RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 169 - Testo della trasmissione di domenica 18 giugno 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa all’Angelus, nella festa del Corpus Domini, invita i cristiani ad essere testimoni gioiosi della presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, dono per il mondo intero

 

Si insedia domani, a Ginevra, il nuovo Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani. Ce ne parla l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi

 

Il viaggio del cardinale Zenon Grocholeski in Romania. Intervista con il porporato

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

        Prosegue il dibattito sulla vita umana dopo il sì dell’Europarlamento ai finanziamenti per la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Ai nostri microfoni Carlo Casini, Paola Binetti, Francesco D’Agostino, Bruno Dallapiccola e mons. Elio Sgreccia

 

La vittoria del Ghana sulla Repubblica Ceca  rilancia le speranze dell’Africa ai Mondiali  di calcio. Ne parliamo con il vescovo di Makeni Giorgio  Biguzzi

 

Il padre domenicano Enrico di Rovasenda ha compiuto, ieri, 100 anni. Intervista con il suo confratello padre Giacomo Grasso

 

CHIESA E SOCIETA’:

Domenica prossima, in tutto il mondo, la Giornata della carità del Papa: invito del cardinale vicario Camillo Ruini ai fedeli romani a partecipare con generosità

 

Da domani a Washington l’incontro dei vescovi di Stati Uniti, El Salvador e Messico sul tema dell’immigrazione

 

Si chiude stasera a Firenze il Terzo Forum dell’informazione della stampa cattolica per la salvaguardia del creato

 

Nel mondo l’80 per cento dei bambini viene colpito dal Rotavirus, una forma grave di dissenteria che uccide ogni anno 600mila piccoli

 

24 ORE NEL MONDO:

       Alle elezioni legislative in Slovacchia vince l’opposizione di sinistra

 

        La Catalogna oggi al referendum sul nuovo Statuto autonomista

 

      

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

18 giugno 2006

 

 

IL PAPA ALL’ANGELUS PER LA FESTA DEL CORPUS DOMINI INVITA I CRISTIANI AD ESSERE TESTIMONI GIOIOSI DELLA PRESENZA REALE DI GESU’ NELL’EUCARISTIA,SACRAMENTO IN CUI IL CRISTO SI DONA AL MONDO INTERO

 

 

L’Eucaristia non esaurisce la sua azione nella Chiesa: Gesù si dona per la vita di tutto il mondo. E’ quanto ha detto oggi il Papa durante l’Angelus in Piazza San Pietro, in occasione della festa del Corpus Domini, che si celebra oggi in Italia e in altri Paesi.  Quindi ha lanciato un appello in favore dei diritti dei rifugiati nel mondo.  Il servizio di Sergio Centofanti.

 

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Il Papa esorta i cristiani ad essere “testimoni gioiosi” della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Il Corpus Domini – afferma – “è la festa solenne e pubblica dell’Eucaristia, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo”: mistero istituito nell’ultima Cena e commemorato nel Giovedì Santo, e che “in questo giorno viene manifestato a tutti, circondato dal fervore di fede e di devozione della Comunità ecclesiale”. L’Eucaristia – ricorda il Papa -  “costituisce in effetti il ‘tesoro’ della Chiesa, la preziosa eredità che il suo Signore le ha lasciato. E la Chiesa la custodisce con la massima cura, celebrandola quotidianamente nella Santa Messa, adorandola nelle chiese e nelle cappelle, distribuendola ai malati e, come viatico, a quanti partono per l’ultimo viaggio”.

 

“Ma questo tesoro, che è destinato ai battezzati – sottolinea Benedetto XVI - non esaurisce il suo raggio d’azione nell’ambito della Chiesa”:

 

“L’Eucaristia è il Signore Gesù che si dona “per la vita del mondo” (Gv 6,51). In ogni tempo e in ogni luogo, Egli vuole incontrare l’uomo e portargli la vita di Dio. Non solo. L’Eucaristia ha anche una valenza cosmica: la trasformazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo costituisce infatti il principio di divinizzazione della stessa creazione”.

 

Per questo  - ha aggiunto – “la festa del Corpus Domini si caratterizza in modo particolare per la tradizione di recare il Santissimo Sacramento in processione, un gesto ricco di significato”:

 

“Portando l’Eucaristia nelle strade e nelle piazze, vogliamo immergere il Pane disceso dal cielo nella quotidianità della nostra vita; vogliamo che Gesù cammini dove camminiamo noi, viva dove viviamo noi. Il nostro mondo, le nostre esistenze devono diventare il suo tempio. La Comunità cristiana in questo giorno di festa proclama che l’Eucaristia è tutto per lei, è la sua stessa vita, la fonte dell’amore che vince la morte. Dalla comunione con Cristo Eucaristia scaturisce la carità che trasforma la nostra esistenza e sostiene il cammino di tutti noi verso la patria celeste”.

 

Dopo la preghiera dell’Angelus il Papa, parlando della Giornata Mondiale del Rifugiato, che verrà celebrata il prossimo 20 giugno, ha voluto ricordare le drammatiche  condizioni di tante persone “costrette a fuggire, per gravi forme di violenza, dalle proprie terre”. Una dolorosa situazione che reclama “l’attenzione della comunità internazionale”:

 

“Questi nostri fratelli e sorelle cercano rifugio in altri Paesi animati dalla  speranza di tornare in patria, o, almeno, di trovare ospitalità là dove si sono rifugiati. Mentre assicuro per loro un ricordo nella preghiera e la costante sollecitudine della Santa Sede, auspico che i diritti di queste persone siano sempre rispettati e incoraggio le Comunità ecclesiali a venire incontro alle loro necessità”.

