RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 159  - Testo della trasmissione di  giovedì 8 giugno 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Lettera del Papa al cardinale Marian Jaworski, insignito del dottorato honoris causa dalla Pontificia accademia teologica di Cracovia, della quale fu primo rettore

 

Il cardinale vicario Camillo Ruini chiude stasera il Convegno ecclesiale della diocesi di Roma, aperto lunedì scorso da Benedetto XVI: ai nostri microfoni mons. Mauro Parmeggiani

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

In un raid aereo americano ucciso il terrorista giordano Al Zarqawi, numero uno di Al Qaeda in Iraq: con noi Guido Olimpio e Loretta Napoleoni

 

Domani l’inizio in Germania dei Mondiali di calcio 2006: ce ne parlano Alberto Dionisi e mons. Agostino Marchetto

 

Spiragli di pace in Uganda. Partono i colloqui tra governo e guerriglia dell’Esercito di resistenza del signore. L’impegno umanitario delle ONG: intervista con Giorgio Lappo

 

I volontari e le famiglie assistite dal dispensario Santa Marta in Vaticano, in pellegrinaggio sabato prossimo al santuario della Madonna ad Rupes : con noi, suor Chiara Pfister

 

Tempo di vacanze, tempo di relax e riposo: i suggerimenti di padre Raniero Cantalamessa

 

CHIESA E SOCIETA’:

Nota dei vescovi svizzeri diffusa in riferimento al primo bebè di nazionalità svizzera nato in laboratorio per donare il midollo osseo al fratellino malato

 

“Una mossa che cambia la giustizia nel Paese, da sistema che uccide a sistema che guarisce": così, i vescovi filippini definiscono la decisione del Congresso di abolire la pena di morte

 

Pakistan: rilasciati perché giudicati innocenti, due cristiani detenuti da 7 anni per blasfemia

 

15 mila persone in fuga a Giava, in Indonesia, in seguito all’ennesima eruzione del vulcano Merapi

 

Nel mondo, sono circa 191 milioni i migranti, rispetto ai 155 milioni del 1990

 

“Risvegliare la coscienza di tutti i rappresentanti del Paese”: con questo intento, i vescovi della Bolivia consegneranno una copia della Bibbia e del Compendio della dottrina sociale della Chiesa a ogni deputato dell’Assemblea nazionale

 

24 ORE NEL MONDO:

        Quattro palestinesi uccisi da fuoco israeliano sul confine tra Israele e la striscia di Gaza

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

8 giugno 2006

 

 

UDIENZE E NOMINE

 

Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il dott. Norbert Lambert, presidente del Bundestag della Repubblica Federale di Germania, il cardinale Fiorenzo Angelini, presidente emerito del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, l’arcivescovo Francisco Montecillo Padilla, nunzio apostolico in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone, l’ambasciatore del Cile in visita di congedo, Máximo Pacheco Gómez, e il prof. Lorenzo Ornaghi, rettore dell'UniversiCattolica del Sacro Cuore.

 

Negli Stati Uniti, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Raleigh, presentata per raggiunti limiti di età dal vescovo Francis Joseph Gossman. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Michael Francis Burbidge, finora ausiliare di Philadelphia. Il presule, 49 anni, dopo il bacellierato ha proseguito gli studi di teologia, ricevendo il Master of Arts Degree in Theology nel 1984. Nel 1994 ha conseguito il Master of Arts Degree in Administration and in Education alla Università di Villanova e, nel 1999, il Doctorate of Education all’Immaculata College. E’ stato, tra l’altro, parroco, cappellano e insegnante e nel 1999 è stato nominato rettore del Saint Charles Seminary. E’ stato ordinato vescovo nel 2002.

 

Sempre negli USA, Benedetto XVI ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Philadelphia il sacerdote Daniel E. Thomas, del clero della medesima arcidiocesi, finora parroco della Our Lady of the Assumption Parish a Strafford. Mons. Thomas ha 47 anni. Ha frequentato i corsi filosofici e teologici presso il “Saint Charles Seminary” a Overbrook. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha svolto gli incarichi, tra gli altri, di condirettore regionale della “Catholic Youth Organization”. A Roma ha compiuto gli studi teologici alla Pontificia Università Gregoriana, dove ha ottenuto la Licenza in Teologia. Poliglotta, mons. Thomas ha lavorato per 15 anni alla Congregazione per i Vescovi, esercitando nel contempo anche l’ufficio di direttore spirituale presso il “Pontifical North American College”. Il 19 marzo 2005 è stato nominato Prelato d’Onore di Sua Santità.

 

 

IL CARDINALE MARIAN JAWORSKI INSIGNITO

DEL DOTTORATO HONORIS CAUSA DALLA PONTIFICIA ACCADEMIA TEOLOGICA

DI CRACOVIA, DELLA QUALE FU PRIMO RETTORE.

NEL POMERIGGIO, AL PORPORATO LA CITTADINANZA ONORARIA DELLA CITTA’

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Un prestigioso riconoscimento accademico a “un abile pensatore e pedagogo”, lungamente dedito all’approfondimento “dei misteri della metafisica e della filosofia della religione”. Sono le parole della lettera con la quale Benedetto XVI si congratula con l’ottantenne cardinale Marian Jaworski, metropolita di Leopoli dei Latini, che ha ricevuto stamattina a Cracovia il Dottorato honoris causa da parte della locale Pontificia Accademia Teologica, della quale è stato il primo rettore. “So come il Servo di Dio Giovanni Paolo II apprezzava la tua conoscenza, la saggezza e la sincera amicizia”, scrive Benedetto XVI. “Anche io sono grato per lo sforzo creativo nel Tuo lavoro nella Pontificia Accademia di Cracovia”.  

 

Nel riconoscere il contributo prestato dal cardinale Jaworski durante gli anni di servizio nell’ateneo - specialmente nella “premura” con la quale il porporato ha guidato i docenti e la crescita scientifica della struttura – il Papa conclude: “So che spesso questo è un ministero difficile, esigente, che richiede dedizione e sensibilità ai bisogni dei fedeli. So anche che non Ti sono mancati mai questi doni di Dio. Condivido la Tua gioia e mi congratulo di cuore”. La particolare giornata del cardinale Jaworski si concluderà nel pomeriggio di oggi, quando alle 16 riceverà la cittadinanza onoraria di Cracovia.

 

 

IL CARDINALE VICARIO CAMILLO RUINI CHIUDE STASERA IL CONVEGNO ECCLESIALE

DELLA DIOCESI DI ROMA, APERTO LUNEDI’ SCORSO DA BENEDETTO XVI.

