RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 52 - Testo della trasmissione di martedì 21 febbraio 2006
IL
PAPA E
Ricevimento celebrativo dei Patti Lateranensi ieri pomeriggio a Roma
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
Si terrà la prossima estate ad Hong
Kong la quarta “Giornata asiatica per la gioventù”
Indonesia: le Suore Orsoline hanno festeggiato i 150 anni di
presenza nel Paese
Siccità e carestia mettono a repentaglio la vita di
oltre 10 milioni di africani
In Europa resta alta l’attenzione sul virus
dell’influenza aviaria
A Vienna si discute il
futuro del Kosovo
21
febbraio 2006
IL
DOLORE DI BENEDETTO XVI PER LE VITTIME DEGLI ATTACCHI ALLE CHIESE
IN NIGERIA. IN UN TELEGRAMMA, L’INCORAGGIAMENTO
DEL PAPA A LAVORARE
PER LA PACE NEL PAESE AFRICANO. CON NOI, IL
PRESULE NIGERIANO ANTHONY OBINNA E IL VESCOVO BRUNO FORTE, CHE SI SOFFERMA
SULL’APPELLO DEL PONTEFICE
AL RISPETTO DELLA LIBERTA’
RELIGIOSA
Profondo cordoglio di Benedetto XVI per le vittime delle “violenti proteste nel Nord della Nigeria”, che hanno
provocato la morte di almeno 15 cristiani. In un telegramma a firma del
cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, il Papa esprime la sua vicinanza
spirituale alle famiglie delle vittime e ricorda in particolare padre Michael Gajere, ucciso
nell’attacco alla sua chiesa. L’Osservatore Romano sottolinea come il sacerdote
ha reso “testimonianza al Vangelo con il supremo dono della vita”, proprio come
don Andrea Santoro. Padre Gajere è “stato brutalmente
assassinato” ma “non prima di aver messo eroicamente in salvo i chierichetti
presenti nella parrocchia”. Il Santo Padre prega dunque “per tutte le persone
impegnate nel garantire la sicurezza, incoraggiandole nei loro sforzi per assicurare
la pace e promuovere lo stato di diritto, in cui sperano tutte le persone di
buona volontà”. Ma come sta vivendo la Chiesa in Nigeria questo momento
difficile? Al microfono di
Roberto Piermarini risponde il presule nigeriano Anthony Obinna, arcivescovo di Owerri:
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R. – Cerchiamo sempre di avere un dialogo con i musulmani,
specialmente nella diocesi del nord di Mauduguri dove
i cristiani hanno sempre condannato le vignette su Maometto.
D. – Mons. Obinna,
è una questione solo religiosa o ci sono anche aspetti politici dietro questi
scontri?
R. – Il
governo del Nord non ha mai fatto abbastanza per
proteggere la vita dei cristiani. Dopo l’11 settembre, quando a New York Al Qaida ha abbattuto le Torri Gemelle, in Nigeria circa 200
cristiani sono stati uccisi e numerose chiese sono state bruciate. Spesso i
politici musulmani strumentalizzano i poveri fedeli islamici e usano il nome di
Dio, di Allah, per spingere la gente alla violenza. Nel Nord della Nigeria i
leader islamici usano così la povera gente per compiere queste violenze, per
scopi che non sono religiosi ma politici. Tra l’altro oltre al sacerdote ucciso
anche il vescovo di Mauduguri ha rischiato di morire.
Gli hanno infatti bruciato la casa ma lui era fuori
diocesi.
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E passando al continente asiatico, la polizia
pachistana ha annunciato di aver arrestato 23 persone che domenica avevano
appiccato il fuoco a due chiese cristiane nella città meridionale di Sukkur. Dal canto suo, la Commissione
Giustizia e Pace della Conferenza episcopale pachistana ha diffuso un
comunicato in cui si condanna “la terribile violazione della legge e
l’incapacità del governo di fermare l’abuso della religione verificatosi” in Pakistan.
Intanto, hanno destato ampia eco le parole di Benedetto XVI che ieri, nel
discorso all’ambasciatore del Marocco, ha ribadito che nessuna offesa
giustifica atti violenti. Sull’appello del Papa, Alessandro Gisotti ha raccolto
la riflessione di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto:
**********
R. –
L’argomento principe di ciò che il Papa dice è che il rispetto della coscienza
e, dunque, la libertà religiosa, è un valore fondamentale connesso con quello
della dignità infinita della persona, di ogni persona umana. Partendo da questo
presupposto si traggono delle conseguenze importantissime, che l’offesa alla
coscienza religiosa, da qualunque parte venga, è qualcosa di non ammissibile, e
che va rifiutata con decisione. Secondo, che per la stessa ragione, coloro che
si sentono offesi, perché è stata fatta satira su valori e simboli religiosi
fondamentali del loro credo, debbano essere i garanti, i custodi della libertà
religiosa degli altri. Questo significa che se l’Islam ha il diritto di
sentirsi ferito dalle vignette, ha al tempo stesso, e per la stessa ragione, il
dovere di garantire la dignità e la libertà religiosa di qualunque altra
persona.
D. – Il Papa ribadisce anche in questo frangente un tema
forte che sta già caratterizzando il suo Pontificato: verità e carità sono
inscindibili. Come declinare questo principio nell’ambito dei rapporti fra
religioni e culture?
R. – La grande verità, che è alla base di questo rapporto,
è appunto il valore inalienabile, sacro, della persona umana, dell’essere umano
in quanto tale. In questo argomentare, dunque, il Papa usa motivi che sono di
riflessione antropologica generale. Il Papa non fa l’avvocato di Dio. Il Papa
fa l’avvocato dell’uomo, cioè è in nome della dignità dell’essere umano, di
ogni essere umano che egli parla. Ecco perché quanto egli dice va ascoltato non
solo dai credenti, ma da tutti. Sulla base di questa verità fondamentale della
dignità della persona, dell’essere umano, della coscienza, il rapporto
religione-cultura deve essere garantito da due principi fondamentali: primo, la
libertà religiosa; secondo, però, che la libertà di ognuno debba essere misurata
e verificata sulla libertà degli altri.
D. – Proprio riprendendo queste sue ultime parole, da più
parti si chiede il rispetto del diritto di reciprocità. Nel mondo islamico
questa sensibilità per la libertà religiosa non è forte come in Occidente. Da
dove partire dunque?
R. – Certamente da un processo di dialogo di carattere
culturale che naturalmente è anche religioso. Va, dunque, sempre sostenuto il
valore del dialogo. Secondo, dalla chiarezza anche nei rapporti internazionali.
