RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 164 - Testo della trasmissione di martedì
13 giugno 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Raffica di attentati della guerriglia in Iraq:
almeno 20 morti a Kirkuk.
13 giugno 2006
RENDERE
RAGIONE DELLA SPERANZA CRISTIANA:
SULLA
“PASTORALE DELL’INTELLIGENZA”
INVOCATA
DA BENEDETTO XVI, LA RIFLESSIONE DI MONS. LUIGI
NEGRI,
VESCOVO
DI SAN MARINO MONTEFELTRO
Promuovere una
“pastorale dell’intelligenza”: l’invito del Papa espresso all’apertura del
convegno ecclesiale della diocesi di Roma, la settimana scorsa, rappresenta una
sfida quanto mai urgente per tutti i vescovi e sacerdoti. “Nell’educazione
delle nuove generazioni – ha sottolineato il Pontefice in quell’occasione
- non dobbiamo dunque avere alcun timore di porre la verità della fede a
confronto con le autentiche conquiste della conoscenza umana”. D’altro canto,
fin dai primi passi del Pontificato, Benedetto XVI ha esortato i fedeli a
rendere ragione della speranza cristiana. Per una riflessione sulla “pastorale
dell’intelligenza” e sul come attuarla, Alessandro Gisotti ha intervistato
mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro:
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R. – La “pastorale dell’intelligenza” indica con molta
chiarezza un itinerario a cui portare la fede: portare
la fede alla sua dignità, alla sua consapevolezza reale, critica, e quindi
capace di comunicazione, capace di dialogo, di confronto con gli altri. Il nostro
è un mondo multiculturale, multietnico
e si presume che esista un intrico di differenze di carattere culturale,
sociale. Se il cristiano non entra in questo mondo con la coscienza
dell’esperienza che vive, dell’identità che porta, dei criteri originali con
cui affronta tutti i problemi - da quello della vita a quello della società -
la fede risulta spiritualmente non incidente. La “pastorale dell’intelligenza”
mi sembra, quindi, riassumere in modo originale la grande idea di Giovanni
Paolo II che se la fede non diventa cultura, non è pienamente accolta,
pienamente vissuta e umanamente ripensata.
D. – D’altro canto, fin dall’inizio del suo Pontificato,
Benedetto XVI ha sottolineato che il dialogo fra fede e ragione “offre la
possibilità di percepire in modo più efficace e convincente la ragionevolezza
della fede in Dio”. In un certo senso, anche sfatando alcuni pregiudizi che
ancora sono presenti…
R. – Sì, penso che il Papa abbia la grande idea scolastica
agostiniana - da grande studioso di Agostino quale è stato nella sua giovinezza
- che si tratti di una vera e propria sinergia e cioè che la fede e la ragione
si sostengono reciprocamente e in questo sostegno si potenziano adeguatamente,
senza nessuna confusione e senza nessuna interferenza: non si diventa
razionalisti, non si diventa fideisti, perché il razionalismo e il fideismo
sono esattamente una concezione inesatta di questo rapporto.
D. – Questa “pastorale dell’intelligenza” è
particolarmente urgente nei confronti del mondo giovanile…
R. – Certo, i giovani hanno un bisogno inconsapevole di
valori di verità, di bellezza, di giustizia e di bene e rischiano di vivere ai
margini della vita, abbandonati a se stessi. Rischiano di vivere senza una
proposta adeguata di vita, che non sia questo essere
introdotti - non solo sbrigativamente ma anche agevolmente - nella società dei
consumi. In questa situazione la “pastorale dell’intelligenza” vuol dire che la
Chiesa ritrova il coraggio di una proposta di verità che tiene conto
dell’esigenza di verità ultima della persona, del giovane e la sua ultima
responsabilità. E’ un cammino duro, ma noi dobbiamo battere la strada del
Signore e quindi parlare al cuore profondo dell’uomo, che non muore mai.
D. – In questo senso si può dire, dunque, che alla base
della “pastorale dell’intelligenza” c’è una pastorale della persona?
R. – Certamente. C’è una pastorale della persona, perché
il cristianesimo è per la persona; è stato per la persona di Maria, senza la
quale non ci sarebbe stato il cristianesimo. Il cristianesimo non è una ideologia che guarda alla massa, ma un evento che
coinvolge la persona nella sua singolarità. “Tutta la Chiesa è già in Maria”,
diceva il teologo Urs von
Balthasar. Tutta la
Chiesa vive nella persona e quindi è tutto in funzione del fiorire della fede,
della speranza e della carità nella persona.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina un articolo sull'infanzia:
milioni di bambini nel mondo vittime della fame e
dello sfruttamento.
Servizio vaticano - Una pagina dedicata alle
ordinazioni sacerdotali.
Servizio estero - Per la rubrica dell'
"Atlante geopolitico" un articolo di
Giuseppe M. Petrone dal titolo "Terrorismo: una
sfida alla libertà e alla pace".
Servizio culturale - Un articolo di Giuseppe Bonaviri dal titolo "La solitudine e gli anziani":
uno scrittore parla di una condizione sempre più diffusa.
Per l' "Osservatore
libri" un articolo di Marco Testi dal titolo "Le inquiete domande sul
dolore": due nuovi saggi leopardiani.