 

Il Papa infine ha salutato i membri dell’Associazione Easy-Rider, presenti in Piazza San Pietro con decine di rombanti  Ferrari.

 

(Rombo dei motori)

 

“Ci salutano le macchine, buona domenica''.

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LE SPERANZE DELL’ARCIVESCOVO SILVANO MARIA TOMASI, OSSERVATORE

PERMANENTE DELLA SANTA SEDE PRESSO L’ONU DI GINEVRA SULLA NASCITA

 DEL NUOVO CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI DELLE NAZIONI UNITE

 

Si insedia domani a Ginevra il Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, in sostituzione della disciolta Commissione per i Diritti Umani. Un nuovo organismo che nasce con luci ed ombre: a farne parte entrano infatti anche Stati come Cina, Cuba e Arabia Saudita, più volte criticati dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani, mentre gli Stati Uniti e Israele si tengono fuori. Sulle aspettative per questo nuovo strumento dell’ONU in difesa dei diritti fondamentali, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra:

 

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R. – La speranza è che questo nuovo Consiglio dei Diritti umani, uno dei tre pilastri portanti della struttura delle Nazioni Unite, assieme allo Sviluppo e alla Sicurezza, possa davvero rispondere alle aspettative che la comunità internazionale ha posto in questa riforma, e cioè che ci sia meno politicizzazione nel cercare di affrontare le crisi dove i diritti umani vengono conculcati. Il nuovo Consiglio, alla cui inaugurazione verrà anche mons. Giovanni Lajolo in rappresentanza della Santa Sede, può allargare la coscienza dei diritti delle persone a tutti i settori dell’attività. Bisognerà comunque rimanere molto attenti, affinché il fondamento dei diritti umani di ciascuno sia proprio il rispetto e la consapevolezza che siamo tutti figli di Dio.

 

D. – La nascita di questo nuovo organismo può incoraggiare una riforma del sistema delle Nazioni Unite per renderla più efficace?

 

R. – Certo, se il nuovo Consiglio dei Diritti umani partirà bene e si affermerà con efficacia, il segnale chiaro sarà che è possibile affrontare anche altri segmenti della struttura delle Nazioni Unite, con buona volontà e con il consenso dei membri. Ci vuole soprattutto la volontà politica. L’obiettivo è di trovare una formula che veramente sia partecipativa, dove cioè tutti gli Stati possano esprimere la loro opinione e contribuire con la loro cultura e la loro esperienza. Certo, è un cammino lungo. Si sta dibattendo proprio in questi giorni su come cambiare la struttura amministrativa delle Nazioni Unite, cioè come rendere più snella la sua burocrazia, rendere più efficace l’utilizzazione del suo budget. Se il Consiglio dei Diritti umani funzionerà bene si potrà prendere il via da questa esperienza e si potrà cominciare anche per il Consiglio di Sicurezza a trattare seriamente.

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IL VIAGGIO DEL CARDINALE ZENON GROCHOLESKI IN ROMANIA

- Intervista col porporato -

 

          Il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, è appena rientrato a Roma da un viaggio in Romania. Un occasione per rilanciare il dialogo ecumenico con la Chiesa ortodossa ma non solo. Ce ne parla lo stesso porporato al microfono di Giovanni Peduto:

 

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R. – Dunque, io sono stato invitato in Romania dal Ministero dell’Educazione, che ha voluto discutere certi problemi che riguardano sia l’educazione della religione cattolica nelle scuole, sia le diverse facoltà teologiche o istituti di insegnamento superiore ecclesiastico, sia anche perché si voleva conoscere quello che fa la Santa Sede a livello di Chiesa universale per quanto riguarda l’educazione e tra queste problematiche hanno anche prospettato  l’eventuale possibilità di erigere in Romania un’università cattolica. Noi cattolici, in Romania, siamo relativamente pochi, siamo tra il 6% e il 10%. La maggioranza, l’85%, sono ortodossi. Devo dire sinceramente che il governo romeno dopo il crollo del comunismo si è dimostrato molto democratico e ha  aperto nell’insegnamento ai valori religiosi. Basti pensare che a livello statale, nonostante siamo una minoranza, abbiamo tre facoltà teologiche presso l’Università di Stato, una facoltà teologica a Bucarest e due facoltà di teologia cattolica a Cluj, una di teologia latino cattolica e un’altra greco cattolica.

 

D. – Quindi, l’atteggiamento dello Stato verso la Chiesa e le sue istituzioni educative è piuttosto favorevole?

 

R. – Si, favorevole e molto aperto e questo l’ho apprezzato molto.

 

D. – Lei ha accennato alla minoranza cattolica. Questa presenza della Chiesa cattolica pone dei problemi per quanto riguarda gli ortodossi, oppure i rapporti sono buoni?

 

R. – Penso che i rapporti siano migliori che in qualsiasi altro Paese a maggioranza ortodossa. Basti pensare che l’attuale Patriarca già nell’89 ha voluto riallacciare i rapporti con il Santo Padre. Poi nel ‘99 ha invitato il Papa in Romania, e praticamente questo è stato il primo viaggio del Santo Padre in un Paese a maggioranza ortodossa. Tutti sempre ricordano il fatto che, durante il viaggio in Romania, quando Giovanni Paolo II ha celebrato la Messa a Bucarest la folla gridava: “unità, unità…” perché la gente voleva questa unità. Io ho avuto anche il piacere di fare visita in questa occasione al Patriarca che è ultra 90enne ma è ancora pieno di vigore, pieno di entusiasmo per quanto riguarda l’ecumenismo, l’unione fra le Chiese.