In altre parole, nel sistema internazionale di rapporti i Paesi occidentali che
garantiscono e tutelano i diritti di tutti, a cominciare dal diritto delle
libertà religiose, hanno il dovere di far pesare la loro voce perché questi
diritti siano rispettati dappertutto. Ed è questo peraltro anche uno dei
compiti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
D. – Al centro del messaggio cristiano, ci ricorda il Papa
con la Deus caritas
est, ma anche la madre di don Andrea Santoro che ha perdonato l’assassino
del figlio, c’è l’amore. Cosa possono fare i cristiani per sconfiggere l’odio
di chi strumentalizza il nome di Dio?
R. – Certamente quello che ha fatto la madre di don
Santoro è quello che ha fatto don Santoro, cioè la prima cosa è amarli tutti
indistintamente, avere il coraggio, perché di coraggio si tratta, di dare il
perdono anche agli assassini. Questo è, a mio avviso, un messaggio altissimo
che è stato lanciato e che mette a confronto la barbarie dell’assassino con la
ricchezza di umanità e di spiritualità del perdono offerto dalla madre di don
Andrea. E’ chiaro che questa via sia non solo individuale, ma debba essere uno
stile collettivo. Vanno cercati ponti di incontro e di dialogo, vanno date e
offerte occasioni di testimonianze.
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BENEDETTO
XVI NOMINA IL CARDINALE ATTILIO NICORA
LEGATO
PONTIFICIO PER LE BASILICHE DI SAN FRANCESCO
E DI
SANTA MARIA DEGLI ANGELI IN ASSISI
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Benedetto XVI ha nominato Legato Pontificio per le
Basiliche di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli in Assisi il cardinale
Attilio Nicora, presidente dell’Amministrazione del
Patrimonio della Sede Apostolica. Ricordiamo che, con un motu
proprio del 9 novembre scorso, il Papa ha stabilito nuove disposizioni per
i massimi luoghi della tradizione francescana. Alle Basiliche – si legge nel documento
pontificio – il Papa assegna un suo Legato che, “pur non godendo di
giurisdizione”, che spetta al vescovo di Assisi-Nocera
Umbra-Gualdo Tadino, “avrà il
compito di perpetuare con la sua autorità morale gli stretti vincoli di comunione
tra i luoghi sacri alla memoria” di San Francesco e la Sede Apostolica. “Il
Legato – stabilisce ancora il motu proprio
– potrà impartire la Benedizione papale nelle celebrazioni che presiederà
in occasione delle maggiori solennità liturgiche”.
Nel motu proprio,
il Papa stabilisce dunque che il vescovo di Assisi-Nocera
Umbra-Gualdo Tadino “avrà
la giurisdizione prevista dal diritto sulle chiese e sulle case religiose per
quanto riguarda tutte le attività pastorali svolte dai Padri Conventuali
della Basilica di San Francesco e dai Frati Minori di Santa Maria degli
Angeli”. I padri francescani, Conventuali e Minori, “per tutte le iniziative
che hanno risvolti pastorali, dovranno pertanto chiedere ed ottenere il
consenso del vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino. Questi, poi,
sentirà il parere del presidente della Conferenza Episcopale Umbra per le
iniziative che hanno riflessi sulla Regione umbra o della presidenza della
Conferenza Episcopale Italiana per quelle a più ampio raggio”.
ALTRE
NOMINE
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Villa de la Concepción del
Río Cuarto, in Argentina,
presentata da mons. Ramón Artemio Staffolani,
per raggiunti limiti di età.
Gli succede mons. Eduardo Eliseo
Martín, finora vicario generale e parroco della
Cattedrale della diocesi di Venado Tuerto. Mons. Eduardo Eliseo Martín è nato a Venado Tuerto il 26 dicembre
1953. È stato ordinato sacerdote il 26 dicembre 1980.
RICEVIMENTO CELEBRATIVO DEI PATTI LATERANENSI IERI
POMERIGGIO A ROMA
PRESSO
L’AMBASCIATA D’ITALIA PRESSO LA SANTA SEDE
Tra Italia e Santa Sede c’è concordia, collaborazione, e
rispetto reciproco. Lo ha affermato il cardinale segretario di Stato Angelo Sodano al
termine dei colloqui all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede ieri
pomeriggio, in occasione dell’annuale ricevimento a ricordo dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929 e dell’Accordo dell’’84
di modifica del Concordato. All’incontro erano presenti il capo di Stato Carlo
Azeglio Ciampi, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il vicepremier
Gianfranco Fini e i presidenti di Camera e Senato Pier Ferdinando Casini e
Marcello Pera. Per la Santa Sede oltre al cardinale Angelo Sodano,
erano presenti il sostituto per gli Affari Generali mons. Leonardo Sandri, il segretario per i Rapporti con gli Stati mons.
Giovanni Lajolo e il cardinale Attilio Nicora. A rappresentare la Chiesa italiana, il cardinale
Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale
italiana. Il servizio è di Alessandro Guarasci.
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Tra Italia e Santa
Sede c'è un clima di massima serenità. D’altronde lo stesso cardinale Sodano,
all’uscita dell’incontro a porte chiuse, ha sottolineato che in tema di rapporti
tra Stato e Chiesa l’Italia fornisce al mondo “un buon esempio di rispetto e di
collaborazione”. Un buon esempio che si è snodato lungo i 16 anni, durante i
quali il cardinale Sodano ha partecipato agli incontri tra Italia e Santa Sede.
Il segretario di Stato non ha nascosto invece la propria preoccupazione per
quanto avvenuto in Nigeria dove sono state prese di mira alcune chiese e uccisi
numerosi cristiani:
“Giustamente il presidente Ciampi ha detto: ‘Non basta la tolleranza, ci vuole il rispetto’.
E noi in Italia dobbiamo continuare questa missione nel mondo. In questo Chiesa e Stato lavorano insieme. Se diciamo ai
nostri ‘non c’è libertà di offendere’, dobbiamo dire
anche agli altri ‘non c’è libertà di distruggerci ed ucciderci’.
Sul piano politico, però, dobbiamo far giocare il concetto di reciprocità, soprattutto quando si tratta, quando si viaggia. E questo è
il contributo che l’Italia e l’Europa in generale possono dare al progresso
degli Stati, di altre culture, di altre religioni”.
Anche per il
premier Berlusconi le tensioni scoppiate nei Paesi
arabi fanno preoccupare. Il presidente del Consiglio, davanti ai giornalisti,
non ha parlato direttamente delle vicende legate alle vignette satiriche, ma ha
ribadito che l’estremismo non deve vincere:
”C’è preoccupazione perché esiste questo movimento all’interno delle masse
islamiche che punta non soltanto contro l’Occidente, come sappiamo, ma contro
gli stessi governi, che vengono accusati di essere
governi corrotti perché stanno occidentalizzando i loro Paesi. Credo che il
comportamento del governo sia tale da poter fare escludere che il nostro Paesi diventi un bersaglio singolo”.
