RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 29 - Testo della trasmissione di domenica 29 gennaio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Si celebra oggi la Giornata mondiale dei malati di
lebbra: ce ne parla il dottor Sunil Deepak
CHIESA E SOCIETA’:
Ha
preso il via nella provincia di Firenze ‘La settimana della pace’
Israele esclude negoziati con Hamas
e annuncia nuove “azioni mirate” contro gli estremisti palestinesi
29
gennaio 2006
I
SANTI, TESTIMONI DEL PRIMATO DELLA CARITA’ NELLA VITA DEL CRISTIANO.
COSI’
IL PAPA ALL’ANGELUS. BENEDETTO XVI HA ESPRESSO IL SUO DOLORE
PER IL
TRAGICO INCIDENTE DI KATOWICE, IN POLONIA; HA RICORDATO
DITE E
FATE SEMPRE
I Santi sono i testimoni del primato della carità nella
vita del cristiano. E’ quanto ha detto oggi all’Angelus il Papa, ricordando la
sua prima Enciclica, “Deus Caritas est”. Benedetto
XVI ha salutato quindi i malati di lebbra, nella Giornata a loro dedicata, e ai
ragazzi dell’Azione Cattolica ha affidato un messaggio per tutti: imparate a
dire e fare sempre la verità. Il Papa ha poi espresso il suo dolore per il
tragico incidente avvenuto ieri a Katowice, in
Polonia. Il servizio di Sergio Centofanti.
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Il Papa, parlando in polacco, ha
espresso il suo profondo dolore per il tragico incidente avvenuto ieri nei
pressi di Katowice, in Polonia, dove, sotto il peso
della neve, è crollato il tetto di un padiglione fieristico causando la morte
di decine di persone:
ZAWIERZAM BOŻEMU MIŁOSIERDZIU TYCH…
“Affido alla
misericordia di Dio quanti sono scomparsi, mi unisco nello spirito ai loro
famigliari e a quanti sono rimasti feriti”.
Quindi, ricordando la sua prima Enciclica, Deus caritas est, pubblicata mercoledì scorso, ha affermato che
i Santi sono “testimoni privilegiati” del “primato della carità nella vita del
cristiano e della Chiesa”. I Santi – ha detto citandone alcuni di cui si fa
memoria in questi giorni – “hanno fatto della loro esistenza, pur con mille diverse
tonalità, un inno a Dio Amore”:
“Sono Santi molto differenti tra loro: i primi
appartengono agli inizi della Chiesa, e sono i missionari della prima
evangelizzazione; nel Medioevo, Tommaso d’Aquino è il
modello del teologo cattolico, che incontra in Cristo la suprema sintesi della
verità e dell’amore; nel Rinascimento, Angela Merici
propone una via di santità anche per chi vive in ambito laico; nell’epoca
moderna, don Bosco, infiammato dalla carità di Gesù Buon Pastore, si prende
cura dei ragazzi più disagiati e diventa, per loro, padre e maestro”.
La folta schiera dei Santi,
“uomini e donne, che lo Spirito di Cristo ha plasmato facendone dei modelli di
dedizione evangelica, ci porta – ha detto il Papa - a considerare l’importanza
della vita consacrata come espressione e scuola di carità”. Proprio per questo
Benedetto XVI ha poi rivolto un
saluto speciale ai malati di lebbra nella Giornata a loro dedicata e iniziata
più di cinquant’anni fa da Raoul Follereau:
“Incoraggio i missionari, gli operatori sanitari e i volontari
impegnati su questa frontiera di servizio all’uomo. La lebbra è sintomo di un
male più grave e più vasto, che è la miseria. Per questo, sulla scia dei miei
Predecessori, rinnovo l’appello ai responsabili delle Nazioni, affinché
uniscano gli sforzi per superare i gravi squilibri che ancora penalizzano larga
parte dell’umanità”.
Infine ha salutato i ragazzi
dell’Azione Cattolica di Roma, che si sono radunati in Piazza San Pietro alla
fine del “Mese della Pace”. Due ragazzi si sono affiancati al Papa alla
finestra del suo studio privato per liberare due colombe, simbolo di pace.
Quindi Benedetto XVI ha lanciato questo invito:
“Cari ragazzi! So che vi siete proposti di ‘allenarvi alla pace’, guidati dal grande ‘allenatore’ che è Gesù. Per
questo affido a voi dell’Azione Cattolica Ragazzi il compito che ho proposto a
tutti nel Messaggio del 1° gennaio: imparate a dire e fare sempre la verità,
così diventerete costruttori di pace”.
