RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 20 - Testo della trasmissione di venerdì 20
gennaio 2006
IL
PAPA E
OGGI IN PRIMO PIANO:
Nei cinema in Italia il film “Joyeux
Noel”, del regista francese Christian
Carion
CHIESA E SOCIETA’:
I vescovi del Venezuela
incontreranno il presidente delle Repubblica, Chavez, il prossimo 24 gennaio
Torna nelle scuole russe l’ora di religione dopo
decenni di ateismo di Stato
In Colombia, quasi la metà dei cittadini vive
in condizioni di povertà e indigenza
In Iraq, l’Alleanza sciita vince le legislative senza la maggioranza assoluta. “No” di Washington alla proposta di tregua avanzata in un nuovo messaggio da Osama Bin Laden
20
gennaio 2006
“C’È BISOGNO DI SACERDOTI PREPARATI E CORAGGIOSI CHE,
SENZA AMBIZIONI E TIMORI, MA CONVINTI DELLA VERITÀ EVANGELICA,
SI PREOCCUPINO DI
ANNUNCIARE CRISTO,
PRONTI A CHINARSI
SULLE SOFFERENZE UMANE”.
E’ QUANTO HA DETTO BENEDETTO XVI
RICEVENDO OGGI I
SEMINARISTI DELL’ALMO COLLEGIO CAPRANICA
Sacerdoti preparati e
dotati di umanità e coraggio, per far rivivere Cristo in un mondo che tende a
dimenticarlo. E’ un programma che vale una vita, quello consegnato da Benedetto
XVI ai formatori e ai 50 studenti che dell’Almo Collegio Capranica, un’antica istituzione ecclesiale fondata nel 1457 dal cardinale omonimo. Il
Papa li ha ricevuti per la prima volta in udienza, alla vigilia della festa di
Sant’Agnese, patrona del Collegio. Il servizio di Alessandro De Carolis:
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Mura che raccontano oltre 500 anni di storia e cultura ecclesiale,
di giovani seminaristi con il Papato nel loro destino, di formatori che hanno “profuso tesori di scienza e di bontà”. Così Benedetto XVI ha
ricordato agli studenti del Collegio Capranica i
segni di eccellenza di un’istituzione che ebbe una
vocazione alla solidarietà fin dalla sua fondazione, quando il cardinale Capranica pensò al Collegio come a un asilo per la
formazione di sacerdoti, in particolare quelli meno abbienti di Roma. “Frequentare
gli studi teologici in questa nostra Città - ha riconosciuto il Papa nel suo
discorso alla comunità del Collegio, guidata dal cardinale Camillo Ruini - offre una singolare opportunità di crescita e di
apertura alle esigenze della Chiesa universale”.
Ma lo studio, ha raccomandato Benedetto XVI, deve progredire
assieme alla “maturazione umana”, all’adesione al Magistero della Chiesa,
all’“esercizio delle virtù”, in particolare l’umiltà e la carità, perché sono
esse a dare spessore e credibilità al sacerdote:
“Per rispondere alle attese della società moderna, per cooperare alla
vasta azione evangelizzatrice che coinvolge tutti i cristiani, c’è bisogno di
sacerdoti preparati e coraggiosi che, senza ambizioni e timori,
ma convinti della Verità evangelica, si preoccupino anzitutto di annunciare
Cristo e, in suo nome, siano pronti a chinarsi sulle sofferenze umane, facendo
sperimentare il conforto dell’amore di Dio e il calore della famiglia
ecclesiale a tutti, specialmente ai poveri e a quanti versano in difficoltà”.
Il modello per ogni seminarista, ha concluso il Papa, è e rimane
Cristo. “Quanto più, infatti, resterete in comunione con Lui – ha
affermato - tanto più sarete in grado di seguirne fedelmente le orme, così che,
“nella carità, che è il vincolo della perfezione”, maturi il vostro amore per
il Signore, sotto la guida dello Spirito Santo”.
I 50 studenti attualmente nell’organico dell’Almo Collegio Capranica - che vanta tra i suoi ex alunni due nomi di
assoluta importanza come Giacomo della Chiesa ed Eugenio Pacelli,
ovvero i futuri Pontefici Benedetto XV e Pio XII – sono guidati dal rettore, mons. Ermenegildo Manicardi,
e da tre padri spirituali. L’Alta direzione è detenuta dal cardinale vicario Camillo Ruini, dall’arcivescovo di
Acireale, Pio Vittorio Vigo, e
dall’arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino, Antonio
Buoncristiani.
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UDIENZE E NOMINE
Benedetto XVI ha ricevuto,
questa mattina, un gruppo di vescovi della conferenza episcopale della
Repubblica Democratica del Congo in visita ad
Limina. Il Papa riceverà questo pomeriggio, in udienza, l’arcivescovo
William Joseph Levada,
prefetto della congregazione per la Dottrina della Fede.
In Sri Lanka, il Papa ha nominato
vescovo di Ratnapura il reverendo Ivan Tilak Jayasundera, del clero
della diocesi di Kandy, professore di Liturgia presso
il seminario nazionale maggiore di Kandy.
E’ MORTO IERI IL CARDINALE PIO TAOFINU’U,
ARCIVESCOVO EMERITO DI SAMOA-APIA. AVEVA 82 ANNI. E’ STATO IL PRIMO VESCOVO
POLINESIANO NELLA STORIA
DELLA CHIESA. ERA PARTICOLARMENTE VICINO AI POVERI
E’ morto ieri il cardinale Pio Taofinu’u, arcivescovo emerito di Samoa-Apia,
in Oceania. Aveva 82 anni. I funerali si svolgeranno
domani mattina ad Apia. La salma sarà sepolta nella
Cattedrale dell’Immacolata Concezione. Il servizio di Sergio Centofanti.