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OGGI IN PRIMO PIANO

18 giugno 2006

 

 

IL DIBATTITO SULLA VITA UMANA DOPO IL SI’ DELL’EUROPARLAMENTO AI

FINANZIAMENTI PER LA RICERCA SULLE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI

-                     Interviste con Carlo Casini, Paola Binetti, Francesco D’Agostino,

Bruno Dallapiccola e mons. Elio Sgreccia -

 

 

Prosegue il dibattito in Europa sul tema della vita umana dopo che il Parlamento di Strasburgo ha approvato, giovedì scorso, i finanziamenti alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Ricerche e sperimentazioni che prevedono il prelievo di queste cellule: prelievo che provoca la soppressione degli embrioni umani. Sulla questione ascoltiamo il dossier curato da Massimiliano Menichetti:

 

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(Musica)

 

Proteggere “la vita in tutte le sue fasi, dal momento del concepimento fino alla morte naturale” un principio non negoziabile, non confessionale, perchè iscritto nella stessa natura umana. Così, in sintesi, Benedetto XVI il 30 marzo scorso in Vaticano durante l’udienza ai parlamentari del Partito Popolare Europeo: ma l’Europa continua ad essere teatro di forti contrasti sulla tutela della vita umana e nei giorni scorsi il Parlamento Europeo ha rinnovato gli stanziamenti per la ricerca sulle cellule staminali embrionali e l’Italia ha ritirato la riserva su tali sperimentazioni. Carlo Casini presidente del Movimento per la Vita in Italia:

 

“La scienza mostra che le ricerche finora sono state compiute sull’embrione nella fase iniziale, cioè quando sperimentare su di lui significa uccidere, e che queste ricerche sono totalmente inutili. Mentre promettenti sono le speranze, quando parliamo delle altre cellule staminali, le cosiddette cellule staminali adulte. Stornare perciò dei denari, che già non sono molti, per fare una ricerca che finora è servita a poco, ma che trasforma un uomo in cosa, sottraendo questi denari ad una ricerca che potrebbe presto guarire delle malattie terribili, è veramente qualcosa di inaccettabile”.  

 

I politici di matrice cattolica in Italia hanno intanto dato vita all’intergruppo parlamentare sui temi di bioetica: lo scopo è il confronto e la difesa della vita al di là degli schieramenti di appartenenza. Tra le fondatrici c’è la senatrice Paola Binetti:

 

 

“L’obiettivo primo che vogliamo raggiungere è quello di riprendere un contatto con i parlamentari che si sono impegnati sul piano della conoscenza, sul piano dell’approfondimento dei valori ed anche sul piano della mediazione nei rispettivi schieramenti. Riteniamo che vada sempre cercata una ragione profonda di condivisione”.

 

Parallelamente, l’esecutivo sui temi della bioetica ha varato una commissione governativa presieduta dal ministro dell’Interno Amato allo scopo di riflettere e aprire il dibattito a livello istituzionale. Affianco alla commissione, il Comitato Nazionale di bioetica, composto da esperti scienziati, giuristi filosofi, che da oltre 16 anni ha funzione consultiva nei confronti dell’esecutivo. Francesco D’Agostino già presidente del Comitato:

 

“La bioetica è tutta nelle nostre mani. Dipende esclusivamente da una decisione umana attivare o non attivare alcune pratiche che possono venire incontro alla vita o che la possono aggredire e ferire profondamente, per quello che riguarda la sua dignità. Questo, a mio avviso, spiega il fatto che le tematiche bioetiche sono all’ordine del giorno in tutti i Paesi avanzati e sono oggetto di discussioni accanite e, in qualche modo, destinate a restare aperte ancora per lunghissimo tempo”.

 

Gruppi di studio, bioingegneri, politici, continuano ad interrogarsi e scontrarsi sulle frontiere della scienza. Ma la ricerca deve avere limiti? Il genetista Bruno Dallapiccola:

 

“Io ritengo che il ricercatore debba essere fondamentalmente libero. A mio parere va aggiunta a questa libertà una piccola postilla, che non è poi tanto piccola: quando la ricerca ha come riferimento l’uomo e quella ricerca finisce per mettere a repentaglio la vita dell’uomo – e secondo me la vita dell’uomo è vita in tutto l’arco della formazione dell’uomo, da quella cellula che è un programma unico e irripetibile, a quella persona anziana che purtroppo ha i neuroni che magari non funzionano più nella maniera adatta – quando c’è un riferimento all’uomo e la ricerca mina la vita dell’uomo stesso, secondo me il ricercatore deve essere messo sotto libertà vigilata. Questo è, per me, il concetto di fondo”.

 

Mons. Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita ribadisce che la bioetica deve rimanere lontana dalle ideologie che portano la scienza al di là del bene comune:

 

“C’è un’emergenza di fatto e su questo problema della difesa della vita umana fin dall’origine, fin dal suo sorgere, si gioca un valore morale primario, non mercanteggiabile, non soggetto a compromessi e a giochi politici. C’è da conservare e semmai aumentare il senso umanistico della ricerca scientifica. L’Europa ha elaborato le migliori dottrine sul piano dell’umanesimo, della difesa dell’uomo, dei diritti umani, ora bisogna far valere l’uomo, fin dal momento del concepimento. Si deve mobilitare il

 

 

 

massimo del consenso in questa direzione. E’ una questione di libertà che vale più delle altre battaglie per l’indipendenza, perchè si tratta della salvezza dell’uomo in quanto tale, quando non si può difendere, quando ancora si trova nel seno della madre”.  

