE GENTI

CHE SI STA SVOLGENDO IN QUESTI GIORNI A TARSO

- A cura di p. Egidio Picucci -

 

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TARSO. = Sono in pieno svolgimento a Tarso, in Turchia, i lavori del decimo Simposio su San Paolo, organizzato dall’Istituto francescano di spiritualità dell’Università Antonianum di Roma, sul tema “Paolo tra Tarso e Antiochia: archeolgia, storia e religione”. Le relazioni del primo giorno sono state precedute da una celebrazione che si è svolta nella chiesa di S. Paolo e che è stata presieduta da mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia. Il presule ha sottolineato che la religione in Paolo è una realtà che cambia l’esistenza e porta ad una mentalità nuova, che si confronta e dialoga. I lavori del simposio, dopo aver offerto un rapido panorama sulla Cilicia ante e post paolina, si sono soffermati su due argomenti molto interessanti, e cioè: “Le fatiche di Paolo nella più antica tradizione cristiana” e “Paolo, predicatore delle Beatitudini”. Parlando delle fatiche dell’apostolo, la professoressa Francesca Cocchini ha affermato che esse sono state veramente superiori a quelle degli altri apostoli (come Paolo stesso afferma nella Lettera ai Corinti), perché sostenute nella predicazione ai pagani, ai quali la sua catechesi kerigmatica e parenetica doveva necessariamente apparire estranea e nuova, sconoscendo essi i riferimenti scritturistici, noti, invece, ai giudei ai quali si rivolgevano invece gli altri Apostoli. Trattando delle Beatitudini in Paolo, riportate negli Atti di Paolo e Tecla e identiche per numero a quelle del Vangelo, la professoressa Maria Grazia Mara ha fatto notare che esse sono strutturate sullo schema di quelle di Matteo, attente alla rivelazione del Regno piuttosto che al capovolgimento delle situazioni della vita terrena, come fa Luca. Una riflessione particolare è stata fatta sulle beatitudini di coloro che custodiscono il battesimo e su quanti fanno posto all’intelligenza di Cristo. Il simposio terminerà venerdì 29 giugno ad Antiochia, con una cerimonia ecumenica nella grotta di S. Pietro, in occasione del bayram (festa) dell’apostolo, rispettata dai fedeli di tutte le confessioni religiose presenti in città.

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LA BIBBIA UN TESTO CHE ORMAI QUASI TUTTE LE FAMIGLIE POSSIEDONO MA POCO LETTA E STUDIATA. LO RIVELA UNO STUDIO REALIZZATO IN FRANCIA, ITALIA E SPAGNA, PROMOSSO DALLA SOCIETÀ BIBLICA UNIVERSALE E PRESENTATO OGGI A ROMA

 

ROMA. = La Bibbia nelle famiglie di tanti cristiani, ma spesso in penombra. È quanto emerge dalla ricerca “La promozione della Bibbia, impegno comune di cattolici, protestanti e ortodossi”, presentata oggi a Roma e promossa dalla Società biblica universale (ABU), attraverso le Società bibliche nazionali di Italia, Spagna e Francia. La ricerca, come riferisce l’agenzia SIR, conclude un progetto triennale avviato nel 2001 dall’ABU per approfondire il modo in cui i cattolici di questi tre Paesi si rapportano alla Scrittura e il loro eventuale interesse a sostenere programmi di diffusione biblica, sia in patria che all’estero. Legge la Bibbia il 55 per cento dei francesi, il 52 degli spagnoli e il 42 degli italiani. Nella lettura di gruppo i francesi sono sempre in testa (21 per cento), seguiti da italiani (17) e spagnoli (12). L’omelia resta la principale forma di mediazione della Bibbia. Tra le “pratiche più utili per alimentare la fede” è segnalata appena dal 29 per cento degli spagnoli, dal 23 degli italiani e dal 13 dei francesi. Ma come è definita la Bibbia? “È un libro ispirato da Dio, ma da non prendere sempre alla lettera, semmai da interpretare” è la risposta che riscuote maggiori consensi, con i francesi al 60 per cento, gli spagnoli al 57 e gli italiani al 43. “È la parola di Dio, da prendere sempre e solo alla lettera”, invece per il 38 per cento degli italiani, il 29 degli spagnoli e il 17 per i francesi che si segnalano però tra gli scettici (per il 13 per cento di loro la Bibbia è soltanto un insieme di favole e leggende; in Italia per il 6 per cento, in Spagna per il 5). Il luogo più apprezzato per conoscere la Bibbia è la parrocchia: lo affermano 46 spagnoli, 42 francesi e 39 italiani su cento. La conoscenza religiosa resta però debole. Dalla ricerca dell’ABU emerge infatti che a frequentare incontri di catechesi o di cultura religiosi sono circa un quarto dei cattolici praticanti (Spagna 28 per cento, Francia 26 e Italia 2). Ne deriva una non altissima consapevolezza della centralità della Parola di Dio nella vita cristiana, ma anche una disponibilità a collaborare con altre confessioni cristiane per conoscenza e diffusione della Bibbia. Settantasei francesi, 62 italiani e 58 spagnoli su cento sono disponibili a collaborare con i protestanti. La ricerca dell’ABU è stata condotta dal sociologo Luca Diotallevi, articolata su un sondaggio Eurisko, sull’opinione pubblica (un campione di 650 persone) e interviste con leader della Chiesa cattolica. (T.C.)