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Ed erano circa 5.000 i ragazzi dell’Azione Cattolica di
Roma presenti stamattina in Piazza San Pietro. E tutti hanno partecipato ai
“Cento metri per la pace”, la marcia benefica promossa dall’ACR e dal Centro
sportivo italiano. Sotto lo slogan “Se ti alleni per la pace, sei l’atleta che
ci piace”, i ragazzi hanno raggiunto correndo il colonnato di Piazza San
Pietro, per dimostrare simbolicamente che la pace è un problema più che mai urgente.
La manifestazione, inoltre, è stata legata ad una raccolta di fondi da
devolvere al Centro sportivo albanese, nato nel 1997 proprio grazie all’Azione
Cattolica. Ma ascoltiamo, al microfono di Isabella Piro,
le testimonianze dei giovani.
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(Musica)
D. – Perché hai deciso di partecipare a questa corsa?
R. – Perché si fa del bene e si cerca di dare un po’ di
pace a questa città.
D. – Tu ci credi alla pace? Che cos’è per te?
R. – Sì, io ci credo e per me la pace è un sentimento
bellissimo, che lega tante persone.
D. – Tu sei vestita con la bandiera della pace, perché?
R. – Perché io voglio che la pace vada in tutte le città e
non voglio che ci siano più guerre e che nessuno soffra.
D. – Che significa essere atleta di pace?
R. – Significa allenarsi sempre per la pace: pregare,
portare nel mondo la pace, come facciamo oggi.
D. – Tu ti sei allenata per questa corsa?
R. – Sì, abbastanza.
D. – E’ stato faticoso?
R. – Delle volte sì, anche se allenarsi per la pace non è
mai faticoso.
La pace non è una tappa singola della vita di ognuno di
noi, ma è un lungo percorso che richiede un allenamento costante. Don Antonio,
assistente diocesano dell’ACR, ci spiega come si sono preparati i ragazzi:
R. – Quelli di sei, otto anni hanno riflettuto
sull’importanza delle regole. Per poter giocare e divertirsi bisogna rispettare
le regole e rispettare gli altri. I più grandi, di 9, 11 anni, si sono
concentrati soprattutto su chi ci può insegnare queste regole e chi allena per
la pace, cioè Gesù, che rimane il grande allenatore, il grande Mister. Quelli
di 12 e 14 anni hanno riflettuto su come si diventa campioni. Il campione non è
quello che presenta i muscoli, ma il vero campione è quello che fa qualcosa di
bello per gli altri, sudando e faticando, con la volontà di un intenso
allenamento. E la pace richiede questo impegno, questo allenamento.
I cento metri per la pace si ricollegano naturalmente al
messaggio del Santo Padre per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio,
che quest’anno si intitolava “Nella verità la pace”. Daniela
Lombardi, presidente dell’AC di Roma:
R. – Tutti vogliamo la pace, in tutto il mondo, ma ognuno
di noi vuole poi la pace a suo modo. Invece, Benedetto XVI ci ha ricordato che
la pace è solo nella verità. Allora, è importante educarci alla pace, quella
che ha spazio solo nella lealtà, solo nelle relazioni buone.
(Musica)
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29 gennaio 2006
CORDOGLIO
NELLA CHIESA PER
UNO
DEGLI INZIATORI DEL RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO IN ITALIA
-
Intervista con Salvatore Martinez -
Cordoglio nella Chiesa italiana per la scomparsa di mons.
Dino Foglio, morto venerdì scorso all’età di 83 anni. Nato a Bagolino, in provincia di Brescia, nel 1922, è stato uno
degli iniziatori del Rinnovamento nello Spirito in Italia nella stagione
post-conciliare. Attualmente era consigliere spirituale nazionale del movimento
che in Italia conta oltre 250 mila aderenti e nel
mondo oltre 100 milioni. I funerali si svolgeranno domani alle 14.00 nella cattedrale
di Brescia. Ma ascoltiamo un ricordo di mons. Dino Foglio nella testimonianza
di Salvatore Martinez, che gli è succeduto nel 1997
come coordinatore nazionale del movimento. L’intervista è di Sergio Centofanti.
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R. – Un padre forte ed un fratello umile, capace di
seminare la fede cattolica in un modo straordinariamente efficace. Lo
testimoniano le almeno mille vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa che
don Dino Foglio è stato capace di raccogliere e offrire alla Chiesa, ma anche
una generazione di giovani che sono stati incoraggiati a dedicare la loro vita
alla causa della nuova evangelizzazione. Un fratello umile, che seppe interpretare
con grande decisione le istanze di rinnovamento spirituale che il Concilio
Ecumenico Vaticano II poneva. Siamo grati a don Dino, perché seppe interpretare,
come pochi in altri Paesi del mondo, l’identità cattolica del Rinnovamento
nello Spirito, la sua adesione al Magistero e la forte propensione al servizio
delle Chiese.
