RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 164  - Testo della trasmissione di  martedì 13 giugno 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Rendere ragione della speranza cristiana: sulla “pastorale dell’intelligenza” di recente invocata da Benedetto XVI, la riflessione di mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino Montefeltro

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La Turchia inizia il suo percorso di adesione all’Unione Europea. I ministri degli esteri dei 25 ieri hanno aperto le porte ad Ankara, che dovrà riconoscere Cipro e rispettare gli altri impegni:  ne parliamo con il prof. Stefano Silvestri

 

Nuovo raid israeliano nella Striscia di Gaza: uccise 9 persone, tra cui due bambini. E si accentuano le tensioni tra i vertici palestinesi. Intervista con Antonio Ferrari

 

Il calcio, disciplina che allena alla convivenza tra gli uomini: riproponiamo le parole pronunciate nel 1978 dal cardinale Ratzinger, in un’intervista alla Radio bavarese, sul valore di uno sport che appassiona miliardi di persone

 

La condizione dei bambini di strada ad Haiti: in un libro della Editrice Missionaria Italiana, l’impegno dell’associazione ANPIL per bambini sieropositivi: con noi Alessandro Corallo

 

L’Università Urbaniana pubblica un Dizionario di letteratura cristiana antica, punto di riferimento per il dialogo ecumenico. Ai nostri microfoni, il cardinale Crescenzio Sepe e mons. Ambrogio Spreafico

 

La Chiesa ricorda oggi Sant’Antonio di Padova: noto taumaturgo e predicatore, fu dichiarato dottore della Chiesa nel 1946: intervista con padre Enzo Poiana

 

CHIESA E SOCIETA’:

“Non fate mancare l’assistenza agli ammalati”: è l’appello lanciato dal cardinale Frèdèric Etsou ai medici di Kinshasa, nel Congo, in sciopero per rivendicare un migliore trattamento economico

 

Sono più di novemila i volontari di 44 Paesi, mobilitati per l’Incontro mondiale delle famiglie in programma a Valencia dall’1 al 9 luglio prossimi, alla presenza del Papa

 

Il rabbino capo di Israele, in visita in Cina, ha chiesto alle autorità locali di riaprire l’ex sinagoga di Shanghai

 

In Scozia, molte confessioni religiose apprezzano l’iniziativa di un grande centro commerciale che ha allestito uno spazio dove i clienti possono scegliere di rilassarsi e pregare

 

La polizia ha disperso a Teheran un gruppo di donne che manifestavano per il riconoscimento dell’uguaglianza dei diritti

 

24 ORE NEL MONDO:

Raffica di attentati della guerriglia in Iraq: almeno 20 morti a Kirkuk.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

13 giugno 2006

 

 

RENDERE RAGIONE DELLA SPERANZA CRISTIANA:

SULLA “PASTORALE DELL’INTELLIGENZA”

INVOCATA DA BENEDETTO XVI, LA RIFLESSIONE DI MONS. LUIGI NEGRI,

VESCOVO DI SAN MARINO MONTEFELTRO

 

Promuovere una “pastorale dell’intelligenza”: l’invito del Papa espresso all’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma, la settimana scorsa, rappresenta una sfida quanto mai urgente per tutti i vescovi e sacerdoti. “Nell’educazione delle nuove generazioni – ha sottolineato il Pontefice in quell’occasione - non dobbiamo dunque avere alcun timore di porre la verità della fede a confronto con le autentiche conquiste della conoscenza umana”. D’altro canto, fin dai primi passi del Pontificato, Benedetto XVI ha esortato i fedeli a rendere ragione della speranza cristiana. Per una riflessione sulla “pastorale dell’intelligenza” e sul come attuarla, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro:

 

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R. – La “pastorale dell’intelligenza” indica con molta chiarezza un itinerario a cui portare la fede: portare la fede alla sua dignità, alla sua consapevolezza reale, critica, e quindi capace di comunicazione, capace di dialogo, di confronto con gli altri. Il nostro è un mondo multiculturale, multietnico e si presume che esista un intrico di differenze di carattere culturale, sociale. Se il cristiano non entra in questo mondo con la coscienza dell’esperienza che vive, dell’identità che porta, dei criteri originali con cui affronta tutti i problemi - da quello della vita a quello della società - la fede risulta spiritualmente non incidente. La “pastorale dell’intelligenza” mi sembra, quindi, riassumere in modo originale la grande idea di Giovanni Paolo II che se la fede non diventa cultura, non è pienamente accolta, pienamente vissuta e umanamente ripensata.

 

D. – D’altro canto, fin dall’inizio del suo Pontificato, Benedetto XVI ha sottolineato che il dialogo fra fede e ragione “offre la possibilità di percepire in modo più efficace e convincente la ragionevolezza della fede in Dio”. In un certo senso, anche sfatando alcuni pregiudizi che ancora sono presenti…

 

R. – Sì, penso che il Papa abbia la grande idea scolastica agostiniana - da grande studioso di Agostino quale è stato nella sua giovinezza - che si tratti di una vera e propria sinergia e cioè che la fede e la ragione si sostengono reciprocamente e in questo sostegno si potenziano adeguatamente, senza nessuna confusione e senza nessuna interferenza: non si diventa razionalisti, non si diventa fideisti, perché il razionalismo e il fideismo sono esattamente una concezione inesatta di questo rapporto.

