RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 54 - Testo della trasmissione di giovedì 23 febbraio
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
68 moschee incendiate e almeno 100 persone
uccise dopo l'attentato di ieri alla moschea
sciita di Samara: la più grande formazione politica sunnita
abbandona le trattative per il nuovo governo
In Nigeria, uccisi 80
musulmani dopo le violenze della settimana scorsa costate la vita, nel nord, a
decine di cristiani. Con noi il nunzio apostolico in Nigeria, mons. Renzo Fratini
23 febbraio 2006
ALL’INDOMANI DELL’ANNUNCIO DEL PRIMO CONCISTORO DI
BENEDETTO XVI,
IL CARDINALE JOZEF TOMKO SI SOFFERMA CON NOI SUL LEGAME TRA
I PORPORATI E IL SUCCESSORE DI PIETRO, E IL FUTURO CARDINALE
JOSEPH ZEN ZE-KIUN, VESCOVO DI HONG KONG, PARLA DELL’IMPORTANZA
DELLA SUA NOMINA PER LA CHIESA DELL’ASIA
“I cardinali hanno il compito di sostenere ed aiutare il Successore di Pietro
nell’adempimento dell'ufficio apostolico che gli è stato affidato a servizio
della Chiesa”: nell’annunciare, ieri, il concistoro del 24 marzo prossimo, il
Papa ha sottolineato con queste parole il fondamentale contributo che il
collegio cardinalizio offre all’adempimento del ministero petrino.
Nel prossimo concistoro - il primo di Benedetto XVI - verranno
creati 15 nuovi cardinali, 12 dei quali elettori. Sulla figura del cardinale
nella Chiesa e il suo profondo legame con la Cattedra di Pietro, Alessandro
Gisotti ha raccolto il commento del cardinale Jozef Tomko, prefetto emerito della Congregazione per
l'Evangelizzazione dei Popoli, porporato dal 1985:
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R. – Un
cardinale è S.R.E., Sanctae Romanae Ecclesiae. Praticamente il nome non è sostantivo è
aggettivo. Presbiter Cardinalis
significa il “principale prete”, quelli che erano una volta i principali preti
romani. Ed è questa la ragione per cui ogni cardinale ha il suo titolo, la sua
Chiesa a Roma, anche in rapporto al fatto che il Papa è Vescovo di Roma!
D. – Il
colore dei cardinali è la porpora, che rappresenta la disponibilità al
sacrificio fino all’effusione del sangue. Che significato ha oggi?
R. –
Forse non ci sono più i cardinali uccisi, quelli che attuano questa promessa
nella realtà fisica, però di persecuzioni ce n’é nel mondo… Mi ricordo che
quando consegnavo la croce pettorale ai vescovi, quando li ordinavo, dicevo
sempre: “Una te la do qui davanti, ma quella vera, invisibile, ti resta sulle
spalle”. In un certo senso, direi, che questo si possa applicare ai nuovi
cardinali. Ma è anche segno di una fedeltà totale al servizio dell’ufficio petrino, e a ciò che oggi è estremamente importante per il
mondo, non solo per la Chiesa.
D. – Lei
è stato creato cardinale nel Concistoro del 1985. Cosa si sente di poter
augurare a questi nuovi porporati?
R. – A
loro auguro solo di sentire fortemente questo legame
con la Sede Apostolica, con il Papa, e di sentire fortemente questo onore di
servizio.
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E ampia eco ha destato la nomina a cardinale del vescovo di Hong Kong, Joseph Zen Ze-Kiun. Al futuro
porporato, Alessandro Gisotti ha chiesto con quali sentimenti abbia accolto la
notizia e quale significato abbia la sua elevazione
alla dignità cardinalizia per la Chiesa della Cina e dell’Asia:
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R. -
Ovviamente è uno speciale segno di benevolenza da parte del Santo Padre. Il
numero dei nuovi cardinali è molto ristretto ed ha voluto includere un cinese!
Ciò vuol dire che veramente ha una predilezione per il popolo cinese e per
questo siamo molto riconoscenti.
D. – Il
Papa ha sottolineato, annunciando i nomi dei nuovi cardinali, che nella schiera
dei nuovi porporati si rispecchia bene l’universalità della Chiesa…
R. – Sì,
difatti io vedo che sono presenti tutti i continenti. Noi in Asia, ne abbiamo
tre tra i nuovi dodici. E’ veramente un gesto di universalità della paternità
del nostro Santo Padre.
D. – Lei
ha dedicato tutta la sua vita al servizio a Cristo, ma anche alla difesa dei
diritti umani e al rispetto della libertà religiosa. Sente un incoraggiamento
da parte del Papa per questa sua battaglia importante?
R. –
Senz’altro, perché il Papa è ben informato su quello che facciamo e questo
gesto di benevolenza conferma che siamo sulla buona strada.
D. –
Quanto può aiutare la nomina di un cardinale cinese nel dialogo tra la Santa
Sede e Pechino?
R. – Il
dialogo ufficiale è certamente a livello diplomatico, è tra il ministero degli
Esteri di Pechino e la Segreteria di Stato. Naturalmente, siccome questo
dialogo riguarda gli affari religiosi, dalla parte cinese ci sono ufficiali
dell’Ufficio degli Affari religiosi che fanno da consiglieri. E da questa parte
deve entrare nel dialogo anche, per esempio, la Congregazione per
l’Evangelizzazione. Il Santo Padre, con questa nomina, fa dunque capire che
gradisce anche la voce dei vescovi cinesi.