AI NOSTRI MICROFONI, UN PRIMO BILANCIO DELL’EVENTO, TRACCIATO DAL SEGRETARIO GENERALE DEL VICARIATO, MONS. MAURO PARMEGGIANI

 

Aperto dal Papa lunedì scorso, si chiude stasera - dopo tre giorni di lavori - il convegno ecclesiale della diocesi di Roma. Atto finale sarà, alle 19.30 nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la relazione conclusiva del cardinale vicario Camillo Ruini, in vista dell’anno pastorale 2006-2007. Nel suo discorso d’apertura, Benedetto XVI ha messo l’accento sul tema dell’assise, “la gioia della fede e l’educazione delle nuove generazioni”. Le parole del Papa hanno offerto numerosi spunti per il confronto tra le diverse realtà coinvolte nel convegno, sacerdoti, laici e soprattutto giovani fedeli. A sottolinearlo è mons. Mauro Parmeggiani, segretario generale del Vicariato, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R. – Alla luce di quanto il Santo Padre ci ha detto lunedì sera, abbiamo individuato già alcune vie e su queste abbiamo lavorato: la necessità di un progetto unitario e di educazione alla gioia della fede per le giovani generazioni. Occorre anche riguardare il rapporto tra pastorale giovanile e pastorale familiare. E ancora, pastorale scolastica, pastorale universitaria e rapporto tra pastorale giovanile e pastorale vocazionale. Questi sono gli ambiti sui quali abbiamo lavorato e che rappresenteranno le scelte prioritarie dell’impegno della comunità diocesana nel prossimo anno.

 

D. – “La gioia della fede e l’educazione delle nuove generazioni” è, appunto, il tema del Convegno: c’è stata una partecipazione dei giovani a questo evento?

 

R. – Certamente. Questo non era un Convegno per giovani, anche se il tema era sui giovani, ma abbiamo voluto che fosse di tutta la comunità ecclesiale. E’ il classico convegno diocesano che tutti gli anni facciamo per impostare il programma pastorale dell’anno successivo. Quest’anno, però, abbiamo invitato con forza i giovani, perché non volevamo parlare di loro, senza che fossero presenti! Almeno un terzo degli iscritti – che erano circa 4 mila – erano in età giovanile. Anche loro hanno dato, quindi, il loro contributo; hanno sentito maggiormente queste sfide che ci vengono dal contesto culturale, le sfide che ci ha illustrato il Papa dell’agnosticismo, del relativismo culturale e che i giovani vivono sulla loro pelle: il desiderio di essere ascoltati, accompagnati nell’assimilazione dei contenuti della fede, di essere aiutati anche nella loro capacità di estroversione evangelizzante, capacità missionaria per arrivare a coloro che attendono l’annuncio di quella Persona che va incontrata – come diceva il Papa – e che cambia la vita. Sono state recepite queste intuizioni dei giovani, queste loro richieste, queste nuove modalità di fare pastorale tenendo più conto di loro e non solo come oggetti della nostra attenzione, ma anche soggetti che desiderano partecipare all’opera educativa della Chiesa, mentre loro stessi sono educati.

 

D. – “La fede e l’etica cristiana – ha detto il Papa, aprendo il Convegno – non vogliono soffocare, ma rendere sano, forte e davvero libero l’amore”. Un richiamo ai giovani, ma non solo …

 

R. – Certamente un richiamo ai giovani, ma anche alle famiglie dei giovani che spesso vivono delle situazioni drammatiche, anche riguardo proprio all’etica cristiana che non vivono o che fanno fatica a viverla. L’annuncio di Cristo e dell’etica cristiana diventano liberanti per l’uomo, danno vera dignità all’uomo. Questi giovani sappiamo che la accettano, hanno bisogno di qualcuno che la annunci loro. Quando lo comprendono, vivono la gioia e questo perché i giovani sono in cerca di gioia, sono dei ricercatori di verità, di felicità, di bellezza! I giovani hanno delle grandi potenzialità. Se vivo la morale cristiana sono un uomo libero, un uomo pienamente umano, perché cristianesimo è umanesimo possiamo dire, non sono in contrapposizione ma sono un tutt’uno: Cristo si è incarnato per redimere l’uomo, tutto l’uomo. La Chiesa dice una parola su tutto l’uomo, e non per opprimere i suoi desideri di felicità, ma per orientarli verso il bene.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina l’Iraq: ucciso il terrorista giordano Al Zarqawi.

 

Servizio vaticano - Due pagine dedicate al cammino della Chiesa in Italia. 

 

Servizio estero - Un dettagliato resoconto della visita ufficiale dell’arcivescovo Lajolo in Croazia. 

 

Servizio culturale - Un articolo di Fernando Salsano dal titolo “L’arte allusiva nell’opera del Tasso”: un suggestivo saggio sulla “Gerusalemme Liberata”.

 

Servizio italiano - Mesto rimpatrio della salma del militare ucciso a Nassiriya.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

8 giugno 2006

 

IN UN RAID AEREO AMERICANO

UCCISO IL TERRORISTA GIORDANO ABU MUSAB AL ZARQAWI,

 NUMERO UNO DI AL QAEDA IN IRAQ E LUOGOTENENTE DI OSAMA BIN LADEN

- Ai nostri microfoni Guido Olimpio e Loretta Napoleoni -

 

Il terrorista giordano al Zarqawi, leader di Al Qaeda in Iraq, è morto durante un raid aereo statunitense ieri pomeriggio a Baquba. Ad annunciarlo per primo, stamane, è stato il premier iracheno, Al Maliki. La notizia giunge nel giorno in cui l’Assemblea Nazionale, il Parlamento iracheno, ha approvato a larga maggioranza le nomine proposte da Al-Maliki per i cruciali ministeri dell'Interno e della Difesa. Ma di questo ne parleremo in seguito, ora concentriamoci sulla notizia dell’uccisione di Al Zarqawi. Il servizio di Salvatore Sabatino:

 

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39 anni, di nazionalità giordana, Al Zarqawi era originario di una tribù beduina; è indicato come la mente di tutti gli attacchi terroristici in Iraq. Gli Stati Uniti avevano offerto una taglia di 10 milioni di dollari a chiunque fosse stato in grado di fornire informazioni che avessero potuto portare alla cattura del terrorista o alla sua uccisione. Molte, ovviamente, le dichiarazioni che stanno giungendo proprio in questi minuti. Il capo della Casa Bianca, George W. Bush, si è congratulato per la morte di Al Zarqawi, definendola “un duro colpo al morale” dei terroristi e della guerriglia irachena. “Giustizia è stata fatta”, ha affermato, aggiungendo però, che le operazioni di guerra nel Paese del Golfo continuano. “Possiamo aspettarci – ha detto – altri atti di terrorismo e altre violenze settarie”. Bush, poi, ha chiesto ulteriore “pazienza agli statunitensi per altri giorni difficili che giungeranno nel prossimo futuro”. Simile dichiarazione è giunta dal premier britannico, Tony Blair, secondo il quale la morte del terrorista giordano è “un duro colpo contro la rete terroristica a livello mondiale”, anche se la strada per la pacificazione è ancora lunga. In un comunicato sul suo sito web, Al Qaeda conferma la morte di Al Zarqawi affermando: “La morte dei nostri capi  rappresenta la nostra vita e non fa altro che rafforzare la  nostra perseveranza sul cammino del Jihad affinché la parola di Allah sia la più alta”.