D. – Mons. Dino Foglio ha
iniziato in Italia il cammino del Rinnovamento, anche in un tempo in cui da
alcuni potevano esserci delle perplessità. Poi lui è riuscito invece a
inserirlo pienamente nella Chiesa, con un contatto vivo anche con le diocesi.
Qual è stato quindi il suo ruolo, come iniziatore del Rinnovamento?
R. – Noi crediamo che lo Spirito Santo lo abbia scelto,
non a caso, per la sua solidità di dottrina e, vorrei dire, anche per la
credibilità ecclesiale che don Dino poteva vantare.
Tutto questo lo poneva in una posizione di riguardo, ma anche, per molti, di
stupore, per questa esperienza di fede gioiosa, vitalmente
vissuta, che egli seppe abbracciare e testimoniare in ogni angolo d’Italia. Era
particolarmente attratto dalla novità dei laici impegnati nella ministerialità carismatica: la riscoperta della preghiera,
della parola di Dio, di questa fede celebrata comunitariamente.
Doni grandi in un tempo difficile, quello post-conciliare, che
D. – Un ricordo personale di mons. Dino Foglio, lei che lo
ha sostituito come coordinatore nazionale del Rinnovamento…
R. – Ho avuto la grazia di poterlo vegliare in questa
breve e assai serena agonia che lo Spirito Santo ha voluto regalargli. Seppure
con un filo di voce, ha avuto modo di ricordarmi una verità fondamentale: “ogni opera di Dio nasce ai piedi della Croce”.
D. – Qual è la realtà oggi del Rinnovamento nello Spirito
e cosa vuole dare alla Chiesa?
R. – Riproporre questa identità fisiologica della Chiesa,
che è appunto per sua natura una esistenza nello
Spirito Santo. Una maggiore docilità allo Spirito Santo porta gli uomini a
riscoprire la loro fede e a viverla in un modo incidente nella vita quotidiana,
senza vergogna e senza paura di dirsi cristiani. C’è questo inesauribile
bisogno di Dio, questo infinito bisogno di amore che è in ogni uomo. E questo
infinito amore è lo Spirito Santo. Questa voce poi ci porta fuori. L’unzione
dello Spirito, l’effusione dello Spirito, è la missione, è per
l’evangelizzazione. Le nostre Chiese devono essere sempre più aperte al mondo.
Bisogna comprendere sempre di più che accanto alla indispensabile opera di sacramentalizzazione c’è un mondo che attende le ragioni
dello Spirito Santo.
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SI CELEBRA OGGI
-
Intervista con il dottor Sunil Deepak
-
Si celebra oggi la 53ª Giornata mondiale dei malati di
lebbra, promossa dall'Associazione internazionale Raoul Follereau,
intitolata al celebre scrittore e giornalista francese che ha dedicato la sua
vita per aiutare quanti sono colpiti dal cosiddetto morbo di Hansen. « Sognare un mondo senza lebbra. Non
esistono sogni troppo grandi »: questo il tema della Giornata di
quest’anno. I malati di lebbra sono oggi in calo: ce ne sono circa 400 mila rispetto ai 760 mila del 2001. I Paesi più colpiti
sono India, Brasile, Nepal, Repubblica Democratica del Congo,
Mozambico, Madagascar, Tanzania e Angola. Oltre 1.500 persone si ammalano ogni
giorno, con altrettanti casi quotidiani non identificati; tra gli infettati si
osserva un'alta percentuale di bambini. Dai primi anni '80, la lebbra è
perfettamente curabile. Giovanni Peduto ne ha parlato
con il dott. Sunil Deepak,
direttore del Dipartimento medico scientifico dell’Associazione Raoul Follereau:
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R. - La malattia è facilmente curabile. I malati hanno
bisogno di prendere medicine da un minimo di 6 ad un massimo di 12 mesi e già
dai primi giorni di trattamento non risultano più contagiosi. Importante è
diagnosticare la malattia nella fase precoce altrimenti causa danni ai nervi e
crea disabilità. La cura dell’infezione è facile
mentre ripristinare le parti del corpo disabili o danneggiate è tutt’altro che facile.
D. – Perché vi sono ancora tante vittime di questa
malattia?
R. - Perché non abbiamo un test sierologico
per diagnosticare la malattia nella sua fase precoce. Ciò significa che
dobbiamo aspettare che i segni della malattia siano clinicamente evidenti, il
ché può richiedere anni, nel frattempo la persona può continuare a diffondere
la malattia. L’altro fattore negativo è il forte pregiudizio, per cui i malati rifiutano di essere identificati, spesso
cercano di nascondersi e non vanno nei centri sanitari per farsi curare. Alla
fine il problema più grave è quello della povertà e del sottosviluppo.