D. –
Come hanno accolto i fedeli questa nomina?
R. –
Sono molto felici. Sanno che questa nomina è intesa per tutta
la Cina, ma anche per Hong Kong. Quindi, sono molto felici e
riconoscenti.
D. – Con
quale spirito si appresta a ricevere la berretta cardinalizia fra poche
settimane?
R. – Ho
74 anni e ho già scritto la lettera per essere “lasciato in pace” l’anno
prossimo. Questo nuovo compito è un atto di fiducia del Santo Padre e lo
accetto volentieri, anche se mi avvicino ai 75 anni. Offrirò tutto quello che
rimarrà della mia vita, delle mie forze, per servire la Santa Chiesa.
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DAYTON, UNA PACE SOLO SULLA
CARTA: A DIECI ANNI DALLA FIRMA DELL’ACCORDO
CHE CONCLUSE LA GUERRA CIVILE NEI BALCANI, IL
COMMENTO DEI VESCOVI
DELLA BOSNIA ERZEGOVINA, DA OGGI IN VISITA AD LIMINA IN VATICANO
- Intervista con mons. Pero Sudar -
Da questa mattina, i vescovi della Bosnia Erzegovina hanno iniziato i
loro incontri con Benedetto XVI per la visita ad Limina. L’arcivescovo di Sarajevo, il cardinale Vinko Puljic, con il suo
ausiliare mons. Pero Sudar, e i vescovi di Banja Luka, Franjo Komarica,
e quello di Mostar-Duvno, Ratko
Peric, hanno aperto la serie di udienze in programma
fino al 28 febbraio. La visita in Vaticano cade in un momento simbolico per il
Paese balcanico, a dieci anni dagli Accordi di Dayton che conclusero gli anni tragici del conflitto ex
jugoslavo. Per un quadro della Bosnia Erzegovina, il servizio di Alessandro De
Carolis:
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“Conosco la lunga prova che avete vissuto, la
sofferenza che accompagna la vostra vita quotidiana, la tentazione dello
scoraggiamento”. “Siate voi stessi i primi costruttori del vostro futuro (…) La
ripresa è possibile”. Il 22 giugno 2003, nel corso del suo 101° viaggio
apostolico, Giovanni Paolo II lasciava questa esortazione alla Bosnia
Erzegovina, come eredità della sua costante attenzione alla tormentata vicenda
dei Balcani. Gli avvenimenti che all’inizio degli
Anni Novanta sgretolarono la Jugoslavia di Tito sono ancora ben impressi nella
memoria delle popolazioni locali. Prima della guerra,
croati, serbi e musulmani erano distribuiti uniformemente sul territorio. Per
effetto della “pulizia etnica”, si sono avuti
più di 300 mila morti e quasi
due milioni di profughi. Alla fine del 2000 erano rientrati circa 20 mila
rifugiati, mentre 18 mila persone risultavano
ancora tra gli scomparsi.
Il 21 novembre 1995 gli Accordi di Dayton hanno sancito l’integrità e la sovranità della Repubblica della Bosnia-Erzegovina (BiH),
seppure divisa in due “entità”, ciascuna
dotata di un proprio parlamento e governo: la Federazione della Bosnia-Erzegovina
croato-musulmana, con il 51%
del territorio, e la Repubblica Serba
o Srpska, con il 49%. La Federazione è guidata
da un presidente e da un vice-presidente alternativamente croato e
musulmano; il potere legislativo spetta al
Parlamento composto da una Camera dei rappresentanti
di 140 membri e da una Camera popolare
di 74 membri.
Anche la Chiesa ha patito duramente la guerra
civile. Nella sola Sarajevo, i cattolici sono passati da
mezzo milione a 125 mila e in tutta la Bosnia ed Erzegovina il bollettino degli
anni della violenza è drammatico: nove sacerdoti e una suora uccisi, 99 chiese
distrutte e 127 danneggiate, senza contare altre dozzine di attacchi a
monasteri e strutture diocesane. Si valuta in 450 mila il numero dei cattolici
costretti ad abbandonare le proprie case. Tra i significativi momenti di
ricostruzione, non solo morale ma culturale della capitale bosniaca, la
riapertura, con un solenne Atto Accademico, dell'Istituto Teologico del
Seminario francescano a Nedjarici, una delle zone di
Sarajevo più devastate dalla guerra.
Dieci anni
dopo la cessazione delle ostilità, i vescovi della Bosnia Erzegovina non hanno
dubbi: “Dayton ha interrotto la guerra
ma non ha portato la pace”, hanno affermato ieri a Roma, durante
l’incontro alla Sala stampa estera
organizzato per il decennale degli Accordi per la pace nell’ex Jugoslavia. Tra
i presuli a prendere la parola, mons. Franjo Komarica, vescovo di Banja Luka, e mons Pero Sudar, vescovo
ausiliare di Vrhbosna Sarajevo. Quest’ultimo ha
definito Dayton un accordo “schizofrenico”. Al
microfono di Paolo Ondarza spiega perché:
R. – Prima di tutto, ha diviso la Bosnia Erzegovina secondo il criterio
etnico, dicendo, cioè, che in Bosnia Erzegovina, essendo presenti diversi
popoli, questo Paese andasse diviso. Se volevano, però, seguire questa chiave dovevano
dividerlo in tre. Loro, invece, lo hanno diviso in due, prolungando questa
tensione che è scoppiata durante la guerra. Secondo me, è una situazione
schizofrenica, che fa vedere come qualcosa in questa soluzione, moralmente e
politicamente, non vada.