Servizio italiano - In rilievo le amministrative.
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13 giugno 2006
I ministri degli esteri dei 25 ieri hanno aperto le
porte ad Ankara
che però deve riconoscere cipro e rispettare gli
altri impegni
-
Intervista con il prof. Stefano Silvestri -
E’ stata dominata dall’adesione della Turchia all’Unione
Europea, la prima giornata di incontri dei ministri degli Esteri europei,
riuniti da ieri a Lussembugo. Un appuntamento da cui
è scaturito un risultato importante: l’apertura del primo dei 35 capitoli
tematici per far partire i negoziati tra Bruxelles ed Ankara. Ma le trattative non sono state certo
semplici. Da Lussemburgio, Giovanni Del Re:
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Solo in extremis e dopo lunghe trattative, la presidenza
austriaca ha potuto evitare che l’apertura del primo capitolo negoziale tra UE e Turchia cominciasse con un clamoroso fallimento.
In effetti, a lungo Cipro aveva minacciato il veto sul
capitolo a dire il vero non certo controverso, riguardante ricerca e scienza.
La richiesta di Nicosia era perentoria: per chiudere
anche il primo dei 35 capitoli,
Da Lussemburgo, per la Radio Vaticana, Giovanni Del Re,
AKI.
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Per il ministro degli esteri Turco,
Gul, l’accordo rappresenta “una pietra miliare”,
mentre il commissario europeo all’allargamento, Rehn,
ha parlato di un importante “passo in avanti”. Dal canto suo, il ministro degli Esteri italiano, D’Alema, ha
sottolineato che ora Ankara deve rispettare gli impegni presi. Ma come valutare
l’intesa di ieri? Eugenio Bonanata ha raccolto il
commento del professor Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto affari
internazionale:
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R. – Questo semplicemente è un primo accordo, di natura
tecnica, che permette ai negoziati di andare avanti. E’ positivo, perché
altrimenti il processo si sarebbe bloccato e rinviato.
Direi, però, che si tratta semplicemente di un passo interlocutorio.
D. - Cosa succederà quando
saranno discussi i temi più complessi, come il rispetto dei diritti umani?
R. – Lì ci sarà un coinvolgimento più diretto e più forte
di realtà come Parlamento Europeo, che chiederanno garanzie effettive e
modifiche molto forti della situazione. Naturalmente, il fatto che in Turchia
si continuino ad arrestare intellettuali ed altri non rappresenta certo un
fatto positivo. Diciamo che, se
D. – Altro tema caldo è il massacro degli armeni del 1915,
che
R. – Fortunatamente sembra che si sia aperta una
discussione tra Armenia e Turchia, che potrebbe portare in tempi non troppo
lunghi ad un accordo anche su questo punto. Diciamo che la questione è legata
ad una interpretazione della storia dell’indipendenza
turca, dopo la Prima Guerra mondiale, in cui i turchi vedevano gli armeni come
alleati dei greci e delle potenze che volevano smembrare il loro Paese. C’è,
quindi, una storia antica su tutto questo. Ma il dialogo tra Armenia e Turchia,
che certamente è un fatto molto positivo, se andrà avanti potrà probabilmente
svelenire questo punto.
D. - Quali saranno i tempi per un
eventuale entrata della Turchia in Europa?
R. – Credo che sarà difficile pensare a meno di 10-12
anni.
D. – In questo periodo, quale sarà il ruolo degli altri
Paesi europei?
R. – Per il momento, la maggioranza dei Paesi europei è
favorevole. C’è, però, il rischio di questo referendum che Chirac
ha promesso per
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TENSIONE TRA I VERTICI PALESTINESI, MENTRE
RAID
DELL’AVIAZIONE ISRAELIANA NELLA STRISCIA DI GAZA
PROVOCANO UNA DECINA DI MORTI
-
Intervista con Antonio Ferrari -
Tre raid aerei israeliani,
un’automobile che esplode, almeno due membri del
braccio armato della Jihad islamica uccisi. Questo il
bilancio dell’operazione dello Stato ebraico nella Striscia di Gaza, che in
tutto ha provocato almeno 9 morti. Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha accusato Israele di
“terrorismo di stato”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Continuano gli attacchi mirati di
Israele contro presunti estremisti palestinesi. Secondo fonti
giornalistiche locali, l’aviazione israeliana ha condotto, nella
Striscia di Gaza, almeno tre raid in meno di un’ora. Il più grave è avvenuto in
una via di Gaza. Un medico di un ospedale della città palestinese ha riferito
che un missile israeliano ha centrato un camioncino con a
bordo diversi militanti della Jihad islamica pronti a
lanciare razzi Qassam contro lo Stato ebraico.
Accanto al mezzo, sono anche stati trovati frammenti di ordigni rudimentali.
Fonti locali hanno reso noto, inoltre, che tra le vittime figurano due bambini.