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Una vita trascorsa all’insegna
di Maria. Il cardinale Taofinu’u era nato da genitori
indigeni, nelle Samoa Occidentali, nel 1923 nella Solennità dell’Immacolata
Concezione. Ordinato sacerdote a 31 anni sempre l’8 dicembre, era entrato pochi
anni dopo nella Congregazione dei padri Maristi, particolarmente
attivi in Oceania. Con la nomina fatta da Paolo VI divenne nel 1968 il primo vescovo
polinesiano nella storia della Chiesa. Era stato creato cardinale nel 1973. La sua
attività pastorale si è svolta senza soste in questo piccolo Stato insulare
dell’Oceano Pacifico che conta appena 180 mila abitanti (al 62% protestanti e
al 21% cattolici): ha creato numerose scuole secondarie e istituti di
formazione professionale, si è impegnato nell'apostolato e nel servizio dei
poveri e degli anziani - per i quali ha creato una casa d'assistenza affidata
alle Piccole Sorelle di Gesù - ha riorganizzato il seminario ed ha fondato un
istituto teologico per la formazione di diaconi e catechisti. Nell'intento di
promuovere l'indipendenza economica degli abitanti della diocesi, destinò
tremila acri di terreno di proprietà della diocesi alla costruzione di una
grande fabbrica per la trasformazione dei prodotti caseari.
Con la sua morte il Collegio Cardinalizio risulta
composto da 178 porporati, di cui 111 elettori, e 67 non elettori.
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TERZA GIORNATA DELLA
SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI.
I RAPPORTI TRA CHIESA CATTOLICA E CONSIGLIO
ECUMENICO DELLE CHIESE
- Intervista con il priore di Bose Enzo Bianchi e con mons. John Mutiso Mbinda -
Oggi è la terza giornata della Settimana di preghiera per
l'unità dei cristiani. I discepoli di Cristo sono invitati in particolare a
"pregare insieme nel nome di Gesù” nella consapevolezza che Dio è disposto
sempre a perdonare. Ma qual è attualmente la situazione a livello ecumenico?
Sergio Centofanti lo ha chiesto al
Priore di Bose Enzo Bianchi:
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R. – L’ecumenismo indubbiamente è un’opera che richiede
tempo: occorre molto tempo infatti per arrivare alla
comunione visibile delle Chiese. Con Benedetto XVI sembra ci siano maggiori
disponibilità dalle altre Chiese verso il Papato e verso la Chiesa cattolica,
perché Benedetto XVI fin dall’inizio del suo Pontificato ha detto che
l’ecumenismo è il suo impegno primario e che per esso
spenderà le sue forze. Questo fa sì che ci sia oggi un’attesa di gesti
significativi, come lui ha detto, e che portino nella verità e nella carità ad
una comunione visibile tra le Chiese.
D. – Che cosa è necessario oggi
per avanzare sulla strada dell’ecumenismo?
R. – Quello che è sempre
necessario è una vera e propria conversione dei cristiani e delle Chiese alla
logica della comunione, voluta da Gesù. L’ecumenismo non è un fatto opzionale,
sta all’interno della testimonianza cristiana. Può essere soltanto un’esecuzione
della volontà di Gesù, che ha chiesto addirittura al Padre nella grande
preghiera sacerdotale che i credenti in Lui siano visibilmente una sola cosa.
D. – Quale cammino, invece, voi
percorrete come Comunità di Bose sulla strada
dell’unità?
R. – Essenzialmente quello della
preghiera e del vivere insieme, con una convergenza assoluta su Gesù Cristo, il
Signore di tutti noi, cercando di beneficiare delle spiritualità comuni, ma
cercando anche nella verità, avvicinandoci sempre più a Cristo, di trovarci sempre
più vicini tra di noi.
D. – Il Papa ha definito un
gesto della Provvidenza che, proprio durante la settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani, il 25 gennaio prossimo, sarà pubblicata la sua prima
Enciclica, intitolata “Deus Caritas est”, Dio è Amore…
R. – L’Apostolo Giovanni
quand’era vecchio, si dice, di fronte alla Chiesa che era divisa, andando in
assemblea, diceva soltanto: “Amiamoci gli uni con gli altri, Dio è carità”. Non
diceva altro. Ecco, Benedetto XVI, che è anche un Papa anziano, ci dice la
stessa cosa e in vista dell’unità, io credo, l’essenziale del messaggio: solo
se c’è l’agàpe possiamo diventare una comunione visibile.
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Una delle istituzioni internazionali che più attivamente
si occupa di dialogo interconfessionale è il Consiglio Ecumenico delle Chiese.
La Chiesa cattolica vi partecipa come osservatore e tra poco meno di un mese
sarà presente in Brasile per l’assemblea generale del Consiglio: un’occasione
per tornare a riflettere sul futuro dell’ecumenismo, così come sta avvenendo in
questi giorni della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Giovanni
Peduto ha chiesto quali siano stati gli sviluppi registrati nel 2005 a mons.
John Mutiso-Mbinda, che in seno al Pontificio
Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani si occupa dei rapporti con
il Consiglio Ecumenico delle Chiese:
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R. – In primo luogo c’è stata
una visita a Roma, nel mese di maggio, del segretario generale del Consiglio
Ecumenico delle Chiese, il dott. Samuel Kobia. La visita
si è conclusa con un’udienza privata con il Santo Padre, Papa Benedetto XVI.