 

D. – Questa “pastorale dell’intelligenza” è particolarmente urgente nei confronti del mondo giovanile…

 

R. – Certo, i giovani hanno un bisogno inconsapevole di valori di verità, di bellezza, di giustizia e di bene e rischiano di vivere ai margini della vita, abbandonati a se stessi. Rischiano di vivere senza una proposta adeguata di vita, che non sia questo essere introdotti - non solo sbrigativamente ma anche agevolmente - nella società dei consumi. In questa situazione la “pastorale dell’intelligenza” vuol dire che la Chiesa ritrova il coraggio di una proposta di verità che tiene conto dell’esigenza di verità ultima della persona, del giovane e la sua ultima responsabilità. E’ un cammino duro, ma noi dobbiamo battere la strada del Signore e quindi parlare al cuore profondo dell’uomo, che non muore mai.

 

D. – In questo senso si può dire, dunque, che alla base della “pastorale dell’intelligenza” c’è una pastorale della persona?

 

R. – Certamente. C’è una pastorale della persona, perché il cristianesimo è per la persona; è stato per la persona di Maria, senza la quale non ci sarebbe stato il cristianesimo. Il cristianesimo non è una ideologia che guarda alla massa, ma un evento che coinvolge la persona nella sua singolarità. “Tutta la Chiesa è già in Maria”, diceva il teologo Urs von Balthasar. Tutta la Chiesa vive nella persona e quindi è tutto in funzione del fiorire della fede, della speranza e della carità nella persona.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina un articolo sull'infanzia: milioni di bambini nel mondo vittime della fame e dello sfruttamento. 

 

Servizio vaticano - Una pagina dedicata alle ordinazioni sacerdotali.

 

Servizio estero - Per la rubrica dell' "Atlante geopolitico" un articolo di Giuseppe M. Petrone dal titolo "Terrorismo: una sfida alla libertà e alla pace".

 

Servizio culturale - Un articolo di Giuseppe Bonaviri dal titolo "La solitudine e gli anziani": uno scrittore parla di una condizione sempre più diffusa.

 

Per l' "Osservatore libri" un articolo di Marco Testi dal titolo "Le inquiete domande sul dolore": due nuovi saggi leopardiani.

 

Servizio italiano - In rilievo le amministrative.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

13 giugno 2006

 

 

 

LA turchia inizia il suo percorso di adesione all’unione Europea.

I ministri degli esteri dei 25 ieri hanno aperto le porte ad Ankara

che però deve riconoscere cipro e rispettare gli altri impegni

- Intervista con il prof. Stefano Silvestri -

 

E’ stata dominata dall’adesione della Turchia all’Unione Europea, la prima giornata di incontri dei ministri degli Esteri europei, riuniti da ieri a Lussembugo. Un appuntamento da cui è scaturito un risultato importante: l’apertura del primo dei 35 capitoli tematici per far partire i negoziati tra Bruxelles ed Ankara.  Ma le trattative non sono state certo semplici. Da Lussemburgio, Giovanni Del Re:

 

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Solo in extremis e dopo lunghe trattative, la presidenza austriaca ha potuto evitare che l’apertura del primo capitolo negoziale tra UE e Turchia cominciasse con un clamoroso fallimento. In effetti, a lungo Cipro aveva minacciato il veto sul capitolo a dire il vero non certo controverso, riguardante ricerca e scienza. La richiesta di Nicosia era perentoria: per chiudere anche il primo dei 35 capitoli, la Turchia deve prima riconoscere il governo greco-cipriota. Una richiesta al momento inaccettabile per Ankara. Alla fine, Vienna ha trovato il compromesso per convincere i ciprioti: una dichiarazione in cui si avverte che la Turchia non sta ancora adempiendo a tutti i suoi obblighi, anzitutto quello di estendere – anche nei fatti – l’unione doganale con l’UE alla stessa Cipro, aprendo anche i porti e gli aeroporti alle merci della parte sud dell’isola. Con un avvertimento: se Ankara continuerà  a non rispettare tutti gli obblighi, potrebbe esserci un impatto sugli stessi negoziati. Se la Turchia ha dominato il Consiglio di ieri, c’è anche da registrare il via libera da parte dei ministri degli Esteri dell’UE all’avvio dei negoziati con la Croazia e all’avvio di relazioni con il Montenegro, ormai definito Stato sovrano ed indipendente.

 

Da Lussemburgo, per la Radio Vaticana, Giovanni Del Re, AKI.

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Per il ministro degli esteri Turco, Gul, l’accordo rappresenta “una pietra miliare”, mentre il commissario europeo all’allargamento, Rehn, ha parlato di un importante “passo in avanti”. Dal canto suo, il ministro degli Esteri italiano, D’Alema, ha sottolineato che ora Ankara deve rispettare gli impegni presi. Ma come valutare l’intesa di ieri? Eugenio Bonanata ha raccolto il commento del professor Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto affari internazionale:

 

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R. – Questo semplicemente è un primo accordo, di natura tecnica, che permette ai negoziati di andare avanti. E’ positivo, perché altrimenti il processo si sarebbe bloccato e rinviato. Direi, però, che si tratta semplicemente di un passo interlocutorio.

 

D. - Cosa succederà quando saranno discussi i temi più complessi, come il rispetto dei diritti umani?

 

R. – Lì ci sarà un coinvolgimento più diretto e più forte di realtà come Parlamento Europeo, che chiederanno garanzie effettive e modifiche molto forti della situazione. Naturalmente, il fatto che in Turchia si continuino ad arrestare intellettuali ed altri non rappresenta certo un fatto positivo. Diciamo che, se la Turchia vuole entrare in Europa, dovrà chiaramente adeguare la sua legislazione e i suoi comportamenti a degli standard europei.