Sul versante politico, si acuisce lo scontro interpalestinese
tra il governo del gruppo radicale Hamas, guidato dal
premier Haniyeh, e il partito Al Fatah
del presidente Abu Mazen,
appoggiato dall’esercito. Nella Striscia di Gaza, sotto il controllo di Hamas, e in Cisgiordania, dove è forte il consenso verso Al
Fatah, la situazione è molto tesa e Abu Mazen ha decretato lo stato
di emergenza. Ieri, miliziani armati dei martiri di Al
Aqsa, il braccio armato di Al Fatah,
hanno assaltato e incendiato le sedi del governo e del Parlamento a Ramallah. In segno di protesta, si è dimesso il ministro
del Turismo, l’unico cristiano nel governo formato dal movimento radicale di Hamas.
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Si acuiscono sempre di più, dunque, gli scontri
interpalestinesi. Una ferita, che sembra ormai insanabile. Lo conferma, al
microfono di Salvatore Sabatino, l’inviato speciale del “Corriere della Sera”,
Antonio Ferrari:
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R. – E’ complicata e molto grave. E’ molto grave anche
perché non si capisce se c’è una compattezza nel gruppo di Hamas,
al governo, e all’interno del Fatah. Direi che gli
scontri interpalestinesi sono cominciati quando Hamas ha deciso di crearsi una propria polizia all’interno
della Striscia, disobbedendo in fondo a quelle che erano le direttive del
presidente Abu Mazen. Come
sappiamo, il presidente palestinese ha deciso – sempre che Hamas
non scelga all’ultimo momento di riconoscere Israele e di accettare tutte le
condizioni stabilite – di fissare un referendum per il prossimo 26 luglio. Referendum,
questo, che ha fatto infuriare Hamas, che ha parlato
di colpo di Stato. Abbiamo, quindi, una situazione assolutamente complessa
all’interno del cosmo palestinese, ma abbiamo anche rappresaglie israeliane che
sono state durissime, dopo il lancio di razzi che Abu
Mazen aveva promesso che non sarebbero più avvenuti.
Il braccio armato di Hamas, disobbedendo, ha ripreso
invece gli attacchi. Si tratta quindi di una situazione estremamente delicata.
Il rischio di una terza Intifada è veramente altissimo.
D. – Quali potrebbero essere, a questo punto, le giuste
mosse per impedire proprio che questa frattura possa trasformarsi in qualcosa
di più grave?
R. – Io direi che Abu Mazen dovrebbe cercare di convincere la parte di Hamas più propensa al dialogo. Ecco perché parlavo prima di
una differenza tra oltranzisti intransigenti, che vivono anche all’estero, e
una parte in fondo forse più disponibile a compiere quei passi necessari per
far terminare il boicottaggio internazionale. Altrimenti, Abu
Mazen ha parlato di referendum, un referendum che
avrà sicuramente la maggioranza a favore del presidente palestinese. Ma questo,
significherebbe di nuovo spingere Hamas verso
l’opposizione. Hamas potrebbe diventare, nuovamente,
opposizione armata. Questo è certamente il primo elemento di grave inquietudine.
Il secondo riguarda, invece, Israele. Io credo che l’errore di Israele sia
stato quello di non voler aiutare – come avrebbe invece dovuto fare con Abu Mazen – la parte più
responsabile del mondo palestinese, lasciandolo senza questo aiuto e questo
sostegno ed esponendolo ad una crisi di credibilità interna. I risultati delle
elezioni ne sono anche la dimostrazione.
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IL
CALCIO, DISCIPLINA CHE ALLENA ALLA CONVIVENZA TRA GLI UOMINI:
LE
PAROLE PRONUNCIATE NEL 1978 DAL CARDINALE RATZINGER
SUL
VALORE DI UNO SPORT CHE APPASSIONA MILIARDI DI PERSONE
- A
cura di Birgit Pottler -
I mondiali
di calcio in corso in Germania hanno già messo a confronto, nei primi undici
incontri disputati fino a ieri, squadre dei cinque continenti. Come sempre
accade in eventi simili, in gioco non sono soltanto la passione per uno sport
popolare dalla Mongolia all’Amazzonia: il match sul
campo diventa inevitabilmente riflesso di un confronto geografico, culturale,
politico. Da sempre la Chiesa, attraverso i suoi pastori, ha prestato molta
attenzione ai valori dello sport in generale e del calcio in particolare. Tre
giorni dopo l’inizio del mondiale del 1978, che si disputava in Argentina,
l’allora arcivescovo di Monaco e Frisinga, il
cardinale Joseph Ratinger, intervistato
dalla Radio bavarese, esprimeva la propria opinione sul fenomeno calcio come
passione collettiva. Grazie al minuzioso lavoro della collega della redazione
tedesca, Birgit Pottler,
possiamo riascoltare oggi alcuni passaggi di quell’intervista,
che non hanno perso nulla della loro attualità:
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(musica)
R. - “Il calcio è diventato un evento globale, che lega le
persone di tutto il mondo, unendole negli stessi sentimenti di speranza, paura,
passione, gioia. Quasi nessun evento sulla terra riesce ad ottenere lo stesso
effetto. Questo dimostra che il calcio tocca un
sentimento molto profondo, ancestrale, della persona. Ci si domanda come mai
questo gioco eserciti un potere così grande. Il pessimista dirà che è la stessa
cosa che accadeva nella Roma antica, quando le masse chiedevano panem et circenses (...) Il gioco del calcio oltrepassa in un
certo senso la vita quotidiana. Ma, soprattutto per il bambino, possiede anche
un altro carattere: costituisce un allenamento per la vita. Simbolizza la vita
stessa proponendocela in anteprima in una versione dagli schemi più liberi. Il
gioco insegna a disciplinarsi, offrendo la possibilità di vincere e di ricevere
libertà. Come gioco di squadra, porta l’uomo ad una convivenza disciplinata. Il
calcio unisce attraverso uno scopo comune (...) Il gioco è come la vita. Se
andiamo ad approfondire, il fenomeno di un mondo appassionato di calcio
potrebbe darci di più che semplice intrattenimento.
