RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 5 -
Testo della trasmissione di giovedì 5
gennaio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Alle 18.00
Benedetto XVI visiterà a Roma il presepe dei netturbini: ce ne parla Giuseppe
Ianni
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
La Chiesa propone la verità, non la impone: così il
cardinale Dionigi Tettamanzi
Alluvioni in Mozambico: almeno 8 le vittime, migliaia gli
sfollati
12 milioni di indigeni messicani vivono in
condizioni di estrema povertà
Decine di morti in vari attentati in Iraq e
Afghanistan
Proseguono senza sosta i soccorsi nell’isola
indonesiana di Giava dove una valanga di fango ha sepolto un villaggio
In Italia infuriano le polemiche sulla cosiddetta
“Bancopoli “
5 gennaio 2006
COME MARIA PRESENTO’ GESU’ AI MAGI COSI’ CONTINUA
AD OFFRIRLO ALL’UMANITA’:
E’ LA RIFLESSIONE
DI BENEDETTO XVI ALLA VIGILIA DELLA SOLENNITA’ DELL’EPIFANIA, NELL’UDIENZA DI
STAMANI AGLI ADDETTI DELL’ANTICAMERA PONTIFICIA
L’Epifania vissuta attraverso gli occhi
di Maria: nella vigilia della Solennità della Manifestazione del Signore, Benedetto
XVI ha messo l’accento sul dono che la Vergine continua a presentare oggi al
mondo come duemila anni fa ai Re Magi. L’occasione è stata offerta dall’udienza
agli Addetti dell’Anticamera pontificia, che prestano il loro prezioso servizio
durante gli incontri del Papa con le autorità politiche e gli ambasciatori
accreditati presso la Santa Sede. Sull’incontro tenutosi in Sala Clementina, ci
riferisce Alessandro Gisotti:
**********
Alla vigilia
della Solennità dell’Epifania, Benedetto XVI ha rivolto il pensiero a Maria. La
Madre, ha detto il Papa, “presenta il Bambino Gesù ai Magi venuti da lontano
per adorarlo”. E così fa ancora oggi, continuando “ad offrirlo all’uma-nità”:
“Accogliamolo dalle
sue mani: Cristo colma le attese più profonde del nostro cuore e dà senso pieno
ad ogni nostro progetto e azione. Sia Egli presente nelle famiglie e regni
dappertutto con la potenza del suo amore”.
La materna
intercessione di Maria, ha detto ancora, ci permetta “di sperimentare ogni
giorno di più la comunione profonda” con il Signore, “comunione che inizia
sulla terra e giungerà alla sua pienezza nel cielo, dove, come ricorda san
Paolo, saremo concittadini dei santi e familiari di Dio”. Benedetto XVI
si è dunque soffermato sul servizio che gli Addetti di Anticamera prestano al
Papa in occasione di ricevimenti ufficiali. Il ringraziamento del Pontefice è
stato corredato da una riflessione sullo spirito che deve sempre animare chi
serve Gesù Cristo:
“Il vostro
servizio comporta anche un impegno assiduo di testimonianza verso Colui che è
il vero Signore e Padrone di casa: Gesù Cristo. Ciò richiede che si intrattenga
con Lui un dialogo costante nella preghiera, che si cresca nella sua amicizia e
intimità, pronti a testimoniare il suo amore accogliente con chiunque si
incontra”.
Questo
servizio, ha aggiunto, può diventare “un’occasione per trasmettere con la
cortesia e la cordialità la gioia di essere discepoli di Cristo in ogni
situazione e in tutti i momenti della nostra vita”. D’altro canto, il Pontefice
non ha mancato di sottolineare l’importanza di chi collabora in vario modo con
il Successore di Pietro:
“Cambiano i tempi, mutano le usanze e i costumi,
resta però invariato lo spirito con cui ognuno è chiamato ad operare accanto a
colui che la Provvidenza divina chiama a reggere la Chiesa universale. Poiché
questa casa, la Casa Pontificia, è casa di tutti i credenti, tocca anche a voi,
cari Addetti di Anticamera, renderla sempre accogliente a chiunque viene ad
incontrare il Papa”.
Sulle origini
di questo organismo della Famiglia Pontificia si hanno poche notizie. Gli
storici concordano nell’affermare che gli Addetti di Anticamera esistevano già
nell’anno 1592 sotto il Pontificato di Papa Clemente VIII con il nome di
“Cavalieri della Bussola”. Con il motu proprio Pontificalis Domus di
Paolo VI, nel marzo del 1968, i Bussolanti sono stati denominati Addetti
di Anticamera.