Condizioni come malnutrizione, scarsa igiene, affollamento, ecc., favoriscono il diffondersi della malattia. Finché non
riusciremo a vincere la povertà, sarà difficile vincere la lebbra.
D. – La lebbra resta ancora oggi un simbolo di
emarginazione: eppure sono molti i volontari che portano il loro aiuto ai
lebbrosi…
R. - Storicamente la lebbra è stato uno dei più potenti
simboli di emarginazione. Mahatma Gandhi, quando
l’India è diventata indipendente, aveva insistito per inserire nelle priorità
del primo governo del Paese la lotta alla lebbra perché riteneva che il giorno
che i malati di lebbra fossero stati trattati come esseri umani, con i loro
diritti, tutti i poveri ed emarginati dell’India avrebbero avuto una giustizia
sociale. Oggi abbiamo ottenuto molti successi e la malattia può essere curata
facilmente. Ciò nonostante in molti Paesi il pregiudizio sociale continua ad
essere elevato. Da sempre i volontari sono stati in prima linea nel soccorrere
i malati di lebbra e anche se negli ultimi 10 anni i governi hanno assunto
maggiori responsabilità rispetto ai malati, il ruolo dei missionari e dei
volontari laici continua ad essere fondamentale.
D. – Come possiamo aiutare i malati di lebbra?
R. - Anzitutto non chiamandoli “lebbrosi” ma bensì persone
affette da lebbra. Si può lavorare nella propria comunità per educare e
sensibilizzare l’opinione pubblica affinché i pregiudizi contro la lebbra
possano essere sconfitti. E’ altrettanto importante ricordare che la malattia
esiste e a tutt’oggi ci sono ancora 14 milioni di
persone così dette “guarite”, molte delle quali necessitano di continue cure.
Per questo è importante continuare a sostenere il lavoro delle associazioni del
volontariato e dei missionari impegnati nella lotta alla lebbra.
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HAITI:
CONTINUANO A REGNARE INSICUREZZA, VIOLENZA E POVERTA’,
A
POCHI GIORNI DALLE ELEZIONI PRESIDENZIALI E LEGISLATIVE.
APPELLO
DI MEDICI SENZA FRONTIERE ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
-
Intervista con Kostas Moschochoritis
-
Continuano a regnare violenza e insicurezza ad Haiti, nonostante la presenza di 8 mila caschi blu della
missione ONU, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali e legislative che si svolgeranno il 7 febbraio
prossimo. Ieri sono stati rilasciati tre operatori umanitari francesi, tra cui
una suora di 84 anni, che erano stati rapiti a “Cité Soleil”, una bidonville presso la capitale, Port-au-Prince. Secondo stime ufficiali
62 persone sono state sequestrate solo nello scorso dicembre e 37 dall’inizio
dell’anno: nel 95% dei casi gli ostaggi sono liberati nel giro di pochi giorni
dopo il pagamento di un riscatto. Intanto “Medici Senza Frontiere”
ha lanciato un appello internazionale per far fronte alla crisi umanitaria in
cui versa Haiti, che è uno dei Paesi più poveri del mondo. Ma qual è la
situazione d’emergenza in cui l’organizzazione umanitaria deve operare?
Francesca Fialdini lo ha chiesto a Kostas Moschochoritis, coordinatore dei progetti di Medici Senza
Frontiere ad Haiti:
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R. – Ultimamente, i dati dei nostri ospedali sono
allarmanti: le vittime civili dei combattimenti fra gruppi armati locali e le
forze armate dell’ONU stanno aumentando giorno dopo giorno. Solo nelle prime
due settimane di gennaio, abbiamo avuto 50 feriti da arma da fuoco, e circa il
50 per cento di questi feriti sono donne, bambini e anziani. E questo è
inaccettabile!
D. – Avete mai ricevuto anche combattenti?
R. – Siamo un’organizzazione medica umanitaria e seguiamo
il codice medico. Per noi, un ferito è un paziente. Se lui non porta armi, è un paziente e non tocca a noi chiedere se è un combattente o
no. Quando tutti parlano di “Cité
Soleil”, tutti pensano ad una bidonville piena di banditi, però dimenticano che la maggior parte
di questa gente è composta da civili, intrappolati nel fuoco incrociato.
D. – Voi come siete stati accolti dalla popolazione?
R. – Certo, l’accoglienza è stata calda perché i Medici
Senza Frontiere hanno restituito ad una popolazione, che da agosto 2004 non
aveva più strutture sanitarie, la possibilità di usufruire di cure mediche.