 

D. – Altro tema caldo è il massacro degli armeni del 1915, che la Turchia non vuole riconoscere come genocidio?

 

R. – Fortunatamente sembra che si sia aperta una discussione tra Armenia e Turchia, che potrebbe portare in tempi non troppo lunghi ad un accordo anche su questo punto. Diciamo che la questione è legata ad una interpretazione della storia dell’indipendenza turca, dopo la Prima Guerra mondiale, in cui i turchi vedevano gli armeni come alleati dei greci e delle potenze che volevano smembrare il loro Paese. C’è, quindi, una storia antica su tutto questo. Ma il dialogo tra Armenia e Turchia, che certamente è un fatto molto positivo, se andrà avanti potrà probabilmente svelenire questo punto.

 

D. - Quali saranno i tempi per un eventuale entrata della Turchia in Europa?

 

R. – Credo che sarà difficile pensare a meno di 10-12 anni.

 

D. – In questo periodo, quale sarà il ruolo degli altri Paesi europei?

 

R. – Per il momento, la maggioranza dei Paesi europei è favorevole. C’è, però, il rischio di questo referendum che Chirac ha promesso per la Francia ed una certa opposizione tedesca e la posizione politica – che speriamo in 12 anni possa essere sanata – di Cipro, il governo greco di Cipro, che non è ancora riconosciuto da Ankara e che evidentemente bloccherebbe un’eventuale adesione.

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TENSIONE TRA I VERTICI PALESTINESI, MENTRE

RAID DELL’AVIAZIONE ISRAELIANA NELLA STRISCIA DI GAZA

 PROVOCANO UNA DECINA DI MORTI

- Intervista con Antonio Ferrari -

 

Tre raid aerei israeliani, un’automobile che esplode, almeno due membri del braccio armato della Jihad islamica uccisi. Questo il bilancio dell’operazione dello Stato ebraico nella Striscia di Gaza, che in tutto ha provocato almeno 9 morti. Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha accusato Israele di “terrorismo di stato”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Continuano gli attacchi mirati di Israele contro presunti estremisti palestinesi. Secondo fonti giornalistiche locali, l’aviazione israeliana ha condotto, nella Striscia di Gaza, almeno tre raid in meno di un’ora. Il più grave è avvenuto in una via di Gaza. Un medico di un ospedale della città palestinese ha riferito che un missile israeliano ha centrato un camioncino con a bordo diversi militanti della Jihad islamica pronti a lanciare razzi Qassam contro lo Stato ebraico. Accanto al mezzo, sono anche stati trovati frammenti di ordigni rudimentali. Fonti locali hanno reso noto, inoltre, che tra le vittime figurano due bambini. Sul versante politico, si acuisce lo scontro interpalestinese tra il governo del gruppo radicale Hamas, guidato dal premier Haniyeh, e il partito Al Fatah del presidente Abu Mazen, appoggiato dall’esercito. Nella Striscia di Gaza, sotto il controllo di Hamas, e in Cisgiordania, dove è forte il consenso verso Al Fatah, la situazione è molto tesa e Abu Mazen ha decretato lo stato di emergenza. Ieri, miliziani armati dei martiri di Al Aqsa, il braccio armato di Al Fatah, hanno assaltato e incendiato le sedi del governo e del Parlamento a Ramallah. In segno di protesta, si è dimesso il ministro del Turismo, l’unico cristiano nel governo formato dal movimento radicale di Hamas.

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Si acuiscono sempre di più, dunque, gli scontri interpalestinesi. Una ferita, che sembra ormai insanabile. Lo conferma, al microfono di Salvatore Sabatino, l’inviato speciale del “Corriere della Sera”, Antonio Ferrari:

 

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R. – E’ complicata e molto grave. E’ molto grave anche perché non si capisce se c’è una compattezza nel gruppo di Hamas, al governo, e all’interno del Fatah. Direi che gli scontri interpalestinesi sono cominciati quando Hamas ha deciso di crearsi una propria polizia all’interno della Striscia, disobbedendo in fondo a quelle che erano le direttive del presidente Abu Mazen. Come sappiamo, il presidente palestinese ha deciso – sempre che Hamas non scelga all’ultimo momento di riconoscere Israele e di accettare tutte le condizioni stabilite – di fissare un referendum per il prossimo 26 luglio. Referendum, questo, che ha fatto infuriare Hamas, che ha parlato di colpo di Stato. Abbiamo, quindi, una situazione assolutamente complessa all’interno del cosmo palestinese, ma abbiamo anche rappresaglie israeliane che sono state durissime, dopo il lancio di razzi che Abu Mazen aveva promesso che non sarebbero più avvenuti. Il braccio armato di Hamas, disobbedendo, ha ripreso invece gli attacchi. Si tratta quindi di una situazione estremamente delicata. Il rischio di una terza Intifada è veramente altissimo.

 

D. – Quali potrebbero essere, a questo punto, le giuste mosse per impedire proprio che questa frattura possa trasformarsi in qualcosa di più grave?

 

R. – Io direi che Abu Mazen dovrebbe cercare di convincere la parte di Hamas più propensa al dialogo. Ecco perché parlavo prima di una differenza tra oltranzisti intransigenti, che vivono anche all’estero, e una parte in fondo forse più disponibile a compiere quei passi necessari per far terminare il boicottaggio internazionale. Altrimenti, Abu Mazen ha parlato di referendum, un referendum che avrà sicuramente la maggioranza a favore del presidente palestinese. Ma questo, significherebbe di nuovo spingere Hamas verso l’opposizione. Hamas potrebbe diventare, nuovamente, opposizione armata. Questo è certamente il primo elemento di grave inquietudine. Il secondo riguarda, invece, Israele. Io credo che l’errore di Israele sia stato quello di non voler aiutare – come avrebbe invece dovuto fare con Abu Mazen – la parte più responsabile del mondo palestinese, lasciandolo senza questo aiuto e questo sostegno ed esponendolo ad una crisi di credibilità interna. I risultati delle elezioni ne sono anche la dimostrazione.