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DOMANI MATTINA IL PAPA
PRESIEDE NELLA BASILICA VATICANA
LA SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA
- Con
noi, mons. Gianfranco Ravasi -
Domani mattina Benedetto XVI
presiederà a partire dalle 9.30 nella Basilica Vaticana la Santa Messa nella
Solennità dell’Epifania. Alle 12.00 si affaccerà poi dalla finestra del suo
studio per il consueto Angelus festivo. La Radio Vaticana trasmetterà in
diretta i due avvenimenti. Nell’Epifania si celebra la manifestazione di Cristo
ai popoli del mondo: i Magi, guidati dalla stella, giungono dall’Oriente per
adorare Gesù Bambino. Gli portano tre doni: l’oro e l’incenso che proclamano il
Re e Dio immortale e la mirra che annuncia l'Uomo deposto dalla Croce. Sul
significato teologico di questa Solennità, Roberta Moretti ha intervistato il
biblista e teologo, mons. Gianfranco Ravasi:
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R. – L’Epifania ha al suo centro i
Magi, che non sono con tutte quelle caratteristiche, qualche volta anche molto
folcloriche, che sono state escogitate dalla tradizione: il Vangelo di Matteo
non dice che sono tre: lo si è fatto sulla base di quei tre doni; non dice che
sono re. Sono stati rimandati alle tre etnìe fondamentali secondo il colore
della pelle, ma anche questo è un tentativo di spiegare quella ragione per cui
essi sono stranieri e quindi rappresentano tutti i popoli della terra. Non è
molto agevole certo determinare chi fossero dal punto di vista storico. Le
opinioni sono diversissime tra gli studiosi, molti ricorrono alla cultura
iranica, e alla tradizione di quel popolo. Ma agli occhi di Matteo appaiono
come una delegazione, un’aggregazione dei popoli della terra i quali incontrano
Cristo. Si verifica perciò già in anticipo, quello che avrebbe poi detto Gesù:
“Verranno da oriente e da occidente e siederanno a mensa nel Regno di Dio”.
Sono i diversi, gli stranieri, che entrano nella comunità che Cristo sta
inaugurando con la sua presenza.
D. – Cos’è che oggi ogni uomo può
portare in dono a Gesù Bambino, a Dio che si fa uomo?
R. – I Vangeli dell’infanzia di
Gesù, con questa scena, vogliono soprattutto rappresentare il tema della
ricerca. Quindi, il dono che ognuno di noi deve fare nel Natale di Cristo è
mettersi in cammino verso il mistero, verso la pienezza della verità, verso
Cristo che incarna in sé tutta l’umanità. E allora, vuol dire andare verso
l’altro, soprattutto gli ultimi della terra, i diversi da noi, coloro che
gridano, che lanciano il loro appello verso di noi.
D. – Cos’è che guida l’uomo verso
Cristo come la cometa per i Magi?
R. – Cristo si muove verso di noi.
Dobbiamo sempre ricordare che prima di tutto è Cristo che rompe il silenzio
della storia dell’umanità, dell’uomo che se ne va per le sue strade. San Paolo
dice: Il profeta osa dire “Io il Signore, mi sono fatto trovare anche da quelli
che non mi cercavano, ho risposto anche a quelli che non mi invocavano”. Cristo
prima di tutto si mette sulle nostre strade ed è a questo punto che noi, con la
nostra libertà, dobbiamo ascoltare quella voce. Direi perciò che il muoversi
verso la stella è perché brilla la stella, perché ci sono dei segni. Dobbiamo
cercare di non essere persone che superficialmente distratte non riescono a
vedere questa presenza trascendente che è accanto a noi. E’ Cristo che passa, è
Cristo che bussa per mostrarsi, per fare la sua epifania nella nostra vita ma
sta a noi alla nostra libertà, aprire la porta e essere in comunione con Lui.
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QUESTO POMERIGGIO BENEDETTO XVI VISITERÀ A
ROMA IL PRESEPE DEI NETTURBINI. REALIZZATO NEL 1972, PER I PONTEFICI È ORMAI
UNA TRADIZIONE AMMIRARLO,
OGNI ANNO,
ARRICCHITO DI NUOVI PARTICOLARI. LO HANNO GIÀ VISTO PAOLO VI
E PER
24 ANNI GIOVANNI PAOLO II
-
Intervista con Giuseppe Ianni -
Lo hanno visitato Paolo VI e, per 24 anni, Giovanni Paolo II; questo
pomeriggio potrà ammirarlo Benedetto XVI. E’ il presepe dei netturbini di Roma,
allestito nei pressi del Vaticano, che riproduce la Palestina di 2000 anni fa.
200 personaggi, 95 case, 3 fiumi, 4 acquedotti ed oltre 1200 pietre provenienti
da tutto il mondo: sono alcuni dati di questo allestimento che vuole trasmettere
un messaggio di pace per tutti i popoli. Tiziana Campisi ha chiesto
all’ideatore Giuseppe Ianni, che ha iniziato la costruzione del presepe nel
1972, con quale stato d’animo i netturbini attendono l’arrivo del Papa:
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R. – Stiamo aspettando con ansia
di vedere il Santo Padre qui in mezzo a noi.
D. – Qual è il messaggio che i
netturbini di Roma vogliono dare con questo presepe?
R. – Il messaggio è di pace come
sempre, come da 34 anni. Questo è il presepe della pace.
D. – Come è stato realizzato
questo presepe? Che tipo di materiali avete utilizzato?
R. –
Materiali da costruzione: calcio, cemento, pietre. Tutto qui. Ci sono pietre
provenienti da quasi tutto il mondo. La porticina della Natività è in legno di
ulivo di Betlemme, portato da padre Ibrahim Faltas, già custode della Basilica
della Natività di Betlemme. L’acquedotto è fatto di frammenti di marmo,
scartati durante il restauro della facciata di San Pietro. Chiesi a Sua
Eminenza, il cardinale Noè, se poteva darceli. Abbiamo costruito qui un
acquedotto e al Santo Padre, Giovanni Paolo II, è molto piaciuto. Ha detto: “Ha
fatto bene, perché l’acqua è vita”.
D. –
Quali altri dettagli rendono unico questo presepe?
R. – Le
pietre di tutto il mondo. Qui c’è l’unione dei popoli. Ad esempio, abbiamo
oltre 100 gradini di una pietra che proviene dai luoghi di Padre Pio.