Per il presidente
del Consiglio i rapporti tra Italia e Santa Sede non sono mai stati buoni come
ora.
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“LA RADIO VATICANA HA 75 ANNI MA
SI SENTE GIOVANE”:
COSI’
IL NOSTRO DIRETTORE GENERALE, P. FEDERICO LOMBARDI, HA PRESENTATO
IN
SALA STAMPA VATICANA IL 75° ANNIVERSARIO DELL’EMITTENTE,
CHE
BENEDETTO XVI VISITERA’ IL 3 MARZO PROSSIMO
Dopo aver festeggiato lo scorso 12 febbraio i suoi 75 anni
di vita, e in attesa di celebrarli il prossimo 3 marzo
con la visita del Papa alla sua sede, per la Radio Vaticana oggi è stato il
giorno della presentazione pubblica del proprio anniversario. Il direttore generale,
padre Federico Lombardi, e i massimi vertici della nostra emittente hanno incontrando
i giornalisti nella Sala Stampa vaticana per illustrare l’attività della Radio
del Papa, tra storia e nuovi progetti. A seguire la conferenza stampa c’era
Alessandro De Carolis.
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Un laboratorio giornalistico e culturale, che ebbe il
privilegio di essere forgiato dall’inventore stesso della radiofonia.
Un’istituzione che ha scritto sin dalle prime pagine la storia dell’emittenza internazionale nella sua veste di membro
fondatore dell’Unione Europea di Radio-televisione (UER-EBU). Una emittente che
oggi - oltre alla tradizionale, e per molti versi insostituibile, diffusione
via etere – è arrivata a parlare con disinvoltura il linguaggio più avanzato
della multimedialità e del web. Con un obiettivo
rimasto immutato in 75 anni: portare con i suoi microfoni nel mondo la voce del
Papa e della Chiesa, trovare instancabilmente modi e spazi per diffondere tra
le notizie la Buona Notizia. E’ la Radio Vaticana che è stata presentata questa
mattina ai giornalisti. Una comunità professionale di 384 dipendenti, di 59
nazioni, con 45 lingue per oltre 23 mila ore di trasmissione annuale. Numeri che dimostrano una realtà che è soprattutto una dote
dell’emittente: la sua “multiculturalità”, così spiegata dal direttore generale
della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi:
“Vogliamo
essere un po’ uno specchio dell’universalità della Chiesa e della sua passione
per tradurre il suo messaggio che è comune in tante lingue e in tante culture
diverse per i diversi popoli del mondo”.
Padre Lombardi ha introdotto il suo intervento
ribadendo che l’anniversario della Radio avrà il suo culmine il prossimo 3
marzo con la visita di Benedetto XVI a Palazzo Pio, sede della Radio. “Sarà una
visita itinerante”, ha detto, durante la quale il Papa inaugurerà una delle
nuove regie digitali dedicata a Giovanni Paolo II, che da
cardinale più volte aveva parlato
dai microfoni dell’emittente. L’estrema varietà di offerta radiofonica, declinata
dagli stili giornalistici e professionali degli oltre 200 redattori della Radio
Vaticana, è stata sottolineata dal direttore dei Programmi, padre Adrezej Koprowski:
“Credo di poter dire che la Radio Vaticana costituisca un
laboratorio culturale e giornalistico veramente singolare nel panorama dei
mezzi di comunicazione, facendosi quotidianamente voce del magistero e
dell’attività del Papa e della Santa Sede, con un occhio attento ai bisogni
delle rispettive società, delle diversità culturali e delle rispettive Chiese
particolari”.
Tra i “fiori all’occhiello” dell’anniversario, padre
Lombardi ha messo il nuovo sito della Radio Vaticana, che per l’occasione ha
“rivestito” graficamente con una nuova home page i contenuti in 30 lingue che
quotidianamente arricchiscono in tempo reale gli archivi multimediali del sito.
Uno dei suoi progettisti, il responsabile del Webteam,
Pietro Cocco, ne ha messo in risalto la filosofia:
“L’utilizzo di internet da parte della Radio è stato
pensato non come una semplice vetrina espositiva, né come qualcosa che diventasse alternativo alla sua natura radiofonica. Ma
piuttosto, che potesse massimizzare la capacità di veicolare
contenuti multimediali. (…) E’ nato così il
progetto “Oecumene” (…) Il progetto permette di
scrivere con i 13 alfabeti diversi che abbiamo in Radio, nelle 39 lingue con
cui noi ci rivolgiamo al mondo”.
Le domande dei giornalisti hanno toccato argomenti
diversi, tra cui la questione dell’elettrosmog, sulla
quale padre Lombardi ha fatto il punto della situazione nel rapporto tra le
preoccupazioni della popolazioni e quanto fatto dalla
Radio Vaticana:
“Da un punto di vista della nostra coscienza, come persone
responsabili, noi abbiamo una coscienza tranquilla perché abbiamo studiato in
modo approfondito l’argomento, ci manteniamo informati anche da un punto di
vista, diciamo, scientifico e medico, e la maggioranza – a nostro avviso
schiacciante – della letteratura competente è sul fatto che non ci siano questi
danni alla salute e che quindi le preoccupazioni non siano fondate. Per quanto
riguarda le preoccupazioni della popolazione, noi ci siamo impegnati già dal
2001 al rispetto rigoroso dei limiti previsti dalla legislazione italiana.
Tutte le misurazioni fatte dalle autorità italiane, in questo tempo, hanno riscontrato
che noi stiamo rispettando questi limiti che sono notoriamente i più stretti
del mondo e quindi quanto mai cautelativi (…) Quindi noi riteniamo, anche per
quanto riguarda le preoccupazioni della popolazione, che il rispetto della
legislazione italiana sia un comportamento
oggettivamente verificabile, quanto mai serio”.
Anche la Radio Vaticana ha avuto la sua “rivoluzione
digitale”. Il “passaggio completo dall’analogico” alla nuova forma di
produzione e di messa in onda è stato “praticamente completato” nel giro di 6-7
anni, ha spiegato il vicedirettore tecnico dell’emittente, l’ing. Sandro Piervenanzi, che ha sottolineato soprattutto il notevole
sforzo compiuto per la riconversione professionale di redattori e tecnici. La
Radio Vaticana del terzo millennio conta 20 trasmettitori – in onde corte,
medie e modulazione di frequenza - 36 antenne e 8 canali satellitari. I suoi
archivi sonori custodiscono 13 mila ore di materiale audio riguardante i
Pontefici, la cui corretta gestione e tutela è uno dei compiti specifici
dell’emittente vaticana. Padre Lombardi, rispondendo a
una delle domande, ha spiegato lo stretto rapporto di collaborazione che lega
la Radio Vaticana al CTV, il Centro Televisivo Vaticano, che cura la ripresa di
ogni cerimonia papale.