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IL CALCIO, DISCIPLINA CHE ALLENA ALLA CONVIVENZA TRA GLI UOMINI:

LE PAROLE PRONUNCIATE NEL 1978 DAL CARDINALE RATZINGER

SUL VALORE DI UNO SPORT CHE APPASSIONA MILIARDI DI PERSONE

- A cura di Birgit Pottler -

 

         I mondiali di calcio in corso in Germania hanno già messo a confronto, nei primi undici incontri disputati fino a ieri, squadre dei cinque continenti. Come sempre accade in eventi simili, in gioco non sono soltanto la passione per uno sport popolare dalla Mongolia all’Amazzonia: il match sul campo diventa inevitabilmente riflesso di un confronto geografico, culturale, politico. Da sempre la Chiesa, attraverso i suoi pastori, ha prestato molta attenzione ai valori dello sport in generale e del calcio in particolare. Tre giorni dopo l’inizio del mondiale del 1978, che si disputava in Argentina, l’allora arcivescovo di Monaco e Frisinga, il cardinale Joseph Ratinger, intervistato dalla Radio bavarese, esprimeva la propria opinione sul fenomeno calcio come passione collettiva. Grazie al minuzioso lavoro della collega della redazione tedesca, Birgit Pottler, possiamo riascoltare oggi alcuni passaggi di quell’intervista, che non hanno perso nulla della loro attualità:

 

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R. - “Il calcio è diventato un evento globale, che lega le persone di tutto il mondo, unendole negli stessi sentimenti di speranza, paura, passione, gioia. Quasi nessun evento sulla terra riesce ad ottenere lo stesso effetto. Questo dimostra che il calcio tocca un sentimento molto profondo, ancestrale, della persona. Ci si domanda come mai questo gioco eserciti un potere così grande. Il pessimista dirà che è la stessa cosa che accadeva nella Roma antica, quando le masse chiedevano panem et circenses (...) Il gioco del calcio oltrepassa in un certo senso la vita quotidiana. Ma, soprattutto per il bambino, possiede anche un altro carattere: costituisce un allenamento per la vita. Simbolizza la vita stessa proponendocela in anteprima in una versione dagli schemi più liberi. Il gioco insegna a disciplinarsi, offrendo la possibilità di vincere e di ricevere libertà. Come gioco di squadra, porta l’uomo ad una convivenza disciplinata. Il calcio unisce attraverso uno scopo comune (...) Il gioco è come la vita. Se andiamo ad approfondire, il fenomeno di un mondo appassionato di calcio potrebbe darci di più che semplice intrattenimento.

 

(musica)

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LA CONDIZIONE DEI BAMBINI DI STRADA AD HAITI:

IN UN LIBRO DELLA EDITRICE MISSIONARIA ITALIANA,

L’IMPEGNO E I PROGETTI DELL’ASSOCIAZIONE ANPIL PER BAMBINI SIEROPOSITIVI

- Intervista con Alessandro Corallo -

 

         Dista solo 2 ore di aereo dai lussuosi grattaceli di Miami, ma rientra nei Paesi del quarto mondo, perché senza speranza di sviluppo. E’ Haiti, Paese che unisce spiagge incantate a discariche a cielo aperto, sovraffollamento urbano, miseria, malnutrizione e malattie. A causa dell’incandescente clima politico, il ministero degli Esteri italiano sconsiglia di recarsi nel Paese. Alessandro Corallo, volontario dell’Associazione ANPIL, Amici nella promozione Lasalliana, è dal 1991 che ogni anno si reca nel Paese per seguire diversi progetti di aiuto ai bambini di strada tra i quali il sostegno a distanza. Da questa esperienza è nato un libro: “Ad Haiti si nasce ultimi, la vera storia di Theophile e di altri bambini”, pubblicato da Editrice Missionaria Italiana. I ricavati della vendita del volume serviranno a finanziare un progetto di diagnosi e cura per l’AIDS. Antonella Villani ha chiesto a Alessandro Corallo come sia cambiata Haiti in questi anni:

 

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R. – Ogni anno la trovavamo sempre peggio: dal punto di vista delle infrastrutture, delle strade dismesse, piene di buchi. I bambini ci dicono: “Mangiamo ogni tre-quattro giorni, quello che capita. Il costo della vita è aumentato e quindi è veramente difficile vivere ad Haiti, soprattutto per i bambini è un ‘sopravvivere’ …

 

D. – Qual è la situazione, oggi?

 

R. – Da poco c’è stata l’elezione del presidente Préval. Questo ha calmato gli animi nella guerriglia civile che c’è stata prima: bande armate, rapimenti, rapine … Con la presenza dell’ONU, questa situazione è migliorata.

 

D. – La vita media nel Paese è di 49 anni, e ovviamente i più colpiti sono i bambini …

 

R. – La mortalità sotto i cinque anni è spaventosa: 123 bambini ogni mille. Tra l’altro, quando si va in giro per le strade di Haiti, si vedono solo bambini: nudi, vestiti male. Hanno però sempre un sorriso incredibile, malgrado tutte le difficoltà che incontrano nella giornata e malgrado le malattie croniche.

 

D. – C’è anche l’AIDS …

 

R. – Ad Haiti ci sono 30 mila morti l’anno per AIDS. Noi scopriamo se un bambino è malato di AIDS solo perché, magari, lo vediamo star male e riusciamo noi a pagare il test sia per l’AIDS sia per la malaria o le altre malattie; altrimenti, loro pensano che sia una morte dovuta alle condizioni generali…

 

D. – Voi sul posto avete attuato tutta una serie di progetti…

 

R. – Ci sono otto ragazze, chiamate “rosette”, che sono formate come un gruppo religioso, e loro assistono i bambini seguiti con il progetto del sostegno a distanza. Riescono a dare almeno un pasto al giorno e medicine quando stanno male. Tra l’altro, nel prossimo mese di agosto si aprirà un centro di accoglienza: sarà per i bambini di strada. Riuscirà ad accogliere 130 bambini al giorno, sarà il punto di riferimento per la baraccopoli di Fatima che sta nella città di Port-de-Paix, nel Nord di Haiti.