D. – Che cosa vi aspettate da questa visita ad Limina?
R. – Ci aspettiamo che aiuti a far capire al mondo
che non è possibile risolvere o arrivare alla giustizia con la violenza, e che
non è possibile una pace senza giustizia. Questi sono due sbagli della Bosnia
Erzegovina. Prima abbiamo pensato che con la guerra potessimo risolvere le cose
ingiuste e abbiamo distrutto anche ciò che era
positivo e buono. Adesso la comunità internazionale tende a garantire la pace
in Bosnia Erzegovina senza giustizia. Penso non ci sia un’altra autorità nel
mondo che possa autorevolmente gridare e puntare il
dito su questa situazione come il Santo Padre.
D. – Che cosa deve e può fare la comunità
internazionale?
R. – A me viene spesso
rivolta la stessa domanda dai rappresentanti della comunità internazionale a
Sarajevo e in Bosnia Erzegovina e la mia risposta è: “Signori, fate in Bosnia
ciò che sareste disposti a fare a casa vostra”. Vuol dire tentare almeno di
risolvere e di proporre, anche di imporre, una soluzione più giusta, tenendo
conto dei diritti umani, ma anche tenendo molto conto dell’uguaglianza tra i
diversi popoli e le comunità religiose in Bosnia Erzegovina. Questa sarà la
cornice che ci permetterà, ci inviterà e sfiderà a mettercela tutta per
realizzare una Bosnia Erzegovina come paradigma, un esempio in Europa dove sia
possibile che diverse religioni, culture, anche quella cristiana e islamica,
possano convivere e costruire una pace e un mondo degni dell’uomo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l'Iraq, dove continuano ad
imperversare le violenze. I sunniti sospendono i negoziati sulla formazione del
nuovo Governo.
Servizio vaticano - Una pagina dedicata alla visita
del cardinale Crescenzio Sepe in Sudan.
Servizio estero - Islam: il Segretario della Lega
Araba a Bruxelles per definire una strategia contro le proteste.
Servizio culturale - Un articolo di Agnese
Pellegrini dal titolo "Tempo soggettivo e tempo oggettivo nell'opera di
Ovidio"; un approfondito saggio di Claudia Montuschi.
Servizio italiano - Islam; gli incidenti di
Bengasi: Fini accusa Calderoli. Dall'ex Ministro "atti provocatori e
reiterati".
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23 febbraio 2006
ANCHE UNA CHIESA NEL MIRINO DELLE PROTESTE DI CHI HA
ATTACCATO GIORNI FA
IL CONSOLATO ITALIANO A BENGASI:
DALLA CITTÀ LIBICA CI PARLA MONS. MAGRO,
MENTRE DA TRIPOLI ASCOLTIAMO MONS. MARTINELLI
Fonti
in Libia hanno specificato l’entità della protesta anti-italiana
di Bengasi. Dopo le manifestazioni
contro il Consolato italiano, è stata saccheggiata e incendiata anche la Chiesa
dell’Immacolata. Due sacerdoti cattolici sono riusciti a nascondersi e a
sfuggire miracolosamente alla folla inferocita. Anche la casa canonica è stata
data alle fiamme. Al microfono di Roberto Piermarini
il vicario apostolico a Bengasi, mons. Sylvester
Magro racconta come ha vissuto quelle ore.
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R. –
E’ naturale che l’abbiamo vissuto con molto dolore e
apprensione. Vedere crollare
tutto è un momento di desolazione e di sofferenza, pensando anche a quanto la
Chiesa dell’Immacolata è servita per
tanti lavoratori, per tanti africani, per tanti poveri. Per loro era il punto
di incontro e di riferimento per la loro vita spirituale, sociale ed anche
caritativa.
D. - Mons.
Magro, è difficile il dialogo con i musulmani a Bengasi?
R. –
Noi abbiamo vissuto sempre in completa e totale amicizia con i nostri vicini,
con tanta serenità; basti pensare che abbiamo perfino celebrato la Messa di
Natale a mezzanotte, senza nessuna difficoltà.
D. – Sarà ricostruita la chiesa dell’Immacolata di
Bengasi?
R. – Qualora avessimo la possibilità e gli aiuti necessari,
perché tutto è andato in fumo. Tutto, anche le camere dei padri, le stanze, le
suppellettili della chiesa, tutto quello che si poteva incendiare, è stato
incendiato.
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**********
R. – A Bengasi c’erano tre
comunità religiose, le suore dell’Immacolata Concezione di Ivrea, due comunità,
più una comunità di suore polacche del Sacro Cuore, tutte sono state evacuate, in tutto una quindicina, insieme ai due sacerdoti a Tripoli,
perché le autorità libiche hanno chiesto di partire perché la situazione era
incandescente quindi temevano per la sicurezza delle persone.
D. – Mons.
Martinelli, in questo momento a Bengasi, ma in Libia
in generale, essere cristiano pone delle difficoltà?
R. – Assolutamente no! E’ stata
una frangia di fanatismo, di fondamentalismo che è apparsa, per condannare
queste prese di posizione dell’occidente quindi anche dell’Italia e del
ministro Calderoli. Questa è stata un po’ la scintilla della protesta. Ma la
nostra vita a Tripoli, attualmente, è serena e tranquilla ed
altre comunità religiose, che sono presenti in Cirenaica,
a Beita, a Derma e a Tobruk,
sono rimaste nella massima sicurezza delle persone, degli amici che hanno
voluto che le suore restassero anche se al momento hanno evitato di andare
nelle strutture sanitarie per il servizio.