Il direttore generale dell’emittente ha chiarito diversi
punti sulla gestione dell’emittente, tra cui uno spesso ricorrente sul
possibile uso della pubblicità come risorsa per attenuare l’impatto dei costi
annuali, che si aggirano attorno ai 20-25 milioni di euro:
“Noi siamo molto attenti ad una politica di risparmio,
però cerchiamo veramente – è il nostro grande impegno – di osservare il
risparmio senza sacrificare la sostanza dell’attività che svolgiamo. La digitalizzazione, l’automazione ci hanno permesso di risparmiare
su certi fronti, e continuiamo a farlo continuamente. Per quanto riguarda la
pubblicità, se uno conosce e segue bene la realtà della Radio Vaticana, si
rende conto che è una via molto difficilmente praticabile. E’ veramente
problematico l’aspetto della pubblicità con un’attività così differenziata e
anche così caratterizzata come proposta. Per fare un esempio, noi parliamo ai
cinesi per 45 minuti, poi giriamo le antenne e parliamo ai vietnamiti per 45
minuti, poi le giriamo e parliamo agli indiani, in tamil,
per 20 minuti. Allora: che cosa ‘vendiamo’, ai cinesi, ai vietnamiti, agli hindi e ai tamil? (…) E comunque, tutte le soluzioni a carattere di
‘pubblicità’ ci sono sempre sembrate, ogni volta che le abbiamo studiate, così
irrisorie come risultato, rispetto al problema, che era più la perdita della
nostra caratterizzazione che il guadagno da un punto di vista economico”.
Un altro argomento d’interesse ha riguardato gli ascolti. Padre Lombardi ha ribadito l’impossibilità di
contabilizzarli in una sorta di mappatura mondiale,
perché a percentuali di ascolto verificabili di una certa parte del pianeta –
quelle delle oltre 1000 emittenti che ritrasmettono i programmi della Radio
Vaticana - si contrappongono i dati solo indiziari rintracciabili in altre
zone, come ad esempio in quei Paesi in cui il cristianesimo è minoritario. Ma,
in fondo, ha aggiunto il direttore generale, non è un obiettivo strenuamente inseguito
dalla Radio:
“A dire il vero, abbiamo anche una certa libertà da questo
punto di vista perché noi lavoriamo più per portare un servizio anche a delle
minoranze, piuttosto che cercare il successo della grande audience”.
Settantacinque anni di servizio alla Santa Sede e alla
Chiesa universale al quale Benedetto XVI - proseguendo una tradizione alla
quale non poté purtroppo conformarsi il solo Giovanni Paolo I – renderà omaggio
tra dieci giorni, visitando le stanze e le regie dalle quali ogni ora, grazie
al centro di Santa Maria di Galeria, la sua voce può
raggiungere i cristiani, e non solo, delle metropoli, dei ghiacci e delle
foreste.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - Islam: non si placano le luttuose
violenze e le strumentalizzazioni delle proteste, nonostante gli appelli al
dialogo dei massimi esponenti civili e religiosi della comunità internazionale.
Servizio vaticano - Una pagina dedicata alla visita
del cardinale Crescenzio Sepe in Sudan.
Servizio estero - Corno d’Africa: milioni di vite
umane in pericolo per la siccità; l’ONU sollecita aiuti.
Servizio culturale - Un articolo di Paolo Miccoli dal titolo “Dietrich Bonhoeffer e lo stile ‘cristonomico’”:
il centenario della nascita del teologo.
Per l’“Osservatore libri” un articolo di Marco
Testi dal titolo “Clemente Rebora e il silenzio come
dono di sé”: lettere, pagine di diario e inediti nel
libro “Il tuo Natale”.
Servizio italiano - Islam; il presidente del
Consiglio esclude che il Paese “sia nel mirino dei terroristi”.
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21 febbraio 2006
OGGI
POMERIGGIO A ROMA, PRESSO L’UNIVERSITA’ LATERANENSE,
LA PRESENTAZIONE
DELL’ENCICLICA DI BENEDETTO XVI “DEUS CARITAS EST”
-
Intervista con mons. Rino Fisichella -
Oggi pomeriggio alle 15.30 nell’Aula Pio XI della
Pontificia Università Lateranense ci sarà la presentazione dell’Enciclica “Deus caritas est”
di Benedetto XVI. All’incontro, organizzato dall’Università e dalla Caritas Italiana, parteciperà il cardinale Vicario Camillo Ruini, mons. Vittorio Nozza,
direttore della Caritas italiana e il Rettore
Magnifico della Lateranense, mons. Rino Fisichella,
che al microfono di Marco Cardinali, commenta la decisione del Papa di centrare
la sua prima Enciclica
sull’amore di Dio:
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R. – Credo che proprio perché il Papa rappresenta uno dei
più grandi teologi di questo secolo abbia voluto
iniziare il suo Pontificato con una Enciclica programmatica, puntando
sull’essenziale. Deus caritas est va
direttamente a quello che è il cuore e la fonte stessa della fede cristiana. Io
credo che questo non potesse essere altrimenti, perché
il Papa dall’inizio dice che presentare Dio come amore significa, non soltanto
entrare direttamente nel mistero di Dio, ma anche nel mistero dell’uomo.
Quindi, tiene unita la relazione tra Dio e l’uomo. In una parola, siamo davanti
a quello che è il mistero di un Dio che si rivela nella persona di Gesù Cristo
che è il figlio di Dio e che mostra il volto dell’amore del Padre.
D. – Mons. Fisichella,
come è suddivisa l’Enciclica Deus Caritas est?
R.
– L’Enciclica è suddivisa in due parti. Nella prima parte, più a carattere
teologico, il Papa entra in quello che è il mistero stesso dell’amore. E la
seconda parte è quella invece che più direttamente coinvolge la Chiesa,
coinvolge l’agire, la testimonianza dei cristiani, e mostra come non potrebbe
essere altrimenti, per la vita di quanti credono in Cristo, che vivere
dell’amore.
D. – Eccellenza, oggi pomeriggio alla Pontificia
Università Lateranense la presentazione dell’Enciclica con vari relatori ed
esperti. Questo aiuta certamente chi ascolta, a conoscere, approfondire, il
significato di questa lettera del Papa. Ma è bene anche leggere direttamente il
documento. Molti, però, sono forse spaventati di andare direttamente alla lettura
di un testo papale? Secondo lei invece tutti possono leggerla e approfondire
direttamente il significato dell’Enciclica?