Secondo aspetto della nostra attività è stata la Conferenza missionaria del
Consiglio Ecumenico delle Chiese ad Atene, nel mese di maggio, sul tema “Vieni
Spirito Santo, guarisci e riconcilia”. La Conferenza ha avuto 650 partecipanti
provenienti da tutto il mondo, con una delegazione ufficiale cattolica di 25
osservatori. Il terzo aspetto della nostra attività è stato il 40.mo anniversario del Gruppo misto di lavoro con due dimensioni,
di cui una celebrativa, presso il centro del Consiglio Ecumenico delle Chiese a
Ginevra, alla quale sono intervenuti il cardinale Walter Kasper,
presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani,
e il catholicos Aram I, moderatore del Comitato centrale del
Consiglio Ecumenico delle Chiese. L’altra dimensione è stata quella valutativa,
che ha avuto luogo all’Istituto ecumenico di Bosey,
nei pressi di Ginevra, con lo scopo di uno studio comune sul mandato del
Consiglio Ecumenico delle Chiese, per redigere una proposta dei principi e criteri
per il funzionamento futuro del Gruppo misto di lavoro.
D. – Mons.
Mutiso-Mbinda, cosa si prevede per il futuro? Quali
sviluppi nel dialogo e quali impegni aspetta questo dialogo tra Chiesa
cattolica e Consiglio Ecumenico delle Chiese?
R. – Per quanto riguarda il
futuro, fra poco, nel mese di febbraio, dal 14 fino al 23, a Porto Alegre in Brasile, si terrà l’Assemblea generale del Consiglio
Ecumenico delle Chiese, sul tema “Dio, nella tua grazia, trasforma il mondo”.
Saranno presenti oltre 700 delegati che parteciperanno a
nome delle Chiese membro del Consiglio Ecumenico delle Chiese. La Chiesa
cattolica invierà una delegazione ufficiale di osservatori, composta da 18 persone provenienti da varie parti del mondo. Questa
assemblea sarà molto importante, perché sarà l’occasione di valutare l’operato
del Consiglio Ecumenico delle Chiese e di programmare l’attività del futuro.
Quindi sarà anche un’occasione per prevedere cosa significhi l’ecumenismo nel
XXI secolo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La
prima pagina si apre con l’udienza di Benedetto XVI alla comunità
dell’Almo Collegio Capranica. Il Papa ha sottolineato
che vi è bisogno di sacerdoti preparati e coraggiosi, senza ambizioni e timori,
per rispondere alle attese della società moderna.
Servizio
vaticano - Una pagina dedicata alla Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani.
Servizio
estero - Terrorismo: Osama bin
Laden offre una “tregua” condizionata
ma promette sanguinosi attacchi contro gli USA.
Servizio
culturale - Una riflessione di Marco Bellizi dal
titolo “Lezioni di morte”: il seminario sull’eutanasia tenuto in un liceo
scientifico di Torino.
Servizio
italiano - In primo piano l’Iraq: la missione militare terminerà entro l’anno;
subentrerà uno sostegno civile alla ricostruzione.
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20 gennaio 2006
I DATI
EURISPES SUL RAPPORTO CON LA FEDE DEI CATTOLICI ITALIANI,
COMMENTATI DAL VESCOVO DI PALESTRINA, DOMENICO
SIGALINI,
E DAL
COORDINATORE DI RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO, SALVATORE MARTINEZ
L’88
per cento degli italiani afferma di essere cattolico, ma solo uno su tre va a
Messa: è il contraddittorio dato emerso da una ricerca dell’Eurispes,
pubblicata in questi giorni. Uno studio secondo il quale su temi fondamentali
per la Chiesa come la difesa della vita fin dal concepimento e la centralità
della famiglia si registrerebbe uno “scollamento” tra i fedeli e i propri
pastori. Ma si può davvero parlare di spaccatura, come hanno ritenuto alcuni osservatori?
Al microfono di Alessandro Gisotti risponde mons. Domenico Sigalini,
vescovo di Palestrina:
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R. – Io sarei anche poco propenso a pensare ad una
definizione del generale, questa spaccatura tra credenti e vertici della
Chiesa, perché non si può da un sondaggio di questo genere definire una
spaccatura. Diciamo, piuttosto, che c’è una appartenenza
generalizzata del popolo italiano al mondo cattolico. Da qui a dire che questo
è il mondo dei credenti ce ne passa tanto perché la fede non è un mettere una
crocetta su un sì, no, non so. Evidentemente è un qualcosa di molto più
profondo ed è un po’ il difetto che sta in tutti questi sondaggi, che sono
sostanzialmente quantitativi e non sono qualitativi, cioè non vanno dentro in
che cosa pensa la persona.
D. – Quali sono, secondo lei, comunque, le cause di questo
fenomeno?
R. – Le cause di questo fenomeno, cioè di risposte così
generalizzate, sono sicuramente molto dovute ai mass media. Potrebbero anche
dire: avete visto che allora la gente la pensa come noi giornali? Ma io potrei
dire: avete visto, voi giornali, come abituando la gente a non pensare riuscite
ad ottenere delle divaricazioni all’interno della propria appartenenza di fede?
Io,comunque, torno a dire che c’è un vero sentimento
religioso nel mondo degli italiani e lo vedo con i giovani. L’80 per cento dei
giovani ha bisogno di credere in Dio. E siccome siamo in Italia, evidentemente
si collega al mondo cattolico. Però da qui a vedere tutte le varie coerenze con
tutti i precetti della Chiesa ci vuole un po’ di rispetto e un modo di
interrogare e di ragionare, di far ragionare che va un po’ più in profondità di
quello che è un sì, no, non so.
D. – C’è un problema, un rischio – come qualcuno intravede
– di una religione fai da te?
R. – C’è molta personalizzazione nella religione. Io direi
che questo non è neanche male perché noi non siamo per una religione
massificata. La Chiesa non è il regno sulle coscienze, ma è il regno delle coscienze.
Quindi che ci sia una personalizzazione per me è un fatto positivo. Vuol dire
che uno se va a Messa non ci va perché ci vanno tutti, ma perché lo decide. Da
qui a pensare che l’unica soluzione sia il relativismo, ce ne vuole.