D. – I leader islamici hanno
condannato queste violenze fatte da queste frange estremiste islamiche?
R. – Certo, il problema è
riportare la serenità, il controllo nell’ambiente e i libici stessi sono
preoccupati di portare la pace tra questa gente. Certamente è una cosa dolorosa ma loro sono preoccupati anche di mettere in salvo
tutte le persone straniere, compreso gli italiani, ma anche le religiose che
lavorano negli ospedali.
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LA CONDIZIONE DEI MINORI NEI CENTRI DI DETENZIONE
PER STRANIERI:
AL
CENTRO DEL RPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL PRESENTATO OGGI A ROMA
Negli ultimi cinque anni circa 80
mila migranti e richiedenti asilo hanno raggiunto
l’Italia via mare. Tra il 2002 ed il 2005 Amnesty International ha ricevuto 890 denunce
riguardanti la presenza di minori nella maggior parte dei centri di detenzione
per stranieri. Tra di loro molto spesso neonati o
minorenni al di sotto dei cinque anni, non accompagnati. Questi bambini sono
gli “Invisibili”, il titolo del rapporto che Amnesty International Italia ha presentato oggi
a Roma. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
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Arrivano
in Italia da soli, o con uno dei genitori, o all’interno di interi nuclei
familiari. Arrivano in Italia dopo aver attraversato deserti, mari, provenienti
da Eritrea, Somalia, Etiopia, Turchia, dall’Africa del Nord, dall’Africa Sub-sahariana e dal Medio oriente, e dopo aver lasciato
dietro di loro guerre, violazioni dei diritti umani, persecuzioni, sfruttamento
lavorativo o sessuale. Arrivano in Italia e diventano “Invisibili”, perché i minori richiedenti asilo una volta attraversata la
frontiera marittima italiana, finiscono in centri di detenzione per stranieri.
La denuncia di Amnesty International
è forte: “Le autorità italiane, consentendo questa situazione, violano le norme
e gli standard dei diritti internazionali dei diritti umani e nella maggior
parte dei casi la stessa legge nazionale”. Giusy D’Alconzo,
ricercatrice di Amnesty Italia è la curatrice del
rapporto:
“Per la maggior parte dei bambini
arrivati in questi anni via mare nel nostro Paese, il cartello di benvenuto è
stato un centro di detenzione. Non c’è dubbio che la condizione in cui i richiedenti asilo, emigranti, si trovano nelle strutture
come Lampedusa, come Crotone, fanno parlare di detenzione a tutti gli effetti.
Sono strutture chiuse da cancelli, le persone non possono uscire, tra queste
persone, in questi anni, ci sono stati centinaia di bambini, di adolescenti”.
Questi ragazzini sono invisibili –
sottolinea Amnesty – non esistono statistiche
ufficiali pubbliche che indichino il reale numero di quanti sono e soprattutto che ne riportino le condizioni
di vita all’interno dei centri, considerando anche la totale mancanza di
trasparenza delle strutture di detenzione, risultate inaccessibili nell’arco di
tutto il 2005 ad Amnesty, così come a giornalisti,
avvocati, rappresentanti politici. Ancora la D’Alconzo:
“Quello che la maggior parte delle
persone ha denunciato è il caldo torrido o
l’umidità durante l’inverno. Quindi, un caldo estremo d’estate per neonati, a
volte nati negli stessi centri. Un container al sole non è il luogo migliore in
cui trascorrere il periodo dello svezzamento. Se un minore viene
detenuto, deve essere separato dagli adulti. Questo lo chiede la convenzione
delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia. L’Italia è stato uno dei primi
Stati firmatari di questa convenzione. E’ possibile, possiamo dire nella
maggior parte dei centri, il contatto tra bambini anche molto piccoli e adulti
estranei al proprio nucleo familiare”.
L’Italia quindi, è la richiesta di
Amnesty, “deve porre fine alle violazioni dei diritti
umani che si verificano nel caso specifico contro i minori migranti e deve
porre fine alla pratica delle detenzione sistematica,
nonché adottare una legge organica sull’asilo e garantire loro la necessaria
protezione”.
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“Javier 2006, incontro di
cultura universale”:
le inziative in Navarra nel quinto Centenario della nascita
di San Francesco Saverio
“Javier 2006, incontro di cultura universale”: questo il
titolo del programma promosso in occasione del quinto Centenario della nascita
di San Francesco Saverio, gesuita e patrono delle missioni. Da marzo a dicembre
2006, mostre, concerti e celebrazioni religiose trasformeranno la città di Javier, in Navarra, in un faro
della spiritualità per ricordare il primo santo che riuscì a mettere in
contatto Oriente
e Occidente. Il programma è stato presentato martedì sera presso l’Università
Gregoriana di Roma. C’era per noi Isabella Piro:
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“La pasta più dura che mi sia mai
capitato di impastare”: così Sant’Ignazio di Loyola descriveva San Francesco
Saverio, mettendone il luce il temperamento combattivo
e ardente. Nato a Javier, nel cuore della Navarra, il 7 aprile del 1506, Francesco studia alla Sorbona di Parigi. Nel 1541 parte per le Indie in veste di
rappresentante papale e da allora i suoi viaggi non si fermano più. Spinto dal
desiderio di evangelizzare i popoli, attraversa l’Europa, l’Africa e l’Asia.