(musica)
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LA
CONDIZIONE DEI BAMBINI DI STRADA AD HAITI:
IN UN
LIBRO DELLA EDITRICE MISSIONARIA ITALIANA,
L’IMPEGNO
E I PROGETTI DELL’ASSOCIAZIONE ANPIL PER BAMBINI SIEROPOSITIVI
-
Intervista con Alessandro Corallo -
Dista solo 2
ore di aereo dai lussuosi grattaceli di Miami, ma rientra nei Paesi del quarto
mondo, perché senza speranza di sviluppo. E’ Haiti, Paese che unisce
spiagge incantate a discariche a cielo aperto, sovraffollamento urbano,
miseria, malnutrizione e malattie. A causa dell’incandescente clima politico,
il ministero degli Esteri italiano sconsiglia di
recarsi nel Paese. Alessandro Corallo, volontario dell’Associazione ANPIL,
Amici nella promozione Lasalliana, è dal 1991 che
ogni anno si reca nel Paese per seguire diversi progetti di aiuto ai bambini di
strada tra i quali il sostegno a distanza. Da questa
esperienza è nato un libro: “Ad Haiti si nasce ultimi,
la vera storia di Theophile e di altri bambini”,
pubblicato da Editrice Missionaria Italiana. I ricavati della vendita del
volume serviranno a finanziare un progetto di diagnosi e cura per l’AIDS. Antonella Villani ha chiesto a Alessandro Corallo come sia
cambiata Haiti in questi anni:
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R. – Ogni anno la trovavamo sempre peggio: dal punto di
vista delle infrastrutture, delle strade dismesse,
piene di buchi. I bambini ci dicono: “Mangiamo ogni tre-quattro
giorni, quello che capita. Il costo della vita è aumentato e quindi è veramente
difficile vivere ad Haiti, soprattutto per i bambini è
un ‘sopravvivere’ …
D. – Qual è la situazione, oggi?
R. – Da poco c’è stata l’elezione del presidente Préval. Questo ha calmato gli animi nella guerriglia civile
che c’è stata prima: bande armate, rapimenti, rapine … Con la presenza
dell’ONU, questa situazione è migliorata.
D. – La vita media nel Paese è di 49 anni, e ovviamente i
più colpiti sono i bambini …
R. – La mortalità sotto i cinque anni è spaventosa: 123
bambini ogni mille. Tra l’altro, quando si va in giro per le strade di Haiti,
si vedono solo bambini: nudi, vestiti male. Hanno però sempre un sorriso
incredibile, malgrado tutte le difficoltà che incontrano nella giornata e malgrado le malattie croniche.
D. – C’è anche l’AIDS …
R. – Ad Haiti ci sono 30 mila
morti l’anno per AIDS. Noi scopriamo se un bambino è malato di AIDS solo
perché, magari, lo vediamo star male e riusciamo noi a pagare il test sia per
l’AIDS sia per la malaria o le altre malattie; altrimenti, loro pensano che sia
una morte dovuta alle condizioni generali…
D. – Voi sul posto avete attuato tutta una serie di
progetti…
R. – Ci sono otto ragazze, chiamate “rosette”, che sono
formate come un gruppo religioso, e loro assistono i bambini seguiti con il
progetto del sostegno a distanza. Riescono a dare almeno un pasto al giorno e medicine quando stanno male. Tra l’altro, nel
prossimo mese di agosto si aprirà un centro di accoglienza: sarà per i bambini
di strada. Riuscirà ad accogliere 130 bambini al
giorno, sarà il punto di riferimento per la baraccopoli di Fatima che sta nella
città di Port-de-Paix, nel Nord di Haiti.
D. – Chi vuole, tra l’altro, può partecipare a campi
estivi di lavoro?
R. – Uno magari si può chiedere: ma io, cosa posso fare?
Ecco: la presenza è una cosa importantissima, perché i bambini lì non hanno con
chi confrontarsi, con chi giocare. Quindi, qualcuno che viene apposta per loro,
che li prende per mano, sta ad ascoltarli e gioca con loro, è una cosa
grandissima. Ed è un’esperienza di vita indimenticabile.
D. – Tutto questo lo hai raccontato in un libro: “Ad Haiti si nasce ultimi. La vera storia di Théophile e di altri bambini”…
R. – In questo libro, oltre a varie storie di bambini che
abbiamo conosciuto direttamente sul posto, si parla anche di Théophile che è un bambino che ci hanno portato un giorno,
con il pancione classico da malnutrizione. E’ stato lavato, vestito, sfamato e
questo bambino è risorto.