D. – Chi sono i pazienti che maggiormente frequentano i
vostri centri?
R. – Innanzitutto, dobbiamo dire che nell’ospedale abbiamo
ogni giorno quattro-cinque parti, abbiamo tante
emergenze ostetriche, più di mille consultazioni esterne al
giorno …
D. – Che cosa chiedere alla comunità internazionale di
più, rispetto a quello che sta cercando di fare?
R. – Il nostro messaggio è semplice e chiaro: c’è bisogno
di massimo impegno per ristabilire la sicurezza in Haiti e più specificamente
nella capitale, e di rispettare i civili e di creare uno spazio umanitario.
D. – Rispetto ai vostri bisogni materiali, per operare sul
campo, di che cosa c’è più bisogno, che cosa manca?
R. – Haiti rimane il Paese più povero dell’emisfero
occidentale. I bisogni sono enormi. Metà della popolazione vive al di sotto
della soglia di povertà …
D. – Da un punto di vista politico, che cosa si attende la
gente?
R. – La gente ha sempre sperato tanto, ma sfortunatamente
quella che viviamo adesso è una situazione di precarietà, di violenza sia
politica che sociale, criminale, militare … La gente è intrappolata in questa
spirale di violenza e vediamo che sta iniziando a perdere la speranza …
D. – Medici Senza Frontiere lancia un appello:
R. - … che in Haiti, nella capitale di Port-au-Prince, i gruppi armati rispettino
l’incolumità dei civili e lascino che i soccorritori e gli aiuti umani possano
sostenere questi civili.
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29 gennaio 2004
I giornalisti devono
essere custodi della libertà. È quanto ribadito ieri
dal cardinale
Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, ad un incontro svoltosi nella sede
del Circolo della stampa del capoluogo lombardo
- A
cura di Eugenio Bonanata -
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MILANO. = Essere uomini veri per saper dare le notizie vere, quelle che vanno
al cuore della vita. E’ questo il compito primario del giornalista secondo il
cardinale Tettamanzi, che, rivolgendosi a numerosi
addetti ai lavori, ha sottolineato l’importanza di credere nella possibilità di
un “giornalismo serio”. Cioè di un giornalismo che indaga, che si fa voce della
libertà di espressione e che raggiunge gli ultimi toccandoli nei loro problemi.
Per il porporato questo significa offrire al pubblico tutti
gli elementi per interpretare la realtà. Quindi dare soprattutto i fatti,
lasciando al giudizio del lettore il compito di trarre le conclusioni. I telegiornali,
così come sono fatti, “non mi piacciono tanto” –ha affermato l’arcivescovo di Milano- perché sono diventati sempre di più una “fiera
delle parole e delle opinioni” a discapito dei fatti. Sollecitato su molti
argomenti, il porporato ha poi fatto riferimento anche alla responsabilità
degli editori. Quindi, ribadendo i rischi di un editoria
concentrata nelle mani di pochi, ha spiegato che l'aspetto economico non
può essere l'unico criterio per decretare il successo di una missione mediatica. In questo senso – ha specificato - è necessario superare l’ansia degli
indici di ascolto e l’eccessiva dipendenza dai mercati pubblicitari. La
posizione degli operatori dell’informazione non è certo facile oggi - ha
concluso il porporato – che però ha fatto appello all’onestà di ciascuno. “La
prima regola di un buon giornalista – ha detto - e' scrivere per gli altri, non
per sé o per gli editori”. A suo parere questa è l’unica strada per
salvaguardare il bene comune.
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nella basilica di
Santa Maria in Trastevere, a roma, Celebrata la messa
in ricordo dei
senza fissa dimora morti a causa del freddo
e
dell’abbandono. L’iniziativa, dal titolo “in Memoria di Modesta”,
è organizzata dalla comunità di sant’Egidio
da 23 anni
ROMA. = In queste settimane di
grande freddo, sono state centinaia le persone che hanno perso la vita in tutta
Europa. Fra quanti vivono per strada, una decina di decessi si sono verificati
anche a Roma. Proprio a queste vittime, spesso dimenticate da tutti, è stato
dedicato il tradizionale appuntamento liturgico promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Stamani, come ormai da 23 anni, durante la
Messa “in memoria di Modesta”, tutte queste persone sono state ricordate per
nome. Modesta Valenti, morta a 70 anni il 31 gennaio 1983, è diventata in
questi anni il simbolo dell’iniziativa e insieme dell’indifferenza che troppo
spesso circonda il popolo dei senza fissa dimora. Questa anziana donna viveva
da barbona nei pressi della Stazione Termini. Quel giorno si sentì male.