Nel 1549, è il primo occidentale ad entrare in Giappone ed a studiarne le
usanze. Non gli riesce, invece, di avvicinarsi alla Cina,
dove l’ingresso agli stranieri è proibito. La morte lo coglie sull’isola di Sancian, vicino Canton, nel 1552. 70 anni dopo,
“La sua attualità di grande
missionario rimane, facendo crescere nelle persone e nei cristiani il senso
della bellezza di aver ricevuto l’annuncio del Vangelo ed averlo abbracciato”.
Sono moltissime le iniziative
promosse dalla Navarra per celebrare il V centenario
della nascita di San Francesco: dall’arrivo della reliquia del braccio del
Santo, conservata attualmente a Roma, alla Commemorazione solenne in programma
per il 7 aprile, alle numerose Javieradas, ossia
pellegrinaggi collettivi. Tantissime le mostre e anche i concerti, tra cui
quello dedicato alla Pace in programma il 10 giugno. Il 29 ottobre, invece, è prevista una
giornata della gioventù. Ma perché oggi San Francesco Saverio è così
importante? Ci risponde l’arcivescovo di Pamplona,
mons. Fernando Sebastián Aguilar:
“E’ una personalità
che raggiunge l’universo intero. Possiamo vedere la forza del Vangelo sulla
capacità del Cristianesimo, della Chiesa cattolica di creare fraternità, unità
tra i popoli. Anche per noi in Spagna e Navarra è un
esempio di generosità nel vivere la fede e lavorare anche per annunciare il
Vangelo di Gesù in questo momento di novità, di cambiamenti anche culturali”.
Oggi San Francesco Saverio è patrono delle missioni e la
sua figura fa molta presa anche sui giovani. Il presidente della Navarra, Miguel Sanz Sesma, ci spiega perché:
“YO CREO SINCERAMENTE QUE …
Credo sinceramente che l’universalità e lo spirito di
avventura siano insiti nel suo animo. Bisogna collocarsi idealmente nel XVI
secolo per comprendere le difficoltà incontrare da San Francesco Saverio per
compiere i suoi viaggi, unicamente ed esclusivamente per il desiderio di
evangelizzare i popoli”.
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23 febbraio 2006
AVIARIA:
INTERVENTO DEL GOVERNO ITALIANO A SOSTEGNO DEL SETTORE AVICOLO
IN GRAVE CRISI. DOPO L’AUSTRIA ANCHE IN
GERMANIA RILEVATO
UN
SOSPETTO CASO DI CONTAGIO DA H5N1 IN UN POLLO
ROMA. = Nell’Unione Europea cresce la paura da
aviaria, soprattutto dopo il ritrovamento ieri in Austria, di due polli
infetti. In Germania, dove è stato rilevato un sospetto caso di infezione da
H5N1 in un pollo, per precauzione sono stati abbattuti tutti gli animali che
facevano parte dell’allevamento. In Francia e Slovacchia, il virus sembra
invece aver contagiato, per il momento, solo alcuni animali selvatici. In
Italia non cessa la psicosi da influenza aviaria, che ha determinato una crisi
profonda per il settore avicolo. Da qui, l’intervento di sostegno del governo
ai lavoratori delle imprese operanti nei settori in difficoltà: è stato deciso
lo stanziamento di ulteriori 100 milioni di euro. Lo ha reso noto stamane il ministro del Welfare Roberto Maroni,
nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi.
Il provvedimento avrà valore retroattivo a partire dal primo gennaio 2006, per cui le Regioni dove risiedono le aziende interessate
dalla crisi, potranno fare richiesta, entro il 15 marzo, degli ammortizzatori
sociali, ovvero cassa integrazione e mobilità. (A.E.)
PRESTIGIOSO RICONOSCIMENTO DELLA REPUBBLICA DI
TAIWAN
AL CARDINALE PAUL SHAN KUO-HSI, INSIGNITO DELLA
MEDAGLIA
DELL’ORDINE DELLA STELLA BRILLANTE, PER IL
CONTRIBUTO OFFERTO
ALLA PROMOZIONE DEI RAPPORTI TRA STATO E CHIESA
CATTOLICA
TAIPEI.
= Il cardinale Paul Shan Kuo-hsi, vescovo emerito di Kaohsiung
e già presidente della Conferenza episcopale regionale cinese di Taiwan è stato
insignito della Medaglia dell’Ordine della Stella Brillante, in riconoscimento
del suo contributo alla promozione dei rapporti tra Stato e Chiesa nell’isola.
L’alta onorificenza viene attribuita ogni anno dalla
Repubblica di Taiwan ai servitori dello Stato, ma anche a personalità straniere
distintesi per i servigi resi al Paese. La medaglia è stata conferita nei
giorni scorsi dal presidente della Repubblica di Taiwan, Chen
Shui-bian. Alla cerimonia l’anziano cardinale ha
voluto sottolineare come essa sia un riconoscimento
dell’opera di tutta la Chiesa a Taiwan: “Rappresento i vescovi cattolici, i
sacerdoti, i religiosi, le suore e i laici di Taiwan - ha detto – e la medaglia
non è solo per me, ma per la loro opera di promozione dei valori morali,
dell’educazione, della cultura della carità e dei servizi sanitari, come anche
per il loro contribuito ai buoni rapporti tra Taiwan e la Santa Sede”. A questo
proposito il porporato ha sottolineato come il “Vaticano apprezzi la libertà
religiosa garantita nel Paese e i suoi generosi aiuti umanitari”. “Questi
elementi – ha
aggiunto – sono alla base della forte amicizia e dei rapporti diplomatici tra
Santa Sede e Taiwan”. Prima del cardinale Shan, altre
due personalità ecclesiastiche sono state insignite della Medaglia dell’Ordine
della Stella Brillante a Taiwan: lo scomparso arcivescovo Stanislao Lo Kuang, già presidente della
Conferenza episcopale regionale cinese, ed il cardinale Jean-Louis
Tauran, già segretario per i Rapporti con gli Stati
della Segreteria di Stato. (L.Z.)