D. –
Lei è l’ideatore di questo presepe, ma come l’ha pensato?
R. – Io
facevo parte dell’Azione Cattolica e mi hanno insegnato che si deve fare
apostolato ovunque. Questo è un segno di apostolato.
D. – Da
Paolo VI a Benedetto XVI, insomma questo è proprio il presepe dei Papi…
R. – E’
il presepe dei romani, dei Papi, dei netturbini. Noi lo chiamiamo presepe dei netturbini.
Qualcuno dice che è il presepe del Papa, perché il Papa ne era innamorato. Ogni
volta che veniva facevamo un commento. Si ricordava tutto, quello che c’era e
quello che non c’era. Giovanni Paolo II l’ha visto nascere questo presepe. E’
venuto per 24 anni di seguito. E Benedetto XVI sicuramente verrà tantissime
volte, come Papa Giovanni Paolo II.
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ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Nel corso della mattinata,
Benedetto XVI ha ricevuto in udienza il principe Alessandro Torlonia,
assistente al Soglio, con la consorte; il signor John Joseph Herron,
ambasciatore di Australia, con la consorte, in visita di congedo, e Frère
Alois, priore di Taizé.
A Taiwan, il Papa ha accettato la
rinuncia al governo pastorale della diocesi di Kaohsiung, presentata dal
cardinale Paul Shan Kuo-shi, della Compagnia di Gesù, per sopraggiunti limiti
d’età. Gli succede mons. Peter Liu Cheng-chung, coadiutore della medesima
diocesi.
In Polonia, Benedetto XVI ha
nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Wrocław mons. Andrzej Siemieniewski,
del clero della medesima arcidiocesi, attualmente vicario episcopale per la
Formazione permanente del clero e professore ordinario e direttore della
cattedra di Teologia Spirituale presso la pontificia facoltà di Teologia di
Wrocław, assegnandogli la sede titolare vescovile di Teuzi.
In Canada, il Pontefice ha
nominato vescovo di Whitehorse il
reverendo Gary Gordon, del clero di Vancouver, parroco e delegato
dell’arcivescovo per le carceri.
Il Papa ha nominato Scriptor
latinus della Biblioteca Apostolica Vaticana il dott. Adalbert Roth, finora
Aiuto Scriptor, ed ha nominato Scriptor graecus della medesima
Biblioteca il dott. Sever Juan Voicu, finora assistente.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la
prima pagina l’Iraq dove l’infuriare delle violenze ha provocato cento morti.
Servizio
vaticano – L’udienza di Bendetto XVI ai membri del Collegio degli Addetti di
Anticamera.
Servizio
estero - Israele: in gravi condizioni Ariel Sharon; il capo di governo operato
d’urgenza a Gerusalemme dopo un ictus cerebrale.
Servizio
culturale - Un articolo di Franco Lanza dal titolo “Giovanni Pascoli e la
sacralità del mistero”: l’ispirazione cristiana nell’opera del poeta.
Servizio
italiano - In rilievo la vicenda delle intercettazioni.
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5 gennaio 2006
MOLTO GRAVI LE CODIZIONI DI SHARON,
RICOVERATO
nell’unità di rianimazione neurochirurgica.
Il ministro delle Finanze Ehud Olmert E’
primo ministro pro-tempore
- Con
noi Antonio Ferrari, Alon Altaras, padre Pierbattista Pizzaballa
-
Le condizioni di
Sharon sono molto gravi. E’ ricoverato nell’unità di rianimazione
neurochirurgica, dopo l’ultima operazione con cui i medici sono riusciti ad
arrestare l’ultima emorragia cerebrale. Un primo intervento nella notte, in
conseguenza di altre emorragie in nottata non era stato sufficiente. Il
servizio di Fausta Speranza:
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Il ministro delle Finanze Ehud Olmert ha assunto le mansioni di
primo ministro pro-tempore. Preghiere sono in corso in tutto il Paese e da
tutto il mondo giungono dichiarazioni di solidarietà umana, a partire dal
premier palestinese Abu Ala. Intanto sui giornali israeliani già si parla della
“fine
dell’era Sharon”. Un uomo che, da generale in prima linea, ha fatto scrivere di
sé ultimamente anche pagine di dialogo, seppure con scelte non tutte facilmente
decifrabili. Ma per capire cosa rappresenta Sharon per Israele, Giada Aquilino
ha intervistato Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere
della Sera ed esperto di questioni mediorientali:
R. – Ci
sono due Sharon. Lo Sharon condottiero, militare, eccessivo in certe sue
operazioni – ci sono stati dei rastrellamenti molto pesanti voluti da lui – c’è
lo Sharon dell’occupazione del Libano. E lo Sharon che diventa l’innesto della
seconda Intifada, con la famosa passeggiata provocatoria sulla Spianata delle
Moschee, accompagnato da 1500 soldati. A quel punto, il Paese ripiomba nella
violenza. I palestinesi alzano il tiro: dall’Intifada delle pietre, la prima,
si passa all’Intifada delle armi anche pesanti, la seconda. Quindi, comincia
una campagna terroristica veramente consistente, forte e micidiale, direi. E a
questo punto il Paese vuole quasi una guardia del corpo. E chi va a scegliere?