Visibilmente sofferente, non venne soccorsa per 4
lunghe ore, perché troppo sporca. Morì prima di arrivare in ospedale. Oggi un
pranzo assieme a tutti i partecipanti, che si è svolto nei locali della
Comunità, ha concluso l’appuntamento.
HA
PRESO IL VIA, NELLA PROVINCIA DI FIRENZE ‘LA SETTIMANA DELLA PACE’.
LA
MANIFESTAZIONE, CON UN RICCO PROGRAMMA, TERMINERA’ DOMENICA PROSSIMA
FIRENZE.= E’ stata incentrata
sul messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace 2006 la
tavola rotonda che in questi giorni ha aperto la ‘Settimana della pace’. Alla discussione, nel comune di Reggello,
in provincia di Firenze, ovviamente con prospettive e approcci diversi, hanno
preso parte mons. Lucio Sembrano, responsabile per le relazioni con Africa
orientale e Oceania della Segreteria di Stato, Lapo Pistelli,
parlamentare europeo, e il direttore dell’agenzia MISNA, Pietro Mariano Benni. A coordinare il dibattito Andrea Fagioli, vicedirettore
di ‘Toscana Oggi’. La serata ha aperto una settimana,
dal titolo “Nella verità la pace”, ricca di appuntamenti. Mercoledì prossimo,
nella Pieve romanica di San Pietro è in programma una serata cinematografica
dedicata alla pace. Si continuerà venerdì con una veglia di preghiera animata
dal gruppo ‘Taizé’ il cui nome deriva dall’omonima
comunità monastica in Borgogna, che vedrà anche la partecipazione di mons.
Luciano Giovanetti, vescovo di Fiesole. Sabato il programma della
manifestazione prevede poi una cena etnica col sapore “dei cinque continenti”. (A. E.)
In
CHE RACCOGIE DIVERSI organismi, si batteRA’ per il
riconoscimento
delle minoranze e per l’abolizione delle leggi sulla
blasfemia nel Paese
LAHORE. = La pace, la
tolleranza religiosa e applicazione dei diritti umani a tutta la popolazione
pakistana. Sono gli obiettivi principali della neonata “National
solidarity for Equal Rights”, coalizione che
mette sotto una stessa sigla diversi organismi impegnati da tempo nel Paese.
Fra i componenti dell’organizzazione vi è anche la Commissione episcopale
“Giustizia e Pace”, la Caritas pakistana ed il Christian Study Centre di Rawalpindi. Il comunicato
che annuncia la nascita dell’organismo – secondo quanto riporta l’agenzia Asia
News - specifica che tutte queste realtà hanno sentito il bisogno di unirsi per
chiedere, ancora una volta, l’abolizione delle leggi sulla blasfemia” e di
altre regole che puniscono comportamenti incompatibili con il Corano. La
cosiddetta legge sulla blasfemia prevede punizioni molto severe per chi oltraggia
il profeta Maometto. Dal 1996, anno in cui è entrata in vigore, decine di
cristiani sono stati uccisi
sotto l’accusa di aver diffamato l’Islam e sono centinaia le
persone accusate e ancora in attesa di giudizio. Molto spesso però la legge viene utilizzata per eliminare avversari e nemici. Le
ordinanze “Hudood”, che si ispirano al Corano,
puniscono anche con la flagellazione e la lapidazione i comportamenti
incompatibili con l’Islam come l’adulterio, il gioco d’azzardo, l’uso di alcol.
“Dal 1986 al 2005 – afferma la nota – su oltre 745 presunti casi di blasfemia
denunciati, più di 106 persone sono state dichiarate innocenti dalle Corti”. Il
problema è che spesso, lanciata l’accusa di blasfemia, non si riesce ad
arrivare davanti ad una Corte: la folla inferocita pensa da sola a farsi “giustizia”.
Le ordinanze Hudood – spiega ancora il comunicato
stampa – si possono applicare ai non musulmani, questi però
non sono accettati come testimoni in sede processuale. In questo quadro – si
legge nel documento - una società civile non può mostrarsi sorda alle richieste
delle persone che governa. L’obiettivo principale della campagna è far crescere
la consapevolezza della popolazione pakistana riguardo a questi problemi. Nello
stesso tempo c’è la volontà di “chiedere al governo di affrontare con serietà
queste leggi discriminatorie e gli effetti che producono”. (E.
B.)