AL VIA
LA MOSTRA “LA GIOIELLERIA
DI DIO”, NELL’ABBAZIA DI SANTA CROCE
IN
GERUSALEMME A ROMA, PROMOSSA DAL FONDO EDIFICI DI
CULTO (FEC)
DEL
VIMINALE. L’ESPOSIZIONE PRESENTERA’ AL PUBBLICO
INESTIMABILI
TESORI DELL’ARTE CRISTIANA
ROMA. = Si aprirà domani a Roma, la mostra “La
gioielleria di Dio”, che esporrà il patrimonio artistico del
Fondo Edifici di Culto (FEC) del Viminale. Sarà il ministro dell’Interno
Pisano ad inaugurare nella cappella dei Reliquiari e nell’antica Sacrestia
dell’Abbazia di Santa Croce in Gerusalemme, l’esposizione. La mostra rimarrà
nella capitale fino al 19 marzo, per poi spostarsi dal 25 marzo al 2 aprile a
Bari, presso il Palazzo del Governo. Tra le iniziative previste, anche due
giornate, quella di sabato 25 e domenica 26 febbraio dedicate alle visite
guidate e letture di testi sacri negli edifici di culto più noti d’Italia. Il
Fondo si propone di far conoscere al grande pubblico i tesori dell’arte
cristiana, per molto tempo rimasti nascosti nelle sacrestie delle chiese.
Infatti, il FEC è oggi uno dei più importanti proprietari di beni artistici e
architettonici, che annovera nella sua proprietà oltre 700 chiese. È un ente
autonomo, amministrato dal ministero dell’Interno, che già nel XIX secolo con
la soppressione delle corporazioni religiose, era entrato
in possesso di tale patrimonio artistico. L’esposizione - curata dalla direzione
centrale del FEC in collaborazione con la Sovrintendenza per il patrimonio
storico, artistico ed etnoantropologico del Lazio -
riunirà opere di inestimabile valore. Tra i capolavori esposti: il Ciborio
dell’altare maggiore della chiesa romana dei Santi Domenico
e Sisto del Bernini; il “San Giovanni Battista” di
Guido Reni dalla chiesa di S. Michele Arcangelo di Ottaviano; Il “Crocifisso”
di Van Dyck della chiesa di
S. Marcello al Corso di Roma; il polittico di Paolo Veneziano proveniente dalla
Chiesa di S. Giacomo Maggiore di Bologna e “La decapitazione di S. Agapito” del
Caravaggio. (A.E.)
IMPORTANTE
PROVVEDIMENTO DELLA NUOVA ZELANDA A TUTELA DEL PATRIMONIO
MARINO:
UN TERZO DELLE SUE ACQUE TERRITORIALI SARA’ VIETATO ALLA PESCA
A
STRASCICO DI FONDO, LA PIU’ DANNOSA PER LE RISERVE
ITTICHE
SYDNEY. = Importante decisione della Nuova Zelanda per la tutela dell’ambiente marino. Un
terzo delle acque territoriali neozelandesi, in totale 1 milione e 200 mila kmq, sarà vietato
alle forme più invasive di pesca, in particolare quella a strascico dei
pescherecci che trascinando pesanti reti lungo il fondo marino distruggono
banchi corallini ed altri organismi. L’annuncio è giunto oggi a conclusione di
una Conferenza internazionale
a Sidney, cui hanno preso parte delegati di 20 Paesi, per discutere la gestione
delle acque del Pacifico meridionale, dove vi è scarso controllo sui metodi di
pesca e sulla tutela delle riserve ittiche non migratorie. Secondo gli
scienziati marini, la pesca a strascico di fondo è la più distruttiva fra
quelle condotte negli Oceani. Alcune delle specie colpite hanno una crescita
molto lenta e ci vorranno centinaia, o anche migliaia di anni, per recuperare
le perdite al patrimonio ittico. (R.G.)
DAL 9
ALL'11 MARZO, FORUM INTERNAZIONALE A FIRENZE SULLA SALUTE DEGLI
ADOLESCENTI,
PROMOSSO DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’,
PER
VALUTARE I CONDIZIONAMENTI SOCIALI SUGLI STILI DI VITA
FIRENZE. = La salute degli
adolescenti sarà al centro di un Forum internazionale a Firenze, promosso
dall'Ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), in
collaborazione con la Regione Toscana e l'Azienda Ospedaliero-Universitaria
Meyer del capoluogo fiorentino. L’assise,
che si svolgerà il 10 e 11 marzo, sarà ospitata dal Convitto della Calza e
preceduta il 9 marzo da una giornata dedicata alla situazione italiana.
Nell’ambito del Forum sarà resa nota una ricerca sui fattori sociali,
economici, culturali e ambientali che influenzano le abitudini alimentari e
l'attività fisica
dei ragazzi, condotta dall'OMS in 35 nazioni dell’Europa e del Nord America;
indagine che viene fatta ogni 4 anni. L’incontro di Firenze ha l’obiettivo di
promuovere politiche e strategie a tutela della salute, nella consapevolezza
che ''stili di vita'' corretti si acquisiscono sin da
giovanissimi nell'ambito del proprio contesto sociale, familiare e scolastico
che modellano i comportamenti di ciascuno. (R.G.)