D. – Quanto emerge dalla ricerca Eurispes
pone, comunque, delle sfide ai vescovi, in particolare sui temi centrali della
vita e della famiglia. Cosa deve fare un pastore su questo fronte? Qual è la
sua esperienza quotidiana?
R. – La mia esperienza quotidiana è che bisogna aumentare gli spazi di formazione,
cioè i luoghi nei quali con le persone non si sta a fare sondaggi, ma si sta a
ragionare, si va in profondità.. Questo credo che sia l’insegnamento che io ne
traggo ed è quello che io continuamente cerco di proporre all’interno della mia
esperienza diocesana. Noi abbiamo bisogno di aiutare i giovani ad incontrarsi
con la Parola di Dio, a far scattare questo incontro con Lui, con Gesù e questo
cambia loro la vita. Questo avviene attraverso lavori concreti in parrocchia,
la parrocchia diventa la casa della speranza, in cui si possono approfondire
questi elementi. Spazi in cui si personalizza questo sentore di dire:io sono cattolico.
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I dati dell’Eurispes pongono
degli interrogativi sul rapporto tra fede e società, in Italia. Ma tornano
anche a sottolineare la questione se si possa essere
credenti, ma al tempo stesso non praticanti. Tema, questo, sul quale si
sofferma Salvatore Martinez, coordinatore
nazionale del Rinnovamento nello Spirito, intervistato da Alessandro Gisotti:
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R. – Io ritengo che bisogna saldare questo binomio tra una
fede pensata e una fede che va assolutamente praticata, ed è il binomio che
rincorre la vita di un cristiano: per un cristiano, privato e pubblico non
possono essere divaricati quasi che ci possano essere due vite. Il risultato
sarebbe quello di rendere Cristo un fantasma nella storia. Bisogna invece fare
della fede un fatto sempre più sociale, perché la fede ha implicazioni sociali
e reclama ricadute sociali. Questi dati sono un richiamo per la comunità
cristiana a riempire di significato tanti rapporti che sembrano svuotarsi di
contenuto autentico.
D. – E’ più un problema di ‘disobbedienza’, da parte dei
fedeli, nei confronti della parola dei pastori, oppure c’è proprio una mancanza,
forse anche un’indifferenza, nei confronti della parola dei vescovi, del Papa,
dei sacerdoti?
R. – Forse, più che di
‘disobbedienza’, che significa poi alla lettera ‘mancanza di ascolto’, è forse ‘distrazione’: tante voci, tanti rumori
che attraggono, distraggono e in qualche modo fanno perdere di vista quello che
è l’obiettivo primo del nostro esistere, le nostre capacità di relazionarci
agli altri: penso in primo luogo alla famiglia. E’ anche un problema di identità
che va riaffermata, io ritengo, proprio a partire da questo richiamo forte
delle verità fondamentali. Che ci sono, che vengono – lo abbiamo visto da
Benedetto XVI – riproposte anche in un modo chiaro. Bisognerebbe forse provare
a riamplificarle anche con metodi nuovi.
D. – Da parte dei giovani c’è un forte bisogno di
religiosità. Come venire incontro a questa esigenza?
R. – Giovanni Paolo II ha educato questi giovani, che in
fondo sono cresciuti con lui e che sono la nuova generazione, a saper
distinguere il bene dal male, e Benedetto XVI si sta ponendo sulla stessa
lunghezza d’onda con molta fermezza ma anche con molto amore. I giovani
rispondono, a questo appello, ed è estremamente incoraggiante, allora, vedere
il ritorno alla preghiera, il ritorno al discernimento spirituale, il desiderio
di cercare risposte più vere, più profonde, provare a trovare dal di dentro e non dal di fuori le ragioni di un’esistenza
che vale la pena vivere.
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IL FORUM DELLE FAMIGLIE LANCIA IL SUO
MANIFESTO ALLE
FORZE POLITICHE
IN VISTA DELLE PROSSIME ELEZIONI: IN PRIMO PAINO IL DIRITTO ALLA
VITA,
LE POLITICHE DI SOSTEGNO PER
MA ANCHE SCUOLA, LAVORO E WELFARE
- Intervista con Luisa Santolini -
Diritto alla vita, politiche di sostegno per
la famiglia, ma anche scuola, lavoro e Welfare. Sono
alcuni dei punti del “Manifesto” politico che il Forum delle Associazioni familiari
ha presentato ieri a Roma. Il testo è indirizzato a tutti gli schieramenti
politici in vista delle prossime elezioni, affinché la famiglia abbia uno
spazio prioritario nei programmi elettorali. Massimiliano Menichetti.
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E’
un momento di emergenza per la famiglia. Così, senza mezzi termini, Luisa Santolini, presidente del Forum delle Associazioni
familiari, organismo che racchiude 43 tra gruppi e associazioni e movimenti, ha
aperto la presentazione del Manifesto “Famiglia – 6 priorità”. Il documento
programmatico, rivolto a partiti, politici, cittadini propone sei punti centrali
per lo sviluppo e il sostegno alle famiglie, tra cui dare più potere
all’associazionismo familiare, un fisco che non distingua solo tra redditi alti
e bassi, ma che tenga conto anche – a parità di reddito
– di chi ha più figli. Luisa Santolini:
“Un fisco più equo per le famiglie, il riconoscimento del
ruolo educativo, la scuola si deve sentire sussidiaria alla famiglia, un welfare, cioè un sistema di servizi a misura di famiglia”.
Uno dei fronti, quello della tutela della vita, ovvero il
“no” all’eutanasia, il miglioramento della legge 40
sulla procreazione artificiale e la corretta attuazione della legge 194:
“La 194 non è stata applicata nella sua completezza e quindi passa per
una legge sull’aborto, quando il titolo è tutela della maternità. Quindi
davanti ad una legge che non ci piace chiediamo che almeno vengano
applicati i primi due articoli cui si riconosce il valore sociale della
maternità e si dichiara che la Repubblica difende la vita umana fin dal suo
inizio”.