Grazie a dio esiste lo spOrt! È il titolo
dell’opuscolo ecumenico, pubblicato in germania dalla chiesa cattolica da
quella evangelica, e destinato agli atleti tedeschi impegnati nelle prossime
olimpiadi invernali di torino
BERLINO. = Un dépliant di 40
pagine con testi spirituali, meditazioni, preghiere e benedizioni per gli
atleti tedeschi impegnati nelle prossime Olimpiadi invernali di Torino, in programma
dal 16 al 26 febbraio. Lo troveranno nelle loro sacche, in consegna in questi
giorni, tutti i partecipanti ai Giochi olimpici torinesi. L'opuscolo,
intitolato "Grazie a Dio esiste lo sport!", è stato pubblicato lo
scorso 19 gennaio dal gruppo di lavoro Chiesa e sport della Chiesa evangelica
tedesca (EKD) e dal responsabile per lo sport della Conferenza episcopale
tedesca. "Lo sport è degno di preghiera. E noi pregheremo", hanno
affermato all’agenzia SIR i cappellani olimpici delle due Chiese, Thomas Weber e Hans-Gerd Schütt, assieme alla cappellana
per le Paraolimpiadi, Claudia Rudolff. "La fede
è così importante che nessun settore della vita deve essere escluso da essa". Destinatari del depliant non sono solo gli
atleti ma anche gli allenatori e i componenti dei vari team, "affinché
riescano a trovare momenti di pace e relax nonostante le sollecitazioni fisiche
e psichiche dei Giochi". L’iniziativa non è nuova. È dal 1994, infatti,
che la Chiesa cattolica e quella evangelica pubblicano un dépliant ecumenico in
occasione degli eventi olimpici. (E. B.)
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29
gennaio 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
E’ di
almeno 66 morti il drammatico bilancio, ancora provvisorio, dell’incidente
avvenuto ieri pomeriggio a Katowice, nel sud della Polonia. Il tetto di una struttura fieristica è
crollato sotto il peso della neve. Il nostro servizio:
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Le
operazioni di soccorso possono dirsi concluse. Fino a qualche ora fa
continuavano ad arrivare chiamate dai telefoni cellulari delle persone intrappolate
tra le macerie del padiglione ma questi segnali adesso
sono stati tragicamente sostituiti dal silenzio. Con queste parole, il capo dei
vigili del fuoco di Katowice ha gelato le speranze di
trovare ancora qualcuno in vita. Tra le vittime accertate ci sono anche un
bambino e almeno 13 stranieri. Il presidente polacco, Lech Kaczynski, ha annunciato il lutto
nazionale. Al momento del crollo del tetto, appesantito da uno strato di neve
spesso oltre un metro, nell’edificio si trovavano tra le 500 e le 1000 persone,
accorse da tutto il nord Europa per assistere ad una
esposizione di piccioni viaggiatori. Le temperature rigide, scese nella notte
fino a 17 gradi sotto zero, hanno ulteriormente aggravato la situazione. La Polonia sta vivendo,
infatti, il suo inverno più freddo degli ultimi decenni, come molte altre zone
dell’Europa. L’ondata di gelo ha già ucciso almeno 300 persone nel Paese. Un
episodio analogo a quello di Katowice è avvenuto lo
scorso 3 gennaio a Bad Reichenhall, in Germania,
quando è crollato il tetto di un palazzo del ghiaccio provocando la morte di 15
persone.
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In Israele, il ministro della Difesa, Shaul
Mofaz, ha ribadito che lo Stato ebraico non negozierà
con Hamas e ha annunciato nuove “azioni mirate” contro
esponenti di gruppi estremisti palestinesi. I leader di Hamas
hanno chiesto, invece, un incontro con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, in visita in Israele e nei Territori. La formazione
fondamentialista, che ha ventilato nei giorni scorsi
l’ipotesi di un dialogo con Israele tramite mediatori terzi, ha anche
dichiarato di non considerare gli Stati Uniti un Paese nemico. Ma quali sono le
condizioni ritenute imprescindibili dallo Stato ebraico per accettare un
eventuale negoziato con Hamas? Amedeo Lomonaco lo ha
chiesto al ministro consigliere dell’ambasciata di Israele a Roma, Elazar Cohen:
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R. – Noi parliamo con qualsiasi formazione che accolga tre punti: disarmare i gruppi terroristici,
cancellare dallo statuto di Hamas l’obiettivo della distruzione
di Israele e accettare tutti gli accordi, di cui si è fatta carico l’Autorità
Nazionale Palestinese con Israele. Se queste condizioni non trovano riscontri,
non parliamo con nessuno, né direttamente né attraverso mediatori. In realtà
vorremmo parlare con tutte le parti ma i nostri interlucutori non possono essere gruppi terroristici. Se si
seguono queste condizioni – ribadisco - siamo disposti a parlare con chiunque.
Dato che Hamas non segue queste direzioni, per il
momento non trattiamo con questo gruppo.