R. – Io penso che essere cristiani significhi anche
affrontare in alcuni momenti situazioni un po’ più difficili. Sono convinto che
molti hanno letto già l’Enciclica. Ma a quanti ancora
temono di dover aprire quelle pagine esprimo l’augurio che possano trovare
quella ricchezza che non è difficile. E là dov’è difficile, allora l’impegno a
leggere con maggior calma e, perché no, essere anche capaci di scoltare delle catechesi che possano spiegare, essere
capaci di fare degli incontri, essere capaci ed avere anche l’umiltà di farcelo
spiegare. Ma in tutto questo credo che
la cosa più importante da ribadire sia che la fede ha bisogno di essere sempre
più sostenuta, che abbiamo sempre tutti bisogno di
dare intelligenza a ciò che crediamo e soprattutto di dare uno spessore di
profonda sapienza a quello che riteniamo essere per tutti noi il centro, non
soltanto della nostra fede, ma anche del senso della nostra vita. Quindi, di
dare intelligenza all’amore.
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OGGI I FUNERALI DI DON DIVO BARSOTTI, TEOLOGO E
POETA,
SCOMPARSO
MERCOLEDI’ SCORSO ALL’ETA’ DI 91 ANNI.
AVEVA
FONDATO LA COMUNITA’ DEI FIGLI DI DIO.
SOLO
NEL SILENZIO - DICEVA - SI PUO’ ASCOLTARE L’UNICA
PAROLA NECESSARIA
-
Intervista con don Serafino Tognetti -
Oggi la comunità cristiana dà l’ultimo commosso saluto a
don Divo Barsotti, morto mercoledì scorso nell’eremo
di Casa San Sergio, a Settignano, sui colli
fiorentini: aveva 91 anni. I funerali si svolgono alle 15.00 nella Basilica
fiorentina della Santissima Annunziata. Teologo, poeta e mistico, don divo Barsotti è stato un grande interprete del monachesimo
orientale in particolare russo. Nel 1946 aveva fondato la Comunità dei Figli di
Dio, formata da laici consacrati e religiosi che vivono in case di vita comune:
in tutto circa duemila persone. Ma per un ricordo di don Barsotti ascoltiamo il suo
successore don Serafino Tognetti, intervistato da
Luca Collodi:
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R. – Aveva un’indole molto contemplativa, dedita allo
studio e soprattutto alla preghiera, all’adorazione eucaristica … E quindi, ha
vissuto da monaco in questa Comunità, senza essere canonicamente un monaco,
come un benedettino o un trappista. Però ha vissuto quella vocazione originaria
alla vita intima, contemplativa, interiore di un prete diocesano, all’interno
di questa Comunità, in dialogo con tante persone della cultura non solo italiana,
ma anche extra-italiane. Ricordo il suo interesse vivissimo per la Chiesa
russa, il suo interesse vivissimo per la spiritualità orientale, per la
mistica, per la poesia, per la teologia. Era un uomo libero e portava ovunque questa sua profondità.
Forse non era tanto conosciuto: in effetti, ha sempre fuggito un po’ – ma questo mi sembra sia anche una buona testimonianza:
come buon monaco! – la visibilità, la vetrina, il farsi vedere, l’apparire.
Questo lui non lo voleva, non lo desiderava. Lui predicava esercizi spirituali ovunque ma poi non voleva
un pubblico ‘plaudente’ …
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Don Divo Barsotti predicava il
silenzio: perché solo nel silenzio – diceva – si può aprire il cuore
all’ascolto dell’unica Parola necessaria, quella di Dio. Riascoltiamo la sua
testimonianza, raccolta alcuni anni fa dai colleghi del programma di RAI UNO “A
Sua immagine”:
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La prima conoscenza che l’uomo ha, è la conoscenza di sé.
Di qui ne viene che senza il silenzio, l’uomo cessa di essere un uomo e invece
diviene sempre più uomo, consapevole della sua grandezza, nella misura in cui
cresce in lui il bisogno del silenzio, il bisogno – cioè – di aprirsi a questa
presenza arcana che riempie la sua vita, ed egli non sa che cosa sia. Soltanto
con il silenzio l’uomo finalmente vive la sua vita vera. Vivere il silenzio, amare
il silenzio è la consegna che vorrei dare oggi specialmente ai giovani. Non
credano, i giovani, di possedere una vita maggiore, moltiplicando i loro
rapporti, moltiplicando le parole, moltiplicando le cose da dire, le cose da
fare … Più che la moltiplicazione delle cose, è l’approfondimento di una cosa sola
che costituisce la vita umana: l’approfondimento di questa Presenza che noi
chiamiamo “Dio”; dobbiamo capire che ogni parola che si dice non dice nulla
perché il mistero è molto più grande delle nostre parole. Se dunque noi
vogliamo essere uomini, amiamo il silenzio!
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21 febbraio 2006
Si terrà
la prossima estate ad Hong Kong la quarta “Giornata asiatica
per la
gioventù”. “Il grande potenziale e la creatività della gioventù”
sarà il
tema centrale della settimana di incontri
Hong Kong. = La diocesi di Hong Kong si
prepara ad ospitare la quarta “Giornata asiatica per la gioventù”, che si terrà
dal 28 luglio al 5 agosto prossimi. Organizzatrice
dell’evento – afferma l’agenzia AsiaNews - è la “Federazione delle conferenze
episcopali dell’Asia” (FABC). Il tema della settimana di incontri sarà “Il
grande potenziale e la creatività della gioventù”. Alla prima riunione
organizzativa hanno partecipato 21 rappresentanze di 14 Paesi, fra i quali
Giappone, Corea del Sud, Macao, Taiwan, Filippine e Turkmenistan, primo Paese
dell’Asia centrale ad aderire. I componenti del gruppo
di Hong Kong che cura l’organizzazione, diretto dal vescovo Rolando Tria-Tirona, hanno illustrato la preparazione dei lavori,
mentre i rappresentanti degli altri Paesi hanno spiegato le loro aspettative.
Il sacerdote giapponese padre Nobuaki Tanaka, presente alla riunione, si è detto d’accordo con il
tema dell’evento, specificando che gli adulti devono collaborare con i giovani
e ascoltare con pazienza le loro opinioni. In particolare il sacerdote ha
sottolineato che gli adulti, vista la loro esperienza, non devono giudicare i
giovani ma capirli ed aiutarli a maturare la loro creatività. Alla conclusione
della riunione, che è durata tre giorni, dal 13 al 16 gennaio scorsi, il
vescovo Joseph Zen Ze-kiun
ha celebrato una messa e durante l’omelia ha ringraziato ed incoraggiato tutti
quelli che si mettono a disposizione dei giovani e di Dio, ricordando inoltre
l’importante impegno della diocesi di Hong Kong per aver dato la disponibilità
ad ospitare l’evento.