Insomma, secondo il Forum, parlare di politiche familiari
significa superare le attuali forme di assistenzialismo e di intervenire non
sui singoli, ma sulla famiglia nel suo insieme. Altra frontiera quella del
lavoro. Nella società attuale è difficoltoso per le donne che vogliono
diventare mamme. Ancora la Santolini:
“Noi proponiamo l’applicazione della legge che fu fatta
dall’allora ministro Turco,
che fu la legge sui congedi parentali, che è disattesa soprattutto dalle
aziende. Chiediamo che il part time venga diffuso, non precarietà,non necessariamente una
eccessiva mobilità”:
Lei ha aperto questa conferenza ribadendo che la famiglia
è un soggetto ben preciso. L’Europarlamento ha adottato una risoluzione di
condanna dell’omofobia, cioè di ogni atteggiamento di discriminazione contro
gli omosessuali. Molti vedono in questo la legittimazione, da un punto di vista
giuridico, delle coppie omosessuali nell’Unione Europea e la possibilità di
sanzionare quei Paesi che porrebbero ostacoli a richieste in tal senso:
“Credo che siano discriminazioni al contrario. Cioè non si
può, in nome di una presunta libertà e di presunti riconoscimenti,
discriminare, viceversa, la famiglia fondata sul matrimonio; non riconoscere la
differenza tra un uomo e una donna, che è una differenza naturale, scritta
nella vita di ognuno di noi e in nome di questa libertà si compie un’azione
violenta nei confronti di quelli che credono delle altre cose. Questo credo che
possa essere tranquillamente rifiutato”.
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NEI
CINEMA IN ITALIA IL FILM FRANCESE “JOYEAUX NOEL”,
UN
RACCONTO DI CHRISTIAN CARION SULLA PRIMA GUERRA MONDIALE
“Una verità dimenticata dalla storia” recita il
sottotitolo del commovente e nobile film francese “Joyeux
Noel” di Christian Carion, da oggi nelle nostre sale. La verità è il “miracolo”
avvenuto, durante la Notte di Natale del 1914, nel cuore dei soldati impegnati
ad uccidersi senza ragioni. Dalle trincee si leva un canto, escono giovani
impauriti e sperduti, ritrovano una speranza: la follia umana la cancella
velocemente. Il servizio è di Luca Pellegrini:
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Lo
sguardo del sacerdote anglicano si fa terreo: è il 4 agosto del 1914, quando la
notizia della dichiarazione di guerra dell’Inghilterra alla
Germania raggiunge la Scozia. Due giovani, invece, sono colti da fatui
entusiasmi: finalmente un senso alla vita, uno scopo. Ma quale scopo? Se lo
domanderanno gli storici alle prese con l’interpretazione di una “inutile
strage” che soltanto dopo cinque anni di massacri e milioni di morti porterà
l’Europa e il mondo ad un nuovo, labile, provvisorio equilibrio. Ed è un fatto
storicamente accertato che la vigilia di Natale del primo anno di guerra,
quando si credeva che nel giro di pochi mesi tutto sarebbe finito, i soldati
inglesi, tedeschi e francesi, al canto di “Stille Nacht”
intonato da un tenore tedesco, e di una vibrante “Ave Maria”
che la moglie soprano leva nella notte commuovendo i cuori di tutti,
uscirono dalle trincee e per sole 24 ore fraternizzarono.
Il
bel film del francese Christian Carion,
che si è avvalso della consulenza storica di Marc
Ferro ed è frutto di quattro anni di ricerca negli archivi, molti militari,
delle nazioni allora in guerra, racconta proprio questo sconosciuto episodio
protrattosi per un giorno soltanto ma dalla forte valenza simbolica: nel fondo
dell’animo umano, pur sconvolto da un’assurda propaganda di odio, l’anelito
alla pace si fa sempre strada, contro le ideologie, contro la violenza, contro
l’intolleranza. Una Messa viene celebrata in quella
santa notte: “l’altare del Signore – è una battuta del film – è il fuoco che
scalda il gelo dei campi di battaglia”. Pregano, i soldati, e poi insieme
mangiano, giocano, si scambiano ricordi. Ma non hanno futuro: le bombe
torneranno a scoppiare, alimentate dalle parole di chi ha sulle spalle la
terribile responsabilità di avere creato un nemico e le distorte ragioni per eliminarlo.
Sembra una ferita lontana, che il progresso o la paura di nuove stragi potrebbero
aver suturato. Invece, ed è questa l’attualità del film ed il suo messaggio, è
ancora un diffuso pericolo nei nostri giorni inquieti.
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20 gennaio 2004
I
VESCOVI DEL VENEZUELA INCONTRERANNO IL PRESIDENTE DELLE
REPUBBLICA,
CHAVEZ,
IL PROSSIMO 24 GENNAIO. L’UDIENZA GIUNGE DOPO LE POLEMICHE
INSORTE
TRA IL CAPO DI STATO ED IL CARDINALE CASTILLO LARA,
CHE HA
FORTEMENTE CRITICATO IL GOVERNO DI CARACAS
CARACAS. = I vescovi venezuelani incontreranno il
presidente delle Repubblica, Hugo
Chavez, il 24 gennaio prossimo nella residenza di
Palazzo de Miraflores, per affrontare “temi di
interesse comune”. Il presidente della Conferenza episcopale, mons. Ubaldo Santana, ha tenuto a precisare che “non verranno
rivolte scuse formali a Chavez”, anche se richieste
dallo stesso capo di Stato, all’indomani delle accuse rivoltegli dal cardinale
Rosalio Castillo Lara. Il porporato aveva
criticato duramente l’esecutivo durante l’omelia pronunciata di fronte a migliaia di fedeli riuniti nella cattedrale di Barquisimeto, nella Messa al termine della processione
della Divina Pastora. Secondo il cardinale Castillo
Lara il governo, eletto democraticamente sette anni
fa, ha “perso il suo aspetto democratico e presenta segni di dittatura”.