 

(Musica)      

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 GERMANIA 2006: IL GHANA PREPARA IL RISCATTO

DELLE NAZIONALI AFRICANE

- Intervista con mons. Giorgio Biguzzi -

 

Ai Campionati Mondiali di Calcio di Germania 2006 è arrivata l’ora delle squadre africane: la vittoria a sorpresa, ieri, del Ghana sulla Repubblica Ceca riaccende le speranze calcistiche di un intero continente in cui i primi “maestri del pallone” sono stati spesso i missionari. Il pareggio sofferto dell’Italia con gli Stati Uniti ha rimesso in gioco le sorti del girone. Ma che cosa rappresenta oggi il Mondiale e lo sport del calcio per la società africana? Giancarlo la Vella lo ha chiesto a mons. Giorgio Biguzzi, vescovo di Makeni, in Sierra Leone:

 

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R. – E’ una società composita, ma è una società molto giovane, e potete immaginare quanto interesse ci sia per il calcio. A Makeni ci sono moltissimi club che hanno la TV. Noi, infatti, non abbiamo la televisione, solo i privati hanno il satellitare. Ci sono masse di giovani che affollano questi piccoli club per seguire il calcio. Per fortuna è un momento di pace e non di guerra.

 

D. – Nei limiti del possibile, il calcio è uno sport soltanto guardato oppure anche praticato in Africa?

 

R. – In Africa credo che il calcio sia ancora quello che era originariamente, cioè lo sport dei poveri. Qualsiasi villaggio taglia l’erba, spiana qualche campo, mettono su quattro bastoni per fare le porte, e magari anche scalzi, se hanno un pallone, giocano. Si è cominciato così anche nelle missioni: con il radunare i giovani, farli stare insieme oltre che per l’istruzione e la catechesi anche per lo sport. Quindi, è praticato ormai in tutte le nostre scuole, in tutti i nostri centri. Quando, quindi, arriva a livelli nazionali e poi mondiali è qualcosa che tocca direttamente le nostre giovani generazioni. Siamo qui da 31 anni e mi ricordo già dall’inizio lo sport come parte integrante del sistema educativo. Ma l’analfabetismo è ancora al 70 per cento. Nei villaggi dove ci sono dei giovani si spiana il terreno e con un pallone, a volte di fortuna, si gioca.

 

D. – Perché il calcio quando viene praticato in Africa a livello agonistico rimane, però, ancora uno strumento di emancipazione? L’obiettivo dei calciatori forse è quello di andare a giocare in Occidente per desiderio di guadagnare cifre importanti?

 

R. – Questo è l’obiettivo non solo dei calciatori, ma un po’ di tutti, perché vivendo qui in situazioni di economie depresse, chi ha raggiunto un certo livello desidera ovviamente spostarsi dove ci sono salari alti e una tecnologia adeguata. Purtroppo è così anche per lo sport. Abbiamo, però, dei casi di coloro che avendo guadagnato molto in Occidente fanno poi degli investimenti a casa loro. Qui in Sierra Leone, per esempio, un grosso nome era quello di Mohamed Callon, che sta costruendo un grosso albergo, investendo qui i suoi capitali. C’è poi il caso più noto di George Weah, in Liberia, che voleva addirittura diventare presidente.

 

D. – Tra quattro anni il mondiale di calcio approderà in Africa, sia pure in Sudafrica, forse il più occidentale dei Paesi africani. Sarà quello il momento in cui una squadra africana riuscirà ad entrare nel gotha del calcio mondiale?

 

R. – Tutti lo sperano ed anch’io lo spero, per sentirci uguali al resto del mondo. Noi dell’Africa Occidentale seguiamo le squadre vicine, cioè il Ghana, la Costa d’Avorio, ma tutti tifano per qualsiasi squadra africana.

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GRANDE FESTA IERI A GENOVA PER I 100 ANNI COMPIUTI

DAL PADRE DOMENICANO ENRICO DI ROVASENDA

- Intervista con padre Giacomo Grasso -

 

         Grande festa ieri a Genova per i 100 anni compiuti dal padre domenicano Enrico di Rovasenda, teologo, filosofo e ingegnere. Ha attraversato 9 pontificati, da Pio X a Benedetto XVI. Nato il 17 giugno del 1906 a Torino vive attualmente a Genova nel Convento di Santa Maria di Castello dove è stato festeggiato dai confratelli, dagli amici e dai cardinali Tarcisio Bertone, arcivescovo di Genova, e dal cardinale George Cottier.  Luca Collodi ha chiesto al padre domenicano Giacomo Grasso di tracciarci un profilo  di padre di Rovasenda:

 

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R. – E’ nato e cresciuto in un ambiente di cattolici liberali. Fa l’università al Politecnico di Torino e si laurea nel ’28. Nel periodo universitario è prima intimo amico e collaboratore di Pier Giorgio Frassati e, quando muore Pier Giorgio, suo successore alla presidenza del Circolo universitario cattolico maschile Cesare Balbo. Nel ’26 partecipa al Congresso nazionale di Macerata e viene picchiato dai fascisti. Protesta fermamente con il prefetto di Macerata e il Congresso può continuare. E’ un Congresso dove come assistente ecclesiastico nazionale della FUCI c’è il giovane prete Giovanni Battista Montini.

 

D. – Nell’azione pastorale di padre Enrico di Rovasenda un punto importante, e vale la pena sottolinearlo, è la sua amicizia con il filosofo francese Maritain

 

R. – Sì, l’amicizia fu stretta quando lui andò a studiare filosofia all’Institute Catholique. Risiedeva nel convento domenicano dell’Annunciazione di Parigi e strinse subito relazione con questo grande personaggio, che già era tale. Lo aveva conosciuto attraverso le traduzioni che il giovane Montini aveva fatto di alcune importanti opere di Maritain. Maritain fu poi il punto di riferimento per l’azione politica di padre di Rovasenda, sia durante la resistenza che negli anni successivi.