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23 febbraio 2006
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
In Iraq, il già precario
equilibrio tra sciiti e sunniti sta vivendo uno dei momenti più difficili: dopo
l’attentato sferrato ieri contro il mausoleo sciita di Samarra,
episodio condannato dall’Alto rappresentante per la politica estera e di
sicurezza dell’UE Javier Solana,
sono state incendiate 68 moschee e uccise decine di sunniti. Il nostro
servizio:
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All’attacco contro la moschea
sciita sono seguiti sanguinosi scontri: a Baghdad sono stati rinvenuti i corpi
senza vita di oltre 100 persone, in maggioranza sunniti. Si tratta di
rappresaglie compiute da estremisti sciiti dopo l’attentato di ieri contro il
mausoleo di Samarra. La notizia degli attacchi ha
prodotto anche ripercussioni politiche: i sunniti del Fronte dell’accordo
iracheno hanno deciso, infatti, di sospendere i negoziati sul nuovo governo. Al
conflitto interno tra sciiti e sunniti si aggiungono, poi, le violenze contro
le forze di sicurezza: a Baquba, l’esplosione di una
bomba che aveva come obiettivo una pattuglia dell’esercito iracheno, ha
provocato 12 morti. A Samarra sono stati trovati,
inoltre, i cadaveri dei tre giornalisti iracheni rapiti ieri. Dopo l’attacco
contro la moschea sciita, nel mondo islamico si punta il dito, intanto, contro
gli Stati Uniti. Il presidente iraniano, Mahmoud
Ahmadinejad, ha detto che l’attentato contro il mausoleo, il quarto luogo santo
degli sciiti, è opera degli “americani e dei sionisti che si oppongono a Dio e
alla giustizia”. Anche gli hezbollah sostengono
questa tesi. Secondo Washington, invece, l’attacco
contro la moschea di Samarra è stato compiuto dal
gruppo di Al Zarqawi, legato ad Al Qaeda. “I
terroristi – ha precisato l’amministrazione statunitense - continuano a
dimostrare di essere contro tutte le religioni del
mondo”. Dall’Iraq giungono, infine, anche appelli alla moderazione: il primo
ministro al Jafaari, che ha proclamato tre giorni di
lutto, ha detto che un’aggressione su tale scala richiede alla comunità
islamica e a tutti gli uomini di intensificare i loro sforzi per proteggere
templi che hanno un valore spirituale per tutta l’umanità.
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Una
delegazione di Hamas sarà a Mosca il prossimo 3 marzo
con l’obiettivo di porre fine all’isolamento politico ed economico del popolo
palestinese. Lo ha annunciato un portavoce del movimento radicale. Intanto,
oltre all’invito russo, è giunto alla nuova leadership palestinese guidata dai
leader del gruppo estremista, anche l’appoggio finanziario da parte dell’Iran. Hamas continua, inoltre, a portare avanti le trattative per
la formazione del nuovo governo: in linea di principio, è stata raggiunta
un’intesa anche con Al Fatah,
il partito di Abu Mazen
uscito sconfitto dalle elezioni dello scorso 25 gennaio.
In
Nigeria, almeno 80 persone sono rimaste uccise, durante scontri scoppiati nei
giorni scorsi nella città meridionale di Onitsha,
nella regione di Anambra, zona a maggioranza
cristiana. Questi nuovi episodi di violenza sono avvenuti dopo le proteste
anti-cristiane scoppiate sabato scorso nel nord del Paese e costate decine di
morti. Ma quali sono le motivazioni alla base di questa recrudescenza della
violenza? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al nunzio apostolico in Nigeria, mons.
Renzo Fratini:
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R. – L’elemento religioso è un
elemento, un fattore. Ma non è l’unico. Ci sono anche elementi etnici,
politici, sociali. E poi la tensione è cresciuta per la vicenda della
pubblicazione delle vignette satiriche. La Nigeria è un Paese dove c’è un
equilibrio delicato tra musulmani e cristiani. Anche la situazione politica
attuale è delicata: il presidente della Repubblica pare che voglia
ripresentarsi per un terzo mandato. Ma la Costituzione prevede solo 2 mandati
consecutivi.
D. – Mons.
Fratini, questa combinazione di cause riflette, dunque, l’intricato tessuto formato
da molteplici componenti sociali e anche la recente esperienza totalitaria
della Nigeria?
R. – E’ tutto un intreccio di fattori politici sociali,
religiosi ed etnici. Bisogna vedere gli scontri a Maiduguri e anche ad Onitsha nel contesto più vasto di
tutta la situazione della Nigeria, un Paese dove vivono 130 milioni di
abitanti, 150 gruppi etnici. In Nigeria le ricchezze si trovano nel Sud e il
potere è rimasto in mano ai militari per tanti anni nel nord. Quindi c’è questa
tensione e un delicato equilibrio.
D. – Quale futuro scenario
politico si può dunque prefigurare nel Paese africano?
R. – E’ un cammino faticoso verso
la democrazia di un Paese che ha conosciuto per circa 20 anni l’esperienza di
regimi militari. Solo da 6, 7 anni la Nigeria ha intrapreso un percorso
democratico. Ma la povertà e la corruzione rimangono. Ad esempio, nella zona
del petrolio, nel sud, si fa ben poco per la popolazione. Tutti sanno che la
più grande ricchezza del Paese è il petrolio ma poi la
popolazione locale non vede i risultati.