 

D. – Chi vuole, tra l’altro, può partecipare a campi estivi di lavoro?

 

R. – Uno magari si può chiedere: ma io, cosa posso fare? Ecco: la presenza è una cosa importantissima, perché i bambini lì non hanno con chi confrontarsi, con chi giocare. Quindi, qualcuno che viene apposta per loro, che li prende per mano, sta ad ascoltarli e gioca con loro, è una cosa grandissima. Ed è un’esperienza di vita indimenticabile.

 

D. – Tutto questo lo hai raccontato in un libro: “Ad Haiti si nasce ultimi. La vera storia di Théophile e di altri bambini”…

 

R. – In questo libro, oltre a varie storie di bambini che abbiamo conosciuto direttamente sul posto, si parla anche di Théophile che è un bambino che ci hanno portato un giorno, con il pancione classico da malnutrizione. E’ stato lavato, vestito, sfamato e questo bambino è risorto.

 

D. – Il ricavato della vendita del libro, tra l’altro, andrà completamente in beneficenza per i progetti sul posto…

 

R. – In particolare, il progetto Théophile che permetterà di fare il test per vedere se i bambini sono sieropositivi a tutti i bambini adottati a distanza. Poi, allargando a tutti i fratellini, cugini, parenti per poter intervenire dove ci siano casi di sieropositività e curare, proprio nel nuovo centro di accoglienza, i bambini più gravi.

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 PUBBLICATA DALL’UNIVERSITA’ URBANIANA, L’EDIZIONE ITALIANA

DEL DIZIONARIO DI LETTERATURA CRISTIANA ANTICA

- Con noi il card. Crescenzio Sepe, mons. Ambrogio Spreafico e il prof. Paolo Siniscalco -

        

         Un volume utile per gli studi teologici, ma anche un punto di riferimento importante per il dialogo ecumenico: si tratta del Dizionario di Letteratura cristiana antica di Döpp e Geerlings. In questi giorni, è stata presentata l’edizione italiana pubblicata dall’Università Urbaniana a cura di Celestino Noce. Il servizio di Isabella Piro:

 

 

 

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Perché oggi i Padri della Chiesa sono tornati ad essere oggetto di studio? A questa domanda risponde il Dizionario pubblicato dall’Urbaniana. Tocca alla Patristica far presenti in modo certo le radici giudaico-cristiane della nostra storia e quindi rispondere ad un bisogno di identità del cristiano, soprattutto in un’epoca di confronto con l’islam. Il volume, che offre una panoramica degli autori cristiani fino all’VIII secolo, mostra la fusione tra dottrina e spiritualità, quell’amore di Dio – come diceva Agostino – destinato a chi ama la vera cultura, compresi i non credenti. Come sottolinea l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe:

 

“Un’opera così, che sintetizza tutta la storia della Patristica e che quindi dà la possibilità di avere uno sguardo d’insieme di tutta quella che è la letteratura cristiana antica è un arricchimento fondamentale per qualsiasi ulteriore approfondimento teologico nelle varie materie”.

 

I Padri, dice ancora il cardinale Sepe, sono testimoni di una Chiesa che non aveva ancora conosciuto lacerazioni. Per questo i loro scritti hanno un valore missionario:

 

“Queste opere dei Padri avevano sempre, esplicitamente o implicitamente, la finalità di far conoscere il Vangelo e quindi di evangelizzare i popoli, perché questa storia di una Chiesa che viveva in unità e in comunione contribuisce a quella comprensione dell’unità e della comunione che deve esserci nella Chiesa di Cristo”.

 

Il cristianesimo trova sempre le parole per parlare con tutti, senza escludere nessuno, ribadisce mons. Ambrogio Spreafico, rettore dell’Università Urbaniana. Il dizionario, quindi, si inserisce perfettamente nel dibattito attuale con la laicità:

 

“La letteratura cristiana antica, i Padri della Chiesa, hanno vissuto questo grande momento culturale in cui attraverso le parole del Vangelo, attraverso la vita cristiana si sono inseriti nelle diverse culture. Il cristianesimo cerca di parlare al cuore dell’uomo e al mondo. Quindi, ha diritto di poter parlare, di poter esprimere la fede profonda che lo lega alla figura di Gesù”.

 

La Patrologia ha un significato normativo, dice ancora il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani. Questo significa ribadire l’importanza delle fonti, in particolare della Sacra Bibbia, come ricorda Paolo Siniscalco, professore emerito di Letteratura Cristiana Antica all’Università la Sapienza:

 

“Un’opera come questa indica lo sviluppo delle cristianità, e occidentale e orientale, e lo fa su basi storiche molto buone”.

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LA CHIESA RICORDA OGGI SANT’ANTONIO DI PADOVA: NOTO TAUMATURGO

E PREDICATORE, RIUSCIVA A FARSI ASCOLTARE ANCHE DALLA GENTE SEMPLICE.

NEL 1946 FU DICHIARATO DOTTORE DELLA CHIESA UNIVERSALE

- Intervista con padre Enzo Poiana -

 

“Il Santo”: così lo chiamano le migliaia di pellegrini che raggiungono Padova per chiedere la sua intercessione. Portoghese di nascita e battezzato con il nome di Fernando, Sant’Antonio, che la Chiesa ricorda oggi, morì il 13 giugno del 1231. Aveva 15 anni quando decise di farsi canonico regolare di Sant’Agostino. Poi, il desiderio di vivere in maniera più radicale i voti evangelici lo spinse ad abbracciare la spiritualità di San Francesco, che conobbe nel 1221. Ma quali tratti caratterizzano la personalità di Sant’Antonio di Padova? Ce ne parla Tiziana Campisi.