Secondo mons. Ubaldo Santana il cardinale “ha esercitato il suo diritto di
critica, come è nelle facoltà di qualunque cittadino”. Oltre al presidente dei
vescovi venezuelani, saranno presenti all’incontro il
vice presidente vicario della Conferenza episcopale, mons. Roberto Lückert, l’altro vice presidente, mons. Jorge
Urosa Sabino e il segretario generale, mons. Ramon Viloria, il quale ha precisato: “Non possiamo chiudere la
bocca a nessuno perché in Venezuela c’è libertà di parola e di pensiero.”
Inoltre, mons. Ubaldo Santana ha ricordato che il
porporato “non fa parte giuridicamente dell’episcopato” e pertanto “non
riteniamo opportuno emettere un comunicato a nome dei
vescovi”. Lo stesso registro viene usato
dall’arcivescovo di Mérida, mons. Baltazar
Porras Cardozo: “Le
dichiarazioni di Chavez contro i pastori della Chiesa
hanno come unico intento quello di distrarre la popolazione dai problemi reali
del Paese. Il suo obiettivo è creare confusione e divisione. Le questioni vere
non riguardano i rapporti tra Stato e Chiesa. Rimane, comunque, da parte nostre la piena disponibilità a risolvere i
problemi”. (D.D.)
TORNA
NELLE SCUOLE RUSSE L’ORA DI RELIGIONE DOPO DECENNI DI ATEISMO
DI STATO.
NELLE REGIONE DI VLADIMIR, KALUGA E KALININGRAD
SARANNO
AVVIATI CORSI DI CULTURA ORDODOSSA,
TENUTI
DA ESPONENTI DEL CLERO
MOSCA. = Dopo decenni di ateismo di Stato, torna nelle
scuole russe l’ora di religione. Sarà avviato nelle regioni di Vladimir, Kaluga e Kalinigrad un
esperimento pilota destinato a riportare il Crocefisso fra i banchi, attraverso
l’offerta di corsi - al momento facoltativi - di “fondamenti della cultura
ortodossa”, tenuti da rappresentanti del clero ortodosso russo. E presto la
materia diventerà obbligatoria, sebbene gli studenti potranno comunque
chiedere l'esonero. L’annuncio ha provocato reazioni irritate da parte delle altre confessioni
religiose: per il portavoce del Consiglio dei muftì russi, il musulmano Gulnur Gaziev, “le scuole statali
devono rimanere laiche, la teologia va studiata solo negli istituti religiosi”;
e Borokh Gorin,
rappresentante della Comunità ebraica
della Federazione russa, ha detto al quotidiano “Izvestia”
di ritenere l’iniziativa “foriera di divisioni etniche e religiose fra gli
studenti: la scuola dovrebbe restare multietnica e multiconfessionale”.
Per
APPELLO
DEI VESCOVI DEL GABON ALLA PACE, DOPO LE VIOLENZE SEGUITE
ALLA
RIELEZIONE PER
IL
DIALOGO È
LIBREVILLE.= I vescovi del Gabon, in un messaggio “ai
cristiani, agli uomini di buona volontà e a tutto il popolo gabonese”, reso
noto il 17 gennaio scorso, condannano gli atti di violenza che si sono
verificati nel Paese, a seguito della rielezione per la sesta volta di Omar Bongo Ondimba a capo dello Stato.
Come riferisce l’agenzia vaticana Fides, i presuli hanno più volte invitato la
popolazione, in questa fase di transizione, a mantenere la calma e a mettere da
parte ogni sentimento di odio e vendetta. Inoltre, nel documento i vescovi
indicano la strada del dialogo come unico strumento valido alla risoluzione dei
conflitti. Il ricorso alla violenza – scrivono – non ha mai portato da nessuna
parte. (A.E.)
IN
COLOMBIA, QUASI
E
INDIGENZA. A RIVELARLO È L’ULTIMO RAPPORTO DEL DIPARTIMENTO NAZIONALE
DI
PIANIFICAZIONE COLOMBIANO, MA
DENUNCIA
CHE
BOGOTÁ.= In Colombia, scende
l’indice di povertà ma non ci sono ancora le condizioni
per garantire una sussistenza dignitosa a tutta la popolazione. E’ quanto
emerge dall’ultimo rapporto del Dipartimento nazionale di pianificazione (DNP),
che ha svolto la sua ricerca basandosi su dati registrati negli ultimi tre
anni. Risulta, infatti, che dal 2002 al 2005 la povertà è scesa dal 57 al 49
per cento. Tale miglioramento, che interessa 2 milioni e 300 mila colombiani,
si deve – secondo il direttore del DNP, Trujillo -
alle conseguenze positive della crescita economica del Paese e delle politiche
sociali, con la creazione di nuovi posti di lavoro e la riduzione del divario
tra i più ricchi e i meno abbienti. Tuttavia, si stima che siano ancora 22
milioni le persone costrette a vivere nell’indigenza, di cui il 42 per cento residente nelle aree urbane e il 68 per cento
nelle zone rurali, tra l’altro le più colpite dal conflitto interno. A questo
proposito, Trujillo ha spiegato che a peggiorare la
situazione nelle campagne, dove ancora non ci sono adeguate politiche agricole
e sociali, contribuiscono i gruppi armati illegali che sfruttano i campesinos nelle piantagioni di coca e papavero da
oppio. Il rapporto del DNP è stato però criticato dalla Centrale unitaria dei
lavoratori (CUT), secondo la quale altre statistiche e altri studi, da loro
ritenuti più affidabili, hanno invece documentato che la crescita del 5 per
cento del PIL ha favorito solo i più ricchi, con uno scenario dunque più
drammatico. (A.E.)