Va a scegliere proprio questo personaggio. Sharon arriva, vince per due volte
di fila le elezioni, e comincia a cambiare. Comincia a dire che bisogna fare
delle dolorose concessioni, ecc. Aveva detto che si sarebbe ritirato da Gaza,
ritiro unilaterale con smantellamento di tutte le colonie ebraiche, e sarebbe
stata la prima volta. E questo è accaduto. Non soltanto, per far questo ha
dovuto affrontare una crisi di governo, ha cambiato alleati fino al punto, lui
che era stato una delle anime del partito di destra, il Likud, da uscire da
quel partito per fondare un partito di centro e prepararsi sicuramente ad una
schiacciante vittoria elettorale il 25 marzo.
D. – Con le elezioni di marzo alle
porte, allora quale sarà la sorte del nuovo partito di Sharon, Kadima?
R. – Senza
Sharon, questo partito rischia un’implosione, ancor prima di diventare
fattivamente un partito. Non c’è nessun personaggio in Israele che possa
competere con Sharon, con la sua personalità. Parlo di implosione con il
rischio di una ulteriore frammentazione della vita politica israeliana. E’
chiaro che a questo punto, forse, la destra potrà recuperare qualche punto.
Forse il partito laburista terrà le posizioni, ma verrà a mancare quel grande
spazio, con il rischio quindi di una fuga centrifuga di deputati e di
personalità verso, forse, altre formazioni. C’è l’ipotesi di tenere in piedi
questa formazione, della quale però
nessuno è in grado di poter prendere il timone: un successore di Sharon non esiste.
D. – Due attacchi in meno di 20
giorni. Israele teme che il premier non possa riprendersi e alza lo stato di
allerta per paura di nuovi attentati. La situazione sul terreno può degenerare?
R. – C’è un forte rischio.
Degenerare, non lo so, però può aggravarsi dopo il ritiro da Gaza. C’è stato
qualche piccolo attentato, ma nulla di particolarmente grave, proprio perché le
speranze del rilancio della politica israeliana, che Sharon aveva praticamente
rivoluzionato, potevano avere degli effetti anche sulla politica palestinese. I
palestinesi andranno alle urne ben prima degli israeliani, cioè il 25 gennaio,
in una situazione molto, ma molto delicata, con Gaza che è in preda al caos;
con il presidente Mahmud Abbas che non riesce a condurre con mano ferma
l’Autorità Nazionale Palestinese, e con la forte crescita di Hamas, che rischia
di diventare veramente un vero sfidante del potere dei laici all’interno del
mondo palestinese. E poi c’è tutto il mondo arabo. Abbiamo almeno tre crisi
molto gravi alle porte di Israele, cominciando dalla guerra all’Iraq. Abbiamo
le minacce che arrivano dall’Iran. Abbiamo la situazione della Siria, in grave
difficoltà, dopo che la commissione di inchiesta ha cominciato ad indicare
responsabilità all’interno dello stesso vertice di Damasco, per quanto riguarda
l’organizzazione dell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafiq Hariri.
Abbiamo gli hezbollah in Libano, che in qualche misura sono legati all’Iran, ma
sono anche legati alla Siria, che comunque continua a mantenere in Libano una
certa presenza. Gli hezbollah potrebbero approfittare della situazione per
ricominciare gli attacchi contro Israele. Vediamo, dunque, che il vuoto che si
sta venendo a creare anche adesso, con Sharon ancora in vita, è già pericoloso.
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Ma guardando alla gente in Israele: come
vive la drammatica uscita dalla scena politica di Sharon? Fausta Speranza lo ha
chiesto all’intellettuale scrittore Alon Altaras:
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R. –
Con grande ansia per il processo di pace. Le previsioni non sono molto buone ed
anche la borsa israeliana, non dico sia crollata, ma ha subito una bella botta.
La gente è abbastanza scioccata: ha appoggiato il passo di Sharon, questa
politica verso la pace. La gente adesso non sa chi votare, non sa che tipo di
politica avrà Israele. Il numero due di Sharon, Peres, ha 82 anni. Non è
pensabile che Peres entri e abbia il ruolo di Sharon come leader di Kadima. Si
torna, perciò, ai due partiti tradizionali, il Likud e i laburisti, con questi
due candidati, Peretz e Netanyau. E la gente che pensava di trovarsi con un
nuovo soggetto politico, si trova ora a dover scegliere per forza fra due forze
del passato.
D. – Nella memoria della gente
rimarranno di più gli anni da generale inflessibile o i mesi da protagonista di
un certo dialogo con i palestinesi?
R. – Io non penso che una lunga
carriera politica si possa cambiare in un anno. Sharon - dobbiamo ricordare - non era solo un generale
molto duro, era anche un uomo politico per tanti anni di estrema destra. Lui è
arrivato alla convinzione di dover trattare, di dover fare un compromesso con i
palestinesi, negli ultimi due anni. E questa è una cosa che gli rende onore, ma
non penso si possa cambiare una carriera politica e militare lunga 40 anni in
due anni. Non è il caso di Rabin, che ha fatto veramente una evoluzione. Sharon
si è ritirato dalla Striscia di Gaza, dove c’erano quasi un milione di
palestinesi e 7 mila israeliani. Con tutto il rispetto, devo ammettere che non
penso che questo cancelli il passato e non penso che Ariel Sharon rimanga come
un grande uomo di pace. Non è la stessa cosa. Non è Begin che firma una pace con Sadat e non è Rabin. E’ Sharon. Ha
fatto un ritiro unilaterale e non potrà, purtroppo, fare di più.
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Per
la sorte di Sharon c’è viva apprensione anche nella comunità cattolica in
Israele come spiega da Gerusalemme, al microfono di Roberto Piermarini, il custode di Terra Santa padre Pierbattista
Pizzaballa:
**********
R. - Siamo rimasti tutti scioccati
e colpiti da questa notizia che nessuno si aspettava, innanzitutto per la
persona ma poi anche per le conseguenze politiche che sicuramente vi saranno.