 

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(musica)

 

Cantore della povertà, perché, diceva, le sue delizie offrono un sapore di eterna dolcezza a quelli che la amano, Sant’Antonio di Padova amò la Chiesa, la famiglia in cui i credenti hanno vita. “Chi vuol possedere Dio e trovare la via sicura dell’intimità con Lui – soleva ripetere - deve rimanere nella sua famiglia, fare vita di famiglia, perché in essa i rapporti con il Padre Celeste e con i fratelli si compiono nella fede e nell’amore”. Era un contemplativo ma alla storia è noto come Santo del popolo e taumaturgo. Ce ne spiega il perchè padre Enzo Poiana, minore conventuale, rettore della Basilica di S. Antonio a Padova.

 

R. – Credo che le situazioni concrete della vita convertano anche la nostra vita. Sant’Antonio, che era un monaco agostiniano, dedito alla vita all’interno del monastero, allo studio, sente dentro di sé l’esigenza di andare a predicare il Vangelo in tutto il mondo. La scintilla che fa scoccare questa decisione è l’incontro con i primi cinque martiri francescani: il vedere le salme di questi frati martirizzati in Marocco provocò in lui il forte desiderio di dare tutta la sua vita come dono a Gesù Cristo. Quello che poi è accaduto è che lui non è riuscito a dedicarsi alle missioni perchè si è ammalato - la storia la conosciamo - ed è giunto fin qui, nel nord Italia. Qui, il contatto con la gente, con il popolo di Dio, lo ha cambiato, lo ha provocato. Così è emerso questo suo interesse per la giustizia, come espressione alta dell’amore di Dio, che lo ha visto partecipe della vita sociale e anche un grande provocatore.

 

D. – Quali parole e quale messaggio recuperare oggi di Sant’Antonio?

 

R. – Ascoltare il Vangelo, accogliere il Vangelo: questo lieto annuncio di un Dio che ti ama, di un Dio che attraverso Gesù Cristo ci ha dimostrato un amore senza misura. Il Dio di Gesù Cristo è Colui che fa nascere dentro la persona umana il desiderio di rispondere a questo amore e di dare concretezza a questa risposta che si esprime nell’amore verso i fratelli.

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CHIESA E SOCIETA’

13 giugno 2006

 

 

“NON FATE MANCARE L’ASSISTENZA AGLI AMMALATI”.

QUESTO L’APPELLO LANCIATO

DAL CARDINALE FRÈDÈRIC ETSOU AI MEDICI DI KINSHASA, NEL CONGO,

IN SCIOPERO PER RIVENDICARE UN MIGLIORE TRATTAMENTO ECONOMICO”

 

KINSHASA. = “Ricordate il giuramento di Ippocrate: non fate mancare l’assistenza agli ammalati”. Questo l’appello del cardinale Frèdèric Etsou, arcivescovo della capitale della Repubblica democratica del Congo Kinahasa, rivolto ai medici degli ospedali congolesi, in sciopero da oltre un mese per rivendicare un trattamento economico migliore. “È un vostro diritto più che legittimo – si legge nella nota dell’agenzia Fides – che voi rivendichiate un salario degno e decoroso, per i servizi che rendete ai malati”. Tuttavia il porporato, pur condividendo le richieste degli scioperanti, sollecita il personale medico a riprendere costantemente il loro servizio negli ospedali. Nel suo messaggio, il cardinale Etsou ha sottolineato l’impegno ad incontrare le autorità del Paese, per esortarle a assumersi le proprie responsabilità affinché si risolva la situazione. Lo sciopero dei medici ospedalieri di Kinahasa, è iniziato oltre un mese fa e si è poi esteso nell’ultima settimana in diverse città del Paese. Le rivendicazione sindacali, riguardano la regolarizzazione di 333 medici neoassunti che lavorano senza percepire lo stipendio. Il sindacato dei medici reclama inoltre, un aumento salariale e il pagamento dei compensi arretrati dei medici di ruolo, alcuni dei quali non sono pagati da 14 mesi. Lo stipendio di un medico congolese varia secondo la specializzazione e l’anzianità, percependo al mese dai 18 mila ai 25 mila franchi congolesi (dai 42 ai 59 dollari americani). I sindacalisti sottolineano anche l’urgenza dei provvedimenti richiesti, utili a frenare l’emorragia di medici esperti che trovano più conveniente lavorare nelle cliniche private del Paese o all’estero, in particolare in Sudafrica, Lesotho e Botswana. (V.C)

 


Sono più di 9 mila i volontari di 44 Paesi mobilitati

per l’incontro mondiale delle famiglie

 in programma a Valencia dall’1 al 9 luglio prossimi

 