RICOSTRUITO
NELLO SRI LANKA IL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI MATARA,
DISTRUTTO
DALLO TSUNAMI IL 26 DICEMBRE DEL
2004:
LO HA
ANNUNICATO IL RETTORE PADRE HEWAWASAM
COLOMBO. = Il Santuario di Nostra Signora di Matara, uno dei principali dello Sri
Lanka, è stato ricostruito dopo essere stato
distrutto dallo tsunami
che ha flagellato il sud-est asiatico. Lo ha reso noto il rettore del
Santuario, padre Charles Hewawasam,
che si è salvato per miracolo quando il tempio è stato
invaso dalle acque il 26 dicembre 2004. Delle 75 persone riunite nel Santuario,
ne sono morte più di 20. Quando la marea è scesa, le acque si sono portate via
anche la veneratissima immagine di Nostra Signora di Matara, per tornare a depositarla, con grande sollievo di
padre Charles e dei cattolici dello Sri Lanka, tre giorni dopo sulla
riva del mare. In una lettera inviata all’Associazione “Aiuto alla Chiesa che
Soffre”, che ha collaborato alla ricostruzione, il sacerdote ha reso noto di
avere ora il progetto di costruire un nuovo tetto per la chiesa ed un nuovo
presbiterio che sostituisca il precedente, gravemente
danneggiato dal maremoto. (R.G.)
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20
gennaio 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Iraq la commissione elettorale
ha diffuso i risultati delle elezioni legislative tenutesi nel Paese arabo lo
scorso 15 dicembre e vinte dall’Alleanza sciita. Il capo di
Al Qaeda torna, intanto, a far sentire la propria voce. Il nostro
servizio:
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I conservatori sciiti hanno vinto
le legislative irachene senza ottenere, però, una maggioranza assoluta. Secondo
i dati ufficiali, l’Alleanza sciita ha ottenuto 128 seggi su 275, contro i 53
dei curdi e i 44 della principale formazione sunnita. Prima della comunicazione dei risultati, il
governo aveva disposto la chiusura di tre province a maggiore rischio di attacchi
terroristici. Ma nonostante queste straordinarie misure di sicurezza, la
guerriglia ha sferrato nuovi attacchi. Almeno 4 persone sono morte
nell’e-splosione di una bomba a Baghdad. L’ordigno, collocato in una zona
commerciale del centro, aveva come obiettivo un convoglio di soldati americani.
Violenze anche a Kerbala, dove i guerriglieri hanno ucciso
un ufficiale di polizia. Sul fronte dei sequestri, il ministero degli Esteri
del Kenya ha reso noto che due ingegneri kenioti sono stati rapiti dopo
l’attacco di mercoledì scorso contro un convoglio di dipendenti di una società
di comunicazioni e costato la vita a 10 persone. Un nuovo appello è stato
lanciato inoltre dal padre di Jill Carroll, la giornalista americana rapita in Iraq. Oggi
scade l’ultimatum dei sequestratori, che chiedono la liberazione di alcune
detenute irachene. A questa drammatica sequenza di attacchi e sequestri ad opera della guerriglia, si deve poi aggiungere un nuovo
messaggio di Al Qaeda. Dopo oltre un anno di silenzio, Osama
Bin Laden ha nuovamente
minacciato, infatti, gli Stati Uniti con un messaggio audio trasmesso ieri
dall’emittente araba “Al Jazeera”. Secondo la CIA, la
voce impressa sul nastro è proprio quella del capo di Al
Qaeda. Nel messaggio, l’emiro saudita propone anche “una lunga tregua” al
popolo americano in cambio del ritiro dall’Iraq. Questa proposta è stata
respinta dalla Casa Bianca.
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Ma
perché Osama Bin Laden è tornato a farsi sentire proprio adesso, dopo oltre
un anno dall’ultimo messaggio? Giancarlo La Vella lo ha chiesto all’esperto di terrorismo del Corriere
della sera, Guido Olimpio:
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R. – Innanzitutto, perché nella strategia di Al Qaeda rientra il piano di lanciare messaggi in modo
periodico e continuato per tenere alta la tensione, e anche – probabilmente –
per smentire le voci secondo cui Osama sarebbe morto.
Si cerca inoltre di esortare e compattare i seguaci di quella che non è più
un’organizzazione ma un movimento. Quindi, con questi messaggi, si vuole
trasmettere l’idea di una struttura presente,in grado
di andare avanti.
D. – Perché proprio in un momento in cui le situazioni in
Afghanistan e in Iraq, sia pure con tutte le difficoltà del caso, però si
stanno comunque avviando verso la democratizzazione?
R. – Questo perché Al Qaeda vuole essere un soggetto,
prima “militare” e quindi politico. In questa seconda direzione, va letta
l’offerta di tregua, respinta dagli americani. La proposta di tregua significa:
“Voi dovete considerarci”.
D. – Perché tutte queste difficoltà da parte
dell’intelligence americana, di scovare Osama Bin Laden?
R. – Da una parte, possiamo fare i dietrologi:
c’è chi può pensare che non lo vogliano prendere. D’altra parte, però, bisogna
essere onesti: la zona dove si nascondono i capi di Al
Qaeda è una area molto vasta e, soprattutto, è impervia. In questa zona le
protezioni sono fortissime. Magari, Osama non è
neppure lì: forse si nasconde in una città! Per questo, sono molteplici i dubbi
e gli interrogativi su tale aspetto.