D. – Secondo voi Hamas, in
questo momento, è un gruppo politico o un’organizzazione terroristica?
R. – E’ certamente un gruppo terroristico. Non solo
Israele, anche l’Europa, gli Stati Uniti e tutta la comunità internazionale
considerano Hamas un gruppo terroristico.
D. – Per quanto riguarda il dialogo con
Al Fatah?
R. – Con il gruppo di Al Fatah, con i politici di Al Fatah,
noi parliamo. Al Fatah Ha cambiato la sua strada nel
’93, subito dopo gli accordi Oslo. Il movimento di Hamas,
invece, è molto, molto lontano da questa posizione.
D. – Dopo la vittoria alle elezioni palestinesi di Hamas, si può considerare attivo il progetto della Road Map per promuovere la pace in Medio Oriente?
R. – Noi crediamo ancora nella Road map. Il problema è che dopo i
risultati delle elezioni palestinesi, la Road
map è in pericolo: non si può dialogare con un
gruppo terroristico che ha come obiettivo la distruzione di Israele. Quindi,
per il momento, la Road map non può essere negoziata con Hamas.
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In Iraq
è ripreso il processo contro Saddam Hussein ma
tutti gli imputati, compreso l’ex rais, hanno lasciato l’aula accusando il
tribunale di essere “gestito dagli americani”. L’ordine del giorno dell’udienza
prevedeva la deposizione di testimoni del massacro di 148 sciiti avvenuto nel
1982 nel villaggio di Dujail, a nord di Baghdad. La
prossima udienza è stata fissata per mercoledì prossimo. La situazione resta
tesa anche sul terreno. Almeno undici persone sono rimaste uccise per
l’esplosione di una bomba, all’interno di un negozio di Iskindiraya,
a sud della capitale. In un altro attentato, condotto a Baghdad, la
deflagrazione di un ordigno ha provocato la morte di due militari americani.
Il programma nucleare iraniano sarà al centro di nuovi negoziati:
si terrà infatti lunedì prossimo, a Bruxelles, una
sessione di colloqui tra esponenti del governo iraniano e dei tre Paesi europei
che conducono le trattative sul dossier di Teheran.
Lo ha reso noto l’agenzia di stampa iraniana Isna.
Commentando l’eventualità di un’azione militare contro la Repubblica islamica,
il capo dei pasdaran, il generale Yahya
Rahim-Savafi, ha dichiarato intanto che l’Iran
reagirà a qualsiasi attacco. “Se ci attaccano – ha precisato - risponderemo con i
nostri missili balistici che hanno una gittata di due mila chilometri”.
In Kuwait, il Parlamento ha approvato
la nomina di sheikh Sabah
al Ahmad al Sabah quale
nuovo emiro. Lo ha annunciato il presidente dell’assemblea, Jassem
al Kharafi, precisando che il nuovo sovrano presterà
giuramento oggi pomeriggio. La nomina mette fine ad una crisi istituzionale che
ha toccato l’apice martedì scorso, quando il Parlamento aveva giudicato lo
sceicco Saad al Salim al Abdullah al Sabah non in grado di
governare perchè gravemente malato.
Aperti
i seggi per il ballottaggio delle presidenziali in Finlandia tra l’attuale
presidente della Repubblica, la socialdemocratica, Tarja
Halonen, e il conservatore, Sauli
Niinisto. Per i sondaggi, è in vantaggio la signora Halonen, la prima donna divenuta presidente della
Finlandia. Lo Stato scandinavo è il primo Paese in Europa che ha concesso il
voto alle donne.
E’ ripresa la fornitura di gas russo alla Georgia,
interrotta dopo le esplosioni di sabato scorso. La Georgia dipende totalmente
per gli approvvigionamenti da Mosca. Il presidente georgiano, Mikhail Saakashvili, aveva
accusato la Russia di usare il gas come leva politica per punire il suo Paese.
Influenza aviaria: la Commissione europea ha
annunciato che il virus H5N1 è stato riscontrato su un campione prelevato
nell’area di Cipro nord. In Turchia, intanto, 14 persone risultate positive al
virus sono state dimesse stamani dagli ospedali. Lo ha reso noto l’unità di
crisi turca aggiungendo che tre pazienti rimangono invece sotto osservazione. I
casi finora accertati di influenza aviaria in Turchia sono 21. Quattro adolescenti
sono morti.
La
figlia maggiore dell’ex dittatore cileno, Augusto Pinochet,
è stata arrestata ieri sera al suo rientro in Cile, di ritorno dagli Stati
Uniti dove aveva presentato invano richiesta di asilo. E’ accusata di frode fiscale.
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