D. – Il ricavato della vendita del libro, tra l’altro,
andrà completamente in beneficenza per i progetti sul posto…
R. – In particolare, il progetto Théophile
che permetterà di fare il test per vedere se i bambini sono sieropositivi a
tutti i bambini adottati a distanza. Poi, allargando a tutti i fratellini, cugini,
parenti per poter intervenire dove ci siano casi di sieropositività
e curare, proprio nel nuovo centro di accoglienza, i bambini più gravi.
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PUBBLICATA DALL’UNIVERSITA’ URBANIANA,
L’EDIZIONE ITALIANA
DEL
DIZIONARIO DI LETTERATURA CRISTIANA ANTICA
- Con
noi il card. Crescenzio Sepe,
mons. Ambrogio Spreafico e il prof. Paolo Siniscalco
-
Un volume
utile per gli studi teologici, ma anche un punto di riferimento importante per
il dialogo ecumenico: si tratta del Dizionario di Letteratura cristiana antica
di Döpp e Geerlings. In
questi giorni, è stata presentata l’edizione italiana pubblicata
dall’Università Urbaniana a cura di Celestino Noce.
Il servizio di Isabella Piro:
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Perché oggi i Padri della Chiesa sono tornati ad essere
oggetto di studio? A questa domanda risponde il Dizionario pubblicato dall’Urbaniana. Tocca alla Patristica far presenti in modo certo le radici giudaico-cristiane
della nostra storia e quindi rispondere ad un bisogno di identità del
cristiano, soprattutto in un’epoca di confronto con l’islam. Il volume, che offre una panoramica degli autori cristiani fino all’VIII
secolo, mostra la fusione tra dottrina e spiritualità, quell’amore
di Dio – come diceva Agostino – destinato a chi ama la vera cultura, compresi i
non credenti. Come sottolinea l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe:
“Un’opera così, che sintetizza tutta la storia della
Patristica e che quindi dà la possibilità di avere uno sguardo d’insieme di
tutta quella che è la letteratura cristiana antica è un arricchimento
fondamentale per qualsiasi ulteriore approfondimento teologico nelle varie
materie”.
I Padri, dice ancora il cardinale Sepe,
sono testimoni di una Chiesa che non aveva ancora conosciuto
lacerazioni. Per questo i loro scritti hanno un valore missionario:
“Queste opere dei Padri avevano sempre, esplicitamente o
implicitamente, la finalità di far conoscere il Vangelo e quindi di
evangelizzare i popoli, perché questa storia di una Chiesa che viveva in unità
e in comunione contribuisce a quella comprensione dell’unità e della comunione
che deve esserci nella Chiesa di Cristo”.
Il cristianesimo trova sempre le parole per parlare con
tutti, senza escludere nessuno, ribadisce mons. Ambrogio Spreafico,
rettore dell’Università Urbaniana. Il dizionario,
quindi, si inserisce perfettamente nel dibattito attuale con la laicità:
“La letteratura cristiana antica, i Padri della Chiesa,
hanno vissuto questo grande momento culturale in cui attraverso le parole del
Vangelo, attraverso la vita cristiana si sono inseriti nelle diverse culture.
Il cristianesimo cerca di parlare al cuore dell’uomo e al mondo. Quindi, ha
diritto di poter parlare, di poter esprimere la fede profonda che lo lega alla
figura di Gesù”.
La Patrologia ha un significato normativo, dice ancora il
cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio
Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani. Questo significa ribadire
l’importanza delle fonti, in particolare della Sacra Bibbia, come ricorda Paolo
Siniscalco, professore emerito di Letteratura Cristiana Antica all’Università
la Sapienza:
“Un’opera come questa indica lo sviluppo delle
cristianità, e occidentale e orientale, e lo fa su basi storiche molto buone”.
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LA
CHIESA RICORDA OGGI SANT’ANTONIO DI PADOVA: NOTO
TAUMATURGO
E
PREDICATORE, RIUSCIVA A FARSI ASCOLTARE ANCHE DALLA GENTE SEMPLICE.
NEL
1946 FU DICHIARATO DOTTORE DELLA CHIESA UNIVERSALE
-
Intervista con padre Enzo Poiana -
“Il Santo”: così lo chiamano le migliaia di pellegrini che
raggiungono Padova per chiedere la sua intercessione. Portoghese di nascita e
battezzato con il nome di Fernando, Sant’Antonio, che
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(musica)
Cantore della povertà, perché, diceva, le sue delizie
offrono un sapore di eterna dolcezza a quelli che la amano, Sant’Antonio di
Padova amò
R. – Credo che le situazioni concrete della vita convertano
anche la nostra vita. Sant’Antonio, che era un monaco agostiniano, dedito alla
vita all’interno del monastero, allo studio, sente dentro di sé l’esigenza di
andare a predicare il Vangelo in tutto il mondo. La scintilla che fa scoccare
questa decisione è l’incontro con i primi cinque martiri francescani: il vedere
le salme di questi frati martirizzati in Marocco provocò in lui il forte
desiderio di dare tutta la sua vita come dono a Gesù Cristo. Quello che poi è
accaduto è che lui non è riuscito a dedicarsi alle missioni perchè si è
ammalato - la storia la conosciamo - ed è giunto fin qui, nel nord Italia. Qui,
il contatto con la gente, con il popolo di Dio, lo ha cambiato, lo ha
provocato. Così è emerso questo suo interesse per la giustizia, come espressione
alta dell’amore di Dio, che lo ha visto partecipe della vita sociale e anche un
grande provocatore.