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Oltre all’uccisione di Al Zarqawi, la mattinata ha segnato un evento significativo per l’Iraq: la nascita di un governo completo, quasi sei mesi dopo le elezioni legislative del 15 dicembre. Il Parlamento iracheno ha approvato, infatti, la nomina dei ministri dell’Interno e della Difesa che mancavano. Il sunnita Abdul Kader Mohammed Al Obaidi, per la Difesa, lo sciita Jouad Al Bolany, per gli Interni, e Sherwan Al Waely per il ministero della Sicurezza nazionale hanno ottenuto l'investitura del Parlamento. Ma nel resoconto delle ultime ore c’è anche l’ennesimo bollettino di sangue: in due attentati a Baghdad hanno perso la vita 15 persone e 36 sono rimaste ferite. Si è trattato di una bomba esplosa in un mercato e di un’altra diretta contro una pattuglia di polizia.

 

Ma quanto può effettivamente influire l’uccisione di Al Zarqawi nelle azioni della guerriglia irachena? Risponde Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera, intervistato da Giada Aquilino:

 

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R. – Per quanto riguarda la guerriglia irachena nazionalista, non cambia nulla. E questo nel senso che la guerriglia opera da tempo per conto suo, ha una propria agenda, un proprio programma, un proprio movimento e, negli ultimi tempi, è stata anche in contrasto con alcune azioni di Al Zarqawi. E’ certamente più interessante capire cosa accadrà nel movimento jihadista: in genere questi gruppi sono piuttosto abili e rapidi a creare un nuovo capo, che inevitabilmente e purtroppo dovrà farsi un nome con altre stragi. Non è semplice rimpiazzare Al Zarqawi e non tanto come capo militare, perché non era così importante, quanto come figura e come simbolo.

 

D. – E nell’assetto di Al Qaeda?

 

R. – Non ritengo che la rete terroristica avrà grossi contraccolpi. Al Qaeda è abituata a perdere i suoi leader. Anch’essa cercherà nuove stragi per dimostrare che è viva. Non posso, però, escludere che al proprio interno vi siano dissidi, contrasti, scissioni che del resto hanno marcato un po’ tutta la storia di Al Qaeda in Iraq.

 

D. – E’ un caso che la notizia dell’uccisione di Al Zarqawi arrivi quando, dopo tante difficoltà, il governo sembra prendere forma?

 

R. – Non è un caso, ma è un caso al tempo stesso. E’ chiaro che l’annuncio è un segnale di fiducia che si vuole dare al Paese e al mondo per dimostrare che gli iracheni possono farcela. E’ un segnale importante anche per gli stessi Stati Uniti, pure se Al Zarqawi è stato ucciso ieri pomeriggio e l’annuncio è stato dato solo oggi: forse perché bisognava accertare che fosse veramente lui. Un po’ di uso propagandistico della vicenda comunque c’è stato.

 

D. – Nella strategia della lotta al terrorismo, come verrà ricordato quindi Al Zarqawi?

 

R. – Verrà ricordato come un ‘tagliatore di teste’, come un uomo sanguinario, un terrorista che ha introdotto un nuovo metodo di lotta terribile, purtroppo imitato da altri. Temo, però, che qualcuno cercherà di farcelo dimenticare con azioni ancora più eclatanti e sanguinarie.

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Ma qual è la storia personale di Al Zarqawi, e quale il contesto in cui si è formato? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Loretta Napoleoni, autrice del libro “Al Zarqawi, storia e mito di un proletario giordano”. Ascoltiamo:

 

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R. – Al Zarqawi diventa jihadista in carcere, quando viene imprigionato per sette anni per aver costituito una cellula in Giordania. E’ proprio in carcere che le sue qualità di leadership escono fuori; diventa il capo, infatti, del gruppo che rappresenta. Dopo si trasferisce in Afghanistan, dove incontra Osama Bin Laden. Rifiuta di entrare a far parte di Al Qaeda, perchè non condivide l’idea di Osama Bin Laden di lottare contro gli americani. Successivamente diventa un terrorista di fama internazionale grazie al famosissimo discorso di Colin Powell alle Nazioni Unite del 5 febbraio del 2003, nel quale viene presentato come l’uomo di Osama Bin Laden in Iraq. In realtà, Al Zarqawi non era membro di al Qaeda, né tanto meno era un jihadista internazionale. Ma bastano queste parole per creare il mito di Al Zarqawi.

 

D. – Lei dice che la storia di Al Zarqawi e di molti suoi seguaci dovrebbe farci capire che, più della guerra e delle repressioni, i governi devono attuare politiche preventive. Che cosa vuol dire?

 

R. – Sicuramente è stato un errore presentare Al Zarqawi come l’uomo di Al Qaeda in Iraq, perchè ha creato questo mito e questo mito poi si è autoalimentato, all’interno del conflitto iracheno, costruendo quello che ormai è diventato l’alqaedismo. Questa ideologia globale anti imperialista che è stata abbracciata anche dai simpatizzanti di Al Qaeda. Una politica migliore sarebbe stata, invece, quella di portare avanti delle politiche di prevenzione nei confronti appunto della creazione di questi miti.

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INIZIANO DOMANI IN GERMANIA I MONDIALI DI CALCIO 2006

- Interviste con Alberto Dionisi e mons. Agostino Marchetto -

 

Sta per scoccare l’ora “X” per i Mondiali di Calcio di Germania 2006: domani il via con l’incontro tra i tedeschi, padroni di casa, ed la Costa Rica. 32 le squadre partecipanti: il Brasile parte con i favori dei pronostici. L’Italia, da parte sua, è chiamata a far dimenticare i recenti scandali che hanno colpito il calcio nazionale. Domani mattina, nella cattedrale di Monaco di Baviera, si svolgerà una celebrazione ecumenica. La funzione è una tra le numerose iniziative organizzate dalle Chiese cristiane nelle diverse località che ospiteranno le partite, con lo scopo di fare dei Mondiali una "festa dell'incontro e dell'ospitalità", come hanno dichiarato congiuntamente la Conferenza episcopale tedesca e la Chiesa evangelica.  E dei valori di questo sport parla il libro “Al centro della regola. Manuale del calciofilo imperfetto”, edito da Libri di Sport. Giancarlo La Vella ha sentito l’autore, Alberto Dionisi:

 

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R. – La filosofia in un gioco è rappresentata dal rispetto delle regole, e in proposito c’è molta ignoranza in giro. Il gioco del calcio è un veicolo comunicazionale ed educativo molto importante. Purtroppo, è spesso gestito da persone assolutamente impreparate; e non mi riferisco solo ed esclusivamente alla serie A. Penso anche ai bambini che giocano nelle periferie: il pallone, come si può immaginare, diventa uno strumento di mediazione fondamentale.