VALENCIA. = Hanno tra i 15 e gli 84 anni di età e provengono da 44 Paesi dei cinque continenti: sono i circa 9.300 volontari che, dall’1 al 9 luglio prossimi, lavoreranno al corretto sviluppo dei diversi eventi organizzati per il V Incontro Mondiale delle Famiglie (IMF), al quale parteciperà anche Benedetto XVI. Quasi 8 mila volontari iscritti sono spagnoli. Seimila provengono dalla comunità che ospita la manifestazione. Gli altri volontari provengono sia da Paesi europei - soprattutto Italia, Irlanda e Germania - che dall’America Latina, da dove arriveranno i gruppi più numerosi. Costa Rica, Messico, Colombia e Brasile sono le Nazioni dalle quali proviene la maggior parte dei volontari latinoamericani. Tra gli iscritti – specifica l’agenzia Zenit - ci sono anche gruppi di volontari di Paesi africani o asiatici come Marocco, Repubblica Centrafricana, Congo o Filippine. Tra i volontari ci sono più di tremila professionisti, appartenenti al settore sanitario o dell’informazione. Non mancano gli studenti, che sono più di 4 mila, mentre i pensionati sono 150. I volontari saranno destinati, fra l’altro, al controllo dei vari settori degli atti e al coordinamento dei pellegrini. Altri lavoreranno all’accreditamento dei pellegrini e agli atti liturgici dell’IMF. Diverse centinaia di volontari saranno assegnati al Congresso Internazionale Teologico-Pastorale sulla Famiglia e alla Fiera Internazionale delle Famiglie, che si svolgeranno nelle strutture della Fiera valenciana. Altri volontari saranno addetti all’assistenza sanitaria e al primo soccorso, al protocollo, alla stampa e al trasporto di autorità (E.B.)

 

 

In Scozia, molte confessioni religiose apprezzano

 l’iniziativa di un grande centro commerciale

che ha allestito uno spazio dove tutti i clienti possono

rilassarsi e pregare

 

Glasgow. = Un luogo riservato e tranquillo dove i fedeli di tutte le religioni possono trovarsi per pregare. L'iniziativa non è di qualche gruppo religioso ma del grande centro commerciale di Braehead, nei pressi di Glasgow, che ha messo a disposizione dei suoi clienti uno spazio per meditare. Così tra carrelli della spesa, prodotti in offerta e scaffali, chi vuole può ritagliarsi il tempo di una riflessione. A guidare le cerimonie è Elisabeth Spence, che svolge questo compito anche in un'altra catena di grandi magazzini di Glasgow. Pastora della chiesa di Scozia, Spence è una dei sei pastori protestanti che operano a tempo pieno nel mondo del lavoro scozzese. “Possono venire tutti a pregare o semplicemente a riposarsi – specifica -”. Tra i fedeli ci sono anche i dipendenti del centro commerciale, che ricorrono alla pastora anche per i matrimoni e funerali. Secondo quanto riporta l’agenzia SIR, reazioni positive all’iniziativa  si sono registrate anche dalle confessioni religiose. Shafi Kausar, segretario del centro islamico di Glasgow, ha affermato che gli islamici che pregano più volte al giorno ne faranno un buon uso; mentre un portavoce della chiesa cattolica scozzese ha rilevato che “uno spazio di tranquillità nella vita così frenetica che si conduce è quanto mai necessario”. (E. B.)

 

 

Il rabbino capo di Israele, in visita in cina, ha chiesto alle autorità locali

 di riaprirre l’ex sinagoga di Shanghai,

 un luogo che testimonia la presenza degli ebrei

 durante la II guerra mondiale

 

Shanghai. = Il rabbino Shlomo Amar, uno dei due rabbini capo di Israele, visitando ieri l’ex sinagoga di Shanghai, ha ringraziato il governo cinese per l’ospitalità fornita agli ebrei che fuggivano dalle persecuzioni naziste, ma ha espresso la speranza che le autorità permettano il ritorno della sinagoga alla comunità ebraica. La sinagoga Ohel Rachel, completata nel 1920, può ospitare fino a 700 fedeli. Nei primi anni ’30 – come precisa l’agenzia Asia News - Shanghai ospitava circa mille ebrei sefarditi ed oltre 5 mila ashkenaziti e a questi si sono aggiunti circa 30 mila esuli fuggiti dalle deportazioni del periodo nazista. Dopo il 1949, l’Ufficio cittadino per l’educazione ha espropriato la sinagoga e l’ha trasformata in un centro congressi e, durante la “Rivoluzione Culturale”, il suo uso era divenuto industriale. In seguito, l’edificio è stato ristrutturato e destinato ad ospitare un museo a testimonianza della presenza ebraica durante la guerra. Al momento, essa è chiusa al pubblico, ma la comunità può visitarla durante i giorni di festa. Il rabbino Amar, accompagnato da 12 altri rabbini dell’Asia orientale, si è fermato davanti al luogo di culto. “Una sinagoga – ha affermato – è un importante luogo di preghiera. Nello specifico, questa simboleggia la presenza degli ebrei a Shanghai”. La speranza – ha concluso – è “che le autorità permettano presto il ritorno della sinagoga alla comunità ebraica, un simbolo di armonia per tutti noi”. (E. B.)

 

 

LA POLIZIA HA DISPERSO A TEHERAN UN GRUPPO DI DONNE CHE MANIFESTAVANO

PER IL RICONOSCIMENTO DELL’UGUAGLIANZA DEI DIRITTI.

 DOMANDAVANO ANCHE IL BANDO DELLA POLIGAMIA ED IL DIRITTO AD UN UGUALE VALORE ALLA TESTIMONIANZA IN TRIBUNALE

 