D. – Quali parole e quale messaggio recuperare oggi di
Sant’Antonio?
R. – Ascoltare il Vangelo, accogliere il Vangelo: questo
lieto annuncio di un Dio che ti ama, di un Dio che attraverso Gesù Cristo ci ha
dimostrato un amore senza misura. Il Dio di Gesù Cristo è Colui che fa nascere
dentro la persona umana il desiderio di rispondere a questo amore e di dare
concretezza a questa risposta che si esprime nell’amore verso i fratelli.
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13 giugno 2006
“NON FATE MANCARE L’ASSISTENZA AGLI
AMMALATI”.
QUESTO L’APPELLO LANCIATO
DAL CARDINALE FRÈDÈRIC ETSOU AI MEDICI DI KINSHASA, NEL
CONGO,
IN SCIOPERO PER RIVENDICARE UN MIGLIORE TRATTAMENTO
ECONOMICO”
KINSHASA. = “Ricordate il giuramento di Ippocrate: non fate mancare l’assistenza agli ammalati”.
Questo l’appello del cardinale Frèdèric Etsou, arcivescovo della capitale della Repubblica
democratica del Congo Kinahasa,
rivolto ai medici degli ospedali congolesi, in
sciopero da oltre un mese per rivendicare un trattamento economico migliore. “È
un vostro diritto più che legittimo – si legge nella nota dell’agenzia Fides –
che voi rivendichiate un salario degno e decoroso, per i servizi che rendete ai
malati”. Tuttavia il porporato, pur condividendo le richieste degli
scioperanti, sollecita il personale medico a riprendere costantemente il loro
servizio negli ospedali. Nel suo messaggio, il cardinale Etsou
ha sottolineato l’impegno ad incontrare le autorità del Paese, per esortarle a
assumersi le proprie responsabilità affinché si risolva la situazione. Lo
sciopero dei medici ospedalieri di Kinahasa, è
iniziato oltre un mese fa e si è poi esteso nell’ultima settimana in diverse
città del Paese. Le rivendicazione sindacali,
riguardano la regolarizzazione di 333 medici neoassunti che lavorano senza
percepire lo stipendio. Il sindacato dei medici reclama inoltre, un aumento
salariale e il pagamento dei compensi arretrati dei medici di ruolo, alcuni dei
quali non sono pagati da 14 mesi. Lo stipendio di un medico congolese varia secondo
la specializzazione e l’anzianità, percependo al mese
dai 18 mila ai 25 mila franchi congolesi (dai 42 ai
59 dollari americani). I sindacalisti sottolineano anche l’urgenza dei
provvedimenti richiesti, utili a frenare l’emorragia di medici esperti che
trovano più conveniente lavorare nelle cliniche private del Paese o all’estero,
in particolare in Sudafrica, Lesotho e Botswana. (V.C)
Sono più di 9 mila i volontari
di 44 Paesi mobilitati
per l’incontro mondiale delle famiglie
in programma a
Valencia dall’1 al 9 luglio prossimi
VALENCIA.
= Hanno tra i 15 e gli 84 anni di età e provengono da 44 Paesi dei cinque
continenti: sono i circa 9.300 volontari che, dall’1 al 9 luglio prossimi,
lavoreranno al corretto sviluppo dei diversi eventi organizzati per il V
Incontro Mondiale delle Famiglie (IMF), al quale parteciperà anche Benedetto
XVI. Quasi 8 mila volontari iscritti sono spagnoli. Seimila provengono dalla
comunità che ospita la manifestazione. Gli altri volontari provengono sia da
Paesi europei - soprattutto Italia, Irlanda e Germania - che dall’America
Latina, da dove arriveranno i gruppi più numerosi. Costa Rica, Messico, Colombia
e Brasile sono le Nazioni dalle quali proviene la maggior parte dei volontari
latinoamericani. Tra gli iscritti – specifica l’agenzia Zenit - ci sono anche
gruppi di volontari di Paesi africani o asiatici come Marocco,
Repubblica Centrafricana, Congo o Filippine. Tra i
volontari ci sono più di tremila professionisti, appartenenti al settore sanitario
o dell’informazione. Non mancano gli studenti, che sono più di 4 mila, mentre i
pensionati sono 150. I volontari saranno destinati, fra l’altro, al controllo dei
vari settori degli atti e al coordinamento dei pellegrini. Altri lavoreranno
all’accreditamento dei pellegrini e agli atti liturgici dell’IMF. Diverse
centinaia di volontari saranno assegnati al Congresso Internazionale Teologico-Pastorale sulla Famiglia e alla Fiera
Internazionale delle Famiglie, che si svolgeranno nelle strutture della Fiera valenciana. Altri volontari saranno addetti all’assistenza
sanitaria e al primo soccorso, al protocollo, alla stampa e al trasporto di autorità
(E.B.)