 

D. – Come fare per mettere il calcio “al centro della regola”, proprio per rifarci al titolo del suo libro?

 

R. – Il rispetto delle regole, prima ancora del giocare, credo che sia un messaggio molto importante per i più giovani: rispettiamo le regole e ci divertiremo di più. Credo che una cosa sia indispensabile: bisogna divertirsi, anche ai massimi livelli; dopo di ché, la vittoria e la sconfitta sono un’evenienza.

       C’è un altro aspetto, poi, che va considerato: il calcio è l’espressione culturale di un popolo.  Non è un caso che i brasiliani giochino in un modo, che in Europa si giochi in un altro e in Africa in un altro modo ancora. L’unico elemento comune di aggregazione è proprio il rispetto delle regole che sono le stesse per tutti.

 

D. – Una curiosità: per esempio, in Africa, come si gioca?

 

R. – In Africa, l’aspetto ludico è preponderante rispetto al risultato. Lì il calciatore gioca per divertirsi. Per esempio, non sente la necessità – inconscia o meno – di simulare. Per lui, la natura ricreativa predomina sull’importanza del risultato. E questo anche ai massimi livelli. Tant’è vero che il calciatore africano, quando inizia a giocare nella sua terra, nei suoi campionati non simula. Dopo qualche anno di presenza nei campionati stranieri, specialmente latini, si rende conto che – come per una strategia della sopravvivenza – deve dare importanza al risultato, per cui incomincia a simulare anche lui. E dopo, quando ritorna in patria, simula anche lì.

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Sta intanto suscitando numerose proteste, anche a livello internazionale, l’utilizzo di 40 mila giovani donne, provenienti soprattutto dall’Est Europa, in attività di prostituzione promosse dall’industria del sesso in Germania in occasione dei mondiali. Giovanni Peduto ha chiesto un commento all’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti:

 

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R. – Rispondendo in termini calcistici, ritengo si dovrebbero assegnare alcuni cartellini rossi a questa industria, ai suoi clienti e alle pubbliche autorità che ospitano l’evento. La prostituzione, infatti, viola la dignità della persona umana, riducendola a oggetto e strumento di piacere sessuale. Le donne diventano merce da comprare, il cui costo è perfino inferiore a quello di un biglietto per una partita di calcio. Certamente sappiamo che la prostituzione è consentita in alcune zone della Germania, ma è ancor più grave il fatto che oltre quarantamila donne entreranno nel circuito della prostituzione durante il Campionato Mondiale e molte di loro sono costrette a svolgere questa “attività” contro la loro volontà: sono così oggetto di traffico. Contro tale violazione di diritti umani fondamentali hanno levato la loro voce molte Organizzazioni. Ricordiamo quella Internazionale per le Migrazioni, Amnesty International, ma anche associazioni religiose, tra cui le Conferenze Europee dei Superiori Maggiori. In ambito politico, hanno espresso la loro preoccupazione il Parlamento Europeo e il Consiglio d’Europa. C’è, dunque, una responsabilità per le Autorità tedesche. La palla è nel loro terreno di gioco.

 

D. – Ci sono attività specifiche che la Chiesa vorrebbe promuovere?

 

R. – Un anno fa il nostro Dicastero ha realizzato una Conferenza sulla prostituzione legata anche al traffico di persone. La Dichiarazione finale stabilisce che la Chiesa debba assumere la difesa dei diritti legittimi di queste donne, promuovendo la loro liberazione e sostenendole anche economicamente per istruzione e formazione. Solo in Italia sono più di 200 le suore impegnate in questo ministero pastorale. Molte Congregazioni religiose sono già attive nell’assistere queste persone, cercando nuove vie per promuovere la loro dignità. In Germania è già attiva l’Organizzazione ecclesiale Solowodi (“Solidarietà con le donne in necessità”, con approccio di collaborazione fra venti Congregazioni religiose). Esse offrono un’ampia gamma di servizi, in unità esterne, centri di accoglienza, alloggi e case protette, con programmi di formazione e di istruzione. Tuttavia bisogna fare di più e questa nuova sfida dovrebbe essere integrata in strategie pastorali. Essa richiede anche educazione e consapevolezza, non solo per le vittime, ma anche per i cosiddetti clienti. Del resto, per “interpretare” l’industria del sesso, è necessario innanzitutto “interpretare” i consumatori, senza i quali la prostituzione non esisterebbe. Dobbiamo, quindi, conoscere i loro motivi profondi, di giovani, mariti e padri. Occorrerebbe comunque educare specialmente i giovani ad una sana sessualità umana.

 

D. – Eccellenza, crede che solo la Chiesa debba intervenire?

 

R. – È un problema che coinvolge tutta la società e non una responsabilità esclusiva della Chiesa. Poiché si tratta di traffico di esseri umani, la difesa dei loro diritti richiede che le vittime siano protette e che il loro interesse e benessere siano messi al primo posto. Queste donne dovrebbero perciò avere la possibilità di reintegrarsi tramite la concessione del permesso di residenza, temporaneo o permanente. Dovrebbero, inoltre, poter accedere a un lavoro degno e a forme di ricompensa. Iniziative di questo tipo sono necessarie per restituire la dignità. Ciò induce ad applicare la legge e a punire gli sfruttatori dell’industria del sesso e i trafficanti. Essi dovrebbero essere perseguiti e puniti con imposizione di penalità finanziarie.

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SPIRAGLI DI PACE IN UGANDA: PARTONO I NEGOZIATI TRA GOVERNO E GUERRIGLIA DELL’ESERCITO DI RESISTENZA DEL SIGNORE. L’IMPEGNO DELLE ONG

- Intervista con Giorgio Lappo -

 

Speranze di pace per l’Uganda. Una delegazione della guerriglia dell’Eser-cito di resistenza del signore è giunta oggi a Juba, in Sudan, per colloqui con il governo ugandese. I negoziati mirano a porre fine ad una guerra civile che dura da 20 anni e ha causato circa 100 mila morti. Le organizzazioni umanitarie che operano nel Paese auspicano una rapida soluzione del conflitto.  Antonella Villani ha sentito in proposito Giorgio Lappo, responsabile per l’Uganda di Africa Mission, Cooperazione e sviluppo, presente nel Paese con vari progetti umanitari da oltre 30 anni:

 

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R. – La situazione politica è abbastanza tranquilla nel centro e nell’ovest del Paese; ci sono problemi al nord con l’Esercito di resistenza del Signore - che da vent’anni sta combattendo il governo attuale - e nell’est, nella Karamoja, dove ci sono ancora parecchi karimojon che hanno le armi per difendersi dai razziatori di bestiame.