Avevamo iniziato a sperare in un nuovo processo, con una nuova leadership
motivata e forte. Adesso sembra che tutto sia finito. Ci sono tante domande,
tante incertezze, tanta paura. E’ un momento così che ci ha colti tutti di
sorpresa e siamo ancora un po’ senza parole.
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CONCLUSO A ROMA IL CONVEGNO SULLE VOCAZIONI
CON
L’INVITO A TESTIMONIARE LA BELLEZZA DI ESSERE CRISTIANI
- Interviste
con mons. Enrico Masseroni, suor Elena Bosetti, don Luca Bonari -
Il ruolo
della comunità parrocchiale, il valore della speranza reso dalla testimonianza,
il percorso spirituale della vocazione: sono stati questi i temi principali
della seconda giornata del convegno del Centro Nazionale Vocazioni, che si è
concluso questa mattina a Roma. L’incontro, centrato sulla figura di “Cristo
Risorto, speranza del mondo”, ha cercato di tracciare le linee guida di una
pastorale vocazionale che guardi sempre all’Eucaristia, ossia alla
testimonianza quotidiana di Dio nel mondo. Ascoltiamo il servizio di Isabella
Piro.
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Non c’è
alcuna pedagogia della vocazione senza la testimonianza: così Monsignor Enrico
Masseroni, arcivescovo di Vercelli, ha aperto il suo intervento al convegno.
“Tanto più la comunità cristiana sa confrontarsi con la parola di Cristo – ha
aggiunto - tanto più è vivo e fecondo il valore della conversione dei cuori,
perché in tutti – genitori, educatori, sacerdoti – non deve mai mancare la
gioia di essere seminatori di speranza”.
Ma come si può avvicinare i giovani alla vita spirituale? Ascoltiamo
mons. Masseroni:
R. –
Intanto non aver paura dei giovani. I giovani sono disposti all’ascolto, al
dialogo, nella misura in cui noi li ascoltiamo e dialoghiamo con loro. Ai
giovani bisogna accostarci con autenticità e verità. La testimonianza è il
lasciapassare per entrare in dialogo con il mondo giovanile.
Il
cristiano non è un depresso, spettatore di un mesto tramonto delle vocazioni –
ha ribadito Mons. Masseroni – ma è un testimone di speranza, capace di sfuggire
al complesso di minoranza perché consapevole di essere lievito del mondo. Il
presule ha poi ricordato che la vocazione è una chiamata personale di Dio, una
scelta che viene dall’alto ed è per questo che può suscitare timore:
R. – Il
timore intanto non è un atteggiamento negativo. E’ la consapevolezza della
grande differenza tra il mistero di Dio e la creatura umana. Il timore viene
superato dalla fede, dalla preghiera, dalla certezza che la vita non è un
avventura solitaria ma è un’esperienza di compagnia di Dio che opera attraverso
la nostra generosità e la nostra disponibilità.
L’importanza
della chiamata è stata sottolineata anche da suor Elena Bosetti, docente di
Sacra Scrittura alla Pontificia Università Gregoriana. Nel suo intervento,
intitolato Cristo, mia speranza è risorto, la religiosa ha fatto
riferimento alla prima Lettera di Pietro:
R. –
Pietro ha invitato ad essere pronti a rispondere, quindi la vera strategia è
far nascere le domande. Non si tratta di dar risposte a domande non poste, ma
semmai di suscitare domande. Questo significa che c’è uno stile di vita che fa
nascere le domande. Perché ti comporti così? Perché sei sempre contenta? Perchè
sei così serena? A chi pone queste domande, noi possiamo dire qual è la Persona
che ci ha conquistato il cuore.
Nei
suoi scritti, Pietro - ha ricordato Suor Bosetti - suggerisce in modo pratico
come testimoniare la parola di Cristo:
R. –
Propone la strategia del fascino dell’etica. Questi giovani hanno chiuso
l’orecchio alla Parola, ma tengono gli occhi aperti sui cristiani e li
guardano. E allora dobbiamo colpire gli occhi con una testimonianza, con il
fascino, l’estetica, è bello essere cristiani. C’è un fascino nella bontà.
Cristo risorto è la testimonianza che
tutti gli uomini sono cittadini del Cielo, ha detto ancora don Luca Bonari,
direttore del Centro Nazionale Vocazione. Per questo, la chiamata ad una vita
cristiana riguarda anche i laici:
R. – Io
credo che la chiamata, unica per tutti, sia la chiamata all’amore e la
perfezione dell’amore ha un nome, è la santità. Così ci ha ricordato anche
Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte. La prima e fondamentale
vocazione che dobbiamo tutti insieme onorare, è quella del Battesimo, è quella
di essere figli come Gesù.
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5 gennaio 2006
FORTE
PREOCCUPAZIONE TRA LE AUTORITA’ SANITARIE PER
DI DUE
GIOVANI FRATELLI, STRONCATI DALL’INFLUENZA AVIARIA
- A cura di Roberta Gisotti -
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ANKARA. = H5N1, la sigla del virus
aviario che ha reciso la vita di un ragazzo di 14 Mehmet Ali Kocyigit, deceduto
domenica scorsa, ed oggi la notizia della morte della sorella Fatma di 15 anni.