 

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24 ORE NEL MONDO

26 giugno 2006

  

- A cura di Amedeo Lomonaco e Valentina Corsaletti -

        

In Medio Oriente, il primo ministro israeliano Ehud Olmert ha dato ordine all’esercito di prepararsi ad effettuare un’operazione nella Striscia di Gaza per liberare il soldato israeliano rapito ieri da estremisti palestinesi. Il sequestro è avvenuto durante un attacco contro un posto di blocco israeliano costato la vita a tre miliziani palestinesi e a due militari israeliani. Sul versante palestinese, il presidente Abu Mazen ha condannato l’attacco contro il checkpoint e il governo di Hamas ha chiesto il rilascio del militare israeliano. Ma il premier dello Stato ebraico ha già detto di considerare responsabili dell’atto terroristico e di “tutto ciò che ne consegue” l’Autorità nazionale palestinese e il governo guidato dal gruppo radicale.

 

In Iraq, Al Qaeda continua a rivendicare drammatiche azioni e a diffondere macabri filmati, anche dopo la morte del terrorista Al Zarqawi: l’organizzazione terroristica ha rivendicato, con un comunicato, l’uccisione di 4 diplomatici russi e diffuso un video con le tragiche sequenze dell’uccisione di tre dei 4 ostaggi. Il governo di Mosca non ha ancora confermato che le persone barbaramente assassinate siano proprio i funzionari russi. Sul versante politico, intanto, il premier Al Maliki ha presentato al Parlamento il piano di riconciliazione nazionale che prevede, tra l’altro, l’avvio di un dialogo con alcuni gruppi sunniti radicali, la revisione dello status di esponenti del disciolto partito Baath e il disarmo di milizie parallele alle forze di sicurezza e di polizia. Tali iniziative – ha precisato il primo ministro iracheno – non saranno estese ai membri di Al Qaeda.

 

Violenze anche in Afghanistan, dove è esplosa stamani, al passaggio di un convoglio militare presso la base americana di Bagram, a nord di Kabul,  un’autobomba azionata da un kamikaze. La deflagrazione ha causato il ferimento di due bambini. Il comando militare americano ha confermato, inoltre, la morte di un soldato statunitense, avvenuta ieri. Sempre ieri, altri 48 guerriglieri e due soldati della coalizione sono morti durante una battaglia nella provincia di Kandahar. Sul fronte dei sequestri, 5 operatori umanitari afghani sono stati rapiti nella parte orientale del Paese.

 

In Pakistan, sette soldati pakistani sono rimasti uccisi, nella regione tribale del Waziristan, quando un kamikaze ha lanciato il suo veicolo carico di esplosivo contro un posto di controllo. Lo rendono noto fonti governative e dell’intelligence. L’attacco è avvenuto all’indomani dell’annuncio di una tregua, nella regione, da parte dei ribelli. 

  

L’Iran è deciso ad usare l’arma del petrolio in caso di “pressioni o della forza” da parte di altri Paesi. Lo ha dichiarato, stamani, il portavoce del governo ribadendo quanto già affermato, ieri, dal ministro del Petrolio. Negli ultimi mesi, le autorità iraniane hanno più volte avvertito che la Repubblica islamica potrebbe limitare o bloccare le esportazioni di greggio. Il nostro servizio:

 

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L’Iran non sembra voler cedere alle pressioni internazionali: la Repubblica islamica, infatti, non ha alcuna intenzione di sospendere i processi per l’arricchimento dell’uranio ed è disposta ad utilizzare, secondo il portavoce del governo, qualsiasi strumento per preservare i propri interessi. Per questo, il governo di Teheran ha nuovamente minacciato di usare quella che si può definire “l’arma petrolio”, ovvero il congelamento o la riduzione della produzione di oro nero. Si tratta di una prospettiva che avrebbe conseguenze deleterie sui mercati internazionali: l’Iran è il quarto produttore mondiale di petrolio e il secondo dell’OPEC. In caso di arresto della sua produzione, il prezzo del greggio – che in questo momento è di circa 70 dollari al barile – potrebbe lievitare. La questione del petrolio iraniano è profondamente legata al programma nucleare del governo di Teheran. Lo scorso 6 giugno, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e la Germania hanno presentato alla Repubblica islamica un pacchetto di proposte per limitare l’arricchimento dell’uranio. Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, aveva fatto sapere che la risposta sarebbe arrivata dopo il 22 agosto. Ma non si può escludere che il governo di Teheran si pronuncerà sul pacchetto di proposte prima del previsto. E’ difficile prevedere, invece, se la Repubblica islamica cambierà le proprie posizioni.