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La decisione dell’Italia di
ritirare il proprio contingente dall’Iraq entro la fine dell’anno è un riflesso
dei progressi ottenuti nel Paese. Lo ha detto il portavoce della Casa Bianca, McClellan, spiegando come la decisione sia stata presa in
stretta consultazione con le forze della coalizione. L’annuncio
del ritiro è stato dato ieri dal ministro della Difesa italiano, Antonio
Martino. Il ministro ha precisato che 300 militari rientreranno nei prossimi
giorni, altri mille a giugno.
Non
si placano le polemiche sul nucleare iraniano. La Cina ha esortato il governo di Teheran
a tornare al tavolo dei negoziati sul proprio programma di ricerca atomica. Per
Pechino, i negoziati con Gran Bretagna, Francia e Germania rimangono la strada
per risolvere pacificamente il contenzioso. Temendo sanzioni da parte dell’ONU
a causa del programma nucleare, l’Iran ha cominciato inoltre a trasferire i
propri depositi bancari da conti europei in quelli di banche asiatiche. Intanto, il direttore dell’agenzia atomica
russa ha annunciato che il governo iraniano manderà nei prossimi giorni a Mosca
una delegazione per proseguire le trattative sulla possibilità di far
arricchire l’uranio in Russia.
“Nessuna causa giustifica atti destinati a uccidere e ferire
civili”. Con queste parole il segretario generale dell’ONU, Kofi
Annan, ha condannato l’attentato suicida di ieri nei
pressi di una vecchia stazione degli autobus a Tel Aviv. L’Azione terroristica
ha provocato, oltre alla morte del kamikaze, il ferimento di almeno 30 persone.
Secondo il ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz, Iran e Siria sono tra i responsabili dell’attentato
kamikaze. A Gerusalemme, intanto, restano immutate le condizioni di Ariel Sharon,
ricoverato in terapia intensiva e in coma profondo indotto farmacologicamente
per il sedicesimo giorno consecutivo, in seguito all’ictus dello scorso 4
gennaio.
In Pakistan almeno 8 mila persone hanno
manifestato a Wana, città della regione tribale del Waziristan, per protestare contro l’attacco missilistico
americano di una settimana fa a Damadola, remoto
villaggio nella parte nord-occidentale del Paese. Il raid aereo aveva come
obiettivo il vice di Osama Bin
Laden, Al-Zawahiri, ma
nell’azione sono rimasti uccisi almeno 18 civili. Secondo l’intelligence pakistana, l’attacco
avrebbe provocato anche la morte di alcuni importanti militanti di Al Qaeda.
Tensione in Nepal. Coprifuoco e
arresti di oppositori imposti dal governo nel giorno in cui il Paese è
mobilitato per una imponente manifestazione a Kathmandu contro la monarchia. Circa 15.000 soldati e
poliziotti stanno pattugliando le strade della città, per la protesta promossa
dai 7 partiti di opposizione contro il re Gyanendra,
protagonista meno di un anno fa di un duro colpo di mano con cui ha sciolto
l’esecutivo, nominato un nuovo governo e limitato le libertà civili. Il governo
intende impedire la dimostrazione per evitare infiltrazioni di ribelli maoisti,
che dal ‘96 puntano a rovesciare la monarchia.
Sciagura aerea in Ungheria: un aereo
militare slovacco è precipitato, ieri, nel nord est dell’Ungheria. Le persone
rimaste uccise nello schianto sono 42, una è sopravvissuta. Secondo una prima ricostruzione, il pilota del
velivolo, che trasportava un gruppo di soldati della
NATO di ritorno dalla loro missione in Kosovo,
potrebbe aver tentato un atterraggio di fortuna.
E’ salito ad
almeno 52 morti il numero delle vittime per la sciagura stradale avvenuta nella
parte meridionale dello Stato indiano del Jammu, dove
un pullman di linea sovraccarico di passeggeri è precipitato in un burrone
profondo circa 400 metri.
Incidente
stradale anche in Bolivia, dove almeno 37 persone, tra cui diversi bambini, sono
morte quando un bus è finito in un profondo dirupo.
L’inci-dente è avvenuto a 640 km da La Paz in una zona di
montagna tra le province di Potosi e Tarij.
In Italia, il presidente della
Repubblica, Ciampi, ha rinviato alle Camere la legge
sulla riforma dell’appello. Ciampi, a norma dell’articolo 74 della Costituzione, ha chiesto una
“nuova deliberazione” della legge. Le nuove norme stabilivano l’impossibilità
di appello per le sentenze di primo grado se l’imputato è stato riconosciuto
innocente.
Secondo stime dell’OPEC, la
domanda mondiale di petrolio crescerà, nel 2006, dell’1,9 per cento arrivando a
84,8 milioni di barili al giorno. Intanto, dopo le tensioni sul fronte internazionale,
le nuove minacce di Bin
Laden e il riaprirsi della crisi delle forniture di gas dalla Russia, il
prezzo del petrolio è salito a 67,11 dollari al barile nelle contrattazioni after hours
(dopo la chiusura ufficiale della borsa) a New York.
Il termometro a Mosca ha toccato temperature polari,
scendendo fino a 32 gradi sotto zero. Almeno sette persone sono morte per
congelamento. Il grande freddo ha anche provocato una riduzione nella fornitura
di gas.
In Nigeria, i ribelli che tengono in ostaggio otto operai
della compagnia Shell hanno nuovamente minacciato le
società petrolifere straniere che operano nel Paese africano. In un messaggio,
inviato alla agenzia Reuters, i sequestratori hanno
nuovamente intimato alla stessa compagnia di sborsare un miliardo e mezzo di
dollari per risarcire le popolazioni del delta del Niger per l’inquinamento
ambientale provocato dalle attività estrattive. Le
organizzazioni sindacali del settore petrolifero nigeriano hanno proposto di
ritirare i lavoratori dagli impianti se continueranno le violenze che oppongono
militanti etnici alle forze locali.
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