Prime vittime in Turchia, nell’est del Paese, a Dogubeyazit, località al
confine con l’Iran. La malattia è dunque arrivata tra gli uomini alle porte
dell’Europa, dopo avere già ucciso, dal 2003, circa 70 persone in Estremo Oriente.
I due giovani fratelli turchi uccisi dal virus erano stati ricoverati la scorsa
settimana insieme a 7 componenti della loro famiglia, tutti conviventi nella
stessa casa, a contatto costante con i polli, che hanno anche mangiato. Il
ministro della Sanità turco, Recep Akdag, ha rivolto un appello agli abitanti
di Dogubeyazit e dei villaggi limitrofi perché evitino qualsiasi contatto con
volatili. Dogubeyazit si trova infatti a un centinaio di chilometri da un
focolaio di influenza aviaria individuato negli uccelli la settimana scorsa
nell'area di Aralik, non lontana dalla frontiera con l'Armenia e situata sulle
rotte degli uccelli migratori. La
regione era stata messa in quarantena e circa 750 volatili erano stati
abbattuti, in attesa di conoscere l'esito dei test compiuti in Gran Bretagna.
Ankara aveva annunciato il 9 dicembre di aver debellato il virus, dopo aver
macellato più di 10.000 animali. I
veterinari avevano però avvertito che il Paese resta a rischio perché si trova
sulle rotte degli uccelli migratori.
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LO HA
RICORDATO IL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI, IN APERTURA AD ANCONA
DEL
CONVEGNO DIOCESANO SUL TEMA “GESÙ SPERANZA DELL’UOMO”,
RILANCIANDO
UN MESSAGGIO DI ACCOGLIENZA:
OGNI
PERSONA, ANCHE NON CREDENTE – HA DETTO – CHIEDE DI ESSERE AMATA
QUALUNQUE
SCELTA FACCIA NELLA VITA
ANCONA. =
RIPETUTE ALLUVIONI IN MOZAMBICO: ALMENO 8 LE
VITTIME E DUEMILA GLI SFOLLATI
DAI
VILLAGGI TRAVOLTI DALLE ACQUE DEI FIUMI IN PIENA
NAIROBI. = Danni gravissimi, molte
migliaia di sfollati e numerosi morti in Mozambico, la cui parte centrale e
settentrionale è stata sconvolta da vere e proprie alluvioni nell’ultima settimana. Otto morti accertati,
secondo le fonti ufficiali - riferisce
Radio Nairobi - almeno 13, stando ad altre fonti: ma il timore è che il
bilancio finale possa rivelarsi ben più grave. Comunque, non meno di 2.000
nuclei familiari hanno già dovuto
lasciare i loro villaggi travolti dalle acque, mentre i fiumi esondano e
numerose strade, o piuttosto sentieri, sono ormai completamente cancellate. Ci
sono preoccupazioni diffuse per la sorte delle popolazioni che sono rimaste
isolate, mentre in molti ricordano che nel Duemila una vera e propria alluvione
sconvolse il Paese, causando circa 700
morti, e molte decine di migliaia di senzatetto. (R.G.)
12 MILIONI DI INDIGENI MESSICANI VIVONO IN CONDIZIONI DI ESTREMA
POVERTA’,
ESCLUSI DAI PIANI DI SVILUPPO ECONOMICO E DISCRIMINATI NELLE
POLITICHE
SOCIALI: LO DENUNCIA LA CONFEDERAZIONE NAZIONALE CAMPESINA
CITTA’ DEL MESSICO. =
La stragrande maggioranza dei 12 milioni di indigeni messicani, distribuiti in
24 Stati, vive in condizioni di estrema povertà, con appena 8 pesos (circa 70
centesimi di euro) al giorno, senza accesso a servizi di base, come energia elettrica,
sanità, istruzione. La denuncia – di cui dà notizia l’agenzia MISNA – arriva
dalla Confederazione nazionale campesina (CNC), la quale sottolinea che le
oltre 60 etnie del Paese continuano a subire forme di discriminazione e di
esclusione, in palese violazione con i loro diritti costituzionali. “Nessuno
sviluppo potrà considerarsi completo né accettabile fino a quando questo 13 per
cento della popolazione messicana continuerà a essere tenuto fuori dalla vita
economica e sociale del Paese”, scrive la Confederazione. Nelle aree a
prevalenza indigena l’aspettativa di vita è di 64 anni e la mortalità infantile
è pari a 40 su 1.000, doppia rispetto ai non-indios. Insieme all’istruzione –
si calcola che un milione e mezzo di nativi di età superiore a 15 anni siano
analfabeti – un altro aspetto preoccupante è l’applicazione della giustizia:
oltre 1.300 indios sono rinchiusi nelle carceri messicane in larga parte senza
alcuna incriminazione o per reati minori che vanno dal furto di bestiame al
consumo di uova di tartaruga. Secondo Sandra Canas, del Centro di studi di
antropologia sociale (CIESAS) “il problema principale delle popolazioni native
resta l’emarginazione non solo intesa dal punto di vista economico ma
soprattutto culturale. Ci si ostina a non volere riconoscere il loro stile di
vita e a non tutelarlo”. (R.G.)