INDONESIA: LE SUORE ORSOLINE
HANNO FESTEGGIATO I 150 ANNI DI PRESENZA
NEL PAESE, SEMPRE A SERVIZIO DEI
GIOVANI
JAKARTA. = Le Suore Orsoline sono presenti in
Indonesia da 150 anni. Le prime sei religiose partirono dall’Olanda il 7
febbraio del 1856, per giungere a Jakarta, allora
colonia olandese. L’anniversario della congregazione è stato festeggiato in
questi giorni con una solenne celebrazione liturgica presieduta dal cardinale Julius Riyadi Darmaatmadja,
presidente della Conferenza episcopale indonesiana. Durante l’omelia,
l’arcivescovo della capitale indonesiana ha ringraziato a
nome della Chiesa le religiose, i loro collaboratori, gli insegnanti, gli studenti
e tutti gli operatori impegnati nelle attività educative e sociali. Nel suo
intervento, invece, la Superiora della provincia indonesiana delle Orsoline,
suor Maria Dolorosa Sasmita, ha ribadito l’impegno
della congregazione, fondata nel 1535 da Angela Merici,
che continuerà la missione educativa al servizio dei giovani. Nel Paese le
Orsoline, oltre ad orfanotrofi e corsi di catechismo, gestiscono infatti anche scuole di ogni ordine e grado che ospitano 24
mila studenti, molti dei quali non cattolici. (L.Z.)
IN INDIA 75 DONNE SCAMPATE AL
GRAVE DISASTRO CHIMICO DI BHOPAL, INIZIANO
LA LORO MARCIA A PIEDI VERSO NEW
DELHI. AL GOVERNO, DOPO 21 ANNI,
CHIEDONO ANCORA ACQUA POTABILE E RISARCIMENTI
BHOPAL. = E' cominciata ieri, nell’indifferenza totale
della stampa indiana e di tutto il Paese, la marcia di protesta di 75 donne
indiane di Bhopal, la città teatro del più tragico disastro
chimico mondiale. A distanza di 21 anni dal grave incidente, e a 17 anni dalla
prima marcia, le donne di Bhopal sono partite a piedi
dalla città indiana e contano di raggiungere in 33 giorni New Delhi, dove
protesteranno contro il governo. Al centro delle rivendicazioni, i risarcimenti
stanziati e mai ricevuti e l’impossibilità, ancora oggi, per gli abitanti di Bhopal di avere acqua decontaminata. Le donne cercheranno
solidarietà e supporto nel loro viaggio a piedi e si ciberanno solo ricevuto in
offerta, riposando nei luoghi messi a disposizione dai volontari che
incontreranno. “E’ assurdo - racconta all'Ansa Javier
Moro, autore, insieme a Dominique Lapierre,
del libro Mezzanotte e Cinque a Bhopal, con i
proventi del quale hanno costruito un ospedale per i sopravvissuti - che nessuno
si interessi della marcia, come è assurdo che a 21 anni i cittadini di Bhopal non abbiano ancora acqua decontaminata per bere”. Dati
certi sul fenomeno non sono mai state diffusi, tuttavia, secondo stime non
ufficiali oltre 15 mila persone sono morte a causa della nube tossica
sprigionatasi dallo scoppio della fabbrica di proprietà dell'americana Union Carbide e migliaia continuano a morire per la
contaminazione del suolo e dell’acqua. Sono moltissime inoltre le persone che
soffrono di malattie legate al disastro e i bambini che nascono con malformazioni
e menomazioni. (E. B.)
SICCITA’
E CARESTIA METTONO A REPENTAGLIO LA VITA DI OLTRE 10 MILIONI
DI
PERSONE IN DIVERSI PAESI AFRICANI COME TANZANIA E KENYA.
SECONDO
LE PREVISIONI NON CI SARANNO PIOGGE PRIMA DI APRILE.
SERVONO
RISPOSTE IMMEDIATE DA PARTE DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
GINEVRA. = Undici milioni di persone rischiano di morire
di fame in Africa orientale a causa della siccità, aggravata da “passate e presenti
situazioni di conflitto”. A lanciare l’allarme è stato Jean
Ziegler, relatore della Commissione dell’ONU per il
diritto all’alimentazione. Citato dall’agenzia MISNA, l’esperto ha poi
sottolineato che sono Gibuti, Etiopia, Kenya, Somalia
e Tanzania i Paesi colpiti dalla mancanza di acqua e cibo
iniziata negli ultimi mesi del 2005. In particolare le crisi più allarmanti
si registrano in Tanzania e Kenya, dove le persone a rischio sono
rispettivamente 3,7 milioni e 3,5 milioni. In Somalia sono stimate invece in 2
milioni; 1,75 in Etiopia e nella piccola Gibuti le
persone a rischio sono 150 mila. Sono inoltre decine di migliaia i capi di
bestiame morti per la mancanza di acqua e pascoli. Ricordando che
l’Organizzazione meteorologica mondiale ritiene improbabili nuove piogge prima
di aprile, Ziegler – sociologo svizzero conosciuto
anche per essersi occupato della situazione dei civili palestinesi- ha chiesto
agli Stati membri dell’ONU di rispondere velocemente e in maniera adeguata per
salvare migliaia di vite umane. (E. B.)
IN EUROPA RESTA ALTA L’ATTENZIONE SUL VIRUS DELL’INFLUENZA AVIARIA.
22
NUOVI CASI SONO STATI INDIVIDUATI IN GERMANIA, SULL’ISOLA DI RUEGEN,
NEL MAR BALTICO. REGISTRATI I PRIMI CASI ANCHE
IN UNGHERIA E BOSNIA
BERLINO. = In Germania è salito a
103 il numero degli uccelli morti risultati positivi al virus dell’influenza
aviaria. Altri 22 casi sono stati infatti accertati
sull'isola baltica di Ruegen, nel nordest del Paese,
sempre nella stessa zona dove in questi giorni sono stati rinvenuti gli altri
81 uccelli morti. Per affrontare l’emergenza, nelle regioni colpite sono stati
inviati alcune centinaia di soldati che stanno concentrando le ricerche anche
sulla terraferma. Intanto, dalla scoperta dei primi casi di aviaria, in
Germania il consumo di pollame è calato fra il 10% e il 12%. Anche se il dato
non è a livelli drammatici come in altri Paesi - dove si è superato il 50% di
mancate vendite, con punte del 70% in Italia - la Federazione degli agricoltori
ha messo in guardia da un peggioramento della situazione. “Dobbiamo prepararci
a tempi difficili”, ha detto il vicepresidente della Federazione, Helmut Born. Sul versante
italiano, proseguono le segnalazioni del ritrovamento di volatili morti, le
ultime nella province di Bergamo e Cosenza. Tuttavia è
il via libera dell’Unione Europea agli aiuti che occupa il primo piano. Si
tratta di 100 milioni di euro da destinare al comparto avicolo, che da oltre
una settimana sta vivendo una crisi che si aggrava di giorno in giorno. Le
misure saranno adottate dal Consiglio dei ministri italiano tra mercoledì e giovedì
con un apposito decreto legge. E mentre da Bruxelles gli esperti ribadiscono
che non c’è motivo di rinunciare a consumare carne di pollo, il virus si
diffonde anche in altri Paesi: accertati i primi focolai in Ungheria, Bosnia e
Croazia, mentre in India nove persone con i sintomi dell’influenza aviaria sono
sotto strettissima osservazione delle autorità sanitarie. In questo quadro
l’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha diffuso l’ultimo aggiornamento:
dal primo caso umano, nel dicembre 2003, ad oggi i casi umani sono 107 in
totale, di cui 92 mortali, confermati in 7 Paesi. I più colpiti sono Vietnam,
Indonesia e Thailandia; seguono Cambogia, Cina e anche Turchia. (E. B.)