 

D. – Come Africa Mission che progetti avete in corso nel Paese?

 

R. – Abbiamo dei progetti con le popolazioni che sono nella Karamoja, il progetto dell’acqua – con perforazioni e riparazione dei pozzi esistenti – e il progetto veterinario per la cura del bestiame. Dal punto di vista sanitario, gestiamo due dispensari, con fornitura di medicine, e si paga il personale in collaborazione con la diocesi. Poi c’è un progetto di agro-forestazione, col quale stiamo realizzando dei vivai in ogni scuola elementare, per insegnare ai bambini a piantare e coltivare delle piante sia da frutto che da fusto per la legna, per cuocere gli alimenti.

 

D. – Poi c’è la campagna “Il latte per i bambini africani”…

 

R. – I container con i cartoni di latte in polvere saranno distribuiti in tutte i reparti di maternità dell’Uganda, insieme con l’incaricato della Conferenza episcopale ugandese.

 

D. – Il problema maggiore, però, non si concentra nelle città, ma nei sobborghi…

 

R. – Nel villaggio c’è povertà, però c’è dignità. Quando una persona si trasferisce alle periferie della città, perde questa umanità. Deve lottare dalla mattina alla sera per trovare i soldi per comperarsi da mangiare. Poi, ci sono i bambini di strada, i giovani devono rubare o vivere di espedienti per trovare i soldi. E poi c’è la parte che riguarda le ragazze, con la prostituzione…

 

D. – Qual è l’immagine che la spinge ad andare avanti, a combattere tutto questo?

 

R. – Il fatto di vedere che ci sono sempre possibilità di miglioramento.

 

D. – A questo punto, quale si augura sia il futuro dell’Uganda?

 

R. – Che ci sia la pace nel nord e il disarmo nell’est: così ci sarà maggiore possibilità di sviluppo. Ciò vuol dire che la gente potrà coltivare la terra e coltivare la terra vuol dire poter mangiare, vendere i propri prodotti e quindi avere un’entrata per poter mandare i bambini a scuola. D’altra parte, il compito della Cooperazione è anche quello di attutire gli effetti della globalizzazione. Nel giro di tre anni si trova il cellulare anche nel villaggio più sperduto: ormai tutti sanno che cos’è il telefonino e come lo si usa. Questo da un lato è positivo, dall’altro è negativo. E’ positivo perché mette in contatto le persone; negativo, perché comporta delle spese. Dove prima avrebbero speso i soldi per la scuola, per altre cose, adesso li spendono per il telefonino …

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I VOLONTARI E LE FAMIGLIE ASSISTITE DAL DISPENSARIO SANTA MARTA

IN VATICANO, IN PELLEGRINAGGIO SABATO PROSSIMO

AL SANTUARIO DELLA MADONNA AD RUPES

- Con noi, suor Chiara Pfister -

 

Una giornata di gioia e ringraziamento: con questo spirito, sabato prossimo, i volontari e le famiglie assistite dal Dispensario Santa Marta in Vaticano si recheranno in pellegrinaggio al santuario della Madonna ad Rupes nei pressi di Roma. Da oltre 80 anni, il Dispensario – fondato da Pio XI, nel 1922 e affidato alle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli è al servizio di bimbi e famiglie povere di Roma, senza distinzione di nazionalità o religione. Al momento, sono almeno 700 i bambini assistiti dalla struttura, che si avvale del sostegno di medici specialisti e volontari. Ma torniamo al profondo significato di questo pellegrinaggio, sottolineato dalla direttrice del Dispensario, suor Chiara Pfister, intervistata da Alessandro Gisotti:

 

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R. – E’ un momento molto importante questo pellegrinaggio. E’ un po’ come una festa e un’opportunità per la gente che di solito non ha questa possibilità di uscire. Questa festa ci permette di avvicinare le famiglie, creare un ambiente non professionale. Quando vengono qui al Dispensario, infatti, l’ambiente è molto professionale, perché è necessario per il buon svolgimento dell’opera. In questo momento, invece, tra volontari ed assistiti c’è una complicità che cambia poi il nostro modo di vivere con loro. Possiamo dire più fortemente a loro: “Siete i nostri fratelli. Noi siamo qui in nome di un Dio che è Amore, ma anche in nome della Chiesa”. Portiamo così i nostri piccolini alla Madonna, affidiamo le famiglie e i bambini alla custodia della Madonna”. 

 

D. – Suor Chiara, come si svolge una giornata tipo al Dispensario Santa Marta?

 

R. – Ci sono giornate che cominciamo la mattina, verso le 10.00, con le consultazioni mediche e giornate in cui funzioniamo come centro di ascolto per chi cerca aiuto per la prima volta. Se siamo convinti che si tratti di una vera necessità – e lo è per il 98 per cento di quelli che bussano alla nostra porta - siamo in grado di fare qualcosa di concreto. Una volta fatto questo primo colloquio, i bambini vengono assistiti ad un ritmo di ogni due settimane per una visita al Dispensario. Avviene un controllo del bambino, ma c’è anche l’occasione per poter parlare dei loro problemi. C’è uno staff di volontari che è a loro disposizione. Distribuiamo beni di prima necessità, facciamo controlli medici. Per fortuna, abbiamo a nostra disposizione un grande gruppo di specialisti, con non soltanto competenze mediche ma anche tante qualità umane.

 

D. – Benedetto XVI ha voluto trascorrere il 30 dicembre del 2005 proprio al Dispensario Santa Marta con i bambini assistiti dal Dispensario… e ha dedicato il suo discorso, in quella occasione, alla famiglia. Il Dispensario Santa Marta, aiutando i bambini, aiuta anche le loro famiglie?

 

R. – Sì, certo, perché il centro si rivolge soprattutto alle famiglie. Dà un aiuto alle famiglie che devono affrontare tanti problemi. Questa visita del Santo Padre è stata una bellissima esperienza nella giornata della festa della Sacra Famiglia. Il Dispensario, fin dall’inizio, cerca di aiutare le famiglie e i genitori a far crescere i loro figli in un ambiente più sereno e più fiducioso nell’avve-nire.

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TEMPO DI VACANZE, TEMPO DI RELAX E RIPOSO.

L’ESTATE ORMAI ALLE PORTE SPINGE MOLTI AD ORGANIZZARE

VIAGGI E GIORNATE DI SVAGO.

PADRE RANIERO CANTALAMESSA SUGGERISCE COME INTENDERE IL RIPOSO

 

Si avvicina il tempo delle vacanze, in cerca di relax e riposo. I luoghi scelti per trascorrere l’estate e le ferie sono i più disparati, a volte si tratta di mete di divertimenti e svaghi. Ma qual è il senso vero del riposo? E cosa può offrire all’uomo di oggi? Davide Dionisi lo ha chiesto a padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia:

 

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R. – Questa parola, riposo, viene da repausare, che vuol dire posarsi, fare una posa ed anche depositare, lasciar depositare tutto quello che nella nostra attività, nella nostra vita spesso diventa un polverone interiore che ci impedisce di vedere chiaramente il senso della vita. Dio il settimo giorno si riposò. Evidentemente non ne aveva bisogno Lui, ma  avevamo bisogno noi del suo insegnamento che bisogna riposarsi.