 

D. – Qual è stato il rapporto di padre di Rovasenda con Paolo VI?

 

R. – E’ stato un rapporto strettissimo. Paolo VI, nel 1972, lo nominò vice direttore della Cancelleria della Pontificia Accademia delle Scienze. Non pochi discorsi di Paolo VI furono preparati, dal punto di vista di una bozza, proprio da padre di Rovasenda. Padre Enrico di Rovasenda riuscì a portare ad un livello altissimo la Pontificia Accademia delle Scienze.

 

D. – Come, padre di Rovasenda, interpretò la Resistenza, come cattolico in particolare?

 

R. – Già con i suoi studenti, che lo ammiravano, promuoveva uno stile educativo che era chiaramente opposto a quello del regime fascista. Tanto è vero che nel libro dei verbali del Consiglio di Provincia – siamo nel ’38 – si legge che padre Enrico di Rovasenda, maestro di studenti, va rimproverato perché muove critiche, in studentato, a sua eccellenza Benito Mussolini, duce del fascismo. Quando si accende la guerra partigiana lui si trovava con i suoi studenti nell’Alta Val Tanaro. Incomincia nell’Alta Val Tanaro a tenere collegamenti con giovani partigiani, che svolgevano in quelle parti alpine il loro servizio alla patria.

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CHIESA E SOCIETA’

18 giugno 2006

 

 

IL CARDINALE CAMILLO RUINI INVITA I FEDELI DELLA DIOCESI DI ROMA A

PARTECIPARE CON GENEROSITÀ ALLA GIORNATA DELLA CARITÀ DEL PAPA,

IN PROGRAMMA DOMENICA PROSSIMA IN TUTTO IL MONDO

 

ROMA. = “Il Santo Padre Benedetto XVI segue con speciale attenzione la vita della sua diocesi di Roma e si preoccupa profondamente di quanti si trovano nella necessità e nella sofferenza. (…) Desideriamo pertanto aiutare il Papa anche con un segno tangibile della nostra condivisione, testimonianza concreta dell’affetto e della gratitudine che la diocesi nutre nei suoi riguardi”: è quanto si legge nella lettera con cui il cardinale vicario Camillo Ruini ha invitato i fedeli della diocesi di Roma “a partecipare con la propria offerta” alla Giornata della carità del Papa, in programma domenica prossima, 25 giugno. Tradizione antichissima, adottata gia dalle prime comunità cristiane per sostenere materialmente coloro che hanno la missione di annunciare il Vangelo, attualmente, questa colletta – denominata “Obolo di San Pietro” – ha luogo in tutto il mondo cattolico, durante la Santa Messa del 29 giugno o nella domenica più vicina alla solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Essa rappresenta l’aiuto economico che i fedeli offrono al Santo Padre, come segno di adesione alla sollecitudine del Successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più bisognosi. “L’obolo di San Pietro – ha detto Benedetto XVI il 7 luglio del 2005, incontrando i soci del Circolo San Pietro – costituisce un ulteriore segno della (…) generosa apertura ai fratelli in difficoltà. Esso è, al tempo stesso, una significativa partecipazione allo sforzo della Sede Apostolica di rispondere alle crescenti urgenze della Chiesa, specialmente nei Paesi più poveri”. Molteplici le destinazioni dell’Obolo: dalle opere ecclesiali alle iniziative umanitarie e di promozione umana. Ospedali, orfanotrofi, scuole, seminari; aiuti nei casi di emergenza – come terremoti e alluvioni – forniti tramite il Pontificio Consiglio Cor Unum; e poi il sostegno alle attività delle fondazioni Popolorum Progressio, per i contadini e gli indigeni dell’America Latina, e Giovanni Paolo II per il Sahel, impegnata nella lotta alla desertificazione nell’Africa subsahariana. (R.M.)

 

 

AL VIA, DOMANI A WASHINGTON, L’INCONTRO DEI VESCOVI DI STATI UNITI, EL SALVADOR E MESSICO SUL CONTRIBUTO DELLE LORO CHIESE AL MIGLIORAMENTO DELLA NUOVA LEGISLAZIONE AMERICANA IN MATERIA D’IMMIGRAZIONE

- A cura di Luis A. Badilla Morales -

 

WASHINGTON. = Da domani fino al 21 giugno, i vescovi di Messico, El Salvador e Stati Uniti discuteranno a Washington sul contributo delle loro Chiese al miglioramento della nuova legislazione americana in materia d’immigrazione. Lo scorso 6 giugno, l’arcivescovo di San Salvador, mons. Fernando Sáenz Lacalle, annunciando l’incontro di lavoro aveva dichiarato: “E’ necessario pregare Dio nostro Signore affinché la riforma migratoria sia la migliore possibile”. Pochi giorni prima, i vescovi messicani, insieme a quelli statunitensi, avevano chiesto “una riforma inclusiva, giusta e ragionevole, dove si riconosca sempre che si tratta di leggi che riguardano esseri umani”. Il Senato degli Stati Uniti ha recentemente approvato una riforma sull’emigrazione che legalizza circa 9 dei 12 milioni di clandestini presenti negli Stati Uniti, che abbiano certificato di aver lavorato nel Paese per un periodo di quattro anni. Tra le altre Perché questo progetto si trasformi in legge, deve essere ancora approvato dalla Camera Bassa. La petizione è in sintonia con le proposte della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, che da un anno hanno lanciato una campagna per sollecitare i legislatori ad agire bene e tempestivamente e chiedere, al tempo stesso, il riconoscimento dei diritti umani nelle nuove misure legislative in discussione. Lo scorso 15 giugno mons. William Stephen Skylstad, vescovo di Spokane e attuale Presidente della Conferenza di vescovi cattolici degli USA, ha sottolineato ancora una volta la delicatezza della situazione: “Ogni giorno – ha dichiarato – l’opera delle nostre parrocchie, i programmi dei servizi sociali, i nostri ospedali e scuole testimoniano le conseguenze umane di un sistema legislativo seriamente difettoso: le famiglie sono divise, i migranti sono sfruttati e sono spesso vittime del traffico di esseri umani”. “La nostra politica sull’immigrazione – ha aggiunto il presule – va cambiata urgentemente” e i nuovi strumenti legali devono puntare soprattutto “alla protezione della persona umana nonché alla salvaguardia della vita”. In questo contesto e con questo orizzonte, ha assicurato mons. Skylstad, i vescovi statunitensi continueranno a lavorare con i vescovi latinoamericani, con il Congresso degli Stati Uniti e col Presidente per raggiungere “una legislazione riformata, che rifletta gli stessi valori sui quali è stato costruito il nostro Paese che, come si sa, è una nazione d’immigrati”.