IN LIBERIA LA COMMISSIONE PER LA VERITÀ E LA RICONCILIAZIONE HA INIZIATO
AD
INVESTIGARE SUI CRIMINI COMMESSI DURANTE GLI ANNI DI GUERRA CIVILE
NEL
PAESE AFRICANO
MONROVIA. = “Quando emerge la
verità, l’umanità si riscatta dalla codardia e dagli artigli della violenza”.
E’ quanto ribadito dal presidente della Commissione per la verità e la
riconciliazione, Ellen Johnson
Sirleaf, in occasione dell’inaugu-razione
dell’organismo che avrà il compito di far luce sulle gravi violazioni dei
diritti umani avvenute in Liberia durante la guerra civile. “Dobbiamo avere
sufficiente coraggio come Nazione di guardare in faccia il passato – ha
continuato Johnson Sirleaf,
secondo quanto riporta l’agenzia MISNA - e di condannare come un affronto a
tutti i popoli civilizzati i deprecabili atti subiti dal nostro popolo nei
passati 14 anni di guerra civile”. La Commissione, composta da
sette giudici, è stata formata sull’esempio della Commissione per la verità e
la riconciliazione sudafricana, voluta nel 1995 dal vescovo Desmond
Tutu per sanare la società sudafricana lacerata da decenni di apartheid e
violenze. Analogamente alla corte sudafricana anche quella liberiana non ha
poteri giudiziali diretti, il suo mandato è infatti
quello di “investigare sulle peggiori violazioni dei diritti umani e delle
leggi umanitarie internazionali, come anche sugli abusi avvenuti durante la
guerra, inclusi massacri, stupri, assassinii, esecuzioni extragiudiziali e
crimini economici”. I lavori sono sostenuti con 350mila dollari di fondi
pubblici e 500mila promessi dalle Nazioni Unite. Benché le gravi violenze iniziarono in Liberia nel 1980 con il colpo di stato di
Samuel Doe, il Parlamento liberiano ha dato alla
commissione ‘giurisdizione’ solo sui fatti accaduti dal 1989, anno del
coinvolgimento nel conflitto interno dei ribelli di Charles
Taylor. C’è da ricordare, infine, come l’esempio
sudafricano abbia ispirato anche una commissione simile in Sierra Leone. (E. B.)
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21 febbraio 2006
- A cura di
Fausta Speranza -
Consultazioni rapide e dall'esito in fondo scontato tra il
presidente palestinese Abu Mazen
e i leader di Hamas. Ieri in serata è stato annunciato
che oggi dovrebbe essere affidato l'incarico di formare il governo a Ismail Haniyeh, personaggio più
in vista del movimento che ha
sbaragliato il campo nelle elezioni del 25 gennaio. Da quando riceverà
l'incarico Haniyeh avrà a disposizione tre settimane
per formare un governo e farlo approvare dal parlamento. Intanto ingenti
reparti militari israeliani proseguono per il terzo giorno consecutivo un raid all'interno
della città cisgiordana di Nablus
e del vicino campo profughi di Balata. Obiettivo
dell'operazione - che non ha limiti di tempo - è secondo Israele lo scompaginamento
di ''infrastrutture terroristiche'' palestinesi. La
scorsa notte artificieri israeliani hanno scoperto all'interno della 'casbah'
un laboratorio dove venivano confezionati ordigni.
Ieri i soldati israeliani hanno ucciso a Nablus un comandante
locale della Jihad islamica e hanno compiuto diversi
arresti.
C’è spazio per un accordo tra Russia e Iran per la
questione nucleare. Ali-Hossein-Tash,
capo della delegazione iraniana ripartita oggi da Mosca dopo due giorni di
trattative ha detto che si può “raggiungere un accordo sulla proposta russa per
creare una joint-venture sull'arricchimento dell'uranio in territorio russo''. Viene annunciato che i
negoziati tra Mosca e Teheran continueranno
nella capitale iraniana, dove andrà tra due giorni Kirienko,
capo di Rosatom, l'agenzia atomica russa. Intanto il
ministro degli Esteri iraniano ha detto che Teheran
non discuterà
più con la troika formata da Francia, Germania, Gran Bretagna ma con i singoli Paesi europei. Ma
l’accordo di massima tra Iran e Russia può essere considerato un primo passo
nella soluzione della crisi innescata dal programma atomico della Repubblica
islamica? Giada Aquilino lo ha chiesto a Pierantonio Lacqua,
corrispondente Ansa da Mosca:
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R. - La
sensazione a Mosca è che non ci sia assolutamente un accordo ancora che possa
disinnescare la crisi, che vede in rotta di collisione l’Iran con l’Occidente.
E’ stata raggiunta un’intesa di massima soltanto su come potrebbe essere fatto
l’arricchimento dell’uranio iraniano sul territorio russo. Manca, però, un
elemento fondamentale e cioè che l’Iran non è disposto a ritornare alla
moratoria sulle ricerche nucleari, chiesto appunto da Mosca come condizione
indispensabile per andare all’arricchimento dell’uranio sul territorio russo.
D. – Si parla di una joint-venture
russo-iraniana. Intanto i negoziati proseguiranno a Teheran…
R. – Il 23 febbraio sarà a Teheran
il capo di Rosatom, l’agenzia atomica russa, Serghei Kirienko. Va a Teheran per fare il punto sulla centrale nucleare che i
russi stanno costruendo su territorio iraniano a Busher:
una centrale da un miliardo di dollari. Sarà l’occasione per portare avanti
questi negoziati sull’arricchimento dell’uranio. Chiaramente il tempo comincia
a stringere, perché sappiamo che il 6 marzo c’è un appuntamento fondamentale, a
livello di Agenzia atomica internazionale, su come affrontare questo caso
dell’Iran.