IN
LETTONIA,
SI
CHIAMERA' “EIRO”, PER
A
PRONUNCIARE IL DITTONGO EU
RIGA. = Il governo della Lettonia
ha deciso che l’euro, che dal primo gennaio 2008 rimpiazzerà la moneta locale
(il ‘lat’), si chiamerà ‘eiro’. Lo ha annunciato il ministro dell’Istruzione lettone, Ina Druviete,
sottolineando che si tratta di “una questione linguistica” a tutela “dell’identità
nazionale”, e non di un “capriccio”. Secondo il ministro, che alle spalle ha
avuto una lunga formazione di linguista, il dittongo (l’unione di due vocali,
una sillabica e una vocale vera e propria) ‘eu’ non esiste nella lingua estone
e la sua pronuncia risulta particolarmente ostica nel Paese baltico. Cosicché,
a rischio di esporsi al malcontento della Banca centrale europea (BCE), Riga ha
deciso che l’euro in Lettonia si chiamerà ‘eiro’, con la ‘i’ al posto della
‘u’. (R.G.)
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5
gennaio 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
L’Iraq
sconvolto da una ennesima giornata di sangue. Al centro delle ultime azioni
della guerriglia ci sono le forze della sicurezza e gli sciiti. A Ramadi, un
attentato contro un centro di reclutamento ha causato la morte di almeno 50
persone. Esplosioni hanno scosso anche Baghdad e nel centro di Kerbala un
attacco contro una moschea sciita ha provocato oltre 40 morti. Intanto, il presidente americano, George Bush, ha confermato la riduzione
della presenza statunitense in Iraq. Il nostro servizio:
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Un kamikaze si è fatto saltare in aria in mezzo ad una folla davanti ad
un centro di reclutamento a Ramadi, ad ovest di Baghdad. Le vittime sono
soprattutto aspiranti reclute della polizia e delle forze armate. Fonti del ministero
dell’Interno iracheno hanno riferito, poi, che in due zone della capitale la
deflagrazione di due ordigni ha causato numerose vittime, tra le quali diversi
civili. Oltre alle forze di sicurezza, le azioni della guerriglia continuano a
colpire proprio i civili: un’autobomba è esplosa, stamani, vicino al santuario
dell’imam sciita Hussein nella città santa di Kerbala. L’azione terroristica è
stata compiuta vicino ad uno degli ingressi del mausoleo nei pressi di un
mercato solitamente affollato da pellegrini sciiti. Secondo testimoni oculari,
tra le vittime ci
sono venditori ambulanti, pellegrini iraniani, pachistani ed indiani. Non
si arresta, dunque, la catena di attacchi della guerriglia contro la comunità
sciita. Ieri, almeno 30 persone sono morte per un attentato compiuto durante
una cerimonia funebre sciita a nord est di Baghdad. Intanto, il presidente americano George Bush, dopo un consulto al Pentagono con i
responsabili politici e militari della Difesa americana, ha
confermato l’ipotesi di una prossima riduzione delle truppe statunitensi in
Iraq. Il capo della Casa Bianca ha precisato che questo piano potrebbe
essere discusso entro quest’anno con il governo iracheno. Il presidente americano ha anche
annunciato novità nella composizione del contingente anticipando che in futuro
ci saranno più istruttori da inserire nelle unità irachene.
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Situazione tesa anche in
Afghanistan: un attentato suicida contro un edificio amministrativo nella parte
meridionale del Paese ha causato la morte di almeno dieci persone. Lo hanno
riferito fonti locali precisando che l’episodio è avvenuto nella provincia di
Uruzgan.
Tragedia in Arabia Saudita: sono
almeno 23 le persone morte per il crollo di un hotel alla Mecca, nel centro
della città santa. Ma alcune fonti parlano di oltre 70 vittime. Nell’edificio di quattro piani alloggiavano fedeli
musulmani arrivati per il pellegrinaggio annuale che comincia domenica. Sono attesi
almeno 2 milioni e mezzo di fedeli.
Le trattative per
ottenere la liberazione dei cinque italiani rapiti nello Yemen sono riprese ma
la situazione resta tesa. Lo zio di uno dei rapitori ha detto che gli italiani
saranno liberati nelle prossime ore. Ma gli ostaggi, sequestrati lo scorso
primo gennaio da membri di una tribù nella provincia di Marib, si trovano
ancora in un villaggio arroccato su una montagna, circondata da unità militari.
I sequestratori hanno dichiarato di essere pronti a reagire ad un eventuale
blitz dell’esercito e hanno anche minacciato di uccidere un ostaggio se le
forze di sicurezza yemenite non si ritireranno. Ma chi sono i rapitori e qual è
la situazione dello Yemen? Luca Collodi lo ha chiesto all’ambasciatore italiano
a Sana’a, Mario Boffo:
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R. –
Sono esponenti di varie tribù che agiscono solo in alcune regioni dello Yemen.
Voglio precisare che lo Yemen non è un Paese pericoloso. Ci sono sicuramente
alcune regioni che presentano dei problemi. Queste tribù, come tutti i gruppi
sociali, hanno talvolta delle controversie tra di loro con il governo. Per
risolvere queste controversie ricorrono in alcuni casi al rapimento per avere
in mano uno strumento di negoziazione e di pressione nei confronti del governo.
Lo scopo di queste tribù è di avere delle risposte alle loro rivendicazioni.
Dietro queste azioni non ci sono motivazioni politiche, posizioni ideologiche.
Né questi rapimenti avvengono nell’ambito di un conflitto politico o sociale.
D. – Non ci sono legami con
l’integralismo islamico?
R. – E’ una logica completamente
diversa, completamente separata.
D. – Che Paese è lo Yemen,
ambasciatore?
R. – E’ un Paese che ha una
convinzione molto forte della propria individualità e della propria cultura. Lo
Yemen ha mantenuto infatti, nel corso della storia, una indipendenza di fatto.