 

 

“ENERGIE RINNOVABILI: UNA SCELTA ETICA”: È IL TEMA SCELTO DALL’ASSOCIAZIONE CULTURALE GREENACCORD PER IL TERZO FORUM DELL’INFORMAZIONE DELLA STAMPA CATTOLICA PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO, IN CORSO A FIRENZE

- A cura di Marina Tomarro -

 

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FIRENZE.  = Richiamare l’attenzione sull’utilizzo delle nuove fonti di energia rinnovabile – energia eolica, geotermia e centrali idroelettriche – come scelta etica essenziale per l’umanità: è lo scopo del Terzo Forum dell’informazione della stampa cattolica per la salvaguardia del creato, in corso da ieri a Firenze, sul tema: “Energie rinnovabili: una scelta etica”. L’incontro, rivolto soprattutto a esperti del settore e giornalisti, è promosso all’Associazione culturale “Greenaccord”. “I problemi dell’ambiente sono transnazionali e transculturali perché coinvolgono tutti senza distinzioni ed è per questo che dobbiamo unire le forze ed impegnarci insieme a risolverli”: queste, le conclusioni tracciate al termine dei lavori di ieri. “I potenti della terra – ha spiegato il prof. Sergio Rondinara, docente di Etica Ambientale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma – dovrebbero stabilire un dialogo autentico sui problemi dell’ambiente, perché solo cosi si possono trovare soluzioni verso un consumo energetico più responsabile”. Secondo Rondinara, trovare forme energetiche rinnovabili è un atto di amore e di responsabilità non solo verso noi stessi, ma soprattutto verso le generazioni future. E sulla questione del consumo di energie rinnovabili, Edo Ronchi, presidente dell’Istituto Sviluppo Sostenibile Italia, ha sottolineato che l’Italia, rispetto agli altri Paesi europei, ne produce solo il 7 per cento. Andrea Fasullo, docente di Fondamenti di sostenibilità ambientale presso l’Università di Camerino, ha invece evidenziato quanto lo sfruttamento delle risorse provochi danni enormi al pianeta e l’aumento continuo delle temperature e i forti fenomeni climatici, come cicloni ed uragani, siano un campanello di allarme da non trascurare. Proprio per questo, è necessario ricercare nuove forme di energia, perché soltanto cosi salveremo il nostro ecosistema. Stamani, i lavori sono ripresi con l’intervento di  Ugo Sasso, presidente dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura, che ha parlato del perché la Bioarchitettura non sia ancora molto diffusa in Italia e di come i progetti di case ecologiche, già realtà in altre nazioni europee come la Germania, dimostrino invece un notevole risparmio sulle materie prime. Un ammortizzamento dei costi, dunque, ma anche un ambiente dove la persona scopra un modo di vita più sano, in armonia con ciò che lo circonda. Nel pomeriggio si discuterà sulla recezione del problema ambientale nella comunità ecclesiale, con particolare attenzione sulla Creazione come atto divino, continuamente in corso e segno visibile di quel mistero dell’amore di Dio di cui noi stessi siamo parte integrante.

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NEL MONDO, L’80 PER CENTO DEI BAMBINI VIENE COLPITO DAL ROTAVIRUS:

FORMA GRAVE DI DISSENTERIA CHE OGNI ANNO UCCIDE 600 MILA PICCOLI: E’ QUANTO E’ EMERSO, NEI GIORNI SCORSI A LISBONA, NEL CORSO DEL VII SIMPOSIO INTERNAZIONALE SUL ROTAVIRUS

LISBONA. = Ogni anno, nel mondo, sono 600 mila i bambini che muoiono a causa del Rotavirus, il virus responsabile di forme gravi di dissenteria e influenza intestinale che colpisce i piccoli sotto i 5 anni di età: è il drammatico dato emerso nei giorni scorsi a Lisbona, in occasione del VII Simposio internazionale sul Rotavirus. Un problema non solo dei Paesi in via di sviluppo, dove rappresenta la principale causa di morte nei bambini, dopo malnutrizione e polmoniti, a causa anche dell’assenza di strutture adeguate per la somministrazione della terapia di reidratazione. Come ironizzato da Filippo Ansaldi, ricercatore del Dipartimento di Scienze della salute dell’Università di Genova, si tratta di un “virus democratico”, che colpisce indiscriminatamente anche il Paesi ricchi, provocando, negli Stati Uniti, circa 50 decessi l’anno. Inoltre, il Rotavirus è estremamente mutevole e contagioso: più dell’80 per cento dei bambini entro i due anni viene infatti in contatto con esso, sviluppando gastroenterite (il 95 per cento entro i 5 anni). Alto è poi il tasso di ospedalizzazione: oltre due milioni sono i ricoveri, di cui 87 mila in Europa. Solo in Francia si stima che l’impatto economico della malattia sia di 28 milioni di euro l’anno. Lo scorso febbraio, l’Autorità europea per i farmaci (EMEA) ha approvato un vaccino in grado di prevenire fino al 98 per cento delle gastroenteriti gravi, messo a punto da Sanofi-Pasteur MSD. Si attende adesso l’autorizzazione alla messa in commercio da parte della Commissione europea. In Italia dovrebbe essere distribuito all’inizio del 2007. (R.M.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