 

D. – Paolo VI parlava di filosofia delle vacanze e criticava la tendenza generale di interpretare il momento di riposo come momento di fuga …

 

R. – Anche qui vorrei rifarmi al senso originario della parola vacanza che viene dal latino vacare, che voleva dire astenersi dalle attività normali per concentrarsi su qualcosa di diverso. Difatti questa parola ricorre in un salmo della Bibbia dove si dice vacate et videte quia Dominus ego sum, che vuol dire: prendete una vacanza, smettete tutte le vostre attività per rendervi conto della cosa più importante che c’è al mondo e cioè che esiste Dio. Quindi aveva ragione Paolo VI nel dire che la vacanza è il contrario di una fuga; non vuol dire alienarsi, distrarsi. Per sé vuole dire concentrarsi su qualcosa, astenersi da tutte le altre attività per concentrarsi sulla cosa fondamentale, su quel famoso “Porro unum est necessarium”, una cosa sola è necessaria. Forse il senso più bello delle vacanze sarebbe proprio riprendere un contatto intimo, profondo, con la radice del nostro essere, che è Dio.

 

D. – Benedetto XVI ha detto che le vacanze sono giorni nei quali ci si può dedicare più a lungo alla preghiera, alla lettura, alla meditazione sui significati profondi della vita nel contesto sereno della propria famiglia e dei propri cari. Come può il fedele essere in sintonia con questa indicazione?

 

R. – La parola ferie, che ormai è diventata sinonimo di giorni di vacanza, di distrazione, di mare, spesso anche di fracasso e di chiasso, significa giorni dedicati al culto divino. Questo era il senso presso gli antichi romani e questo è il senso che ha anche oggi, nel linguaggio liturgico, dove si parla di feria I, di feria II, cioè giorno dedicato al Signore. Le vacanze dovrebbero essere, nel corso dell’anno, proprio questi giorni che, attraverso anche la contemplazione della natura, la lettura della Parola di Dio, permettono di rientrare un po’ dentro di sé, in se stessi, riprendere contatto con le motivazioni profonde della vita. Mi pare significativo che la parola con cui si indica tutto questo tempo nel corso dell’anno nella lingua inglese è holydays, che vuole dire giorni santi, giorni da dedicare alla santità. Ho insistito un po’ su questo senso delle parole perché tutte ci fanno vedere come all’origine di questa attività dell’uomo che è la vacanza, la feria, il riposo, c’è qualcosa di profondamente diverso dal sentimento attuale che intende la vacanza come tempo per distrarsi, stordirsi, far cose strane. Non è che le vacanze non devono servire anche a divertirsi, a distarsi, ma esse sono un dono fatto all’uomo per scoprire qualcosa; non un tempo da perdere, da bruciare, ma un tempo da valorizzare al massimo.

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CHIESA E SOCIETA’

8 giugno 2006

 

 

LA PRATICA DEI “BEBÈ-MEDICINA” È UN “EUGENISMO VERGOGNOSO,

CIRCONDATO DI BUONI SENTIMENTI”: LO AFFERMANO I VESCOVI SVIZZERI,

IN UNA NOTA DIFFUSA IN RIFERIMENTO AL PRIMO BEBÈ DI NAZIONALITÀ SVIZZERA,

NATO IN LABORATORIO PER DONARE IL MIDOLLO OSSEO AL FRATELLINO MALATO

- A cura di Roberta Moretti -

 

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GINEVRA. = I “bebè-medicina” e l’eugenismo sono “una pratica odiosa” ed “eticamente inaccettabile”: è quanto afferma la Conferenza episcopale svizzera che ieri, attraverso la sua Commissione di Bioetica, ha pubblicato una nota in riferimento al caso del primo “bebè-medicina” di nazionalità svizzera. Si tratta di una bambina nata nel gennaio del 2005, in un laboratorio di Bruxelles, per donare il midollo osseo al fratellino malato di 6 anni. “Se non è giusto criticare l’intenzione soggettiva dei genitori che hanno sofferto – precisano i vescovi – e se ci rallegriamo per la guarigione del bambino, rimane il fatto che la tecnica dei bebè-medicina costituisca una forma inquietante di eugenismo”. I presuli criticano soprattutto la produzione di 20 o 30 embrioni umani che poi verranno distrutti “come merce volgare”, dopo aver trovato un unico embrione compatibile con la persona malata. Secondo i vescovi, “il fine nobile di curare il malato non giustifica l’uccisione degli embrioni, che sono individui della specie umana”. “L’eugenismo – commentano – è una pratica odiosa che consiste nel selezionare dei bambini che nasceranno in funzione di criteri utilitaristici che non rispettano la loro dignità intrinseca”. La pratica dei bebè-medicina, in particolare, “è un eugenismo vergognoso, circondato di buoni sentimenti”. I vescovi fanno anche riferimento a un provvedimento delle Camere federali svizzere, che nel 2005 hanno accettato l’eugenismo negativo, ovvero, la soppressione di embrioni portatori di caratteristiche genetiche inappropriate, mentre vorrebbero vietare l’eugenismo positivo, cioè, la selezione di un embrione accettabile. Ma entrambe le pratiche, ad avviso della Chiesa svizzera, sono “incoerenti e non realiste”, perché si tratta, comunque, di “strumentalizzazione dell’individuo umano”. “La Svizzera – concludono – deve dare un segno chiaro vietando i bebé-medicina e ogni altra forma di strumentalizzazione degli embrioni umani”. Vie alternative, a loro avviso, possono essere trovate nella promozione della cultura del dono (di organi, di sangue e di midollo osseo) da parte degli adulti, che “renderebbe inutile il ricorso ai bebè-medicina”.