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Tre bombe sono esplose a Baghdad provocando la morte di un
agente della sicurezza e il ferimento di alcuni civili. Ad un altro attentato
invece è sfuggita il ministro iracheno per gli
Emigrati e gli sfollati, signora Suhaila Abd Jaafar. E' stato inoltre
trovato il corpo crivellato di proiettili di Saad Jarallah, portavoce di un responsabile del partito sunnita Fronte della Concordia, che era scomparso venerdì
scorso. Intanto il governatore della provincia di Kerbala,
Aqil al-Khazali, ha detto
di aver sospeso ogni cooperazione con le forze americane perchè la loro sicurezza
aveva usato cani poliziotto durante una perquisizione negli edifici del
governatorato. Molti musulmani considerano degradante avere cani introdotti
nella loro casa o nei loro uffici.
E' stato fondato in Somalia un nuovo partito che vuole
opporsi al terrorismo e all'integralismo. Della nuova formazione, che si chiama
'Alleanza per il ripristino della pace e per l'anti-terrorismo', con base a
Mogadiscio sud, fanno parte quattro ministri, tra cui quelli della Sicurezza nazionale e
degli affari religiosi.
Il futuro del Kosovo si discute
da oggi a Vienna. Si tratta della prima fase tecnica di un negoziato tra le
delegazioni di Belgrado e Pristina sotto l’egida dell’ONU. Ma per il momento
pesano negativamente alcune dichiarazioni della vigilia. Il nostro servizio:
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Debutta sotto la cattiva stella di una polemica tra il
governo di Belgrado e il mediatore dell'Onu, Ahtisaari, la prima fase del negoziato sul futuro status
del Kosovo, la provincia serba a maggioranza albanese
che dal ’99 è amministrata dalle Nazioni Unite. Rappresentata da una
delegazione di consiglieri del premier Kostunica e
del presidente Boris Tadic, la Serbia, almeno
ufficialmente, si è seduta al tavolo ferma sulla sua strenua rivendicazione di
sovranità storica sul Kosovo. Si aggrappa al diritto
internazionale e ai paletti della risoluzione 1244 varata dall'ONU a fine '99.
Non ha quindi gradito la dichiarazione attribuita nel fine settimana da un
giornale tedesco ad Ahtisaari, in base alla quale
Belgrado dovrebbe ammettere ormai come inevitabile l'indipendenza della provincia contesa:
l’evidenza sarebbe nel fatto che gli albanesi che reclamano l’indipendenza
rappresentano oltre il 90% dei kosovari. Un portavoce
del governo serbo e lo stesso presidente Tadic, non
accettano che l’emissario dell’ONU sia arrivato con soluzioni predeterminate.
Ad attenuare l'irritazione dei vertici belgradesi non
è bastata neppure la precisazione di una portavoce di Ahtisaari:
le affermazioni dell'ex presidente finlandese sarebbero state male interpretate
dal giornale tedesco. Sul fronte interno serbo, bisogna dire che il liberale Goran Svilanovic, già ministro
degli Esteri nei primi tempi dopo la caduta nel 2000 del regime di Slobodan Milosevic, intervistato
in tv, ha sollecitato l'attuale governo ad abbandonare la strategia del muro
contro muro. E a informare onestamente l'opinione pubblica serba che
l'orientamento prevalente nella comunità internazionale appare ormai di
concedere gradualmente l'indipendenza al Kosovo.
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Ma per capire quanto è difficile il negoziato e le
implicazioni nell’area dei Balcani, Fausta Speranza
ha intervistato Giuseppe Bettoni, docente di
geopolitica all’Università Tor Vergata di Roma:
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R. – La questione kosovara è
molto delicata, lontana dall’essere veramente risolta. Da una parte c’è la
Repubblica Serba, quella che si chiama Serbia e Montenegro, ciò che resta
dell’ex Jugoslavia, che vorrebbe ancora mantenere il Kosovo
come provincia, al massimo autonoma, perché legalmente
è ancora una provincia della Serbia e Montenegro anche se de facto il controllo
ce l’ha l’ONU. Dall’altra parte ci sono i kosovari,
guidati dal presidente che è succeduto a Rugova alla
sua morte pochi giorni fa, che vorrebbero invece l’indipendenza.
D. – Che valore può avere una soluzione Kosovo per i Balcani? Ci sono
altre situazioni che guardano a questa soluzione?
R. – I serbi guardano molto da vicino a questa faccenda
per due aspetti fondamentali: la presenza della loro comunità sul territorio kosovaro - il 10 per cento della popolazione è comunque
ancora serba - e il fatto che una eventuale indipendenza
di una parte del loro territorio, che loro considerano fondamentale, possa provocare un effetto
domino. Cioè la Serbia potrebbe eventualmente perdere in seguito anche il
Montenegro, che già manifesta volontà di secessione, e definitivamente perdere
il controllo su quella Bosnia-Erzegovina che è legata
alla Serbia.
D. – La presenza dell’ONU dal 1999 per il controllo di
questa provincia sicuramente ha assicurato che non ci fossero altri disordini o
scontri, però lo possiamo considerare un successo della comunità
internazionale?
R. – Sicuramente non si può assolutamente gridare al
successo. Si è investito tanto in questa area e giustamente perché stava
accadendo qualcosa di orribile, ma al tempo stesso non si è trovata ancora una
soluzione. L’ONU purtroppo ha dovuto riconoscere un insuccesso del suo ruolo in
quest’area, anche se dobbiamo riconoscere il risultato del mantenimento della
pace. Ma è una pace che si mantiene – tutti lo sanno, nessuno è cieco da questo
punto di vista – a caro prezzo, nel senso che c’è un controllo molto attento,
le tensioni possono esplodere da un momento all’altro. La minoranza in Kosovo è composta da almeno 200
mila serbi, spaventatissimi, preoccupatissimi
per certi versi, chiusi in certe aree, non comunicanti assolutamente con
l’altra maggioranza albanese. Ci sono diversi problemi che diventano nodo
fondamentale di questi incontri di Vienna.
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Lo storico negazionista David Irving è stato condannato a tre anni dalla corte d'assise
di Vienna per apologia del nazismo. In attesa
dell'esame del ricorso, dovrà restare in stato di detenzione. Sulla
colpevolezza dello storico inglese gli otto giurati ha raggiunto l'unanimità. Irving ha riconosciuto di avere negato a torto l'Olocausto,
ma per la corte d'assise il pentimento non è stato sincero.
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