Oggi è un Paese che ha intrapreso un interessante e importante percorso di
modernizzazione e di democratizzazione. Il sentimento religioso è molto
radicato, ma non fondamentalista. “Radicato” significa che sono veramente
osservanti, osservano i precetti del Corano. Esiste ancora la sharia: è una
delle apparenti incongruenze. Il Paese, però, non mi sembra dar luogo a
fenomeni né di intolleranza, né di eccessivo estremismo religioso. Il Paese è
molto ospitale.
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Sta assumendo proporzioni
drammatiche il gravissimo smottamento di terreno che l’altro ieri ha travolto
il villaggio indonesiano di Sijeruk, 370 chilometri ad est di Giacarta,
sull’isola di Giava. Si teme che sotto il fango possano essere sepolte almeno
300 persone, secondo quanto riferisce l'Ufficio dell'Onu per gli Aiuti
Umanitari di Ginevra. Intanto, proseguono incessanti le operazioni di soccorso,
ma sinora sono stati trovati solo una ventina di corpi senza vita. Stamani
nella zona colpita dalla catastrofe si è recato in visita il presidente
indonesiano, Susilo Babang Yudhoyono. Per fare il punto della situazione in
queste ore, Giancarlo La Vella ha raggiunto telefonicamente a Giakarta, il
missionario saveriano, padre Silvano Laurenzi:
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R. – Stanno scavando, stanno
cercando per vedere quante sono le vittime, quante sono scappate ma i soccorsi
sono difficili. Infatti, continua a piovere. Se smette di piovere, forse si
potrà agire con più efficacia, ma in tutta la zona la situazione resta grave.
Gli aiuti stanno per arrivare ma attualmente la strada è interrotta. Alcune vie
sono addirittura coperte da 10 metri di fango.
D. – Le autorità indonesiane si
sono chieste i motivi della gravità di questo evento?
R. – I giornali più coraggiosi
danno la colpa al disboscamento, un processo avviato senza un criterio. Tutte
le colline adesso sono senza alberi. Si cerca di vendere il legname e questa
operazione di disboscamento sembra riguardare un po’ tutta l’Indonesia..
D. – Quale è la reazione delle
persone, anche quelle duramente colpite da questa tragedia?
R. – Stanno aspettando gli aiuti.
Alcuni sono fuggiti ma mancano dati certi. Alcuni sono scappati cercando altri
familiari in qualche villaggio vicino. La radio e la televisione locali hanno
riferito che sono stati organizzati degli aiuti di emergenza, sono state
allestite delle cucine da campo e delle tende per affrontare l’emergenza.
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È cominciato stamani a Vienna l’incontro degli esperti iraniani e
dell’Agenzia Onu per l’energia atomica sul programma nucleare iraniano. Nella
Repubblica islamica sabato arriverà, invece, una missione di negoziatori da
Mosca per trasferire le principali attività iraniane di arricchimento
dell’uranio in Russia.
In Italia, è scontro tra il capo dell’esecutivo, Silvio
Berlusconi, e il leader dell’Unione, Romano Prodi, sulla vicenda Unipol, il
gruppo assicurativo vicino ai DS, il cui presidente Giovanni Consorte è
accusato di associazione a delinquere nell’ambito dell’inchiesta sulla scalata
ad Antonveneta e alla Banca Nazionale del Lavoro. Una intercettazione
telefonica tra Consorte e il segretario della Quercia, Piero Fassino, ha fatto
riesplodere la polemica sui rapporti tra politica ed affari. Il servizio
Giampero Guadagni:
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Tra giunte ‘rosse’ e mondo delle
cooperative, esiste un intreccio inaccettabile. L’affondo del premier
Berlusconi sulla vicenda Unipol fa scattare la reazione del centro-sinistra e
il leader dell’Unione Prodi replica seccamente: “Uno come lui è meglio che non
parli di politica e affari”. Ma il professore chiede una svolta etica anche ai
suoi alleati, a partire naturalmente dai DS, coinvolti nella bufera Unipol con
il caso delle intercettazioni telefoniche tra Fassino e Consorte, giudicate però
irrilevanti dalla procura di Milano. Prodi sostiene che non c’è violazione di
legge, ma al contempo riconosce come siano stati oltrepassati i limiti
dell’opportunità politica. E se il centro-destra bolla queste affermazioni come
ipocrite e banali, tra i DS in molti rimproverano il capo dell’opposizione di
scarsa solidarietà nei confronti dei vertici della Quercia. Il presidente
D’Alema, considerato l’uomo ponte tra i DS e il mondo delle cooperative, quindi
anche Unipol, per ora tace. Secondo gli osservatori è un sintomo di
irritazione. Parla invece il segretario Fassino, che dice di apprezzare i
contenuti espressi da Prodi, ma soprattutto prepara una decisa autodifesa nei
confronti di quello che viene definito un complotto. Ma nelle dichiarazioni di
altri leader del centro-sinistra emerge anche la volontà di cambiare pagina con
il varo di un codice etico, per rendere più trasparente il rapporto tra
politica e affari. La situazione è peraltro resa più complicata dall’aggravarsi
delle accuse nei confronti di Giovanni Consorte. Il presidente dimissionario di
Unipol è ora indagato dai PM milanesi anche per associazione a delinquere
nell’ambito dell’inchiesta Antonveneta e BNL. E oggi, presso la procura di
Roma, altro interrogatorio eccellente: quello del presidente autosospeso di
Confcommercio, Sergio Billé, accusato di appropriazione indebita.
Per la Radio Vaticana, Giampiero
Guadagni.
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