In Scozia, molte confessioni religiose apprezzano
l’iniziativa
di un grande centro commerciale
che ha allestito uno spazio dove tutti i clienti possono
rilassarsi e pregare
Glasgow. = Un luogo riservato e tranquillo
dove i fedeli di tutte le religioni possono trovarsi per pregare. L'iniziativa
non è di qualche gruppo religioso ma del grande centro
commerciale di Braehead, nei pressi di Glasgow, che
ha messo a disposizione dei suoi clienti uno spazio per meditare. Così tra
carrelli della spesa, prodotti in offerta e scaffali, chi vuole può ritagliarsi
il tempo di una riflessione. A guidare le cerimonie è Elisabeth Spence, che svolge questo compito anche in un'altra catena
di grandi magazzini di Glasgow. Pastora della chiesa di Scozia, Spence è una dei sei pastori protestanti che operano a
tempo pieno nel mondo del lavoro scozzese. “Possono venire tutti a pregare o
semplicemente a riposarsi – specifica -”. Tra i fedeli ci sono anche i
dipendenti del centro commerciale, che ricorrono alla pastora anche per i
matrimoni e funerali. Secondo quanto riporta l’agenzia SIR, reazioni positive
all’iniziativa si
sono registrate anche dalle confessioni religiose. Shafi
Kausar, segretario del centro islamico di Glasgow, ha
affermato che gli islamici che pregano più volte al
giorno ne faranno un buon uso; mentre un portavoce della chiesa cattolica
scozzese ha rilevato che “uno spazio di tranquillità nella vita così frenetica
che si conduce è quanto mai necessario”. (E. B.)
Il rabbino capo di Israele, in visita in cina, ha
chiesto alle autorità locali
di riaprirre
l’ex sinagoga di Shanghai,
un luogo che
testimonia
durante
Shanghai. = Il rabbino Shlomo Amar, uno dei
due rabbini capo di Israele, visitando ieri l’ex sinagoga di Shanghai, ha
ringraziato il governo cinese per l’ospitalità fornita agli ebrei che fuggivano
dalle persecuzioni naziste, ma ha espresso la speranza che le autorità
permettano il ritorno della sinagoga alla comunità ebraica. La sinagoga Ohel Rachel, completata nel 1920, può ospitare fino a 700
fedeli. Nei primi anni ’30 – come precisa l’agenzia Asia News - Shanghai
ospitava circa mille ebrei sefarditi ed oltre 5 mila ashkenaziti e a questi si sono aggiunti circa 30 mila esuli
fuggiti dalle deportazioni del periodo nazista. Dopo il 1949, l’Ufficio
cittadino per l’educazione ha espropriato la sinagoga e l’ha trasformata in un
centro congressi e, durante la “Rivoluzione Culturale”, il suo uso era divenuto
industriale. In seguito, l’edificio è stato ristrutturato e destinato ad
ospitare un museo a testimonianza della presenza ebraica durante la guerra. Al
momento, essa è chiusa al pubblico, ma la comunità può visitarla durante i
giorni di festa. Il rabbino Amar, accompagnato da 12 altri rabbini dell’Asia
orientale, si è fermato davanti al luogo di culto. “Una sinagoga – ha affermato
– è un importante luogo di preghiera. Nello specifico, questa simboleggia la
presenza degli ebrei a Shanghai”. La speranza – ha concluso – è “che le
autorità permettano presto il ritorno della sinagoga alla comunità ebraica, un
simbolo di armonia per tutti noi”. (E. B.)
PER IL
RICONOSCIMENTO DELL’UGUAGLIANZA DEI DIRITTI.
DOMANDAVANO ANCHE IL BANDO DELLA POLIGAMIA ED
IL DIRITTO AD UN UGUALE VALORE ALLA TESTIMONIANZA IN TRIBUNALE
TEHERAN. = “Siamo donne, siamo umane, ma non abbiamo alcun
diritto”: queste le parole scandite ieri pomeriggio a Teheran
da un gruppo di donne dimostranti, che chiedevano uguaglianza di diritti e modifiche delle legislazioni civile e penale. L’intervento
di un centinaio di agenti, un’ora dopo l’inizio della protesta, come scrive
l’agenzia Asianews, ha portato ad una trentina di
arresti ed una delle manifestanti è stata ferita. L’evento è stato apertamente
ripreso da alcuni giornalisti, che non sono stati ostacolati dalle forze di sicurezza.
Anche i media iraniani, controllati dallo Stato, hanno
dato notizia della manifestazione, insistendo sul fatto che le donne erano
vestite in modo indecente, cioè che erano “non perfettamente velate”. Le
manifestanti, legate ad un finora sconosciuto “Labour
and Communist Party”, presentavano un elenco di
richieste, appoggiato da 400 scrittori, giornalisti, attivisti di diritti
umani, artisti ed intellettuali, uomini e donne. Chiedono il bando della
poligamia, la revoca dell’incontestato diritto degli uomini al divorzio; uguali
diritti di custodia dei figli per la madre ed il padre ed uguali diritti nel
matrimonio, tra cui quello della donna a lavorare dove vuole e a viaggiare
liberamente e ancora un uguale valore alla testimonianza delle donne in
tribunale. Il problema fondamentale dello stato della donna in Iran è fondato
nella legge e in un sistema che ha un impatto negativo sulla mentalità, e
proprio sulle discriminazioni legali volevano insistere le dimostranti. Quella
di ieri non è stata la prima dimostrazione femminista a Teheran.