18 giugno 2006

 

 

- A cura di Eugenio Bonanata-

        

In Slovacchia il partito socialdemocratico di opposizione, guidato da Robert Fico, ha vinto le elezioni legislative di ieri. Conquistando oltre il 29,14% dei voti, la formazione ha infatti sconfitto il partito cristiano-democratico del premier uscente Mikula Dzurinda che ha ottenuto poco oltre il 18,36% dei consensi. Il partito vincente, con 50 seggi, non ha però ottenuto una maggioranza decisiva. Il futuro premier dovrà quindi cercare delle alleanze per la formazione del nuovo governo. Eugenio Bonanata ha parlato della situazione con mons. Marian Gavenda, portavoce della Conferenza episcopale slovacca e direttore della Radio cattolica nazionale:

 

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R. - Teoricamente le coalizioni possibili sono differenti. Il partito socialdemocratico ha espresso la disponibilità di trattare sia con una parte della sinistra che della destra per poter entrare nel Governo e realizzare così il programma del loro partito.

 

D. - Ora il partito social-democratico dovrà impegnarsi per le riforme che ha annunciato in campagna elettorale…

 

R. – Il partito che ha vinto, cioè lo SMER, promettendo grandi riforme e criticando quelle in corso, rispecchia la insoddisfazione della gente e incarna le aspettative del cambiamento. Ma è un partito che non ha mai fatto parte del Governo, era sempre e soltanto all’opposizione. Allora la questione principale – ho sentito molti commenti nelle ultime ore – è se sarà capace di passare dalle critiche alle proposte e di governare il Paese.

 

D. – Qual è la posizione della Chiesa in questo quadro?

 

R. – Adesso, in qualsiasi modo sarà formato il Governo, sarà importante allacciare relazioni improntate al dialogo con i singoli deputati. Anche con il Governo precedente si è visto che era la cosa migliore per la Chiesa: la maggioranza delle leggi che hanno influito sulla morale e sulle questioni che riguardavano direttamente la collaborazione fra Chiesa e Stato è dipesa dai singoli deputati, sia dell’opposizione che della coalizione governativa.

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 In Spagna, oltre cinque milioni di catalani sono chiamati oggi alle urne per approvare il nuovo statuto di  autonomia regionale in un referendum che, secondo i sondaggi, anche grazie all’appoggio del premier Zapatero, dovrebbe portare alla vittoria del ‘sì’. Tuttavia la sinistra indipendentista rifiuta il testo come insufficiente mentre il Partito Popolare di opposizione denuncia il pericolo per l’unità della Spagna. Ce ne parla Eugenio Bonanata:

 

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Gli elettori devono pronunciarsi sullo Statuto che riconosce alla Catalogna, una delle regioni più ricche del Paese, un maggiore controllo sulla riscossione delle tasse e sulle questioni giudiziarie. Il nuovo Statuto, approvato lo scorso anno dal Parlamento locale, è stato ratificato dal Congresso nazionale che però ha stemperato alcuni riferimenti ‘più estremi. Ne è seguito un grande dibattito che da mesi domina lo scontro fra Governo e opposizione. Il Partito Popolare critica le concessioni di autogestione a cominciare proprio dal tema fiscale. Soprattutto teme che questo passo metta in discussione l’unità della Spagna e lo definisce, quindi, “incostituzionale”. Dal canto suo il premier Zapatero ha invitato a votare ‘sì’ contro “l’autoritarismo e il centralismo” dell’opposizione, che, a suo dire, è anticatalano Nonostante il suo forte appoggio il premier non è riuscito però a convincere la Sinistra repubblicana di Catalogna (ERC) che ha invece deciso, se pur con contrasti interni, di dire ‘no’ a un testo giudicato insufficiente. I sondaggi hanno annunciato una partecipazione del 55% e prevedono una vittoria delsì’ con circa il 75% dei consensi. In questo quadro, secondo la stampa, sarà proprio il dato della partecipazione a dare la misura del successo o meno del referendum. Nella  consultazione popolare del 1979 che approvò l’attuale statuto, la partecipazione fu del 59% e l’88% votò 'si''. Oggi nella regione della costa mediterranea settentrionale, gli oltre 8 mila seggi resteranno aperti fino alle 20.

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 L’Iran non rinuncerà all’arricchimento dell’uranio per avviare negoziati con le grandi potenze sul suo programma nucleare. Lo ha ribadito ancora una volta il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Asefi, aggiungendo che il suo Paese tratterà solo se verranno rimosse le ‘pre-condizioni’.