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Nello Sri Lanka un attentatore suicida, a bordo di una moto, si è fatto saltare in aria nei pressi di una base militare di Colombo. L’azione terroristica ha provocato la morte del vice capo di stato maggiore dell’esercito, di due civili e un soldato. L’attacco non è stato rivendicato, ma la polizia ha già attribuito la responsabilità dell’attentato alle Tigri Tamil. L’esercito ha bombardato, inoltre, alcune postazioni dei ribelli nell’est dell’isola.

 

A Timor Est, dopo settimane di pressioni e di proteste popolari, il premier Mari Alkatiri si è formalmente dimesso. Poco prima di questa decisione, avevano rassegnato le dimissioni anche i ministro degli Esteri e della Difesa, José Ramos Horta, e dei Trasporti, Ovideo Amaral. Era ritenuto responsabile dei violenti disordini scoppiati nel Paese e costati la vita ad almeno 30 persone. La crisi ai vertici del Paese ha raggiunto il culmine dopo le accuse mosse al premier di aver reclutato squadroni della morte per eliminare i suoi oppositori.

 

I presunti voli segreti della CIA sono il primo punto all’ordine del giorno dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che si apre oggi pomeriggio a Strasburgo. Ma non è l’unico argomento che si affronterà. Da Strasburgo, Fausta Speranza:

 

 

 

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I rappresentanti di 46 Parlamenti d’Europa discutono sulle presunte missioni segrete da parte della CIA, sui trasferimenti interstatali illegali in Europa. Ma non solo, alla Sessione estiva del Parlamento di Strasburgo, si parlerà anche di libertà di espressione e di rispetto del credo religioso. Da sottolineare è la partecipazione del primo ministro turco, Erdogan. Ad aprire i lavori nel pomeriggio sarà la relazione del presidente dell’Assemblea, Terry Davis, mentre domani parlerà tra gli altri il commissario europeo per la giustizia, libertà e sicurezza, Franco Frattini. Ci sono i rappresentanti di 46 Parlamenti nazionali, perchè tanti sono, infatti, gli Stati che hanno aderito all’organismo e poi ce ne sono tre che hanno lo statuto di osservatori - Canada, Israele e Messico - più, tra gli invitati ai dibattiti, Stati Uniti e Santa Sede. Forse proprio in questa sessione, inoltre, bisognerà formalizzare il distacco del Montenegro dalla Serbia, sancito dal recentissimo referendum. Ora che la Serbia ha riconosciuto il nuovo piccolo Stato della ex Jugoslavia, il Montenegro diventerà il 47.mo Stato membro del Consiglio d’Europa. Resta da dire che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa è stata la prima assemblea europea nel continente e rimane la più vasta. Sta qui il primo significato della sua esistenza e del suo impegno: affrontare insieme le crisi, trovare risoluzioni, emanare raccomandazioni per i singoli governi nazionali. Un Forum parlamentare d’eccezione, dunque, che si fa punto di riferimento del dibattito culturale, sociale e di politica internazionale anche per le altre organizzazioni mondiali.

 

Da Strasburgo, Fausta Speranza, Radio Vaticana.

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In Italia, resteranno aperti, fino alle 15, i seggi per il referendum popolare che confermerà o respingerà la legge di modifica della seconda parte della Costituzione, approvata dal Parlamento. Alle ore 22 di ieri aveva votato il 35 per cento degli aventi diritto. Per questo tipo di consultazione non è necessario il raggiungimento del quorum.

 

Il premier spagnolo, José Luís Rodríguez Zapatero, si presenterà questa settimana in Parlamento per annunciare l’inizio del negoziato con l’ETA. Il premier ha comunque negato concessioni politiche all’ETA ma ha sottolineato la necessità di approfittare dell’occasione storica data dalla “tregua permanente” del 22 marzo per tentare di giungere alla pace attraverso il negoziato.

 

In Somalia, i fondamentalisti musulmani hanno rovesciato la maggioranza moderata delle corti islamiche, che il 4 giugno scorso avevano preso il potere a Mogadiscio, sconfiggendo i “signori della guerra” appoggiati, secondo diverse fonti, dall’amministrazione americana.

 

 

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