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Giornata di elezioni presidenziali
e politiche oggi in Uganda. Il favorito per la più
alta carica di Stato è Yoweri Museveni,
presidente uscente e al potere dal 1986. Suo principale avversario è Kizza Besigye, ex medico
personale dello stesso Museveni, già uscito sconfitto
alle presidenziali del 2001. Gli oltre 10 milioni di elettori dovranno
scegliere anche 317 membri del Parlamento.
Cresce la tensione in Somalia. E’ salito ad almeno 33 morti il
bilancio delle vittime degli scontri che da sabato sconvolgono Mogadiscio. Nei
combattimenti si oppongono uomini reclutati nelle scuole coraniche
e i miliziani dell’Alleanza per la restaurazione della pace e per
l’antiterrorismo, partito creato da alcuni ministri e signori della guerra che
sostiene di opporsi all’estremismo islamico e al terrorismo.
Almeno due
persone sono morte e altre 13 sono rimaste ferite per la scossa di terremoto di magnitudo 7,5 della scala Richter che ha colpito questa notte il Mozambico. Il sisma è stato avvertito
fino a Durban, in Sud Africa, e ad
Harare, nello Zimbabwe.
In Russia, è di almeno 60 morti il
drammatico bilancio del crollo del tetto del mercato moscovita di Bauman. Lo ha reso noto il ministero per le Situazioni di
Emergenza. Alcune fonti hanno anche precisato che sotto le macerie ci
potrebbero essere una quarantina di persone. Il crollo sarebbe stato causato
dall’accumulo di neve. Il mercato era stato progettato negli anni Settanta da Nodar Kracnheli, lo stesso
architetto che aveva disegnato il parco acquatico moscovita “Transvaal”, dove
il crollo del tetto attribuito ad un difetto di progettazione costò la vita,
nel febbraio del 2004, a 24 persone.
Il neo
presidente di Haiti, René Preval,
ha tenuto ieri una conferenza stampa sul suo programma di governo. Preval ha anche risposto a domande sull’ex capo di Stato
Aristide, destituito con un golpe militare nel 2004. Il servizio di Maurizio
Salvi:
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Nella prima conferenza stampa dopo
la proclamazione da parte delle autorità elettorali, Preval
ha posto fine ai dubbi sulla sorte di Aristide: Preval
ha ricordato che in base all’art. 41 della Costituzione, nessun cittadino
haitiano può essere deportato o forzato a lasciare il territorio nazionale.
Inoltre, ha detto che non vi è bisogno di visto per entrare e uscire dal Paese.
In precedenza, Aristide aveva espresso in Sudafrica la sua disponibilità a
rientrare in Patria assicurando di non cercare incarichi ma di voler aiutare il
nuovo governo con consigli e attività nel settore dell’educazione. Non si può
negare – ha detto a Pretoria – che chi ha votato per Preval
abbia anche votato un po’ per me. Per due volte eletto presidente, per due
volte estromesso dal potere, Aristide nel febbraio 2004 fu
costretto ad abbandonare Haiti da un’azione energica ispirata dagli Stati
Uniti. E con questo più che probabile rientro, Washington potrebbe trovarsi di
nuovo con un problema politico di difficile soluzione. C’è chi assicura, però,
che fra Preval ed Aristide il clima sia cambiato e
che il primo potrebbe voler mantenere le distanze a causa anche della necessità
che ha di stringere alleanze con settori moderati per governare il Paese.
Dall’America
Latina, Maurizio Salvi, ANSA, per la Radio Vaticana.
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Ratko Mladic
è “ancora in fuga”, può essere arrestato ma per
catturarlo è necessario il “fermo sostegno” dell'Europa. E’ quanto ha
dichiarato, ieri, il procuratore
capo del Tribunale penale internazionale sull’ex Jugoslavia, Carla Del Ponte,
smentendo così definitivamente la notizia dell’arresto dell’ex comandante serbo
bosniaco. Carla Del Ponte ha anche inviato un messaggio molto chiaro a
Belgrado: “La Serbia sa che se non coopera chiaramente con la Corte, i
negoziati per l’adesione all’Unione Europea potrebbero essere sospesi ... o
potrebbero non finire mai”.
Raccomandazione lanciata anche dal commissario dell’Unione Europea
all’allargamento, Olli Rehn,
che ha chiesto una stretta collaborazione con il Tribunale penale
internazionale dell’Aja a Serbia e Montenegro
nell’ambito dell’Accordo di stabilità e associazione (ASA) con l’UE.
Fusako Shigenobu,
fondatrice e leader del gruppo terroristico Armata Rossa Giapponese, è stata
condannata a venti anni di prigione da un tribunale di Tokyo. La donna è stata
riconosciuta colpevole di aver organizzato, nel settembre del 1974, il blitz
all’ambasciata francese all’Aja e il sequestro
dell’ambasciatore e di altre dieci persone.
“I popoli, le culture, le
religioni devono dialogare tra loro per conseguire il bene comune degli uomini.
Perchè ci sia dialogo sono necessari la vicendevole conoscenza, il reciproco
rispetto, l’accettazione dell’altro”. Lo ha detto il presidente della
Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, durante la
vista al museo ebraico di Roma. “Così come nessun uomo della mia generazione
può dimenticare la tremenda giornata del rastrellamento degli ebrei di Roma –
ha aggiunto Ciampi - nessuno può dimenticare la Shoah”.
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