TEHERAN. = “Siamo donne, siamo umane, ma non abbiamo alcun diritto”: queste le parole scandite ieri pomeriggio a Teheran da un gruppo di donne dimostranti, che chiedevano uguaglianza di diritti e modifiche delle legislazioni civile e penale. L’intervento di un centinaio di agenti, un’ora dopo l’inizio della protesta, come scrive l’agenzia Asianews, ha portato ad una trentina di arresti ed una delle manifestanti è stata ferita. L’evento è stato apertamente ripreso da alcuni giornalisti, che non sono stati ostacolati dalle forze di sicurezza. Anche i media iraniani, controllati dallo Stato, hanno dato notizia della manifestazione, insistendo sul fatto che le donne erano vestite in modo indecente, cioè che erano “non perfettamente velate”. Le manifestanti, legate ad un finora sconosciuto “Labour and Communist Party”, presentavano un elenco di richieste, appoggiato da 400 scrittori, giornalisti, attivisti di diritti umani, artisti ed intellettuali, uomini e donne. Chiedono il bando della poligamia, la revoca dell’incontestato diritto degli uomini al divorzio; uguali diritti di custodia dei figli per la madre ed il padre ed uguali diritti nel matrimonio, tra cui quello della donna a lavorare dove vuole e a viaggiare liberamente e ancora un uguale valore alla testimonianza delle donne in tribunale. Il problema fondamentale dello stato della donna in Iran è fondato nella legge e in un sistema che ha un impatto negativo sulla mentalità, e proprio sulle discriminazioni legali volevano insistere le dimostranti. Quella di ieri non è stata la prima dimostrazione femminista a Teheran. A marzo, 300 dimostranti per i diritti umani, uomini e donne, hanno organizzato un raduno in un parco. Anche allora, la polizia li ha attaccati, bastonandone alcuni. (T.C.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

12 giugno 2006

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

        

In Iraq, più di 20 persone sono morte in seguito ad una serie di attentati, compiuti in rapida successione a Kirkuk, importante centro petrolifero nel nord del Paese. Ma qual è la matrice di questi ultimi, sanguinosi attacchi? Giancarlo La Vella lo ha chiesto al giornalista iracheno in Italia, Al Saadi Latif:

 

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R. – Era superficiale pensare che dopo l’uccisione di Al Zarqawi, la situazione sarebbe migliorata in modo netto. Ci sono, ormai, reti di gruppi legati ad Al Qaeda e ad Al Zarqawi, ma anche gruppi legati agli uomini dell’ex regime di Saddam Hussein. Ci sono almeno cinque gruppi armati che continuano a compiere attentati. Dopo l’uccisione di Al Zarqawi, sono diminuiti, comunque, gli attentati con autobomba. Credo che questa uccisione non rappresenti una diminuzione degli attentati, ma sia comunque un fatto positivo nella lotta al terrorismo per tornare alla normalità in Iraq.

 

D. – Non si riesce ad arginare la violenza, secondo te, anche a causa della debolezza dell’attuale governo?

 

R. – La debolezza da dove viene? Se noi prendiamo obiettivamente questo governo, è il più forte di tutti i governi dal 2003 fino ad oggi, perché rappresenta più componenti della società irachena. Questa è la realtà. Ma dov’è la debolezza? La debolezza sta nel fatto che fino ad oggi, l’esecutivo non è riuscito a realizzare il programma per il quale si erano accordate tutte le forze politiche della società irachena. Credo che con il programma governativo, si possano unire tutte le forze. Questo governo ha grandi possibilità di essere più forte sulla base di un programma unitario, che hanno già fatto, ma che ha bisogno di tempo.

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Nel Paese arabo, intanto, l’organizzazione terroristica ‘Al Qaeda’ ha nominato Abu Hamza al Muhajir successore di Al Zarqawi, rimasto ucciso lo scorso 7 giugno in un raid aereo americano nei pressi di Baquba, a nord di Baghdad. L’organizzazione terroristica ha anche rivelato, con un comunicato, che era un militante saudita e non Zacarias Moussaoui, auto-accusatosi e processato negli Stati Uniti, il 20.mo kamikaze che avrebbe dovuto prendere parte agli attentati dell'11 settembre 2001.

 

È prematuro discutere del ritiro statunitense dall’Iraq, soprattutto ora che i militari puntano a scovare anche il successore di Al Zarqawi, il capo locale di Al Qaeda ucciso mercoledì scorso in un raid aereo. Questo il senso dell’intervento del presidente statunitense Bush, ieri, nella prima giornata del Consiglio di Guerra dedicato al conflitto in Iraq. Ce ne parla Elena Molinari:

 

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Non si parla di ritiro, almeno in via ufficiale. Al termine della prima delle due giornate del suo “Consiglio di guerra” sull’Iraq, George Bush ribadisce che è prematuro discutere su come portare le truppe americane a casa, almeno finché il governo iracheno non sia in grado di fronteggiare la guerriglia da solo. Il presidente americano ha riunito i suoi più stretti collaboratori a Camp David, nel verde del Maryland, per ridefinire la strategia di una guerra sempre più impopolare, ma anche per mettere in evidenza i due più recenti successi della campagna irachena: l’eliminazione di Abu Musab al-Zarqawi e la costituzione di un governo di unità nazionale. Bush, però, si è mantenuto cauto. Sono troppe le notizie di bombe e stragi che arrivano da Baghdad ogni giorno per potersi permettere di cantare vittoria. E, infatti, il capo della Casa Bianca ha avvertito: l’insurrezione continua a costituire una minaccia molto grave. Ha, quindi, assicurato ancora una volta che le decisioni sul numero di soldati da mantenere in Iraq dipendono solo dalle condizioni sul campo e che “qualsiasi cosa faremo punterà ad una strategia di vittoria”. Ma è chiaro che a Camp David di Exit Strategy si sta parlando, anche nella speranza – espressa più volte dai vertici del Pentagono – di ridurre il personale USA in Iraq a 100 mila unità entro la fine dell’anno, appare sempre più lontana.

 

Elena Molinari, per la Radio Vaticana. 

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In Italia, il nuovo turno amministrativo tenutosi domenica e ieri, ha visto la vittoria del centrosinistra in 4 capoluoghi di provincia: Rovigo, Catanzaro, Salerno e Caserta. Vittoria del centrodestra, invece, a Belluno. Un comune per parte, invece nel primo turno in Sardegna. Affermazione del centrodestra, inoltre, nella provincia di Trapani.

 

 

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