 

 Ancora disordini in Iraq all’indomani della sanguinosa giornata di sangue di ieri, costata la vita a decine di civili. Sette civili sono stati uccisi in due diversi attacchi avvenuti nel Paese. A Bagdad dieci dipendenti di una panetteria sono stati rapiti da un gruppo di uomini armati. Inoltre in varie zone della capitale, sono stati scoperti nove corpi con segni di tortura. Intanto, mentre il presidente Bush ha promesso che gli Stati Uniti non lasceranno il Paese, l’organizzazione terroristica al Qaeda ieri, con un messaggio via internet, è tornata a minacciare vendetta per l’uccisione del leader, Al Zarqawi. Infine, il Giappone ha annunciato che confermerà agli USA il ritiro delle proprie truppe dal Paese arabo.

 

 Il Quartetto per il Medio Oriente - composto da ONU, UE, USA e Russia - ha dato il via libera al piano messo a punto dall'Unione Europea, che sarà gestito dalla Banca Mondiale, per fornire aiuti di emergenza ai palestinesi, senza passare attraverso il governo controllato dagli estremisti di Hamas. Dal canto suo il presidente palestinese, Abu Mazen, giudica inadeguato il piano in quanto – afferma -  “il meccanismo non è chiaro, e porterà all’abolizione del ruolo del governo e dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP)”. Sul terreno, intanto, un razzo palestinese sparato stamane dal nord della striscia di Gaza ha centrato una scuola israeliana, senza tuttavia provocare vittime.

 

Sul versante israeliano, il ministro della Difesa dello stato ebraico, Peretz, discuterà sulla rimozione forzata di avamposti illegali in Cisgiordania, in due diversi incontri con il movimento dei coloni e con dirigenti del movimento "Pace adesso". In un'intervista alla radio dei coloni, un dirigente del loro movimento ha affermato che buona parte degli avamposti non sono "illegali" perché la loro costruzione è stata assecondata da uffici governativi israeliani.

 

Il governo del Burundi e i ribelli delle forze nazionali di liberazione (FNL) hanno sottoscritto oggi un accordo nel quale si impegnano a negoziare, entro una settimana, un accordo di cessate il fuoco nel Paese.

 

 La sezione europea di “Religioni per la Pace” chiede all’ONU di fermare la violenza in Darfur. L’appello è stato lanciato ieri a Trento da esponenti cristiani, musulmani, ebrei e zoroastriani che chiedono al Palazzo di Vetro di non “restare silenziosi di fronte alla  perdita di vite umane in Darfur” dove – si legge nel testo - “il massacro, tollerato dal governo sudanese, uccide circa 500 persone al giorno”. L’organizzazione internazionale chiede inoltre di impiegare “un numero sufficiente di truppe di pace per proteggere i civili”; un rafforzamento dell’assistenza ai rifugiati e l’incremento degli osservatori sui diritti umani. Nei giorni scorsi, anche un rapporto della Corte penale internazionale (CPI) denunciava – citando testimoni – almeno 2 mila villaggi rasi al suolo, massacri e centinaia di stupri avvenuti tra alcuni dei gruppi in lotta. Secondo varie stime, la crisi nella regione africana avrebbe provocato tra i 180 e i 300 mila morti e circa 2 milioni e mezzo di rifugiati. Lo scorso mese di maggio un fragile accordo di pace è stato firmato in Nigeria fra il governo sudanese dominato dall’etnia araba e alcuni dei gruppi ribelli di etnia africana. Ma la situazione nell’area resta preoccupante. Paolo Ondarza ne ha parlato con mons. Matteo Zovkic, vicario della diocesi di Sarajevo, tra i firmatari dell’iniziativa:

 

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R. - C’è una missione dell’ONU in Sudan, nella zona del Darfur, dove i civili, innocenti, stanno soffrendo e morendo. Noi vogliamo occuparci di loro.

 

D. –In particolare le religioni cosa chiedono a Kofi Annan?

 

R. – Prima di tutto siamo lieti che le Nazioni Unite abbiano cominciato un’azione    di aiuto e di assistenza a questa gente. Vogliamo solamente che questo sia fatto il più velocemente possibile: noi vogliamo chiedere sia a Kofi Annan che ad altre strutture internazionali di essere più efficaci nell’assistenza alle popolazioni sofferenti e il nostro appello è di aiutare questi civili innocenti che muoiono per la fame e per le violenze.

 

D. – Quali sono le sue aspettative?

 

R. – La maggioranza in Sudan è musulmana. Noi ci aspettiamo che questa maggioranza del Sudan faccia, a causa della loro fede, di più per la gente sofferente nella regione di Darfur.

D. - Vuole aggiungere altro?

 

R.- Io vorrei rivolgermi agli ascoltatori della Radio Vaticana per invitare tutti i cristiani a costruire la pace dove possiamo, come credenti, con gli altri cittadini di questo mondo.

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In Italia, dal carcere di Potenza, Vittorio Emanuele di Savoia si dichiara  “assolutamente innocente ed estraneo” all’ accusa     di associazione per delinquere finalizzata ai reati di corruzione, falso e sfruttamento della prostituzione per cui è stato arrestato venerdì scorso. Secondo il gip Iannuzzi, che ha fissato per martedì l’interrogatorio, “i fatti accertati sono gravi e giustificano l’arresto”.

 

In Cecenia, all’indomani della morte del leader secessionista Saidullayev, ucciso in un’operazione delle forze speciali russe, l’amministrazione della guerriglia ha eletto Doku Umarov alla guida del movimento.

 

Sempre alta la tensione in Sri Lanka. Tre poliziotti sono stati uccisi nel centro-nord del Paese dall’esplosione di una mina, mentre – all’indomani dell’attacco dei ribelli tamil  alle navi cingalesi che ha provocato una cinquantina di morti - in tutto il Paese la sicurezza è stata rafforzata. I ribelli hanno infatti avvertito che risponderanno a tutti gli attacchi condotti dalle autorità dello Sri Lanka contro le loro postazioni.

 

 

 

 

          

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