A marzo, 300 dimostranti per i diritti umani, uomini e donne, hanno organizzato
un raduno in un parco. Anche allora, la polizia li ha attaccati, bastonandone
alcuni. (T.C.)
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12 giugno 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Iraq, più di 20 persone sono morte in seguito ad una
serie di attentati, compiuti in rapida successione a Kirkuk,
importante centro petrolifero nel nord del Paese. Ma qual è la matrice di
questi ultimi, sanguinosi attacchi? Giancarlo La Vella
lo ha chiesto al giornalista iracheno in Italia, Al Saadi
Latif:
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R. – Era superficiale pensare che dopo l’uccisione di Al Zarqawi, la situazione
sarebbe migliorata in modo netto. Ci sono, ormai, reti di gruppi legati ad Al Qaeda e ad Al Zarqawi, ma
anche gruppi legati agli uomini dell’ex regime di Saddam Hussein. Ci sono
almeno cinque gruppi armati che continuano a compiere attentati. Dopo
l’uccisione di Al Zarqawi,
sono diminuiti, comunque, gli attentati con autobomba. Credo che questa
uccisione non rappresenti una diminuzione degli attentati, ma sia comunque un
fatto positivo nella lotta al terrorismo per tornare alla normalità in Iraq.
D. – Non si riesce ad arginare la violenza, secondo te,
anche a causa della debolezza dell’attuale governo?
R. – La debolezza da dove viene? Se noi prendiamo
obiettivamente questo governo, è il più forte di tutti i governi dal 2003 fino
ad oggi, perché rappresenta più componenti della società irachena. Questa è la
realtà. Ma dov’è la debolezza? La debolezza sta nel fatto che fino ad oggi,
l’esecutivo non è riuscito a realizzare il programma per il quale si erano accordate
tutte le forze politiche della società irachena. Credo che con il programma
governativo, si possano unire tutte le forze. Questo governo ha grandi
possibilità di essere più forte sulla base di un programma unitario, che hanno
già fatto, ma che ha bisogno di tempo.
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Nel Paese arabo, intanto, l’organizzazione terroristica
‘Al Qaeda’ ha nominato Abu Hamza al Muhajir successore di Al Zarqawi, rimasto ucciso lo
scorso 7 giugno in un raid aereo americano nei pressi di Baquba,
a nord di Baghdad. L’organizzazione terroristica ha anche rivelato, con un
comunicato, che era
un militante saudita e non Zacarias Moussaoui, auto-accusatosi e
processato negli Stati Uniti, il 20.mo kamikaze che
avrebbe dovuto prendere parte agli attentati dell'11 settembre 2001.
È prematuro discutere del
ritiro statunitense dall’Iraq, soprattutto ora che i
militari puntano a scovare anche il successore di Al Zarqawi, il capo locale di Al Qaeda ucciso mercoledì
scorso in un raid aereo. Questo il senso
dell’intervento del presidente statunitense Bush,
ieri, nella prima giornata del Consiglio di Guerra dedicato al conflitto in
Iraq. Ce ne parla Elena Molinari:
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Non si parla di ritiro, almeno in via ufficiale. Al
termine della prima delle due giornate del suo “Consiglio di guerra” sull’Iraq,
George Bush ribadisce che è prematuro discutere su
come portare le truppe americane a casa, almeno finché il governo iracheno non
sia in grado di fronteggiare la guerriglia da solo. Il presidente americano ha
riunito i suoi più stretti collaboratori a Camp David, nel verde del Maryland, per ridefinire la strategia di una guerra
sempre più impopolare, ma anche per mettere in evidenza i due più recenti successi
della campagna irachena: l’eliminazione di Abu Musab al-Zarqawi e la
costituzione di un governo di unità nazionale. Bush,
però, si è mantenuto cauto. Sono troppe le notizie di bombe e stragi che
arrivano da Baghdad ogni giorno per potersi permettere di cantare vittoria. E,
infatti, il capo della Casa Bianca ha avvertito: l’insurrezione continua a costituire
una minaccia molto grave. Ha, quindi, assicurato ancora una volta che le
decisioni sul numero di soldati da mantenere in Iraq dipendono solo dalle
condizioni sul campo e che “qualsiasi cosa faremo punterà ad una strategia di
vittoria”. Ma è chiaro che a Camp David di Exit
Strategy si sta parlando, anche nella speranza –
espressa più volte dai vertici del Pentagono – di ridurre il personale USA in
Iraq a 100 mila unità entro la fine dell’anno, appare sempre più lontana.
Elena Molinari, per la Radio
Vaticana.
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In Italia, il nuovo turno amministrativo tenutosi domenica
e ieri, ha visto la vittoria del centrosinistra in 4 capoluoghi di provincia:
Rovigo, Catanzaro, Salerno e Caserta. Vittoria del centrodestra, invece, a
Belluno. Un comune per parte, invece nel primo turno in Sardegna. Affermazione
del centrodestra, inoltre, nella provincia di Trapani.
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