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“UNA MOSSA CHE CAMBIA LA GIUSTIZIA NEL PAESE, DA SISTEMA CHE UCCIDE

A SISTEMA CHE GUARISCE": COSÌ, LA CONFERENZA EPISCOPALE DELLE FILIPPINE

HA DEFINITO LA DECISIONE DEL CONGRESSO

DI ABOLIRE LA PENA DI MORTE NEL PAESE ASIATICO

 

MANILA. = “Una mossa grazie alla quale, finalmente, la nazione cambia una giustizia che uccide con una che guarisce”: con queste parole, la Conferenza episcopale delle Filippine (CBCP) ha definito il voto con cui ieri il Congresso ha abolito la pena di morte nel Paese. Secondo i vescovi, è “molto importante il fatto che il Senato e il Congresso abbiano approvato due diversi decreti per rendere nulla la legge del 1994 che prevede le esecuzioni dei prigionieri”. “Vorrei congratularmi con tutti coloro che hanno agito per questo scopo – ha detto mons. Pedro Arrigo, presidente della Commissione episcopale per la cura pastorale nelle prigioni – sia come popolazione, che come Paese. Divisi in tempi recenti da differenze politiche – ha aggiunto – siamo ora uniti per una causa comune, quella della vita umana”. Il presule ha sottolineato, poi, che in questo modo le Filippine “si uniscono a quel club di nazioni, sempre più grande, che rigetta la pena capitale dal proprio sistema legale”. Ad oggi, secondo i dati della Commissione internazionale per la cura pastorale nelle prigioni, sono 124 le nazioni che hanno bloccato le esecuzioni. Nelle Filippine, sono attualmente circa 1.200 i condannati a morte, tra i quali almeno undici terroristi collegati ad al-Qaeda. Nel momento in cui il decreto diverrà legge, ovvero con la firma dell’Ufficio presidenziale, la pena verrà automaticamente commutata in ergastolo. Il governo filippino ha giustiziato sette persone fra il 1999 ed il 2000, ma subito dopo ha imposto una moratoria alle esecuzioni, sotto la spinta della Chiesa cattolica e dell’Unione Europea. (R.M.)

 

 

RILASCIATI, IN PAKISTAN, DUE CRISTIANI DETENUTI DA 7 ANNI PER BLASFEMIA.

“SONO INNOCENTI”, HA DICHIARATO LA CORTE SUPREMA DEL PAESE

 

FAISALABAD. = Nei giorni scorsi, la Corte Suprema del Pakistan ha ordinato la scarcerazione di due cristiani, detenuti da 7 anni con l’accusa di blasfemia, perché giudicati innocenti. I due, arrestati nel febbraio del 1999 in relazione a una banale lite famigliare, erano stati poi ingiustamente accusati di aver bruciato una copia del Corano mentre erano in cella e condannati all’ergastolo dalla Corte di Faisalabad. Nel maggio del 2003, l’Alta Corte di Lahore aveva poi respinto l’appello dei detenuti, confermando il massimo della pena. Tuttavia, essere riconosciuti innocenti dalla legge non serve a calmare il furore religioso degli estremisti: la moglie di uno dei due detenuti ha riferito all’agenzia AsiaNews di intimidazioni e minacce ricevute da locali gruppi islamici. L’intera famiglia, sostenuta dal Bishop John Joseph Shaheed Trust, è in procinto di trasferirsi a Faisalabad. La Fondazione si occuperà anche delle cure psicologiche di uno dei due uomini, al momento con problemi mentali dopo gli anni di detenzione, e di trovargli un lavoro.  L’abolizione della legge sulla blasfemia è una battaglia portata avanti da anni in Pakistan dalla Chiesa e da gruppi per i diritti umani. Introdotta nel 1986, la normativa prevede anche la condanna a morte per chi viene accusato di offendere Maometto. Purtroppo, sempre di più questa legge si sta rivelando strumento di ritorsioni in mano agli estremisti, che la usano per risolvere contese personali. (R.M.)

 

 

CIRCA 15 MILA PERSONE COSTRETTE A EVACUARE DA GIAVA, IN INDONESIA,

IN SEGUITO ALL’ENNESIMA ERUZIONE DEL VULCANO MERAPI. SECONDO ALCUNI

SCIENZIATI, IL FORTE SISMA DI DUE SETTIMANE FA AVREBBE CONTRIBUITO ALL’AUMENTO DELL’ATTIVITÀ VULCANICA

 

JAKARTA. = È di nuovo emergenza sull’isola indonesiana di Giava, devastata lo scorso 27 maggio da un terremoto che ha provocato la morte di oltre 5700 persone. Il vulcano Merapi, situato circa 45 chilometri a nord di Jakarta, ha ripreso stamani a eruttare lava e nubi di gas, costringendo circa 15 mila persone a evacuare dalle loro abitazioni. Secondo alcuni scienziati, il sisma di due settimane fa avrebbe contribuito all’aumento dell’attività vulcanica. Intanto, è iniziata oggi nella città di Bantul e proseguirà nei prossimi giorni nelle altre 162 zone interessate dal terremoto una campagna di immunizzazione contro il morbillo a favore dei bambini, combinata alla distribuzione di vitamina A. Seguirà poi una campagna di vaccinazione contro il tetano, malattia causata soprattutto dalla mancanza di acqua corrente e di servizi igienici. (V.C)

 

 

NEL MONDO, SONO CIRCA 191 MILIONI I MIGRANTI, RISPETTO AI 155 DEL 1990.

QUASI LA METÀ È COMPOSTA DA DONNE: E’ QUANTO EMERGE DALL’ULTIMO RAPPORTO ONU SUL PROBLEMA DELLO SVILUPPO E DELL’EMIGRAZIONE INTERNAZIONALE

 

NEW YORK. = Attualmente, sono circa 191 milioni i migranti nel mondo, rispetto ai 155 milioni del 1990: queste, le cifre che emergono dal nuovo Rapporto ONU sul problema dello sviluppo e dell’emigrazione internazionale, presentato a New York dal segretario generale, Kofi Annan. E’ l’Europa, secondo le cifre delle Nazioni Unite, il continente che registra il più alto numero di immigrati, pari al 34 per cento, contro il 23 per cento del Nord America e il 28 dell’Asia. Solo il 9 per cento vive in Africa, il 3 in America Latina e nei Carabi e un altro 3 per cento in Oceania. Quasi la metà dei migranti è composta da donne e il genere femminile rappresenta la maggioranza soprattutto nei Paesi sviluppati. Il Rapporto ha anche confermato che i movimenti delle popolazioni avvengono soprattutto verso i Paesi industrializzati. Tuttavia, almeno 75 milioni di persone si sono spostate tra nazioni in via di sviluppo. Tra il 1990 e il 2005, sono stati intrapresi ben 35 programmi per conformare lo status dei migranti irregolari ai vari regolamenti nazionali, permettendo la regolarizzazione di circa 5,3 milioni di migranti. Parlando all’Assemblea generale dell’ONU, Annan ha evidenziato come la migrazione internazionale possa essere altamente positiva sia per lo sviluppo dei Paesi di origine, sia per quelli di destinazione, sottolineando come tali benefici siano correlati al rispetto e all’applicazione dei diritti dei migranti. Il rapporto ha rilevato anche un forte aumento delle rimesse a livello globale, da 102 miliardi di dollari del 1995 ai 232 miliardi del 2005. In particolare, le rimesse inviate ai Paesi in via di sviluppo sono passate dal 57 per cento al 72. (V.C)

 

 

“RISVEGLIARE LA COSCIENZA DI TUTTI I RAPPRESENTANTI DEL PAESE”:

CON QUESTO INTENTO, I VESCOVI DELLA BOLIVIA CONSEGNERANNO UNA COPIA

DELLA BIBBIA E DEL COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

A OGNI DEPUTATO DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE

 

LA PAZ. = È una iniziativa senza precedenti quella della Conferenza episcopale della Bolivia, che ha deciso di consegnare una copia della Bibbia e del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa a ogni deputato dell’Assemblea nazionale del Paese, che si riunirà il prossimo agosto. Con questo dono, l’episcopato boliviano intende “risvegliare la coscienza di tutti i rappresentanti del Paese”. “La necessità è estrema, la gente non trova lavoro”, ha commentato il presidente dei vescovi, cardinale Julio Terrazas, aggiungendo che “la Chiesa difende la giustizia e la pace, difende la vita”. L’opera di diritto pontificio, Aiuto alla Chiesa che Soffre, finanzierà l’acquisto, l’invio e la distribuzione dei testi ai deputati boliviani. La Bolivia è considerata una delle Nazioni più povere del continente americano. Le entrate pro capite non arrivano ai 60 euro mensili e nelle zone rurali soltanto un terzo della popolazione dispone di acqua potabile. (R.M.)

 

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24 ORE NEL MONDO

8 giugno 2006

 

- A cura di Fausta Speranza -

        

Quattro soldati della coalizione che circolavano a bordo di un blindato sono stati leggermente feriti oggi dall'esplosione di una bomba artigianale nel sud dell'Afghanistan. I soldati erano di pattuglia nella provincia di Zabul, a nordest di Kandahar, ex roccaforte dei Taleban. Le forze della coalizione del sud dell’Afghanistan sono composte principalmente da militari americani, canadesi e britannici.

 

E’ salito a quattro il numero dei palestinesi che sono stati uccisi la scorsa notte dal fuoco dell’artiglieria e dell’aviazione israeliane che hanno sparato contro un gruppo di quattro persone che, secondo un portavoce militare, si stavano avvicinando furtivamente al reticolato di sicurezza, sul confine tra Israele e la Striscia di Gaza. Nel corso della notte inoltre elicotteri israeliani hanno attaccato otto volte aree usate per lanciare razzi Qassam contro il territorio israeliano.

 

Intanto il premier israeliano Ehud Olmert è partito oggi in elicottero da Gerusalemme per Amman dove è atteso da re Abdallah. Al termine dell’incontro sono previste dichiarazioni alla stampa dei due leader, ma nessuna conferenza stampa. Si prevede che al centro dei colloqui ci sarà il piano di ritiro di Israele da vaste aree della Cisgiordania al fine di fissare unilateralmente i confini dello Stato, che Olmert ha detto di voler attuare se giungerà alla conclusione che un accordo con i palestinesi non è possibile per il prevedibile futuro. Su questo piano re Abdallah ha già espresso forti riserve, in considerazione dei possibili riflessi negativi che potrebbe avere sulla situazione della sicurezza interna in Giordania.

 

Un gruppo di emissari del governo di transizione nazionale è giunto oggi a Mogadiscio per avviarvi colloqui con i leader delle corti islamiche, che hanno preso il potere nella capitale e nella periferia, sconfiggendo i “signori della guerra”. E’ la prima conferma delle voci di contatti più o meno segreti tra le parti, dopo la reiterata volontà di dialogo espressa nei giorni scorsi. Intanto sono segnalati movimenti intorno a Jowhar, 90 km a nord di Mogadiscio, che è stata sede del governo, prima che, in febbraio, venisse trasferito a Baidoa, vicino al  Parlamento.  Sono avanzate le truppe a difesa di Jowhar, legate ai “signori della guerra”, recuperando alcune posizioni e facendo arretrare leggermente quelle delle milizie islamiche. Secondo gli osservatori si tratta di riposizionamenti che però potrebbero anche sfociare in scontri.

 

L’Unione Africana (UA) sta cercando nuove truppe del continente per la sua forza di pace in Darfur, la tormentata regione del Sudan occidentale teatro da anni di una sanguinosa guerra civile, ed ha scritto alla NATO per chiedere appoggio logistico. E' quanto è stato riferito a una delegazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in visita a Addis Abeba, dove ha sede l’UA. La delegazione ONU che è ad Adis Abeba tornerà poi in Sudan per convincere il governo ad accettare il dispiegamento  nel Darfur di una forza di pace ONU entro la fine dell’anno. L’UA ha nel Darfur 7 mila uomini, tra militari e osservatori, unico presidio per difendere la popolazione dalle atrocità che hanno causato centinaia di migliaia di vittime e due milioni di sfollati.

 

Il Parlamento lettone ha dato il suo assenso alla pubblicazione dei nomi di circa 4 mila presunti ex agenti del KGB (la polizia politica dell’Unione Sovietica), rischiando di aprire un caso in un Paese che, al pari delle altre due Repubbliche ex sovietiche del Baltico, ha particolarmente sofferto il dominio di Mosca, durato mezzo secolo. La disposizione, approvata ieri con 59 voti contro 18, autorizza la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, il primo novembre prossimo, dei nomi dei presunti ex agenti segreti e delle mansioni ricoperte in seno ai servizi segreti sovietici. Il Centro lettone di documentazione sulle conseguenze del totalitarismo afferma di disporre di solo 4 mila nomi dei circa 24 mila lettoni che sarebbero stati collaboratori del KGB.

 

Una folla di dimostranti ha saccheggiato e incendiato un ufficio distrettuale del partito di governo di Timor Est, in un’area in cui sono arroccati parte dei soldati ribelli, nel primo episodio conosciuto di violenze fuori della capitale, da quando sono scoppiati i gravi disordini a Dili, il mese scorso. L’attacco è avvenuto a Gleno, un capoluogo distrettuale 30 km a sudovest di Dili. Dili è rimasta più o meno calma oggi, ma gli attacchi e gli incendi sono scoppiati nelle colline circostanti. Le forze di peacekeeping australiane si dicono pronte ad intervenire con durezza per impedire che i disordini si diffondano al di là di Dili, ora che è stato posto un freno alle bande etniche rivali, che armate di machete e di fionde si scontravano per le strade della capitale, saccheggiando e incendiando case, negozi e uffici pubblici.

 

Almeno 17 bambini sono rimasti feriti, alcuni dei quali da pallottole vaganti, dopo che alcuni trafficanti di droga hanno aperto il fuoco sulla polizia vicino ad una scuola in una baraccopoli a Rio de Janeiro. La polizia ha sostenuto che un malvivente ha sparato ad alcuni ufficiali i quali avevano fermato un motociclista durante un’operazione per recuperare veicoli rubati. Un ufficiale di pubblica sicurezza ha precisato che la polizia non ha risposto al fuoco. La violenza cresce sempre di più in questa città di sei milioni di abitanti, con molti quartieri controllati da bande di trafficanti di droga che frequentemente affrontano la polizia.

 

 

 

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